N° 22
Venezia, Aprile 2016
Club Tre Emme
Venezia
Notiziario
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Club Tre Emme Venezia
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Carissime ,
siamo ancora qui. Il Direttivo frutto delle votazioni del 27 febbraio 2015 è stato riconfermato per un
altro anno . Causa mancanza di candidature, abbiamo chiesto l‟autorizzazione a Roma alla
Presidente Nazionale di continuare e la nostra richiesta è stata accettata.
Diamo il benvenuto alle nuove socie iscritte : Sonia Frigo , Iris Ceppodomo e Carla Accoroni, le
prime da poco arrivate a Venezia, contente di aver trovato un gruppo di signore pronte a dispensare
informazioni e consigli per poter affrontare nel miglior modo possibile una città non facile. Per
Carla Accoroni, già residente a Venezia, un lieto ritorno tra noi. Nuove leve arrivate a rimpinguare
le file del Club che sapranno inserirsi sicuramente nel migliore dei modi e siamo convinte che per il
prossimo anno non ci saranno problemi per formare un nuovo Direttivo . Il lavoro continua con
entusiasmo e buona volontà.
In questi ultimi mesi alcune iniziative hanno riscosso molto successo tra le socie . Il 2 febbraio per
la Candelora una bellissima cena con grande affluenza anche di parenti ed amici . Il 27 Febbraio
grande entusiasmo e pienone di pubblico per il Gruppo Teatrale Lidense che ha presentato “ Versi
in tavola ! El disnar cò Goldoni e …altri “. Un gruppo di bravissimi attori che riescono sempre a
trascinare il pubblico con uno spettacolo colto e divertente . L‟8 marzo festa delle donne ci siamo
riunite al Circolo per un pranzo . Il 21 marzo siamo state accolte a casa della contessa Ileana
Chiappini di Sorio, un appuntamento che si ripete, sempre affascinante per la splendida ed
affettuosa ospitalità , per l‟interessante collezione di ventagli e di strumenti musicali . Domenica 3
aprile appuntamento ormai annuale con l‟operetta al teatro Goldoni: uno spettacolo divertente “Al
cavallino bianco” . Sabato 9 aprile è tornato il coro Fanis “ Prima Guerra Mondiale : storia –
memoria - canti “.
Buona primavera a tutti.
La Presidente
Donatella Arnone Piattelli
Nella foto: il direttivo
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Nuovi restauri all’Arsenale di Venezia.
Conferenza a bordo di nave S. Marco sui futuri sviluppi dei lavori in Arsenale
In sordina, come d‟uso fra la gente di mare, la Marina Militare ha ripreso per mano il restauro delle
fabbriche dell‟Arsenale di Venezia. In tempi di ristrettezze finanziarie è un segnale importante che
è dato alla città di Venezia e al suo Comune (che della maggior parte dell‟Arsenale detiene la
proprietà). Il 7 marzo scorso su Nave San Marco, ormeggiata in bacino di fronte a Palazzo Ducale,
l‟Ammiraglio Marcello Bernard assieme all‟Architetto Ilaria Cavaggioni hanno illustrato lo stato dei
lavori fatti e di quelli in corso. In tutti gli interventi di restauro di cui parleremo essenziale per il
risultato è stata la piena collaborazione e sintonia d‟intenti fra la Marina Militare e la
Soprintendenza dei BB. AA. di Venezia.
L‟intervento più impegnativo è stato quello, già presentato nell‟ottobre 2015 in occasione del
Simposio delle Marine Militari, inerente al restauro della grande sala degli Squadratori. L‟antico e
imponente edificio fu realizzato sulla sponda orientale dell‟attuale darsena delle “Galeazze” alla
metà del 1700 dall‟Architetto Giovanni Scalfarotto per sostituire il più vecchio “Tezon” del 1568.
Edificio degli Squadratori e la grande sala a tracciare prima dei restauri del 2015.
L‟edificio misurava 155 metri di lunghezza, 28 di larghezza e oltre 16 di altezza e non aveva alcun
solaio. Serviva per la stagionatura finale del legname in “aria” dopo esser stato sottoposto alla prima
stagionatura in “acqua” nel prospiciente “lago del legname”. Al suo interno si provvedeva anche, per
mezzo di grandi seghe a telaio, alla “squadratura” (sagomatura) dei tronchi per ricavarne elementi
per la costruzione navale. L‟edificio ha subito nel tempo mutilazioni e cambi di destinazioni d‟uso.
Durante i lavori di fine ottocento per la riconversione dell‟antico Arsenale medievale in moderno
cantiere navale si rese indispensabile sacrificare quasi metà del lungo edificio per realizzare nella
“Novissimetta” i due scali in pietra d‟Istria destinati alla costruzione delle nuove grandi navi di
ferro. Fu deciso anche di destinarlo a “sala a tracciare” (ove si disegnavano in scala 1:1 tutti gli
elementi che dovevano costituire le nuove navi) e per questo fu costruito un vastissimo solaio
sorretto da alte volte in mattoni. Tutte le navi costruite nell‟Arsenale di Venezia fra il 1866 e il 1918
furono disegnate in questa sala. In occasione di questi lavori fu modificato pure l‟aspetto esterno del
fronte acqueo dell‟edificio; prima fu separato dall‟acqua con una nuova banchina e poi furono
parzialmente murati i grandi volti, con finestroni circolari al piano superiore e porte di ferro e vetro
al piano terra.
Con la fine della guerra 1915-18 e la cessazione dell‟attività costruttiva navale nell‟Arsenale l‟edificio
cambiò ancora una volta destinazione d‟uso e divenne sede della “Scuola Meccanici e Macchinisti
Navali della Regia Marina”: aule didattiche al primo piano e officine e laboratori per le esercitazioni
pratiche al piano terra (gli alloggi degli allievi e gli uffici erano dislocati alla Celestia).
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Negli anni novanta del secolo scorso si era progettato di realizzare all‟interno dell‟edificio
Squadratori la sede principale dell‟Istituto di Studi Militari Marittimi e per questo erano stati
eseguiti importanti lavori di restauro che avevano riguardato principalmente il consolidamento
delle murature portanti, le capriate, la copertura e la realizzazione di nuove finestre.
Nel 2015 la Marina Militare ha finanziato ed eseguito, in collaborazione con la Soprintendenza dei
BB.AA. di Venezia, importanti lavori per rendere agibile al pubblico la grande sala, dotandola di
adeguati accessi e uscite di sicurezza. Oggi restano da completare alcuni lavori di consolidamento
del solaio, lavori che permetteranno di ospitare un maggior numero di persone.
Un altro intervento di restauro eseguito nel 2015 dalla Soprintendenza ha interessato una delle
strutture più antiche dell‟Arsenale. Si tratta del muro che costituisce l‟ultima testimonianza dello
“squero” che chiudeva verso ovest i cantieri navali trecenteschi detti “Isolotto”. Con questo
intervento è stato messo in sicurezza il percorso di transito che consente di accedere agli
Squadratori e allo scalo su cui è sistemato il Sommergibile Dandolo.
Al centro il muro trecentesco restaurato.
La facciata della “Casa del Bucintoro”.
Sempre nel 2015 la Marina Militare ha provveduto ai lavori di consolidamento e stabilizzazione
della facciata monumentale della “Casa del Bucintoro”. Proprio su questo storico squero stanno per
iniziare importanti lavori che ne permetteranno in futuro l‟agibilità, lavori che, diretti dalla
Soprintendenza e finanziati dal Ministero dei Beni Culturali, riguarderanno in particolare le
capriate di sostegno del coperto.
Altri lavori sono però stati iniziati e altri partiranno fra poco nell‟Arsenale Vecchio. Fra questi
molto impegnativo si presenta il restauro per la messa in sicurezza di un tratto di circa 150 metri
dell‟alto muro di recinzione sul rio delle “Gorne”. Nella zona di ponente del rio delle “Galeazze” sarà
in breve completato il restauro di uno dei due fabbricati progettati e costruiti nel 1835 dall‟Ingegner
Giovanni Casoni.
Muro “merlato” sul rio de le “gorne”.
Le tre fabbriche d’Ing. Giovanni Casoni.
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Non è tutto, altri due significativi interventi di recupero sono già programmati e finanziati da parte
della Marina Militare su due fabbriche nelle immediate vicinanze degli Squadratori: la torre della
“Campanella” e l‟edificio a due piani della “Scuola di Naval Architettura”.
Per quanto concerne la torre della Campanella (che fu parzialmente ricostruita nel 1936) è previsto
un intervento di consolidamento con il rifacimento della copertura (danneggiata negli anni novanta
da eventi atmosferici che distrussero il torrino ligneo ospitante la campana). Questo intervento
consentirà di installare all‟interno un ascensore per permettere un più facile accesso alla sala degli
Squadratori.
Più complesso e costoso, ma anche più rievocativo dei fasti della Serenissima Repubblica, sarà
l‟intervento alla “Scuola di Naval Architettura”. Si ricorda che il “terzo squero di Novissimetta” fu
trasformato, fra il 1772 e il 1774, dall‟Architetto Filippo Rossi per essere destinato agli allievi di
quella che fu il primo istituto italiano per lo studio dell‟Architettura Navale. Rossi frazionò lo
squero con un solaio accessibile per mezzo di una scala interna e chiuse il fronte acqueo; il piano
terra fu adibito a sala per “modelli” (in gran parte sottratti durante la prima occupazione
napoleonica) e “sesti”, mentre il primo piano fu destinato alla scuola. La Scuola di Naval
Architettura fondata e diretta dall‟abate Gian Maria Maffioletti, fu inaugurata nel marzo del 1777 e
restò attiva per 25 anni, ben oltre la caduta della Repubblica.
Scuola di Naval Architettura.
“Torre della Campanella”.
Pianta del complesso Squadratori.
I lavori preliminari per la preparazione del cantiere hanno già offerto una scoperta interessante; il
ritrovamento del portale che attraverso una bella scala consente l‟accesso al primo piano. Il portale,
realizzato dall‟Architetto Rossi, era stato, infatti, murato a fine ottocento durante i lavori
conseguenti al cambio della destinazione d‟uso dell‟edificio. Quest‟ultimo restauro consentirà di
avere un accesso più consono, grazie alla scala monumentale settecentesca ritrovata, alla grande
sala degli Squadratori e un‟altra vasta sala a disposizione dell‟Istituto di Studi Militari Marittimi di
Venezia.
In tempi difficili si può certamente essere orgogliosi di quanto la Marina Militare sta realizzando
nell‟antico Arsenale di Venezia.
C.V. Guglielmo Zanelli
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Visita a bordo di nave S.Marco
Una gita per conoscere la Marina Militare e il lavoro dei suoi equipaggi
Il 9 marzo 2016, il giorno dopo la festa in onore delle donne e l‟incontro Renzi – Hollande, avvenuto
a palazzo ducale, dove, tra le altre cose, si è ricordata la memoria di Valeria Solesin, veneziana
mancata durante gli attentati di Parigi del novembre 2015, la nostra classe, la 2F dell‟istituto
comprensivo “ Dante Alighieri “, con la professoressa Ruggiero e il vice-preside prof. Girardi, si è
recata a bordo del S. Marco, nave della Marina Militare dedicata al patrono della nostra città, che
faceva bella mostra di se tra le boe dell‟omonimo bacino.
Appena arrivati, dalla scaletta laterale, siamo saliti sul ponte di volo, da qui lo spettacolo era
mozzafiato. Avevamo davanti il Palazzo ducale, la piazza e il campanile, sembrava di poterli toccare
con la mano.
Abbiamo iniziato la nostra visita scendendo nel garage, dove un ufficiale ci ha illustrato tramite una
presentazione video, le caratteristiche della nave, le sue potenzialità e le operazioni alle quali ha
preso parte, ma anche l‟importanza del mare per l‟Italia, un paese che, con i suoi 7500 Km di coste,
vede gran parte della la propria economia basata proprio sul mare. Ci ha fatto riflettere sul fatto che
gran parte degli oggetti che possediamo, o dei materiali per produrli, ci raggiungono attraverso il
mare, immensa rete di scambi commerciali che va vigilata e tutelata. Ed è proprio la Marina Militare
che si occupa di questo. Non ci avevamo mai pensato!
Ci ha parlato inoltre, dell‟impegno svolto dalla nave e dalle sue “sorelle“ durante l‟operazione “ Mare
Nostrum “, ci siamo così resi conto dal vivo, di cosa vuol dire portare aiuto ai migranti, salvarli da
un destino quasi certo e soccorrerli in modo professionale ed attento alle loro esigenze.
Dopo ha preso la parola la T.V. (Cm) Claudia Marcolini, una signora ufficiale imbarcata come
commissario sulla nave. Ci ha parlato del ruolo delle donne in Marina, delle difficoltà ma anche
delle grandi soddisfazioni di questo mestiere. Dell‟importanza della presenza femminile durante le
operazioni di aiuto alle popolazioni in difficoltà,
che per convinzione religiosa o culturale,
prediligono l‟aiuto da parte di una pari sesso.
La nostra visita attraverso la nave, è continuata
insieme ad un sottufficiale, che ci ha fatto vedere
il sistema di sbarco dei mezzi anfibi, qui tutti i
maschi si sono illuminati ed hanno tempestato la
guida di domande! Erano tutti attentissimi!
Finalmente potevamo vedere dal vivo quello che
di solito, giocando, vediamo su un piccolo
schermo!
Proseguendo, l‟addetto, ci ha parlato dei vari ruoli
di bordo, alcune mansioni ci erano sconosciute,
come quella del nocchiere, allora, ne ha chiamato
uno, che con il suo fischio, ci ha fatto sentire
alcuni tipi di chiamate, gli abbiamo allora chiesto
se questo tipo di comunicazione è ancora in uso,
ci ha spiegato che viene usata soprattutto a bordo
delle barche e navi a vela. Questo, è stato un modo
per capire come una forza armata così moderna,
affonda le sue radici in una marineria che proviene
da secoli di esperienza sul mare, del resto sulla sua
bandiera, non a caso, ci sono le effigi delle quattro
repubbliche marinare, a sottolineare questo
legame.
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La nostra visita è proseguita attraverso l‟ospedale, una struttura efficientissima con tutto il
necessario per poter portare soccorso al personale di bordo e non, in caso di necessità.
Successivamente siamo passati attraverso la zona mensa e relax, ed una volta usciti , mediante le
scalette esterne siamo saliti in plancia di comando dove abbiamo visto tutti gli strumenti,
veramente tanti, per “governare” la nave.
Alla fine siamo tornati nella zona garage, dove ci attendeva il comandante della nave, C.V. Renato
Micheletti, che ci ha salutato, uno di noi, gli ha chiesto come si diventa comandanti di una nave e
lui ci ha spiegato che per diventare ufficiali di Marina Militare, dopo aver frequentato le superiori,
si deve fare un concorso per poter accedere all‟Accademia Militare, ma che tuttavia la Marina come
avevamo visto, si avvale di molteplici professionalità ( per le quali si deve comunque studiare ),
tutte importanti per il buon funzionamento del sistema. Dopo aver salutato e ringraziato per la
visita siamo tornati sul ponte di volo per le foto di rito ed una volta ridiscesi dalle scalette siamo
imbarcati su un mezzo che ci ha riportati a riva Schiavoni, con la percezione che, anche se non li
vediamo spesso, ci sono uomini e donne che, professionalmente, vegliano sul nostro mare.
Alberto e Novella Pitton
Foto di gruppo sul ponte di volo
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Il mestiere di “Ragazza Volante”
Una breve storia delle hostess di volo
Steward e stewardess, hostess, assistente di volo, flight attendant, cabin crew o cabin staff sono sinonimi entrati
in uso nel corso degli anni per indicare un mestiere che ancora oggi fa sognare molte ragazze.
Alcuni di questi termini sono stati presi in prestito dalla marineria mercantile: steward al maschile
compare nella terminologia navale britannica fin dal 14° secolo per indicare la persona cui sono
affidati incarichi di conservazione e distribuzione dei pasti a bordo, in pratica il cambusiere.
Il primo steward di cui si abbia notizia prestò servizio nel 1911 su un dirigibile tedesco, lo Zeppelin
Schwaben, ma la figura dell‟assistente di bordo che preparava e distribuiva i pasti caldi – a
pagamento! – fu ufficialmente introdotta sugli aerei commerciali inglesi e americani a partire da
metà degli Anni ‟20.
La compagnia statunitense United Airlines assunse nel 1930 la prima hostess della storia
aeronautica, Hellen Church, un‟infermiera diplomata di 25 anni. All‟epoca le norme di selezione
erano piuttosto rigide a causa delle ridotte dimensioni degli aerei: l‟altezza massima delle prime
hostess non doveva superare i 161 cm, mentre per non sovraccaricare l‟aereo il peso massimo
tollerato era di 52 kg. Lo scopo che i dirigenti delle compagnie aeree si prefiggevano con la presenza
a bordo di giovani infermiere era non solo quello di fornire assistenza medica ma anche di
aggiungere un tocco di grazia femminile e di attenuare la diffidenza del pubblico verso il mezzo
aereo.
La prima compagnia aerea europea ad assumere assistenti di volo del gentil sesso fu la Swissair nel
1934: alla pioniera che si chiamava Nelly Dieter fu richiesta la conoscenza di almeno un‟altra lingua
oltre al tedesco, mentre cadde la limitazione in altezza della statura perché l‟aereo in uso alle linee
aeree svizzere aveva dimensioni più capaci. L‟Ala Littoria, compagnia di bandiera italiana nel
periodo prebellico, preferì utilizzare per i servizi di bordo solo personale maschile, ritenuto più
affidabile in ossequio al machismo imperante in quegli anni.
Dopo la 2ª Guerra Mondiale l‟enorme espansione dell‟aviazione civile aprì letteralmente le porte
degli aerei commerciali al personale femminile. Il ruolo delle hostess non si limitò più al
beneaugurante “benvenuti a bordo” e alla distribuzione di qualche pastiglia di aspirina, ma divenne
essenziale per la sicurezza delle operazioni di volo, perché il personale di cabina è abilitato ad
affrontare situazioni di emergenza. Durante la navigazione gli assistenti distribuiscono le bevande e
i pasti, affrontano situazioni critiche, risolvono piccoli problemi, rincuorano i sempre numerosi
passeggeri in preda a stati d‟ansia, controllano che non si fumi nelle toilettes, riportano alla calma i
passeggeri troppo agitati o in preda ai fumi dell‟alcol (compito questo dei più impegnativi). La
preparazione degli assistenti è curata dalle stesse compagnie aeree che dispongono di centri
d‟addestramento dove si impara ad affrontare le più complicate emergenze, dall‟incendio a bordo
all‟ammaraggio forzato e all‟evacuazione rapida.
In numerose occasioni le hostess si sono distinte per coraggio e presenza di spirito: nell‟ottobre
2002 Hermis Moutardier, dell‟American Airlines, si gettò su un passeggero che stava per far
esplodere le proprie scarpe piene di esplosivo e lo bloccò permettendo ai colleghi di renderlo
inoffensivo.
Fra le prime assistenti di volo italiane merita una citazione la veneziana Ivonne Girardello, che fu
assunta nel 1947 dalla compagnia aerea Transadriatica operante sull‟aeroporto Nicelli del Lido,
molto probabilmente la prima hostess italiana in senso assoluto. La signora Ivonne, vispa
ultranovantenne che vive al Lido ed è poetessa e scrittrice di successo, ha raccontato che la sua
qualifica era di “impiegata d‟ordine”, di cui percepiva lo stipendio “più 50 centesimi per km volato”,
e che nei vari scali doveva ingegnarsi da sola per trovare alberghi economici oppure ospitalità
presso amici.
Il 1950 vide l‟ingresso in Alitalia di Livia Fanelli e Dina Uberti Bona, alle quali nell‟anno 2000 è
stato conferito il diploma di “Pioniere del Progresso Aeronautico”. Inizialmente la selezione seguiva
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criteri molto restrittivi riguardo all‟aspetto fisico e alla preparazione di base (requisiti irrinunciabili
erano ottima padronanza dell‟inglese, buon livello culturale e marcata predisposizione ai rapporti
umani). Sarebbe passato molto tempo prima che la figura della hostess uscisse dal cliché romanticoseduttivo assegnatole dalla stampa rosa, per acquisire dignità professionale pari ai colleghi maschi.
Qualche responsabilità in questo senso è da attribuirsi alle compagnie aeree che hanno per lungo
tempo basato la pubblicità sul sex appeal delle proprie assistenti di volo. La stessa Alitalia, nelle sue
costose campagne pubblicitarie, puntò più sull‟eleganza delle divise che sulla professionalità del
personale navigante e l‟affidabilità dei propri aerei. D‟altro canto le case di moda italiane
sgomitavano pur di poter griffare le uniformi delle nostre ragazze, considerate un prezioso veicolo
di propaganda: a partire dagli Anni ‟50 si sono cimentate le Sorelle Fontana e poi Delia Biagiotti,
Tita Rossi, Mila Schön, Alberto Fabiani, Marzotto, Lebole, Renato Balestra, Giorgio Armani,
Mondrian.
Nel 1969 venne inaugurata la linea transpolare Roma-Tokyo e per fornire migliore accoglienza ai
passeggeri orientali furono assunte alcune ragazze giapponesi che svolgevano il servizio indossando
eleganti kimono, mentre nel menù di bordo vennero inclusi anche piatti giapponesi. Nello stesso
anno, per motivi che andavano dalla crisi di vocazioni ai forti contrasti sindacali e all‟elevato
assenteismo, Alitalia decise di aprire le assunzioni alle ragazze della comunità europea. In quel
periodo entrarono in compagnia circa 400 hostess tedesche, olandesi e francesi portando una
ventata di novità e di simpatia.
Il lavoro dell‟assistente di volo è faticoso e impone lunghe assenze interferendo pesantemente sui
delicati equilibri domestici. Numerose ragazze hanno risolto il problema sposando un collega o un
pilota e cercando di combinare i turni di impiego in modo da assicurare la presenza a casa di almeno
un coniuge. Negli ultimi decenni le condizioni del personale navigante sono migliorate, ma fino agli
Anni „90 molte società aeree licenziavano le hostess incinte o che contraevano matrimonio; anche il
sovrappeso, l‟uso di occhiali, il superamento del trentesimo anno di età potevano essere motivo di
rottura del rapporto di lavoro. Dopo dure lotte sindacali oggi le hostess godono di adeguati periodi
di maternità e usufruiscono del part time. I tempi di volo e di servizio sono regolamentati e non
possono superare i limiti ministeriali.
Anche se si è persa nel tempo la componente glamour del mestiere di “Ragazza Volante”, la presenza
di hostess nell‟equipaggio di cabina riscuote sempre alti indici di gradimento fra i passeggeri, che
hanno imparato ad apprezzarne la gentilezza e la professionalità.
Giancarlo Garello
Nella foto l’assistente di volo veneziana Ivonne Girardello
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La donazione di sangue
Un gesto solidale e concreto
Cosa significa donare? Donare il sangue è un gesto concreto di solidarietà. Significa letteralmente
donare una parte di sé e della propria energia vitale a qualcuno che sta soffrendo, qualcuno che ne
ha un reale ed urgente bisogno, significa preoccuparsi ed agire per il bene della comunità e per la
salvaguardia della vita.
Donare il sangue è innanzitutto un dovere civico, la disponibilità di sangue è infatti un patrimonio
collettivo a cui ognuno di noi può attingere in caso di necessità e in ogni momento. Una riserva di
sangue che soddisfi il fabbisogno della nostra comunità è quindi una garanzia per la salute di tutti,
donne, uomini, giovani, vecchi, bambini, compresi noi stessi e le persone che ci sono più care.
Perché donare sangue è necessario? Il sangue e gli emocomponenti sono un‟esigenza quotidiana
che diventa tragica ogni volta che il sangue manca, non solo in caso eventi eccezionali quali
terremoti, disastri o incidenti, ma anche e soprattutto nella gestione ordinaria dell‟attività sanitaria:
nell‟esecuzione di trapianti e di vari interventi chirurgici, nei servizi di primo soccorso, nelle terapie
oncologiche contro tumori e leucemie, nella combinazione dei farmaci plasmaderivati, chiamati non
a caso anche farmaci salvavita, utilizzati per contrastare patologie importanti quali anemie
croniche, emofilia, malattie del fegato, deficit immunologici o nella profilassi di infezioni come il
tetano e l‟epatite B. Il sangue e i suoi componenti sono quindi presidi terapeutici indispensabili per
la vita e purtroppo non sono riproducibili in laboratorio. Ciò significa che non esistono ad oggi
alternative possibili alla donazione e se vogliamo una Sanità capace di prendersi cura di noi, non
possiamo far appello solo sulla scienza e sulla medicina ma dobbiamo dare il nostro contributo.
Perché donare periodicamente? Esistono molti donatori periodici cioè donatori che a intervalli di
tempo regolari si recano presso le strutture trasfusionali per donare il loro sangue. A differenza dei
donatori occasionali, i donatori periodici sono molto più controllati dal punto di vista medico. Ad
ogni donazione vengono infatti sottoposti ad un‟accurata visita di idoneità fisica e il loro sangue,
prima di essere validato, viene attentamente analizzato per tenere sotto controllo la salute del
donatore e la qualità del sangue. Tutto ciò rappresenta una garanzia per la salute di chi riceve il
sangue ma anche per chi lo dona. Diventare donatore periodico significa quindi poter monitorare il
proprio stato di salute aiutando contemporaneamente la sanità pubblica ad offrire un livello sempre
maggiore di sicurezza trasfusionale.
Perché c’è bisogno di nuovi donatori? I progressi in campo medico-chirurgico, il lento ma
continuo incremento demografico derivante anche dai fenomeni migratori, l‟invecchiamento della
popolazione, un basso indice di natalità hanno determinato anche in Italia la crescita progressiva
del fabbisogno annuale di sangue. Se a ciò si aggiunge il
fatto che ogni anno, per raggiunti limiti di età, molti
donatori un non possono più donare, è necessario che
qualcuno si faccia avanti al loro posto. La ricerca
potrebbe rivolgersi ai giovani, agli immigrati e alle
donne. Proprio le donne sembrano rappresentare una
risorsa importante. Negli altri paesi europei, la donna nel
mondo della donazione di sangue, ha un ruolo molto
importante: in Danimarca e Francia circa il 50% dei
donatori è donna, Spagna il 46%, in Portogallo il 43%, in
Belgio il 45,4%, in Italia il 30%. La diversità di donazione
tra maschi e femmine fino ad ora sembra non abbia avuto
un grosso interesse scientifico, solo recentemente si è
cominciato ad analizzare le cause che sono alla base del
differente numero di donatori maschi e femmine.
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Tra le donne la maggiore motivazione a donare sangue è l‟altruismo e la possibilità di essere d‟aiuto
ad altri, mentre nei maschi emergono motivazioni diverse che tengono conto più di aspetti
individualistici e di interessi sociali. Le donne sono meno periodiche nella donazione; la causa è
legata ad eventuali problemi di anemia, gravidanza, basso peso e carenza di ferro. Inoltre le donne
accusano spesso un senso di stanchezza nelle ore successive alla donazione. Per ovviare alle
reazioni post donazione la pratica suggerisce di far assumere alla donatrice un caffè o un thè circa
un ora prima della donazione e di parlare con lei al fine di distogliere l‟attenzione dalle procedure
tecniche della donazione.
Requisiti richiesti al donatore
Età: Compresa tra i 18 ed i 60 anni per la prima donazione. Chi è già donatore può superare il limite
dei 65 anni in relazione ovviamente allo stato di salute in atto e alla valutazione cardiologica.
Peso: Non inferiore a 50 kg (indipendentemente dalla statura o dalla costituzione).
Stato di salute: Non soffrire di malattie croniche (diabete, malattie autoimmuni, tumori maligni…)
Non avere MAI avuto Epatite C, sifilide, comportamenti a rischio di malattie trasmissibili
sessualmente ed uso di sostanze stupefacenti
Infezioni da Epatite A e B sono da rivalutare dopo guarigione clinica ed esami. Non aver avuto
malattie nelle ultime due settimane anche se di lieve entità (influenza, bronchite, polmonite, herpes
labiali...). Non aver assunto alcun farmaco nell'ultima settimana (antidolorifici e aspirine), nelle
ultime due settimane per antibiotici o antibatterici. Si possono regolarmente assumere preparati
vitaminici e pillola anticoncezionale
Non essere stati sottoposti ad interventi chirurgici negli ultimi 3 mesi (comunque è necessario
documentare il ricovero con lettera di dimissione e/o cartella clinica). I piccoli interventi locali
vengono rivalutati dal medico. Portare qualsiasi documentazione di tipo sanitario precedente
(cartelle cliniche per interventi pregressi, eventuali esami del sangue o strumentali eseguiti in
passato….). Non aver subito esami endoscopici negli ultimi 4 mesi (gastroscopia, colonscopia,
artroscopia etc..) di cui produrre comunque documentazione
Non aver effettuato viaggi o soggiorni in zone tropicali negli ultimi 3 mesi (6 mesi se zone
malariche). Non aver soggiornato nel Regno Unito per più di 6 mesi (nel totale dei soggiorni) dal
1980 al 1996 e non essere stati trasfusi nel Regno Unito. Non avere il ciclo mestruale in corso (è
consigliato lasciar trascorrere alcuni giorni dalla fine del ciclo). Non aver avuto parti negli ultimi 12
mesi o interruzioni di gravidanza negli ultimi 6 mesi. Non tatuaggi, né agopuntura, né fori ai lobi,
né piercing vari negli ultimi 4 mesi. Non aver effettuato allenamenti pesanti o sport intenso nelle 24
ore precedenti il prelievo
Tipologie di donazione:
Donazione tradizionale: È la donazione di sangue intero, richiede dai 6 ai 10 minuti e consiste nel
prelievo in media di 450 ml di sangue che verrà successivamente analizzato e frazionato nelle sue
componenti principali: globuli rossi, piastrine e plasma.
Plasmaferesi: Viene eseguita con un‟apparecchiatura dotata ovviamente di circuiti sterili e
monouso. Questo tipo di donazione permette di prelevare solo Plasma (la componente liquida del
sangue) dal donatore. La procedura dura circa 30 minuti e può essere effettuata con maggior
frequenza poiché il plasma (con le sostanze in esso contenute) viene prontamente ripristinato dal
nostro organismo: proprio per questo uomini e donne possono domare plasma ogni 15 giorni.
Citoaferesi: Il prelievo di sole piastrine viene effettuato con un‟apparecchiatura detta separatore di
cellule. Tramite un unico ago monouso (come per le altre donazioni) vengono prelevate solo le
piastrine, che poi dovranno essere usate entro 5 gg. dal prelievo. La procedura è un po‟ più lunga
rispetto alla donazione tradizionale: circa 50 minuti di prelievo. Tale tipo di donazione non è più
gravoso per l‟organismo rispetto ad altri tipi.
Giulia Bernard
Avis Comunale Livorno
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Essere donne in India: tradizione, modernità, induismo.
La dipendenza dall'uomo, il matrimonio, gli studi, tutto deciso dai genitori e
dalla casta?
E' difficile etichettare la donna indiana, perché è unica nel suo genere: piena di dignità, charme, di
una bellezza semplice per tutte le classi sociali (dalle donne che vivono nelle fattorie dei villaggi più
sperduti, a quelle delle classi medie che vivono in città, a quelle che lavorano nelle più alte sfere del
governo a Nuova Delhi).
E' interessante conoscere a fondo cosa si cela dietro queste donne forti, calorose e conoscere i vari
aspetti della loro vita, seppur molto diversa da classe a classe. Molti sono gli studiosi che si
dedicano per anni ad approfondire l‟aspetto antropologico che si nasconde dietro la figura della
donna hindu, analizzandone le varie sfaccettature e caratteristiche. E' affascinante leggere della
studiosa Margaret Cormack, che parla del Dharma, la “funzione” (duty in inglese) che è
interiorizzata nella ragazza Hindu (così come in tutti gli individui in India). Alla nascita si diventa
membri di gruppi e quello principale è la famiglia. I figli sono più legati alla madre, che è incaricata
della loro crescita.
La famiglia ha un ruolo fondamentale e molto importante in India. Il primo contatto esterno del
bambino è la scuola. Per una ragazza non è bene giocare in strada o nei campi, (i maschietti
possono), ma è permesso loro stare col vicinato che si conosce oppure in casa con i membri della
famiglia. Si spera sempre di avere un maschio, considerato dalla religione necessario alla società, a
supporto dei genitori nella loro vecchiaia e assicurare la salvezza del padre durante i rituali del suo
funerale. Ma la ragazza di oggi si sta sempre più “staccando” dalle quella di un tempo, facendosi
spazio nella società cercando di imporre la propria figura come necessaria e quindi con un valore
elevato e da non calpestare. Le possibilità per una ragazza dipendono molto dai genitori, di quanto
possano essere conservatori e legati alla religione ed alle loro possibilità economiche.
Sempre di più oggi sono le ragazze che, a parità dei maschi, hanno la possibilità di studiare in
scuole di prestigio, anche all‟estero e quindi avere la possibilità di un lavoro sicuro e anche incarichi
importanti.
La figura di una donna a supporto della madre è intrinseca nella cultura indiana e anche le famiglie
più povere cercano sempre di farsi affiancare per avere un aiuto dalla cosiddetta levatrice, che in
occidente era riconosciuta parecchi anni fa e oggi diffusa solo tra le famiglie di altissimo status
sociale, che per via del lavoro hanno problemi o difficoltà ad occuparsi dei propri figli o
semplicemente perché ne dispongono le risorse economiche.
Si potrebbero scrivere pagine e pagine su queste donne che spendono letteralmente la propria vita
ad allevare i figli di altre donne, che diventano parte integrante della famiglia per cui lavorano, nella
maggior parte dei casi vivendo a stretto contatto nell‟abitazione: donne sempre disponibili con
un‟eccezionale abilità nell‟occuparsi di mille cose insieme.
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Solitamente viene richiesto loro di cucinare, lavare, andare a fare la spesa, occuparsi dei bisogni del
figlio, delle incombenze della casa. Ad alcune viene lasciata la chiave di casa, essendo così persone
di fiducia, di famiglia e quindi in grado di “badare” anche alla casa, durante i periodi di assenza dei
proprietari. Talvolta, e questo accade per le famiglie più abbienti, seguono la famiglia anche nei loro
viaggi, sia per vacanza, sia per lavoro, permettendo così ai genitori di essere indipendenti e
prendendosi cura della loro prole. Per il figlio è una sicurezza avere “più madri” ed è quindi
importante per loro che questi riferimenti “extra” siano sempre gli stessi. Una continua
comparazione col presente è d‟obbligo perché oggi è lasciato più spazio ai mariti, che sempre di più
si “accorgono” della maturità della propria figlia, più precoce del figlio maschio e dunque anch‟essa
necessaria alla società e alla famiglia stessa in primis. Quindi molti padri mostrano un attaccamento
più accentuato alle proprie figlie anche se questo dipende sempre dalla propria inclinazione e dalla
cultura della famiglia stessa, che, purtroppo, spesso si sente ancora molto vincolata dagli obblighi
religiosi e imposti dalla società, considerata il metro di valutazione del proprio carattere e delle
proprie azioni, ogni giorno.
Gli altri cosa penseranno”, “è bene farsi accettare dal vicinato”, “ci avranno visti”, “le finestre sono aperte”, “bisogna
stare attenti a cosa fare da mangiare per non offendere la sensibilità altrui”, “è bene organizzare un matrimonio
pomposo e in grande stile per farsi notare”: sono solo alcune delle espressioni che si sentono oggi in India e
che fanno capire benissimo, nella vita di tutti i giorni, come il piccolo nucleo famigliare venga
inglobato nel grande nucleo della società. Ogni famiglia deve mostrare i propri valori, le proprie
capacità per distinguersi e per imporre la propria presenza. E importante l‟accettazione, altrimenti
si rimane esclusi ed emarginati. Alla propria nascita si viene già “etichettati” in quanto appartenenti
ad una casta e quindi già si sa quale sarà il ruolo che si avrà in vita e come sarai considerato dagli
altri e quindi il “duty”: la funzione che ti è stata “data” dal momento che si è messi al mondo.
La funzione della donna è da sempre quella di nascere, crescere, aiutare nelle incombenze famigliari,
sposarsi, trasferirsi dalla famiglia del marito, lasciando quella di origine, entrare a far parte a tutti
gli effetti del “nuovo” nucleo, e riprodursi. Quindi assumere finalmente uno status: quello di madre.
In India essere incinta è un onore ed una fortuna. Quindi la futura madre riceve molte attenzioni,
viene rispettata in quanto ha adempito al proprio dovere.
La fortuna di aver incrociato per la mia strada un‟ indologa, Sabrina Ciolfi, che da anni dedica la
propria vita allo studio di questo meraviglioso paese, mi ha aperto ancora di più gli occhi facendomi
apprezzare le sfaccettature del paese, da un punto di vista consapevole. L‟India è da conoscere,
vivere a fondo e purtroppo molti la giudicano nel modo sbagliato. Sono tanti i problemi della
società. La consapevolezza stessa è il punto di partenza e in molti casi difficile da raggiungere. Si
deve generalizzare in questo caso, perché le famiglie che stanno bene, che hanno studiato, che,
entrando in contatto con altre culture hanno smussato il lato conservatore della propria cultura e
quindi molto “chiuso” sono ancora un numero troppo limitato per rappresentare la vera svolta. Gli
indiani sono famosi per essere eccezionali nel campo della medicina e dell‟informatica: è vero e le
famiglie si indebitano a volte per incoraggiare i figli ad assecondare il proprio talento, mandandoli
all‟estero oppure nelle migliori
scuole del Paese ed è ammirevole
come questi ragazzi tengano a non
deludere i propri genitori, a farsi
valere negli studi e a farsi strada
nella società ottenendo un ottimo
posto di lavoro, anche se in un
paese diverso da quello natio. Le
ragazze sono considerate allo
stesso livello dei fratelli e viene
dato loro sempre più spazio
nell‟esprimere
le
proprie
inclinazioni.
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Il ritorno al nucleo famigliare dopo che queste ragazze tornano dagli studi è spesso traumatico,
perché, in molti casi, ci si deve scontrare con la dura realtà che “prevede” che la fanciulla pensi a
sposarsi, appena terminati gli studi. E ammirevole come queste ragazze (ed è così anche per i
ragazzi) non dicano nulla e pensino a quello che “si deve fare” perché così prevede la religione e la
cultura ed è così che i genitori sono felici. Per loro sposarsi è considerato anche un “ricambiare”
quello che i genitori hanno fatto. La possibilità che hanno dato loro facendoli studiare e
l‟attaccamento alla famiglia è quasi morboso che viene, a volte, a sopprimere i propri interessi.
Deludere la propria famiglia è assolutamente negativo e non viene neanche preso in considerazione.
Sacrificare la propria felicità a favore di quella dei genitori è d‟obbligo. Ed ancora una volta si
ritorna al Dharma, alla base della cultura di tutti gli individui, non importa se si appartiene alla
casta dei brahmini (sacerdoti o insegnanti) a quella dei Kshatriya (re e guerrieri), ai Vaishya
(commercianti), a quella dei Sudra (manovali) o ai fuori casta, l‟attaccamento alla famiglia è di tutti.
Così anche il matrimonio è affare di
famiglia e nella maggior parte dei
casi è la famiglia stessa a decidere
chi è il marito o la moglie adatta a
passare la propria vita con la
propria figlia o figlio. Se si cammina
per le strade (di qualsiasi villaggio,
città in India) è facilissimo
imbattersi in un matrimonio, che
ovviamente cambia in base allo
stato, alla propria religione, cultura,
status sociale e casta, ma in ogni
caso si assiste ad un evento
importante per la famiglia quanto
per la società. Dai festeggiamenti,
che di solito durano tre giorni, si
può “etichettare” la famiglia perfettamente ed è proprio quello che la famiglia dei novelli sposi
vuole. Il matrimonio è il momento di massima visibilità per poter sfoggiare se stessi davanti a tutti.
Se il marito muore ancora oggi nei villaggi o dove ancora la condizione della donna è molto
subordinata all‟uomo (anche nelle città), la donna perde la sua identità e spesso viene abbandonata
perché considerata di cattivo augurio. La vedova veste di bianco, il colore del lutto in India. Di
solito è rasata perché ogni singolo capello che cade condanna ancor più il marito alla dannazione
eterna. Non indossa più gioielli e non mangia dolci. Purtroppo sono moltissime le donne che ancora
oggi vengono abbandonate e lasciate a se stesse, magrissime e denutrite. Lo stato le aiuta con una
piccola pensioncina sociale.
Si potrebbe scrivere in continuazione sulla donna e sulla cultura induista ma spero che queste
poche righe possano essere spunto di riflessione e possano incuriosire le persone a scoprire un
mondo molto diverso da quello occidentale, pieno di valori e contraddizioni, oggetto di confronto e
di crescita.
Valentina Della Rocca
Valentina Della Rocca Egittologa ed Arabista
Articolo pubblicato sul sito Worldpass.it
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Appunti di storia veneziana
La nascita del Ghetto.
Tollerante e cosmopolita, Venezia, nel XV secolo, era diventata una grande metropoli frequentata
da mercanti di ogni paese, da gente di ogni razza, da diplomatici di ogni stato, da viaggiatori di ogni
parte d‟Europa. Vi si trovavano attive comunità greche, albanesi, armene, tedesche, ebraiche.
La colonia ebraica, in particolare, aveva trovato in città condizioni favorevoli al proprio sviluppo
economico e culturale. Già prima del XIV secolo molti ebrei si erano insediati nell‟isola di
Spinalonga (il nome le derivava dalla forma stretta ed allungata o dai rovi che vi crescevano)
chiamata poi Giudecca forse per via dei Giudei (ebrei) che vi si erano stabiliti o forse dalla parola
zudecà (aggiudicato) con la quale nel corso del IX secolo erano stati concessi terreni in risarcimento
ad alcune famiglie prima esiliate. Alla fine del Trecento era stato concesso agli ebrei, che da sempre
avevano intrattenuto rapporti commerciali con la Repubblica di San Marco, di vivere in città, ma
solo per una quindicina di anni. Tra la fine del Quattrocento e l‟inizio del Cinquecento, cacciati
dalla penisola iberica o fuggiti dai territori abbandonati dalla Repubblica durante la guerra contro
la lega di Cambrai, molti ebrei si rifugiarono a Venezia. Nel 1516 il governo decise di riunirli
nell‟area semiabbandonata del Ghetto Nuovo, sede di una fonderia. Il nome Ghetto derivava alla
zona dall‟operazione del getto, in dialetto ghetto, cioè della colata del metallo effettuata nelle
fonderie e successivamente fu adottato in tutta Europa per indicare il luogo dove venivano relegate
le comunità giudaiche.
Il Ghetto Nuovo era una piccola isola circondata da canali, collegata alla città da due soli ponti e
quindi facilmente controllabile. Vi si stabilirono poche centinaia di ebrei dell‟Europa continentale
(i cosiddetti Tedeschi) e di antica origine italiana con l‟obbligo di gestire, a condizioni durissime, i
banchi di pegno per i poveri. Nel Ghetto essi potevano seguire le loro tradizioni: avevano i propri
luoghi di culto, macellerie e forni dove
preparavano il cibo secondo i riti ebraici,
botteghe di abbigliamento, alcune delle quali
molto ben fornite. Nel corso del secolo li
seguirono anche gli ebrei Levantini e i
Ponentini o Spagnoli, in gran parte mercanti,
che occuparono l‟area del Ghetto Vecchio. Gli
ebrei dovevano sottostare alle limitazioni
imposte dalla Repubblica: per esempio non
potevano circolare di notte e per evitare
trasgressioni i due ingressi dell‟insediamento
venivano chiusi dal tramonto all‟alba; non era
loro
consentito
alcun
investimento
immobiliare e per esercitare qualsiasi attività
dovevano pagare forti somme all‟erario veneziano; erano costretti, in ubbidienza alle leggi della
Chiesa, a portare un distintivo. Nonostante i divieti e i severi controlli a cui venivano sottoposti,
divennero sempre più numerosi tanto che le loro case dovettero ampliarsi in altezza raggiungendo
anche gli otto piani. La comunità era divisa in “nazioni”, a seconda del luogo di provenienza,
ciascuna con la propria sinagoga dove riunirsi per la lettura delle Sacre Scritture e la preghiera, i
propri riti e istituzioni assistenziali ed educative. La relegazione della comunità ebraica nel Ghetto
ebbe fine nel 1797 con la caduta della Repubblica.
Daniela Zamburlin Deskovic
Immagine: il ghetto di Venezia ( lindipendenzadismarco.blogspot.com)
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I grandi pittori
Renato Guttuso
Il “ pittore rosso”
È vero: nessuno ha mai esteso alla pittura le facili semplificazioni che hanno interessato le toghe, gli
scrittori, i registi e chissà chi altro ogniqualvolta si vuol rimarcare l‟appartenenza di un soggetto ad
un‟area politica; se quindi nessuno ha mai chiamato Renato Guttuso “pittore rosso”, valutandone le
opere solo in relazione alla sua militanza di sinistra, è pur vero che fra i suoi fattori salienti ci sono
l‟attenzione ai temi sociali, le battaglie delle classi più deboli, l‟aver vissuto una vita di partito,
l‟essere stato uno dei protagonisti di un gruppo - oggi diremmo di una community - di soggetti di
primo piano nella vita italiana del „900, al cui interno troveremo qualche sorpresa..
Un po‟ di mistero cominciamo a spargerlo già dal momento della nascita: sembra certo l‟artista
siciliano vide la luce nel dicembre 1911 a Bagheria, ma che fu registrato all‟anagrafe di Palermo nel
gennaio dell‟anno successivo: per la volontà del padre di non fargli avere niente a spartire con la
borghesia agraria di quella cittadina con cui era in contrasto (ed ecco che comincia ad isolarsi un
certo dna sociale..), oppure - meno politically correct - per farlo nascere nel millesimo successivo, il
che significava soprattutto partire per il militare un anno più tardi?
Non ce lo può più dire il padre di Guttuso, autorevolissimo agrimensore nel ritratto dipinto dal
figlio ed anche lui con cromosomi di artista: dipingeva acquarelli, come pure il padre di Picasso... E‟
particolare il rapporto fra Guttuso e Picasso: già negli anni trenta il giovane pittore siciliano dedicò
un saggio allo spagnolo, pur non avendone ancora vista un‟ opera in originale ma amando così tanto
Guernica da tenerne una riproduzione per anni nel portafoglio! Alla scomparsa di Picasso poi,
Guttuso lo celebrò nel “Banchetto funebre”, opera in cui al pittore spagnolo, ritratto a tavola, fanno
compagnia i protagonisti delle più famose opere picassiane: un toro, una mademoiselle di Avignone,
un Arlecchino ..
Dalla pittura di Guttuso emerge costantemente una descrizione popolare della realtà: la si respira
quando dipinge la propria terra, con i colori del suo mare e dei suoi limoni, la si legge quando
trasmette immagini più politiche, siano esse occupazioni contadine, discussioni politiche che
sfiorano il cubismo, funerali di Togliatti o immagini risorgimentali di grande trasporto personale,
come la Battaglia di Ponte dell‟Ammiraglio: lo scontro armato descritto in quest‟ opera oggi agli
Uffizi aprì a Garibaldi le porte di Palermo e vide combattere fra i garibaldini anche il nonno di
Guttuso; Renato da buon nipote si autoritrae in due personaggi .
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Guttuso fu pittore precoce, tanto da esporre in una mostra già a 17 anni; dopo qualche anno a
Milano (anche per svolgervi, forse in ritardo, il servizio militare come sottotenente) si stabilisce a
metà degli anni trenta a Roma ed è qui che si intrecciano le componenti della vita politica ed
artistica prima evidenziate: diventa comunista nel 1940, all‟indomani della dichiarazione di guerra
(quella dell‟ora segnata dal destino che batte nel cielo della patria) e partecipa alla vita politica in
maniera diretta, risultando anche eletto per 2 legislature al Senato, nel 1976 e nel 1979. E‟ curioso il
fatto che fu eletto con un numero di preferenze pressoché identico (28917 la prima volta e 29418 la
seconda): forse simbolo (ah, a proposito di simboli: a lui si deve anche l‟immagine grafica dell‟allora
PCI) di un‟organizzazione dei partiti un po‟ diversa da quella di adesso…
La vita di Guttuso ha scandito il „900, concludendosi in tempi recenti (il pittore muore nel 1987);
questa sua contemporaneità ci permette di ripercorrere , attraverso alcuni dei suoi tanti compagni
di strada (in giovane età, anche per una attrazione verso l‟universo femminile- ampiamente oggetto
di attenzioni dei rotocalchi e che non vogliamo qui riprendere- qualcuno lo aveva ribattezzato “Sfrenato” Guttuso) , alcune tappe fondamentali della cultura del secolo scorso e ..non solo.
Accanto infatti ad elementi tutto sommato prevedibili come l‟amicizia con artisti e letterati del
rango di Mafai, Sassu, Manzù (una sua scultura è sulla tomba del pittore),Quasimodo, Visconti e
Moravia, l‟appartenere (quasi l‟essere immerso) nella vita culturale e politica degli anni 70 ed 80 lo
ha fatto entrare in contatto con interlocutori sicuramente meno “accademici”, quali Renzo Arbore
(qualcuno ricorderà Guttuso che, con sguardo di sublime autoironia, fa il madonnaro nel film
FFSS), Fabrizio de Andrè e Rino Gaetano (entrambi lo citano in proprie canzoni), nonché 2 politici
di assoluta rilevanza come Andreotti e nientepopodimeno che l‟ex Presidente della Repubblica,
Napolitano: entrambi fra le persone che lo conoscevano e lo frequentavano, anche nello
studio/appartamento in cui Guttuso viveva al primo piano del Palazzo del Grillo di Roma: sì,
proprio quello reso celeberrimo nel film di Alberto Sordi…
Franco Moraldi
Nelle foto: Ritratto padre
Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio
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Rubriche
Storie di donne
I nostri migliori auguri …
A Mary Cappel ed Anna Pacchiana, che hanno festeggiato il loro compleanno.
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In cucina con me
Torta Mimosa
Per 2 pan di Spagna diam. 22 cm: 4 uova intere, 8 tuorli, 220 g zucchero, 200 g farina, 40 g fecola.
Per la crema pasticcera: 300 ml latte fresco intero, 300 ml panna fresca, 200 g zucchero, 8 tuorli,
55 g farina, mezza bacca di vaniglia.
Per la bagna al liquore: 100 ml acqua, 50 ml Cointreau, 50 g zucchero.
Mettete le uova intere e lo zucchero in una
planetaria dotata di fruste e montate gli
ingredienti per almeno 10 -15 minuti a velocità
elevata fino ad ottenere un composto ben gonfio
(in alternativa utilizzate le fruste di uno sbattitore
elettrico sempre alla stessa velocità). Aggiungete i
tuorli poco alla volta e montate per altri 5 min.
Unite il composto di uova, farina e fecola
setacciate, amalgamate delicatamente con una
spatola con dei movimenti che vanno dal basso
verso l‟alto per incamerare aria e non smontare il
composto. Versate l‟impasto ottenuto in due teglie
imburrate ed infarinate del diam. di 22 cm e
cuocete in forno statico preriscaldato a 180-190°
per circa 30 minuti. Una volta cotti, sfornate i pan di spagna, fateli intiepidire quindi sformateli e
capovolgeteli su una gratella, quindi lasciateli raffreddare completamente. Nel frattempo preparate
la crema pasticcera. Mettete in un tegame il latte aggiungete la panna, portate a sfiorare il bollore.
In un altro tegame mettete i tuorli e lo zucchero; mescolate con un cucchiaio di legno, poi
aggiungete la farina e i semini della bacca di vaniglia, che avrete prelevato dal suo interno
incidendola con la lama di un coltello. Mescolate e poi unite il composto di latte e panna calda,
quindi stemperate il tutto con una frusta. Accendete il fuoco e fate addensare: non appena la crema
comincerà a sbuffare spegnete il tutto e versate la crema in una teglia bassa e larga. Ricoprite la
crema pasticcera con della pellicola trasparente che deve toccare la superficie della crema e mettete
a raffreddare in frigorifero o in freezer. Preparate la bagna facendo sciogliere in un pentolino lo
zucchero assieme all‟acqua e al liquore, quindi fate raffreddare. Montate la panna ben fredda con
uno sbattitore: non appena comincerà a gonfiare unite lo zucchero a velo e portate a termine la
montatura, poi mettete il tutto in frigorifero. Quando la crema pasticcera sarà fredda mettetela in
una ciotola, ammorbiditela lavorandola con una spatola e unite delicatamente la panna montata,
tranne due cucchiaiate che terrete da parte. Eliminate dai due pan di spagna la parte scura esterna,
con un coltello dalla lama lunga dividete uno dei pan di spagna, e ricavate da uno di essi tre dischi
di uguale spessore, dall‟altro tagliate delle fette dello spessore di un centimetro che poi taglierete in
3 striscioline da ridurre successivamente in cubetti. Ora passiamo ad assemblare la torta: per
ottenere una torta perfetta sarebbe meglio utilizzare un cerchio di acciaio regolabile, dentro il quale
porre il primo disco di pan di spagna che inzupperete con la bagna e sul quale stenderete un velo di
panna montata zuccherata. Sopra stendete la crema pasticcera mista a panna e quindi poggiatevi il
secondo disco di pan di spagna: ripetete quindi tutto da capo fino a che non avrete poggiato il terzo
disco. Sfilate a questo punto il cerchio di acciaio e ricoprite tutta la torta con la crema avanzata.
Una volta ricoperta tutta la torta passate alla decorazione facendo aderire i cubetti di pan di spagna
alla crema che fungerà da collante. Mettete la torta in frigorifero, meglio se coperta da una campana
di vetro o plastica che eviterà al dolce di prendere odori sgradevoli o di seccare troppo. Gustatela!
Giallo Zafferano.it
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Programma mese di Aprile 2016
Mercoledì 9 Aprile
Ore 18.00
Circolo “ A. Foscari “
Concerto del coro Fanis
Mercoledì 13 Aprile
Ore 16.30
Circolo “ A. Foscari “
Assemblea delle socie
Giovedì 21 Aprile
Ore 17.30
Circolo “ A. Foscari “
Film insieme
Si raccomanda le socie di confermare la propria presenza ( e di eventuali ospiti )
alle manifestazioni tramite mail all‟indirizzo [email protected]
Responsabile: Donatella Piattelli
Redazione a cura di : Michela Pitton
Hanno collaborato : Giulia Bernard, Valentina Della Rocca, Giancarlo Garello, Franco Moraldi, Alberto e Novella
Pitton, Daniela Zamburlin Descovich, Guglielmo Zanelli.
Si ringraziano: Amm. Bernard, C.F. Giovanni Galoforo, Sig. Bucella e Sig.ra Vian
In copertina: Primavera a Venezia.
Sito web: www.moglimarinamilitare.it
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