Il motivo della sera in Foscolo, Leopardi, Pascoli e
D’Annunzio
Il motivo della sera, che ha sempre affascinato i poeti e gli artisti, conosce una fortuna del tutto
particolare nell’Ottocento, nel periodo storico che va dagli esordi del movimento romantico fino al
Decadentismo. Le ragioni della predilezione di questo tema da parte di autori pur fra loro diversi
quali Foscolo, Leopardi, Pascoli e D’Annunzio, sono certo differenti, ma possono in parte essere
collegate alla sensibilità poetica dell’Ottocento, che trova in quel momento lo spunto per una serie
di forti suggestioni evocative. Di fatto, gli attimi "sospesi" della sera, quando gli oggetti e i
sentimenti stessi paiono assumere un carattere sfumato e provvisorio, quegli istanti in cui persino il
confine fra il dì e la notte diviene incerto, risultano capaci, in questi poeti, non solo di suggerire
descrizioni e riflessioni personali, ma anche di assumere valori simbolici più o meno originali e
universalizzanti.
Ma vediamo ora come i quattro autori citati hanno sviluppato, in altrettanti testi ben noti a tutti i
lettori italiani, questo particolare tema.
L’operazione alla quale ci accingiamo non è un puro "divertissement" erudito fine a se stesso, ma si
propone una serie di scopi precisi. Anzitutto, intendiamo usare il motivo della sera come una sorta
di "cartina al tornasole": attraverso l’analisi delle diverse interpretazioni cui esso viene sottoposto
nelle quattro liriche, potremmo mettere in luce, da un lato, alcuni aspetti della sensibilità dei diversi
autori, dall’altro, alcune significative caratteristiche evolutive dei contenuti, delle forme e dei modi
della nostra letteratura. Su un piano più generale, inoltre, la nostra analisi ci permetterà di verificare
in modo tangibile come, all'interno di quella sorta di ininterrotto colloquio che costituisce il senso
ultimo della storia letteraria e culturale, uno stesso motivo possa venire più volte ripreso, con
risultati che, se pure molto differenti fra loro, presentano nondimeno alcune analogie di fondo
riconducibili a una comune tradizione poetica.
L’analisi - condotta sulla base sia dei dati ormai acquisiti dalla critica sia anche di recenti contributi
specifici - risulterà tuttavia inevitabilmente per alcuni aspetti lacunosa, né del resto aspira a rendere
ragione di tutte le implicazioni contenutistiche, strutturali e formali dei vari autori o dei singoli
componimenti, i quali verranno qui indagati a partire da un ‘ ottica del tutto particolare.
La prima lirica che, ancora in periodo preromantico, risulta dedicata al tema della sera è il famoso
sonetto Forse perché della fatal quïete, composto da Ugo Foscolo nel 1803. Nel sonetto foscoliano,
la sera viene individuata come l’unico momento capace di portare requïe e tranquillità al travagliato
animo del poeta, il quale dolorosamente sperimenta le tensioni e gli struggimenti esistenziali tipici
dello spirito romantico. La sera, tuttavia, all'interno della lirica assume anche un chiaro valore
simbolico, in quanto l'autore fa propria la metafora - già ben documentata in vasta parte dalla
letteratura precedente - che porta a identificare i tempi che scandiscono la giornata con i diversi
momenti della vita dell'uomo. Inevitabile risulta quindi l' accostamento tra la sera, momento finale
del dì, e la morte, termine ultimo della vita dell'uomo. Questa lettura simbolica è, nel sonetto
foscoliano, espressa chiaramente fin dai versi iniziali del componimento, in cui la Sera - vagamente
personificata in una dolce e consolatoria immagine femminile - viene invocata dal poeta in quanto
personificazione della "fatal quiete" che attende ogni uomo. La metafora tradizionale viene fatta
propria da Ugo Foscolo, ma in modo del tutto personale. Anzitutto, essa non assume qui alcuna
pretesa universalizzante, ma risulta strettamente connessa all'esperienza esistenziale del poeta in
quanto singolo individuo , del tutto in linea con il soggettivismo tipico di tanta parte della poesia
romantica.
Inoltre, l'avvicinarsi della sera - e quindi, fuor di metafora, della morte - non procura né intende
suscitare nel lettore alcun sentimento di timore o di ansia per la cessazione dell'esistenza: essa si
presenta al contrario come luogo silenzioso di calma interiore, cui il poeta aspira come a una meta
rasserenante. L'identificazione tra la sera e la morte non è, perarltro, totale: solo l'effettiva fine
dell'esistenza porrà un argine al dolore; per il momento, nella calma della sera, il poeta può
assaporare una dimensione del tutto terrena, un istante di tranquillità, destinato a essere subito
sopravanzato.
Dopo un trentennio, il motivo della sera viene ripreso da Leopardi autore di sensibilità ormai
romantica, all'interno di numerosi componimenti. Uno di essi, in particolare, appare significativo ai
fini della nostra analisi: "Il sabato del villaggio", grande idillio in forma di canzone libera la cui
composizione risale al 1835. Sul piano ideologico, in essa Leopardi esprime un importante
corollario della sua pessimistica "teoria del piacere": l'idea che la felicità sia per l'uomo una sorta di
irragiungibili fantasmi, consistente solo nel ricordo di piaceri passati o, come in questo caso,
nell'attesa di una gioia illusoria proiettata in un futuro imprecisato. E' però sul piano più
strettamente lirico e sentimentale che la canzone ci interessa. Di fatto, nella prima parte del testo,
che ha un andamento prevalentemente descrittivo, il poeta, illustrando a vividi colori il
sopraggiungere, nel borgo, della sera precedente il giorno
festivo, ne sottolinea soprattutto il carattere di attimo "sospeso" e il clima carico di attesa che si
crea. Poi, nella seconda parte del componimento ,di tono più marcatamente riflessivo , appare
chiaro come per lui la sera del prefestivo altro non sia che una metafora della giovinezza: come la
sera del sabato è piena d'attesa e di speranza per le gioie dell'indomani, gioie che la domenica non
porterà mai, così la giovinezza è carica di sogni e di grandi speranze circa il futuro, tutti destinati a
essere amaramente delusi dal sopraggiungere della vita adulta. Alla base di questa trasposizione
metaforica troviamo operante, come già nel sonetto del Foscolo, ma su un piano più universale , la
metafora che accomuna le fasi del giorno con le fasi della vita. Tuttavia, Leopardi interpreta questa
metafora in modo del tutto nuovo: in lui la sera non è più, come in Foscolo, il momento che
conclude il giorno trascorso - ossia la morte che conclude l'esistenza, - bensì il momento carico di
aspettative che prelude al giorno venturo, ossia l'adolescenza che prelude alla maturità.
Il terzo componimento su cui vogliamo soffermarci è di Giovanni Pascoli : La mia sera , una lirica
della raccolta Canti di Castelvecchio del 1903 e quindi tutta calata , come il suo autore , in piena età
del Decadentismo. La lirica, a una prima lettura , può sembrare un componimento pienamente
descrittivo, abilmente incentrato, attraverso una precisa serie di chiasmi ,parallelismi e giochi
onomatopeici, sul vivo contrasto fra il rumore e l'agitazione che hanno caratterizzato la giornata
ormai trascorsa - sconvolta da un violento temporale - e la tranquillità portata dal sopraggiungere
della sera . In realtà , da un lato l' inserimento di alcuni precisi riferimenti autobiografici e, dall'
altro, il titolo forniscono una chiave di lettura più approfondita e specifica: la sera di cui il poeta
parla non è- o non è soltanto - la sera che conclude la giornata ma è anche e soprattutto la parte
finale della propria esistenza, la sera della propria vita , quella che prelude alla notte della vita , cioè
alla morte. Ritroviamo qui operante, a distanza di quasi un secolo, la stessa metafora che stava alla
base del componimento foscoliano: l'equivalenza simbolica sera / morte e la sua applicazione alla
soggettività dell' autore. Tuttavia le analogie, per quanto significative, tra il testo foscoliano e quello
pascoliano si arrestano qui. Profondamente diversa appare infatti la sensibilità dei due poeti e
poichè entrambi si pongano di fronte all'idea della morte senza timori , le modalità secondo cui tale
esperienza viene vissuta, appaiono diverse. Se infatti Foscolo, animo travagliato ma anche
profondamente vitalistico, aspira a un "porto" in cui riposare dall'affanno di un'esistenza
intensamente vissuta, Pascoli, che dall' esistenza ha una visione totalmente pessimistica e assai
meno enfatica, aspira invece a un dolce abbandono, preda di un desiderio di annullamento niente
affatto eroico, ma semmai di tono elegiaco. La sera , nel suo componimento , si configura sì come
prefigurazione della morte , ma nelle forme di una regressione a una sorta di dimensione prenatale
in cui, attraverso una soluzione del tutto "moderna", il momento d'inizio e quello finale della vita si
saldano e conducono all'annichilimento compiaciuto del soggetto in un'atmosfera dai contorni
sfumati in cui a prevalere sono notazioni acustiche indistinte e vaghe.
Contemporaneo di Pascoli ma di indole e ispirazione per molti aspetti a lui antitetiche, Gabriele
D'Annunzio è forse l'autore che offre, rispetto al motivo della sera, le soluzioni più moderne, e sul
piano tematico e su quello stilistico-espressivo. Ciò accade all'interno de La sera fiesolana, una
delle liriche più note della raccolta Alcyone, anch'essa del 1903. Nell'atmosfera incantata, sensuale
e al tempo stesso vagamente mistica di una serata estiva trascorsa sui colli di Fiesole, il poeta si
rivolge alla donna amata, muta presenza all'interno di una lirica che risolve la descrizione nel
succedersi di una seri di immagini fortemente evocative. All'interno di una struttura sapientemente
calibrata, ma che rinuncia ormai consapevolmente ai tradizionali vincoli strofici e metrici,
D'Annunzio fa scaturire l'una dall'altra, in modi del tutto analogici, immagini che a loro volta ne
suggeriscono altre, legate fra loro soltanto da tenui rimandi fonici, in un fluire ininterrotto di
emozioni che ricorda la tecnica narrativa del libero "flusso di coscienza". Sul piano concettuale,
torna qui, in un certo senso, l'idea già leopardiana della sera come momento di attesa: il poeta,
infatti, promette ripetutamente alla donna parole in grado di svelare il senso dell'ora serale, senso
che il paesaggio stesso umanizzato, pare sul punto di rivelare. Ma la lirica si conclude senza che il
poeta abbia svelato il segreto che resta non pronunciato o che si risolve nella parola poetica stessa.
Una soluzione, quindi, che va oltre ogni interpretazione schematica e che vede il poeta
abbandonarsi ad un'intima comunione con questo momento della giornata, ritratto attraverso il filtro
della propria raffinata soggettività. Quali le conclusioni che si possono trarre da quest'analisi di
quattro componimenti scritti in un arco di tempo di oltre un secolo e tutti incentrati su un medesimo
motivo? Anzitutto risulta chiaro come nelle liriche analizzate la sera venga trattata, da poeti assai
diversi per indole, per sensibilità e contesto storico-culturale, in maniera al tempo stesso usuale e
originale. Usuale e comune a tutti - e collegato del resto al patrimonio letterario tradizionale - è il
valore simbolico-metaforico assegnato dai quattro poeti a questo momento del giorno, spesso
interpretato come immagine o prefigurazione della morte. Originale e nuovo è, invece, il modo in
cui i vari autori trattano questo motivo: due, Foscolo e Pascoli, lo trattano, per così dire, in chiave
personale-autobiografica; Leopardi lo porta ad assumere un significato più ampio e D'Annunzio,
infine, lo disintegra in termini puramente evocativi. Della sera poi, un pò tutti questi poeti colgono e
sottolineano l'idea di attesa e di vaga "promessa" che in essa è insita, ma Leopardi utilizza il
concetto come spunto per l'espressione di una precisa teoria filosofica, D'Annunzio, invece, lo
sviluppa in termini puramente estetici. Sul piano strutturale e formale, inoltre, i quattro
componimenti segnano in modo assai significativo le tappe di progressive acquisizioni linguistiche,
tecniche ed espressive in direzione di una sempre maggiore "modernità": dal sonetto bipartito ma
già fluido in Foscolo, alla canzone "libera" leopardiana, alle assonanze e consonanze pascoliane,
fino al concerto di suoni e colori dei versi liberi della lirica dannunziana. Analogamente, sul piano
delle strutture espressive, nelle quattro liriche si registra una tendenza ad attuare una sempre
maggiore fusione fra momento descrittivo e momento simbolico, che prima, nettamente divisi,
finiscono, in Pascoli e D'Annunzio, col risolversi l'uno nell'altro, facendosi pura parola poetica che
esclude ogni preconcetta ideologia. L'analisi potrebbe continuare: il motivo della sera conosce
infatti ulteriori rivisitazioni in tempi a noi ancor più vicini, fino a trovare forse il suo momento di
massima sintesi universalizzante in quella che è la lirica più nota di Salvatore Quasimodo: "Ed è
subito sera".