Porta Vercellina
Basilica di Sant’Ambrogio
Tesori nascosti
Nella basilica sono conservati, a testimonianza
della fase paleocristiana dell’edificio, pochi ma
significativi pezzi di notevole livello artistico. Al
di sotto dell’ambone romanico si può ammirare
un imponente sarcofago in marmo di Carrara
degli anni 385-390, decorato con scene del
Vecchio e del Nuovo Testamento; noto come
“sarcofago di Stilicone”, dal nome del generale
vandalo al comando degli eserciti degli imperatori Teodosio e Onorio (fine IV-inizi V secolo), è
riconducibile a un personaggio di alto rango,
forse un funzionario della corte al seguito
dell’imperatore che, dalla fine del III secolo al
402, risiedette spesso a Milano.
Al Tesoro della Basilica appartengono due
frammenti di transenna marmorea di età
ambrosiana e alcune tarsie parietali policrome,
databili al VI secolo.
La chiesa del vescovo e la città
La basilica, iniziata nel 379, fu costruita in
un’area non lontana dalle mura turrite
della Milano romana e dalle strutture del
circo, imponenti opere edilizie intraprese
sul finire del III secolo d.C., quando la città
diventò sede della corte imperiale. Ai
tempi di Ambrogio la zona era caratterizzata dalla presenza di sepolture e di sacelli
cristiani (cellae memoriae), legati al culto
dei Martiri, in particolare di Naborre e
Felice. Già da secoli l’area accoglieva
defunti: le tombe cristiane del cimitero ad
Martyres si erano infatti sovrapposte alle
sepolture pagane che, fin dal I secolo d.C.,
avevano formato una vasta necropoli.
Sulle tracce della chiesa paleocristiana
A partire dal 379 il vescovo Ambrogio
promuove la costruzione della basilica,
destinata ad accogliere la sua tomba, ma il
ritrovamento nel 386, nell’area della
necropoli, delle spoglie di Gervasio e
Protasio, Martiri milanesi della nobile
famiglia dei Valerii, in un momento in cui i
rapporti tra vescovo e imperatore sono
particolarmente difficili, convince Ambrogio
a dedicarla ai due Santi. L’edificio prende
quindi il nome di basilica Martyrum
(dei Martiri) ed è solennemente consacrato
proprio nel 386. Dell’originaria costruzione
ambrosiana si conserva solamente la pianta a
tre navate divise da tredici colonne per lato,
mentre tutto il resto risale ai secoli successivi.
Il sacello di San Vittore in Ciel d’Oro
Secondo una tradizione medievale, il sacello
sarebbe stato scelto dal vescovo Ambrogio per
seppellire vicino alle reliquie del Martire Vittore
il fratello Satiro, morto nel 378. Il piccolo
edificio, di pianta trapezoidale, con abside e
cripta, era originariamente separato dalla
basilica Martyrum
(poi Sant’Ambrogio). I suoi preziosi mosaici, tra
i pochi conservati in città, costituiscono una
straordinaria testimonianza di questa fiorente
arte, diffusa nella Milano del V secolo e oggi in
gran parte perduta.
Ambrogio, un protagonista nella Milano
del IV secolo
Ambrogio è una delle figure più importanti della
Chiesa occidentale, un protagonista della sua
epoca, un uomo di fede e d’azione ammirato dai
contemporanei e dai posteri.
Giunto a Milano nelle vesti di governatore, con il
titolo di consularis Aemiliae et Liguriae, alla
morte del vescovo ariano Aussenzio venne
chiamato dal popolo a ricoprire la carica episcopale e fu ordinato vescovo nel 374, il 7 dicembre, giorno in cui Milano rende tuttora omaggio
al suo patrono. Fino alla morte (397), mosso
dalla fede e sostenuto da un senso del dovere
tutto romano, si prodigò per la Chiesa e per i
suoi fedeli, lottando contro il paganesimo e le
eresie, soprattutto l’arianesimo, e battendosi
contro l’ingerenza del potere civile nelle
questioni ecclesiastiche, anche in contrasto con
l’autorità imperiale.
Lasciò ai suoi fedeli scritti teologici e dottrinali,
orazioni ed epistole, ai Milanesi grandi chiese in
cui pregare e rendere omaggio alle reliquie dei
Martiri e dei Santi.
Porta Romana
Basilica di San Nazaro
Disegno della basilica attuale, con evidenziati i resti della necropoli tardoantica (disegno di F. Corni).
La chiesa del vescovo Ambrogio
e la città
La basilica che Ambrogio iniziò a costruire
nel 382 si affacciava su una monumentale
via porticata da pochi anni ultimata.
Edificata lungo la strada per Roma, questa
via costituiva uno scenografico accesso
alla città per chi veniva da Sud e un
collegamento ideale con la capitale. Era
lunga 600 metri e conclusa (nell’attuale
incrocio con corso di Porta Vigentina) da
un imponente arco onorario.
La costruzione della chiesa fu l’occasione
per dare un’impronta cristiana alla zona.
Qui, nei secoli precedenti, erano sorti, nei
pressi della strada, impianti artigianali ed
edifici abitativi. Non lontano si trovava
probabilmente anche il porto della città,
che sfruttava il fossato della cerchia
muraria e le vie d’acqua attorno
all’abitato; verso la campagna si estendeva invece una vasta area cimiteriale.
Una chiesa a forma di croce
Edificata per volere del vescovo Ambrogio,
la basilica Apostolorum, in seguito dedicata a San Nazaro, è consacrata nel 386.
L’edificio si affaccia, probabilmente con un
atrio di cui si sono perdute le tracce,
sull’elegante via porticata che celebra il
potere imperiale. Il vescovo sceglie significativamente una pianta a croce, fino ad
allora inedita in Occidente, simbolo del
trionfo di Cristo sulla morte e della vittoria
della Chiesa di Ambrogio sull’eresia ariana
e sul paganesimo. L’ardito progetto del
vescovo è ancora riconoscibile nell’edificio
attuale, che ha assunto forme romaniche
nell’XI secolo.
Antiche testimonianze
Non sono molte, ma di straordinario interesse,
le testimonianze paleocristiane ritrovate nella
basilica. Ai tempi di Ambrogio si riferiscono la
preziosa capsella argentea e la teca di Dedalia,
oggi esposte nel Museo Diocesano di Milano e
in origine collocate sotto l’altare maggiore
della chiesa, all’incrocio dei bracci; contenevano rispettivamente le reliquie degli Apostoli e
un frammento osseo di probabile provenienza
orientale. Sono invece ancora conservati nella
basilica resti dell’originario pavimento, parti di
epigrafi e la lastra del medico egiziano Dioscoro,
qui sepolto tra la fine del IV e gli inizi del V secolo.
La necropoli paleocristiana
La basilica fu costruita non lontano da una
zona extraurbana in parte già occupata da
sepolture romane, una necropoli nell’area
dell’attuale Policlinico e gruppi di tombe nelle
vicinanze. Tuttavia non sappiamo se il cimitero
paleocristiano, documentato all’interno e
all’esterno della basilica, si sia formato sul
luogo di una più antica area funeraria pagana.
Forse in questa parte del suburbio avevano già
trovato sepoltura, nel III secolo, i vescovi
Castriziano e Calimero, ma fu solamente dalla
fine del secolo successivo che una necropoli si
concentrò attorno alle reliquie degli Apostoli e
dei Santi poste sotto l’altare e al sepolcro di
San Nazaro, poli devozionali di forte richiamo.
Porta Ticinese
Basilica di Sant’Eustorgio
Disegno ricostruttivo dell’abside paleocristiana all’interno della basilica medievale (disegno di F. Corni).
Il quartiere sudoccidentale
al di fuori delle mura
L’area suburbana gravitante sull’attuale
corso di Porta Ticinese, che ricalca un
antico tracciato, è una delle zone più
ricche di testimonianze archeologiche
della città. Sappiamo che il quartiere, tra la
fine del I secolo a.C. e il I-II secolo d.C.,
ospitava aree abitative, produttive e
funerarie. Lo sviluppo economico dipendeva dalla presenza delle strade dirette a
Ticinum (Pavia) e Habiatae (Abbiategrasso),
di canali navigabili e dell’anfiteatro,
edificio usato principalmente per spettacoli gladiatori, sorto nel I secolo d.C.
Dalla metà del III secolo d.C., in seguito a
incursioni barbariche e vicende belliche,
l’abitato fu abbandonato e sostituito da
necropoli pagane e poi cristiane.
Testimonianze tardoromane
e paleocristiane
Sotto il coro dell’attuale basilica di
Sant’Eustorgio è stata scoperta, nel corso
di scavi archeologici, l’abside di una più
antica costruzione, da alcuni studiosi
ascritta al tempo di Eustorgio I, vescovo di
cui si hanno notizie fra il 345 e il 348, da
altri attribuita a Eustorgio II, vescovo di
Milano dal 512 al 518.
L’antico edificio, sorto su un’area cimiteriale originariamente pagana poi cristianizzata, ebbe certamente grande importanza nella vita religiosa della città, come
provano la diffusione del culto
dell’Apostolo Barnaba, che qui avrebbe
battezzato i primi cristiani, la sepoltura del
vescovo Eugenio e la devozione per le
reliquie dei Re Magi, secondo antica
tradizione qui deposte in un sarcofago.
Tradizioni e leggende attorno alla basilica
Nella storia secolare della basilica di
Sant’Eustorgio, come in quella di numerosi altri
edifici di culto di antica memoria, sono confluite, nel corso dei secoli, leggende e tradizioni
varie, alcune delle quali assai interessanti e
suggestive. Collegate al culto dei Santi e delle
reliquie, tali tradizioni, spesso destituite di un
fondamento storico, trovano la loro origine in
epoca medievale, in tempi in cui era fortissimo
il connubio tra devozione e immaginazione. Si
collocano in quel tempo le leggende sulla
presenza in Sant’Eustorgio dell’Apostolo
Barnaba, sulla venerazione delle reliquie dei
Magi trafugate dal Barbarossa e sul vescovo
Eugenio.
Le epigrafi funerarie:
la memoria affidata alla pietra
Gli scavi della necropoli iniziati nel 1959 hanno
riportato alla luce alcune epigrafi cristiane
eccezionalmente conservate nella collocazione
originaria, forse addirittura in corrispondenza
della sepoltura. Un buon numero di queste
lastre è oggi esposto al pubblico, assieme ad
alcune tombe del cimitero paleocristiano, uno
dei pochi superstiti di Milano.
Il materiale epigrafico documenta l’esistenza di
un’area di sepolture prima pagane e poi
cristiane, che per un certo periodo si dovettero
affiancare. Le iscrizioni forniscono preziose
informazioni sui defunti e i loro cari: nomi e
origini, durata della vita e dei matrimoni,
condizione sociale, professioni, sentimenti.Vi
sono anche rarissimi esempi di immagini
graffite, tra le quali quella di un giovane ufficiale raffigurato come orante.
Porta Comasina
Basilica di San Simpliciano
Disegno della basilica attuale (disegno di F. Corni).
La chiesa e la città
La basilica sorse in un’area suburbana a
Nord della città, presso la cinta muraria e
la porta urbica da cui partiva la strada per
Como.Attorno alle mura correva il fossato
alimentato dalle acque del Seveso, via
utile per il trasporto di merci e di approvvigionamenti. La zona non ha restituito
particolare documentazione archeologica
per la prima e media età imperiale (I-II
secolo d.C.); acquistò invece rilievo in età
tardoromana (III-IV secolo d.C.), quando
diventò importante l’arteria stradale
diretta alla Renania e a Treviri, sede imperiale d’Occidente assieme a Milano, e
quando fu costruita la basilica, polo
devozionale e funerario. Non si sa se il
cimitero paleocristiano qui formatosi sia
stato preceduto da una necropoli pagana.
Sulle tracce della basilica paleocristiana
Attribuita agli ultimi anni di episcopato di
Ambrogio, morto nel 397, o al suo successore Simpliciano (397-401), la basilica
costituisce, per l’ottimo stato di conservazione, una preziosa testimonianza di
architettura paleocristiana a Milano.
Infatti, a differenza delle altre basiliche
ambrosiane, si conservano non solamente
la pianta originaria, ma gran parte
dell’antico alzato per quasi 22 metri,
databile alla fine del IV secolo.
Costituiscono aggiunte e modifiche più
tarde l’abside dell’XI-XII secolo, la divisione in navate, le cappelle laterali, la facciata ottocentesca e la parte meridionale del
transetto. Le ampie finestre di epoca
paleocristiana, ancora visibili all’esterno,
dovevano rendere l’interno straordinariamente luminoso e accogliente.
Il sacello e i Martiri dell’Anaunia
Si collega tradizionalmente all’arrivo delle
reliquie dei Martiri dell’Anaunia (Val di Non) il
piccolo sacello absidato e voltato a botte,
ancora visibile a Nord della basilica. Attualmente la costruzione risulta collegata a San
Simpliciano, ma non sappiamo come fosse in
origine. La forma e le misure del piccolo
edificio portano a identificarlo come una
probabile cappella funeraria, destinata anche a
ospitare reliquie. La tecnica costruttiva della
volta, che vede l’impiego di anfore integre
annegate nella malta, permette di avvicinare la
costruzione alle cappelle di Sant’Ippolito e di
Sant’Aquilino in San Lorenzo a Milano, al
battistero paleocristiano di Albenga e ad alcuni
edifici ravennati e di proporne una cronologia
al V secolo.
La necropoli paleocristiana
La presenza nella basilica delle reliquie dei
Martiri dell’Anaunia incrementò la devozione
dei fedeli e accentuò la connotazione sepolcrale del sacro edificio, favorendo lo sviluppo di
una necropoli paleocristiana. Dell’antico
cimitero, già costituito agli inizi del V secolo,
restano oggi poche lastre tombali iscritte e
numerosi sarcofagi di serizzo, in buona parte
reimpiegati nella base del campanile medievale, oltre alle notizie e alle trascrizioni di epigrafi
tramandate da studiosi del Cinquecento e del
Seicento. Simpliciano non ebbe però sepoltura
nella necropoli paleocristiana, poiché i suoi
resti giunsero nella chiesa nell’Alto Medioevo:
la sua prima tomba fu infatti nella basilica
funeraria dei Santi Naborre e Felice, nel cimitero
ad Martyres, presso la basilica di Sant’Ambrogio.
Porta Vercellina
Chiesa di San Vittore al Corpo
da poco convertito al cattolicesimo dal
vescovo Ambrogio, fiero oppositore
dell’arianesimo, ed era in procinto di
ricevere il battesimo, quando morì all’età
di ventuno anni. Ambrogio, affezionato al
giovane, si occupò della deposizione del
corpo in un prezioso sarcofago di porfido
rosso e pronunciò in questo luogo una
solenne e appassionata orazione.
È possibile che il mausoleo a otto lati abbia
ispirato al vescovo la costruzione del
battistero di San Giovanni alle Fonti, analogo nelle misure, nella decorazione
(pavimenti, colonne ecc.) e nella pianta,
caratterizzata da nicchie semicircolari
alternate a nicchie rettangolari. L’ottagono
simboleggia infatti la resurrezione, come
rinascita dalla morte nell’edificio funerario, come inizio di vita nuova dopo la
liberazione dal peccato originale nel
battistero.
Disegno ricostruttivo del battistero
di San Giovanni alle Fonti (disegno di F. Corni).
Antichi monumenti scomparsi
La chiesa di San Vittore al Corpo, il Museo
della Scienza e della Tecnologia “Leonardo
da Vinci” e la piazza antistante conservano
e, nello stesso tempo, celano le tracce di
uno dei complessi funerari più importanti
e monumentali della Milano tardoromana
e paleocristiana. Infatti in quest’area,
utilizzata a scopi funerari fin dal I secolo
d.C., sorgeva un mausoleo imperiale
ottagonale, circondato da un recinto a
forma di ottagono schiacciato con torri
semicircolari agli angoli. La poderosa
struttura, che racchiudeva alcune sepolture preesistenti, in parte già cristiane, e
tombe cristiane aggiunte nel corso del
tempo, doveva essere l’elemento caratterizzante di questo settore della città esterno alle mura. Un tratto del recinto, alcune
tombe ed epigrafi funerarie si possono
vedere nel Museo, mentre una porzione
del mausoleo si conserva sotto il sagrato
della chiesa tardorinascimentale. Trasformato in cappella di San Gregorio nel IX-X
secolo e annesso a San Vittore al Corpo, il
mausoleo fu abbattuto alla fine del XVI
secolo, in occasione del rifacimento della
chiesa.
La presenza del vescovo Ambrogio
Nel mausoleo ottagonale qui in piccola
parte conservato, secondo recenti ipotesi
costruito nella seconda metà del IV secolo,
trovò sepoltura il giovane imperatore
Valentiniano II, morto in circostanze poco
chiare a Vienne (Gallia), il 15 maggio 392.
Figlio dell’imperatrice Giustina, cristiana di
confessione ariana,Valentiniano era stato
Sulle tracce del mausoleo imperiale
Nel suggestivo ambiente è visibile una porzione del mausoleo imperiale tardoromano,
trasformato nella cappella di San Gregorio
(IX-X secolo) e abbattuto sul finire del XVI
secolo, quando il radicale rifacimento della
chiesa di San Vittore al Corpo comportò addirittura l’inversione dell’orientamento dell’edificio.
La costruzione ottagonale, molto simile al
sacello di Sant’Aquilino in San Lorenzo, doveva
essere dotata di una galleria ricavata nello
spessore dei muri al piano superiore e di otto
nicchie rettangolari e semicircolari alternate,
divise da otto colonne, a quello inferiore. Lo
scavo ha portato alla luce circa un quarto
dell’edificio, mentre altri resti sono tuttora
sepolti sotto la facciata della chiesa, la
gradinata di accesso e la canonica. Si riescono
a identificare una nicchia semicircolare e parte
delle contigue nicchie rettangolari. In una di
queste due nicchie resta, mal conservato, il
gradino in laterizi dell’altare dedicato a San
Gregorio; presso l’altra, si riconoscono due
tombe di età rinascimentale coperte da volte a
botte in mattoni.