La comunicazione: fondamenti Tratto da : http://www.eugenioiorio.it/wiki2.0/index.php/default_wiki/Capitolo_1_La_comunicazione:_fondamenti/ Sommario La comunicazione: fondamenti ....................................................................................................... 1 1.0) Teorie dei segni, dell’informazione e della comunicazione ................................................ 2 1.1) La teoria dei segni ................................................................................................................. 3 1.2) La teoria dell´informazione .................................................................................................. 4 1.2.1) Comunicazione e informazione ......................................................................................... 4 2.0) Teorie della comunicazione ................................................................................................. 5 2.1) Karl Bűhler ........................................................................................................................... 6 2.2) Roman Jacobson ................................................................................................................... 7 2.3) Claude Shannon e Warren Weaver ..................................................................................... 10 2.4) Ferdinand de Saussure ........................................................................................................ 10 2.5) John L. Austin ..................................................................................................................... 12 2.6) John Searle .......................................................................................................................... 14 2.7) Paul Grice ........................................................................................................................... 15 2.8) Schema di un sistema interattivo della comunicazione ...................................................... 17 3.0) L´ambiente o contesto ........................................................................................................ 19 4.0) I modelli comunicativi .......................................................................................................... 20 4.1) Il modello matematico dell’informazione .......................................................................... 20 4.2) Il modello semiotico-informazionale .................................................................................. 21 4.3) Il modello semiotico-testuale .............................................................................................. 22 4.4) Il modello semiotico-enunciazionale .................................................................................. 22 5.0) Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto (comunic. non verbale) ....... 23 5.1) Primo assioma..................................................................................................................... 24 5.2) Secondo assioma ................................................................................................................. 25 5.3) Terzo assioma ..................................................................................................................... 26 5.4) Quarto assioma ................................................................................................................... 26 5.5) Quinto assioma ................................................................................................................... 27 1 1.0) Teorie dei segni, dell’informazione e della comunicazione Il linguaggio è contemporaneamente lo strumento e il modo fondamentale di comunicazione, utilizzato da ogni uomo per la costruzione di rapporti di interazione con gli altri uomini e con il mondo in generale. L’unità di base di ogni tipo di linguaggio è il segno: si definisce “segno” ogni cosa che sta per qualcos’altro e serve a comunicare questo qualcos’altro a qualcuno. In base ai criteri dell’intenzionalità e della motivazione relativa, distinguiamo almeno cinque diverse tipologie di segni: 1. indici (o sintomi), motivati naturalmente/non intenzionali, basati sul rapporto causa-effetto (ad es. starnuto per avere raffreddore); 2. segnali, motivati naturalmente/usati intenzionalmente (ad es. sbadiglio involontario per noia); 3. icone (dal gr. eikón, immagine), motivati analogicamente/intenzionali, basati sulla similarità di forma e struttura, riproducono le proprietà dell’oggetto designato (ad es. le simbologie presenti sulle guide turistiche); 4. simboli, motivati culturalmente/intenzionali (ad es. colore nero per lutto); 5. segni propriamente detti, non motivati/intenzionali (ad es. comunicazione gestuale). Procedendo dagli indici ai segni propriamente detti, la motivazione che lega il qualcosa al qualcos’altro del segno è sempre più convenzionale e meno diretta, con conseguente aumento della specificità culturale del segno. Su un primo versante gli indici, essendo fatti di natura, hanno per definizione un valore universale e rimangono uguali per tutte le culture in ogni tempo; sul versante opposto, i segni propriamente detti dipendono da ogni singola tradizione culturale (ad es. il termine gatto è un segno linguistico propriamente detto, prodotto intenzionalmente per riferirsi ad un animale nella specifica cultura linguistica italiana). Il segno è, dunque, l’unità fondamentale della comunicazione (dal latino communis, mettere in comune, rendere comune, trasmette informazioni). Si può parlare di comunicazione utilizzando un’accezione molto larga o più ristretta del termine. Secondo una prima ed ampia accezione, ogni fatto culturale, compresi i fatti di natura filtrati dell’esperienza umana, veicola informazioni che possono essere interpretate da qualcuno. Secondo un’accezione più ristretta, si ha comunicazione quando c’è un comportamento prodotto da un’emittente al fine di far passare dell’informazione, percepito da un ricevente come tale. Il coinvolgimento del concetto di intenzionalità differenzia la comunicazione dal semplice passaggio di informazione. In maniera ancor più rigorosa, è verosimile individuare tre possibili categorie nel fenomeno generale della comunicazione: a) Comunicazione in senso stretto: forte emittente intenzionale es. linguaggio verbale umano, sistemi ricevente intenzionale di comunicazione artificiali b) Passaggio di informazioni: “codice”: emittente non intenzionale es. parte della comunicazione non ricevente intenzionale verbale umana (postura) 2 c) Formulazione di inferenze: debole nessun emittente (è solo presente un “oggetto culturale”) es. modi di vestire interpretante Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto - Primo assioma - Secondo assioma - Terzo assioma - Quarto assioma - Quinto assioma Stili di comunicazione e comunicazione indiretta Comunicazione persuasiva e negoziazione del conflitto - Comportamento relazionale positivo - Il conflitto 1.1) La teoria dei segni L’uomo vive immerso in un mondo di segni: ciascuno, anche inconsciamente, in ogni istante della propria esistenza produce, riceve e interpreta segni. Ogni cosa può essere segno, ma non è detto che lo sia necessariamente: il segno, sia naturale che convenzionale, per essere tale ha bisogno di essere segno per qualcuno, che sia in grado di riconoscerlo, coglierlo ed interpretarlo. Così, il fumo è segno di fuoco solo ed esclusivamente se vi è qualcuno che lo coglie come tale; in caso contrario, il fumo è semplicemente fumo, privo di qualsiasi valenza signica. La realtà parla solo all’uomo disposto ad ascoltare e capire. La scienza che studia i segni è la semiotica. Più precisamente, la semiotica individua nei sistemi linguistici le unità che li compongono (i segni), cerca di comprenderne le relazioni reciproche e di spiegare i processi e gli atti di comunicazione che li coinvolgono. Nell’ambito delle ricerche di tipo semiotico sono state formulate, dai tempi della filosofia classica ad ora, varie teorie relative ai diversi possibili tipi di relazione esistenti tra un oggetto, un segno e il modo in cui tale segno viene interpretato nella mente. Senza inoltrarci troppo in questo terreno molto delicato, analizziamo i più importanti apporti avutisi in materia. Tommaso D´Aquino Immanuel Kant Umberto Eco Ferdinand de Saussure Charles Sanders Peirce Thomas Albert Sebeok 3 Gottlob Frege Teorie culturologiche 1.2) La teoria dell´informazione Il concetto di informazione è quanto mai vasto e differenziato: informazione è in generale qualunque fatto o dato trasmissibile. Qualunque comunicazione, scritta o orale che sia, contiene informazione. Sono informazioni i dati in un archivio così come la configurazione degli atomi di un gas. L’informazione può essere misurata come ogni altra entità fisica e il suo concetto è sempre esistito, anche se se ne è riconosciuto il rilievo solo nel secolo scorso. Fondamentale è stata, a tal fine, la scoperta della doppia elica del DNA nel 1953 da parte di James Watson e Francis Crick, che ha posto le basi biologiche per la comprensione della struttura degli esseri viventi da un punto di vista informativo. La doppia elica è costituita da due filamenti accoppiati e avvolti su sé stessi a formare una struttura elicoidale tridimensionale. Ciascun filamento può essere ricondotto a una sequenza di acidi nucleici (adenina, citosina, guanina, timina). Per rappresentarlo, si usa un alfabeto finito come nei calcolatori, quaternario invece che binario, dove le lettere sono scelte tra A,C,G eT, le iniziali delle quattro componenti fondamentali. Il DNA rappresenta, cioè, il contenuto informativo delle funzionalità e della struttura degli esseri viventi, ed è sempre esistito in essi, al pari degli atomi e dell’energia. L’informazione e la sua elaborazione attraverso i computer hanno certamente un impatto notevole nella vita quotidiana. La sua importanza è testimoniata, ad esempio, dai sistemi di protezione escogitati mediante la crittografia e dal valore commerciale della borsa tecnologica. L’uso appropriato dell’informazione pone problemi etici di rilievo, come nel caso della privacy riguardante le informazioni cliniche, che potrebbero altrimenti avvantaggiare le compagnie di assicurazioni mediche e danneggiare i pazienti. 1.2.1) Comunicazione e informazione L’informazione non è il messaggio, ma il processo di incontro con ciò che riceviamo come messaggio o con ciò che pensiamo di ricevere. E’ l’azione associata al messaggio, e quindi non viaggia. Ricevere informazione è, in realtà, un’affermazione che non ha senso: possiamo soltanto selezionare perturbazioni interpretandole come messaggi: tale selezione/interpretazione produce una riduzione dell’incertezza rispetto all’insieme delle perturbazioni che potevamo attenderci. Il fraintendimento del termine cela la nostra operazione cognitiva e il nostro ruolo di attivi selezionatori e recettori di messaggi. Come dice von Foerster, chiamare le banche dati sistemi di immagazzinamento e di recupero dell’informazione, equivale a chiamare un garage sistema di immagazzinamento e di recupero del trasporto. Confondendo i veicoli di potenziale informazione con l’informazione stessa, si colloca di nuovo il problema della cognizione nel punto cieco della 4 nostra visione intellettuale; e il problema convenientemente scompare. Per von Foerster: “Fintantoché il linguaggio viene considerato denotativo sarà necessario considerarlo come un mezzo per la trasmissione di informazioni, come se qualcosa fosse trasmessa da organismo a organismo, in modo tale che il dominio di incertezze del ricevente dovrebbe essere ridotto secondo le specificazioni dell’inviante. Tuttavia quando è riconosciuto che il linguaggio è connotativo e non denotativo, e che la sua funzione è di orientare l’orientato entro il suo dominio cognitivo indipendentemente dal dominio cognitivo dell’orientatore, diventa evidente che non vi è alcuna trasmissione di informazioni attraverso il linguaggio […] In senso stretto allora, non vi è alcun trasferimento di pensiero dal parlante al suo interlocutore; l’ascoltatore crea informazione riducendo la sua incertezza attraverso le sue interazioni nel suo dominio cognitivo”. 2.0) Teorie della comunicazione Il termine comunicazione deriva dalle parole latine communis e actio. Il termine communis deriva, a sua volta, da cum + munio ed indica il sentirsi o l’essere obbligati nei confronti di qualcuno; il termine actio vuol dire, invece, azione. Comunicare, dunque, non vuol dire null’altro che creare un rapporto di collegamento a ciò che è altro e diverso da sé, sentirsi obbligati in un rapporto comune: espressioni che trovano la loro principale valenza nel termine relazione. Comunicare significa relazionarsi con qualcuno, istituire un rapporto dialettico, un incontro con qualcuno che non sia il sé, ma l’altro da sé, e che in tale rapporto sia attivo e non passivo. Anche il semplice stare al mondo può essere definito comunicazione, in quanto in ciò è individuabile sempre una posizione di confronto, uno scambio, un dialogo, non necessariamente verbale e non necessariamente rivolto all’altro uomo. Tra i termini comunicazione ed informazione la differenza è molto sottile. Possiamo comprendere cosa si intende per comunicazione e cosa per informazione, introducendo due classi di differenze fondamentali. La differenza tra le due attività è, prima d’ogni altra cosa, una differenza di mezzi. Seguendo la più importante teoria sviluppata sul tema, l’informazione è una specie, nel senso che è compresa, nel genere di attività che chiamiamo comunicazione. Generalmente, trasmettendo un messaggio informativo si trasmette una notizia. La trasmissione di una comunicazione comprende, invece, varie modalità specifiche. Una comunicazione può consistere nella modalità sponsorizzazione, promozione, manifestazione ed altro ancora. Possiamo, poi, cogliere una distinzione relativa al feedback, ovvero alla retroazione del dato trasmesso. Nell’attività di informazione, il fine che attraverso la trasmissione di una notizia si vuole raggiungere, è di far conoscere qualcosa a qualcuno. Il feedback, in questo caso, è utile per poter ottenere quelle informazioni che permettono di valutare e verificare se l’attività ha raggiunto l’obiettivo e, eventualmente, quale ne è stata l’efficacia. L’attività di comunicazione, invece, ha l’obiettivo di creare un rapporto tra due referenti, di reciproca crescita ed influenza. All’attività comunicativa, il feedback è utile per poter valutare 5 quantitativamente e qualitativamente il cambiamento, ovviamente in senso positivo, che nella relazione i due interagenti hanno maturato. Più volgarmente, la differenza tra comunicazione ed informazione può essere individuata nel fatto che la comunicazione consiste in informazione significata, dotata di senso. Per una riflessione più puntuale sul tema della comunicazione passiamo in rassegna le varie teorie che al riguardo sono state elaborate. Karl Bűhler Roman Jacobson Claude Shannon e Warren Weaver Ferdinand de Saussure John L. Austin John Searle Paul Grice Schema di un sistema interattivo della comunicazione 2.1) Karl Bűhler Karl Bűhler (1879-1963), psicologo e filosofo tedesco, ha teorizzato il modello strumentale del linguaggio e, in esso, ha individuato l’esistenza di tre elementi posti in relazione tra loro nei processi comunicativi: un mittente, un destinatario e ciò su cui si comunica (oggetti e fatti). In una situazione comunicativa e con riferimento ai soggetti che ne sono coinvolti, il segno linguistico assume tre funzioni di senso, in relazione alle tre componenti fondamentali della comunicazione. Il segno è simbolo, in virtù della sua corrispondenza a oggetti e fatti; è sintomo (indice, indicium) in rapporto alla sua dipendenza dall’emittente, della cui interiorità è espressione; è segnale in forza del suo appello all’ascoltatore, di cui dirige il comportamento esterno o interno. In un processo comunicativo: 1. il mittente esprime con i suoi messaggi il suo stato d’animo, le sue idee, la visione che ha del mondo e della realtà in generale; 2. il messaggio viaggia dal mittente al destinatario e deve parlare di qualcosa, riguardare la realtà; 3. il destinatario riceve il messaggio, cogliendolo come se fosse un appello. Il segno può essere sbilanciato verso uno dei tre vertici del triangolo. La funzione appellativa, però, in forma esplicita o implicita, è sempre presente. Oggetti e fatti Rappresentazione Espressione Appello Emittente Ricevente Modello strumentale del linguaggio 6 2.2) Roman Jacobson Roman Jakobson (1896 – 1982), linguista, riprendendo e ampliando il modello di Bűhler, scompone il processo della comunicazione in sei elementi principali, a ciascuno dei quali associa una particolare funzione: Modello di Jakobson 1. Il contesto è l’universo nel quale avviene la comunicazione, il suo intorno, la situazione nella quale di fatto si situa la dinamica comunicativa. E’ l’oggetto, l’argomento, il problema a cui ci si riferisce nel messaggio. Cambiando il contesto, il messaggio può assumere un diverso significato. Al contesto Jakobson associa la funzione referenziale, mediante la quale è possibile fare riferimento o informare su un determinato contesto, un oggetto, un argomento o un problema (ad es. l’acqua è limpida, ha una temperatura di 15°). Da sottolineare la differenza esistente tra il concetto di contesto e quello di cotesto. Il cotesto, ovvero il testo contiguo alla comunicazione, precedente o successivo, può essere considerato un particolare caso di contesto. 2. Il messaggio è ciò che il testo, o l’insieme di testi, comunicano o, in senso più largo, l’oggetto materiale scambiato (suoni, scritti, modi di vestire). La funzione ad esso associata è quella poetica, ovvero la possibilità di esprimere in modo formalmente raffinato il messaggio (ad es. Chiare, fresche e dolci acque); è l’attenzione alla forma stessa del messaggio, l’orientamento del messaggio al messaggio stesso. Jakobson, richiamando lo slogan riferito al presidente americano Eisenhower I like Ike, fornisce un esempio molto efficace di funzione poetica del messaggio: tale espressione risulta gradevole all’udito, contiene una rima interna, è efficace e semplice da ricordare. 3. Il mittente (o emittente), è chi produce o origina la comunicazione. La funzione ad esso associata è quella emotiva, che permette di esprimere pensieri, opinioni, sentimenti (ad es. Che bell’acqua trasparente, viene voglia di berla). 4. Il destinatario (o ricevente), è colui che riceve e a cui è rivolto il messaggio. La funzione ad esso associata è quella conativa o persuasiva, quella per cui il mittente si sforza di produrre un effetto sul destinatario, del tipo convincere, indurre, persuadere a fare, dire, credere qualcosa. (ad es. Bevi quest’acqua! Sentirai com’è buona e Fresca). 5. Il canale o contatto è il mezzo attraverso il quale il messaggio passa dal mittente al destinatario. Il canale può essere sia di tipo fisico (ad es. l’aria per la voce), che tecnico (ad es. un cavo). Il canale è spesso responsabile di problemi di rumore, ovvero di disturbo alla comunicazione, che per lo più dipendono dalla sua stessa natura (ad es. le interferenze nella radio). Ogni comunicazione può essere disturbata o addirittura impedita, nel caso del rumore, oppure può essere facilitata e rafforzata, nel caso della ridondanza. Rumore è un termine tecnico, che fa riferimento a inconvenienti di tipo fisico, per es. 7 una voce rauca o balbettante da parte dell’emittente, oppure la distrazione o la sordità da parte del ricevente. Anche quando il termine intende riferirsi, in maniera più traslata, a un codice troppo difficile o troppo oscuro, o alla mutevolezza eccessiva del referente, si tratta sempre d’inconvenienti di tipo tecnico. Di fatto, l’esistenza del rumore è una caratteristica da considerare non solo come un disturbo, ma anche come una qualità che caratterizza la costruzione di un messaggio secondo un linguaggio specifico anziché un altro. Dunque, è dagli accidenti della comunicazione, dagli errori e non solo dalle differenze che talvolta un linguaggio ha la possibilità di evolvere e trarre le caratteristiche più utili per la cultura che ne fa uso. I principali tipi di canale sono: • canale fisico sonoro, ovvero qualsiasi ambiente in cui è presente l’aria portatrice di vibrazioni acustiche; • canale fisico visivo, ovvero qualsiasi ambiente in cui è presente o può passare la luce (ad es. una sala buia per proiezione cinematografica); • canale fisico olfattivo, ovvero qualsiasi ambiente caratterizzato dalla trasmissione di odori; • canale fisico tattile, ovvero qualsiasi materia che trasmette vibrazioni o sensazioni tattili (ad es. il rilievo nella scrittura braille); • canale tecnico sonoro, ovvero tutti gli strumenti che trasmettono suono (ad es. telefono, microfono, radio, cinema); • canale tecnico visivo, ovvero strumenti come la fotografia e il cinema; • canale visivo-sonoro-tattile e olfattivo, ovvero le tecnologie di realtà virtuale. La funzione che Jakobson attribuisce al canale è quella fatica, che permette di verificarne il funzionamento, di assicurarsi che il canale sia funzionale al trasferimento del messaggio (ad es. Prova microfono: uno, due, tre…). La funzione fatica della lingua svolge principalmente il compito di garantirsi che esista una connessione tra emittente e destinatario. Dunque, qualsiasi strategia pubblicitaria che porti l’attenzione del pubblico sul messaggio, qualsiasi comportamento che creando una relazione, o rafforzandola, attraverso comportamenti abitudinari ad essa relativi, convalidi la possibilità di poter avere scambi tra i partecipanti alla relazione, rientra nell’area coperta dalla cosiddetta funzione fatica. Buona parte di quei comportamenti che, pur esprimendo dei contenuti specifici, non sono minimamente interessati al comunicarli quanto all’attivare o rafforzare una determinata rete di rapporti (ad es. il farsi notare dal datore di lavoro o l’intrattenervi colloqui), può non avere per forza la finalità di scambiarsi dei contenuti, ma anche semplicemente la necessità formale di mantenere attiva la relazione. La componente fatica è particolarmente presente in tutte le forme di comunicazione costruite da una società non tanto per trasmettere determinati contenuti, quanto per garantire il rafforzamento di determinati valori sociali, che fungono da collante tra i cittadini. Far condividere la partecipazione a rituali e scambi di tipo simbolico è una tradizionale forma di governo dalle civiltà basate sull’esistenza di miti. Se talvolta può sembrare che l’esistenza in una società di determinate figure simboliche possa essere un modo per determinare conseguenti gerarchie nei rapporti sociali, altre volte l’apparente opposizione e conflitto tra 8 bene e male, buono e cattivo, schiavo e padrone si risolve in un canovaccio in cui le parti si scambiano, mentre ciò che rimane stabile è la struttura sociale: ed è proprio su tale stabilità che traggono vantaggio determinate figure sociali anziché altre, più che dal ruolo sociale che apparentemente vi svolgono. 6. Il codice è un sistema strutturato per produrre segni, come ad esempio la lingua italiana, con cui il mittente formula il messaggio che invia al destinatario. E’ necessario che il mittente conosca il codice con cui codificare il messaggio e che questo sia condiviso dal destinatario, affinché la decodifica avvenga in maniera corretta. Vi sono situazioni che forzano l’uso di un codice anziché di un altro proprio per la natura del mezzo usato o dell’ambiente (ad es. una telefonata obbliga all’uso del linguaggio verbale). Come si è già avuto modo di notare, l’esistenza di media specifici può influenzare la società e, dunque, gli individui che ne fanno parte trasformandone i comportamenti e gli atteggiamenti. Secondo alcuni, una persona pensa così come parla. Se, dunque, un linguaggio determinato ci abitua a esprimerci secondo modalità specifiche, la conseguenza sarà che la mente muterà di conseguenza. Per alcuni, le tecnologie dei media sono anche tecnologie della mente. Di fatto è vero anche il contrario: l’esistenza di linguaggi codificati della comunicazione influenza pesantemente il modo in cui si sviluppano le nuove interfacce tecnologiche della comunicazione. E’ importante avere ben presente che la costruzione di determinati strumenti di comunicazione e dei relativi linguaggi non sarà un semplice strumento per gli individui, ma diventerà parte della loro vita, ne condizionerà i loro modelli cognitivi, sarà un mutamento, per alcuni un’evoluzione, nel loro modo di relazionarsi con il mondo. La funzione che Jacobson lega al codice è quella metalinguistica, che consiste nella possibilità che la lingua parli della lingua, rendendo possibile la descrizione del codice stesso (ad es. Acqua è una parola che si scrive con il gruppo consonantico ‘cq’). Nella teoria di Jakobson la comunicazione è unidirezionale. Tale modello risente fortemente dell’influsso della teoria dell’informazione e da essa trae caratteristiche talvolta limitanti. Nel lavoro di Julien Greimas, linguista, così come di Umberto Eco, semiologo, ed altri, al contrario la comunicazione è vista come un processo cooperativo, in cui non si ha un unico soggetto o attore della comunicazione, ma una molteplicità che attraverso una dinamica circolare partecipano alla costruzione cooperativa del senso del discorso. I nuovi media, ed in particolare le reti telematiche, sono tecnologie in cui l’utente potrebbe essere sia attore che spettatore della comunicazione. I testi sono aperti e l’utente stesso, le sue azioni, sono una parte determinante del contenuto del testo. Sono strumenti potenzialmente molto cooperativi, in cui la distinzione tra mittente e destinatario rischia di diventare obsoleta, o almeno fortemente sfumata. Qualsiasi testo mediale, sia esso realizzato tramite la scrittura o attraverso un film, un romanzo o, in particolare, attraverso la televisione, deve possedere una molteplicità di livelli semantici, deve cioè essere polisemico, e quindi possedere la caratteristica di essere aperto, ovvero offrirsi all’essere completato attraverso il suo uso da parte del pubblico. 9 2.3) Claude Shannon e Warren Weaver Una diversa classificazione degli elementi coinvolti nella comunicazione, intesa però nel senso di informazione, è stata proposta al tempo della seconda guerra mondiale da Claude Shannon (1916 – 2001) e Warren Weaver, ingegneri. Le differenze rilevabili tra la loro classificazione e quella di Jakobson dipende dalla diversa formazione culturale dei rispettivi teorizzatori. Per Shannon e Weaver, le componenti della comunicazione sono in tutto sette: 1. l’emittente; 2. il segnale, trasmesso dall’emittente; 3. il messaggio, veicolato dal segnale; 4. il ricevente, ovvero chi materialmente riceve il messaggio; 5. il destinatario, potenzialmente diverso dal ricevente, è colui a cui i messaggio è diretto; 6. la fonte, da cui l’emittente apprende il messaggio che trasmette; 7. il rumore, uno o più potenziali, che disturba, se presente, il segnale. Esso può essere di natura tecnica, come un disturbo fisico vero e proprio, oppure semantico, ad esempio un flusso di pensieri parallelo al principale che abbassa il livello di concentrazione. Per informazione, Shannon e Weaver intendono non il contenuto del messaggio, ma la misura della prevedibilità del segnale, che è ridondante quando è molto prevedibile, entropico in caso contrario. Più il messaggio risulta ridondante, più si è al riparo da cattive interpretazioni. La formazione culturale di Shannon e Weaver li portò a individuare nella cura della codifica del segnale e nell’efficienza del sistema di trasmissione la sufficiente garanzia di una buona comunicazione. In realtà, ciò vale sicuramente per il passaggio di informazione che avviene tra macchine. Il caso della comunicazione umana è, invece, più complesso: la sue efficienza dipende da tutta una serie aggiunta di fattori, come, ad esempio, la condivisione del contesto, che non possono essere tralasciati. 2.4) Ferdinand de Saussure Per Ferdinand de Saussure (1957 – 1913), il segno è un’entità unitaria ma comprendente al suo interno due componenti: il significato, ovvero il concetto a cui il segno fa riferimento, e il significante, veicolo per il precedente. Significato e significante sono entità psichiche, che esistono nella coscienza degli interagenti per suo tramite, ma non hanno una consistenza oggettiva e materiale. All’interno del segno, il rapporto tra significato e significante è arbitrario, definito attraverso una convenzione: ogni segno è tale e specifico in quanto diverso da ogni altro, sia sul versante del significante che su quello del significato. Il concetto di arbitrarietà è presupposto imprescindibile sia per la definizione del significante che del significato. Ad un primo livello, quello del significante, ogni specifica lingua costruisce arbitrariamente una relazione di significazione tra una combinazione di suoni e una certa porzione di realtà. Ad un secondo 10 livello, ogni lingua fissa i significati in maniera arbitraria. Così, la lingua italiana attribuisce una diversa cadenza semantica ai termini legna, legname e bosco; la lingua francese racchiude nel solo termine bois l’intera valenza semantica dei precedenti di lingua italiana. In definitiva, ogni lingua storico-naturale categorizza in modo differente la realtà, sia sul versante del significato che su quello del significante. L’arbitrarietà come regola di ogni lingua nella fissazione di suoni e concetti dipende anche e soprattutto da tutta una serie di priorità, imposte dalla realtà contestuale: vi sono delle necessità pratiche che inducono le culture a organizzare una specifica libreria di concetti, un vero e proprio apparato espressivo, che permette la comunicazione tra gli appartenenti alla comunità di turno. Ad esempio, le necessità contestuali hanno reso necessario alla comunità eschimese la codificazione di significanti diversi per distinguere diverse tipologie del fenomeno che in lingua italiana è individuato sempre e solo dal termine neve. Ad un livello più elevato rispetto a quello del segno, parlando delle unità fondamentali del linguaggio, un’altra distinzione importante fatta da de Saussure è quella relativa ai concetti di langue e parole. Il concetto di langue può essere assimilato a quello di codice. E’ un’istituzione sociale, perché, per dirla alla Durkheim, è coercitiva e trascendente l’individuo. Una lingua non può essere controllata da singole persone perché presuppone un patto stipulato tra tutti i membri di una società intera: non a caso sono in molti a pensare che il linguaggio sia l’istituzione sociale più democratica che esiste, basandosi sull’osservazione ovvia che nessuna lingua naturale è mai nata per contratto. La langue è una sorta di grammatica presente a tutti i livelli linguistici (suoni, sillabe, frasi) a cui tutti i parlanti di una lingua fanno riferimento, molto spesso inconsapevolmente. E’ un insieme di regole socialmente condivise, che costituiscono le forme della lingua. E’ esterna all’individuo e si acquisisce passivamente. La parole, invece, può essere intesa come il momento della parlata, l’atto fonatorio in sé e per sé. Attraverso il parlare, il singolo individuo fa sua la langue. L’atto della parlata è prettamente individuale, creativo, attivo e vario, ma pur sempre prodotto in funzione di un codice (langue). Ogni lingua è come una macchina che permette al suo guidatore di andare dove desidera: il cofano, il telaio, l’apparato esterno è la langue, mentre l’individuo alla guida rappresenta la parole, a cui spetta decidere dove andare con il mezzo a disposizione. Un aspetto davvero interessante è che la langue è composta da pochi elementi mentre la parole da molti. In italiano, ad esempio, ci sono meno di trenta suoni, vocali e consonanti, utilizzati in combinazioni differenti e potenzialmente infinite: la langue è pertanto formale e invariante, la parole sostanziale e variabile. Al di là degli aspetti appena citati, sono diverse le caratteristiche specifiche che permettono di distinguere tra langue e parole: Caratteristiche distintive di langue e parole LANGUE PAROLE sociale VS individuale passiva attiva esterna interna formale sostanziale 11 pochi elementi molti elementi invariante variabile 2.5) John L. Austin Soffermandoci in modo particolare sulla comunicazione verbale, ogni enunciato prodotto costituisce un atto linguistico. La più importante teoria degli atti linguistici è stata elaborata da John L. Austin (1911 – 1960), filosofo analitico del linguaggio. Il concetto centrale della filosofia analitica del linguaggio è che parlare è agire. Sulla base di tale assunto, il fenomeno linguistico viene considerato dal punto di vista pragmatico, cioè si considerano gli enunciati “in quanto prodotti da proferimenti del parlante in situazioni determinate. Proferimenti che equivalgono ad atti di dire qualcosa, ma anche, e in vari sensi, a delle azioni “. Austin intuì che produrre un enunciato vuol dire fare contemporaneamente tre cose distinte, compiere tre atti: di qui la possibilità di descrivere l’atto linguistico su tre livelli differenti, a partire dalla sua formulazione sino ai suoi effetti nel contesto extralinguistico. 1. Ad un primo livello individuiamo l’atto locutivo, o locutorio, che consiste nel formare una frase in una data lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale e lessicale (ad es. Francesco mangia come struttura SN + SV, costituita da due parole a loro volta create a partire da specifici fonemi, con un certo significato denotativo,…). Detto altrimenti, l’atto locutorio è l’atto di dire qualcosa, sia come attività fisica necessaria a produrre l’enunciato, sia come conoscenza della grammatica della lingua usata, sia come conoscenza del senso e del riferimento dei vocaboli usati. 2. Ad un secondo livello, l’atto illocutivo, o illocutorio, è l’atto che consiste nel dire qualcosa, nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase, nell’azione che si intende convenzionalmente compiere dicendo quell’enunciato (ad es. Francesco mangia nel suo valore di dare un’informazione, descrivere, fare un’affermazione). Ogni enunciato possiede una propria e specifica forza illocutiva. Per esempio, una frase proferita da un parlante o scritta da un autore può avere la forza illocutoria di una promessa, di una minaccia o di una semplice affermazione. Il destinatario riconosce la forza illocutoria di un atto linguistico per mezzo di indicatori contenuti nei discorsi orali o scritti. È questo il livello che la filosofia analitica del linguaggio ha maggiormente approfondito e che è più interessante, se si vuole affrontare un’analisi del discorso. 3. Ad un terzo livello, infine, l’atto perlocutivo, o perlocutorio, è l’atto che consiste nel fare qualcosa, che produce sempre effetti e conseguenze. Il perlocutivo può essere definito anche come l’atto che consiste nell’effetto che si provoca, e si ha intenzione di provocare, nel destinatario del messaggio, nella funzione concreta effettivamente svolta da un enunciato prodotto in una determinata situazione (ad es. Francesco mangia può valere, da questo punto di vista, come sollievo per gli amici di Francesco che temono per la 12 sua salute). La frase Chiuderesti la porta? ha la struttura grammaticale di una frase interrogativa (atto locutivo), il valore di una richiesta o un ordine (atto illocutivo), l’effetto di ottenere che venga chiusa la porta (atto perlocutivo), sempre che la sua forza illocutiva riesca a raggiungere l’obiettivo voluto. Perché un atto linguistico sia appropriato, esso deve rispondere ad alcune condizioni. Per prima cosa, devono essere soddisfatte alcune condizioni preparatorie che riguardano le conoscenze, i desideri e le credenze del parlante e del destinatario. Per esempio, una promessa ha come condizione che l’atto riguardi qualcosa di piacevole per il destinatario, un’asserzione che l’atto riguardi qualcosa che il destinatario non sa e si presume che voglia sapere. Esistono, poi, vere e proprie condizioni di sincerità, necessarie in quanto l’atto linguistico è legato convenzionalmente al significato ed alle intenzioni del parlante. Per esempio, una richiesta è sincera se il parlante vuole effettivamente che il destinatario faccia quanto richiesto. Vi sono, poi, condizioni essenziali che caratterizzano ogni singolo atto linguistico in modo specifico. Per esempio, una promessa ha come essenziale che il parlante si assuma un obbligo, un ordine presuppone come essenziale un voler far fare qualcosa a qualcuno. Infine, vi sono condizioni sociali che riguardano la posizione sociale di chi compie l’atto e del destinatario. Per esempio, è un giudice in un processo ad assolvere o a condannare, un superiore in un esercito a dare ordini. Queste condizioni di felicità di un atto linguistico sono necessarie per un suo successo, il che avviene quando il destinatario riconosce esattamente il significato voluto dal parlante. Sia nei discorsi orali che in quelli scritti, possono essere riconosciuti indicatori di forza illocutoria che aiutano a disambiguare un atto linguistico. Per esempio, in un discorso orale è importante l’intonazione della voce, in un discorso scritto sono importanti i segni di interpunzione e l’ordine delle parole e, in entrambi i casi, sono importanti indicatori di forza illocutoria i modi verbali. Tuttavia, non è possibile stabilire la forza illocutoria di un atto linguistico considerandone solo il contenuto semantico, indipendentemente dal contesto in cui si trova. Gli indicatori di forza puramente linguistici possono anche essere in contrasto con le circostanze di proferimento. Il valore illocutorio di un atto è indecidibile a prescindere dal particolare contesto in cui viene pronunciato, dalle relazioni intercorrenti fra i suoi partecipanti, dai rapporti gerarchici e di potere che li legano, dalle rispettive credenze, aspettative, desideri e volontà. Nella sua riflessione teorica, Austin procede ulteriormente, tentando una propria classificazione degli atti linguistici in : 1. atti verdittivi, che esprimono, in base a prove o ragioni, un giudizio di valore o di fatto. Verbi di questa categoria sono, per esempio, valutare, giudicare, descrivere, analizzare; 2. atti esercitivi, che esprimono una decisione pro o contro una linea d’azione e tendono a dirigere il comportamento del destinatario. È il caso di verbi come ordinare, comandare, dare istruzioni, vietare; 3. atti commissivi, che impegnano il parlante ad una certa linea d’azione. È il caso di verbi come promettere, giurare, garantire; 4. atti espositivi, che servono ad esprimere i propri punti di vista, le proprie argomentazioni e a chiarificare l’uso o il riferimento delle parole. È il caso di verbi come affermare, negare, accettare, 13 classificare; 5. atti comportativi, che esprimono le reazioni del parlante a comportamenti od atteggiamenti appena passati o immediatamente futuri degli altri. È il caso di verbi come chiedere scusa, ringraziare, maledire. 2.6) John Searle John Searle (1932), anche lui filosofo analitico del linguaggio, elabora la sua teoria a partire dalla critica alla tassonomia di Austin appena analizzata, non costruita, a suo dire, in base a principi chiari, tanto che si fa confusione tra verbi illocutori e atti illocutori, vi sono sovrapposizione tra le classi verbali e troppa eterogeneità al loro interno. Searle pone come criterio centrale della sua classificazione il concetto di scopo illocutorio. Lo scopo illocutorio è parte integrante della forza illocutoria, ma ne è distinto. Per esempio, richiesta e comando hanno lo stesso scopo illocutorio, cioè il far fare qualcosa al destinatario, ma la loro forza è diversa. Searle propone cinque categorie di atti illocutori: 1. gli atti rappresentativi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia alla verità della proposizione espressa. Verbi che denotano atti di questa classe sono, per esempio, suggerire, ipotizzare, asserire; 2. gli atti direttivi hanno come scopo illocutorio quello di costituire dei tentativi di indurre il destinatario a fare qualcosa. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, ordinare, comandare, invitare, sfidare, provocare; 3. gli atti commissivi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia ad assumere una condotta futura. Un verbo che denota un atto di questa classe è, per esempio, promettere; 4. gli atti espressivi hanno come scopo quello di esprimere lo stato psicologico a proposito di una proposizione la cui verità è data per scontata. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, chiedere scusa e congratularsi; 5. gli atti dichiarativi, se eseguiti felicemente, fanno corrispondere contenuto proposizionale e realtà. Essi provocano dei cambiamenti di status nelle persone o negli oggetti a cui si riferiscono, grazie agli indicatori di forza illocutoria in essi contenuti. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, scomunicare, battezzare. Searle introduce, inoltre,il concetto di atto linguistico indiretto, ovvero quell’atto che, pur appartenendo ad una data classe, ha lo scopo illocutorio tipico di un’altra. Per esempio, se un parlante dice Sono stanco di sentire menzogne, non sta facendo solo un’affermazione, ma sta anche invitando o ammonendo il destinatario a cambiare comportamento, cioè sta proferendo un atto direttivo indiretto. In casi come questo, il parlante comunica più del contenuto semantico della proposizione, facendo appello ad un bagaglio di conoscenze condivise con il destinatario ed alla sua capacità di trarre delle inferenze. Sinora abbiamo considerato gli atti linguistici presi singolarmente come unità. Nei discorsi, però, gli atti linguistici sono organizzati in sequenze e per essere compresi devono essere interpretati come un solo 14 atto linguistico complessivo, una sorta di atto linguistico globale o macro-atto linguistico. La sua comprensione e interpretazione richiede all’ascoltatore, o lettore, capacità di riduzione, integrazione e riorganizzazione dell’informazione ricevuta attraverso operazioni non solo semantiche, ma anche pragmatiche. Individuare l’atto linguistico globale contribuisce a comprendere la coerenza di un discorso, che dipende non solo dalle connessione semantiche o proposizionali, ma anche da quelle relative proprio agli atti linguistici tra loro. Come semanticamente ogni discorso ha un suo argomento o tema, così pragmaticamente è individuabile uno scopo del macro-atto linguistico. Considerando il discorso nella sua globalità, è possibile anche interrogarsi sul sistema di valori e sul modello interpretativo che l’autore usa e che, per questa via, fa implicitamente accettare anche a chi legge. Attraverso lo studio degli atti linguistici possiamo capire come un discorso funziona, con quali strategie è organizzato, qual è il rapporto instaurato tra l’enunciatore ed il destinatario. Per esempio, un discorso costruito su atti verdittivi costruisce un modello dotato di una certa competenza e autorità per esprimere giudizi di valore. Se un discorso, è basato su atti esercitivi, all’enunciatore è attribuita una competenza modale di potere e al destinatario quella di dovere. Se un discorso è, invece, caratterizzato da atti comportativi che esprimono lo stato d’animo dell’enunciatore, questo discorso è fortemente emotivo e tende a suscitare l’adesione e la partecipazione dei destinatari ai sentimenti dell’enunciatore stesso. 2.7) Paul Grice Ultimo contributo fondamentale da considerare è quello offerto da Paul Grice (1913-1988), filosofo che, con la sua opera, ha permesso un ulteriore evoluzione della teoria del significato e della comunicazione. Il cuore della riflessione di Grice è rappresentato dall’individuazione di alcune regole di base che governano la conversazione tra individui e che sottostanno all’unico e imprescindibile principio della cooperazione, espresso in questi termini: “Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato.” Le regole della conversazione sono state riunite da Grice in quattro massime fondamentali: 1. massima della quantità, che recita espressamente: “fornisci l’informazione necessaria, né più, nè meno.” Secondo tale massima, il contributo che viene dato da ciascun partecipante alla conversazione deve essere informativo quanto richiesto. Non ci si aspetta che uno o tutti i partecipanti diano un’informazione sovrabbondante o inferiore alle aspettative; 2. massima della qualità, che recita espressamente: “sii sincero, fornisci informazione veritiera, secondo quanto sai.” 15 Secondo tale massima in genere non si dovrebbe dire ciò che si ritiene falso, o ciò di cui non si hanno prove sufficienti, o lo scopo della comunicazione fallirebbe; 3. massima di relazione, che recita espressamente: “sii pertinente.” Secondo questa massima il contributo informativo di un enunciato dovrebbe essere pertinente con la conversazione; 4. massima di modalità, che recita espressamente: “sii chiaro.” L’enunciato dovrebbe essere chiaro, poco ambiguo, breve e ordinato. Infatti questa massima, contrariamente alle altre tre, non si riferisce a quanto detto bensì al modo in cui questo viene esposto. Le massime costituiscono delle norme comportamentali che il parlante generalmente segue, ma che possono anche essere sistematicamente violate, in casi particolari, per ottenere effetti di ironia o sarcasmo o per realizzare significati diversi dal semplice significato composizionale di un enunciato. Nel caso in cui tali massime siano violate entrano in gioco le implicature conversazionali (ad es. se Luigi dice Monica è stata proprio carina con me e in realtà Monica non si è comportata in modo gentile, Luigi sta deliberatamente violando la massima di qualità per realizzare un effetto di sarcasmo). Tutti i comportamenti derivanti dall’osservanza delle massime o dalle loro violazioni o sfruttamenti danno luogo a delle implicature conversazionali, che consistono in informazione supplementare derivante dal confronto di ciò che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al principio di cooperazione e alle massime. Se, ad esempio, dico al mio interlocutore Quella signora è una vecchia ciabatta e il mio interlocutore mi risponde dicendo Che bella giornata oggi, non è vero?, dal fatto che egli non sta rispettando la massima di relazione (la sua risposta infatti non è pertinente) e dall’assunto che comunque stia rispettando il principio di cooperazione (non ho motivo per ritenere che non lo stia facendo), inferisco che la sua violazione della massima è deliberata, non accidentale, e quindi egli sta implicando conversazionalmente di non voler pronunciarsi sulla signora in questione. Le implicature conversazionali sono tali in quanto essenzialmente collegate a certe caratteristiche generali del discorso e si distinguono infatti da altri tipi di implicature, principalmente dalle implicature convenzionali, che invece sono legate al significato convenzionale delle parole usate nel discorso (ad esempio l’uso del ma ci suggerisce che le informazioni che si trovano alla sua sinistra e alla sua destra sono in contrasto tra di loro). Il concetto di implicatura conversazionale è fondamentale in pragmatica per calcolare l’informazione proveniente dal rapporto tra il linguaggio e il contesto in cui viene usato. 16 2.8) Schema di un sistema interattivo della comunicazione Schema di un sistema interattivo della comunicazione Un sistema di comunicazione è composto da una sorgente che, in base alla sua visione del contesto dipendente dalle sue aspettative, codifica un messaggio scegliendolo tra varie possibilità sue interne (informazione) e poi perturba, ovvero manipola nella forma, il medium che è una parte dell’ambiente o contesto della comunicazione e che ha in comune con un trasmettitore, il quale ricodifica la perturbazione in un medium differente, comune al ricevitore. Nel percorso che va dalla sorgente al destinatario e al di fuori degli apparati di trasmissione e ricezione, l’informazione, compreso il disturbo, è indeterminata. Solo sorgente e destinatario, e gli apparati ricetrasmittenti, possono determinarla al loro interno: i primi in base alle loro aspettative e conoscenze pregresse, che includono la conoscenza del contesto; i secondi grazie agli algoritmi di codifica in loro incorporati. Analogamente per il messaggio, che deriva da un’operazione di eliminazione dell’informazione. Non esiste un processo di comunicazione al di fuori di sorgente e destinatario: esiste solo una perturbazione del medium a loro interposto. Sistema interattivo della comunicazione Il medium normalmente viene perturbato da altri eventi (disturbi), cosicché la perturbazione del medium del ricevitore avrà una forma diversa da quella impostagli dal trasmettitore. Se trasmettitore e ricevitore sono macchine allopoietiche banali ben costruite per funzionare in coppia, se il medium è adeguato alle forme e se il disturbo è probabilisticamente prevedibile, è possibile ridurre il disturbo a una quantità piccola a piacere. Il ricevitore ricodificherà il segnale ricevuto in un medium comune al destinatario il quale, in base alla sua visione del contesto, dipendente dalle sue aspettative, decodificherà un messaggio scegliendolo tra varie possibilità sue interne (informazione). Alcuni dei termini citati nella definizione qui sopra necessitano di maggiori chiarimenti per il particolare significato che assumono in questo schema. La perturbazione non coincide col rumore o il disturbo, ma li comprende e, con loro, comprende anche percezioni e comunicazioni ben formate. Essa è costituita da un substrato mediale o medium (luce, aria, creta e così via) al quale la sorgente ha dato una certa forma (immagine, suono, scultura, parola, scrittura ecc.). Il substrato mediale è una qualsiasi cosa che possa essere manipolata (modellata nella forma) dalla sorgente e che il destinatario possa percepire con i suoi organi di senso. La forma è il modo in cui il substrato mediale viene manipolato, o meglio il risultato della manipolazione che la sorgente fa del substrato stesso (creta modellata in una statua, aria modellata in parole, inchiostro modellato in lettere). La codifica consiste proprio in questo processo di manipolazione della forma. Che cosa può fungere da perturbazione, dunque? Qualsiasi substrato mediale al quale la sorgente possa dare una certa forma e che il destinatario possa percepire con i suoi sensi. Se si escludono i casi di rumore e disturbo (in cui la perturbazione resta percepibile dal sistema senza però che questi vi riconosca una forma precisa, cioè una cosa o un messaggio, perturbazione vuol dire solo che il medium viene modellato dalla sorgente 17 secondo una certa forma (svolta nello spazio, come ad esempio un quadro o una frase scritta, o nel tempo, come per una frase parlata o una musica) riconoscibile dal destinatario: è, quindi, un termine astratto che il destinatario può specificare, a seconda dei casi, o come segnale (comunicazione) o come esperienza (non comunicazione). Nel caso della comunicazione, se le regole (codice) tramite cui il medium viene modellato dalla sorgente sono a conoscenza del destinatario, e questi le applica per eliminare informazione dal segnale, allora la comunicazione ha successo al livello B (si ha comprensione). Il termine informazione, invece, indica il fatto che, da una parte la sorgente sceglie (codifica) il messaggio da inviare tra più messaggi per lei possibili, e dall’altra il destinatario lo interpreta (decodifica) tra più messaggi per lui possibili. Quanti più sono i messaggi possibili, tanto maggiore è l’informazione (cioè l’incertezza su quale sia effettivamente il messaggio). Quello che è importante notare qui è che l’informazione, sia come quantità che come qualità, è dipendente da sorgente e destinatario separatamente e non esiste (è indeterminata) al di fuori di essi, cioè non si può quantificare né qualificare l’informazione del destinatario conoscendo solo l’informazione della sorgente o viceversa (a meno di non avere conoscenze, cioè fare ipotesi, aggiuntive): e ciò a rigore vale anche per gli apparati ricetrasmittenti. Una comunicazione, quindi, non trasmette informazione (incertezza) dalla sorgente al destinatario, bensì consiste in un’operazione di riduzione compiuta da sorgente e destinatario ognuno sulla propria incertezza (informazione), operata indipendentemente sia dalla sorgente sia dal destinatario e guidata dalle rispettive aspettative sulle aspettative dell’altro (che costituiscono le ipotesi aggiuntive necessarie a eliminare la propria incertezza). Una comunicazione è ben riuscita quando diminuisce l’informazione (incertezza) del destinatario. Una comunicazione è mal riuscita quando aumenta l’informazione (incertezza) del destinatario. Anche qui vediamo come il trattamento inusuale del termine informazione possa aver contribuito a creare confusione: normalmente, infatti, si dice che una comunicazione è ben riuscita quando aumenta l’informazione del destinatario, ma in questo caso informazione ha il significato di significato, che è esattamente opposto a quello assunto dalla teoria dell’informazione di Shannon e Weaver. Per il nostro discorso ci interessano comunque di più gli aspetti qualitativi di quelli quantitativi dell’informazione. Essi riguardano in particolare la novità (inaspettatezza) e l’interpretazione (attribuzione di significato) di un messaggio, entrambi dipendenti dalle aspettative di chi lo riceve. Un messaggio non rappresenta una novità e quindi non ha alcun valore informativo, quando non disconferma alcuna aspettativa del destinatario. Rappresenta invece una novità, ovvero ha valore informativo, quando contraddice le aspettative di chi lo riceve. Tale valore sarà azzerato non appena l’effetto di novità (disconferma delle aspettative precedenti) verrà o assorbito dal sistema di aspettative del destinatario o isolato da esso come caso eccezionale. L’interpretazione è proprio quel processo mediante il quale viene eliminata la novità del messaggio, riportandolo al sistema di aspettative (consolidandole o mutandole) o isolandolo simbolicamente (quando non si vuole mutare il sistema di aspettative o non si riesce a tradurre l’evento in una aspettativa chiara). 18 3.0) L´ambiente o contesto Il concetto di ambiente, o contesto si è evoluto da elemento oggettivo e indipendente in un processo comunicazionale, agente in modo coercitivo sui partecipanti, a situazione dipendente dagli stessi. Quest’ultima trasformazione è stata operata in modo particolare dall’etnometodologia e dall’interazionismo simbolico. La trasformazione più recente del concetto, tenta di evitare le persistenti ambiguità nella sua definizione, derivanti dalle due opposte unilateralità, consistenti nel reificare il contesto, variabile indipendente dagli individui, o nel mentalizzarlo, variabile dipendente dagli individui, proponendo che si specifichi di quale sistema di riferimento si tratta quando si parla di un determinato contesto, ovvero che si possa rispondere alla domanda E’ il contesto di quale sistema?. Ad ogni sistema di riferimento corrisponde, infatti, un diverso contesto (ambiente). Per quanto riguarda la comunicazione, i fondamentali sistemi di riferimento sono di due tipi: gli individui che partecipano alla comunicazione e il sistema di comunicazione stesso. Ogni individuo partecipante è nel suo proprio contesto (ogni operatore nel suo proprio sistema) che dipende, a parte gli aspetti fisici e biologici dell’interazione, da ciò che della storia delle sue interazioni col mondo fino a quel momento, compresa la socializzazione, resta come sua organizzazione nel momento attuale: in breve, dipende dalle sue disposizioni psichiche attuali. Il sistema della comunicazione (ciò che di fatto si realizza come comunicazione), a sua volta, dipende dalla storia delle sue interazioni e avrà nel proprio ambiente gli individui singoli. Distinguendo bene le referenze, si possono conciliare meglio le opposte affermazioni teoriche secondo le quali da una parte sono gli individui che dipendono dal contesto (condizionamento sociale), mentre dall’altra è il contesto della comunicazione che dipende dagli individui, che possono cambiarlo ridefinendo la situazione. Si tratta, in pratica, semplicemente di due diversi punti di riferimento dell’osservazione. Nei fatti, poi, è facile constatare che entrambe le cose di norma accadono contemporaneamente: è sempre un individuo che dà inizio a una comunicazione, ma per farlo deve dare per scontate comunicazioni precedenti, e d’altronde non può determinare del tutto come si svilupperà la comunicazione stessa, in particolar modo nel caso di conversazioni lunghe e a tema libero. Caratterizzato nel modo più chiaro possibile, il contesto di un sistema non è altro che il correlato preciso di tutte le sensibilità del sistema considerato, ovvero di tutto ciò a cui il sistema, date le sue strutture, si sensibilizza o, al passivo, è sensibilizzato. Inteso nel senso più astratto possibile, esso coincide con ciò che per quel sistema è il mondo. Dentro a questo mondo così costituito, si possono poi ritagliare contesti più particolari ed operativamente più usabili, per i quali valgono aspettative diverse: la propria casa, il luogo di lavoro, il barbiere, il cinema. Ma qual è il ruolo del contesto nel processo della comunicazione? Quello di preselezionare le possibilità di comunicazione attuali senza poterle determinare univocamente, ovvero di presentare come preferibili alcune possibilità della comunicazione (soprattutto su cosa è sensato comunicare in quel contesto e in che modo esprimersi), presentando le alternative o come insensate (ad es. non si chiede a un medico come tale di venderci un etto di prosciutto) o, nel caso siano sensate, come sconvenienti (minaccia di sanzioni o pericolo di svantaggi), senza però poter eliminare del tutto la possibilità che vengano scelte. Possibilità che vale, in 19 particolare, nel caso delle alternative sconvenienti, poiché essendo sensate hanno almeno la chance di potersi ricollegare in un modo comprensibile alle aspettative ortodosse, negandole puntualmente e permettendo così alla comunicazione di continuare o respingendo la deviazione o accettandola come premessa per future comunicazioni. Le alternative che non riescono a presentarsi come sensate vengono, invece, eliminate perché comunque non possono essere messe alla base di future comunicazioni, non creano aspettative. Tutto ciò determina la struttura del sistema della comunicazione e le potenzialità della sua evoluzione futura (dato appunto che le nuove aspettative devianti sono ricollegabili alle vecchie ortodosse). Il ruolo degli individui nella determinazione di tutto ciò è: in base alla propria conoscenza del contesto (di che tipo di situazione si tratta, quali sono le caratteristiche degli interlocutori, ecc.), si fanno un’idea di che cosa si possono aspettare che in quella situazione gli altri si aspettino da loro, cioè di quali sono le alternative sensate della situazione e quali quelle non sensate, e lo fanno in modo del tutto indipendente tra loro, il che non significa che non facciano uso di eventuali esperienze comuni precedenti. Il sistema della comunicazione, che ha nel suo contesto le aspettative degli individui, da parte sua si realizzerà in base al modo in cui le varie aspettative degli interlocutori saranno man mano soddisfatte o meno e, in modo particolare, in base a quali aspettative, devianti o meno, riusciranno ad essere affermate tra tutte quelle dei partecipanti all’interazione; il che dipende da, e contemporaneamente influenza la, struttura momento per momento del sistema della comunicazione, influenzando il successivo sviluppo dell’interazione. Il ruolo del contesto è quindi, in breve, quello di pre-strutturare le possibilità di comunicazione che sono date e, in particolare, di aumentare la probabilità di scelta di certi messaggi e di certi significati piuttosto che di altri, senza annullare del tutto le probabilità alternative, ma mantenendole nello sfondo dell’interazione attuale. Perché ciò possa avvenire, è necessario da una parte che i contesti siano segnalati in un modo che sia concretamente percepibile e che comunque si possa dare per scontato sia comprensibile, dall’altra che i soggetti posseggano la competenza sociale adeguata a riconoscere le situazioni in cui si trovano. 4.0) I modelli comunicativi 4.1) Il modello matematico dell’informazione Il modello comunicativo che più di ogni altro ha influenzato le prime ricerche sui mass media è quello derivante dalla teoria matematica della comunicazione, o teoria dell’informazione. Secondo questo modello, che ha influenzato anche teorie comunicative come quella di Jakobson, una fonte di informazione emette un messaggio codificato in un segnale per mezzo di un apparato trasmittente. Il segnale viaggia attraverso un canale, lungo cui può essere disturbato da un rumore. Alla fine del canale c’è un apparato ricevente che decodifica il segnale in messaggio, poi ricevuto da un destinatario. 20 L’attenzione dei sostenitori di questa teoria è posta, in particolar modo, sull’eliminazione delle possibili fonti di rumore, sul modo di far passare il massimo dell’informazione con il minimo di distorsione e con la massima economia possibile. Centrale è il concetto di codice, inteso come sistema di regole che attribuisce ai segnali un dato valore. Si parla, in questa teoria, di valore e codice in senso cibernetico, cioè come sistema di organizzazione interna dei segnali e di distribuzione statistica uniforme alla fonte. Per questa teoria, sono rilevanti gli aspetti legati al significante e al livello dell’espressione. Siamo, quindi, lontani dal concetto di codice come insieme strutturato di regole che correla unità di un sistema sintattico con unità di un sistema semantico. La teoria matematica della comunicazione è stata considerata sufficiente per lo più per tutte quelle ricerche sui mass media che hanno concentrato l’attenzione sugli effetti che i messaggi hanno sui destinatari. I limiti di questa teoria sono: 1. la comunicazione viene intesa solo come passaggio di un contenuto fisso tra due poli, emittente e ricevente; 2. la codifica e la decodifica sono viste come operazioni inverse ma non problematiche, in quanto il codice è supposto comune a emittente e destinatario; 3. il problema della significazione non viene considerato nelle dinamiche che si instaurano tra emittente e destinatario. 4.2) Il modello semiotico-informazionale Il modello semiotico-informazionale, che nasce con l’inserimento della problematica della significazione sul modello matematico della comunicazione, ha il suo aspetto più interessante nella messa in discussione del fatto che l’informazione rimanga costante lungo tutto il percorso comunicativo e che i codici siano del tutto comuni ad emittente e destinatario. Centrale è il concetto di decodifica. Si passa da un’idea di comunicazione intesa come trasferimento di informazione a quella di comunicazione intesa come trasformazione da un sistema all’altro. Tra l’emissione di un messaggio come significante che veicola un certo significato e la sua ricezione come significato da parte di un destinatario, c’è posto per un processo negoziale. Infatti, “a seconda delle diverse situazioni socio-culturali, esiste una diversità di codici, ovvero di regole di competenza e di interpretazione. E qualora esistano codici di base accettati da tutti, si hanno differenze nei sottocodici, per cui una stessa parola capita da tutti nel suo significato denotativo più diffuso, può denotare per gli uni una cosa e per gli altri un’altra.” Quando i destinatari interpretano i messaggi in modo difforme dalle intenzioni dell’emittente si parla di decodifica aberrante. Se la decodifica è attuata in modo volontariamente divergente, cioè il destinatario delegittima l’emittente di cui ha, però, compreso il messaggio, si parla di guerriglia semiologica. È questo 21 il caso delle pratiche di controinformazione, che hanno come scopo il rifiuto e lo smascheramento del codice egemonico in una società. 4.3) Il modello semiotico-testuale Il modello semiotico-testuale si differenzia dai precedenti in quanto non pone più al centro del percorso comunicativo il messaggio, ma il testo. Tale spostamento teorico è rilevante in quanto permette di considerare che: 1. i destinatari non ricevono singoli messaggi ma insiemi testuali; 2. i destinatari non interpretano grazie a dei codici, ma a delle pratiche testuali sedimentate nel contesto culturale di appartenenza; 3. mentre il codice appare legato ad un’unica sostanza dell’espressione (o verbale o visiva, ecc.), il concetto di testo si allarga a più sostanze e a più codici; 4. mentre il messaggio esaurisce la sua significazione in ciò che è reso esplicito tramite un codice, il testo contiene anche il non detto, vale a dire le presupposizioni e le argomentazioni implicite degli emittenti, quelle che gli emittenti attribuiscono ai riceventi, le intenzioni che i riceventi attribuiscono agli emittenti, le tracce del processo di produzione che rimangono inscritte nel testo stesso. Secondo questo modello, nella comunicazione non è in gioco una conoscenza di codici e sottocodici, ma delle competenze testuali. Nonostante l’asimmetria tra le competenze degli emittenti e dei destinatari, la significazione è un processo negoziale, che non è possibile fissare prima dell’interazione comunicativa. Il destinatario è costruito in quanto tale nel momento in cui, di fronte al testo, egli lo investe di senso, trasformandolo. Del resto, anche gli emittenti prevedono un tipo di destinatario o lettore modello, cioè essi non tengono conto solo dell’informazione da trasmettere, ma anche delle competenze che ci si aspetta di ritrovare nei potenziali destinatari. Come già detto, i destinatari interpretano i testi attraverso pratiche testuali sedimentate: tra queste, possiamo porre la loro capacità di collocare un testo in una serie paradigmatica, detta genere, e di coglierne le strutture e le regole, sia pure inconsciamente. Per esempio, sono generi del linguaggio giornalistico gli editoriali, le cronache, le interviste. L’individuazione del genere permette di riferirsi ad un certo universo di senso e di adottare una strategia interpretativa ad esso adeguata. 4.4) Il modello semiotico-enunciazionale Il modello semiotico-enunciazionale parte dalla constatazione che nella comunicazione attuata dai media l’emittente non ha mai davanti a sé il destinatario, come invece accade nella comunicazione interpersonale. La comunicazione, in questo caso, avviene solo attraverso il testo ed è nel testo che vanno inscritti e cercati i simulacri dell’emittente, del destinatario e dello scambio interazionale. Come accennato in precedenza, l’emittente determina la forma dei propri messaggi non soltanto 22 pensando ai contenuti da trasmettere, ma anche facendo delle inferenze e congetture sulle possibili convinzioni, aspettative e comportamenti interpretativi dei destinatari. L’emittente, o meglio l’enunciatore empirico, inscrive nel testo un simulacro del destinatario, o enunciatario, attribuendo a quest’ultimo delle proprietà o facendo esplicitamente riferimento ad esso. A sua volta, l’enunciatario empirico cerca nel testo i simulacri di sé stesso e dell’enunciatore, trovandovi o no immagini adeguate alle proprie aspettative e alle proprie competenze. Questi simulacri interni al testo sono nettamente disgiunti dall’istanza dell’enunciazione. Nonostante ciò, è proprio grazie a questi simulacri che vengono attivati quegli effetti di realtà che sono fondamentali affinché si instaurino la credenza e la persuasione. L’enunciatore e l’enunciatario non sono posizioni vuote con la sola funzione di emittente e ricevente, ma soggetti dotati di competenza semantica e modale, che instaurano un confronto conflittuale e polemico. La comunicazione è, quindi, un processo interattivo tra soggetti che si scambiano oggetti di valore. L’informazione è un oggetto di valore messo in circolazione da un soggetto secondo lo schema della comunicazione partecipativa, in base al quale chi la fa giungere ad un destinatario non se ne priva, anzi: il fatto che il destinatario accetti l’informazione è una sanzione sull’essere, sulla credibilità di chi la enuncia. Perché una comunicazione sia efficace, non basta che il destinatario la riceva, ma bisogna che egli la assuma, vi aderisca. Non basta far conoscere dei contenuti a dei destinatari ma anche far credere e far assumere determinati atteggiamenti comunicativi. A questo scopo, i simulacri dell’enunciatore e dell’enunciatario devono essere credibili, altrimenti il lettore si libererà da quanto progettato dall’autore e perverrà a letture indipendenti e alternative. 5.0) Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto (comunicazione non verbale) La scuola di Palo Alto, famoso gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto in California, negli anni ’70, col testo di P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana del 1967, ampliando l’idea di comunicazione, sostiene che tutti i comportamenti hanno valenza comunicativa poiché, come afferma Birdwhistell, l’individuo partecipa a un sistema globale di interazione. L’opera ha posto le basi di un nuovo paradigma della comunicazione, evidenziandone cinque assiomi che prestano attenzione agli effetti pragmatici dell’azione comunicazionale e danno valore all’influenza reciproca di tutti i fattori coinvolti. L’approccio pragmatico esamina la comunicazione interpersonale come un processo irreversibile, in continua evoluzione, in cui le persone coinvolte si influenzano reciprocamente. L’approccio strategico considera, invece, la comunicazione come un atto appreso, che va guidato ed educato. La conoscenza delle tecniche di comunicazione interpersonale fa divenire più consapevoli dei numerosi fattori che influenzano l’interazione. La sintassi si occupa dei rapporti formali dei segni tra loro, dell’ordinamento delle parole, del loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, senza 23 riferimento al contenuto significativo. La semantica studia i significati delle parole nella loro evoluzione storica e si occupa delle relazioni dei segni con ciò che designano. Il primo dei cinque assiomi, o proprietà della comunicazione, è infatti l’impossibilità di non comunicare. Tutte le diverse situazioni interpersonali diventano automaticamente comunicative, ogni forma di comportamento è un messaggio e, siccome è impossibile non comunicare, i due processi sono inscindibili; anche se in modo inconscio, non intenzionale, non verbale, si comunica. Lo si fa attraverso il silenzio, i gesti, i vestiti, ma l’effetto è lo stesso. La comunicazione all’interno della società rappresenta un processo molto articolato e complesso, che va inserito nell’ampia visuale psicosociale e filogenetica delle diverse comunità. E’ impossibile parlarne e analizzarlo senza correlarlo a un gran numero di variabili della realtà individuale cui si riferisce (evolutive, culturali, ideologiche, sociologiche, antropologiche, economiche, psicologiche). Soggetti che hanno vissuto simili esperienze sociali e culturali riescono a comunicare più compiutamente e agevolmente. Scrive a questo proposito Masserman : “simboli dal contenuto motivazionale più complesso e contingente, come casa, famiglia, lavoro e così via presentano necessariamente significati ancor più variabili per persone che necessariamente differiscono quanto a esperienze individuali e ambienti sociali”. La diversità degli aspetti connotativi aumenta quanto più numerose sono le divisioni sociali e culturali fra individui e gruppi: si può dire che queste difficoltà hanno sempre costituito, per la comprensione e la fratellanza fra gli uomini, ostacoli di gravissima e talora tragica portata. Primo assioma Secondo assioma Terzo assioma Quarto assioma Quinto assioma 5.1) Primo assioma Primo assioma: E’ impossibile non comunicare. Ogni comportamento e’ comunicazione. Non esiste qualcosa che sia un non-comportamento e, in una interazione, qualsiasi comportamento ha valore di messaggio. La comunicazione non è volontaria: anche non rispondendo o non reagendo si comunica qualcosa. Ogni comunicazione può essere scomposta in: 1. messaggio, ogni singola unità di comunicazione; 2. interazione, una serie di messaggi. C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio perché è troppo ovvia spesso viene trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è 24 comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni, e in tal modo comunicano anche loro. Come afferma il primo assioma, ogni comportamento è comunicazione: nell’uomo, ogni comportamento è una trasformazione di processi neurologici interni, sui quali pertanto reca delle informazioni. Ogni comportamento è quindi, in qualche modo, comunicazione sull’organizzazione neurologica di un individuo: non si può non comunicare. Pertanto, la comunicazione non è sempre intenzionale, conscia ed efficace e molto spesso comunichiamo senza accorgercene. Lo stesso ritrarsi, come l’immobilità o il silenzio, rappresentano anch’essi una forma di comunicazione. Tuttavia, questi segnali possono essere facilmente fraintesi e queste ambiguità non sono le sole complicazioni che possono sorgere dalla struttura di livello di ogni comunicazione. Ne consegue una possibile applicazione pratica: non pensare più che una persona non stia comunicando, ma chiedersi sempre cosa sta comunicando una persona con il suo silenzio o la sua assenza. 5.2) Secondo assioma Secondo assioma: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il secondo qualifica il primo ed è quindi metacomunicazione. Una comunicazione trasmette informazioni, ovvero un aspetto comunicativo di contenuto (notizia, report), e un certo comportamento da seguire, ovvero un aspetto comunicativo di elezione (comando, command). Ogni comunicazione implica, inoltre, un impegno e quindi definisce il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevitore. È dunque possibile teorizzare un secondo assioma della comunicazione, basato sul fatto che una comunicazione non soltanto trasmette informazione ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Nella comunicazione possiamo distinguere due aspetti fondamentali: 1. l’aspetto di notizia, che trasmette un’informazione e rappresenta, quindi, il contenuto del messaggio; 2. l’aspetto di comando, che si riferisce al modo in cui il messaggio è comunicato e definisce, pertanto, la relazione tra i comunicanti; si riferisce al messaggio che deve essere assunto e, perciò, alla relazione tra i comunicanti (Ecco come mi vedo ... Ecco come ti vedo ... ecco come ti vedo che mi vedi). Di qui la centralità della meta-comunicazione, cioè della comunicazione sulla comunicazione: la capacità di metacomunicare in modo adeguato non so lo è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche strettamente collegata con il problema della consapevolezza del sè e degli altri. E’ importante considerare il rapporto esistente tra l’aspetto di contenuto (notizia) e l’aspetto di relazione (comando) della comunicazione. Gli aspetti di relazione sono di un tipo logico più elevato dei contenuti: sono meta-informazione poiché sono informazione sull’informazione. La relazione, infatti, può essere espressa anche in modo non verbale (gridando e/o sorridendo) ed anche il contesto in cui ha luogo la 25 comunicazione influisce ulteriormente a chiarire la relazione. Rispetto al rapporto contenuto – relazione, la relazione è un’informazione sul contenuto, ovvero su come esso deve essere assunto, ed è perciò ancora meta-comunicazione. Una confusione tra i due livelli può creare paradossi. Ogni comunicazione implica un impegno e quindi definisce il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevente. Una comunicazione non solo trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Ne deriva, anche in questo caso, una possibile applicazione pratica: se do un’informazione in modo arrogante,scostante, critico ciò che arriva al ricevente è il livello di disconferma e rifiuto e posso suscitare una reazione aggressiva o passiva; comunque il ricevente risponderà a questo livello. 5.3) Terzo assioma Terzo assioma: La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. I comunicanti segmentano il loro scambio in unità di comunicazione dotate di senso e chiusura attraverso l’uso della punteggiatura; essa organizza gli eventi comportamentali dell’interazione in corso. Realtà diverse dovute ai modi diversi di punteggiare la sequenza sono alla radice di innumerevoli conflitti di relazione. Un’altra caratteristica fondamentale della comunicazione riguarda l’interazione tra i comunicanti. La comunicazione può essere considerata come una sequenza ininterrotta di scambi che alcuni teorici hanno definito come punteggiatura della sequenza di eventi. Possiamo, perciò, aggiungere un terzo assioma della comunicazione: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. In quest’ottica, la comunicazione si configura come un processo circolare in cui gli organismi coinvolti punteggiano la sequenza in modo che sembri che l’uno o l’altro abbia iniziativa o che si trovi in posizione di dipendenza, stabilendo tra di loro ben precisi modelli di scambio. Diventa, dunque, evidente che la punteggiatura organizza gli eventi comportamentali, diventando vitale per le interazioni in corso. Ne consegue un’indicazione di possibile applicazione pratica: per risolvere una disfunzionalità, occorre saper ascoltare il punto di vista dell’altro e ricercare un’integrazione delle diverse punteggiature. 5.4) Quarto assioma Quarto assioma: Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai piu’ complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire la natura della relazione. 26 La comunicazione verbale (numerica) necessita del supporto del messaggio non verbale per evitare possibili fraintendimenti. Il linguaggio non verbale contiene elementi analogici che si trasmettono attraverso la postura, la gestualità, il tono della voce, la mimica e che corrispondono, in parte, a universali del comportamento umano, in parte a codici culturalmente definiti. Ne consegue un’indicazione di possibili applicazione pratica: è utile ascoltare il livello non verbale e riconoscere se trasmettiamo messaggi rispettosi della cultura del ricevente in una posizione paritaria. 5.5) Quinto assioma Quinto assioma: Tutti gli scambi di comunicazione possono essere definiti simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza tra i due comunicanti. Il linguaggio può configurarsi come modulo numerico o come modulo analogico. Si parla di modulo numerico con riferimento alla comunicazione verbale e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto tra nome e cosa nominata arbitrario, trasmette l’aspetto di contenuto, ha una sintassi logica completa ed efficace e manca di una semantica adeguata (relazione). Si parla, invece, di modulo analogico con riferimento alla comunicazione non-verbale (ivi compresi gesti, posizioni del corpo, espressioni, ritmi della voce) e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto tra rappresentazione e cosa rappresentata basato su analogia, trasmette l’aspetto di relazione, ha una semantica completa e manca di una sintassi adeguata (relazione). L’uomo ha la necessità di combinare questi due linguaggi tra loro e di tradurre dall’uno all’altro. Uno scambio di comunicazione è: 1. simmetrico, quando è basato sull’uguaglianza ed è, dunque, paritario e democratico. Uno scambio comunicativo è detto simmetrico quando ciascuno dei due dialoganti tende a rispecchiare il comportamento dell’altro e a minimizzare la differenza, tendendo all’uguaglianza. I due comunicanti sono sullo stesso piano e, quindi, in equilibrio tra loro; 2. complementare, quando è basato sulla differenza e sul rapporto autorità/subordinazione. Uno scambio comunicativo è complementare, quando il comportamento di uno completa quello dell’altro e si mantiene la differenza. I due comunicanti hanno due diverse posizioni per cui uno prevale sull’altro. La relazione tra due individui non è comunque mai definitiva, ma tende al contrario a mutare, anche senza l’intervento di fattori esterni. All’interno delle relazioni simmetriche possiamo, poi, distinguere altri due tipi di interazione: 1. relazioni simmetriche-simmetriche, in cui i due comunicanti sono in costante competizione per la conquista della posizione dominante; 2. relazioni simmetriche-reciproche, in cui i due comunicanti assumono alternativamente la posizione dominante, a seconda delle situazioni. Ne consegue un’indicazione di possibile applicazione pratica: essere consapevoli del tipo di relazione che 27 si vuole instaurare permette di essere chiari nel messaggio che si invia e di evitare sgradevoli conflitti di ruolo o lotte di potere. Gli assiomi della pragmatica della comunicazione conducono al fenomeno dell’irreversibilità dell’atto comunicazionale: una volta che il messaggio è stato inviato e che ha prodotto i suoi effetti, non lo si può più cancellare. L’esperto di comunicazione si addestra a prestare attenzione, durante ogni fase della comunicazione in corso, al feedback, ovvero all’insieme delle risposte, verbali e analogiche, fornite dall’interlocutore durante la relazione comunicazionale. I fattori che influenzano il grado di efficacia di una comunicazione sono: 1. l’identità dei comunicanti, che a sua volta comprende l’identità personale (età, sesso, genere, etnia, caratteristiche fisiche), sociale (ruoli sociali svolti all’interno della famiglia, di una classe sociale o di un ceto), professionale (aspetti legati alla professione esercitata, allo status raggiunto e all’autorità riconosciuta) e spirituale (aspetti relativi alla fede professata, ai valori etici, al credo o sentimento religioso); 2. la relazione tra gli attori comunicanti, che contribuisce a qualificare alcuni aspetti dell’identità. Quando viene esercitato un ruolo, gli attori della comunicazione recitano delle parti (Goffman); 3. il contenuto della comunicazione, che richiede trattazioni diverse a seconda del livello culturale degli interlocutori e delle loro implicazioni psicologiche ed emotive; 4. il linguaggio, canale dell’espressione soggettiva utile a rappresentare quella realtà che si vuole condividere. La scelta del lessico congiunge le modalità espressive con contenuti cognitivi e processi emotivi; 5. la congruenza tra linguaggio verbale e linguaggio analogico, tra quello che si dice e come lo si esprime, tra le parole pronunciate e i toni e i gesti che lo accompagnano; 6. il canale di trasmissione, che ha il potere di influenzare il messaggio (per Marshall Mc Luhan il mezzo è il messaggio): così, una comunicazione vis a vis è diversa da una telefonica, via Internet o scritta; 7. il contesto, dimensione spazio-temporale condivisa dai partecipanti allo scambio comunicativo nella comunicazione interpersonale. Ogni processo di comunicazione va inserito nella matrice contestuale in cui si svolge; 8. gli obiettivi, ovvero lo scopo della comunicazione, inteso in senso lato, è quello di aumentare la condivisione, lo scambio, la reciprocità di cognizioni ed emozioni; 9. la flessibilità delle strategie utilizzate, da adottare in relazione agli obiettivi posti. La comunicazione analogica non può essere isolata dalla comunicazione verbale: le due forme di comunicazione, verbale e non verbale, costituiscono un insieme non separabile, se non artificialmente, per fini didattici. La comunicazione non verbale comprende: 1. la postura, ovvero il modo di disporre nello spazio le parti del corpo, che consente di distinguere la funzione comunicativa da quella espressiva; 2. la prossemica, che indica due aspetti del modo di collocarsi e di presentarsi socialmente e di 28 relazionarsi fisicamente con le altre persone: l’uso dello spazio, la prossimità in termini di vicinanza/distanza e la posizione del corpo, di fianco o di fronte; 3. le espressioni del viso, un insieme di segnalazioni involontarie che indicano le principali reazioni emotive (gli occhi non sono bugiardi); 4. i movimenti e i gesti delle braccia e delle mani, che accompagnano il linguaggio enfatizzando e punteggiando il messaggio parlato; 5. le comunicazioni mimiche o cinesiche, che determinano atti linguistici in quanto gesti emblematici (ad es. alzare la mano per chiedere parola), descrittivi (gesti che scandiscono le parti salienti del discorso illustrando in modo più forte concetti espressi verbalmente), di regolazione (ad es. ondeggiare la mano per attenuare la forza di un concetto), di adattamento (posizionamento del corpo per dominare stati d’animo o adeguare la propria espressione al contesto), di manifestazione affettiva (ad es. una carezza); 6. la comunicazione paraverbale, che riguarda la prosodia, i toni, il tempo, il timbro e il volume della voce. La paralinguistica studia i fenomeni collaterali (para), concomitanti all’enunciazione verbale. Le modalità secondo cui ogni proposizione può essere enunciata sono: • il tono, indicatore dell’intenzione e del senso che si da a quello che si dice, mediante il quale si può esprimere entusiasmo, disappunto, interesse, noia, coinvolgimento, apatia, apprezzamento, disgusto; • il volume, che riguarda prevalentemente l’intensità sonora, il modo di calibrare la voce in base alla distanza dall’interlocutore; • il tempo, ovvero le pause, la lentezza o la velocità assoluta, che possono servire come fattori che sottolineano, accentuano o sfumano il significato verbale; • il timbro, ovvero l’insieme delle caratteristiche individuali della voce (gutturale, nasale, soffocata): è il colore della voce; • la comunicazione verbale, costituita dal linguaggio, strumento di cui ci si serve per tradurre l’esperienza interna in concetti e per esprimere i propri pensieri e trasformarli in processo interpersonale e sociale. Il processo di percezione degli stimoli esterni subiscono interferenze causate da: 1. filtri neuro-fisiologici, di natura genetica, che limitano la mera capacità percettiva; 2. socio-culturali, che condizionano la capacità cognitiva e derivano dall’appartenere a una data comunità, cultura, gruppo etnico, religione, zona geografica; 3. psicologici personali, che possono condizionare il potenziale cognitivo, emotivo ed esperienziale dell’individuo. La linguistica distingue il piano denotativo, che indica la relazione tra una parola e l’oggetto a cui fa riferimento in termini meramente referenziali, e il piano connotativo, che incorpora un giudizio di valore sulla forza evocativa che la parola contiene in sé. Le parole rappresentano la più piccola unità dell’aspetto esecutivo del processo linguistico (Vygotsky). Ciascuna parola contiene caratteristiche distintive che possono essere utilizzate in modo diverso a seconda della forza con cui si ha intenzione di esprimere le proprie intenzioni. Le parole possono essere descrittive (descrivono fenomeni osservabili), valoriali 29 (assegnano valore ad oggetti, persone, stati d’animo e sono generalmente astratte), interpretative (sono meramente soggettive e si basano sui processi di attribuzione e categorizzazione). La scelta delle parole forma il registro linguistico. L’atto linguistico riguarda i mezzi linguistici, che le persone usano per compiere le più comuni azioni sociali, ed evidenzia il carattere d’azione del linguaggio, che ha la capacità di provocare effetti sul ricevente. 30