POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Fisica Stabilizzazione del ritardo di un interferometro per misure in coincidenza di elettroni e ioni in esperimenti pump-probe ad attosecondi Relatore: Prof. Giuseppe Sansone Tesi di laurea di: Antonio Di Maggio matr. 771228 Anno Accademico 2013/2014 II Abstract In questo lavoro di tesi è stato progettato e realizzato un sistema di stabilizzazione del ritardo di un interferometro per esperimenti pump-probe ad attosecondi. La stabilizzazione è basata su un sistema di controllo in anello chiuso in cui lo sfasamento tra i due rami dell’interferometro viene misurato e controllato attraverso uno stage di traslazione piezoelettrico che varia la lunghezza di uno dei due rami dell’interferometro. Lo sfasamento viene misurato facendo copropagare un fascio laser He:Ne nell’interferometro, questo fascio viene successivamente estratto e lo sfasamento viene stimato dall’analisi software delle frange di interferenza prodotte. L’analisi delle frange di interferenza e la movimentazione del piezoelettrico vengono gestiti da un apposito programma sviluppato in ambiente labview. Con questo sistema di controllo è stato possibile controllare il ritardo dell’interferometro entro un valore quadratico medio di circa 40 attosecondi per lunghi tempi di esercizio dimostrando la possibilità di effettuare misure in coincidenza di elettroni e ioni. III IV Indice Introduzione 1 1 Generazione di impulsi ad attosecondi 1.1 Modello semi-classico della generazione di armoniche di ordine elevato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Step 1: Ionizzazione per effetto tunnel . . . . . . . . . 1.1.2 Step 2: Propagazione nel continuo . . . . . . . . . . . 1.1.3 Step 3: ricombinazione ed emissione XUV . . . . . . . 1.2 Generazione di impulsi isolati ad attosecondi . . . . . . . . . 1.2.1 Tecnologie laser per la generazione di impulsi isolati . 1.2.2 Tecniche di generazione di impulsi ad attosecondi . . . 5 5 6 8 9 12 12 14 2 Esperimenti con impulsi ad attosecondi 17 2.1 Caratterizzazione di un treno di impulsi ad attosecondi . . . . 18 2.2 Attosecond streaking spectroscopy . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.3 Misure risolte in angolo ed in coincidenza . . . . . . . . . . . 23 2.4 Utilizzo del reaction microscope in esperimenti ad attosecondi: stabilizzazione dell’interferometro . . . . . . . . . . . . . . . . 25 3 Caratterizzazione completa di urti a molti corpi: il microscope 3.1 Cinematica di un processo di frammentazione . . . . 3.2 La rivelazione delle particelle cariche . . . . . . . . . 3.3 La ricostruzione del momento degli ioni . . . . . . . 3.4 La ricostruzione del momento degli elettroni . . . . . 4 Apparato sperimentale 4.1 Sorgente Laser . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Apparato di generazione e ricombinazione 4.3 Reaction Microscope . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Organizzazione delle camere . . . . 4.3.2 Apparato di rivelazione di elettroni 4.3.3 Acquisizione del segnale elettronico 4.3.4 Software di acquisizione ed analisi V . . . . e . . . . . . . . . . . . . . ioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . reaction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 28 30 33 35 . . . . . . . 39 39 42 45 45 46 47 48 INDICE 5 Risultati sperimentali 5.1 Misure di sidebands nell’argon . . . . . . . . 5.1.1 Condizioni di misura . . . . . . . . . . 5.1.2 Misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Stabilizzazione dell’ interferometro . . . . . . 5.2.1 Sistema di stabilizzazione preparatorio 5.2.1.1 Apparato sperimentale . . . . . 5.2.1.2 Programma di stabilizzazione . 5.2.1.3 Misure . . . . . . . . . . . . . . 5.2.2 Sistema di stabilizzazione integrato . . 5.2.2.1 Apparato sperimentale . . . . . 5.2.2.2 Misure . . . . . . . . . . . . . . 5.2.3 Estrazione del fascio He:Ne e filtraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . del . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . fascio IR . . . . . . . . . . . . 51 51 52 53 58 59 59 61 65 68 68 72 73 Conclusioni e prospettive future 81 Ringraziamenti 85 Bibliografia 87 VI Introduzione La scala temporale della dinamica in un sistema microscopico è strettamente legata alle leggi della meccanica quantistica che descrivono tali sistemi. Consideriamo ad esempio un sistema ad un elettrone che viene parzialmente eccitato dallo stato fondamentale |0i di energia E0 al primo stato eccitato |1i di energia E1 . Il sistema evolve secondo l’equazione di Schrödinger Ĥψ = i~ψ̇ dove la funzione d’onda ψ è una combinazione lineare dei due stati |0i D ed |1i. E Il valore di una generica osservabile O può essere calcolata come ψ|Ô|ψ dove Ô è l’operatore associato all’osservabile. Nel caso considerato risulta che l’osservabile ha un andamento oscillante con periodo di oscillazione Tosc = h ∆E con ∆E = E2 − E1 . Dunque tanto maggiore è la spaziatura tra i livelli energetici tanto più veloce sarà la dinamica del processo considerato. La spaziatura tra i livelli vibrazionali delle molecole è dell’ordine dei meV a cui corrisponde una scala temporale che va dalle centinaia alle decine di femtosecondi (1fs=10−15 s); questa è dunque la scala temporale in cui avvengono i riarrangiamenti strutturali nelle reazioni chimiche. Invece la spaziatura tra i livelli elettronici nella materia (atomi, molecole e solidi) va da 1 eV a 1 keV a cui corrispondono scale temporali da alcune decine di femtosecondi a meno di un attosecondo (1as=10−18 s). Per osservare una dinamica microscopica bisogna essere in grado di avviare e poi sondare tale dinamica su di una scala temporale inferiore a quella della dinamica stessa. Negli ultimi decenni le evoluzioni tecnologiche dell’ottica ultraveloce hanno permesso di generare impulsi laser nello spettro del vicino infrarosso (near infrared, NIR) della durata di pochi fs. L’utilizzo di questi impulsi ha permesso lo studio dei cambiamenti strutturali delle molecole nelle reazioni chimiche con risoluzione temporale dei femtosecondi dando origine, alla fine degli anni ’80 alla branca della chimica fisica denominata “femtochimica”. 1 INTRODUZIONE La caratterizzazione di processi con dinamiche ultraveloci mediante impulsi laser avviene effettuando esperimenti di tipo pump-probe. In questi l’impulso di pompa innesca la dinamica ultraveloce che viene sondata dall’impulso di sonda. Lo studio della dinamica avviene registrando il valore di una variabile di interesse al variare del ritardo tra i due impulsi. Il limite ultimo di risoluzione temporale nella femtochimica è dato dalla durata degli impulsi laser utilizzati che non può essere più breve della durata di un singolo ciclo di oscillazione del campo elettrico laser che, nel caso delle sorgente di impulsi laser tipicamente utilizzate1 , è pari a circa 2.5 fs. Molte dinamiche elettroniche nella materia avvengono in un tempo inferiore al periodo di oscillazione della radiazione NIR, sulla scala degli as. La generazione di impulsi di luce di durate inferiori al femtosecondo è stata ottenuta da circa 15 anni mediante tecniche basate sul processo di generazione di armoniche di ordine elevato (High-order Harmonic Generation, HHG). Nella HHG un impulso laser NIR focalizzato in un gas nobile genera armoniche dispari della radiazione laser che si estendono fino all’estremo ultravioletto (10 ev-100 ev, in inglese extreme ultra-violet, XUV). La generazione di impulsi isolati ad attosecondi ha aperto la strada allo studio delle dinamiche elettroniche sulla scala degli as dando origine alla “spettroscopia ad attosecondi”. Negli esperimenti pump-probe ad attosecondi l’energia dei fotoni XUV è molto elevata (in genere superiore ai 30 eV) e comporta inevitabilmente la ionizzazione del campione2 , per questo motivo ciò che viene rivelato sono i frammenti carichi prodotti (elettroni e ioni) utilizzando uno spettrometro di particelle cariche. In diversi esperimenti è di grande interesse la misura di elettroni e ioni in coincidenza in cui viene caratterizzata completamente la cinematica dei frammenti carichi prodotti ovvero viene ricostruito il momento dei frammenti carichi emessi nella reazione successiva alla foto-ionizzazione. Per effettuare misure in coincidenza bisogna munirsi di un Reaction Microscope, uno spettrometro in cui sono presenti due rivelatori di particelle sensibili alla posizione, uno per gli elettroni ed uno per gli ioni. Per poter distinguere i prodotti di una molecola da quelli delle altre bisogna 1 laser a titanio-zaffiro operante in regime di mode-locking Si ricorda che l’atomo con energia di ionizzazione IP più elevata è l’elio con IP pari a 24.58 eV 2 2 INTRODUZIONE far si che la probabilità di ionizzazione per ogni impulso sia bassa così da ridurre la probabilità di ionizzazione contemporanea di due o più molecole. Questo vincolo si traduce in lunghi tempi di acquisizione (da ore a giorni). Il ritardo temporale tra l’impulso di sonda e di pompa negli esperimenti ad attosecondi è generalmente introdotto separando e ricombinando i due impulsi in un interferometro. Questa tecnica soffre dell’instabilità della lunghezza dei due rami dell’interferometro dovuta a vibrazioni meccaniche ed effetti termici non eliminabili. La necessità di lunghi tempi di acquisizione e le instabilità di breve e lungo periodo che caratterizzando un tipico setup interferometrico rendono tali misure estremamente complesse. In questo lavoro di tesi viene presentato un sistema di stabilizzazione del ritardo di un interferometro per esperimenti pump-probe ad attosecondi realizzato nei laboratori del dipartimento di fisica del politecnico di Milano. La stabilizzazione dell’interferometro è basata su di un sistema di controllo in anello chiuso in cui lo sfasamento tra i due rami viene misurato e controllato. Con questo sistema di controllo è stato possibile controllare il ritardo dell’interferometro entro un valore quadratico medio circa 40 as per lunghi tempi di esercizio (tipicamente di alcune ore) dimostrando la stabilità necessaria per poter effettuare misure in coincidenza risolte in tempo. La tesi è organizzata come segue: • Il primo capitolo tratta la generazione di impulsi isolati ad attosecondi. Nella prima parte viene presentata la trattazione teorica della HHG utilizzando un semplice modello semi-classico. Nella seconda parte vengono presentate alcune tecniche per la generazione di impulsi isolati agli attosecondi con particolare attenzione alla tecnica polarization gating implementata nell’apparato sperimentale utilizzato. • Nel secondo capitolo vengono descritti alcuni dei principali esperimenti ad attosecondi effettuati nell’ultimo decennio. In particolare viene descritto il primo esperimento di ricostruzione temporale di un treno di impulsi ad attosecondi basato sulla misura delle oscillazioni delle sidebands nell’argon al variare del ritardo tra i due rami dell’interferometro. Successivamente vengono introdotti gli esperimenti in coincidenza di elettroni e ioni, particolare attenzione è posta ai requisiti di stabilità dell’interferometro necessari in tali misure. 3 INTRODUZIONE • Il terzo capitolo descrive in dettaglio il principio di funzionamento di un Reaction Microscope, lo spettrometro di particelle cariche che consente di effettuare misure in coincidenza di elettroni e ioni. • Nel quarto capitolo viene descritto in dettaglio l’apparato sperimentale per gli esperimenti XUV pump-IR probe in cui è stato integrato il sistema di stabilizzazione del ritardo dell’interferometro. • Nel quinto capitolo vengono per prima cosa presentati i risultati sperimentali delle misure delle oscillazioni delle sidebands nell’argon da cui è emersa la necessità di un sistema di stabilizzazione. Successivamente viene descritto in dettaglio il funzionamento del sistema di stabilizzazione sia per quanto riguarda la parte hardware che per quanto riguarda la parte software. Infine vengono riportate le misure di stabilità da cui vengono valutate le prestazioni raggiunte. 4 Capitolo 1 Generazione di impulsi ad attosecondi 1.1 Modello semi-classico della generazione di armoniche di ordine elevato Una spiegazione semplice ed intuitiva della generazione di armoniche di ordine elevato può essere fornita dal modello semi-classico three-step model formulato da P.B Corkum nel 1993[1]. Questo modello si basa sull’approssimazione di singolo elettrone attivo (SAE, single active electron approximation) in cui solo l’elettrone più esterno viene ionizzato dal campo elettrico Laser. Sotto questa approssimazione il processo HHG viene descritto dalla sequenza di tre passaggi (vedi figura 1.1): • step 1: Ionizzazione per effetto tunnel. Quando l’intensità del laser raggiunge valori tra 1013 e 1014 W/cm2 gli elettroni risentono di una forza esercitata dal campo elettrico esterno paragonabile alla forza attrattiva sentita da un elettrone esterno di un atomo neutro. In questo regime di intensità il campo elettrico esterno piega il potenziale coulumbiano formando una barriera che può essere superata per effetto tunnel. • step 2: Propagazione nel continuo. Si assume che il campo elettrico esterno sia sufficientemente elevato (SFA, strong field approximation) da poter trascurare la presenza del potenziale atomico. Dunque l’elettrone si propaga nel continuo seguendo le equazioni classiche del moto per 5 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI Figura 1.1: Il modello semi-classico della HHG. a) Ionizzazione dell’elettrone per effetto tunnel a seguito della deformazione del potenziale coulombiano da parte dell’impulso laser. b) e c) Accelerazione dell’elettrone sotto l’azione del campo elettrico laser. d) Ricollisione dell’elettrone con lo ione ed emissione di un fotone XUV in seguito alla ricombinazione fra i due (tratto da [2]) una carica libera in un campo elettrico. Durante il moto l’ elettrone acquisisce una grande energia cinetica. • step 3: Ricombinazione ed emissione XUV. Poiché il verso del campo elettrico esterno si inverte ogni semiciclo ottico è possibile che l’elettrone ricollida con lo ione parente. Durante la ricollisione l’elettrone può ricombinare rilasciando l’energia cinetica accumulata nello step 2 sotto forma di un fotone XUV. Benché esistono modelli quantistici [3] che descrivono in maniera più rigorosa il fenomeno, le caratteristiche fondamentali della HHG sono correttamente descritte dal modello semiclassico in cui solo la ionizzazione ha un interpretazione strettamente quantistica 1.1.1 Step 1: Ionizzazione per effetto tunnel Consideriamo un campo laser costituito da un onda monocromatica di pulsazione ω0 ed ampiezza E0 ; e supponiamo che l’energia dei fotoni sia molto minore dell’energia di ionizzazione dell’atomo Ip . La ionizzazione di un elettrone può essere descritta in termini di ionizzazione multifotonica oppure di ionizzazione per effetto tunnel a seconda dei parametri del laser e dell’atomo (vedi figura 1.2). La descrizione più opportuna viene scelta valutando il parametro di Keldish: 6 1.1. MODELLO SEMI-CLASSICO DELLA GENERAZIONE DI ARMONICHE DI ORDINE ELEVATO Figura 1.2: Rappresentazione schematica della (a) ionizzazione multifotonica, (b) ionizzazione tunnel. Tratto da [2]) s γ= dove Up = e2 Eo2 4me ω02 Ip 2Up (1.1) è l’energia ponderomotiva cioè l’energia cinetica acquisita da un elettrone libero immerso nel campo laser mediata su di un ciclo ottico. Se γ 1 prevale la ionizzazione multifotonica: l’energia ponderomotiva è molto minore del potenziale di ionizzazione ed è richiesto l’assorbimento simultaneo di n fotoni per promuovere l’elettrone in uno stato continuo in modo da avere n~ω0 > Ip . Se l’elettrone assorbe più fotoni di quelli necessari alla ionizzazione multifotonica l’eccesso di fotoni determina un aumento dell’energia cinetica dell’elettrone fotoemesso e si parla di ionizzazione sopra soglia (ATI, above threshold ionization). Se γ 1 il fenomeno di ionizzazione è descritto più correttamente da un processo di emissione per effetto tunnel. Nel modello semi-classico si considera quest’ultimo regime e si stima il rate di transizione utilizzando la descrizione della ionizzazione per effetto tunnel in presenza di un campo elettrico statico (teoria ADK [4]) adattandola ad una campo elettrico variabile. Il tasso di ionizzazione è dato dalla seguente 7 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI equazione: 2 W (E(t)) = ωs |Cn∗ l∗ | Glm 4ωs ωt 2n∗ −m−1 4ωs exp − 3ωt (1.2) dove: Glm = (2l + 1)(l + |m|)! |m|!(l − |m|)!2−m Ip ωs = ~ q n∗ = (Iph Ip ) eE(t) ωt = p 2me Ip ∗ 22n |Cn∗ l∗ | = ∗ n Γ(n∗ + l∗ + 1)Γ(n∗ − l∗ ) 2 In queste Ip è il potenziale di ionizzazione dell’atomo, Iph è il potenziale di ionizzazione dell’atomo di idrogeno, l e m sono i numeri quantici azimutale e magnetico, Γ è la funzione di Eulero ed E(t) è l’ampiezza del campo elettrico esterno. Il numero quantico effettivo l∗ risulta essere: ( l∗ = l∗ se l n n∗ − 1 altrimenti La probabilità di ionizzazione, P (t), durante un intervallo di tempo [t, t + dt] è dunque: dP (t) = W (E(t)) dt. Questo modello descrive l’emissione di una sequenza di pacchetti d’onda nel continuo ad ogni picco del campo elettrico , si ha dunque emissione ad ogni semiciclo ottico. Questo comportamento è facilmente spiegabile osservando la dipendenza esponenziale del rate di ionizzazione dal campo elettrico nell’equazione 1.2. 1.1.2 Step 2: Propagazione nel continuo Dopo la ionizzazione, l’elettrone è libero di muoversi sotto l’effetto del campo ~ elettrico del laser E(t) = E0 cos (ωt)ûx + αE0 sin (ωt)ûy . Risolvendo l’ equazione di Newton si calcolano le traiettorie descritte dall’e8 1.1. MODELLO SEMI-CLASSICO DELLA GENERAZIONE DI ARMONICHE DI ORDINE ELEVATO lettrone: x = x0 [− cos (ωt)] + v0x t + x0x (1.3) y = αx0 [− sin (ωt)] + αv0y t + y0y (1.4) vx = v0 sin (ωt) + v0x (1.5) vy = −αv0 cos (ωt) + v0 y (1.6) dove α = 0 per la luce polarizzata linearmente ed α = ±1 per luce con polarizzazione circolare; x0x , y0y , v0x , v0y corrispondo alle condizioni iniziali per posizione e velocità; x0 = eE0 /me ω ed v0 = eE0 /me ω 2 . Nella trattazione di Corkum si ipotizzano posizione e velocità iniziali nulle nel caso di ionizzazione per effetto tunnel. Considerando le due equazioni per la posizione si vede che per polarizzazione circolare l’ elettrone non torna nella posizione iniziale e dunque non ricombina. Per luce polarizzata linearmente invece dalle equazioni 1.2, 1.3 e 1.4 si dimostra che la ricollisione è possibile solo per un piccolo range di istanti ti tempo di emissione a cui corrisponde una finestra temporale di ricollisione di alcune centinaia di attosecondi. Dalle equazioni 1.2, 1.5 e 1.6 è possibile ricavare P (EK ), la probabilità per ciclo ottico per unità di energia che un elettrone di energia cinetica EK torni sullo ione genitore; la probabilità è massima per il valore di energia cinetica massima che risulta essere pari a 3.17 volte l’energia ponderomotiva (vedi figura 1.3). 1.1.3 Step 3: ricombinazione ed emissione XUV Quando l’elettrone torna sullo ione si ha un interazione tra i due che può dar luogo a tre diversi fenomeni: • si può avere scattering elastico in cui l’elettrone viene semplicemente deviato senza modificare la sua energia cinetica; • per energie cinetiche superiori all’energia di seconda ionizzazione si può avere scattering anelastico con una seconda ionizzazione; • infine l’elettrone può ricombinare con lo ione e tornando allo stato fondamentale emettere un fotone di energia pari ad ~ω = Ip + EK . Il modello semiclassico appena descritto permette di caratterizzare correttamente lo spettro di emissione del processo di HHG. 9 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI Figura 1.3: Distribuzione dell’energia degli elettroni al momento in cui incontrano lo ione da cui sono stati emessi. Per il calcolo sono stati usati i parametri dell’elio in presenza di un campo con intensità di 5 × 1014 W/cm2 e lunghezza d’onda di 800 nm (tratto da [1]). Si osservi innanzitutto che l’energia massima dei fotoni emessi corrisponde alla massima frequenza dello spettro di emissione a cui corrisponde la cosiddetta frequenza di cut-off: ωcut−of f = Ip + 3.17Up ~ Inoltre ipotizzando che lo stato fondamentale degli elettroni non sia eccessivamente svuotato il fenomeno di emissione si ripete ogni semiciclo ottico e dura una piccola frazione di quest’ultimo. E’ possibile sviluppare un semplice modello matematico [5] basato sull’ipotesi che ad ogni ricollisione vi sia un emissione radiativa dovuta a bremsstrahlung con spettro continuo di ampia banda. L’accelerazione di un elettrone durante N cicli ottici viene descritta dall’equazione: a(t) = 2N X al (t) l=1 dove 2N è il numero di ricollisioni e l’accelerazione ad ogni ricollisione è identica a meno di un fattore di fase: ( aB (t) eilπ , tl−1 < t < tl al (t) = 0 , altrove 10 1.1. MODELLO SEMI-CLASSICO DELLA GENERAZIONE DI ARMONICHE DI ORDINE ELEVATO questo poiché il campo elettrico si inverte ogni semiciclo. Lo spettro di emissione S(ω) risulta proporzionale al modulo quadro della trasformata di fourier dell’accelerazione (vedi figura 1.4): Figura 1.4: Corrispondenza tra un treno di impulsi XUV nel dominio del tempo (a) e delle frequenze (b). 2 S(ω) ∝ |ã(ω)| dove: ã(ω) = Z tf a(t) eiωt dt ti Si ottiene che lo spettro di emissione ha dei massimi in corrispondenza delle armoniche dispari del laser incidente e che le armoniche pari tendono a zero per N grande: S((2n + 1)ω0 ) ∝ N 2 |ãB (ω)|2 S(2nω0 ) ∝ N |ãB (ω)|2 Dunque all’aumentare del numero N di ricollisioni lo spettro diviene discreto e composto da armoniche dispari sempre più strette. Riscontriamo tutte queste caratteristiche negli spettri misurati sperimentalmente come quelli mostrati in figura 1.5. 11 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI Figura 1.5: Spettri di armoniche generate in neon alla pressione di 250Torr da impulsi di durata di 7 fs e 30 fs centrati attorno a λ0 = 800 nm. L’intensità di picco per entrambi gli impulsi vale 3 × 1014 W/cm2 : Si nota chiaramente come, al diminuire del numero di cicli ottici, i picchi di emissione si allargano (tratto da [6]). 1.2 Generazione di impulsi isolati ad attosecondi Nel paragrafo precedente abbiamo visto che durante il processo di generazione di armoniche di HHG guidato da un laser monocromatico si ha un emissione di un impulso di durata di alcune centinaia di attosecondi ogni mezzo ciclo ottico; si ha dunque un treno di impulsi ad attosecondi. Per ottenere un singolo impulso ad attosecondi è necessario confinare il processo di generazione di armoniche ad un semiciclo ottico. Per ottenere questo risultato è necessario: • utilizzare impulsi laser contenenti pochi cicli ottici; • stabilizzare la fase assoluta dell’impulso laser. 1.2.1 Tecnologie laser per la generazione di impulsi isolati La produzione di impulsi ultrabrevi ad alta energia avviene tipicamente utilizzando un oscillatore laser a titanio-zaffiro in regime di mode-locking amplificato mediante la tecnica ”chirped pulse amplification” (CPA) così da ottenere impulsi della durata di qualche decina di fs centrati alla lunghezza d’onda di 800 nm e con energia di circa un mJ. Una tecnica per comprimere ulteriormente impulsi di tale potenza è la compressione in fibra cava [7]. 12 1.2. GENERAZIONE DI IMPULSI ISOLATI AD ATTOSECONDI Essa è basata sull’allargamento spettrale dell’impulso nella propagazione in una fibra cava riempita con un gas nobile ad un’ opportuna pressione a cui segue una compensazione della dispersione accumulata mediante chirped mirrors; si ottengono impulsi della durata di circa 5 fs. Nel caso di tali durate gli impulsi contengono solo pochi cicli ottici e l’ andamento temporale del campo elettrico dipende fortemente dal valore della fase assoluta ϕCEP . Il campo elettrico di un impulso laser può essere descritto come: E(t) = a(t) cos (ω0 t + ϕCEP ) dove a(t) è una funzione lentamente variabile del tempo che rappresenta l’inviluppo dell’impulso centrato in t = 0, ω0 è la frequenza della portante del laser e ϕCEP è la fase tra il picco dell’inviluppo e la portante (in inglese CEP, carrier-envelope phase). Se consideriamo due impulsi gaussiani della durata di 5 fs come in figura 1.6 si calcola che nel caso in cui ϕCEP = 0 il rapporto tra il picco massimo del Figura 1.6: Definizione della fase assoluta di un impulso. La portante è mostrata con linea piena mentre l’ inviluppo con linea tratteggiata. (a) ϕCEP = 0, (b) ϕCEP = − π2 (tratto da [8]). campo elettrico ed il primo picco adiacente vale 1 : 0, 92 mentre nel caso in cui ϕCEP = − π2 lo stesso rapporto vale 1. Questa differenza spiega l’ origine degli effetti di fase in fenomeni fortemente dipendenti dal campo elettrico come la HHG. Gli oscillatori laser in mode-locking producono un treno di impulsi in cui la ϕCEP varia tra 2 impulsi consecutivi di un contributo di fase costante dovuto alla dispersione nel mezzo attivo (differenza tra velocità di fase e di 13 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI gruppo). Questo sfasamento tra impulsi consecutivi può essere controllato usando il cosiddetto interferometro non lineare f − 2f [9]. Il processo di amplificazione aggiunge una variazione lenta della CEP che può essere stabilizzato con un secondo interferometro f − 2f [10]. E’ così possibile raggiungere un controllo sulla fase assoluta con fluttuazioni residue inferiori ai 100 mrad a cui corrisponde per un laser ad 800 nm un controllo temporale entro i 40 as. 1.2.2 Tecniche di generazione di impulsi ad attosecondi Attualmente è molto difficile comprimere l’ impulso guida oltre i 4 ÷ 5 fs a cui corrispondono circa quattro semicicli ottici; per confinare l’emissione di radiazione ad un solo semiciclo ottico si utilizzano diverse tecnologie basate su due approci diversi: • spectral filtering; • temporal gating. Lo spectral filtering è basato sul filtraggio delle basse frequenze dello spettro XUV emesso nel processo di HHG guidata da un impulso laser ultrabreve (< 5fs) e stabilizzato in fase. La porzione di spettro ad energia più elevata (quella vicino al cut-off) può essere infatti emessa solo nelle vicinanze del semiciclo centrale dell’impulso laser. Questa tecnica è stata la prima a generare impulsi ad attosecondi isolati ed ha permesso di generare impulsi di luce di durata inferiore ai 100 as. Nonostante questo importante risultato è una tecnica non priva di svantaggi infatti lo spettro XUV utilizzabile non è ampio e si restringe all’allungarsi dell’impulso laser guidante, inoltre il filtraggio a basse frequenze comporta una diminuzione del flusso fotonico. Il temporal gating sfrutta la dipendenza del processo di HHG dalle caratteristiche dell’impulso guidante in modo da generare efficientemente radiazione XUV solo all’interno di una finestra temporale pari ad un semiciclo ottico; in questo caso l’impulso contiene tutto lo spettro di emissione. Nella sezione seguente verrà spiegata una delle tecniche basate sul temporal gating nota come polarization gating. E’ la tecnica implementata nell’apparato sperimentale su cui ho lavorato. 14 1.2. GENERAZIONE DI IMPULSI ISOLATI AD ATTOSECONDI Polarization Gating In questa tecnica la finestra temporale di generazione è ottenuta manipolando l’ellitticità del campo elettrico laser guidante. L’efficienza di conversione nel processo di HHG infatti decresce all’aumentare dell’ellitticità del laser. La ragione fisica di questo comportamento può facilmente essere spiegata considerando il three-step model [1]: dopo la ionizzazione tunnel l’elettrone descrive una traiettoria sotto l’accelerazione,che nel caso di polarizzazione circolare, non passa per lo ione genitore e dunque non vi può essere ricombinazione e conseguente emissione di armoniche. Sulla base di questi argomenti Corkum et. al. [11] nel 1995 proposero un metodo basato sull’utilizzo di un impulso guidante con una piccola finestra temporale di polarizzazione lineare (da cui il nome polarization gating, PG) che per durante sufficientemente brevi permette di generare impulsi ad attosecondi isolati. Un implementazione particolarmente semplice ed efficace è mostrata in 1.7. Essa si basa sull’utilizzo di due lamine birifrangenti: la prima lamina divide Figura 1.7: Schema di polarization gating collineare (tratto da [12]). il campo incidente in due impulsi polarizzati ortogonalmente lungo gli assi ordinario e straordinario del cristallo ed introduce un ritardo δ tra i due impulsi proporzionale allo spessore della lamina; l’asse ottico è inclinato di α = 45◦ rispetto alla polarizzazione del campo incidente. L’impulso in uscita è polarizzato linearmente lungo le code e circolarmente 15 CAPITOLO 1. GENERAZIONE DI IMPULSI AD ATTOSECONDI nella parte centrale in cui la sovrapposizione avviene tra due componenti di pari ampiezza. Questo impulso passa poi per una lamina λ/4 inclinata ad un angolo variabile β rispetto alla direzione di polarizzazione iniziale dell’impulso incidente. L’impulso in uscita presenta dunque una finestra temporale di polarizzazione lineare di durata molto breve τg che può essere stimato [13] attraverso la seguente equazione: τg = tr τ 2 , δ cos (2β) ln 2 dove tr è il valore dell’ellitticità del laser guida per cui l’efficienza di generazione XUV diminuisce di un fattore due e τ è la durata dell’impulso laser IR. Per β = 0◦ la seconda lamina trasforma la polarizzazione dell’impulso incidente da circolare a lineare e viceversa e può essere ottenuta la finestra temporale più breve. Per β = 45◦ invece l’impulso in uscita è sempre polarizzato linearmente e la generazione di armoniche avviene durante tutto l’impulso. Risulta dunque possibile variare la durata del treno di impulso ad attosecondi con continuità semplicemente variando l’angolo di inclinazione β. Con questo setup sperimentale, e l’utilizzo di impulsi laser a pochi cicli stabilizzati in fase è stato possibile generare impulsi della durata di 130 as [14]. 16 Capitolo 2 Esperimenti con impulsi ad attosecondi La caratterizzazione di processi con dinamiche ultraveloci mediante impulsi laser avviene tradizionalmente effettuando esperimenti di tipo pump-probe. In questi ultimi l’impulso di pump innesca la dinamica ultraveloce che viene sondata dall’impulso di probe. Lo studio della dinamica avviene registrando il valore di una variabile di interesse al variare del ritardo tra i due impulsi. Gli esperimenti di pump-probe ad attosecondi presentano caratteristiche molto diversi da quelli a femtosecondi in cui l’impulso di probe registra variazioni delle proprietà ottiche del campione, tipicamente il coefficiente di assorbimento o di riflessione. Negli esperimenti con impulsi ad attosecondi l’energia dei fotoni è molto più elevata (da decine a centinaia di eV) e l’eccitazione del campione porta ad una fotoemissione di elettroni ed ad una conseguente riorganizzazione del sistema elettronico in diversi modi: decadimento Auger, eccitazioni di stati vibrazionali attraverso processi shake-up, migrazione di carica in grandi molecole, etc.. Per questo negli esperimenti ad attosecondi solitamente ciò che viene registrato è lo spettro energetico degli elettroni emessi o la loro distribuzione dei momenti al variare del ritardo tra i due impulsi. L’ ovvia estensione dell’approcio tradizionale ad esperimenti pump-probe al regime degli attosecondi consiste nell’utilizzo di impulsi ad attosecondi sia per l’impulso di pump che per quello di probe. Tuttavia questi esperimenti non sono ancora praticabili poiché l’intensità degli impulsi prodotti è troppo debole e la probabilità di assorbire fotoni da entrambi gli impulsi è molto 17 CAPITOLO 2. ESPERIMENTI CON IMPULSI AD ATTOSECONDI piccola. Finora sono stati realizzati esperimenti con risoluzione temporale inferiore al femtosecondo utilizzando un impulso laser a femtosecondi nel vicino IR come impulso di probe (o di pump) sincronizzato con un impulso ad attosecondi. I primi esperimenti ad attosecondi sono stati la caratterizzazione di treni di impulsi ad attosecondi nel 2001 [15] e subito dopo la caratterizzazione di impulsi isolati [16] e la loro applicazione allo studio di sistemi atomici [17]; questi argomenti verranno trattati nelle prime due sezioni seguenti. Nella terza sezione vengono introdotti gli esperimenti su piccole molecole che sono stati effettuati negli ultimi anni a partire dal 2010 con l’ utilizzo di tecniche per misure risolte in angolo ed in coincidenza; viene data particolare attenzione ai requisiti richiesti ad un sistema sperimentale per poter effettuare tali misure. 2.1 Caratterizzazione di un treno di impulsi ad attosecondi Il primo esperimento ad attosecondi è stata la caratterizzazione di un treno di impulsi ad attosecondi introducendo la tecnica nota come RABBIT (Reconstruction of Attosecond Beating By Interference of Two-photon Transitions)[15]. Nella HHG l’emissione di radiazione XUV è costituita da armoniche dispari della frequenza della portante del laser ωq = (2q + 1)ωl . Tali armoniche sono agganciate in fase e la loro interferenza dà luogo ad un treno di impulsi ad attosecondi di periodo T0 = π/ωl . Da una semplice misura dello spettro emesso non è possibile misurare la fase relativa di ogni armonica e dunque calcolare il profilo temporale della radiazione emessa; senza una particolare relazione di fase potremmo avere un onda emessa di ampiezza costante ma modulata in frequenza. In una misura RABBIT gli atomi o molecole del campione (argon nel caso del primo esperimento) vengono ionizzati dalla combinazione di un treno di impulsi generati mediante HHG e di un impulso IR che è una replica del laser guida nel processo di generazione. La ionizzazione con un fotone XUV può essere accompagnato dall’assorbimento o dall’emissione stimolata di un fotone IR dando luogo ad un picco nello spettro dei fotoelettroni emessi dal campione. 18 2.1. CARATTERIZZAZIONE DI UN TRENO DI IMPULSI AD ATTOSECONDI Qusti picchi sono situati tra i picchi causati dalla sola radiazione XUV e vengono detti sidebands (vedi 2.1). A basse intensità del campo IR ogni Figura 2.1: (A) Spettro di elettroni fotoemessi dal treno di impulsi. (B) e (C) Spettri degli elettroni fotoemessi dal treno di impulsi sovrapposto all’impulso IR. Variando il ritardo tra i due impulsi cambia l’ampiezza delle sidebands. (D) Possibili transizioni quantistiche che contribuiscono ad una sideband. (tratto da [15]). armonica dispari ha una sola sideband per entrambi i lati e dunque per ogni sideband vi è un contributo da due possibili transizioni a cui corrispondono due armoniche dispari diverse (vedi 2.1(D)). Queste due transizioni possono dar luogo ad interferenza costruttiva o distruttiva al variare del ritardo tra i due impulsi. Da questa differenza di fase è possibile ricavare la differenza di fase tra due armoniche dispari adiacenti. La conoscenza delle intensità dei picchi e delle differenze di fase tra picchi adiacenti permette di ricostruire la forma temporale del treno di impulsi. Nel primo esperimento di RABBIT, utilizzando cinque armoniche dispari, si è ricavato un treno di impulsi di periodo T0 = 1, 35 fs in cui ogni impulso dura 250 as (vedi 2.2). 19 CAPITOLO 2. ESPERIMENTI CON IMPULSI AD ATTOSECONDI Figura 2.2: Profilo di intensità temporale di un treno di impulsi XUV fatto della somma di cinque armoniche ricostruito da ampiezze e fasi misurate. La funzione coseno tratteggiata mostra l’andamento del impulso di probe IR. (tratto da [15]). 2.2 Attosecond streaking spectroscopy Nello stesso anno della prima caratterizzazione di un treno di impulsi vi è stata la prima misura sperimentale di impulsi isolati ad attosecondi con la tecnica dello streaking [16]. In un esperimento di streaking un impulso isolato XUV ionizza gli atomi del campione in presenza di un impulso IR molto intenso che viene detto impulso di streaking. Gli elettroni fotoemessi dall’impulso XUV vengono accelerati dal campo di streaking e dunque il loro spettro energetico subisce una deformazione ed uno shift che dipendono dal valore del campo elettrico dell’impulso di streaking al momento dell’emissione. Nella prima misura di un impulso isolato ad attosecondi si sono misurati gli spettri energetici degli elettroni primari fotoemessi dallo stato 4p del kripton (vedi fig.2.3); in questo caso l’atomo emette istantaneamente i fotoelettroni dunque il pacchetto di elettroni emessi costituisce una replica temporale dell’impulso XUV. Applicando algoritmi iterativi allo spettrogramma (costituito da un set di spettri energetici degli elettroni al variare del ritardo tra i due impulsi vedi fig 2.4), è possibile caratterizzare completamente l’ impulso XUV. Con la stessa tecnica, solo l’anno seguente nel 2002, vi è stata la prima misura sperimentale risolta in tempo del decadimento Auger nel kripton [17]. 20 2.2. ATTOSECOND STREAKING SPECTROSCOPY Figura 2.3: a) Illustrazione schematica dei processi di fotoemissione (viola)e del decadimento Auger (verde) nel kripton in seguito all’esposizione ad un impulso XUV. b) Andamento temporale dei tassi di emissione per fotoemissione (viola) e per emissione Auger (verde). Nella fotoemissione la risposta è istantanea e |ψphoto (t)|2 ricalca l’andamento temporale del impulso XUV. (tratto da [16]). Figura 2.4: Spettro delle energie cinetiche dei fotoelettroni emessi dal kripton esposto ad un impulso isolato XUV di durata 250 as (tratto da [18]). 21 CAPITOLO 2. ESPERIMENTI CON IMPULSI AD ATTOSECONDI L’impulso ad attosecondi induce l’ emissione di elettroni profondi 3d, la lacuna lasciata viene occupata da un elettrone più esterno 4s e l’energia in eccesso può essere ceduta ad un altro elettrone debolmente legato 4p che viene emesso (vedi fig. 2.3). In questo caso l’emissione non è istantanea e dipende dal tempo di decadimento della lacuna τh . Lo spettrogramma presenta caratteristiche molto diverse a seconda del rapporto tra τh ed il ciclo ottico dell’impulso di streaking τl = 2.5 f s come mostrato in figura 2.5: Figura 2.5: Diversi spettrogrammi di elettroni Auger del kripton calcolati al variare del tempo di decadimento τh . La durata dell’impulso di pump è di 500 as, mentre l’impulso di probe ha durata di 5 fs (tratto da [16]). • per τh << τl la traccia di streaking ricalca l’ andamento temporale del campo elettrico IR come (come nel caso di fig. 2.4) • per τh ≥ τl lo spettro mostra una linea pricipale accompagnata da sidebands a distanza ~ωl = 1.6 eV la cui area in funzione del ritardo permette di stimare τh . 22 2.3. MISURE RISOLTE IN ANGOLO ED IN COINCIDENZA Dai dati sperimentali è stato possibile stimare che τh ∼ = 7.9 fs in buon accordo con le misure in energia della larghezza di riga Auger Γ = 88 meV. 2.3 Misure risolte in angolo ed in coincidenza Negli esperimenti ad attosecondi l’ energia dei fotoni XUV è molto elevata e comporta la ionizzazione del campione; per questo motivo solitamente ciò che viene rivelato sono i frammenti carichi prodotti utilizzando uno spettrometro di particelle cariche. Negli esperimenti appena illustrati la rivelazione dei frammenti carichi era ristretta ai soli elettroni ed in particolare le informazioni erano contenute nel loro spettro energetico. In questi casi le misure vengono effettuate utilizzando uno spettrometro a tempo di volo (in inglese: Time Of Flight Spectrometer, TOFS). In un TOFS le particelle cariche sono accelerate verso un detector da una lente elettrostatica: il tempo di volo è inversamente proporzionale alla velocità iniziale ed alla radice del rapporto massa/carica. Dunque, in riferimento agli esperimenti descritti, essendo note massa e carica degli elettroni è possibile ottenere uno spettro della loro energia cinetica. La limitazione di questa tecnica di rivelazione è la mancanza di informazioni riguardo alla distribuzione angolare delle particelle cariche raccolte. Queste informazioni posso essere misurate utilizzando un Velocity Map Imaging Spectrometer (VMIS). In un VMIS un campo elettrostatico accelera gli ioni o gli elettroni verso un detector sensibile alla posizione di impatto costituito tipicamente da una piastra MCP, uno schermo ai fosfori ed una camera CCD che ne registra l’ emissione luminosa. Dal tempo di volo e dalla posizione di impatto (due componenti) è possibile risalire sotto opportune condizionr alle tre componenti spaziali della velocità iniziale. Negli ultimi dieci anni sono state effettuati i primi esperimenti ad attosecondi con misure risolte angolarmente. Le misure si sono concentrate principalmente sullo studio della fotoionizzazione dissociativa in molecole biatomiche (H2 , N2 , O2 , D2 ). In uno di questi esperimenti ad esempio si è riuscito a misurare e controllare la localizzazione elettronica nella dissociazione dell’idrogeno e deuterio mole23 CAPITOLO 2. ESPERIMENTI CON IMPULSI AD ATTOSECONDI colari successiva alla ionizzazione [19]. In questo esperimento XUV pump-IR probe l’ impulso XUV che eccita la molecola di H2 /D2 è seguito da un impulso ultrabreve nel vicino IR; utilizzando un VMIS è stato possibile osservare una asimmetria nella rivelazione dello ione H + /D+ lungo la polarizzazione dell’impulso laser al variare del ritardo tra i due impulsi. Ad una rivelazione preferenziale dello ione verso l’alto corrisponde una localizzazione dell’elettrone nello ione D2+ verso il basso durante la dissociazione e viceversa. In diversi esperimenti su molecole è di grande interesse la misura di elettroni e ioni in coincidenza in cui viene caratterizzata completamente la cinematica di tutti i frammenti carichi prodotti. In questo modo le informazioni relative agli ioni permettono di riportare le informazioni relative agli elettroni dal sistema di riferimento del laboratorio a quello della molecola così da consentire un interpretazione più agevole e diretta dei risultati sperimentali. Nello studio della localizzazione elettronica nella dissociazione di molecole biatomiche (H2 ) misure in coincidenza di elettrone e ione hanno permesso di ricostruire l’ orientamento della molecola (vedi fig. 2.6) e di misurare direttamente la distribuzione angolare dell’elettrone fotoemesso [20]. Figura 2.6: La misura in coincidenza di elettrone e ione nella dissociazione dell’idrogeno. Dopo la fotoionizzazione l’idrogeno dissocia quasi istantaneamente lungo l’asse della molecola. Misurando il momento dello ione H + possiamo ricostruire l’orientamento della molecola ed esprimere il momento dell’elettrone nel sistema di riferimento della molecola. Per effettuare misure in coincidenza bisogna equipaggiarsi di un reaction 24 2.4. UTILIZZO DEL REACTION MICROSCOPE IN ESPERIMENTI AD ATTOSECONDI: STABILIZZAZIONE DELL’INTERFEROMETRO microscope, uno spettrometro in cui sono presenti due detector sensibili alla posizione: uno per gli elettroni e l’altro per gli ioni. Il suo funzionamento verrà spiegato in dettaglio nel prossimo capitolo. 2.4 Utilizzo del reaction microscope in esperimenti ad attosecondi: stabilizzazione dell’interferometro Per poter raccogliere simultaneamente elettroni e ioni provenienti dalla stessa molecola bisogna far si che la probabilità di ionizzazione per ogni impulso sia bassa così da ridurre la probabilità di ionizzazione contemporanea di due o più molecole: in quest’ultimo caso sarebbe impossibile distinguere i prodotti di una molecola da quelli delle altre. Tipicamente si lavora in condizioni per cui in media non avvenga più di un evento di ionizzazione ogni tre impulsi. Questo vincolo si traduce in tempi di acquisizione molto lunghi rispetto a quelli tipici di misure con TOFS e VMIS; in questi ultimi la ionizzazione simultanea di più molecole non fa che aumentare la statistica delle misure. La necessità di lunghi tempi di acquisizione richiede una stabilizzazione del sistema su tempi lunghi che presenta non poche difficoltà. Gli esperimenti XUV pump-IR probe vengono tipicamente implementati come schematizzato in figura 2.7. Un impulso ultrabreve nel vicino IR entra in un interferometro di Michelson: Figura 2.7: Schema di implementazione di esperimenti XUV pump-IR probe. Ad uno spostamento del piezoelettrico di ∆L corrisponde un ritardo relativo tra i due impulsi di ∆τ = 2∆L/c. 25 CAPITOLO 2. ESPERIMENTI CON IMPULSI AD ATTOSECONDI • nel ramo di pompa parte dell’impulso IR viene utilizzato per la generazione dell’impulso ad attosecondi tramite HHG; • nel ramo di sonda l’impulso acquisisce un ritardo variabile grazie ad un sistema a due specchi su di uno stage piezoelettrico. Infine i due impulsi vengono ricombinati e focalizzati sul campione in esame nel reaction microscope. Per monitorare una dinamica del campione si varia il ritardo tra i due impulsi. La risoluzione temporale della misura è legata quindi, non solo alla durata degli impulsi, ma anche alla precisione con cui si controlla la lunghezza dei due rami dell’interferometro (ad esempio ad un ritardo di 100 as corrisponde un cammino ottico di circa 5 nm). E’ necessario dunque un controllo nanometrico della posizione del piezoelettrico ma questo non è sufficiente: oltre alla posizione del piezoelettrico altre variabili non controllabili modificano la lunghezza dell’interferometro, sono infatti presenti sia disturbi lenti (come la dilatazione termica) che veloci (vibrazioni meccaniche) non eliminabili. Per questo motivo bisogna implementare un sistema di controllo in anello chiuso in cui lo sfasamento tra i due bracci venga misurato e controllato attraverso l’attuatore piezoelettrico. 26 Capitolo 3 Caratterizzazione completa di urti a molti corpi: il reaction microscope . Il Reaction Microscope (REMI) è uno spettrometro che permette una caratterizzazione cinematica completa delle diverse particelle cariche prodotte nella frammentazione di un bersaglio (atomi o molecole) bombardato da un fascio di proiettili (fotoni, ioni, elettroni o neutroni). Storicamente il REMI deriva dalla tecnica nota come COLTRIMS (COLd Target Recoil-Ion Momentum Spettroscopy) che ha permesso la misura del momento trasferito agli ioni nell’urto basata sull’utilizzo di fasci atomici e molecolari freddi ottenuti mediante l’espansione supersonica di un getto gassoso. Nella maggioranza degli urti il momento trasferito agli ioni è molto piccolo, corrispondente ad un energia di qualche µeV, ed sarebbe ampiamente mascherato dagli effetti termici (Kb T ≈ 25meV a temperatura ambente). Il REMI inoltre permette di misurare simultaneamente gli elettroni su di un ampio angolo solido applicando un debole campo magnetico che confina le traiettorie degli elettroni in una regione circoscritta. Attualmente il REMI permette, in diverse applicazioni, di raccogliere le particele (elettroni e ioni) con un angolo solido di accettazione di quasi 4π sr, raggiungendo una risoluzione in energia inferiore ad 1 meV per gli elettroni lenti ed intorno al µeV per gli ioni. 27 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE In questo capitolo verrà spiegato in dettaglio il suo funzionamento. 3.1 Cinematica di un processo di frammentazione In questa sezione verrà esposta una breve descrizione della cinematica di un processo di frammentazione in regime non relativistico così da facilitare la comprensione dei risultati presentati nelle sezioni seguenti. Lo schema generale di un processo di frammentazione è schematizzato in figura 3.1. Un proiettile con momento iniziale P~Pi = (PPi x , PPi y , PPi z ) = (0, 0, PPi k ) e Figura 3.1: Schema del processo di frammentazione di un bersaglio in seguito alla collisione con un proiettile. Sono evidenziati i vari momenti in gioco (tratto da [21]). momento finale P~Pf = (PPf x , PPf y , PPf z ) trasferisce un momento ~q = −∆P~P = ~ P~Pi − PPf al bersaglio. Tutte le reazioni indotte dalla frammentazione sono simmetriche rispetto alla direzione di propagazione del proiettile, per questo i momenti vengono espressi attraverso la loro componente traversale e longitudinale: (P⊥ , Pk ) = ( q Px + Py )2 , Pz ) Il trasferimento di energia dal proiettile al bersaglio può dar luogo ad una frammentazione di quest’ultimo in n elettroni con momento P~ f (i = 1 ÷ n) ei ed in uno ione in uno stato eccitato con momento P~Rf . P Il momento del bersaglio nello stato iniziale P~Ri + ni=1 P~ei è nullo o comunque ha un valore fissato nel caso ideale; le tecniche di raffreddamento permettono 28 3.1. CINEMATICA DI UN PROCESSO DI FRAMMENTAZIONE di avvicinarsi a questo limite. La legge di conservazione dell’energia può essere scritta come: i ∆EP = EPi − EPf = Q + ER + n X Eef i , i=1 f dove ∆EP è la variazione di energia del proiettile, ER ed Eef i sono ri- spettivamente le energie finali dello ione e dell’i-esimo elettrone emesso P e Q = j Eef j_b − Eei j_b è la variazione di energia interna del bersaglio (Eef,ij b < 0 è l’ energia di legame dell’elettrone j-esimo nello stato finale ed iniziale rispettivamente). Consideriamo la situazione particolare in cui il proiettile sia un fotone di energia Eγ e vi sia un solo elettrone fotoemesso. In questo caso il momento associato al fotone Pγ = Eγ /c è piccolo rispetto a quello dei frammenti prodotti e può essere dunque trascurato. Sotto questa approssimazione si ottiene: f 2 f 2 f 2 |P~Rf |2 = (PRx ) + (PRy ) + (PRz ) = R, f 2 f 2 f 2 ) = R. |P~ef |2 = (Pex ) + (Pey ) + (Pez Il momento finale dell’elettrone e dello ione sono opposti e si compensano P~ f = −P~ef . R I vettori dei momenti di elettroni e ioni descrivono una sfera di raggio: R=2 me + MR (Eγ − Q). me + MR L’energia finale dello ione è me /MR volte più piccola di quella dell’elettrone e dunque trascurabile nella gran parte dei casi. Se non si trascura il momento associato al fotone si ottiene uno shift del centro della sfera pari a Pγ lungo la direzione di propagazione del fotone, inoltre il raggio della sfera si restringe. Nella figura 3.2 è mostrata la distribuzione dei momenti nel piano (x, y) per la ionizzazione singola nel caso di assorbimento di un singolo fotone e di assorbimento multifotonico rispettivamente. La struttura circolare è chiaramente visibile nella distribuzione dei momenti nel caso dell’assorbimento di un singolo fotone ad 80 eV nell’He mostrato in figura 3.2.a; in questa sono presenti diversi cerchi più piccoli corrispondenti a diverse eccitazioni dello ione He+ . Il cerchio più esterno, a cui corrisponde 29 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE Figura 3.2: Distribuzioni dei momenti per singola ionizzazione in collisione con fotoni che si propagano lungo l’asse z (ortogonale al foglio) con polarizzazione lineare lungo x. (a) Ionizzazione dell’He con un singolo fotone ad 80 eV. (b) Ionizzazione multifotonica dell’Ar da impulsi laser di 25 fs, centrati a 780 nm con intensità di qualche 1013 Wcm−2 [21]). l’He+ nello stato fondamentale, presenta una chiara distribuzione dipolare con un massimo lungo la direzione di polarizzazione del laser. Nel caso di ionizzazzione multifotonica, come in una ionizzazione da impulsi laser intensi nella regione del visibile o dell’infrarosso, si possono osservare diversi anelli concentrici equispaziati di una distanza pari al momento associato ad un singolo fotone laser (figura 3.2.b). 3.2 La rivelazione delle particelle cariche Lo schema generale di un REMI è mostrato in figura 3.3. Un fascio collimato di atomi o molecole raffreddato mediante espansione supersonica è attraversato da un fascio di proiettili. La sovrapposizione dei due fasci definisce un volume di interazione effettivo su cui viene applicato un debole campo elettrostatico per estrarre le particelle cariche prodotte. Elettroni e ioni estratti attraversano una regione di accelerazione in cui un campo elettrico uniforme guida le particelle verso i rispettivi rivelatori. Ai lati della regione di accelerazione è presente una regione di drift in cui il campo elettrico è assente. Le lunghezze di accelerazione e di drift possono 30 3.2. LA RIVELAZIONE DELLE PARTICELLE CARICHE Figura 3.3: Schema generale di un reaction microscope. Tratto da [21]). essere dimensionate in modo che differenti posizioni di impatto nel volume di interazione non diano luogo a diversi tempi di volo (si parla in questo caso time focusing condition). In gran parte delle reazioni atomiche gli ioni prodotti hanno energie dell’ordine del µeV, dunque un campo di estrazione di qualche V/cm è sufficiente ad ottenere un angolo solido di accettazione sul rivelatore di 4π. Al contrario gli elettroni hanno tipicamente energie cinetiche molto maggiori e per essere raccolti non è sufficiente applicare un campo elettrostatico. Per questo motivo si sovrappone un debole campo magnetico statico (≈ 10 Gauss) generato da una coppia di grandi spire percorse da corrente elettrica nella configurazione di Helmoltz, in cui la distanza tra le spire è circa pari al loro raggio che genera un campo quasi uniforme all’interno del REMI che confina le traiettorie degli elettroni permettendo ampi angoli di accettazione ma non modificando apprezzabilmente il moto degli ioni. Variando il campo di estrazione ed il campo magnetico è possibile regolare in modo versatile l’angolo solido di accettazione e la risoluzione sia per gli elettroni che per gli ioni. I due rivelatori sono sensibili alla posizione di impatto di elettroni e ioni e Sono costituiti da due elementi in serie: una piastra MCP (Micro Channel 31 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE Figura 3.4: Schema generale di funzionamento di una Micro Channel Plate (MCP). (a) Aspetto esteriore di una piastra MCP costituita da un array bidimensionale di microcanali. (b) Processo di amplificazione del segnale elettronico in un singolo microcanale. Il canale è rivestito di un materiale in grado di emettere diversi elettroni secondari ad ogni impatto elettronico, tra gli estremi del canale è applicata una differenza di tensione che accelera gli elettroni dando luogo ad una amplificazione a valanga. Tratto da [22]). Plate) ed una delay anode. Le particelle cariche urtano la piastra MCP dove il segnale elettronico viene amplificato (vedi figura 3.4). La valanga di elettroni in uscita dalla MCP viene diretto, sotto l’azione di un campo elettrico, verso una delay anode (figura 3.5). Questo dispositivo è costituito da due avvolgimenti conduttivi incrociati: uno si avvolge lungo l’asse x, l’altro lungo l’asse y. L’impatto della nuvola elettronica in un determinato punto di una degli avvolgimenti genera un impulso di tensione che si propaga verso le estremità dell’avvolgimento, dove viene letto dall’elettronica. Dalla differenza tra gli istanti d’arrivo del segnale alle due estremità e dalla lunghezza della serpentina si può risalire al punto d’impatto. 32 3.3. LA RICOSTRUZIONE DEL MOMENTO DEGLI IONI Figura 3.5: Schema di funzionamento di una delay anode. In favore di una maggiore chiarezza del disegno la geometria è leggermente diversa rispetto a quella descritta nel testo: il segnale viene letto su di un prolungamento della serpentina di ritardo. Tratto da [22]). 3.3 La ricostruzione del momento degli ioni Dal tempo di volo e dalla posizione di impatto degli ioni è possibile ricostruire la loro traiettoria e determinare univocamente il loro momento iniziale. Il tempo di volo deve essere misurato rispetto ad un segnale di trigger che definisce l’istante di interazione del proiettile con il bersaglio; nel caso di eccitazione con impulsi laser il segnale di trigger sarà fornito dall’elettronica del sistema laser ed avrà una frequenza costante pari al repetition rate degli impulsi laser. Lo spettro dei tempi di volo contiene due importanti informazioni. Innanzitutto diverse specie possono essere distinte poiché hanno tempi di volo inversamente proporzionali alla radice del rapporto carica/massa (q/m) dando luogo a picchi distinti (vedi figura 3.6). Inoltre la forma di ogni picco contiene informazioni riguardanti il momento iniziale degli ioni. Supponiamo che una particella con un dato rapporto q/m con momento iniziale nullo venga rilevata all’istante t0 . Allora uno ione con lo stesso 33 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE Figura 3.6: Spettro dei tempi di volo degli ioni in un esperimento di ionizzazione dell’argon da impulsi laser di 25 fs con intensità di 1013 W/cm2 . L’ingrandimento mostra la struttura del picco di Ar+ , in cui sono ben visibili diversi massimi che corrispondono all’assorbimento di un certo numero di fotoni di energia 1.5 eV al di sopra della soglia di ionizzazione. Tratto da [21]). 34 3.4. LA RICOSTRUZIONE DEL MOMENTO DEGLI ELETTRONI rapporto q/m ma con un momento iniziale diretto verso il detector arriverà all’istante di tempo t minore di t0 . Quanto detto è espresso nella seguente equazione: PRk = 8.042 × 10−3 · qU (t0 − t), a (3.1) dove PRk è la componente del momento dello ione parallelo all’asse dello spettrometro misurato in unità atomiche, qU è l’energia finale di estrazione della particella in eV ed a è la lunghezza della regione di accelerazione in cm. Noto il campo elettrico di estrazione U/a ed il tempo di volo è possibile ricostruire PRk . Per valori tipici dei parametri, ad una risoluzione temporale di 1 ns corrisponde una risoluzione sul momento di 0.01 a.u.. La componente del momento dello ione perpendicolare all’asse dello spettrometro può essere determinata dalla posizione di impatto sul rivelatore attraverso la seguente relazione: P~R⊥ = 11.6 · p ~r · qU · m, 2a + d dove P~R⊥ è espresso in unità atomiche, ~r è la distanza in cm dal punto in cui impattano le particelle con momento nullo, d è la lunghezza della regione di drift in cm ed m è la massa dello ione espressa in unità di massa atomica. La risoluzione in questo caso dipende sia dalla risoluzione spaziale del rivelatore che dalla estensione del volume di interazione; quest’ultima in genere limita la risoluzione su P~R⊥ a 0.1 unità atomiche (per valori tipici dei parametri). 3.4 La ricostruzione del momento degli elettroni Lo schema di rivelazione degli elettroni è identico a quello degli ioni ma in questo caso l’effetto del campo magnetico applicato non può essere trascurato, le traiettorie degli elettroni hanno infatti un andamento a spirale. Anche in questo caso è possibile ricostruire il momento iniziale dell’elettrone dal tempo di volo e dalla posizione di impatto sul detector. Il moto degli elettroni lungo l’asse dello spettrometro non è influenzato dal campo magnetico dunque l’ equazione 3.1 è ancora valida ed è possibile ricostruire Pek dal tempo di volo. Nel piano ortogonale all’asse dello spettrometro gli elettroni descrivono orbite 35 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE circolari di raggio R e frequenza di ciclotrone ω con: ω = 9.65 × 10−6 · qB me e R = 12.39 · Pe⊥ , qb (3.2) dove ω è espressa in ns− 1, B è il campo magnetico espresso in Gauss, R è espresso in cm, me (la massa dell’elettrone) e Pe⊥ sono espresse in unità di massa atomica. Con un campo di appena 10 Gauss le traiettorie degli elettroni con energia cinetica minore di 100 eV sono confinate in un raggio R = 3.3cm. Dunque un rivelatore odierno con diametro tipico di 8 cm garantisce un angolo solido di accettazione di 4π per energie inferiori ai 110 eV. Sotto queste condizioni il periodo di ciclotrone degli elettroni è di 35 ns cioè un tempo simile al loro tempo di volo. Osserviamo invece che per gli ioni i tempi di ciclotrone sono molto maggiori del tempo di volo, ad esempio sotto le stesse condizioni lo ione He+ ha un periodo di ciclotrone di 250 µs. L’effetto è quello di una leggera rotazione dell’immagine di P~R⊥ . Per ricavare la componente del momento ortogonale all’asse dello spettrometro è necessario utilizzare sia le informazioni del tempo di volo che quelle della posizione di impatto. Consideriamo la proiezione della traiettoria di un elettrone sul detector (figura 3.7). Un elettrone emesso dall’origine A (il centro del detector) con un momento ortogonale P~R⊥ che forma un angolo ϕ con l’asse x descrive una spirale a cui corrisponde una circonferenza di raggio R nel piano xy, fino ad impattare sul detector nel punto B che dista r dal centro. Da semplici considerazioni geometriche si ricava che: R= r . 2|sen(ωt/2)| (3.3) Dunque nota la posizione di impatto (r, ϑ) ed il tempo di volo t possiamo calcolare il raggio R e da questo ricavare l’ ampiezza Pe⊥ attraverso l’ equazione 3.2. Infine con l’ angolo di emissione ϕ dato da: ϕ=ϑ− 36 ωt , 2 3.4. LA RICOSTRUZIONE DEL MOMENTO DEGLI ELETTRONI Figura 3.7: Proiezione della traiettoria spiraliforme di un elettrone nel piano ortogonale al campo magnetico. Tratto da [21]). il vettore P~R⊥ è determinato. Quando l’elettrone compie più di un giro completo bisogna semplicemente sostituire ωt con ωt − N · 2π dove N è il numero di giri completi. Un problema sorge però quando l’ elettrone compie esattamente N giri completi: in tal caso impatterà nell’origine del rivelatore (il punto A) indipendentemente dal suo momento trasversale. In altre parole tutti gli elettroni con tempi di volo pari ad un multiplo del periodo di ciclotrone impattano nello stesso punto del rivelatore e non si può ottenere nessuna informazione sul loro momento. Questi eventi appaiono come punti nodali nella distribuzione delle distanze d’impatto in funzione del tempo d’arrivo (vedi Figura 3.8) e possono essere utilizzati per un’accurata determinazione del campo magnetico, attraverso la misura del periodo di ciclotrone. La presenza dei punti nodali non costituisce un problema: se la perdita di risoluzione maschera importanti informazioni è sufficiente variare il campo magnetico applicato. 37 CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE COMPLETA DI URTI A MOLTI CORPI: IL REACTION MICROSCOPE Figura 3.8: Distanza di impatto degli elettroni dal centro del rivelatore r al variare del tempo di volo in un esperimento di ionizzazione di H2 per impatto da protoni di energia 6 MeV. Dalla misura del periodo di ciclotrone si ricava per il campo magnetico un valore di 14 Gauss. Tratto da [21]). 38 Capitolo 4 Apparato sperimentale 4.1 Sorgente Laser La sorgente di impulsi ultrabrevi utilizzata negli esperimenti è costituita da un sistema laser commerciale schematizzato in figura 4.1 seguito un sistema di compressione in fibra cava. Il sistema laser è basato sulla tecnica Chirped Pulse Amplification (CPA) il Figura 4.1: Schema del sistema laser utilizzato negli esperimenti. cui funzionamento è mostrato in figura 4.2. Il setup schematizzato è basato su un oscillatore a Titanio in Zaffiro (Ti:Sa) in regime di mode-locking. L’oscillatore genera impulsi a basse energie (pulse ≈ 1 nJ) ad alta frequenza di ripetizione (frep ≈ 80MHz); gli impulsi hanno durata di pochi fs ed il loro spettro è centrato alla lunghezza d’ onda λo = 800 nm. Questi impulsi vengono allungati temporalmente dallo stretcher che ne attenua la potenza di picco di circa tre ordini di grandezza; ed entrano poi in tre 39 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE Figura 4.2: Principio di funzionamento della Chirped Pulse Amplification. L’amplificazione di impulsi ottici avviene attraverso il passaggio in un mezzo attivo. Oltre una certa soglia di amplificazione si hanno impulsi con una potenza di picco troppo elevata che può danneggiare il mezzo attivo. Nella CPA si supera questo limite nel modo seguente: si allunga temporalmente l’ impulso con uno stretcher ; lo si amplifica e poi lo si ricomprime temporalmente in un compressor. In questo modo la potenza di picco nel mezzo attivo non supera la soglia di danneggiamento ottico. Le dispersioni introdotte da stretcher e compressor sono opposte e si annullano. I grafici in nero mostrano l’ andamento qualitativo del profilo di intensità temporale nei vari passaggi. stadi di amplificazione in serie. Tutti e tre gli stadi di amplificazione si servono dello stesso laser di pompa: un laser a Nd:YAG in regime Q-switching pompato con laser a diodi, raddoppiato in frequenza a 532 nm (potenza di uscita circa 150W). Il primo stadio di amplificazione è di tipo rigenerativo. Un sistema a celle di pockels estrae un impulso ogni 100 ps dal treno di impulsi in uscita dallo stretcher. L’impulso estratto viene intrappolato in una cavità risonante in cui compie diversi passaggi nel mezzo attivo (Ti:Sa) ed infine viene rilasciato da una seconda cella di pockels sincronizzata alla prima. Si ottengono impulsi con pulse ≈ 100 µJ e frequenza di ripetizione frep = 10 KHz. Gli impulsi entrano quindi in un amplificatore multipasso (dove l’energia dell’impulso aumenta di un fattore tre) e poi nell’amplificatore booster dove raggiungono un’energia per impulso di circa 2.7-2.8 mJ corrispondente ad una potenza media di 27-28 W. Nel booster il mezzo attivo è raffreddato alla temperatura di −180◦ mediante elio liquido. Il profilo spaziale del fascio di pompa determina un gradiente di temperatura all’interno del cristallo che si traduce in una variazione dell’indice di rifrazione al variare dell’asse di propagazione all’interno del 40 4.1. SORGENTE LASER cristallo. Questa lente termica determina la focalizzazione dell’impulso ad una distanza di pochi centimetri rendendo impossibile la compensazione di questo effetto. L’utilizzo di un raffreddamento criogenico consente di ottenere lunghezze focali termiche di metri che possono essere facilmente compensate da opportune ottiche. Infine gli impulsi vengono compressi temporalmente alla durata di qualche decina di circa 30 fs da un secondo sistema a reticoli di diffrazione con un energia finale di circa 2 mJ per impulso. La compensazione della dispersione acquisita nei numerosi passaggi attraverso il mezzo attivo viene effettuata utilizzando un modulatore acusto-ottico (Dazzler) posto appena dopo lo stetcher. Il Dazzler impone una determinata fase spettrale che compensa quella accumulata nei successivi passagi (quest’ultima viene misurata periodicamente con la tecnica ”Frequency Resolved Optical Gating”, FROG). Il processo di amplificazione comporta inoltre una diminuzione della banda dell’impulso (a cui corrisponde un allargamento temporale) dovuta ad una maggiore amplificazione delle frequenze centrali più intense (gain narrowing). Questo effetto viene contrastato ponendo un secondo modulatore acustoottico (Mazzler) nella cavità risonante del rigenerativo che allarga la banda degli impulsi attenuando le frequenze centrali mediante diffrazione. Il sistema laser è anche dotato di due sistemi di controllo della fase assoluta: il primo stabilizza le variazioni di fase tra impulsi consecutivi in uscita dall’oscillatore regolando la potenza del laser di pompa (Verdi Coherent) dell’oscillatore mediante un modulatore acusto-ottico; il secondo sistema stabilizza le variazioni ”lente” della CEP introdotte dal processo di amplificazione regolando la fase del segnale acustico sul Dazzler. Con questo sistema si raggiungere un controllo sulla fase assoluta con fluttuazioni residue inferiori ai 200 mrad mediate su dieci impulsi consecutivi. Gli impulsi in uscita dal sistema laser vengono ulteriormente compressi da un sistema di compressione in fibra cava schematizzato in figura 4.3. L’ impulso viene focalizzato all’ingresso di una fibra cava di fused silica lunga circa un metro riempita con neon alla pressione di 2 atmosfere. Grazie alla non linearità del terzo ordine dei gas nobili l’impulso risente dell’effetto di Self Phase Modulation (SPM) che determina un allargamento spettrale dell’impulso. La posizione del fascio in ingresso alla fibra è stabilizzato con un sistema 41 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE Figura 4.3: Schema della tecnica di compressione in fibra cava. Nei riquadri tratteggiati è mostrato l’andamento qualitativo del profilo di intensità temporale (in alto) e spettrale(in basso) retroazionato composto da un fotodiodo a quattro quadranti, un controllore PID analogico ed uno specchio motorizzato piezoelettrico. Nella propagazione in fibra viene anche introdotta una dispersione temporale che viene compensata da una serie di chirped mirrors: specchi dielettrici multistrato in cui l’indice di rifrazione è modulato spazialmente in modo da introdurre una dispersione anomala ad ogni riflessione. Il sistema di compressione descritto fornisce impulsi della durata di circa 6 fs ed energia pulse ≈ 1 mJ. 4.2 Apparato di generazione e ricombinazione L’apparato per la generazione di impulsi XUV e per la ricombinazione con il fascio IR è schematizzato in figura 4.4. Nello schema sono anche presenti il REMI per le misure risolte in angolo e lo spettrometro XUV che permette di analizzare le caratteristiche della radiazione generata nel processo di HHG. Essendo la radiazione XUV fortemente assorbita dall’aria tutto il sistema opera in vuoto. L’apparato è suddiviso in due camere a vuoto comunicanti: una dedicata alla generazione XUV ed una alla ricombinazione. Tutti gli elementi ottici presenti nelle due camere sono montati su di un unico banco ottico risultando solidali tra loro. Il banco ottico inoltre è disaccoppiato meccanicamente dalle camere per mezzo di soffietti: in questo modo si ha un buon isolamento dalle vibrazioni esterne (in particolare quelle generate dalle 42 4.2. APPARATO DI GENERAZIONE E RICOMBINAZIONE Figura 4.4: Schema del setup di generazione e ricombinazione. turbine e pompe da vuoto). Questi accorgimenti sono fondamentali per la stabilità dell’interferometro. Dopo la compressione con i chirped mirrors il fascio IR entra nella camera di generazione da una finestra in quarzo ed incide su di un beam splitter (riflettività R=50%) che ripartisce il fascio in parti uguali sui due bracci dell’interferometro. Braccio di pompa Il fascio IR sul fascio di pompa attraversa due lamine birifrangenti che ne modulano la polarizzazione per implementare la tecnica del polarization gating collineare descritto nella sezione 1.2.2. Uno specchio sferico (lunghezza focale 50 cm) focalizza il fascio nella cella di generazione in cui avviene il processo di HHG. La cella è costituita da un cilindretto metallico in cui le due basi sono chiuse da un sottile foglio di alluminio che viene forato dal fascio IR; un flusso costante di gas per la generazione viene introdotto attraverso una valvola ortogonale al fascio IR. Il fascio XUV prodotto si propaga collinearmente al fascio IR: per eliminare la radiazione IR si utilizzano un beam separator ed un filtro in alluminio. Il beam separator è una lamina dielettrica con uno strato antiriflesso (picco di trasmissione centrato a λ0 = 800 nm per polarizzazione p) su cui i fasci 43 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE arrivano con incidenza radente: il fascio XUV viene riflesso (riflettività circa 70%) mentre il fascio IR viene in gran parte trasmesso (riflettività circa 5%). Il filtro in alluminio è costituito da un sottile strato di alluminio (spesso circa 200 nm) depositato su di una rete metallica di supporto: lo strato di alluminio riflette la radiazione IR residua e trasmette buona parte del fascio XUV (vedi figura 4.5). La funzione del beam separator è quella di attenuare la potenza del fascio IR di circa tre ordini di grandezza preservando il filtro in alluminio da danneggiamento ottico. Dopo il filtro un alluminio il fascio XUV viene riflesso con incidenza radente Figura 4.5: Trasmissione al variare dell’energia dei fotoni incidenti di un filtro in alluminio spesso 200 nm (tratto da [23]). da uno specchio toroidale rivestito in oro (lunghezza focale 85 cm) che focalizza il fascio al centro dell’area di interazione del REMI. Braccio di sonda Il fascio sul braccio di sonda viene ritardato da uno stage di traslazione composto da due specchi montati su di un attuatore piezoelettrico (PZT) con controllo sulla posizione di circa un nanometro (a cui corrisponde l’introduzione di un ritardo di circa 10 as). I due bracci dell’interferometro hanno pari lunghezza così che il ritardo relativo tra i due impulsi possa essere regolato finemente dal PZT. 44 4.3. REACTION MICROSCOPE Successivamente uno specchio sferico focalizza il fascio nel punto di fuoco del fascio XUV nel REMI. La ricombinazione con il fascio XUV avviene attraverso la riflessione da uno specchio forato (diametro un pollice, diametro del foro D=2 mm). La ricombinazione è possibile grazie alle diverse dimensioni dei fasci: il fascio XUV ha dimensione di circa 2 mm e viene interamente trasmesso. Il fascio IR ha dimensione di circa un centimetro e lo specchio ne riflette una porzione anulare. 4.3 Reaction Microscope In questa sezione vengono trattati alcuni dettagli tecnici del REMI utilizzato negli esperimenti. Il principio di funzionamento di questo spettrometro è già stato spiegato nel capitolo 3. 4.3.1 Organizzazione delle camere Figura 4.6: Schema delle camere su cui è suddiviso il REMI (sezione ortogonale all’asse dello spettrometro). Sono mostrate le pressioni tipiche d’esercizio del sistema in presenza di un getto gassoso di anidride carbonica con backing pressure di 2 bar. 45 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE Il REMI è composto da quattro camere in vuoto connesse tra loro per consentire il flusso del getto gassoso dall’alto verso il basso come schematizzato in figura 4.6. Il getto di gas viene introdotto alla pressione di alcuni bar nella prima camera in alto Jet1 attraverso un ugello del diametro di 30 µm che ne causa l’espansione supersonica. Il gas passa attraverso due skimmer (diametri 200 e 400 µm) che collimano il getto in ingresso alla Main camber così da ottenere un piccolo volume di interazione con la radiazione incidente. Infine il getto attraversa un tubo ed entra nella camera Dump (discarica) dove viene espulso. Ogni camera ha una sua turbopompa dedicata, la suddivisione su più camere preserva la camera di interazione dalla contaminazione dal gas del getto (come evidenziato dalle pressioni in figura). Per garantire un vuoto di alta qualità nella camera di interazione sono stati utilizzati dei pompaggi differenziali per evitare lo scambio di particelle contaminanti con la camera di ricombinazione (P = 6 · 10−8 bar) e lo spettrometro XUV (P ≥ 2 · 10−8 bar). Un pompaggio differenziale è un tubo allineato con il fascio che riduce il passaggio di particelle tra le due camere consentendo di mantenere una differenza di pressione di circa un ordine di grandezza. 4.3.2 Apparato di rivelazione di elettroni e ioni L’apparato di rivelazione delle particelle cariche è schematizzato in figura 4.7. Nella zona di accelerazione è presente campo elettrico uniforme generato da una serie elettrodi: una semplice successione di resistenze uguali (R = 180kΩ) che collega gli elettrodi impone una caduta di potenziale costante tra elettrodi adiacenti. L’anello RING e la griglia GRID 1 permettono, attraverso un’opportuna regolazione dei loro potenziali, di compensare gli effetti di bordo, che altrimenti distorcerebbero le traiettorie degli elettroni che non viaggiano sull’asse dello spettrometro. La zona di rivelazione inizia su entrambi i lati con la griglia GRID 2. Per ottenere un buon rapporto segnale/ rumore, risulta conveniente accelerare gli ioni e respingere gli elettroni poco energetici. Questo spiega l’asimmetria fra ioni ed elettroni nei potenziali mostrati in tabella 4.1. Infine le particelle 46 4.3. REACTION MICROSCOPE Figura 4.7: Schema dell’apparato di rivelazione delle particelle cariche. Data la perfetta simmetria tra il sistema di rivelazione degli ioni e quello degli elettroni, gli elementi che si ripetono vengono indicati una volta soltanto (tratto da [22]). MCP GRID 1 GRID 2 ELEC RING Elettroni 2650 V 33 V 33 V 30 V 30 V Ioni -2650 V -33 V -101 V -30 V -30 V Tabella 4.1: Valori tipici per i potenziali relativi all’apparato di rivelazione delle particelle cariche. cariche impattano sulla MCP che amplifica il segnale elettronico in ingresso alla delay anode. La differenza di potenziale ai capi della MCP è posta a ∆VM CP = 2000V . 4.3.3 Acquisizione del segnale elettronico Per la ricostruzione delle traiettorie delle particelle vengono acquisiti i seguenti segnali elettrici: • i segnali provenienti dalle delay anode: ognuna di esse fornisce due segnali da cui si ricava la posizione di impatto della particella come spiegato nella sezione 3.2; 47 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE • il segnale di variazione del potenziale ai capi delle MCP, che consente di misurare il tempo di volo rispetto all’istante di interazione; • il segnale proveniente da un fotodiodo che rivela l’arrivo degli impulsi laser per definire l’istante di interazione dell’impulso con il campione. Tutti i segnali elencati hanno una forma impulsiva, l’unica informazione utile è l’istante di arrivo di questi impulsi. Pertanto tutti i segnali vengono letti da un TDC (Time to Digital converter) che digitalizza il tempo di arrivo degli impulsi comparandoli ad una determinata soglia di tensione come mostrato in figura 4.8. Il trigger del TDC è costituito dall’AND logico tra il segnale proveniente dal Figura 4.8: Schema del processamento elettronico dei segnali acquisiti per la ricostruzione delle traiettorie delle particelle. fotodiodo e quello proveniente dalla MCP degli ioni così che l’acquisizione sia effettuata solo quando sono stati rivelati contemporaneamente l’arrivo di un impulso laser e l’arrivo di un ione. In questo modo si acquisiscono solo eventi di frammentazione causati dall’impulso laser nell’area di interazione. 4.3.4 Software di acquisizione ed analisi L’acquisizione e l’analisi dei dati delle misure del REMI è stata effettuata utilizzando la piattaforma Go4 (dall’inglese GSI Object Oriented OnlineOffine) che permette l’acquisizione, il salvataggio e il processamento di grandi 48 4.3. REACTION MICROSCOPE moli di dati (tipiche degli esperimenti della fisica ad alte energie). In Go4 l’analisi dei dati avviene per passi: ogni passo è costituito da un evento in ingresso (input event), un manipolatore di eventi (input processor ) e un evento in uscita (output event). Un output event di un passo può diventare input event del passo successivo, e così via (vedi Figura 4.9). Le informazioni necessarie alla creazione degli oggetti presenti nel processor o negli eventi sono salvate nella step factory. Per quanto riguarda il programma d’analisi utilizzato, esso è costituito di Figura 4.9: Schema della gestione per steps dell’analisi dei dati in Go4 (tratto da [24] ). tre steps: 1. Unpack : Vengono prelevati i dati dal TDC e convertiti in posizioni ed istanti d’impatto (rispetto all’istante di trigger). 2. Calculate: Dalle posizioni e tempi di impatto vengono ricavati i momenti iniziali di elettroni e ioni (utilizzando le formule del capitolo 3). Da questi vengono ricavate le informazioni circa lo spettro energetico degli elettroni. 3. Finish: L’analisi viene completata effettuando le ultime rappresentazioni grafiche e filtrando alcuni risultati ottenuti nello step precedente. In ognuno di questi step vengono aggiunte delle condizioni che permettono di filtrare i dati imponendo delle restrizioni di vario genere; è inoltre possibile regolare dei parametri per la corretta esecuzione degli algoritmi. Nei vari passaggi vengono prodotti degli istogrammi in cui i risultati dell’analisi possono essere rappresentati graficamente. 49 CAPITOLO 4. APPARATO SPERIMENTALE 50 Capitolo 5 Risultati sperimentali In questo capitolo vengono presentati i risultati sperimentali ottenuti. Nella prima sezione sono presentate le misure di sidebands nell’argon da cui emerge la necessità di stabilizzare il ritardo relativo tra gli impulsi IR ed XUV. Nella seconda sezione viene descritto in dettaglio il sistema di stabilizzazione realizzato e vengono presentate le relative misure. 5.1 Misure di sidebands nell’argon In questa sezione vengono presentate misure sperimentali delle sideband dell’argon. Come nelle misure RABBIT si è misurata l’oscillazione delle sideband variando il ritardo tra il treno di impulsi XUV e l’impulso IR mediante lo stage di traslazione PZT. A differenza delle misure RABBIT descritte nella sezione 2.1 lo scopo della misura non è stato la ricostruzione temporale del treno di impulsi bensì la caratterizzazione della stabilità dell’interferometro su tempi lunghi di acquisizione. In particolare è stata misurata una grande variazione della periodicità delle oscillazioni durante l’acquisizione che indica una forte instabilità dell’interferometro. 51 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Impulsi IR Lunghezza d’onda Durata impulsi Diametro del fuoco Potenza media 800 nm > 35 fs 250 µm 1W Tabella 5.1: Parametri relativi agli impulsi IR di sonda. 5.1.1 Condizioni di misura Le misure sono state effettuate con l’apparato sperimentale descritto nel capitolo 4. Volendo generare treni di impulsi XUV non si è utilizzato il sistema di compressione in fibra cava operando con la fibra in vuoto. Per la generazione di armoniche si è utilizzato lo xenon; lo spettro della radiazione XUV dopo il passaggio attraverso il filtro in alluminio (spessore 200 nm) ed il REMI è stato registrato dallo spettrometro XUV ed è mostrato in figura 5.1 I parametri relativi agli impulsi IR sono mostrati in tabella 5.1. Figura 5.1: Spettro di intensità della radiazione XUV degli impulsi di pompa. Gli indici n indicano il numero dell’armonica generata Con queste condizioni di lavoro si è registrato un tasso di circa 4000 conteggi al secondo. Le pressioni d’esercizio del REMI sono quelle tipiche riportate nella figura 4.6, si è imposta una corrente continua pari a 35 A a cui corrisponde un campo magnetico di 9.33 Gauss. 52 5.1. MISURE DI SIDEBANDS NELL’ARGON GRID 1 GRID 2 ELEC RING Elettroni 50.1 V 11 V 30 V 30 V Ioni -50.1 V -103 V -30 V -30 V Tabella 5.2: Valori per i potenziali relativi al REMI. I potenziali relativi al REMI sono mostrati in tabella 5.2. L’acquisizione e l’analisi dei dati delle misure del REMI è stata effettuata utilizzando la piattaforma GO4. 5.1.2 Misure La scansione del ritardo è stata effettuata muovendo lo stage di traslazione PZT di step di lunghezza fissa pari a 20 nm con un tempo di acquisizione di 10 secondi ad ogni step. La posizione del PZT viene variata su di un range di 1800 nm (corrispondente ad un ritardo di 8.33 fs) percorrendo tre spazzate: una in avanti , una indietro ed una in avanti come mostrato in figura 5.2. Complessivamente la scansione dura 32 minuti. Ad ogni step viene raccolto un numero di conteggi sufficiente a risolvere lo spettro energetico degli elettroni fotoemessi (figura 5.3). In questi spettri sono facilmente riconoscibili i picchi associati alle armoniche dispari e le sideband disposte tra essi. Gli spettri energetici raccolti vengono poi mostrati su di un grafico al variare del ritardo τ (figura 5.4.a) stimato dalla posizione del PZT s (τ = 2s c ). Da questo grafico si è scelta la sideband più intensa, quella compresa tra i picchi corrispondenti alle armoniche n=13 ed n=15, e si è integrato la sua intensità nel range di energie da essa occupato ottenendo l’andamento temporale dell’intensità della sideband mostrato in figura 5.4.a . Dalle oscillazione delle sidebands è si è stimato il periodo di oscillazione come l’intervallo temporale tra due picchi adiacenti, dunque per ogni coppia di picchi è stato stimato un diverso periodo di oscillazione. Le stime del periodo di oscillazione al variare del tempo di misura sono mostrate in figura 5.5. Il valore atteso del periodo di oscillazione è pari al periodo di oscillazione dell’intensità dell’impulso IR dunque è pari ad un semi-ciclo ottico del campo 53 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.2: Posizione del PZT durante la misura. elettrico del fascio IR (1.33 fs). Dalla figura 5.5 si osserva un’evidente differenza tra i valori stimati ed il valore atteso del periodo di oscillazione; in generale vi è una sovrastima del periodo durante le due spazzate in andata del PZT ed una sottostima durante la spazzata di ritorno. Questo comportamento indica la presenza di uno sfasamento tra i rami dell’interferometro con andamento temporale crescente che potrebbe essere compatibile con un rilassamento termico di uno dei montaggi o del banco ottico su cui è montato l’interferometro. Da questa misura risulta una evidente instabilità interferometrica che compromette la possibilità di effettuare misure su tempi lunghi di acquisizione con risoluzione temporale sulla scala degli attosecondi. Risulta dunque necessario un sistema di stabilizzazione dell’interferometro. 54 5.1. MISURE DI SIDEBANDS NELL’ARGON Figura 5.3: Spettro energetico degli elettroni fotoemessi per due diverse posizioni del PZT. 55 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.4: a) Spettro energetico degli elettroni fotoemessi al variare del ritardo τ stimato dalla posizione del PZT s. Il riquadro in nero indica la regione di integrazione. L’immagine mostra la prima spazzata in avanti. b) Oscillazione dell’intensità della sideband selezionata al variare del ritardo stimato ottenuta integrando l’intensità rispetto all’energia nell’intervallo di energie del riquadro in nero. 56 5.1. MISURE DI SIDEBANDS NELL’ARGON Figura 5.5: Stime del periodo di oscillazione al variare del tempo di misura. Ad ogni punto corrisponde il periodo di oscillazione stimato come l’intervallo temporale tra due picchi adiacenti. Per ogni punto è mostrato una barra di errore che è pari al ritardo associato ad un singolo step del PZT cioè ±133 as. La linea verde indica il valore atteso del periodo di oscillazione. La linea tratteggiata blu indica la posizione del PZT i cui valori sono riportati nell’asse di destra. 57 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI 5.2 Stabilizzazione dell’ interferometro La necessità di un sistema di stabilizzazione dell’interferometro negli esperimenti ad attosecondi con misure in coincidenza (motivata nella sezione 2.4) è stata dimostrata dagli esperimenti descritti nel paragrafo precedente. Per questo motivo è stato implementato un sistema di controllo in retroazione in cui lo sfasamento tra i rami dell’interferometro viene misurato e controllato attraverso la movimentazione di uno stage di traslazione piezoelettrico. Il punto più critico del sistema di stabilizzazione è la misura dello sfasamento tra i due rami. Come noto, un modo per stimare lo spostamento relativo tra i due rami di un interferometro è misurare lo spostamento delle frange di interferenza spaziale prodotte dalla sovrapposizione di due fasci coerenti che si propagano nei due rami. Gli impulsi XUV ed IR non danno però luogo ad interferenza poiché hanno contenuti spettrali separati e possono non essere sovrapposti temporalmente. L’ idea alla base della tecnica di stabilizzazione realizzata è stata quella di far propagare nell’interferometro un secondo fascio monocromatico che possa essere estratto per osservare le frange di interferenza. Nell’implementazione di questo semplice principio si sono riscontrate non poche difficoltà tecnologiche ancora non del tutto risolte. Prima di descrivere il sistema di controllo integrato con l’ apparato di generazione e ricombinazione verrà presentato un sistema di stabilizzazione interferometrica più semplice, realizzato in aria su di un apposito banco ottico. Con questo setup preparatorio si è verificata la possibilità di effettuare una stabilizzazione su lunghi tempi e precisione nanometrica e si sono valutate le prestazioni di due diversi software di controllo. Nell’ultima sezione vengono confrontate due misure di stabilità effettuate contemporaneamente sull’interferometro della linea XUV per valutare il degrado delle prestazioni nel caso in cui il fascio utilizzato per la stabilizzazione non passi per alcuni elementi critici dell’interferometro in modo da facilitare l’estrazione del fascio di stabilizzazione dal setup ottico. 58 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO 5.2.1 Sistema di stabilizzazione preparatorio 5.2.1.1 Apparato sperimentale Per verificare la possibilità di realizzare un sistema di stabilizzazione interferometrica si è implementato un apparato sperimentale il più semplice possibile basato su di un interferometro di Michelson (vedi schema in figura 5.6). Si è utilizzato un laser ad He:Ne (thorlabs HRS015) stabilizzato in frequenza. Figura 5.6: Schema dell’ apparato di stabilizzazione preparatorio. Il laser emette un fascio nel rosso (alla lunghezza d’onda λHN =632.991 nm), polarizzato linearmente, con bassa divergenza (minore di 1.25 mrad) ed un diametro di circa un millimetro. Il sistema di stabilizzazione del laser garantisce variazioni in frequenza inferiori a ∆ν = 2 MHz (a cui corrisponde ∆λ = λ2HN ∆ν/c ∼ = 2.5 fm !) per durate di esercizio fino ad otto ore. Il fascio laser passa attraverso un beam splitter (BS) con riflettività R=50% che divide in parti uguali il fascio. Il fascio trasmesso viaggia verso lo stage di traslazione piezoelettrico dove viene retroriflesso verso il BS che ne riflette una porzione verso la telecamera. Il fascio riflesso viaggia verso lo specchio M1 dove viene retroriflesso verso la 59 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI telecamera attraversando il BS. I due fasci diretti verso la telecamera attraversano una lente divergente che ingrandisce la dimensione dei fasci di un fattore G che dipende dalla lunghezza focale della lente e dalla distanza tra la telecamera e la lente. La ricombinazione dei fasci genera frange di interferenza che vengono registrate dalla telecamera. La telecamera è una webcam commerciale, con sensore Charge-Coupled Device (CCD) collegata al computer tramite ingresso usb. L’area sensibile (dimensione 3 mm × 5mm) è composta da 480 × 640 pixel. L’interferometro descritto genera frange di interferenza parallele di eguale spessore in cui la distanza ∆x tra due frange sulla telecamera è data dalla seguente relazione: ∆x = G · λHN , sin ϑ ad esempio per ϑ = 0.5◦ e G=4 si ottengono frange distanti ∆x = 290µm a cui corrispondono circa 50 pixel. L’angolo ϑ è tipicamente molto piccolo e deriva da un allineamento non perfetto. Le frange prodotte scorrono al variare della differenza di lunghezza dei due rami dell’interferometro ∆L = L1 −L2 , l’intensità luminosa in un determinato punto del sensore CCD è legata a ∆L dalla relazione: I(∆L) = I0 cos ( π∆L 2 I0 2π∆L ) = I0 − · cos ( ). λHN 2 λHN Ad uno spostamento ∆L è associato uno sfasamento della cosinusoide di ϕ= 2π∆L λHN . L’immagine delle frange di interferenza viene processata dal programma che ne estrae ϕ: da questo sfasamento è infatti possibile risalire a ∆L e dunque al ritardo τ di tempo tra due impulsi che percorrono i due rami dell’interferometro. Il controllo dello sfasamento ϕ viene effettuato muovendo lo stage di traslazione; un suo spostamento di lunghezza s introduce uno sfasamento pari a ϕ= 4πs λHN . Lo stage di traslazione è basato su di un attuatore piezoelettrico capacitivo (PI P-621) con corsa massima di 250 µm ed una precisione di un nanometro sulla posizione a cui corrisponde uno sfasamento di ϕ = 20 mrad ed un ritardo di τ = 6.6 as. 60 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO 5.2.1.2 Programma di stabilizzazione Il programma di stabilizzazione è stato sviluppato in ambiente labview (abbrevazione di Laboratory Virtual Instrumentation Engineering Workbench). Il programma realizzato può essere suddiviso concettualmente in due fasi: • estrazione della fase: l’utente regola dall’interfaccia dei parametri necessari all’estrazione della fase delle frange di interferenza; • stabilizzazione: il programma esegue il ciclo iterativo di retroazione. Ad ogni ciclo lo sfasamento viene rivelato e corretto muovendo l’ attuatore piezoelettrico. Per la fase di stabilizzazione sono stati realizzati due diversi sistemi in retroazione: uno di tipo PID (abbreviazione di Proporzionale Integrativo Derivativo) ed uno di tipo relè le cui prestazioni sono presentate nella sezione 5.2.1.3 . Estrazione della fase L’ estrazione della fase delle frange di interferenza si basa su di un’ analisi nel dominio delle frequenze spaziali dell’immagine registrata dalla webcam. Per facilitare la comprensione dell’algoritmo di estrazione in figura 5.7 viene data una trattazione analitica semplificata del problema (si considera la variabile spaziale continua e non discreta e si considera un profilo di intensità spaziale ideale). Il programma apre la comunicazione con la telecamera e mostra l’immagine delle frange di interferenza (grafico LIVE ); l’utente può regolare il tempo di esposizione del dispositivo CCD della telecamera da 250 µs a 1.9 ms ottimizzando l’intensità dell’immagine evitando la saturazione. Il programma trasforma l’immagine in una matrice bidimensionale (2D) di numeri in cui ad ogni elemento corrisponde l’intensità su di un pixel del CCD. L’utente seleziona la regione spaziale in cui sono presenti le frange e ruota l’immagine in modo da orientare le frange orizzontalmente. Per far ciò il programma ruota la matrice 2D e ne seleziona una sottomatrice che viene visualizzata nel grafico ROI (in inglese abbreviazione per Region Of Interest) mostrato in figura 5.8. 61 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.7: Algoritmo semplificato di estrazione della fase. Si supponga di avere un profilo di intensità spaziale cosinusoidale a meno di una costane g(x) = I0 cos (ω0 x + ϕ) + Ib , con ω0 frequenza spaziale della cosinusoide. 1) Trasformando secondo Fourier si ottiene F{g(x)} = G(ω) = Ib δ0 + I0 · (δ(ω + ω0 ) exp −iϕ + δ(ω − ω0 ) exp +iϕ). 2) Traslando la funzione di ω0 e filtrando passa basso a frequenza ωc = ω0 /2 si ottiene L(ω) = Gc (ω + ω0 ) = I0 /2 · δ0 exp iϕ. 3) antitrasformando quest’ultima si ottiene F −1 {L(ω)} = l(x) = I0 /2 exp iϕ. Infine estraendo da l(x) la fase si ottiene ϕ. Figura 5.8: Schermata del programma in cui vengono visualizzati l’ immagine registrata dalla webcam Live e la ROI. 62 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO A questo punto viene effettuata l’integrazione dell’immagine lungo la direzione orizzontale sommando tutti gli elementi di ogni riga a dare i nuovi elementi del vettore che viene mostrato nel grafico SPATIAL INTENSITY in figura 5.9. Il programma opera la trasformata di Fourier veloce (in inglese Fast Fourier Figura 5.9: Schermata del programma in cui vengono visualizzati l’intensità spaziale (SPATIAL INTENSITY ) l’intensità spettrale (SPECTRUM MODULE ), la fase (Spatial phase) e le variazioni di fase nel tempo (Phase variation). Transform, FFT) del vettore generando un vettore di numeri complessi; il modulo di questo vettore viene mostrato nel grafico SPECTRUM MODULE che mostra l’intensità spettrale del profilo spaziale. A questo punto l’utente è in grado di riconoscere il picco associato alle frange di interferenza che viene selezionato con una finestra e traslato nell’origine regolando tre controlli numerici (WINDOW in figura). Per far ciò il programma seleziona un sottoinsieme del vettore e lo trasla ad inizio vettore. Il programma effettua la FFT inversa del vettore ottenuto a dare un nuovo vettore di numeri complessi; ogni elemento viene scomposto nelle componenti polari ed il vettore delle fasi viene mostrato nel grafico spatial phase. La fase viene mostrata a meno di multipli di 2π. Da quest’ultimo vettore l’utente seleziona un singolo elemento. All’avvio della misura il valore dell’elemento viene posto a zero e le sue variazioni vengono monitorate al variare del tempo su di un apposito grafico phase 63 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI variation che di fatto misura lo sfasamento dell’interferometro ϕ. Stabilizzazione di tipo PID All’avvio il programma apre la comunicazione con il PZT. La stabilizzazione dello sfasamento avviene eseguendo un ciclo iterativo: Ad ogni ciclo lo sfasamento viene registrato ed un regolatore muove il (PZT). Nel regolatore PID lo spostamento s al tempo tk è dato dalla somma di tre contributi: s(tk ) = sP + sI + SD • uno proporzionale allo sfasamento registrato nel ciclo attuale: sP = P · ϕ(tk ); • uno proporzionale all’integrale dello sfasamento cioè proporzionale al valore medio degli ultimi N sfasamenti registrati (N scelto dall’ utente): sI = I · Pk k−N −1 ϕ(ti ) N ; • ed uno proporzionale alla derivata dello sfasamento cioè proporzionale alla differenza tra il valore attuale e quello precedente dello sfasamento: sI = I · (ϕ(tk ) − ϕ(tk−1 )). L’utente esegue la taratura dei coefficienti P, I e D basandosi sul miglioramento dal valore quadratico medio (RMS) dello sfasamento ϕ: s ϕRM S = Pk 2 k−N −1 ϕ (ti ) N . Stabilizzazione di tipo Relè Nel regolatore di tipo relè il regolatore ha una caratteristica spostamentosfasamento del tipo: “relè senza isteresi con zona morta” [25]. L’utente sceglie un valore di soglia ϕth allo sfasamento: se lo sfasamento è inferiore in modulo alla soglia allora il PZT rimane fermo (zona morta), se lo sfasamento supera la soglia in modulo il PZT viene mosso con uno scatto 64 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO fisso sth (oppure −sth ) generando un effetto di sfasamento opposto. Lo scatto fisso sth corrisponde allo spostamento necessario ad imporre uno sfasamento pari a ϕth . In questo modo, per variazioni molto più lente del tempo di esecuzione di un ciclo, lo scatto fisso porta lo sfasamento a zero. In formule: sth = − λ · ϕth ∼ = −50ϕth , 4π dove sth è espresso in nm e ϕth è espresso in radianti. Anche per questo regolatore la taratura di ϕth viene effettuata dall’utente osservando il ϕRM S . 5.2.1.3 Misure Le prime misure sono state effettuate in assenza di stabilizzazione per caratterizzare la stabilità intrinseca dell’interferometro. Nella figura 5.10.a è mostrata una misura della fase ϕ della durata di 18 ore: in questa è visibile una deriva lenta della fase, con andamento circa lineare nel tempo, che raggiunge il valore massimo di ϕ ∼ = 7rad (a cui corrisponde un ritardo τ = 2.35fs). Questo andamento non è spiegabile come un effetto termico poiché non presenta la periodicità giornaliera dell’andamento della temperatura nel laboratorio e può essere attribuito a qualche effetto di lento rilassamento meccanico dei montaggi degli specchi o della telecamera. Se si osserva l’ andamento della fase su tempi più brevi (un’ ora in figura 5.10.b) si distinguono oscillazioni con ampiezze dell’ordine di 0.3 radianti su tempi di pochi minuti. Per tempi di osservazione ancora più brevi (cinque minuti in figura 5.10.c) si osserva un andamento circa costante a cui è sovrapposto un rumore di tipo bianco (cioè a media zero ed incorrelato per tempi maggiori o uguali al tempo di campionamento). Da questa ed altre misure con caratteristiche simili risulta dunque necessaria la stabilizzazione dell’interferometro. Le misure prese con il sistema di stabilizzazione in funzione mostrano un evidente miglioramento della stabilità dell’interferometro con una soppressione degli effetti di lenta deriva e delle oscillazioni. Il programma di stabilizzazione con regolatore di tipo Relè ha mostrato migliori prestazioni (cioè migliori ϕRM S ) rispetto al programma con regolatore 65 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.10: Misura della fase dell’interferometro della durata di 18 ore (a). Sono presenti 2 ingrandimenti per mostrare l’andamento della fase su di un ora (b) e su cinque minuti (b). I due riquadri in nero indicano la regione ingrandita. 66 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO di tipo PID. In figura 5.11 sono mostrate due misure di 18 ore effettuate con i due diversi regolatori. Nel caso del regolatore a relè si è ottenuto un ϕRM S pari ad 86 mrad (a cui Figura 5.11: Misure della fase stabilizzata dell’interferometro della durata di 18 ore con regolatore di tipo relè (a) e PID (b). corrisponde τ = 29 as) ponendo il valore di soglia dello sfasamento a ϕth =50 mrad. Nel caso del regolatore PID si è ottenuto un ϕRM S pari a 134 mrad (a cui corrisponde τ = 45 as); dalla taratura dei coefficienti si è ottenuto un 67 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI coefficiente dell’azione derivativa D nullo. Nei regolatori PID l’azione derivativa ha la funzione di anticipare l’andamento dell’errore negli istanti futuri ma nel nostro caso la differenza di fase tra due campioni consecutivi è un valore aleatorio che non permette di “prevedere” l’andamento dello sfasamento come evidente falla figura 5.10.c. Il peggioramento delle prestazioni nel sistema PID può essere imputato alla frequenza eccessiva delle sollecitazioni del PZT. Nel regolatore PID vi è infatti una movimentazione continua (cioè ad ogni ciclo di durata 80 ms) del PZT anche per valori molto piccoli dello sfasamento (20mrad) imputabili ad oscillazioni meccaniche di vario genere più che ha un valore errato della tensione sul PZT. Dalle misure di stabilità è anche visibile un lieve peggioramento delle prestazioni dopo qualche ora di esercizio. Questo peggioramento è stato attribuito ad una variazione a fine giornata del regime di funzionamento del sistema di condizionamento del laboratorio poiché l’orario in cui si osserva il peggioramento coincide con l’orario in cui si interrompe il lavoro in laboratorio. In questo orario vengono spenti diversi macchinari e si ha dunque una riduzione del carico termico ed una conseguente variazione del regime di condizionamento. 5.2.2 Sistema di stabilizzazione integrato 5.2.2.1 Apparato sperimentale Dopo aver verificato la possibilità di realizzare un sistema di stabilizzazione interferometrica con gli strumenti a nostra disposizione si è integrato tale sistema nell’interferometro della linea XUV descritto nella sezione 4.2, l’apparato sperimentale è mostrato in figura 5.12. Per quanto riguarda l’interferometro si è cercato di ridurre al minimo le modifiche sul setup originario (figura 4.4) per lavorare su di un sistema il più possibile simile a quello che si utilizza negli esperimenti. Le uniche modifiche sono state: • l’estrazione del filtro in alluminio per permettere il passaggio del fascio He:Ne sul ramo di pompa; • la sostituzione dello specchio forato con un beam-splitter (riflettività R=50%) per facilitare la ricombinazione dei fasci. 68 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO Figura 5.12: Schema del sistema di stabilizzazione integrato nella linea XUV. Per simulare al meglio le condizioni di lavoro che si hanno durante gli esperimenti XUV si è fatto propagare il fascio IR così da non trascurare eventuali effetti termici (si ricorda che il fascio IR ha una potenza media di circa 10 W). Per il sistema di stabilizzazione si sono utilizzati gli stessi strumenti del setup preparatorio cioè il laser He:Ne stabilizzato in frequenza e lo stage di traslazione PZT, già presente nella camera di generazione. Prima di essere immesso nell’interferometro, il fascio laser He:Ne viene ingrandito di un fattore 7.5 con un telescopio composto da una lente divergente (distanza focale fd = 40cm) e da una lente convergente (distanza focale fc = 3m); in questo modo si ottengono dimensioni paragonabili dei fasci IR ed He:Ne. Una porzione del fascio He:Ne viene immessa sul percorso del fascio IR sfruttando la riflessione di una sottile lamina di vetro già presente nel setup originario per la compensazione della dispersione dopo i chirped mirrors. Dopo essere stato immesso il fascio He:Ne propaga collinearmente al fascio IR e percorre i due rami dell’interferometro fino a ricombinare sul beam 69 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI splitter. Il fascio trasmesso (del ramo di sonda) e quello riflesso (dal ramo di pompa) vengono riflessi dallo specchio S1 verso gli specchi S2 ed S3 rispettivamente, questi deviano i fasci verso una finestra di uscita in fused silica. Attraversata la finestra i due fasci attraversano un chopper ottico ed un filtro dielettrico selettivo che estinguono la radiazione IR; infine raggiungono la telecamera dove vengono registrate le frange di interferenza prodotte. Per poter visualizzare le frange di interferenza dell’He:Ne è necessario estinguere la radiazione IR poiché il fascio IR è circa 6 ordini di grandezza più intenso e porterebbe al danneggiamento o comunque alla saturazione del CCD. Il filtro dielettrico selettivo (thorlabs FLH6333-5) trasmette il fascio IR (trasmissività T=95%) ed attenua fortemente il fascio IR (T<10−4 ). E’ dunque utile ad attenuare la radiazione IR diffusa ma inefficace a filtrare la radiazione diretta; per questo è necessario utilizzare un chopper che blocca meccanicamente tutta la radiazione diretta. E’ stato utilizzato un chopper ottico (Thorlabs MC2000) con frequenza massima di rotazione 100 Hz su cui è stato montato un disco a 100 lame così da consentire una frequenza di modulazione di 10 kHz, pari alla frequenza di ripetizione degli impulsi IR. Va ricordato che i fasci non sono collimati ma hanno una divergenza dovuta alla riflessione dagli specchi toroidale e forato; in particolare il punto di fuoco dei fasci precede di poco il chopper e dunque la dimensione dei fasci al passaggio dal chopper è inferiore alla dimensione delle lame del disco ed è possibile bloccare completamente gli impulsi IR. Dunque lame adiacenti bloccano impulsi consecutivi Il controllo elettronico del chopper dispone di un ingresso analogico di trigger che permette di sincronizzare la frequenza di rotazione con un segnale esterno di riferimento. Nel nostro caso si è utilizzato il segnale di tensione da un fotodiodo che rivela il passaggio degli impulsi IR da una perdita di un chirped mirror. Il controllo elettronico del chopper inoltre permette di regolare finemente un ritardo di di fase tra il segnale di riferimento e la rotazione del disco; regolando questa fase è stato possibile eliminare completamente la radiazione IR e visualizzare le frange di interferenza utili alla stabilizzazione come mostrato in figura 5.13. 70 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO Figura 5.13: Estinzione della radiazione IR mediante chopper. Regolando il ritardo di fase φ tra il segnale di riferimento e la rotazione del disco è possibile estinguere completamente la radiazione IR. (a) Per φ = 0◦ la radiazione IR non viene bloccata e porta il CCD a saturazione. (b) Per φ = 90◦ la radiazione IR viene bloccata ed è possibile visualizzare le frange di interferenza che vengono ingrandite e ruotate per l’estrazione della fase (c). 71 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI 5.2.2.2 Misure Le misure sono state prese tenendo entrambe le camere in vuoto per riprodurre le condizioni che si hanno durante gli esperimenti con radiazione XUV. Il programma di estrazione della fase e stabilizzazione è lo stesso che si è utilizzato per le misure sul setup preparatorio descritto nella sezione 5.2.1. Le prime misure, prese in assenza di stabilizzazione per caratterizzare il comportamento dell’interferometro, mostrano grandi sfasamenti ed indicano dunque la necessità di un sistema di stabilizzazione. In figura 5.14 sono mostrate due misure dello sfasamento ϕ di 24 e 48 ore rispettivamente. Nella misura di 24 ore si misura una deriva della fase con andamento lineare Figura 5.14: Misure dello sfasamento dell’interferometro. a) Misura di 24 ore presa appena dopo l’accensione delle turbo-pompe. b) Misura di 48 ore presa a pressione di regime raggiunta. nel tempo che raggiunge il valore massimo di ϕ ∼ = 100 rad (a cui corrisponde τ = 33.6 fs)con una pendenza di circa 4 rad/h. Questa misura è stata avviata pochi minuti dopo l’accensione delle turbo-pompe: è dunque possibile ipotizzare che questo grande sfasamento sia dovuto ad un lento assestarsi meccanico delle camere. Nella misura di 48 ore si ha un andamento più irregolare con tratti ad elevate 72 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO pendenze (7 rad/h) e tratti più o meno costanti: questa misura è stata presa due giorni dopo la messa in vuoto. Successivamente è stata presa una misura di 24 ore con stabilizzazione attiva con regolatore di tipo relè in assenza del fascio IR (figura 5.15). Come evidente dalla figura si sono ottenute ottime prestazioni di stabilità Figura 5.15: Misura dello sfasamento dell’interferometro della durata di 24 ore, in vuoto, con regolatore di tipo relè in assenza del fascio IR. con ϕRM S = 81 mrad ponendo il valore di soglia dello sfasamento a ϕth = 50 mrad. Osserviamo inoltre che rispetto alle misure di stabilità in aria non è visibile il peggioramento delle prestazioni nell’orario di interruzione del lavoro in laboratorio: essendo il sistema in vuoto questo avvalora la nostra ipotesi che il peggioramento fosse imputabile alla variazione del regime di flusso dell’aria. Infine sono state effettuate alcune misure in presenza del fascio IR utilizzando il chopper per estinguere la radiazione IR; anche in questo caso la stabilizzazione è stata raggiunta e si sono ottenute prestazioni lievemente peggiori rispetto a quelle prese in assenza del fascio IR. In figura 5.16 è mostrata una misura di un’ ora, in vuoto, in presenza del fascio IR. In questa misura si è utilizzato un regolatore di tipo relè con valore di soglia dello sfasamento ϕth = 100 mrad e si è misurato un ϕRM S = 116 mrad (a cui corrisponde τ = 39 as). 5.2.3 Estrazione del fascio He:Ne e filtraggio del fascio IR L’apparato di stabilizzazione illustrato nella sezione precedente non è utilizzabile negli esperimenti con impulsi XUV a causa delle due modifiche effettuate 73 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.16: Misura dello sfasamento dell’interferometro della durata di circa un’ ora, in vuoto, con regolatore di tipo relè in presenza del fascio IR estinto dal chopper. sull’interferometro per le misure XUV pump-IR probe (in figura 4.4): 1. L’estrazione del filtro di alluminio non permette di estinguere la radiazione IR che propagherebbe nel REMI pregiudicando misure con impulsi XUV, d’altro canto la presenza del filtro non permette di estrarre il fascio He:Ne per la stabilizzazione. 2. La sostituzione dello specchio forato con un beam-splitter blocca il passaggio del fascio XUV nel REMI poiché la radiazione XUV è fortemente assorbita dai materiali dielettrici. Per entrambi i problemi sono state studiate delle soluzioni tecnologiche che verranno descritte nel capitolo conclusivo di questa tesi. In questa sezione vengono presentate alcune misure da cui si è ipotizzata una soluzione al problema dell’estrazione del filtro di alluminio. Prima di mostrare lo schema con cui sono state prese le misure è utile descrivere in dettaglio la geometria dell’interferometro e le dimensioni dei fasci nella zona in cui è presente il filtro. Il fascio XUV dopo la celletta di generazione ha una dimensione di circa 2 mm ed una divergenza di circa (4 mrad), propagandosi si allarga fino ad occupare quasi per intero la superficie riflettente dello specchio toroidale. Il fascio IR e d il fascio di He:Ne vengono focalizzati nella cella da uno specchio sferico dopodiché propagano collinearmente al fascio XUV divergendo; quando incontrano il toroidale hanno una dimensione maggiore dello specchio dunque solo una porzione viene riflessa mentre la parte restante propaga senza deviazioni (diremo che viene “trasmessa” dal toroidale). Una possibile soluzione al problema del filtraggio dell’IR sarebbe dunque 74 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO quella di estinguere con il filtro solo la porzione riflessa dal toroidale ed utilizzare la parte trasmessa per la stabilizzazione dell’interferometro. Il problema è che in questo modo viene stabilizzato un interferometro diverso da quello con cui si effettuano le esperimenti XUV poiché il fascio di pompa non passa per il toroidale; dunque variazioni della posizione del toroidale non possono essere rivelate e corrette. Da ora in avanti indicheremo con interferometro di misura il setup ottico in cui i fasci IR ed He:Ne vengono riflessi dal toroidale e con interferometro di stabilizzazione il setup ottico in cui i fasci non vengono intercettati dal toroidale. Nel caso in cui i due interferometri differiscano per un solo elemento ottico (cioè il toroidale) è ragionevole ipotizzare che il loro sfasamento relativo sia esiguo e dunque sia possibile stabilizzare l’interferometro di misura rivelando la fase dell’interferometro di stabilizzazione. Per avvalorare questa ipotesi si sono confrontate misure di fase effettuate contemporaneamente su due interferometri, uno di misura ed uno di stabilizzazione, con l’apparato schematizzato in figura 5.17. L’interferometro di misura è invariato rispetto a quello originario tranne per la sostituzione dello specchio forato con il beam-splitter; il fascio dal ramo di sonda riflesso dal beam-splitter S R ed il fascio del ramo di pompa riflesso dal toroidale S R vengono ricombinati dal beam-splitter ed escono da una finestra (dove negli esperimenti si affaccia il REMI) ed incidono su di una telecamera. L’interferometro di stabilizzazione ricombina il fascio del ramo di pompa trasmesso dal toroidale P T con il fascio del ramo di sonda trasmesso dal beam-splitter S T utilizzando tre specchi (S1, S2 ed S3). Le frange di interferenza vengono registrate da una seconda telecamera esterna alla camera di ricombinazione. Le due telecamere non sono state fissate al banco ottico per mancanza di spazio e sono state fissate ai sostegni della camera di ricombinazione e risultano solidali tra loro. Non è stato inoltre possibile far copropagare il fascio IR non disponendo di due chopper per l’estinzione della radiazione IR. Le due telecamere sono connesse a due computer che eseguono in parallelo il programma di misura e stabilizzazione della fase. La comunicazione con lo stage di traslazione PZT avviene solo con il computer che misura la fase dell’interferometro di stabilizzazione. 75 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.17: Schema dell’apparato sperimentale su cui son state effettuate le misure di fase contemporanee dei due interferometri. L’interferometro di stabilizzazione ricombina il fascio di pompa trasmesso dal toroidale P T con il fascio di sonda trasmesso dal BS S T . L’interferometro di misura ricombina il fascio di pompa riflesso dal toroidale P R con il fascio di sonda riflesso dal beam-splitter S R . Per una maggiore leggibilità dell’immagine i fasci dei rami di pompa e sonda sono stati colorati di blu e rosso; il fascio di pompa riflesso dal toroidale e dal beam-splitter non è rappresentato e, negli esperimenti, è stato bloccato. 76 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO Una prima misura di 12 ore effettuata in assenza di stabilizzazione è mostrata in figura 5.18. L’evoluzione della fase dei due interferometri ha all’incirca lo stesso andamen- Figura 5.18: Misura di fase di 12 ore in assenza di stabilizzazione. La fase dell’interferometro di misura (in rosso) ha un andamento simile alla fase dell’interferometro di stabilizzazione (in blu). to temporale: lo sfasamento relativo tra i due interferometri è trascurabile per le prime due ore e poi cresce con andamento circa lineare fino a raggiungere il valore massimo di ∆ϕ ∼ =3.5 rad (a cui corrisponde τ = 1.17 fs). Una seconda misura della durata di circa 60 ore è stata effettuata stabilizzando l’interferometro di stabilizzazione con un regolatore di tipo relè ponendo ϕth = 100 mrad. La misura è mostrata nelle figura 5.19. Dalla misura si osserva che l’interferometro di stabilizzazione è ben stabilizzato con ϕRM S =84 mrad mentre l’interferometro di misura presenta uno sfasamento che raggiunge il suo valore massimo di circa 3.5 radianti dopo circa tre ore dopodiché diminuisce fino ad annullarsi a fine misura. Da queste due misure risulta un evidente miglioramento della stabilità dell’interferometro di misura pur stabilizzando l’interferometro di stabilizzazione. Va inoltre sottolineato che lo sfasamento relativo tra i due interferometri non può essere imputato esclusivamente all’assenza del toroidale nell’interferometro di stabilizzazione, vi sono infatti altre differenze che possono peggiorare le prestazioni: • le telecamere non sono montate sul banco ottico e dunque non sono solidali con gli interferometri: uno spostamento tra il banco ottico e la 77 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI Figura 5.19: Misure di fase di 60 ore effettuate stabilizzando l’interferometro di stabilizzazione. a)Fase dell’interferometro di misura b)Fase dell’interferometro di stabilizzazione. 78 5.2. STABILIZZAZIONE DELL’ INTERFEROMETRO camera di ricombinazione può alterare diversamente le misure di fase dei due interferometri; • nell’interferometro di stabilizzazione sono presenti tre nuovi elementi ottici: di cui uno comune ai due rami (S1) e due disposti su rami diversi (lo specchio S2 e lo specchio S3); • l’interferometro di stabilizzazione non risente di spostamenti del beamsplitter poiché questo viene attraversato in trasmissione. E’ dunque plausibile supporre che lo sfasamento relativo tra i due interferometri diminuisca ulteriormente eliminando alcune di queste differenze. 79 CAPITOLO 5. RISULTATI SPERIMENTALI 80 Conclusioni e prospettive future In questo lavoro di tesi si è sviluppato un sistema di stabilizzazione del ritardo di un interferometro per esperimenti pump-probe ad attosecondi. Nella prima parte del lavoro sperimentale sono state effettuate misure con il reaction microscope di oscillazioni dell’intensità delle sidebands nell’argon al variare del ritardo dell’interferometro. Le misure del periodo delle oscillazioni presenta grandi discostamenti dal valore atteso1 . Con queste misure si è caratterizzata la stabilità dell’interferometro sfruttando un fenomeno fisico ben noto che lega il ritardo tra i due rami dell’interferometro all’intensità delle sidebands. Da queste misure è emersa una forte instabilità interferometrica che compromette la possibilità di effettuare misure in coincidenza di elettroni e ioni in cui sono richiesti tempi lunghi di acquisizione. Nella seconda parte del lavoro sperimentale è stato progettato e realizzato un sistema di controllo del ritardo in anello chiuso in cui lo sfasamento tra i due rami viene misurato e controllato attraverso uno stage di traslazione PZT che varia la lunghezza di uno dei due rami dell’interferometro. Lo sfasamento viene misurato facendo copropagare un fascio laser He:Ne nell’interferometro, questo fascio viene successivamente estratto e lo sfasamento viene stimato dall’analisi delle frange di interferenza prodotte. Il sistema di stabilizzazione ha dimostrato ottime prestazioni controllando il ritardo entro un valore quadratico medio di circa 40 as per lunghi tempi di esercizio (circa un’ ora). Il sistema di stabilizzazione integrato nell’interferometro non è attualmente 1 Ben noto da previsioni teoriche e numerose dimostrazioni sperimentali 81 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE utilizzabile in esperimenti con impulsi XUV a causa di due modifiche effettuate sull’interferometro originario: 1. L’estrazione del filtro di alluminio non permette di estinguere la radiazione IR che propagherebbe nel REMI pregiudicando misure con impulsi XUV, d’altro canto la presenza del filtro non permette di estrarre il fascio He:Ne per la stabilizzazione. 2. La sostituzione dello specchio forato con un beam-splitter blocca il passaggio del fascio XUV nel REMI poiché la radiazione XUV è fortemente assorbita dai materiali dielettrici. Per quanto riguarda il primo problema è stata proposta una soluzione tecnologica basata sull’utilizzo di un particolare filtro in alluminio che estingue solo la porzione del fascio IR-He:Ne riflessa dal toroidale permettendo di utilizzare la porzione trasmessa per la stabilizzazione dell’interferometro. L’ipotesi che la stabilizzazione dell’interferometro sia possibile attraverso la misura dello sfasamento di un secondo interferometro che differisce dal primo per un singolo elemento ottico è stata verificata da misure di fase contemporanee sui due interferometri. Sulla base di queste misure è stato progettato un apposito filtro costituito da un disco forato in fused silica (che permette il passaggio del fascio IR-He:Ne) nel cui foro è posto il filtro in alluminio che permette il passaggio del fascio XUV riflesso dal toroidale (vedi figura 5.20). Il filtro progettato verrà presto commissionato all’azienda LUXEL che si è detta in grado di realizzarlo. Il secondo problema verrà risolto utilizzando uno specchio a due fori perpendicolari , uno per il passaggio della radiazione XUV ed uno per il passaggio del fascio IR-He:Ne (vedi figura 5.21) Questo secondo elemento ottico è già stato ordinato e verrà presto introdotto nell’apparato sperimentale. La prosecuzione del lavoro presentato sarà dunque l’introduzione dei due nuovi elementi ottici progettati per poi effettuare misure in coincidenza di elettroni e ioni con il sistema di stabilizzazione in funzione. Sarà inoltre necessaria una modifica del programma di stabilizzazione che oltre ad occuparsi della stabilizzazione dovrà effettuare la scansione del ritardo attraverso la movimentazione del PZT. Un possibile approcio, che comporta minime modifiche al programma, è quello di fornire al programma un segnale di riferimento che descrive l’andamento desiderato dello sfasamen82 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE Figura 5.20: Speciale filtro in alluminio. Il disco forato in fused silica ha diametro esterno D pari ad un pollice e diametro interno d pari a 2 mm. Nel foro è posto il filtro in alluminio (spessore 200 nm). Figura 5.21: Specchio a due fori perpendicolari. L’asse dei fori sono paralleli alla normale alla superficie con cui formano un angolo di 45 gradi. Lo specchio ha diametro D pari ad un pollice ed i fori hanno diametro d pari a 3 mm. 83 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE to dell’interferometro. Facendo riferimento al programma di stabilizzazione presentato nella sezione 5.2.1, lo spostamento del PZT non dovrebbe più dipendere esclusivamente dallo sfasamento registrato ϕ(tk ) ma da un nuovo termine ϕ0 (tk ) = ϕ(tk )−ϕR (tk ) dove ϕR (tk ) è lo sfasamento di riferimento inserito dall’utente. 84 Ringraziamenti Si suol dire che non si finisce mai di imparare e che gli esami non finiscono mai. E’ sicuramente vero eppure io credo ci sia un età per apprendere e ricevere ed un età per restituire e donare. Da tempo sento che è l’ora di questo passaggio; sono dunque più che mai soddisfatto di aver portato a termine i miei studi universitari. Questa tesi di laurea è il felice traguardo di un percorso a tratti faticoso lungo cui son stato supportato e consigliato da diversi uomini e donne che in queste righe intendo ringraziare. Grazie Giuseppe Sansone per avermi sempre dedicato tutto il tempo necessario nonostante i tuoi numerosi impegni. Mi hai mostrato quanto passione e pazienza siano necessarie a condurre la vita del ricercatore. Per questo ti stimo. Grazie Maurizio Reduzzi per essermi stato sempre vicino durante il lavoro sperimentale. I numerosi silenzi che precedono le tue risposte mi hanno insegnato quanto sia importante pensare con calma e concentrazione prima di far muovere la lingua. Grazie Maz per avermi aiutato tanto con latek e con quasi ogni questione burocratica che mi si è parata davanti...ce l’abbiamo fatta! Grazie Cama per avermi aiutato con i grafici con illustator...che bravo uaglione! Grazie coinquilini per esservi presi cura della casa in queste ultime settimane che ho vissuto nell’incuria più totale. Grazie Scacchi per aver sempre stimato i miei studi, mi hai dato forza...vamos a la playa! Grazie Simo per avermi sempre ascoltato nei momenti di sfaso in particolare quelli dell’anno scorso...prosit! Grazie Riccà per avermi spronato con le tue provocazioni beffarde tipiche del tuo carattere delizioso...per fortuna che c’è il riccardo! Grazie Junz per essermi stato sempre così vicino pure da altre città...grazie cumpà! Grazie Giggi, mi hai sempre preceduto di un passo in questo mio percorso e mi hai fatto da apripista...il ferro di Morbegno! 85 RINGRAZIAMENTI Grazie De per aver sopportato il mio umore stanco e lamentoso di quest’ultimo mese. Mi hai regalato momenti di stacco totale riportandomi alla realtà...per aspera ad astra! Grazie Laura per essere stata con noi in questi anni, ci hai dato un aiuto inestimabile. Grazie Lu. Sei sempre stata un punto di riferimento, grazie anche per avermi dissuaso dal seguire le mie inclinazioni più strambe ed inconcrete spesso frutto di noia. Grazie Pa e Grazie Ma per essermi stato dietro in questo percorso formativo che iniziò circa vent’anni fa, il primo giorno di scuola elementare. Vi ho dato a volte delusioni e preoccupazioni, voi mi avete restituito fiducia: così sono arrivato al traguardo. Grazie nonna Lina e nonna Ida per aver sempre dato tanto valore ai miei studi. Un valore che va ben oltre il tornaconto economico. Un valore che riconoscete con saggezza. 86 Bibliografia [1] P. B. Corkum, “Plasma perspective on strong field multiphoton ionization,” Phys. Rev. Lett., vol. 71, pp. 1994–1997, Sep 1993. [2] M. Negro, “Tesi di dottorato,” Politecnico di Milano, 2013. [3] M. Lewenstein, P. Balcou, M. Y. Ivanov, A. L’Huillier, and P. B. Corkum, “Theory of high-harmonic generation by low-frequency laser fields,” Phys. Rev. A, vol. 49, pp. 2117–2132, Mar 1994. [4] M. V. Ammosov, N. B. Delone, and V. P. Krainov, “Tunnel ionization of complex atoms and atomic ions in electromagnetic field,” Proc. SPIE, vol. 0664, pp. 138–141, 1986. [5] M. Protopapas, D. G. Lappas, C. H. Keitel, and P. L. Knight, “Recollisions, bremsstrahlung, and attosecond pulses from intense laser fields,” Phys. Rev. A, vol. 53, pp. R2933–R2936, May 1996. [6] T. Brabec and F. Krausz, “Intense few-cycle laser fields: Frontiers of nonlinear optics,” Rev. Mod. Phys., vol. 72, pp. 545–591, Apr 2000. [7] M. Nisoli, S. De Silvestri, and O. Svelto, “Generation of high energy 10 fs pulses by a new pulse compression technique,” Applied Physics Letters, vol. 68, no. 20, pp. 2793–2795, 1996. [8] Z. Chang, Fundamentals of attosecond optics. CRC Press, 1st ed., 2010. [9] D. J. Jones, S. A. Diddams, J. K. Ranka, A. Stentz, R. S. Windeler, J. L. Hall, and S. T. Cundiff, “Carrier-envelope phase control of femtosecond mode-locked lasers and direct optical frequency synthesis,” Science, vol. 288, no. 5466, pp. 635–639, 2000. [10] A. Baltuška, T. Udem, M. Uiberacker, M. Hentschel, E. Goulielmakis, C. Gohle, R. Holzwarth, V. Yakovlev, A. Scrinzi, T. Hänsch, et al., “Attosecond control of electronic processes by intense light fields,” Nature, vol. 421, no. 6923, pp. 611–615, 2003. 87 BIBLIOGRAFIA [11] M. Ivanov, P. Corkum, T. Zuo, and A. Bandrauk, “Routes to control of intense-field atomic polarizability,” Physical review letters, vol. 74, no. 15, p. 2933, 1995. [12] M. Nisoli and G. Sansone, “New frontiers in attosecond science,” Progress in Quantum Electronics, vol. 33, no. 1, pp. 17–59, 2009. [13] V. Strelkov, A. Zaïr, O. Tcherbakoff, R. López-Martens, E. Cormier, E. Mével, and E. Constant, “Single attosecond pulse production with an ellipticity-modulated driving ir pulse,” Journal of Physics B: Atomic, Molecular and Optical Physics, vol. 38, no. 10, p. L161, 2005. [14] G. Sansone, E. Benedetti, F. Calegari, C. Vozzi, L. Avaldi, R. Flammini, L. Poletto, P. Villoresi, C. Altucci, R. Velotta, et al., “Isolated single-cycle attosecond pulses,” Science, vol. 314, no. 5798, pp. 443–446, 2006. [15] P. . M. Paul, E. Toma, P. Breger, G. Mullot, F. Augé, P. Balcou, H. Muller, and P. Agostini, “Observation of a train of attosecond pulses from high harmonic generation,” Science, vol. 292, no. 5522, pp. 1689– 1692, 2001. [16] M. Hentschel, R. Kienberger, C. Spielmann, G. Reider, N. Milosevic, T. Brabec, P. Corkum, U. Heinzmann, M. Drescher, and F. Krausz, “Attosecond metrology,” Nature, vol. 414, no. 6863, pp. 509–513, 2001. [17] M. Drescher, M. Hentschel, R. Kienberger, M. Uiberacker, V. Yakovlev, A. Scrinzi, T. Westerwalbesloh, U. Kleineberg, U. Heinzmann, and F. Krausz, “Time-resolved atomic inner-shell spectroscopy,” Nature, vol. 419, no. 6909, pp. 803–807, 2002. [18] R. Kienberger, E. Goulielmakis, M. Uiberacker, A. Baltuska, V. Yakovlev, F. Bammer, A. Scrinzi, T. Westerwalbesloh, U. Kleineberg, U. Heinzmann, et al., “Atomic transient recorder,” Nature, vol. 427, no. 6977, pp. 817–821, 2004. [19] G. Sansone, F. Kelkensberg, J. Pérez-Torres, F. Morales, M. Kling, W. Siu, O. Ghafur, P. Johnsson, M. Swoboda, E. Benedetti, et al., “Electron localization following attosecond molecular photoionization,” Nature, vol. 465, no. 7299, pp. 763–766, 2010. [20] A. Fischer, A. Sperl, P. Cörlin, M. Schönwald, H. Rietz, A. Palacios, A. González-Castrillo, F. Martín, T. Pfeifer, J. Ullrich, et al., “Electron localization involving doubly excited states in broadband extreme ultraviolet ionization of h 2,” Physical review letters, vol. 110, no. 21, p. 213002, 2013. 88 BIBLIOGRAFIA [21] J. Ullrich, R. Moshammer, A. Dorn, R. Dörner, L. P. H. Schmidt, and H. Schmidt-Böcking, “Recoil-ion and electron momentum spectroscopy: reaction-microscopes,” Reports on Progress in Physics, vol. 66, no. 9, p. 1463, 2003. [22] M. Reduzzi, “Tesi di laurea,” Politecnico di Milano, 2011. [23] E. Henke, B.L. Gullikson and J. Davis, “X-ray interactions: photoabsorption, scattering, transmission, and reflection,” Atomic Data and Nuclear Data Tables, 1993. [24] Adamczewski-Musch, “The go4 analysis framework introduction v4.4.,” Atomic Data and Nuclear Data Tables, 2009. [25] P. Bolzern, R. Scattolini, and N. Schiavoni, Fondamenti di controlli automatici, chapter 16. McGraw-Hill, 3rd ed., 2008. [26] T. Brabec and F. Krausz, “Nonlinear optical pulse propagation in the single-cycle regime,” Physical Review Letters, vol. 78, pp. 3282–3285, 1997. [27] O. Svelto, Principles of Lasers. Springer, 4th ed., 2010. [28] B. Sturman, M. Aguilar, F. Agulló-López, V. Pruneri, and P. G. Kazansky, “Photorefractive nonlinearity of periodically poled ferroelectrics,” J. Opt. Soc. Am. B, vol. 14, pp. 2641–2649, Oct 1997. 89