Gli Ebrei in Egitto: la condizione di minoranza da cui nasce un popolo di credenti (Esodo, cap. 1) I. Note Introduttive • Con questa prima “lettura biblica” ci introdurremo nella lettura spirituale del libro dell'Esodo. In concreto, ci occuperemo del primo capitolo di tale libro. • Il libro dell'Esodo ha un'importanza centrale in tutta la rivelazione biblica: esso è incastonato nel cuore del Pentateuco (i primi cinque libri dell'Antico Testamento), che gli Ebrei chiamavano Torah (Legge). Nei libri della Legge si condensano i contenuti fondamentali della storia e della fede d'Israele, popolo di Dio. • Dal punto di vista letterario, si ritrovano nell'Esodo – come in tutto il Pentateuco – materiali di svariatissima provenienza, risalenti a epoche, a sensibilità culturali e a tradizioni teologiche differenti. Si possono sommariamente suddividere tali materiali in due categorie generali: materiali di carattere narrativo e materiali di carattere legislativo. A questo proposito, è lecito affermare, in prima approssimazione, che i capitoli 1 – 18 hanno un andamento prevalentemente narrativo, mentre i capitoli 19 – 40 elaborano per lo più contenuti di intonazione giuridico-legale. di vittoria che celebra il passaggio del Mar Rosso (15,1-21). • Tralasciamo qui le questioni di carattere storico, concernenti la datazione dell'ingresso delle tribù degli Ebrei in Egitto (accettiamo che si sia trattato di una vicenda svoltasi a più riprese nell'arco di tempo che va dal sec. XVII al sec. XIII) e la loro caratterizzazione etnico-culturale (accettiamo che si sia trattato di gruppi semitici, appartenenti a quel flusso plurisecolare che determinò lo spostamento di popolazioni nomadi dal deserto siro-arabico alle zone fertili della fascia occidentale). Accettiamo inoltre la sostanziale veridicità delle notizie concernenti i lavori di costruzione, ai quali queste popolazioni nomadi trasferitesi in Egitto furono costrette a prestarsi gratuitamente (cfr. 1,11-14; 5,6-23); storicamente senza fondamento è invece la notizia circa il proposito del faraone di sopprimere tutti i figli maschi degli Ebrei (cfr. 1,15-22). II. Indicazioni per una lettura spirituale L'inizio di un popolo di credenti • Dal punto di vista tematico, l'Esodo ha offerto da sempre alla meditazione dei credenti i temi fondamentali della rivelazione. Volendo abbozzare una suddivisione utile per la lettura del libro, si potrebbero indicare i seguenti nuclei tematici: il tema della grazia e della liberazione, corrispondente al racconto dell'uscita (equivalente al termine “esodo”) degli Ebrei dall'Egitto (cfr. Es 1,1 – 15,21); il tema del cammino nel deserto (cfr. 15,22 – 18,27), che fa – in certo modo – da transizione al tema dell'alleanza, che ricopre gli avvenimenti capitati al Sinai (cfr. 19.1 – 40,38). • Tutto il libro, comunque, trova unità tematica attorno alla meditazione di come Dio ha salvato e formato il suo popolo Israele, e di come quindi Dio sempre interviene per operare nella storia la salvezza dell’umanità. • Il capitolo 1 dell’Esodo ha un valore introduttivo rispetto all'intero libro, ma in modo particolare esso introduce la prima parte dell'Esodo (1,1 – 15,21); il racconto della liberazione d'Israele dall'Egitto è contenuto entro due parentesi, che si illuminano vicendevolmente mediante la reciproca contrapposizione: la descrizione della miserabile situazione degli Ebrei in Egitto (cap. 1) e il canto Per quanto il capitolo 1 dell'Esodo tenda a far risaltare le tinte della narrazione, dando solennità e risonanza ai fatti che racconta, non c’è alcun dubbio che abbiamo a che fare con un episodio del tutto marginale rispetto alla grande storia dell'impero egiziano e della civiltà che in esso si esprimeva. Si può motivatamente sostenere che la narrazione si situa storicamente nell'ambito dei fatti accaduti nel corso del sec. XIII a.C., al tempo della XIX dinastia. Ma nulla è lecito affermare oltre questa approssimativa collocazione temporale. Eppure, l'autore sacro non ha alcun timore di sbilanciarsi troppo quando dichiara che i figli d'Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno (Es 1,7). In questa espressione, anzi, viene riecheggiata addirittura una delle promesse rivolte anticamente da Dio ai Patriarchi: la promessa di una discendenza numerosa «come la polvere della terra», «come le stelle del cielo», «come la sabbia del mare» (cfr. Gen 12,2; 13,16; 15,5; 22,17; 26,4.24; 28.3.14; 32,13; 35,11; 46,3; 48,4.16). Tale promessa si è dunque compiuta, aprendo una nuova fase della Storia della Salvezza. Con i primi versetti del capitolo 1 dell'Esodo si inaugura ormai il tempo definitivo della storia, quello in cui Dio porta a realizzazione le speranze e le attese che egli stesso ha suscitato nel cuore degli uomini. La storia del popolo d'Israele, in quanto tale, comincia il giorno in cui si avverte la contraddittoria divaricazione che contrappone il livello degli eventi e dei fenomeni rilevabili in base all'analisi storiografica, al livello dei significati rivelati, che solo la fede sa scoprire e interpretare nella storia. Mentre alla lettura ufficiale dei fatti sfugge l'avventura irrilevante di quei gruppi di Ebrei sbandati, alla coscienza d'Israele si manifesta in tutta evidenza che proprio in questa vicenda di scarsa risonanza si è iniziata quella storia che andrà assumendo un significato universale e assoluto per quanto riguarda l'interpretazione e la spiegazione della salvezza di tutta l'umanità. Così, dunque, comincia la storia d'Israele: con un atto di fede che impara a scorgere il compiersi delle promesse di Dio nella banalità di situazioni ed esperienze dimenticate. Ma c'è ancora qualcos'altro da aggiungere, a questo proposito. Gli esegeti individuano in questo capitolo la presenza di almeno tre diverse tradizioni (i vv. 1-5 apparterrebbero alla tradizione sacerdotale, i vv. 6-14 a quella jahvista e i vv. 1522 a quella elohista), le quali annunciano fin dalla prima pagina l'intreccio di tradizioni che, variamente fuse, daranno corpo a tutto il libro dell'Esodo. A prescindere da ogni considerazione di carattere tecnico-letterario, val la pena di tener presente che questo modo di assommare insieme le tradizioni concernenti il proprio passato corrisponde a un preciso valore teologico e spirituale. In realtà Israele sta raccontando di sé tutto quello che sa e tutto quello che sa dire: il gioco delle tradizioni che si sovrappongono l'una all'altra non serve ad altro che ad esprimere la totalità dei ricordi. Tutto il passato d'Israele deve essere conservato come un patrimonio prezioso, perché in esso si è manifestata la presenza di Dio, che ha compiuto la salvezza del suo popolo. Tutto ciò che Israele ricorda dei suoi inizi è qui; e tutto si riassume in una presa di coscienza del fatto che la storia d'Israele comincia con uno sguardo di fede, con cui si affida a Dio tutto il significato delle cose che succedono. È questo l'inizio di un popolo di credenti, i quali giocano tutti i ricordi del proprio passato sulla contemplazione di Dio che compie le sue promesse. La condizione di minoranza: incubo e amrezza La vicenda narrata nel capitolo 1 dell'Esodo si svolge al di fuori di qualunque prospettiva mitologica o mitizzante. La nascita del popolo d'Israele non viene fatta risalire in nessun modo ad un'origine divina, quale era invece normale che pretendessero attribuirsi tutti i popoli dell'antichità quando narravano le proprie origini. Israele sa, anzi, di avere alle proprie spalle una sorta di vuoto, segnato dalla morte di Giuseppe e dei suoi fratelli (cfr. 1,6): sembra quasi che i gruppi di Ebrei residenti in Egitto siano gruppi di gente ormai senza passato, sottoposti alla prepotenza di chiunque intenda negare ogni loro originalità culturale e spirituale. È quanto si verifica il giorno in cui «sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe» (1,8). Né la nascita del popolo d'Israele viene fatta risalire a un nucleo di personalità particolarmente brillanti e intraprendenti. Ci troviamo di fronte, anzi, a una massa da manovra, umiliata e sottoposta all'oppressione dei lavori forzati (cfr. 1,11). In questa massa di persone senza più dignità e senza coraggio, non c'è nessuno che protesti, nessuno che si faccia avanti, nessuno che si opponga, nessuno che emerga e polarizzi l'attenzione; «e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses» (1,11). Il fatto è che la nascita del popolo d'Israele deve scaturire proprio dalla situazione umana di una piccola minoranza. Al di là della facile poesia con cui si può spesso inneggiare verbalmente a una specie di ideale degli esclusi, degli ultimi, degli emarginati, è pur necessario non dimenticare mai che il popolo di Dio si formerà mediante il coagulo di gente che avrà lungamente vissuto l'esperienza di essere minoranza: si tratta di una condizione di minoranza sul piano civile e politico, come pure sul piano culturale e religioso; e tutto si esprimerà platealmente nello sfruttamento economico del lavoro di quelle minoranze: «Gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele, trattandoli duramente» (1,13). Eppure, al nostro racconto non sfugge che proprio quei gruppi di Ebrei minoritari creano difficoltà e problemi alle autorità egiziane. È destino praticamente inevitabile che nella storia umana ogni minoranza sfruttata, quasi senza che essa stessa se ne accorga, diventi motivo di turbamento per la maggioranza degli sfruttatori. C'è nelle minoranze qualcosa di insopportabile, che suscita lo scandalo di coloro che hanno poteri e diritti: è come se la presenza di minoranze non recuperabili entro l'ambito sociale dei gruppi dominanti o entro lo spazio psicologico determinato dai comportamenti consueti e ufficiali, si traduca in un incubo minaccioso. È così che i sogni degli Egiziani cominciano ad affollarsi di timori angoscianti: «Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti…» (1,10). Ma non c'è modo per sfuggire a simili manie ossessive: «Quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d'Israele» (1,12). In tale marasma di terrori e di risentimenti, di miserie e di rese incondizionate, l'unica evidenza che emerge in modo stabile e tangibile è l'amarezza degli Ebrei: «Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni d'argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi PINO STANCARI, Lettura spirituale dell’Esodo: I scheda 2 lavori li obbligarono con durezza» (1,14). Il capitolo 1 dell'Esodo non sta scherzando, né sta idealizzando o spiritualizzando nulla: il popolo di Dio nasce in condizione di minoranza, sperimentando fino in fondo una lunga, dolorosissima e ingiustificabile amarezza. Il popolo di Dio nasce in uno stato di mortificazione profonda, con la sensibilità di gente a cui viene contestato dal potere faraonico tutto ciò che di più genuino e vitale la libertà sa suggerire: gente a cui – in certo modo – viene contestata la vita stessa (cfr. 1,1522). Il “timore di Dio” della gente semplice La narrazione del capitolo 1 dell'Esodo risente di palesi movenze popolaresche. Ciò è particolarmente evidente nell'episodio delle levatrici che impediscono la soppressione dei figli degli Ebrei ordinata dal faraone (cfr. 1,15-21). La figura del faraone, mentre non consente affatto una precisa identificazione con un personaggio storico, sta a rappresentare una forma di ipostatizzazione di tutte le forze oppressive, in quanto queste realizzano un potere organizzato sul piano delle realtà civili, politiche, culturali, religiose, ecc. Non deve dunque stupire l'ingenuità del comportamento del faraone, né la libertà con cui le donne si rivolgono a lui: in realtà, il racconto sta descrivendo in termini favolistici i tratti realissimi di uno scontro insanabile, che sempre contrappone sulla scena della storia due posizioni inconciliabili. Da un lato sta la violenza autoritaria del faraone, dall'altro lato si manifesta invece un atteggiamento di resistenza, che questa pagina biblica chiama “timore di Dio" (cfr. 1,17.21). Di fronte al potere del faraone, si trovano solo due donne in grado di fare resistenza: «Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini» (1,17). Non mancano nel comportamento delle due levatrici delle note burlesche, che pongono in risalto quanto sia ridicola la presunzione del potere assoluto: bastano due donnette da nulla per vanificarne le intenzioni malvagie (cfr. 1,18s.). Si tratta di due persone tra le tante, forse molto meno influenti di altre, certo molto più modeste di tanti grandi personaggi che occupano le pagine importanti della storia. E anche in questo gli inizi della storia del popolo d'Israele hanno un valore esemplare: perché nasca finalmente un popolo di credenti, Dio utilizza le persone più nascoste e insignificanti, appunto perché sono queste che normalmente sanno tener testa con maggiore vigore all'invadenza del potere. È questa resistenza al male storicamente organizzato che il capitolo 1 dell'Esodo chiama “timore di Dio” e che attribuisce alla gente più semplice, priva di grandiose motivazioni ideologiche o teologiche, ma ricca di buon senso e di sensibilità umana. C'è in questo “timore di Dio” della gente semplice una forza profetica che torna a vantaggio di tutti. Per via misteriosa, l'opposizione nascosta che la gente modesta contrappone al potere oppressivo – fosse anche soltanto in quello spazio ristrettissimo, ma essenzialissimo, di libertà che è la propria coscienza – acquista sempre la funzione di una profezia di bene per tutti. È questa la conclusione anche del nostro racconto, quando vi si dice: «Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia» (1,20s.). Nel testo ebraico, questo “loro” è un pronome personale maschile, che non si riferisce tanto alle due donne, quanto piuttosto a tutto il popolo: è tutto Israele che riceve da Dio il beneficio di una «numerosa famiglia»! Il popolo d'Israele, dunque, sta nascendo in virtù del coraggio profetico con cui due semplici donne sanno contrapporsi al potere faraonico. Anche se derisa, la cattiveria autoritaria del re d'Egitto non disarma; anzi, il capitolo si chiude con l'incupirsi minaccioso dell'orizzonte: «Allora il faraone diede quest'ordine a tutto i! popolo: “Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia”» (1,22). Nuove nuvole di amarezza e di sofferenza si addensano in lontananza. Per ora non rimane altro che un briciolo di speranza, appena appena evocata dalle figure delle due levatrici, ma sufficientemente potente per illuminare ancora, con un bagliore silenzioso e meditabondo, la morte assurda di molti innocenti. PINO STANCARI, Lettura spirituale dell’Esodo: I scheda 3