Torino dalla dominazione francese alla prima

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I segni della storia nel Piemonte di oggi
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Torino dalla dominazione francese alla prima guerra mondiale (1789 - 1914)
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Tempio della Gran Madre di Dio
DOVE: Torino, piazza Gran Madre di Dio.
Sulla sponda destra del fiume, conclude la prospettiva urbana di via Po verso piazza Vittorio
Veneto (v. scheda n. 5.6) e il ponte Vittorio
Emanuele I (costruito nel 1810-1814, da Joseph La
Ramée Pertinchamp) e occupa il centro della
omonima piazza.
QUANDO: Il progetto è del 1818, la realizzazione
degli anni 1827-1831.
PER COSA: L’edificio di culto, dedicato alla Vergine
Madre di Dio, sorge per celebrare il ritorno dall’esilio del re Vittorio Emanuele I di Savoia (1814) e la
fine della dominazione napoleonica in Piemonte.
CHI E PER CHI: Ferdinando Antonio Bonsignore
(Torino 1760-1843) è scelto nel 1818 con un concorso indetto dalla Municipalità cui partecipa con
sette diversi progetti. Bonsignore, dal 1804 professore di Architettura civile all’Università, è figura di
spicco tra gli architetti attivi a Torino negli anni
della Restaurazione (1814-1815).
Schedatore: CF
DESCRIZIONE: In uno stile che si rifà ai monumenti
classici, ha impianto centrale e si ispira al
Pantheon di Roma. Il corpo cilindrico, sormontato
da un tamburo che regge la cupola, si erge su un
alto basamento gradinato che conduce al pronao
corinzio. Le colonne sono realizzate in un solo
blocco di gneiss (roccia lucente per la presenza di
quarzo e di miche). L’altezza del basamento è
determinata dalla necessità di rendere interamente visibile il Tempio da via Po, che è in
pendenza verso il fiume. L’edificio è parte di un
piano di riqualificazione urbana che mira a integrare la città e la collina. La piazza della chiesa
avrebbe dovuto presentare un disegno uniforme,
ma è stata completata solo per due terzi.
La calotta a cassettoni in calcestruzzo resta una
delle più importanti realizzazioni tecniche dell’architettura neoclassica dell’Ottocento piemontese.
La maggior parte delle sculture che ornano l’interno sono opera di artisti romani, coordinati e
diretti da Bertel Thorvaldsen. Il progetto originario
è alterato nel 1933-1940 quando l’edificio è trasformato per accogliere l’Ossario dei Caduti della
prima guerra mondiale (1915-1918).
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Ospedale San Luigi Gonzaga
DOVE: Torino, via Santa Chiara n. 40, via Piave
n. 19, corso Palestro, via Giulio.
Ai margini della città antica, sorge su un terreno
lasciato libero dall’abbattimento delle mura, vicino
agli isolati di San Basilio e di San Fedele.
QUANDO: Progettato nel 1817, la posa della prima
pietra avviene nel 1818.
PER COSA: Nasce come cronicario (ospedale per
malati cronici) e dopo aver ospitato funzioni diverse
è oggi una sede distaccata dell’Archivio di Stato di
Torino.
CHI E PER CHI: L’architetto Giuseppe Maria
Talucchi (1782-1863), professore all’Università di
Torino, realizza l’edificio in seguito a un concorso
promosso dall’Opera Pia Luigi Gonzaga. Il progetto
è finanziato dalla Casa Reale.
Schedatore: CF
DESCRIZIONE: L’impianto è a croce di Sant’Andrea
con bracci simmetrici, ma non ortogonali tra loro,
che si affacciano su una chiesa centrale a pianta
esagonale e a doppia altezza.
Fanno dell’edificio un modello di funzionalità ospedaliera ottocentesca: i sistemi di aerazione e
riscaldamento, la struttura delle corsie di degenza
– poste nei bracci della croce – e dei percorsi a
ballatoio interni ed esterni per la deambulazione
dei malati in tutte le stagioni, gli accessi indipendenti a ogni letto per la distribuzione del cibo e la
somministrazione dei medicamenti, per lo smaltimento dei rifiuti e la rimozione del malato.
La facciata in mattoni evidenzia il massiccio
volume scandito dall’uniformità della distribuzione
delle finestre. La sporgenza del corpo centrale è
segnalata da una severa loggia con quattro
colonne di ordine dorico, coronata da un timpano
perforato da un arco ribassato. Con le altre opere
pubbliche di Talucchi, segna il rinnovamento dell’edilizia torinese dal classicismo al funzionalismo
dell’architettura neoclassica. Il progetto originario è modificato con l’aggiunta di fabbricati
retrostanti, sopraelevati nel 1983 dall’architetto
Giorgio Raineri che trasforma l’intero complesso
per accogliere una parte dell’Archivio di Stato.
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Piazza Vittorio Veneto (già piazza della veduta del Re, o di Po, e piazza Vittorio Emanuele I)
DOVE: Torino.
Conclude l’asse urbano di via Po verso il ponte
Vittorio Emanuele I e il Tempio della Gran Madre di
Dio (v. scheda n. 5.1) solo in progetto al momento
della costruzione della piazza.
QUANDO: La sistemazione dell’accesso alla città
dalla parte del Po ha un ruolo di grande importanza: solo dopo molte discussioni e varianti, la
versione definitiva è progettata nel 1825 e realizzata nel 1830.
Nel 1830-1835 sono costruiti i lungofiume su
entrambe le rive, con banchine e rampe al ponte di
pietra, progetto dell’ingegner Carlo Bernardo
Mosca (1792-1867).
PER COSA: La definizione dell’impianto si colloca
in un progetto di espansione urbana volto a integrare la città alla collina. La costruzione della
piazza doveva conferire all’ingresso alla città un
aspetto più moderno e insieme rendere l’impresa
economicamente redditizia.
Schedatore: CF
CHI E PER CHI: Giuseppe Frizzi (1797-1831), architetto e imprenditore ticinese, realizza l’opera su
incarico del Municipio.
DESCRIZIONE: Aperta sul lato verso il fiume ha un
tracciato (circa 100 x 300 m) longitudinale e simmetrico rispetto all’asse di via Po. Il collegamento
tra via e piazza è segnato dall’esedra seicentesca
del Castellamonte. La decisione definitiva di
dotare la piazza di portici è presa nel 1825 dal re
Carlo Felice. Per dare continuità e uniformità architettonica, tenuto conto del considerevole dislivello
(circa 7 m) verso il Po inevitabilmente da mascherare, l’architetto compone le facciate delle case
borghesi d’affitto con cornici che si prolungano
visivamente sui tre isolati. Gli avancorpi a timpano
con colonnato architravato dorico intervallano i
grandi e spogli edifici e nascondono le differenze
di scansione orizzontale delle facciate dovute alla
pendenza del sito.
Distrutto dai bombardamenti, il blocco centrale del
lato ovest è stato ricostruito. Alle volte del portico
sono stati sostituiti solai piani.
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Parco del Valentino
DOVE: Torino.
Si estende lungo la sponda sinistra del Po tra corso
Massimo d’Azeglio, corso Vittorio Emanuele II e
corso Dante.
QUANDO: Si sviluppa per fasi successive, contemporaneamente al borgo San Salvario. I primi progetti
del 1854 riguardano la parte settentrionale. Nel 1857
è sistemata l’area verso il viale del Re (oggi corso
Vittorio Emanuele II). I terreni a meridione sono
acquistati dal Comune solo nel 1864 e l’opera è completata nel 1870-1871 circa.
PER COSA: Il vasto parco pubblico è destinato al
passeggio e allo svago ed è voluto per rendere la
città più sana e igienica, secondo i dettami europei
del tempo.
CHI E PER CHI: Nel corso degli anni, la Municipalità
chiama diversi progettisti per realizzare il parco. Nel
1854, Jean-Baptiste Kettmann vince il concorso
aperto ai “giardinieri disegnatori di professione”.
L’intervento include l’area del castello del Valentino
(v. scheda n. 3.19) e dell’Orto botanico. Successivamente, l’Amministrazione cittadina interpella ancora
alcuni progettisti famosi per le coeve realizzazioni
parigine. Nel 1860, Jean-Pierre Barillet-Dechamps
Schedatore: CF
propone di completare i lavori apportando alcune
modifiche e nel 1863 il progetto è ripreso da Georges
Aumont e Marc-Louis Quignon. Il completamento
dell’opera, nell’area a sud, è promosso dal soprintendente ai giardini pubblici Ernesto Balbo Bertone
di Sambuy e realizzato dai fratelli Roda.
DESCRIZIONE: È uno dei primi parchi pubblici creati
in Italia sul modello dei grandi giardini di Parigi e
Londra, con ampie zone di passeggio. L’idea progettuale sostenuta dalla Municipalità è di una composizione all’inglese (o romantica): la natura è presa a
modello e imitata nell’irregolarità e nella varietà. La
giunzione tra città e parco è realizzata con lunghi
viali alberati. Sulle sponde del fiume si insediano le
prime società sportive torinesi di canottaggio.
La sistemazione attuale integra le memorie costruite
delle numerose esposizioni nazionali e internazionali:
dal Borgo Medioevale (1884, Alfredo D’Andrade), alla
Fontana dei Mesi (1898, Carlo Ceppi), alla Palazzina
della Promotrice delle Belle Arti (1916-1919, Enrico
Bonicelli e Davide Calandra), al complesso di Torino
Esposizioni (1936-1938), a una serie di chioschi, tra
cui la Casina del Parco (1936, Gino Levi Montalcini).
Tra le due guerre, i viali sono stati asfaltati per consentire lo svolgimento di corse automobilistiche.
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Stazione ferroviaria di Porta Nuova
DOVE: Torino.
Il fronte principale si affaccia su corso Vittorio
Emanuele II, le due entrate laterali sono in via
Sacchi n. 1 e via Nizza n. 2.
Conclude l’asse urbano di via Roma (v. scheda
n. 6.15) verso piazza Carlo Felice che diventa così
la nuova arteria principale della città.
QUANDO: La ricostruzione della stazione è decisa
in occasione dell’Unità d’Italia (1861). La sua realizzazione avviene tra il 1865 e il 1868.
PER COSA: È progettata per diventare la stazione
principale della città. È situata dove si trovava sin
dal 1848 l’attestamento della prima linea ferroviaria piemontese, la Torino-Genova.
CHI E PER CHI: L’ingegnere capo dell’Ufficio architettonico Strade ferrate, Alessandro Mazzucchetti
(1824-1894), già autore delle stazioni di Alessandria (1849) e di Genova-Principe (1853), realizza
l’opera su incarico dell’Amministrazione civica.
Collabora al progetto il giovane architetto Carlo
Ceppi (1829-1921).
Schedatore: CF
DESCRIZIONE: L’impianto originario seguiva lo
schema bilaterale con biglietterie e lato partenze
verso via Nizza, lato arrivi verso via Sacchi. In
mezzo, il fascio di sette binari di testa, coperto da
una grande volta in ferro e vetro la cui testata si
concludeva con il monumentale arco a vetrate
policrome e porticati che ancor oggi si affaccia su
piazza Carlo Felice. La volta metallica, che s’ispira
alla copertura del Palazzo dell’Industria di Parigi
(1855), con i suoi 48 m di luce è per l’epoca una
struttura eccezionale in Piemonte.
L’edificio ottocentesco è pesantemente alterato
con l’arretramento della testata dei binari (1911),
la demolizione della copertura (1941), il completo
rifacimento degli spazi di servizio (1948-1955).
La facciata, rivestita di pietre dai diversi colori che
mantiene ancora alcuni dei serramenti originali in
ghisa (lega di ferro), resta oggi un significativo
esempio di edificio destinato ad accogliere una
nuova funzione che riprende le forme degli stili del
passato (eclettismo).
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Complesso carcerario Le Nuove
DOVE: Torino, corso Vittorio Emanuele II n. 127.
In una zona destinata alle grandi strutture di servizio che caratterizzano la città ottocentesca.
QUANDO: È il primo stabilimento costruito nel
Regno: il progetto è deciso nel 1857 e portato a
termine tra il 1862 e il 1870.
PER COSA: È realizzato per sostituire il carcere
criminale di via San Domenico n. 13, il correzionale
di via Stampatori n. 3, quello delle forzate di via
San Domenico n. 32 e delle Torri presso Porta
Palazzo per le condannate.
Questo carcere giudiziario è di tipo a isolamento
totale per condannati e imputati a disposizione
delle autorità. La segregazione individuale, introdotta dal Regio Decreto del 27 giugno 1857,
prevede l’uso di una cella singola per ogni detenuto per garantire l’effettivo isolamento.
CHI E PER CHI: L’architetto Giuseppe Polani (18151894) realizza l’opera a seguito di un concorso
internazionale indetto dal Ministero dell’Interno.
Schedatore: CF
DESCRIZIONE: Il progetto risponde al programma
del bando di concorso volto a realizzare le necessarie condizioni di sicurezza, vigilanza e salubrità
per ben 580 detenuti. Occupa una superficie di
37.634 mq, perimetrata da due muri di cinta alti cinque metri, con quattro torrette, tredici bracci, sei
cortili per il passeggio e due cappelle, una per
uomini e l’altra per donne.
La forma risponde alla volontà di chiudere e delimitare lo spazio, in modo da consentire al carceriere
di guardare sempre il recluso e a quest’ultimo di
sentirsi controllato a vista. L’edificio si organizza
su uno schema a doppia croce più un avancorpo
su strada dove sono riuniti i servizi amministrativi.
Lungo i bracci, di ridotta profondità, sono allineate
le serie sovrapposte di celle che ammontavano a
648. Ogni cella (di dimensioni 4 x 2,26 m, alta 3 m)
ha un’unica finestra all’altezza di 2,10 m, a forma di
“bocca di lupo” per consentire solo la vista del
cielo.
All’intersezione dei bracci di ogni croce si trovano
i centri di sorveglianza e di servizio collegati tra
loro da un braccio dotato di cappella.
Nei cortili sono recinti panottici: muri alti 2,25 m
che dividono i cortili in tanti compartimenti a cielo
aperto per mantenere l’isolamento dei detenuti
anche fuori delle celle.
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Mole Antonelliana
DOVE: Torino, via Montebello n. 20.
QUANDO: È progettata e realizzata tra il 1863 e il
1889, anno in cui è completata anche la Tour Eiffel
a Parigi.
PER COSA: Dopo il decreto di emancipazione di
Carlo Alberto nel 1848, sanzionato nel 1857, nasce
per essere il primo tempio e centro israelitico in
città, ma per motivi economici non lo diviene mai.
Oggi è sede del Museo Nazionale del Cinema.
CHI E PER CHI: Alessandro Antonelli (1798-1888),
l’architetto più famoso del tempo, progetta l’opera
su incarico della comunità ebraica di Torino. Nel
1875 l’edificio ancora incompleto è acquisito dal
Municipio.
DESCRIZIONE: Simbolo della città, per l’altezza e
per le tecniche costruttive impiegate, è uno dei
monumenti più rappresentativi dell’architettura
ottocentesca italiana. Con i suoi 163,35 metri è il
più alto edificio in muratura del mondo.
Sulla base a pianta quadrata s’innesta la volta a
padiglione realizzata con due gusci separati da
un’intercapedine e nervati da costoloni.
Nel 1881-1885, Antonelli modifica il progetto e
Schedatore: CF
costruisce sopra la volta una lanterna a due piani
su cui pone un cono altissimo trasformando la
pianta da quadrata in circolare. Il monumento termina con un’alta guglia a forma di piramide a base
esagonale in struttura metallica rivestita in pietra
che, nel 1958-1961, sostituisce l’originale abbattuta da un temporale nel 1953. Nel 1889, la
direzione del cantiere passa al figlio Costanzo
Antonelli: un angelo dorato coronava la guglia, ma
nel 1904 la statua è abbattuta da un uragano e
sostituita da una stella. La composizione delle
superfici esterne s’ispira ai principi del classicismo con l’adozione di una grande varietà d’ordini
corinzi. Sulla facciata che prospetta su via
Montebello un pronao esastilo (con sei colonne)
consente l’accesso ai sotterranei. La decorazione
architettonica interna, eseguita nel 1905-1908, è
opera di Annibale Rigotti. Il progetto originario è
alterato dall’ascensore e dalla massiccia maglia di
rafforzamento strutturale in cemento armato
costruita a partire dal 1930. Tra il 1994 e il 1999,
nuovi restauri sono portati a termine da Gianfranco Gritella, e gli interni sono riprogettati
dall’architetto svizzero François Confino per accogliere le strutture espositive del Museo Nazionale
del Cinema, inaugurato nel 2000.
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Torino dalla dominazione francese alla prima guerra mondiale (1789 - 1914)
Tempio Israelitico
DOVE: Torino, piazzetta Primo Levi.
Tra le attuali vie Sant’Anselmo e San Pio V si
situano tutte le nuove istituzioni ebraiche, fra cui
anche la sinagoga inaugurata nel 1884.
QUANDO: Abbandonata nel 1875 l’ipotesi della
Mole Antonelliana (v. scheda n. 5.18) come tempio,
la comunità israelitica individua un’altra area
vicina al tempio valdese. La costruzione avviene
tra il 1880 e il 1884.
PER COSA: L’edificio è destinato al culto che, dopo
il decreto di Carlo Alberto del 17 febbraio 1848, può
essere praticato liberamente.
CHI E PER CHI: Enrico Petiti (1838-1898) realizza
l’opera su incarico della comunità ebraica.
DESCRIZIONE: Riprende le forme degli stili del
passato (architettura eclettica), la massiccia volumetria è scandita da quattro torri neomoresche
alte 27 metri con cupole a bulbo. Due torri inquadrano la facciata arricchita da una serie di archi e
Schedatore: CF
da un rosone centrale. Un doppio ordine di loggiato ad arco corre sui lati della costruzione in
pietra. La distribuzione dei bugnati, l’uso dei colori
e il disegno delle aperture sono di gusto orientaleggiante. All’interno del tempio grande, l’ampia
sala (lunga 35 metri, larga 22 e alta 16) è contornata al primo piano dal matroneo (area destinata
alle donne) sui tre lati del tempio, cui si accede da
due scale poste nelle torri laterali, tra i pochi elementi architettonici dell’antico edificio rimasti
intatti dopo i bombardamenti della seconda guerra
mondiale. Nel 1942 il tempio è, infatti, colpito da
una bomba che distrugge le ricche decorazioni
interne e lascia solo i muri perimetrali e le due
torri. Nel 1949 la sinagoga è internamente ricostruita e impreziosita con marmi e stucchi, soprattutto nella parte dove poggia l’armadio (aron)
davanti a cui sta il podio (tevà).
Nel 1972 i sotterranei dell’edificio sono stati trasformati dall’architetto Giorgio Olivetti in un
piccolo tempio a pianta centrale cui si accede dal
tempio grande o dalle altre sale comunitarie ricavate allo stesso livello. Nel tempio piccolo sono
custoditi alcuni arredi settecenteschi provenienti
dalla sinagoga di Chieri: importanti esempi di
barocco ebraico-piemontese.
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Torino dalla dominazione francese alla prima guerra mondiale (1789 - 1914)
Palazzina Fenoglio poi La Fleur
DOVE: Torino, via Principi d’Acaja n. 11.
In un quartiere di intensiva urbanizzazione, si trova
sull’angolo tra via Principi d’Acaja e l’interminabile
viale di corso Francia (v. scheda n. 3.14). L’area tra
il corso e via Cibrario presenta una concentrazione e varietà eccezionale di edifici (dal palazzo
con appartamenti d’affitto al villino, all’edificio
produttivo) in stile floreale.
QUANDO: La costruzione è del 1902, contemporanea all’Esposizione Internazionale d’Arte
Decorativa Moderna, del cui comitato direttivo fa
parte l’architetto Fenoglio.
PER COSA: Nasce come abitazione del progettista.
CHI E PER CHI: Pietro Fenoglio (1865-1927), uno tra
i più importanti architetti del tempo, costruisce la
palazzina per la propria famiglia.
Schedatore: CF
DESCRIZIONE: È la più significativa costruzione
liberty a Torino e tra le migliori opere di Fenoglio.
L’impianto d’angolo si distribuisce a partire dalla
bisettrice dello spigolo, sottolineato da una torretta con aperture a bow-window.
Com’è frequente per le abitazioni borghesi del
tempo, il nucleo centrale attorno a cui sono disposti gli spazi interni è la scala, che qui ha forma di
esagono.
La stupefacente decorazione delle facciate, specialmente delle finestre della torretta conclusa da
una pensilina vetrata a raggiera realizzata con
ferri curvi e vetri colorati, s’ispira al moderno
gusto art nouveau belga e francese, tuttavia le
tecnologie strutturali restano sostanzialmente
quelle tradizionali.
Ogni elemento costruito è disegnato sin nei minimi
dettagli. Il portone d’ingresso, le ringhiere, le inferriate in ferro battuto hanno linee curve e sinuose.
Le decorazioni alludono alle forme della natura e
ai colori dei fiori.
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Torino dalla dominazione francese alla prima guerra mondiale (1789 - 1914)
Bagni e lavatoi pubblici di Vanchiglia
DOVE: Torino, via Vanchiglia n. 54 all’angolo con
corso Regina Margherita.
La zona è quella di Borgo Vanchiglia, che si sviluppa quando Torino diventa città industriale.
All’inizio del Novecento, per migliorare le condizioni di vita in cui si trova la popolazione del Borgo,
il Comune promuove la costruzione di bagni e
lavatoi pubblici, ma anche di case popolari e
scuole.
QUANDO: Sono realizzati tra il 1907 e il 1909.
PER COSA: Il nuovo tipo di edificio risponde alle
necessità igieniche della società moderna. In quegli anni pochi alloggi erano dotati di bagni e
abitualmente nelle case più economiche i servizi
igienici erano in comune, sul ballatoio. L’edificio è
anche adibito a lavatoio.
Schedatore: CF
CHI E PER CHI: Opera dell’ingegnere architetto
Camillo Dolza (1868-1946), capo dell’Ufficio
tecnico Lavori Pubblici del Comune di Torino, in
collaborazione con gli ingegneri Scanagatta e
Prinetti, autore dei Murazzi. Dolza condivideva le
idee di promozione sociale legate alla funzionalità
del progetto rispetto alla destinazione d’uso.
DESCRIZIONE: L’edificio, che si trova all’angolo
con corso Regina Margherita, ha un impianto a
“V”; dalla sala d’ingresso, su due piani, si dipartono due ali a un solo piano. Gli spazi interni sono
disposti in modo da distribuire razionalmente gli
impianti idraulici. I materiali di rivestimento dei
pavimenti e delle pareti sono scelti in modo da
essere puliti facilmente e dunque igienici.
In facciata l’attenzione all’uso dei materiali ha un
fine decorativo. Il paramento fa notare il fregio
colorato che, con un motivo vegetale, affianca lo
stemma della città. Le superfici delle pareti in laterizio lasciato a vista sono scandite da paraste
intonacate che inquadrano le finestre.
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CHI E PER CHI:
DESCRIZIONE:
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