il cinema fonte per la storia

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IL CINEMA FONTE PER LA STORIA
di PAOLA DUCATO
Chi lo ha detto che le immagini sono “oggettive”? Che si tratti di un reportage giornalistico o di un
documentario, anche la semplice scelta di un’inquadratura indica un “punto di vista”, quindi
un’interpretazione.
In qualità di docente di Storia (Liceo G. Galilei, Perugia) impegnata da anni in cine-laboratori con i
miei studenti, ho avuto modo di approfondire sempre meglio il linguaggio delle immagini. Le
riflessioni che seguono sono nate da questa esperienza. Analizzare un film significa confrontarsi
non tanto con gli eventi del passato, quanto con il presente, cioè con le chiavi di lettura utilizzate dal
regista, con cui occorre mettersi in rapporto dialettico. Alla fine, viene interpellato il nostro modo di
affrontare la realtà.
Chi ben comincia…
Per partire, propongo a titolo esemplificativo tre sequenze filmiche: 1) la sequenza iniziale del film
Casablanca, che spiega la situazione dei rifugiati a Casablanca con un finto ma verosimile cinegiornale; 2) la sequenza tratta dal film Good bye Lenin in cui alla madre del protagonista – appena
uscita dal coma, per non farle venire uno shock – vengono presentate delle immagini rassicuranti
sulla caduta del Muro e sulle dimissioni di Honecker; 3) l’ultima sequenza del film A torto o a
ragione, tratto da documenti di repertorio che focalizzano un particolare relativo al protagonista.
Per quanto riguarda lo spezzone iniziale del film Casablanca, la voce dello speaker del cinegiornale (nella versione italiana ricalca lo stile degli speaker dell’Istituto Luce) dovrebbe avere la
funzione di inserire gli spettatori nel vivo di una drammatica e verosimile vicenda storica. Tutto
questo contesto storico, ricostruito attraverso il cine-giornale per renderlo ancor più cronachistico,
ancora più in presa diretta, in realtà è creato per nascondere che la vicenda dei rifugiati politici a
Casablanca era completamente falsa.
In Good bye Lenin, montando autentici spezzoni di telegiornale in un diverso ordine e con un altro
sonoro, si potrebbe dire che cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia. A causa di tale
manipolazione, sembra che dopo la caduta del Muro siano quelli dell’Ovest a fuggire ad Est, che è
ovviamente l’opposto di ciò che è avvenuto. Ancora più sottile è l’altro falso cine-giornale, in cui il
dittatore della Germania dell’Est, Erich Honecker, rassegna le proprie dimissioni e stringe la mano a
un famoso astronauta, diventato ora il “nuovo capo del governo”. In realtà il pezzo in cui Honecker
rassegna le proprie dimissioni è autentico, il pezzo in cui da la mano all’astronauta lo è altrettanto,
ma sono avvenuti in momenti ed in contesti diversi anche se l’operazione di montaggio li fa
apparire contemporanei. Anche la successiva intervista all’astronauta è reale, perché si tratta
effettivamente di lui, ma nessuno lo ha mai nominato presidente e, di conseguenza, anche questo
assemblaggio è falso.
Nel caso di A torto o a ragione, il filmato di repertorio è autentico e ritrae il protagonista, il
direttore d’orchestra Wilhem Furtwangler. Attraverso una zoomata ed un replay, viene evidenziato
il Maestro nel momento in cui, dopo aver stretto la mano ad Hitler, la pulisce la mano col
fazzoletto. Questo dettaglio cambia tutta l’interpretazione del film, che si basava sulla presunta
collusione del direttore d’orchestra con Hitler e lo scagiona proprio attraverso quelle immagini
d’epoca. Questo dettaglio viene ripreso dal regista in “zoomata” e ripetuto da un replay, in modo
che non sfugga allo spettatore. Così, si potrebbe dire che il dettaglio diviene “più vero del vero”. Il
filmato è autentico ed inoltre questa rielaborazione filmografia permette di sottolineare un elemento
che altrimenti lo spettatore avrebbe potuto non notare.
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“Repetita iuvant”
Alla luce di questo diverso modo d’interpretare e rielaborare cinegiornali ed immagini d’epoca, si
arriva a questa semplice ma mai scontata constatazione: l’immagine filmica è tutt’altro che
un’osservazione oggettiva del mondo, bensì la sua interpretazione. Ogni immagine è interpretazione
e questo vale, sia detto per inciso, anche per la fotografia, dove anche il semplice variare del punto
di vista connota diversamente l’immagine. Dal punto di vista conoscitivo, non esiste (per dirla
kantianamente) una “cosa in sé”: nel momento in cui osserviamo qualcosa, lo elaboriamo con le
nostre categorie. Sempre nel linguaggio kantiano, esistono solo “fenomeni”, il mondo stesso è
fenomeno. L’interpretazione è un processo simultaneo a quello della percezione; ciò significa che,
quando noi guardiamo un telegiornale o un documentario, vediamo delle immagini interpretate a cui
noi sovrapponiamo la nostra interpretazione. Il processo interpretativo è, pertanto, onnipresente.
Detto questo, si tratta di “decriptare” questa modalità di decodificazione. In un contesto didattico, se
vogliamo ricavare il rapporto esistente tra il film e la storia che racconta dobbiamo tener conto di
alcuni aspetti: 1) l’onnipresenza e l’onnipervasività del processo interpretativo, e 2) la necessità di
possedere alcune fondamentali chiavi di lettura filmica. L’immediatezza del giudizio estetico da
parte degli studenti è il punto di partenza, su cui lavorare per portare la percezione a livello di
consapevolezza. “Mi piace”, “Non mi piace, “Mi convince”, “Non mi convince”: queste percezioni
estetiche devono evidentemente essere supportate da strumenti razionali che consentano di mettere
a fuoco gli elementi indicanti che il film è valido o meno, che cosa veicola, quale ne è
l’interpretazione.
Attrazione fatale
Abbiamo pertanto individuato alcuni elementi portanti di questo discorso: il linguaggio
dell’immagine e la centralità del processo interpretativo, che necessita di un’efficace “maieutica” da
parte del docente nei confronti degli studenti.
Il quesito è, a questo punto, il seguente e cioè che rapporto esista tra film, storia e storiografia.
Quello che si può dire è che tra storia e cinema c’è sempre stata un’“attrazione fatale”. Il cinema si
è nutrito, spesso e volentieri, di storia: i primi film avevano tratto il proprio materiale da episodi del
Vangelo (pur sempre storia sacra) e via via hanno continuato ad essere ambientati in diverse epoche
e diversi luoghi, sino ai tempi recentissimi in cui dei registi si sono addentrati nel periodo degli anni
di piombo, come Buongiorno notte, o nella scottante attualità dei kamikaze nei territori occupati,
come nell’intenso film palestinese Paradise now.
Esiste anche una reciprocità inversa nel rapporto tra cinema e storia, anche se in modo più labile. Se
infatti il cinema ha assorbito molta storia, gli storici da parte loro non hanno adeguatamente
compreso il fenomeno del cinema, per quanto tale tendenza sia stata parzialmente superata in questi
ultimi anni con una densa rivalutazione del mezzo visivo. Lo storico francese Marc Ferro, della
stessa scuola di Le Goff, inserisce il cinema e, più in genere tutto il materiale multimediale, tra le
nuove fonti storiche che sarebbero in grado di sottrarre il monopolio interpretativo alla storiografia
o ad altri poteri politico-culturali, per compiere una nuova operazione di rielaborazione storica: dal
basso. Il cinema è, pertanto, un luogo da studiare anche per gli storici.
Questo ci porta direttamente al rapporto esistente tra storici e registi. Questo rapporto implica una
duplice direzione: i registi tendono a pubblicizzare la consultazione di storici specialisti per i propri
lavori filmici, se attinenti ad una particolare ambientazione. Qualche volta questa legittimazione è
stata importante, in altri casi invece non così necessaria. Se pensiamo ad un recente e assai dibattuto
film come La passione di Cristo di Mel Gibson, sappiamo che il regista ha spesso sottolineato il
carattere filologicamente corretto dell’ambientazione storica del suo film. Questo, in realtà, non è
vero: Mel Gibson si è concesso ampie libertà proprio nell’ambientazione storica ed il valore, la
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forza del film sta in ben altro. Il fatto di essersi documentati non è sempre e non necessariamente la
forza di un film.
Se il regista tende a citare il supporto ricevuto dalla storiografia, non sempre gli storici hanno
guardato con fiducia al cinema. Gli storici sono spesso molto critici verso i film che si occupano di
storia; in qualche casi hanno concesso avalli a sorpresa, come quando Jacques Le Goff ha offerto il
proprio imprimatur al film Il nome della rosa che, peraltro, proprio dal punto di vista
dell’ambientazione storica desta non poche perplessità.
Pur con molte lentezze e cautele, c’è attualmente tra storici e mondo del cinema una certa osmosi
per cui, magari, un regista porta sul set una sceneggiatura tratta da un libro che, a sua volta, ha
compiuto un’ampia opera di ricerca storica. Dall’altra parte gli storici fanno attenzione a come la
storia viene trattata e reinterpretata in un operazione di tipo filmografico. Ci sono esempi molto
noti. Uno di quelli più significativi riguarda la filmografia Usa sugli indiani d’America. A parte il
classico Balla coi lupi, dove gli indiani da “cattivi” si trasformano in “buoni”, prendiamo in esame
come lo “scontro di civiltà” si sia trasformato progressivamente in un incontro di civiltà. Da Ombre
rosse a Soldato blu a Balla coi lupi, il salto è rilevante. In questo caso è evidente che diversi tipi di
società hanno diversamente influito su questo tema cruciale della storia americana; cambiando
l’assetto culturale, anche i registi sono naturalmente indotti a dare un taglio diverso al proprio
lavoro.
Ma è vero anche l’opposto. Film come Balla coi lupi o Un uomo chiamato cavallo, peraltro con un
grande successo di botteghino, hanno contribuito a diffondere idee storiografiche che, magari, a
livello di grande pubblico erano meno note. A tale proposito, un esempio tratto non da un film sulla
storia, ma sulla preistoria, Jurassic Park, rappresenta i dinosauri come dinamici e attivi, diversi dai
bestioni ottusi rappresentati filmicamente fino a quel momento; cosa largamente nota agli studiosi
da decenni ma ignota, appunto al grande pubblico. Jurassic Park è servito pertanto da cerniera tra
gli studiosi e il grande pubblico.
Quegli indiani mi ricordano qualcuno
Sulla base di quanto detto sinora, che senso ha parlare di film come fonte storica? In che modo lo
storico può usare il film come fonte?
Prendiamo ancora come esempio un film sugli indiani: può contenere delle utili informazioni
storiche? Sì, ma solo parzialmente. Sicuramente sì per quanto riguarda i dati grezzi, i costumi, le
pitture, le tende. Il film tuttavia è la sua sceneggiatura, la storia che racconta, l’azione. Da quella
storia lo storico può ricavare elementi utili per la sua ricerca? Per esempio sull’epopea degli indiani
d’America?
La risposta è più “no” che sì. Il film è un’indubbia fonte storica, utilissima certo, ma per
comprendere la società che lo ha prodotto, non quella che viene raffigurata sul set. In questo senso,
Balla coi lupi ci dice moltissimo sulla società Usa degli anni ’90 ma non può dirci molto di
oggettivo sugli indiani stessi.
Un film tuttavia contiene sostanzialmente i seguenti aspetti:
1) la sensibilità del regista;
2) la sensibilità sociale del periodo in cui il film viene elaborato;
3) i fondamentali modi storiografici del periodo della sua elaborazione.
Un film, soprattutto se di gran successo, non può non riflettere la percezione della storia di quel
momento. Se noi vediamo l’intensissimo Sacco e Vanzetti di Montaldo (1970), che ricostruisce la
drammatica vicenda umana e processuale dei due anarchici italiani, osserviamo anche tasselli
significativi della politica di quel periodo. La ricezione del film di Montaldo appartiene infatti ai
primi anni ’70 ed al pubblico apparvero piuttosto trasparenti i riferimenti alla cosiddetta “strategia
della tensione” e alla drammatica morte dell’anarchico Pinelli. Il film è quindi utilizzabile
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didatticamente sia per inquadrare la situazione sociale degli anni ’20 in America sia per illuminare
di riflesso le inquietanti vicende politico-sociali degli anni ’60 in Italia.
Se si guardano due film sulla Germania degli anni ’30, il primo contestuale all’epoca, il secondo
prodotto negli anni ’90, ne uscirebbero visioni profondamente diverse. Lo scarto nella produzione
di questi due tipi di film ci aiuta a capire quello che è successo tra gli anni ’30 e ’90.
La domanda a questo punto è la seguente: il cinema può essere utilizzato didatticamente in modo
diretto, in ragione delle tematiche storiche affrontate? Prendiamo per esempio il caso di Roberto
Rossellini, il grande cineasta italiano che, accanto a grandi capolavori filmici, ha intenzionalmente
intrapreso un percorso “didattico” con i film Agostino di Ippona, Cartesio, La presa del potere da
parte di Luigi XIV. Con questo percorso esplicitamente didattico, Rossellini ha voluto anche
intenzionalmente reagire all’ideologia che durante il Ventennio aveva permeato l’intero mondo
culturale, compreso il cinema. Con la sua dichiarata finalità Rossellini vorrebbe venirci a dire in
quale modo rappresentare un film storico. In realtà, per quanto sia interessante l’operazione (e
Rossellini è un grande regista) il risultato è ambivalente. Un film su Luigi XIV realizzato da
Rossellini ci darà delle informazioni sulla vita e sull’opera politica del Re Sole, ma ci dirà molto di
più su Rossellini e sul contesto in cui lavora. Questo intrinseco processo interpretativo si reduplica
inevitabilmente: oggi nel guardare un film sul Re Sole di Rossellini, a mia volta interpreto
Rossellini: in questo modo si allontana rapidamente il tema storico, mentre si reduplica il processo
interpretativo.
L’essere della Storia è essere-percepita
Il cinema non è un’asettica “macchina del tempo”. Questo significa che, anche in contesto
scolastico, le chiavi di lettura interpretative devono essere portate alla coscienza. Il processo
interpretativo esiste ed è ineluttabile. Questo è interessante per capire come cambi la nostra
percezione della storia.
Il “fenomeno” (etimologicamente: ciò che appare) attiene per sua propria natura al cinema, che del
resto, in assenza di luce, non potendo apparire, non potrebbe essere. Diventa allora interessante
capire come si muove la storiografia e come si colleghi al cinema.
Un esempio, tratto questa volta non dal cinema ma dall’attualità storica: alcuni rilevanti storici
francesi e tedeschi hanno recentemente espresso l’intenzione di lavorare insieme per la stesura di un
manuale scolastico che racconti all’unisono le scottanti vicende della I° e della II° guerra mondiale.
Da questa notizia si può comprendere la finalità didattica, ma anche dedurre come sia mutata
l’elaborazione della storia.
Per tornare al cinema, si deve tener presente quanto detto sinora:
1) il processo interpretativo relativo all’immagine;
2) le opere storiografiche che influenzano il cinema e viceversa;
3) le chiavi di lettura strutturali (interne al linguaggio filmico).
Cos’è un’ermeneutica filmica strutturale? Se io voglio vedere un film storico di un certo regista,
posso documentarmi per conoscere la filmografia del regista, le linee portanti del suo stile, il
contesto socio-culturale presente nel film. In questo modo posso provare a capire il processo
interpretativo attraverso gli elementi sociali e storiografici legati al film. Il film, però, può essere
analizzato in quanto tale (questa è l’operazione strutturalista): visione del film, analisi su come è
stato costruito, valutazione del suo valore.
Questo aspetto non è affatto secondario dal punto di vista didattico: un brutto film, nonostante le
sue ipotetiche buone intenzioni, rimane un brutto film. Il fatto che un film affronti delle tematiche di
impegno civile e sociale ricevendo, magari, l’imprimatur delle istituzioni, non è di per se elemento
necessario e sufficiente perché sia utilizzato didatticamente.
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Come diceva Mc Luhan, il mezzo si identifica con il contenuto. Se un film vuole essere istruttivo
ma di fatto è brutto o noioso, trasmette implcitamente ai ragazzi l’idea che le grandi tematiche siano
noiose. Questa conseguenza di per sé nuoce alla buona intenzione del film. Per un insegnante è,
dunque, altrettanto importante avere delle chiavi di lettura “tecniche”, oltre che storiografiche.
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