Gervasoni – Triuggio, 24 novembre 2004
Grazia, colpa e libertà: le dimensioni antropologiche del Battesimo.
1. Alcune premesse e affermazioni di base: la centralità e la storicità della
nozione di salvezza.
La riflessione che svolgeremo questa mattina vuole cercare di mostrare alcune connessioni tra la
prassi pastorale dell’iniziazione cristiana e lo sviluppo della teologia della grazia dal punto di vista
antropologico, al fine di mettere in evidenza in modo corretto gli elementi irrinunciabili del mistero
cristiano presenti nel cammino d’iniziazione cristiana che deve necessariamente mutare le sue
forme nel corso del tempo.
L’evoluzione stessa del rito con la ricchezza dei significati a esso connessi testimonia
chiaramente che il mistero cristiano ha trovato accentuazioni e forme diverse, a seconda della
sensibilità che nelle varie epoche si è espressa nelle forme liturgiche e nelle formulazioni dottrinali.
Alla base di questa affermazione sta il principio dell’inculturazione della fede e quindi il fatto
che la verità cristiana non consiste nelle forme storiche che la esprimono, benché non possa
prescindere da esse, in quanto le forme della tradizione costituiscono con la Sacra Scrittura il
binario della fedeltà alla testimonianza apostolica all’evento salvifico. Dietro a questa relazione si
nasconde un’altra relazione di grande importanza e che fa riferimento alla coppia famosa di termini
sacramentum ed exemplum, che descrive il modo con cui agisce la grazia nella vita della Chiesa in
riferimento alla vicenda di Gesù. La salvezza degli uomini avviene sia imitando (exemplum) Gesù, e
perciò non semplicemente applicando una dottrina morale, esemplarmente vissuta da lui, perché
Gesù è l’evento nel quale la libertà umana incontra il suo fondamento, sia credendo in Gesù
(sacramentum) e partecipando così alla sua stessa relazione filiale con il Padre, guidati dallo Spirito.
La coppia di sacramento e di esempio allude al fatto che nella fede è implicata fortemente la libertà
umana di fronte alla storia di Gesù come evento nel quale ogni destino umano trova senso.
La relazione tra la creatività dello Spirito e la fedeltà alla testimonianza apostolica e alla
Tradizione su Gesù Cristo è stata indicata in modo forte e innovativo nella Costituzione Dei
Verbum del Concilio Vaticano II e a essa ci riferiremo.
Acquista allora particolare importanza la categoria di salvezza come elemento di interpretazione
dell’evento di Gesù nel suo darsi agli uomini nel loro tempo e quindi capace di suscitare la risposta
di fede e di carità sul quale si fonda la Chiesa. Dire che Gesù è il Signore significa riferire alla
memoria di Gesù l’attuazione di ciò in cui l’uomo ritiene di attendere la salvezza. Questa
confessione di fede passa quindi attraverso la percezione della salvezza che gli uomini hanno e che
essi elaborano culturalmente nel tempo. Sotto la spinta culturale, dottrinale e teologica i credenti
formulano la confessione di fede, mutandola nel tempo proprio a partire dal cambiamento di
percezione e di elaborazione dell’antropologia, ossia della percezione che l’uomo ha di sé quando
decide di sé. Questa percezione teologica della salvezza ha condizionato anche le prassi liturgiche e
pastorali in cui la fede si è incarnata.
In queste prassi liturgiche si possono riscoprire anche alcune dimensioni essenziali
dell’antropologia cristiana delle quali occorre tenere conto nell’elaborazione del cammino
d’iniziazione cristiana. Esse sono appunto le nozioni di grazia, libertà e colpa, che si collocano
sempre all’interno di una precisa visione di storia e di comunità.
2. I primi tempi della Chiesa
I primi tempi del cristianesimo vedono sorgere da subito la necessità dell’iniziazione come
modalità di ingresso nella Chiesa, ma le questioni di fondo sono ben diverse da quelle che abbiamo
noi oggi. Il contesto generale dei primi tempi è quello che potremmo definire escatologico. I
cristiani sentono la radicale novità della presenza dello Spirito come caparra dei tempi nuovi in un
sentimento di attesa del ritorno definitivo del Signore. La figura dominante del sentire cristiano è
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quello della discontinuità rispetto a quanto era capitato prima, sia per quanto riguarda gli Ebrei, sia
per quanto riguarda i pagani.
Il problema più rilevante è quello della circoncisione dei pagani e, conseguentemente, della
figura di comunità religiosa che i cristiani devono assumere. Deve essere una comunità confessante,
perché la fede cristiana è chiaramente costituita dalla presenza del Risorto e del suo Spirito, dal
riferimento all’autorità apostolica, e perciò al kerigma e alla predicazione apostolica, e dalla
destinazione a una vita spirituale comunitaria, intesa sia in senso liturgico, sia in senso caritativo e
comunionale. Lo sfondo, però, è quello della contrapposizione escatologica tra fede e legge e quindi
tra cattolicità nuova nello Spirito ed elezione particolare di Israele nella Legge a favore di una vita
di speranza, intesa come novità di vita e di pensiero, fondata sulla fede nel Signore risorto.
Questo clima spirituale porta a percepire con forza l’unità di destino dell’umanità e del mondo
intero, secondo un disegno divino che Cristo manifesta e compie in un rinnovamento radicale che si
attua nella fede e in una nuova sapienza. Il battesimo testimonia proprio il rinnovamento, il
cambiamento, la conversione in una forte percezione della radicalità e della gratuità escatologica.
Diventare cristiani significa credere in Gesù Signore e vivere nella libertà dello Spirito,
sottolineando la centralità di Cristo in una vita cristiforme, che si esprime nell’ascolto della Parola,
nella liturgia e nella carità con forte dimensione missionaria, escatologica e kerigmatica.
Nei primi testi cristiani il Battesimo sembra riguardare gli adulti e quindi il cammino
d’iniziazione si stabilisce facilmente come itinerario catecumenale con tratti fortemente
penitenziali, comunitari e catechistici. Abbandonare la precedente vita, amare e approfondire il
Vangelo, apprendere una vita nuova ed entrare in relazioni comunitarie segnate dalla memoria Jesu
sono gli elementi di questo cammino. E tutto ciò in connessione con riti che indicano il carattere
confessante della salvezza scaturente dalla fede in Gesù Signore, risorto e presente nella Chiesa.
La dimensione redentiva è affermata e interpretata come vittoria di Gesù sul demonio e quindi
come liberazione dal male, che si traduce in una vita esemplare, nettamente caratterizzata dalla
speranza e dalla carità. Le modalità con cui, nei fatti, si cercano i buoni comportamenti morali da
seguire, fanno riferimento a classificazioni e categorie spesso legate alla riflessione morale del
tempo, per lo più di tipo stoico o di derivazione sapienziale. Ma in genere non è su questo che si
sofferma la descrizione della novità cristiana, che preferisce temi e atteggiamenti liturgici o
spirituali, che si traducono per i battezzati in forti cammini mistagogici.
3. Il periodo patristico e S. Agostino
Con il passare del tempo si produce un evidente confronto con la cultura ellenistica, in cui
prevale la questione della dimensione spirituale, eterna e immutabile, contro la molteplicità e la
mutevolezza della materia e del corpo. E’ importante sottolineare questo passaggio, perché fa capire
come nel pensiero cristiano si siano introdotti cambiamenti significativi del modello antropologico
su cui è stata costruita la dottrina della grazia e del battesimo. La forte centralità escatologica dei
primi tempi si stempera nella constatazione che il Signore non ritorna poi tanto presto e i fervore
confessante lascia il posto alla necessità di capire e di tradurre in azioni moralmente valide.
L’ardore kerigmatico ed escatologico lascia sempre più spazio alla ricerca di un elemento di
continuità e di eternità che dia senso al mondo e a tutti gli uomini. La filosofia sembra fornire
questa chiave di lettura del perenne nel mutevole, del fondamento stabile e spirituale nel variare dei
comportamenti e delle azioni. L’attenzione si sposta dal futuro della parusia imminente all’eterno e
sapiente disegno divino del Logos, presente nel mondo e colto dalla mente umana.
Con il concilio di Nicea viene fortemente affermata la consustanzialità del Verbo con il Padre,
contro ogni subordinazionismo, ma viene sempre più perso di vista il mistero della singolarità di
Cristo. La storia di Gesù viene sempre più, da un lato, legata al cruento combattimento contro il
demonio operato e vinto da Gesù per liberare l’uomo dalla schiavitù del demonio, e, dall’altro, al
cammino di ascesi e di ritorno alla contemplazione della verità eterna (Cristo Pedagogo
dell’umanità rinnovata). La salvezza viene concepita sempre più come restaurazione di un ordine
rotto dalla colpa iniziale che ha fatto contaminare le anime con la materia. Questa restaurazione
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esige un dono divino, un’illuminazione e una pedagogia divina che conduca all’imitazione e alla
contemplazione del Logos incarnato e presente nel mondo, per liberare gli uomini dai vincoli della
materia e della colpa. Il modello di vita cristiana diviene sempre più il monaco che fugge dal
mondo, lotta contro il demonio e vive nella contemplazione e nell’ascesi.
La diffusione del cristianesimo porta con sé anche un affievolimento della pratica morale e
religiosa e quindi pone al centro della riflessione teologica le questioni dottrinali, etiche e liturgiche.
L’attenzione si sposta sempre più sulla coerenza morale e sull’impegno personale nel perseguire la
via della salvezza. La figura di Gesù Cristo diviene sempre più esempio da imitare e fonte di
insegnamenti morali e sapienziali…
Questa attenzione alla tenuta morale del cristiano porta alle questioni relative all’efficacia del
battesimo e dei sacramenti in genere in coloro che non mostrano grande coerenza morale: il
battesimo degli eretici, la messa celebrata da preti indegni… sono problemi che portano la Chiesa a
riaffermare con forza che la salvezza è dono di Dio e non opera dell’uomo e perciò l’uomo giunge a
salvezza mediante la fede e non con una conquista morale. Le questioni della perennità ed efficacia
del battesimo e la distinzione tra opus operatum e opus operantis rinviano a queste problematiche.
In questo contesto si colloca anche un altro grande spostamento di attenzione pastorale, quello
per cui da parte di molti il battesimo viene posticipato il più possibile, per non incorrere nel
problema suscitato dalla non reiterabilità del sacramento della Penitenza. E’ perciò la questione
della salvezza dei singoli, legata, direttamente o indirettamente, alla coerenza morale, a guidare la
pastorale. In questo contesto si collocano anche le prime questioni sul battesimo dei bambini.
Quella del pedobattesimo si mostra come prassi frequente e diffusa, che raramente viene messa
in discussione in se stessa. La difficoltà, ben nota a Pelagio e ad Agostino, è quella per cui il
pedobattesimo mantiene le formule per la remissione dei peccati, previste per gli adulti. E’
significativo che le prime questioni sulla grazia in Occidente riguardano proprio il tema del peccato
originale, che assume un ruolo pesantissimo nella coscienza teologica del tempo.
Per comprendere tutto questo occorre ricordare alcune caratteristiche della situazione religiosa di
quel tempo. Innanzitutto il lassismo religioso e morale della prassi cristiana di massa successiva
all’editto di Costantino, poi la grande preoccupazione per la salvezza individuale legata al richiamo
di un grande rigorismo morale, poi il grande senso di insicurezza che attraversava l’Impero di quel
tempo e quindi un grande senso di paura, infine il contesto sacrale e il grande ruolo giocato dal puro
e dall’impuro…
In questo clima la situazione dell’uomo e quindi la questione della salvezza non sono più lette
all’interno del grande disegno della œconomia salutis e quindi della pedagogia divina a cui l’uomo
è chiamato in Cristo con un processo di divinizzazione e di imitazione sostenuto dallo Spirito
(teologia dei Padri Greci), in cui evidente è il ruolo della grazia divina, con il rischio di esiti un po’
estetistico-liturgici e cesaropapisti,, ma sono rinviate alla qualità e alla possibilità delle prestazioni
umane di fronte alla legge. Ne va dell’affermazione centrale del cristianesimo, per cui la salvezza
consiste nel credere in Gesù Cristo.
L’ardore di novità espresso dai riti battesimali del cristianesimo primitivo che sottolineavano
chiaramente la discontinuità con la vita precedente, la conversione operata dal dono dello Spirito e
il rinnovamento escatologico, rischia di stemperarsi in una sapienza generica, che potrebbe fare a
meno di Cristo e della sua croce.
Si comprende allora perché acquista un peso enorme l’affermazione indiscussa del peccato
originale con il conseguente lo stato di miseria (concupiscenza e perdita dell’integritas) che
rendono l’umanità una massa damnata e l’uomo assolutamente incapace di conoscere, amare e
compiere il bene. Per questo Agostino rilegge la grazia come auxilium immeritato, efficace e
gratuito, che mette l’anima umana nella condizione di amare Dio e di compiere il bene secondo una
nuova condizione di vita spirituale. E’ la concezione psicologica della grazia, elaborata per
salvaguardare la gratuità della salvezza operata in Cristo e non riconducibile ad alcuna prestazione
umana, pur essendo cosa che realizza pienamente l’uomo. L’affermazione del peccato originale che
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ha prodotto la massa damnata degli uomini serviva appunto per ribadire inequivocabilmente che la
salvezza è opera di Dio e dono di grazia amorosa in Cristo.
Unita a questa affermazione c’era quella per cui Cristo e solo lui è il salvatore, anzi, l’unico
salvatore, pensato a partire da uno sfondo culturale chiaramente neoplatonico e in contrasto con le
dispute manichee e donatiste. Dio non ha nulla a che fare con il male; esso è opera di creature e
viene vinto solo con intervento divino realizzato in Cristo e reso attuale dalla Chiesa. La necessità
del battesimo per giungere alla salvezza serviva per ribadire che al di fuori di Gesù Cristo non c’è
salvezza, per altro impossibile all’uomo peccatore e concupiscente.
D’altro canto la vita mostrava la presenza del male nel mondo, anche nella comunità ecclesiale.
Il battesimo, come azione della Chiesa, pur essendo condizione necessaria al conseguimento della
salvezza, non poteva essere pensato come condizione sufficiente: lo si sarebbe svilito a rito magico.
Per questo la salvezza doveva dipendere da un decreto eterno e gratuito di Dio di dare la grazia
efficace ai soli eletti, lasciando gli altri nella condanna dei peccatori.
Il problema della predestinazione si colloca in questo contesto e ha condizionato tutta la teologia
occidentale, contrapponendo l’opera gratuita di Dio alla libertà dell’uomo. Il contesto del problema
è quello dell’interiorità del singolo, incapace di bene e bisognoso di grazia, dove il bene è inteso in
senso spiritualista e metafisico. Il risultato della grazia è una vita nuova, spirituale, che si esprime in
un cammino di ascesi e di spiritualità contemplativa in cui è necessario confrontarsi con le
istituzioni cristiane, sacramenti dell’azione dello Spirito e corrispondenti all’armonia del disegno
divino presente nel creato, nella Chiesa, societas perfecta, e nelle virtù cristiane.
4. L’epoca moderna
Questa impostazione ha attraversato il Medio Evo ed è giunta all’epoca moderna, dove
assistiamo a un’altra importante svolta. Le grandi scoperte geografiche posero in modo forte la
questione della volontà salvifica universale di Dio in relazione all’affermata e ribadita necessità del
battesimo per la salvezza. L’attenzione al mondo interiore, sottolineata dalla devotio moderna, e la
crisi della metafisica scolastica (nominalismo) portarono al recupero di un agostinismo pessimista e
misticheggiante che si espresse nella crisi della Riforma protestante, che ha accentuato la
separazione tra fede e ragione, tra natura e soprannatura, con l’esito di una cultura ormai sempre più
orientata a vedere la fede come qualcosa di privato e di inconciliabile con la libertà degli uomini.
La fede e le opere tendono a distanziarsi: la prima è legata all’interiorità ineffabile e nominalista,
mentre le seconde si rivolgono sempre più all’efficacia umanista e scientifica.
Furono proprio le guerre di religione che insanguinarono l’Europa di quel periodo a fare
maturare l’idea di una umanità giusta senza fede e quindi sempre più secolare. Paradossalmente
inizia una visione che non solo ritiene assurdo pensare che senza la grazia l’uomo non può
conoscere né fare il bene, ma che pensa che la causa di ogni barbarie e di ogni intolleranza sia
proprio la religione.
Parallelamente a questi esiti si sviluppò sempre di più il pensiero scientifico e tecnico che
introdusse un nuovo tipo di sapere e di verità. Questo nuovo atteggiamento, insieme all’umanesimo,
è indicato nella cosiddetta rivoluzione copernicana, che ha posto al centro l’uomo maggiorenne in
un contesto evolutivo del mondo, per cui la salvezza non è più vista come la restaurazione di un
modello aureo del passato, ma come l’ideale da costruire nel futuro con l’applicazione della ragione
e dell’ingegno umani. La nuova visione dell’universo conduce facilmente a ritenere favole mitiche
le rappresentazioni delle origini presentate dalla Bibbia. A maggior ragione il cristianesimo per
affermare che la salvezza consiste nella fede in Cristo, finisce per sottolineare la radicalità del
peccato (De servo arbitrio) e l’estrinsecità del soprannaturale.
Sullo sfondo, però, emerge con forza una questione che poi diverrà centrale ed essenziale
nell’evoluzione del pensiero moderno. Mi riferisco alla questione del soggetto e quindi della libertà
dell’uomo maggiorenne e della coscienza. Inizia anche in questo campo il lavoro d’introspezione
che porta a fugare gli spettri del mito e a indicare nell’inconscio le cause di tanti problemi
religiosamente attribuiti a demoni e a Dio…
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La salvezza diviene sempre più una questione di terapia e di sapere, più che di fede in Dio che
salva. L’uomo moderno ipotizza un mondo in cui la salvezza è opera dell’uomo, della società e
della storia e si prospetta un futuro in cui la religione sembra essere un retaggio del passato
custodito da singole persone che non riescono a fare a meno di storielle consolanti.
La nuova escatologia secolare diviene sempre più questione del soggetto, del singolo e concreto
individuo e delle capacità di costruzione del futuro affidate a lui e alla società. La fede cristiana
rimane estrinseca al processo con cui l’uomo prende coscienza delle sue possibilità e si rifugia o nel
fideismo o nell’estrinsecismo della fede.
5. Le dimensioni antropologiche implicate nel Battesimo
Il compito della teologia è quello di cercare le ragioni della fede, ossia di riportare le
affermazioni e le prassi della vita credente alla coerenza interna agli eventi rivelatori e alle ragioni
per cui la libertà si esercita nella fede in modo convincente. Credere che Gesù è il Signore significa
riconoscere che nella vita di Gesù trovano risposta convincente le grandi domande della ricerca di
senso che caratterizza l’uomo, ma insieme significa confessare che il motivo ultimo per cui si crede
è che Dio vuole così. Non è la ragione a fondare la rivelazione, ma la rivelazione non sarebbe tale
se non avesse ragioni. Di più, bisogna dire che la rivelazione non avviene senza la libertà degli
uomini e quindi ne assume le caratteristiche e perciò anche che la scelta di fede sia coerente e
convincente in ordine all’esercizio della libertà.
E’ proprio il battesimo dei bambini a individuare alcune categorie che mi limito a citare, senza le
quali non è possibile comprendere il vero significato umano della salvezza cristiana.
1. Il battesimo dei bambini è testimonianza escatologica di una salvezza che unisce tutti gli
uomini in un destino che altri non è che Gesù Cristo;
2. il battesimo dei bambini è testimonianza che la salvezza è invocazione e lode, benedizione e
promessa, prima che essere impegno e responsabilità;
3. il battesimo dei bambini è testimonianza che la vita non può prescindere da un prendersi
cura che risponde a un senso che è già dato e che appella;
4. il battesimo dei bambini riconosce che i criteri e le possibilità del giudizio di libertà non può
che avvenire in una comunità che, a sua volta, si costruisce sulla ricerca della verità e
sull’affermazione della gratuità;
5. il battesimo dei bambini è testimonianza che la libertà non è arbitrio, ma responsabilità
storica offerta in una economia di grazia;
6. il battesimo dei bambini è testimonianza di una storia segnata dal peccato che chiede
redenzione e conversione in cui ciascuno è iscritto.
La libertà umana non parte mai da zero e per questo motivo l’atto di fede non è e non può essere
intimistico, ma si traduce in un comportamento storico ecclesiale, che trova compimento nella
liturgia, in cui la salvezza avviene come presenza nel simbolo che fa accadere la fede come
memoria. L’inizio della fede allora dovrà essere liturgico ed ecclesiale proprio perché possa essere
un atto libero di fronte alla memoria Jesu.
La nostra riflessione vuole soffermarsi proprio sulla figura di uomo che si nasconde dietro alle
questioni della salvezza, quella figura di uomo costituita dal fatto che nel Battesimo è in gioco la
questione del senso del conoscere e dell’agire dell’uomo. Tale questione, però, perviene alla
coscienza di ciascuno attraverso le mediazioni culturali in cui si manifesta il sapere e lo sperare di
ogni tempo. Sulle mediazioni culturali si costruiscono le certezze e le convinzioni che costituiscono
lo scheletro della questione del senso che ognuno di noi porta con sé. Ripercorrere l’evoluzione del
pensiero cristiano nella storia ci ha permesso di verificare i cambiamenti di percezione della
salvezza dietro alle dottrine e alle prassi ecclesiali, alla ricerca del nucleo irreformabile.
Esso riguarda le condizioni di fondo della libertà. E’ proprio la necessità di introdurre la
dimensione della spiritualità nel mondo dell’emotività e degli affetti a porre la questione della
libertà come questione di totalità e perciò come questione di valore a cui la libertà è chiamata. E’
questa indicibile dimensione di totalità che accompagna ogni espressione della libertà umana a
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indicare nella religione il modo più adeguato per dire l’autenticità della libertà umana. E tuttavia
questa totalità non può che accadere nelle scelte della libertà e perciò nella storia, che l’uomo stesso
pone.
Il pensiero moderno ha posto in prima evidenza la questione della storicità della libertà e perciò
anche della verità, introducendo una dimensione di creatività e d’imprevedibilità nella questione
della salvezza. Non basta la semplice razionalità a individuare la verità, ma occorre una storia che
sappia dire le sue ragioni e che mostri una intrascendibile trascendenza.
La teologia ha indicato nella visione della rivelazione assunta dalla Costituzione Dei Verbum il
modo in cui esprimere la concezione della salvezza dell’uomo attorno all’evento di Gesù Cristo.
L’autodonarsi di Dio in Cristo nella storia si gioca nella dialettica tra Figlio e Spirito, tra fedeltà e
creatività, tra memoria e futuro, tra norma e libertà proprio secondo le caratteristiche che la libertà
umana ha tracciato.
Queste caratteristiche mostrano il dramma della colpa, i cui contorni sono corrispettivi
all’ampiezza del dono di grazia da cui scaturisce lo stupore davanti al creato guardato con occhi
puri e capaci di contemplazione e da cui proviene la vera ragione dell’impegno dell’uomo nel
mondo come servizio di custodia e di coltivazione in un atto di obbedienza senza violenza e senza
vergogna. Al centro sta proprio un atto di fede e di obbedienza filiale per cui le ragioni
dell’impegno e della felicità rinviano a un disegno che da sempre è stato scritto da Dio e che
coincide con il nome di Gesù e con il suo atteggiamento filiale di libertà realizzata nell’atto
supremo dell’obbedienza al Padre. Questo disegno di grazia assume in Gesù i tratti della
misericordia per cui da sempre Dio si pone come l’ultima e la più profonda ragione di speranza per
l’uomo.
L’iniziazione cristiana deve proprio condurre nel concreto delle dimensioni della vita e della
storia, con le deturpazioni del peccato e le fatiche della penitenza, a vivere il rapporto con il Padre
come partecipazione alla fides Jesu intesa sia come memoria di lui, sia come dinamismo dello
stesso Spirito. E qui si colloca la riflessione sul profilo concreto della libertà umana, oggi ormai
smaliziata di fronte alle visioni magiche, ideologiche e fatalistiche del passato. La secolarizzazione,
la psicanalisi, la scienza hanno aperto alla libertà dell’uomo il futuro, ma non hanno fugato le
ambiguità del suo desiderio e il destino di morte e di menzogna che esso porta con sé se affidato
alle sole forze umane. Il disincanto postmoderno ripropone con forza la questione della salvezza
come dramma tragico di una libertà ambigua, stanca e rassegnata.
Il compito dell’iniziazione cristiana oggi assume proprio le caratteristiche di una rigenerazione
della libertà nella ricerca di Dio come capace di dare il vero senso all’uomo, non tanto nel silenzio
dell’interiorità solipsistica, quanto nell’impegno che scaturisce da una riscoperta comune, quella
dell’essere figli con Gesù e in Gesù. Ciò diviene appunto la Chiesa, comunità di obbedienza e
libertà, comunità di impegno e di riposo nella lode.
La figura del pedobattesimo è quella che mostra il carattere di salvezza offerta ed efficace che
chiede di essere assunta e vissuta secondo le condizioni che la storia richiede e che la libertà di
ciascuno deve imparare a riconoscere e a costruire.
La fatica della ricerca pastorale, perciò, non deve andare nel merito teorico se dare o non il
battesimo ai bambini perché non capiscono o non sono liberi, perché il problema della libertà non
coincide con la consapevolezza esplicita della capacità di libero arbitrio personale, ma deve andare
alla ricerca delle condizioni che permettono all’uomo di oggi di giungere alla fede nell’evento che
salva e che resta storicamente donato anche se l’uomo non lo desidera. Il vero problema pastorale di
oggi è portare l’uomo a comprendere il nichilismo che soggiace al suo desiderio di libertà.
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