Cartografia Geologica_parte terza_elementi

Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio ed Urbanistica
A cura di: Fabrizio Berra, Daria Mazzoccola, Enrico Sciesa, Dario Sciunnach con la collaborazione di Simonetta De Donatis e Nicola la Rovere
Come si rappresentano in carta
gli elementi geologici del territorio
Si utilizzano particolari simbologie grafiche per
rappresentare sulla carta topografica i diversi
elementi geologici che vengono osservati sul terreno.
Alcuni di questi elementi sono:
limiti litologici
faglie
sovrascorrimenti
pieghe
frane
morene
conoidi
FOTO D. MAZZOCCOLA
Limite litologico
Un corpo intrusivo che si è messo in
posto in una roccia incassante
L’intrusivo è rappresentato
in carta col colore rosso
Limite litologico
A
C
B
B
C
A
I diversi tipi di rocce sedimentarie A,B,C, sono riportati sulla carta topografica
I limiti litologici
Il passaggio tra corpi rocciosi differenti avviene con limiti che possono essere di diverso tipo: in prima
approssimazione è possibile distinguere tra limiti netti e limiti graduali.
I limiti graduali caratterizzano unità che presentano caratteristiche litologiche differenti, ma per le quali il
passaggio avviene attraverso una parte di successione che presenta alternanze di rocce che
presentano ora le caratteristiche di una ora dell’altra unità a contatto. I limiti graduali sono comuni tra le
unità sedimentarie e tra quelle metamorfiche.
I limiti netti sono invece caratterizzati da un passaggio brusco tra due ammassi rocciosi con
caratteristiche differenti. Questi limiti sono comuni in tutti i tipi di rocce. Nel caso delle rocce
sedimentarie, un limite netto può indicare una interruzione della sedimentazione e quindi l’esistenza di
una “lacuna stratigrafica”, cioè l’esistenza di un intervallo di tempo durante il quale non si è avuta
sedimentazione oppure l’erosione ha asportato una parte della successione inferiore prima dell’inizio
della deposizione di quella superiore.
In carta geologica i limiti sono tipicamente segnati da una linea che separa aree con colori differenti,
ognuno rappresentante una unità geologica.
A
B
FOTO F. BERRA
In questa fotografia è rappresentato un limite netto
all’interno di una successione sedimentaria
(Scozia). Si noti come gli strati inferiori più antichi
(B) siano quasi verticali, mentre quelli superiori più
giovani (A) sono quasi orizzontali. Poiché le rocce
sedimentarie si depositano in strati generalmente
orizzontali, ne consegue che l’unità B, dopo la
deposizione, è stata deformata ed erosa, prima di
venire ricoperta dall’unità A.
Faglia
Le faglie
Le faglie sono fratture variamente inclinate presenti all’interno dei corpi rocciosi, lungo le quali sono
avvenuti dei movimenti relativi tra i due blocchi separati. L’origine delle faglie può essere legata a sforzi
compressivi, distensivi o di taglio.
Nel caso di sforzi distensivi, si creano faglie dette “normali”, con la parte al di sopra del piano di faglia che
si abbassa rispetto a quella sottostante. Nel caso di sforzi compressivi, si generano faglie dette “inverse”,
caratterizzate dal fatto che la zona al di sopra del piano di faglia sale rispetto a quella al di sotto. Nel caso
di sforzi di taglio si generano faglie dette “trascorrenti”, caratterizzate da un movimento orizzontale (in
genere queste faglie hanno un piano subverticale). In base al movimento del blocco opposto a quello su
cui si trova l’osservatore, si distinguono in faglie trascorrenti destre o sinistre. Oltre a questi casi estremi,
si verificano numerose situazioni intermedie, con faglie che possono avere sia una componente
trascorrente che una normale o inversa.
Lo spostamento che si realizza tra i corpi rocciosi (considerando come riferimento un due punti
originariamente adiacenti prima dello sviluppo della faglia) si chiama “rigetto”: l’entità del rigetto può
variare da pochi cm (per faglie geologicamente poco importanti) fino a superare qualche chilometro.
Lo sviluppo delle faglie è in genere legato a processi geologici di importanza regionale che coinvolgono
ampie parti del pianeta e che spesso si inquadrano nella teoria della Tettonica delle Zolle.
Sovrascorrimento
I sovrascorrimenti
Durante le fasi di sviluppo di una catena montuosa, gli sforzi compressivi portano all’accavallamento di
corpi rocciosi originariamente adiacenti. Tali accavallamenti si realizzano lungo piani di faglia che
presentano in genere bassa inclinazione e registrano movimenti che variano da parecchie centinaia di
metri a diversi chilometri. Queste faglie prendono il nome di “sovrascorrimenti”: si tratta di faglie
importanti, spesso associate a zone fratturate o molto deformate a causa dei movimenti che si sono
verificati lungo il piano di sovrascorrimento.
I sovrascorrimenti portano in genere all’accavallamento di rocce più antiche (o più profonde) su rocce più
giovani (o più superficiali) ed indicano importanti raccorciamenti della crosta terrestre.
Gli sforzi compressivi che generano i sovrascorrimenti sono spesso responsabili dello sviluppo di grandi
pieghe sia nel corpo soprastante (alloctono, cioè proveniente da lontano) che in quello sottostante
(autoctono, cioè in posto).
I corpi rocciosi separati da sovrascorrimenti vengono in genere chiamati dai geologi con il termine di
“falde di ricoprimento”: nelle zone più deformate delle catene montuose esistono estese porzioni costituite
da un significativo numero di falde di ricoprimento sovrapposte, ognuna separata dalle altre da superfici di
sovrascorrimento.
Nelle carte geologiche i sovrascorrimenti sono in genere rappresentati da linee con piccoli triangoli su uno
dei due lati della linea: questi triangolini sono sempre dal lato del corpo roccioso che si è accavallato.
Piega
Le pieghe
La deformazione di un ammasso roccioso senza fratturazione porta allo sviluppo di pieghe, ben
evidenziate dall’andamento di superfici (esempio stratificazione, piani di scistosità) originariamente
planari. Nelle pieghe è possibile riconoscere una superficie assiale che unisce tutti i punti di massima
curvature degli strati coinvolti. La linea che unisce i punti a massima curvatura di un singolo strato prende
invece il nome di asse della piega.
Le pieghe possono essere classificate in diversi modi:
a) in base all’età delle rocce: se il nucleo della piega contiene rocce più giovani si parla di sinclinali,
mentre se il nucleo contiene rocce più antiche si parla di anticlinali. Nel caso non fosse possibile risalire
all’età delle rocce coinvolte nella piega (es. nelle rocce metamorfiche) si parla di antiformi se la geometria
è analoga a quella di una anticlinale e di sinformi se la geometria è analoga a quella di una sinclinale.
b) in base all’andamento della superficie assiale: se il piano assiale è verticale si parla di pieghe dritte, se
inclinato si parla di pieghe inclinate (o vergenti), se il piano è orizzontale si parla di pieghe coricate
c) in base alla geometria dei piani piegati all’interno della piega: si parla di pieghe concentriche se i livelli
piegati mantengono il loro spessore originario mentre si parla di pieghe simili se lo spessore dei livelli è
maggiore nelle zone di massima curvature e minore sui fianchi. Quest’ultimo tipo di pieghe si sviluppa in
grazie allo sviluppo di fitti piani di taglio entro i singoli livelli. Questo tipo di pieghe è tipico di rocce
deformate in condizioni di elevata temperature ed è tipico delle rocce metamorfiche.
Nelle carte geologiche, l’esistenza di pieghe è indicata dalla ripetizione degli stessi tipi di roccia sui due
fianchi della piega. I geologi utilizzano inoltre dei simboli appositi per indicare le tracce delle intersezioni
delle superfici assiali delle pieghe con la superficie topografica, fornendo un rapido sistema per
identificare le pieghe presenti sulla carta geologica.
FOTO D. MAZZOCCOLA
Frana
Le frane
Le frane sono movimenti determinati dalla gravità, che possono coinvolgere masse anche notevoli di
roccia o terreno (fino a centinaia di milioni di m3). Le varie tipologie di frana sono differenziate in base al
tipo di movimento; si distinguono principalmente frane di:
crollo, che consistono nel repentino distacco di massi o di porzioni di parete rocciosa, il cui movimento
avviene prevalentemente nell’aria; sono in genere innescati da circolazione di acqua nelle fratture e da
cicli di gelo-disgelo;
scivolamento, in terreno o in roccia, il cui movimento avviene per traslazione lungo superfici planari,
circolari o curvilinee; frane di questo tipo sono generalmente innescate da abbondante presenza di acqua
e possono evolvere in colate (terreni) o valanghe di roccia;
colate, in cui il movimento è assimilabile a quello di un fluido ad elevata viscosità; si sviluppano in
genere in terreni e sono spesso innescate dalla presenza di acqua.
Per quanto riguarda la cartografia geologica e la ricostruzione della storia geologica di una regione, è
importante riconoscere, oltre alle frane attuali, gli accumuli delle frane avvenute in passato (paleofrane),
che coprono sovente aree anche molto ampie, dell’ordine di diversi km2.
scivolamenti
crollo
colata
Depositi glaciali
Depositi glaciali
Durante le fasi di ritiro, i ghiacciai depositano ingenti quantità di sedimenti. Questo materiale viene spesso
depositato in maniera organizzata, al fronte ed ai lati del ghiacciaio, costituendo soprattutto delle creste
allungate (parallelamente ai fianchi o perpendicolarmente al fronte) che vengono definite dai geologi con
il nome di “cordoni morenici”. Questi cordoni hanno spesso un profilo asimmetrico, con un fianco più
ripido verso il ghiacciaio ed uno più dolce verso l’esterno.
Esistono generalmente diversi cordoni morenici lasciati da un singolo ghiacciaio durante le diverse fasi di
avanzata e ritiro che si sono verificate nel corso dei millenni. I depositi di ogni singola fase indicano la
massima espansione raggiunta dal ghiacciaio in un determinato periodo, permettendo di ricostruire le
condizioni climatiche esistenti nel corso del tempo.
I depositi glaciali che costituiscono i cordoni morenici sono generalmente rappresentati da materiale
eterogeneo, costituito da blocchi di dimensioni anche metriche immersi in una matrice fine, di natura
sabbiosa o anche limosa. I ciottoli presentano spesso superfici striate, generatesi durante gli sfregamenti
tra i ciottoli durante le fasi di avanzata del ghiacciaio.
Oltre ai cordoni morenici, i depositi glaciali possono costituire altre forme, legate a differenti modalità di
deposizione (es. depositi glaciali di fondo). Al fronte dei cordoni morenici sono spesso presenti depositi
ghiaiosi legati al trasporto e deposizione di materiale a carico delle acque di scioglimento dei ghiacciai
(depositi fluvio-glaciali).
In Lombardia i depositi glaciali sono diffusi sia in prossimità di ghiacciai attuali (a quote elevate, si tratta in
genere di depositi molto recenti) sia in porzioni di territorio ormai libere da ghiacciai da millenni. I depositi
più estesi sono presenti a sud del Lago di Como, del Lago di Garda, del Lago d’Iseo e del Lago di
Varese: la presenza di depositi glaciali in queste aree indica come nel passato (durante le ere glaciali) i
ghiacciai alpini si siano estesi fino alla Pianura Padana. Il ritrovamento di depositi glaciali anche sui
fianchi delle valli alpine (Val Camonica, Val Brembana, Val Seriana, Valtellina) testimonia l’altezza
massima che questi antichi ghiacciai raggiungevano all’interno delle valli, documentando spessori del
ghiaccio dell’ordine di diverse centinaia di metri.
Conoide
Conoide
I conoidi di deiezione sono dei corpi morfologici di forma triangolare, costituiti da depositi fluviali che
si formano allo sbocco delle valli secondarie sulle valli principali. Questi depositi sono composti da
materiale detritico di varia granulometria da limo fino a blocchi, con granulometria generalmente
decrescente dall’apice verso la base.
Il meccanismo di formazione dei conoidi è legato al trasporto dei sedimenti da parte del corso
d’acqua, che perdendo velocità per la diminuzione di pendenza allo sbocco della valle, deposita il
materiale che ha in carico. A parità di portata idraulica, viene depositata per prima la frazione
granulometrica più grossolana.
Questo processo non è continuo nel tempo, ma si esplica con maggiore intensità durante gli eventi
di piena, legati ad abbondanti precipitazioni. Durante questi eventi vengono trasportate a valle
grandi quantità di materiale che possono generare depositi sul conoide di spessori anche superiori
al metro. Inoltre, in particolari condizioni, si possono creare flussi di detrito (“debris flows”) in cui il
volume di materiale trascinato è di gran lunga superiore al volume d’acqua presente; ciò può
avvenire quando il materiale nell’alveo del corso d’acqua è molto abbondante a causa di processi
erosivi o franamenti provenienti dai versanti.
In genere il torrente non segue sempre lo stesso percorso sul conoide ma tende a spostarsi
lateralmente a causa di ostruzioni temporanee dell’alveo da parte del detrito.
In passato i conoidi sono spesso stati la sede preferita dei centri abitati, per la presenza di acqua
potabile e per la loro posizione sopraelevata rispetto al fondovalle alluvionabile e talvolta palustre. I
paesi che ancor oggi si trovano sui conoidi sono soggetti a rischio più o meno elevato di
esondazione.