focus Il Sangiovese Secondo I Veroni di Theo Smith Non è passato molto tempo da quando, risalendo da Firenze il corso dell’Arno, si costeggiava un territorio fortemente agricolo, punteggiato dai primi insediamenti artigianali che poi si sono sempre più estesi. Oggi la strada statale che conduce a Pontassieve, è un percorso che conserva ancora un suo aspetto rurale, con grandi spazi coltivati e le antiche case coloniche sulle colline circostanti le valli dell’Arno e della Sieve. È il caso de I Veroni, l’azienda che dà il benvenuto al territorio del Chianti Rufina. Basta “girare l’angolo” e si entra in un mondo a parte: la fattoria di un tempo conserva la sua aia chiusa tra le mura della casa padronale e dei vari ambienti di lavoro contigui uno all’altro; la sovrastano le vigne che con i loro due diversi nuclei costituiscono il cuore produttivo della proprietà. Da qualche anno I Veroni hanno intrapreso un nuovo percorso grazie a Lorenzo Mariani, che dell’azienda è titolare e direttore: ad iniziare dagli anni ‘90 i venti ettari di vigna hanno visto il completo reimpianto e la progressiva conversione alla viticoltura 1 Artù n°70 Artù n°70 2 focus “Bevibilità ed eleganza..., Dal di fuori è difficile immaginare quello che racchiudono le mura dell’azienda. Fuori svincoli stradali, qualche insediamento artigianale, traffico cittadino. Dentro uno spazio conclusum e raccolto nascosto alla vista dalle mura color pastello intenso dei vari edifici; a terra lastre in pietra serena e poi conche di fiori, orci antichi, una panchina in pietra per gli ospiti, la facciata lineare e austera, così tanto toscana, della casa padronale di età settecen- biologica, certificata a partire dalla vendemmia 2013. Lorenzo Mariani negli anni si è costruito gli strumenti agronomici per produrre vini la cui personalità sia affidata ad equilibrio e piacevolezza quando giovani, a raffinata austerità quando più maturi. Perché anche la Rufina può essere molto Classica… La storia de I Veroni è molto antica, e al pari di tanti altri angoli di Toscana può vantare un suo passato feudale con tanto di torre di avvistamento che fu poi inglobata nel XVI secolo nella proprietà agricola della nobile famiglia toscana dei Gatteschi. I Veroni iniziarono allora un’altra vita ed ebbero in dote anche il loro nome, che sta ad indicare i terrazzamenti - di cui oggi ne è rimasto solo uno - sui quali venivano stese ad essiccare le foglie di tabacco. Con Lorenzo Mariani siamo alla quarta generazione: era il 1897 quando il bisnonno materno acquistò la grande proprietà che poteva contare su vari poderi e sulle classiche colture miste del tempo – dalla vite al grano, dal tabacco ai foraggi, agli olivi – che garantivano tutto quello che poteva necessitare alla pro- 3 Artù n°70 tesca. Sulla corte si affacciano i vari locali che senza cesure si susseguono e accanto alla sala di degustazione, che funge da salotto-libreria, si apre la cantina di maturazione dei vini, affidati a legni di piccole (barriques e tonneaux già utilizzati) e medie dimensioni (botti dai 12 ai 22 ettolitri), in modo da rispettare la “suscettibile” personalità del Sangiovese. Bastano cinque passi per raggiungere poi la cantina di vinificazione, rinnovata in parte una decina di anni fa, con vasche in inox termoregolate e tini in cemento dai colori arcobaleno, ai quali la sorte ha riservato una seconda giovinezza grazie alla loro capacità di mantenere costante la temperatura e ovviare così ai temibili blocchi di fermentazione. Bisogna infine salire al primo piano e raggiungere il sottotetto per scovare la vinsantaia, che accoglie una settantina di caratelli di varie dimensioni, dai 50 ai 100 litri, per uno dei prodotti più di nicchia dell’azienda. Alle pareti i vecchi cesti utilizzati durante la raccolta dell’uva, le bigonce e i barili in legno che i mezzadri riempivano di vino per portare a casa la loro spettanza mezzadrile e una grande foto del locale di appassimento ecco il mio Sangiovese...” dove le uve vengono intrecciate e lasciate ad appassire per vari mesi prima della pressatura. Tre sono i vini che esprimono appieno filosofia e spessore dell’azienda: I Veroni Chianti Rùfina, la Riserva, il Vinsanto. Per quanto riguarda il primo sono Sangiovese al 90% e per il resto Canaiolo e Colorino le uve che ne costituiscono il blend. La fermentazione sulle vinacce difficilmente supera i 10 giorni e avviene in vasche inox a temperatura controllata, sono poi botti in rovere di Slavonia da 25 ettolitri ad accogliere per un anno o poco più il futuro Chianti Rufina, che è un vino profumato, di una immediata piacevolezza e buona beva non disgiunta da una certa seriosità così tipica del Sangiovese. Sapido, giustamente tannico, con un gusto persistente, equilibrato, armonico. La produzione si aggira intorno alle 40-50 mila bottiglie. Solo Sangiovese del vigneto di San Martino a Quona è destinato a I Veroni Riserva: le uve fermentano a temperatura controllata per circa 15 giorni in vasche di cemento e dopo la svinatura il vino passa nel legno delle grandi botti di rovere di Slavonia dove si svolge anche la malolattica – e successivamente per circa 18 mesi in fusti di rovere francese da 500 e 225 litri tendenzialmente di secondo e terzo passaggio. L’affinamento in bottiglia, per circa un anno, esalta le caratteristiche di questo vino: pieno, vellutato, compatto, profondo e con una grande persistenza, un vero gioiello della sua denominazione, capace di lunghi invecchiamenti. La produzione varia tra le 20 e le 25 mila bottiglie. Completano la gamma dei vini de I Veroni Iveroni Rosé, da Sangiovese vinificato in bianco in acciaio a temperatura controllata, dove resta ulteriori sei mesi una volta svinato in modo da salvaguardarne freschezza e acidità. Quasi solo Malvasia Toscana è destinata al Bianco del Pianottolo, che punta tutto sulla freschezza che lo fa essere un piacevolissimo aperitivo. E infine l’Igt I Veroni Rosso, che ad un 60% di Sangiovese unisce vitigni non autoctoni - Merlot, Petit Verdot e Syrah – che contribuiscono in modo determinante alla sua morbidezza. È evidente, quindi, che la filosofia produttiva dell’azienda, a differenza di quello che è stato un percorso fortemente condiviso soprattutto nella Toscana di ieri, ha affidato la sua identità alla propria denominazione e all’uva che ne è vera interprete. Un Sangiovese che in questa area si distingue per finezza, bevibilità e vocazione al lungo invecchiamento. Merito dei terreni prevalentemente calcarei su cui viene allevato, dalla scelta oculata delle esposizioni, che non ha interessato le zone più fresche e meno assolate, dagli sbalzi termici tipici della zona di produzione che soprattutto in fase pre vendemmiale garantiscono buona acidità e finezza di profumi. Su quello che deve rappresentare e dire il suo Sangiovese, il produttore ha idee molto chiare. Dice infatti Lorenzo Mariani: “Non ho mai amato i vini troppo muscolosi o di difficile lettura, il mio Sangiovese si deve distinguere per bevibilità, eleganza, direi quasi semplicità, non deve cedere a eccessive morbidezze ma mostrarsi per quello che è, con il suo carattere anche austero che con il passare del tempo diventa seta e classe”. Basta avere la pazienza di attendere il 2016 e allora scoccheranno i venti anni dalla prima Riserva de I Veroni. Sarà il momento di mettere alla prova seta e classe. E infine l’Olio Extra Vergine di Oliva che già dalle confezioni dimostra quanto sia un prodotto amato. Le cultivar presenti in azienda – sia in un oliveto specializzato, sia in piante sparse su tutta la proprietà aziendale, per un totale di 4.000 olivi – sono Frantoio, Moraiolo e Leccino. Le olive sono raccolte manualmente per brucatura, a novembre, quando ancora non hanno raggiunto la completa maturazione e subito frante con procedimento meccanico a freddo. I tempi rapidissimi di trasformazione delle olive e l’impiego di un metodo di estrazione che non surriscalda la pasta permettono di mantenere integre le caratteristiche dell’extra vergine: intenso, profumato, elegante. Merita davvero un vestito speciale l’extra vergine de I Veroni e quanto sia prezioso lo dimostra in particolare la confezione più piccola, una piccola lattina da 0.250 kg, che lo rende protagonista importante e sembra proteggerlo al pari di un impareggiabile foie gras. prietà e ai suoi mezzadri. Erano i tempi del borgo rurale autosufficiente, non mancavano animali da cortile, il fabbro e il falegname con le loro botteghe prospicienti l’aia di fattoria avevano di che fare tutto il giorno, senza mai uscire dalla proprietà. In tempi più recenti divisioni ereditarie hanno portato ad un frazionamento e oggi I Veroni interessano 70 ettari di proprietà di cui 20 di vigna e circa trenta di oliveti. Quasi alla stessa altitudine dell’Arno, che scorre a due passi, è situata la sede aziendale; salendo sulla collina di San Martino a Quona, quasi abbracciati dai vigneti, ci sono gli appartamenti destinati all’agriturismo, frutto della ristrutturazione di una grande casa colonica. Lorenzo Mariani ha iniziato a vivere la vita dell’azienda nel 1996, dapprima facendola convivere con gli studi, poi a tempo pieno. Come distanza non ha dovuto fare molta strada, neanche dieci chilometri separano I Veroni dalla sua casa fiorentina; ma molta ne ha dovuta fare quanto alla formazione, visto che gli studi universitari lo avevano portato nelle aule di giurisprudenza. È stato senza dubbio Artù n°70 4 focus anche questo uno dei motivi che lo hanno fatto avvicinare con grande rispetto al lavoro portato avanti negli anni dalla sua famiglia, condividendo passioni e scelte che avevano dato una fisionomia precisa all’azienda. Il nonno Umberto, in particolare, era un grande sostenitore del Sangiovese “puro”, genuino, di grande piacevolezza e fin dal 1957 – siamo veramente nella notte dei tempi per la zona aveva deciso di mettere il suo Chianti Rufina in bottiglia con etichetta I Veroni. Ma poi, via via che la conoscenza della propria azienda si è fatta più profonda e l’urgenza di lasciare un segno sempre più pressante, non potevano mancare scelte di fondo che hanno disegnato un diverso profilo de I Veroni e che hanno interessato la nascita della prima Riserva dell’azienda, la conversione al biologico, le scelte circa i vasi vinari, i nuovi - vecchi sistemi adottati in vinsantaia. Siamo a soli dieci chilometri da Firenze, si diceva, proprio all’inizio del territorio di produzione del Chianti Rufina, la “sottozona” più piccola e più antica all’interno della grande famiglia dei Chianti: da una parte quindi la città e la Valle dell’Arno, 5 Artù n°70 quella climaticamente più calda; dall’altra la lunga valle che segue il corso della Sieve dove si rincorrono più numerose le vigne della denominazione. Dai circa 100 metri slm della sede aziendale, la proprietà de I Veroni raggiunge i 350 metri, dove in vetta c’è l’antica Pieve di San Martino a Quona che confina con i vigneti a maggiore altitudine. Sono due i nuclei vitati dell’azienda, ciascuno dei quali destinato ai due prodotti più importanti, il Chianti Rufina e la sua Riserva. Il vitigno principe a I Veroni non può che quindi essere il Sangiovese: a lui spettano 16 ettari e mezzo di vigna cui si aggiungono qualche filare di Canaiolo, Colorino, Malvasia e Trebbiano – due ettari in tutto - e piccoli spicchi di Merlot, Petit Verdot e Syrah, frutto di una sperimentazione di metà anni ‘90 le cui uve oggi confluiscono nei blend degli Igt dell’azienda. Il primo vigneto che si incontra è quello dedicato alla versione giovane del Chianti Rufina, completamente rinnovato negli anni ‘90, con 5.500 piante ad ettaro. Come altitudine si oscilla tra i 150 e i 250 metri slm e il terreno, in prevalenza calcareo e ricco in scheletro, raggiunge anche una pendenza del 30%. Una pendenza che mal si concilia con il nome della vigna, Pianottolo, che sembra indicare un desiderio più che una realtà. L’esposizione è sud–sud/ovest e fino al tramonto i grappoli possono maturare compiutamente sotto i raggi del sole. La colonica che ospita l’agriturismo fa da spartiacque rispetto al secondo nucleo di vigneti, e questa volta è presente solo il Sangiovese destinato alla Riserva dove l’altitudine giunge fino ai 350 metri slm e il terreno è ancora una volta ricco in scheletro. Le pendenze in questa vigna si ammorbidiscono e non raggiungono il 20%, la densità ad ettaro è sempre di 5.500 piante, il cordone speronato è la forma di allevamento adottata e tra un filare e l’altro risalta l’inerbimento alternato con selezione di miscuglio erboso. Alzando lo sguardo, infine, c’è il verde più scuro del bosco, un bosco fitto di querce, lecci e cipressi che copre completamente la collina fino al suo crinale. PUBB.