Legislazione europea per i beni culturali e ambientali

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
CORSO DI LAUREA IN
SCIENZE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI
Autore
GIOVANNA MISEROCCHI
Legislazione europea per i beni
culturali e ambientali
INTRODUZIONE ALLA PROBLEMATICA
Presidente del corso di laurea: Carlo Peretto
Autore: Giovanna Miserocchi, docente di Legislazione europea per i beni culturali e ambientali
L’edizione del presente volume costituisce parte integrante del Corso di Laurea in
“Scienze dei beni culturali e ambientali”.
Non è pertanto destinata a circolazione commerciale.
Ottobre 2009– Consorzio Omniacom.©
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INTRODUZIONE
Il corso di legislazione europea per i beni culturali e ambientali si struttura principalmente nello
studio del D.lgs42 del 22 gennaio 2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, perché alle
norme di base di questa materia stata data organicità da una serie di interventi legislativi che per
ultimo hanno prodotto il Codice. Di questo strumento si analizzano i principi fondamentali, la
struttura generale, i poteri della pubblica amministrazione, le azioni di tutela e valorizzazione dei
beni culturali e paesaggistici, le procedure. Non manca a completare l’oggetto dello studio, una
breve esposizione storica e una panoramica sul piano europeo e internazionale dell’approccio
culturale alla tutela e degli strumenti. Si tratta principalmente di convenzioni internazionali che
mirano a definire i principi di base cui si devono uniformare le norme nazionali e gli strumenti di
programmazione amministrativa.
Volutamente restano fuori dalla nostra indagine le sanzioni per la violazione delle disposizioni,
ritenute non significative per la formazione specifica cui mira il corso universitario nel suo
insieme.
OBIETTIVI
Lo studente di questo corso attraverso lo studio di questa unità didattica:
imparerà a conoscere il quadro d’insieme delle fonti normative che disciplinano le
vicende relative all’individuazione, alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali e
paesaggistici e le principali caratteristiche dell’ordinamento giuridico italiano, comunitario
e internazionale;
potrà individuare le problematiche giuridiche sottese alle attività di tutela dei beni
culturali,
analizzare gli articoli di legge che regolano questo settore con conoscenze giuridiche
sufficienti a comprenderli.
3
INDICE
INTRODUZIONE………………………………………………………………………..….pag. 3
OBIETTIVI……………………………………………………………………………..…..pag. 3
1. QUADRO STORICO DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI E
FONDAMENTI LEGISLATIVI……………………………………………………………..….pag. 7
2. IL PATRIMONIO CULTURALE…………………………………………………………….pag. 14
3. IL BENE CULTURALE…………………………………………………………………….pag. 16
4.L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA PER LA GESTIONE DEI BENI CULTURALI E IL MINISTERO
DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI………………………………………………..…pag. 20
5. IL BENE CULTURALE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO………..………...pag. 27
6. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO E PRIVATO…………………………...………..pag. 36
A. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO
I. I beni demaniali
II. I beni patrimoniali indisponibili e disponibili
III. Il regime dei beni pubblici nel nuovo Codice dei beni culturali
B. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PRIVATO
7. LA COLLEZIONE
E I BENI MUSEALI……………………………………….……………..pag. 42
I. La collezione
II. I beni museali
8. PROTEZIONE E CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI……………………...………….pag. 48
I. Misure di protezione.
I.a. Divieti e autorizzazioni
I.b. Misure cautelari
II.a. Misure di conservazione
II.b. Il restauro
II.c. Obblighi conservativi imposti
III.a. Il vincolo indiretto o di completamento
III.b. Prestito per mostre ed esposizioni
9. LA CIRCOLAZIONE NAZIONALE…………………………………………………………pag. 54
I. I beni pubblici
II. Procedimento dell’autorizzazione ad alienare e Obbligo di denuncia del trasferimento dei beni
culturali.
III. La prelazione
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IV. La vendita al pubblico dei beni culturali
10. LA CIRCOLAZIONE INTERNAZIONALE…………………………………………………PAG. 59
I. Il divieto di esportazione
II. L’acquisto coattivo
III. L’uscita temporanea di beni culturali dal territorio dello Stato
IV. L’uscita definitiva dei beni culturali dal territorio dello Stato.
V. La restituzione dei beni illecitamente usciti da uno Stato comunitario.
11. VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI……………………………….…...…………PAG. 65
I. La gestione
II. La fruizione dei beni culturali
III. Biblioteche e beni librari.
IV. Gli archivi
V. Mostre ed esposizioni.
12. L’ESPROPRIO……………………………………………………………...…….…….PAG. 72
I. L’espropriazione per fini strumentali
II. L’espropriazione per interesse archeologico.
III. Occupazione temporanea.
IV. La retrocessione.
13. RITROVAMENTI E SCOPERTE……………………………………….………………….PAG. 75
I. La concessione di ricerca archeologica
II. Occupazione per scopi archeologici
III. Il possesso dei beni archeologici.
IV. Scoperta fortuita.
V. Archeologia subacquea.
VI. Aree e parchi archeologici
14. I BENI PAESSAGGISTICI…………..………………………………………...…………..PAG. 81
I. Evoluzione storica
II. Definizioni
III. Poteri legislativi
IV. Individuazione dei beni e delle aree e dichiarazione di notevole interesse pubblico
V. Le aree tutelate per legge
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VI. La pianificazione paesaggistica
VII. Il procedimento delle autorizzazioni
VIII. Profili internazionali
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………...………….PAG. 98
GLOSSARIO…………………………………………………………………..………….PAG. 100
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1. QUADRO
STORICO
DELLA
LEGISLAZIONE
IN
MATERIA
DI
BENI
CULTURALI
E
PAESAGGISTICI E FONDAMENTI LEGISLATIVI.
I beni culturali e ambientali trovano il loro fondamentale riconoscimento innanzitutto
nell’art. 9 della Costituzione secondo il quale “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura
e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Questo principio generale si
può tradurre nel fatto che per promuovere lo sviluppo della cultura, lo Stato debba provvedere
alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa (Sentenza della Corte Costituzionale
9 marzo 1990 n.118).
È importante osservare come la disposizione surriferita sia stata collocata nella parte
iniziale della Carta costituzionale, tra i principi fondamentali di essa. Tale collocazione trova la
propria ragion d’essere nel fatto che, proprio negli anni dell’immediato dopoguerra, il tema dei
beni culturali acquista un nuovo impulso.
In tale fase storica, la funzione di tutela del patrimonio culturale da parte della pubblica
amministrazione, ha avuto una disciplina pressoché completa che ha rinforzato i principi e gli
strumenti posti dalle leggi dello Stato già nella prima metà del secolo.
Si comincia infatti a pensare al c.d. Stato di cultura, inteso come obiettivo da raggiungere
per lo Stato italiano attraverso la «promozione dello sviluppo e della elevazione culturale della collettività (…)
l’acquisizione di ogni valore, ancorché puramente estetico, suscettibile di sollecitare ed arricchire la sensibilità della
persona» [SANDULLI]. Da ciò emerge la consapevolezza di non poter prescindere dai beni culturali
per la rinascita del Paese, sia sul piano dello spirito della Nazione, che sotto il profilo economico,
in quanto motore del turismo e dei servizi ad esso collegati.
Il diritto di godere di tali beni, pertanto, assorge a diritto inviolabile della persona,
pertanto, il valore estetico-culturale si colloca tra i valori primari del nostro ordinamento.
Nel dettato dell’articolo 9, si fa inoltre riferimento alla Repubblica perché i compiti di
promozione e tutela non sono ascrivibili al solo apparato dello Stato centrale ma al complesso dei
soggetti pubblici, siano essi lo Stato medesimo, le Regioni ovvero gli Enti locali.
La riforma del Titolo V della Costituzione [operata con Legge Costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3] e dell’art. 117 in essa contenuto si è collocata nel solco predetto, operando −
anche in materia di beni culturali − una modifica profonda ed un riassetto delle attribuzioni di
competenze tra Stato e Regioni. In particolare, a seguito di tale riforma le funzioni di tutela e
valorizzazione dei beni culturali sono attribuite in modo diverso alla competenza dello Stato e
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delle Regioni: allo Stato compete in via esclusiva la funzione di tutela dei beni culturali, mentre al
riguardo della loro valorizzazione, viene attribuita una competenza concorrente a Stato o
Regione a seconda della titolarità e del rilievo dei beni stessi.
***
Nell’ultimo dopoguerra sono state altresì emanate numerose legislazioni in materia di beni
culturali ed ambientali. Tra queste vanno ricordate:
− la Legge 29 gennaio 1975, n. 5 che ha istituito il «Ministero per i beni culturali e
ambientali», oggi riorganizzato e rinominato «Ministero per i beni e le attività culturali» dal
recente Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2004, n. 173;
− la Legge c.d. “Galasso” 8 agosto 1985, n. 431, oggi abrogata, che tutelava per legge
estesi ambiti territoriali richiedendo, per la prima volta, una disciplina del territorio da attuarsi
attraverso l’adozione di Piani territoriali paesistici regionali;
− il Decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000 n. 283, Regolamento
in cui viene stabilita l’assoluta inalienabilità di alcune categorie di beni, quali i monumenti
nazionali, i beni archeologici, i beni di interesse storico che rappresentano l’identità della nazione,
in quanto rappresentativi di istituzioni pubbliche, collettive ovvero ecclesiastiche.
***
Per quanto riguarda la legislazione di rango ordinario, può senz’altro dirsi che la prima
disciplina organica in materia di beni culturali e paesaggistici è rappresentata dal Decreto Legislativo
29 ottobre 1999 n. 490 recante “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali”. Il Testo Unico ha dato organicità a due testi normativi fondamentali, la
legge 1 giugno 1939, n. 1089 recante “Tutela delle cose di interesse artistico e storico” e la legge
29 giugno 1939, n. 1497 riguardante la “Protezione delle bellezze naturali”, (le c.d. leggi Bottai).
Tali leggi si incentravano sulla conservazione e custodia del patrimonio storico- artistico,
introducendo il sistema dei vincoli ma con scarsa attenzione al profilo delle modalità di
godimento pubblico di tale patrimonio.
Nonostante i pochi anni dalla sua emanazione, il Testo Unico è stato abrogato e sostituito
dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio emanato col Decreto Legislativo 22 gennaio
2004 n. 42 a causa dei frequenti interventi riformatori che hanno interessato la pubblica
amministrazione a tutti i livelli. In tale testo, oltre a ribadirsi l’importanza del precetto
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costituzionale in materia di beni culturali ed ambientali, si fa esplicito riferimento alla necessità di
coordinare le esigenze della tutela dei beni con il mutato assetto normativo.
Alla tutela statica delle prime leggi si è affiancata una tutela promozionale, da parte dei
poteri pubblici, diretta allo sviluppo della cultura L’art. 1 del Codice recita infatti: “In attuazione
dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in
coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione…” Le esigenze più evidenti
che hanno spinto alla riforma, attuata col Codice, attengono agli strumenti di tutela, i sistemi di
gestione, e di collaborazione tra le amministrazioni preposte e, infine, le regole sugli appalti dei
lavori pubblici concernenti i beni culturali. .Al fine di evitare che i beni soggetti al vincolo di
tutela possano subire pregiudizi al loro stato di conservazione, prevede un sistema generale di
controllo della pubblica amministrazione, di tipo autorizzatorio preventivamente all’esecuzione
di interventi su tali beni. In alcuni casi vi è persino una compressione del diritto di proprietà,
soprattutto in materia di circolazione dei beni culturali mobili.
Va notato infine che, pur nonostante il Testo Unico in materia di beni culturali ed
ambientali avesse pochi anni vigenza, si è preferito non modificare o “ritoccare” tale ultimo
provvedimento quanto, piuttosto, procedere alla redazione ex novo di un Codice. Testo Unico e
Codice rappresentano due figure ben distinte nell’ambito delle fonti normative. In particolare il
Testo Unico è essenzialmente un riordino ed un raggruppamento − all’interno di uno stesso
provvedimento normativo − di leggi già in vigore, fatto per facilitarne la conoscenza e
l’applicazione. Il Codice, invece, è un testo organico che ha valore normativo per sé, senza
riferimenti a leggi precedenti, diretto a disciplinare ex novo una particolare branca o settore del
diritto. Nel nostro caso, l’adozione di un Codice ha risposto all’esigenza di aggiornamento
dell’impianto normativo generale del settore, non più adeguato a regolare il patrimonio culturale e
paesaggistico a causa delle recenti riforme amministrative operate con la surriferita modifica del
Titolo V della Costituzione.
Alcune norme relative al diritto dei beni culturali, tuttavia, non sono contenute nel
Codice, come la disciplina dei diritti reali contenuta nel Codice Civile o le regole sul
procedimento
amministrativo
(legga
241/1990),
le
disposizioni
organizzative
delle
amministrazioni competenti, quelle previste appositamente per alcuni territori o beni.
Le principali modifiche al Codice Dlgs 42/2004sono state appena introdotte prima con i
due DD.Lgs. 24 marzo 2006 n. 156 e n. 157, in relazione rispettivamente ai beni culturali ed al
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paesaggio col fine di coordinare le norme del suddetto Codice con le disposizioni normative
successive ad oggetto particolareggiato, come la riorganizzazione del Ministero. Più recentemente
con i D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62 e n. 63, sono state apportate nuove integrazioni e correzioni al
Codice nella direzione di precisare i contorni degli ambiti oggettivo e soggettivo della disciplina;
Le integrazioni effettuate consistono, prevalentemente, nel «recupero» di discipline previgenti
oppure nella miglior definizione di istituti già regolati . Il Dlgs n. 62/2008, va a perfezionare le
norme concernenti i quattro istituti la cui revisione presenta maggiore organicità: la disciplina
degli archivi, la circolazione in ambito nazionale e internazionale, alcuni particolari della
valorizzazione e della fruizione. Queste modifiche in materia di beni culturali non hanno mutato
l’equilibrio dei rapporti tra potere statale e poteri regionali e locali.
Il D.lgs. n. 63/2008 interviene invece sull’assetto delle competenze di Stato, regioni ed
enti locali, apportando modifiche a tutti e tre i principali istituti del diritto del paesaggio:
l’individuazione dei beni, la pianificazione paesaggistica, la disciplina dell’autorizzazione.
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COSTITUZIONE E LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE.
Il termine «costituzione» è usato con diversi significati e definisce:
a) il complesso di principi e norme di comportamento effettivamente regolanti la società statale in
un dato momento storico;
b) il documento solenne contenente i principi e le norme di organizzazione dello Stato.
In questo senso la Costituzione italiana − entrata in vigore il 1 gennaio 1948 − e' la legge
fondamentale delle Repubblica nel senso che essa si pone al vertice della gerarchia delle fonti del
diritto.
In essa vengono racchiusi i valori primari della società organizzata ed i principi su cui poggia
l'assetto essenziale dello Stato.
Anche se la Costituzione costituisce lo strumento più importante per realizzare la tutela e la
conservazione dei principi di ispirazione della medesima, non e' detto che sia prescritta la sua
immodificabilità assoluta nel tempo. L’art. 138 della Costituzione, infatti, prevede che siano
adottate leggi di revisione costituzionale. Per leggi di revisione devono intendersi quelle leggi che
incidono sul testo costituzionale, modificando, sostituendo o abrogando le disposizioni in esso
contenute.
Le altre leggi costituzionali sono leggi che pur non toccando il testo costituzionale si rifanno ad
esso soprattutto in quelle parti "aperte" nelle quali e' stato previsto un ambito di intervento delle
camere tramite l'approvazione di una legge costituzionale.
La forma repubblicana, il riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini, il principio
dell'uguaglianza e della solidarietà non può essere oggetto di revisione.
L’articolo 117 introduce la distinzione tra potestà legislativa esclusiva dello Stato e concorrente
tra Stato e regioni. La potestà regionale è evidentemente sottoposta ad una serie di limiti imposti
dalla Costituzione stessa, dalle norme comunitarie o internazionali..
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GERARCHIA DELLE FONTI
Il termine "fonte" viene usato per esprimere il processo produttivo di una norma o per indicare
gli svariati documenti che attestano l'esistenza di una norma e dai quali se ne ha conoscenza. Le
fonti sono in relazione gerarchica tra loro nel senso che le fonti di rango inferiore non possono in
alcun modo modificare le fonti di rango superiore, è però possibile il contrario.
1) Al vertice della scala gerarchica si pone la COSTITUZIONE.
La costituzione e' la legge fondamentale nella quale vengono racchiusi i valori primari della
società organizzata ed i principi su cui poggia l'assetto essenziale dello stato.
2) Al secondo livello della scala gerarchica vanno inserite le fonti comunitarie, per le quali si rinvia
al par. 4.
3) Successivamente, vanno collocate le leggi e gli atti che, pur non essendo leggi, sono considerati
di pari valore. Questi sono:
− IL DECRETO LEGISLATIVO (art 76-77 Cost.) e l’atto normativo prodotto dal governo.
L'esercizio della funzione legislativa è delegato al governo attraverso la determinazione di taluni
elementi che costituiscono il contenuto necessario della delegazione delle camere e i limiti di
attività normativa del governo stesso (i.e. l'oggetto non genericamente indicato) Non possono
essere oggetto di delega le leggi che richiedono l'intervento del parlamento, come ad es. le leggi di
bilancio. Il decreto delegato viene approvato dal Consiglio dei ministri ed emanato con decreto
del Capo dello Stato. Il decreto legislativo (D. lgs.) ha forza di legge;
− IL DECRETO LEGGE (art 77) il governo può esercitare la funzione legislativa anche senza
delega delle camere emanando atti aventi forza di legge, ma solo in casi straordinari di necessità
ed urgenza. In tali ipotesi, il giorno stesso dell’emanazione il decreto deve essere presentato al
Parlamento per la sua conversione in legge che deve avvenire entro 60 gg dalla pubblicazione
4) al quarto gradino della gerarchia delle fonti si collocano i REGOLAMENTI GOVERNATIVI
(da non confondersi con i Regolamenti comunitari) previsti dall’art. 87 Cost. I regolamenti sono
testi normativi subordinati alle leggi. L'art 17 della legge n. 400/1988 prevede vari tipi di
regolamenti. Tra questi vanno ricordati: a) i REGOLAMENTI DI ESECUZIONE atti idonei a
dare esecuzione alle leggi e decreti legislativi. Essi sono destinati a specificare punti della legge
lasciati alla mera interpretazione del Governo; b) i REGOLAMENTI DI ATTUAZIONE ED
INTEGRAZIONE destinati ad operare in materie coperte da riserva di legge, per le quali queste
ultime possono limitarsi a dettare principi, lasciando la parte non disciplinata dalla legge ai
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regolamenti di attuazione-integrazione; c) i REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE relativi
all’organizzazione delle amministrazioni pubbliche
Vi sono poi i REGOLAMENTI MINISTERIALI previsti da legge ed emanati con decreto del
presidente della repubblica su proposta del ministro competente
5) All’ultimo posto della gerarchia delle fonti si colloca LA CONSUETUDINE. La consuetudine
è una fonte non scritta che nasce per un comportamento al quale fa seguito un altro uguale al
precedente fino al maturarsi della convinzione che a quel comportamento bisogna uniformarsi.
Questo elemento deve combinarsi con l'animus ovvero la volontà di osservare un precetto
giuridico.
Nella gerarchia delle fonti vanno poi collocate LE FONTI delle AUTONOMIE.
Taluni soggetti pubblici sono rivestiti della qualità di enti autonomi. Ad essi viene attribuita una
potestà normativa specifica. La Costituzione individua: Regioni, Province, Comuni, Università,
Accademie e Istituzioni di alta cultura tra le autonomia in grado di produrre norme giuridiche.
Dette norme entrano nell'ordinamento della Repubblica e ne fanno parte integrante. LA
POTESTA' LEGISLATIVA REGIONALE è la più elevata espressione della produzione
normativa di autonomia. Alle autonomie locali è attribuito anche il potere regolamentare per tutte
le materie in cui non c’è legislazione esclusiva dello Stato. Il testo Unico degli enti locali, Dlgs.
2000/267 consente di adottare regolamenti non solo per l’esercizio delle funzioni ma pure per
l’organizzazione degli organi degli enti stessi. Tutto questi in ossequio al principio per cui
regolamenti emanati da autorità gerarchicamente inferiori non possono contrastare con quelli
emanati da autorità superiori .
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2. IL PATRIMONIO CULTURALE.
Il nuovo Codice dei Beni culturali e del paesaggio (d’ora in poi abbreviato «Codice»),
entrato in vigore il 1 maggio 2004, ha 184 articoli e un allegato. Si struttura in cinque parti : le
disposizioni generali, i beni culturali, i beni paesaggistici, le sanzioni e le disposizioni transitorie;
l’allegato elenca beni soggetti a specifiche disposizioni sulla loro
circolazione. Nella parte
generale, composta dai primi nove articoli, vengono individuate e precisate le definizioni di
«patrimonio culturale», di «tutela», di «valorizzazione», ecc.. che rappresentano la chiave di
lettura delle norme successive.
All’art. 2 del Codice viene stabilito che il patrimonio culturale è costituito dai beni
culturali e dai beni paesaggistici, i quali vengono rispettivamente definiti nei commi successivi.
Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano
interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre
cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
(comma 2). Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’art.134, costituenti
espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni
individuati dalla legge o in base alla legge (comma3).
I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della
collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino
ragioni di tutela (comma 4).
Ma cos’è il patrimonio culturale? Dal complesso della normativa del diritto civile italiano
si può ricavare una definizione di «patrimonio» come l’insieme dei rapporti giuridici di contenuto
economico, attivi e passivi, facenti capo ad un determinato soggetto; tale accezione di patrimonio
ha pertanto un significato economico-materiale.
Nel diritto amministrativo, invece, si definisce patrimonio nazionale ciò che attiene alle
ricchezze di un Paese a prescindere dal fatto che queste appartengano a privati, o ad enti pubblici.
Lo Stato si pone come difensore o tutore di quel patrimonio, divenendo titolare del diritto di
esercitare la tutela e interferendo sui diritti soggettivi dei singoli cittadini.
Per quanto concerne le norme di questo settore, devono essere considerate nel
patrimonio culturale di un paese anche attività non materiali come le tradizioni. In questa
prospettiva «patrimonio» è, pertanto, ciò che le «cose» esprimono, i valori e gli interessi di cui esse
sono portatrici.
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Il patrimonio storico è una categoria di cose qualificata in misura prevalente dall’interesse
storico, dalla memoria storica che singoli beni rappresentano. Attraverso di esse c’è la possibilità
di conservare la memoria di fatti importanti per la storia e la cultura in genere.
La terminologia di beni culturali ha origini relativamente recenti, e sostituisce le vecchie
categorie delle “cose di interesse artistico o storico”, “cose d’arte”, “antichità e belle arti”, riferite
dalle norme previgenti.
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3. IL BENE CULTURALE.
Come si è visto, il legislatore delegato ha adottato nel Codice una definizione di
patrimonio culturale che comprende sia i beni culturali che i beni paesaggistici. È necessario
definire il contenuto di tali categorie per delimitare l’ambito applicativo delle norme che di esse
regolano le funzioni di tutela e valorizzazione.
I beni culturali sono le cose immobili individuate agli articoli 10 (Beni culturali) e 11 (Beni
oggetto di specifiche disposizioni di tutela) che presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico, ma anche altre cose individuate dalla legge o in
base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
La legge non dice cosa si deve intendere per interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico. Si limita ad affermare che con tale caratteristica la cosa diventa bene culturale.
Occorre pertanto rinviare a ciò che la dottrina giuridica ha elaborato: l’interesse che l’oggetto
esprime è frutto del riconoscimento che di esso dà la collettività. Non si tratta di una valutazione
oggettiva ma propria di una collettività e della sua cultura diffusa. Pertanto chi è chiamato ad
esprimere la valutazione deve possedere conoscenze tali da poter cogliere e motivare l’interesse
collettivo che qualifica il bene.
Il Codice distingue tra «beni» e «cose». I «beni» sono rappresentati da «cose» per le quali
sia stata accertata positivamente la sussistenza dell’interesse culturale. Per «cose», invece, si deve
intendere l’oggetto nella sua materialità in considerazione della possibile sussistenza dell’interesse
culturale.
La Res (cosa) culturale allora può essere intesa come quella cosa che ha la possibilità di
vedere riconosciuto il carattere di interesse culturale. Ad un prima lettura, il Codice classifica le
Res culturali in tre distinte categorie.
La prima categoria è quella individuata dall’art. 10 comma 1, del Codice a mente del
quale sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri
enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico ed a persone giuridiche
private senza fine di lucro. L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina dei
beni culturali è stata integrata dal d.lgs. n. 62/2008, che ha infatti precisato che tra le
«persone giuridiche private senza scopo di lucro» -accomunate ai soggetti pubblici per quanto
riguarda l’applicazione di importanti istituti di tutela, quali le modalità di riconoscimento dei beni
culturali e la relativa procedura di verifica -sono compresi anche «gli enti ecclesiastici civilmente
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riconosciuti». che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Per
tali beni trova applicazione il sistema della verifica dell’interesse culturale previsto all’art. 12 del
Codice.
La seconda categoria di beni culturali è quella prevista dall’art. 10, comma 2, del Codice.
Tale categoria si differenzia da quella precedente in quanto l’interesse culturale è ritenuto
sussistere direttamente ex se. Pertanto non è necessaria alcuna una verifica di interesse culturale. Per
tale categoria, sono beni culturali − appartenendo a soggetti pubblici − le raccolte di musei,
pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi, gli archivi e i singoli documenti, le raccolte librarie
delle biblioteche.
Una terza categoria riguarda tutti i beni di appartenenza privata. Tale categoria, prevista
dall’art. 10, comma 3, è composta da cose dei privati che, previa la dichiarazione ai sensi
dell’art.13, presentino molteplici caratteristiche: interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante; tra esse vanno compresi gli archivi o raccolte librarie
di eccezionale interesse culturale; le cose che rivestano un interesse particolarmente importante a
causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura
in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche,
collettive o religiose; le collezioni che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali
ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etno-antropologica, rivestono
− come complesso − un eccezionale interesse. Le cose destinate a diventare bene culturale
possono a loro volta essere oggetto di ulteriori categorizzazioni che si intersecano con le tre già
viste. Nell’ambito delle tre categorie elencate si possono raggruppare i beni culturali secondo il
criterio dell’appartenenza ovvero secondo l’ulteriore criterio della misura dell’interesse.
Nell’art. 10 del Codice, infatti, si realizza una divisione dei beni culturali in base all’appartenenza
pubblica o privata degli stessi.
Nelle categorie sottoponibili a verifica o a dichiarazione possono rientrare : le cose che
interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; le cose di interesse numismatico, i
manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con
relative matrici, le carte geografiche e gli spartiti musicali, le fotografie, con relativi negativi e
matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, che abbiano carattere
di rarità o di pregio; le ville, i archi e i giardini, le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti
urbani che abbiano interesse artistico o storico; i siti minerari, le navi e i galleggianti, di interesse
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storico od etnoantropologico; le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico
quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.
Ciò che emerge chiaramente dal dettato del Codice, è che viene stabilita una diversità di
gradazione dell’interesse presente nel bene in relazione all’appartenenza del bene stesso.
In particolare, per quanto riguarda i beni indicati all’art. 10, comma 1 del Codice, (beni di
prevalente appartenenza pubblica) la disposizione richiama la semplice presenza di interesse.
Il comma 2, come visto, elenca dei beni culturali aventi un interesse ex se, senza
individuare una particolare gradazione.
Il comma 3, lett. a), per i soggetti diversi da quelli elencati nel comma 1, richiede che le
cose di loro appartenenza, per divenire beni culturali, presentino interesse particolarmente
importante; alla lett. b), si richiede un interesse particolarmente importante per archivi e
singoli documenti. La lett. c) precisa che le raccolte librarie appartenenti a privati debbano avere
eccezionale interesse culturale.
In base al criterio dell’appartenenza , la lettera a) esclude pertanto le persone giuridiche
senza fine di lucro, che sono incluse alle lettere b) e c); alle lettere d) ed e) si riferiscono anche
beni degli enti pubblici perché non è richiesto che rivestano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico particolarmente importante.
In particolare la riforma del Dlgs 156/2006 ha corretto il comma 3 lettera e) che
contempla tra i beni culturali soggetti alla dichiarazione, “le collezioni o serie di oggetti, a
chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero
per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestono come
complesso un eccezionale interesse”; e il comma 4 lettera b) : “le cose di interesse numismatico
che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di
riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio, anche storico”. Tale intervento ha rimosso
una possibile dispersione del patrimonio numismatico “minore”
indipendentemente dalla
serialità degli oggetti, richiedendo alternativamente la rarità o il pregio.
Riguardo all’art. 11, si tratta di categorie di cose 1 assoggettate a specifiche disposizioni di
tutela. Rispetto alla disciplina precedentemente contenuta nel T.U. dei beni culturali (Decreto
Legislativo 490/1999) si segnalano novità riguardanti: le opere di pittura, di scultura e di grafica
1 e modifiche introdotte all’articolo 11 dal Dlgs 62-2008 dove l’uso del termine «cose» in sostituzione
del vocabolo «beni» puntualizza che le cose ivi elencate sono semplicemente soggette ad alcune previsioni del
Codice, senza divenire per questo beni culturali.
18
e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 50 anni, ai fini
dell’attestato di autenticità e di provenienza e per l’uscita dal territorio nazionale; le opere
dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico, ai fini dei contributi in conto
interesse; infine, le vestigia individuate dalla normativa in materia di tutela del patrimonio storico
della Prima guerra mondiale. Per completare l’elencazione vanno citati: gli affreschi, gli stemmi, i
graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, gli studi d’artista,
le aree pubbliche; le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere
cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di
manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre
venticinque anni; i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni; i beni e gli strumenti di
interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni;
Il decreto 62 /2008 ha introdotto l’ Articolo 7-bis in riferimento alle espressioni di identità
culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio
culturale immateriale e per la protezione e promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi,
rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, disponendo che sono assoggettabili
alle disposizioni del presente Codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e
sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’articolo 10. la particolarità di questa
norma sta nell’ancoraggio netto alla materialità delle espressioni di identità collettiva.
19
4.
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA PER LA GESTIONE DEI BENI CULTURALI E IL
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI.
L’organizzazione dell’amministrazione centrale, concepita secondo il modello attuale è
nata con la legge n. 5 del 29 gennaio 1975, che ha istituito il Ministero per i beni culturali e
ambientali con compiti di tutela e valorizzazione sulle cose d’arte e sulle bellezze naturali. Per la
prima volta si legava il concetto di beni culturali alla formula dell’ambiente. Compito
del
ministero era di promuovere alla diffusione dell’arte e della cultura e tutelare il patrimonio
culturale del Paese. Il suo ideatore, Giovanni Spadolini, lo immaginò come un Dicastero atipico,
in sinergia con il mondo accademico e le élite culturali del Paese.
Ad esso vennero devolute la attribuzioni spettanti al Ministero della Pubblica Istruzione o
del Ministero dell’Interno per tutto ciò che era attinente ai beni culturali e ambientali. L’apparato
venne articolato in uffici centrali e organizzazioni periferiche di governo del territorio locale, le
c.d. Soprintendenze.
La struttura centrale era originariamente composta da quattro istituti (per la
documentazione, per le biblioteche, per la patologia del libro, per il restauro), 10 istituti con
finalità particolari, 64 soprintendenze, archivi di stato, e biblioteche pubbliche nazionali.
Con il Decreto Legislativo n. 368 del 1998 è stata modificata la denominazione
dell’amministrazione centrale che ha preso il nome di Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali, con compiti più ampi e nuove competenze di promozione nell’ambito dello spettacolo
e dello sport. Ha inoltre trovato applicazione il principio di separazione tra indirizzo politico e
compiti di gestione, tanto che si precisa che il ministro “…determina gli indirizzi, gli obiettivi e
programmi…”.
Con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 441 del 2000 sono state
ulteriormente articolate le direzioni generali nei settori chiave delle attività gestite dal governo
centrale: il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, i beni architettonici ed il paesaggio,
l’architettura e l’arte contemporanea, i beni archeologici, gli archivi, i beni librari, il cinema, lo
spettacolo dal vivo. Le Soprintendenze regionali sono state costituite in ogni regione a statuto
ordinario, nella Sardegna e nel Friuli-Venezia Giulia.
L’organizzazione del Ministero è stata ulteriormente riformata con il Decreto legislativo
8 gennaio 2004 n. 3, che ha disposto un’ulteriore articolazione in 4 dipartimenti, 10 direzioni
20
generali e quattro aree funzionali (beni culturali e paesaggistici, beni archivistici e librari, ricerca e
innovazione, spettacolo e sport).
Il modello organizzativo è stato spesso rimeditato, tenendo presente anche la crescita
della domanda di cultura, e l’esigenza di metodologie gestionali aggiornate ma purtroppo anche in
base ad esigenze politiche di equilibrio tra i poteri pubblici e per la necessità di dare attuazione e
propulsione alla visione innovatrice dei sempre diversi programmi di governo. In questo senso va
citato il DPR 8 giugno 2004 n. 173 che ha attribuito al Dipartimento per i beni culturali e
paesaggistici e al Dipartimento per i beni archivistici e librari, il compito di decidere sui ricorsi
amministrativi, coordinare la salvaguardia del patrimonio culturale, elaborare il programma
pluriennale degli interventi, per i settori di competenza.
Al Dipartimento per la ricerca,
l’innovazione e l’organizzazione, spetta invece, il compito di predisporre le intese istituzionali
Stato-Regioni e gli accordi di programma, coordinare le iniziative con l’UNESCO.
Il
Dipartimento per lo spettacolo e lo sport, esercita la funzione di vigilanza sulla biennale di
Venezia e sulla SIAE. I Dipartimenti e le periodiche riunioni interdipartimentali per l’esame di
questioni attinenti al coordinamento operativo dell’attività ministeriale, sono le innovazioni più
significative della riforma, perché ha migliorato e reso interattivi i processi gestionali
L’art. 5 del D.Lgs n. 3 del 2004 ha introdotto le Direzioni Regionali per i beni culturali e
paesaggistici con compiti
regionali.
diversi rispetto quelli previsti per le precedenti
Soprintendenze
Le prime sono organi territoriali di livello dirigenziale del dipartimento dei beni
culturali e paesaggistici, curano tra l’altro, i rapporti del Ministero con gli enti locali, hanno la
funzione di stazione appaltante per gli interventi conservativi da effettuarsi con fondi dello Stato;
le Soprintendenze avevano primariamente un compito di supervisione e coordinamento delle
soprintendenze locali. Ciò di fatto è andato nella direzione di liberare le Soprintendenze (e gli
specialisti dell’arte) di compiti prettamente gestionali e snellire le procedure amministrative.
Un’esigenza che però non è del tutto affrontata dalle riforme legislative recenti è quella
di calibrare i trasferimenti di funzioni tenendo conto del fatto che non tutte le regioni hanno
strutture sufficienti ad assumere l’impegno per le funzioni trasferite o non
c’è sufficiente
uniformità.
***
Dapprima l’art. 19 del DPR 173/2004 dispone che sono organi periferici del ministero: le
direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici; le soprintendenze per i beni architettonici
21
ed il paesaggio; le soprintendenze per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico; le
soprintendenze per i beni archeologici; le soprintendenze archivistiche; gli archivi di stato; le
biblioteche statali; i musei e gli altri istituti dotati di autonomia.
Il quadro fin qui delineato è parziale se non si considerano le ultime azioni di riforma normativa
che si sono susseguite.
Già col la legge 17 luglio 2006 n. 233 sono state trasferite alla presidenza del Consiglio dei
Ministri le strutture organizzative in tema di sport e con il Dl 181/2006 sono state attribuite al
MiBAC le strutture e le risorse in tema di turismo. Con lo stesso decreto il numero dei
dipartimenti diventa flessibile in base alle esigenze del ministero.
Con il DPR 26 novembre 2007, n. 233, è stato ridisegnato l’assetto del ministero per i beni e le
attività culturali. La scelta di fondo è stata quella di abbandonare la struttura dipartimentale del
MiBAC in favore di una struttura di segretariato, che in sostanza è ha l’unico effetto certo di
avviare un risparmio di spesa in riferimento agli incarichi di dirigenza generale, che vengono a
ridursi in maniera significativa.
Entrato in vigore il 30 dicembre 2007, il nuovo regolamento di organizzazione del MiBAC si
occupa dell’Amministrazione centrale, degli organi consultivi centrali, degli istituti centrali e
istituti con finalità particolari, infine, dell’Amministrazione periferica.
La figura del Segretario generale fa riferimento al modello precedente del DPR 441/2000, di
natura ibrida, poiché al segretario non vengono attribuiti solo funzioni di supporto all’indirizzo
del Ministro e di coordinamento,
ma di attribuzioni di compiti prettamente tecnico-
amministrativi.
Gli uffici dirigenziali generali centrali
cancellando
2
hanno subito un
parziale ridimensionamento
dal novero delle direzioni quella per il patrimonio storico, artistico ed
etnoantropologico ed accorpata con quella per i beni architettonici, dando vita alla nuova
2 Il precedente schema di organizzazione delle direzioni generali risultava il seguente: il dipartimento per i beni
culturali e paesistici si articola in Direzione Generale (D.G.) per i beni archeologici, D.G. per i beni architettonici e
paesistici, D.G.per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, D.G. per l’architettura e l’arte contemporanee.
Il Dipartimento per i beni archivistici e librari si articola in Direzione Generale, per gli archivi, D.G. per i beni
librari e gli istituti culturali.
Il Dipartimento per la ricerca l’innovazione e l’organizzazione si articola in Direzione generale, per gli affari
generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione, D.G.per l’innovazione tecnologica e la promozione.
Il Dipartimento per lo spettacolo e lo sport si articola in Direzione generale per il cinema, D.G. per lo spettacolo dal vivo e
lo sport.
22
Direzione generale per i beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici (art.3, comma 1,
lett. e ). La scelta è stata criticata alla luce delle riforme sull’amministrazione periferica che vanno
in controtendenza, scorporando e rendendo autonome le strutture dei beni architettonici e del
paesaggio da quelle dei beni storici, artistici ed etnoantropologici. La direzione per
l’organizzazione, l’innovazione, la formazione, la qualificazione professionale e le relazioni
sindacali, è stata separata dalla direzione per il bilancio e la programmazione economica, la
promozione, la qualità e la standardizzazione delle procedure. Mentre alla Direzione generale
per i beni librari e gli istituti culturali si aggiunge la competenza in diritto d’autore quella per il
cinema ed, infine, quella per lo spettacolo dal vivo.
Le funzioni in materia di tutela sono affidate alle direzioni regionali, salvo l’azione di difesa del
paesaggio attribuita nella neonata direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio,
l’architettura e l’arte contemporanee.
Il Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici (art. 13) è chiamato ad esprimere
pareri su richiesta del Ministro : a) obbligatoriamente, sui programmi nazionali per i beni culturali
e paesaggistici e sui relativi piani di spesa annuali e pluriennali, predisposti dall’amministrazione;
b) obbligatoriamente, sugli schemi di accordi internazionali in materia di beni culturali; c) sui piani
strategici di sviluppo culturale e sui programmi di valorizzazione dei beni culturali; d) sui piani
paesaggistici elaborati congiuntamente con le regioni; e) sugli schemi di atti normativi e
amministrativi generali afferenti la materia dei beni culturali e paesaggistici e l’organizzazione del
Ministero; f) su ogni altra questione di carattere generale o di particolare rilievo concernente la
materia dei beni culturali e paesaggistici, anche di interesse di altra amministrazione statale o
regionale o di Stati esteri o demandata al Consiglio superiore da leggi e regolamenti., e ha la
facoltà di avanzare proposte al Ministro su ogni questione di carattere generale o di particolare
rilievo afferente la materia dei beni culturali e paesaggistici, anche per quel che concerne l’attività
di indirizzo.
I comitati tecnico-scientifici hanno la possibilità di avanzare proposte su temi di stretta
competenza. Inoltre si segnala che la formulazione dell’art. 14 del DPR 233 conferma i sei già
previsti e aggiunge un nuovo comitato per l’economia della cultura che avanza proposte per la
definizione dei programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e dei relativi piani di spesa
23
oltre ad esprimere pareri, a richiesta del segretario generale o dei direttori generali, ed avanzare
proposte su questioni di carattere tecnico-economico concernenti gli interventi per i beni.
Gli Istituti centrali e gli istituti con finalità particolari sono elencati all’articolo 15 del cit.
decreto:
a)l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione;
b) l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni
bibliografiche;
c) l'Opificio delle pietre dure;
d) l'Istituto centrale per la demoetnoantropologia;
e) l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, che
assorbe l'Istituto centrale per la patologia del libro ed il Centro fotoriproduzione, legatoria e
restauro degli archivi di Stato;
f) l'Istituto centrale per gli archivi;
g) l'Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi.
Accanto a questi istituti centrali, il regolamento ha voluto prevedere anche le Soprintendenze
speciali dotate di autonomia speciale e cioè:
a) la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
b) la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma;
c) la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico,artistico ed etnoantropologico e per il polo
museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare;
d) la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico,artistico ed etnoantropologico e per il polo
museale della città di Napoli;
e) la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il
polo museale della città di Roma;
f) la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo
museale della città di Firenze;
g) l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, che subentra all'Istituto centrale del
restauro;
h) la biblioteca nazionale centrale di Roma;
i) la biblioteca nazionale centrale di Firenze ;
l) il Centro per il libro e la lettura;
m) l'Archivio centrale dello Stato.
La riforma dell’amministrazione periferica ha disposto un arricchimento di funzioni che
sono
attribuite alle diciassette
direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici
che
coordinano l’attività delle strutture periferiche del Ministero (articolo 16) cioè le soprintendenze
per i beni archeologici; per i beni architettonici e paesaggistici, per i beni storici, artistici ed
etnoantropologici, le soprintendenze archivistiche; gli archivi di Stato, le biblioteche statali, i
musei presenti nel territorio regionale che invece di far riferimento alle direzioni generali centrali
oggi sono articolazione delle direzioni regionali. Viene attribuita alle direzioni la cura dei
rapporti del Ministero e delle stesse strutture periferiche con gli enti locali e le altre istituzioni
24
presenti nella regione. Inoltre hanno l’attribuzione in via diretta e non più per delega, delle
funzioni di verifica e di dichiarazione dell’interesse culturale, e la competenza circa l’attività di
istruttoria in campo alle specifiche soprintendenze di settore Tuttavia il comma 4 dell’articolo 17
che dispone “…i direttori regionali possono delegare alcuni compiti ivi elencati”. Viene
confermato il ruolo delle Direzioni regionali come stazione appaltante in relazione agli interventi
conservativi da effettuare su beni culturali presenti nel territorio di competenza e come soggetto
che dispone l’affidamento diretto o in concessione delle attività e dei servizi pubblici di
valorizzazione di beni culturali. Vanno inoltre considerate le attribuzioni delle soprintendenze per
i beni archeologici, architettonici e paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici, di carattere
istruttorio e consultivo in merito a provvedimenti che dovranno essere adottati dagli Uffici
superiori, periferici e centrali.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE è l’insieme degli atti risultanti dall'esercizio della funzione
ed il complesso degli organi e soggetti detentori del potere amministrativo. Col termine ente si
indica la persona giuridica pubblica o privata cioè un soggetto diverso dall’uomo come persona
fisica. Per accertare la natura pubblica di un ente occorre accertare il regime giuridico ed il
perseguimento di fini pubblici.. Nel diritto amministrativo la potestà è il potere esercitato da un
organo pubblico cui soggiace l’interesse del singolo talora con l’espropriazione talora con
l’imposizione di vincoli. Il potere pubblico può incidere favorevolmente nella sfera giuridica del
cittadino con provvedimenti ampliativi, come la concessione o l’autorizzazione. La tutela nei
confronti della pubblica amministrazione spetta al cittadino per riconoscimento di un suo
interesse legittimo, in quanto portatore di tale interesse, partecipa alle scelte discrezionali della
pubblica amministrazione che si concretizza nella possibilità di far valere un potere di reazione o
di intervento anticipato nei procedimenti. Gli interessi diffusi sono di natura pubblica , affermati
da gruppi spontanei di cittadini non dalle amministrazioni che ne trascurano la tutela. Dal
momento che queste vanno a perseguire tali interessi, essi assumono natura di interessi collettivi.
LA COMPETENZA - La competenza è il complesso di poteri e di funzioni che spettano ad un
organo come misura delle sue attribuzioni. Il suo esercizio è possibile anche con delega ad altri
organi incardinati nella stessa amministrazione e sul presupposto di un rapporto gerarchico. In tal
caso si verifica una scissione tra titolarità ed esercizio dei poteri. Anche le funzioni possono
essere trasferite ad altri enti in forza di una previsione di legge.
25
FUNZIONE AMMINISTRATIVA − L'amministrazione è espressione di uno dei poteri dello
Stato, il potere esecutivo. L’attività amministrativa si sostanzia nel potere di eseguire in concreto
quanto il potere legislativo ha voluto in via generale ed astratta. Il compito dell'amministrazione è
quello di trasformare il potere giuridico in atti al fine di creare o estinguere posizioni giuridiche
attraverso l'esercizio del potere d'imperio: questo esercizio si chiama FUNZIONE. La funzione
amministrativa e': 1. cura degli interessi pubblici in modo immediato; 2. attività concreta. Mentre
gli altri poteri (legislativo e giurisdizionale) agiscono in astratto essa opera direttamente;
3. è attività normalmente spontanea. Solitamente parte ad iniziativa degli stessi organi
amministrativi decidenti; 4. è attività normalmente discrezionale. Gli organi amministrativi hanno
la facoltà di scelta fra due o più comportamenti leciti.
26
5. IL BENE CULTURALE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO.
Il dovere dello Stato di difendere il suo patrimonio culturale gli deriva non solo dalla
normativa nazionale ma anche dalle convenzioni internazionali.
Tali testi legislativi obbligano alla loro osservanza solo gli Stati nazionali che hanno
contribuito a produrli nonché quelli che successivamente intendono sottostarvi. Alcune
convenzioni internazionali sono state ratificate dallo Stato italiano, ovvero, in altre parole, lo Stato
italiano ha deciso di sottostare alla loro applicazione recependole come se fossero testi normativi
prodotti autonomamente dall’Italia.
Il diritto internazionale per i beni culturali è caratterizzato sia da convenzioni
internazionali che si occupano di
tutela diretta dei beni culturali, sia da altri trattati che
indirettamente ne influenzano la disciplina;
tra questi vi rientrano gli accordi istitutivi di
organizzazioni internazionali come l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per
l’educazione, la scienza e la cultura), che ha svolto sia un ruolo di raccomandazione agli Stati che
di promotore delle convenzioni internazionali rivolte alla protezione dei beni culturali,
prevenzione e repressione del traffico illecito. In ambito europeo è il Consiglio d’Europa,
l’organizzazione tra Stati più impegnata a sostenere la cooperazione giuridica internazionale,
indirizzandoli a disciplinare la protezione dei beni culturali in maniera completa.
A livello internazionale l’atteggiamento verso le politiche e le regole di protezione si
manifesta con posizioni spesso distanti. Il confronto avviene tra i Paesi che vantano un
patrimonio culturale rilevante con esigenze di protezionismo commerciale e quelli che sono
prevalentemente acquirenti con un approccio più liberista e ostile alle azioni di restituzione.
Paradossalmente le potenze ex-coloniali sono poco inclini anche a riconoscere gli interessi degli
altri stati sui beni importanti per il loro patrimonio storico.
Con le campagne internazionali di salvaguardia si cerca di mobilitare la solidarietà
internazionale a favorire la conoscenza delle situazioni di pericolo in cui versano certi beni
culturali e trovare mezzi finanziari adeguati a porvi rimedio
***
La Convenzione UNESCO del 1970 (Convenzione internazionale di Parigi del 14
novembre 1970, ratificata con la Legge 30 ottobre 1975, n. 873) attiene alla proibizione e
prevenzione delle importazioni ed esportazioni illecite di beni culturali. In essa sono predisposte
27
le misure da prendere per vietare ed ostacolare ogni illecita importazione, esportazione e
trasferimento di proprietà di beni culturali.
Le categorie di beni culturali che contempla sono quelli inseriti in un elenco allegato alla
Convenzione e quindi considerati parte del patrimonio culturale di ciascuno Stato a prescindere
dalla designazione statale. I beni culturali sono i beni che “a titolo religioso o profano sono
designati come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura , l’arte o la
scienza”. Si tratta di fatto di beni prodotti dal genio individuale o collettivo dei cittadini dello
Stato interessato o da cittadini stranieri sullo Stato stesso; beni importati o trovati sul territorio
nazionale, beni acquisiti da missioni archeologiche, o scientifiche; beni oggetto di scambio.
Gli Stati firmatari riconoscono che il trasferimento dei beni culturali senza l’osservanza
dei dispositivi della convenzione è illecito. Il sistema di circolazione internazionale si basa
sull’emanazione di uno specifico certificato di esportazione. Il paese esportatore dovrà attuare
una catalogazione e scoraggiare il traffico illecito mentre quello importatore dovrà attivarsi per
impedire l’acquisto di beni illecitamente usciti da un altro Stato parte della convenzione e per
restituire il bene su richiesta dello Stato di origine. Tale convenzione però si è mostrata carente
nel sistema dei controlli e per la restituzione dei beni illegittimamente esportati. Il rialzo dei
prezzi delle opere d’arte come forma di investimento economico e la facilità di passaggio nelle
poche dogane residue, ha facilitato il saccheggio del patrimonio culturale di alcune nazioni. Gli
sforzi a livello internazionale per trovare un sistema di riduzione dei traffici illeciti ha visto come
parte attiva congiuntamente UNESCO ed UNIDROIT .
Il 24 giugno 1995 a Roma è stata firmata la Convenzione UNIDROIT per favorire la
restituzione dei beni illecitamente esportati o rubati, attivando delle procedure sia per il ritorno
che per la restituzione.
L’Italia vi ha dato esecuzione con la Legge 7 giugno 1999 n.233. La convenzione utilizza
le regole del diritto privato internazionale permettendo anche ai privati di inoltrare la domanda ai
tribunali del paese ove si trova il bene, senza che venga implicata l’azione dei governi in via
diplomatica.
È affidata alla discrezionalità del giudice competente, la pronuncia sul ritorno o la
restituzione del bene mobile, purché sia accertata l’importanza culturale significativa del bene per
il soggetto spossessato. Per l’azione di “restituzione”, ai beni rubati, la convenzione equipara
quelli illegittimamente scavati, cioè facenti parte di un monumento, di un sito archeologico o di
28
una collezione pubblica, quelli sacri o di una comunità tribale con importanza collettiva. Il sito
archeologico si può intendere anche subacqueo, oggetto di scavi sia clandestini che autorizzati.
Il termine di prescrizione per l’azione di restituzione sono di tre anni dalla conoscenza del
luogo o del possessore illegittimo, o di cinquanta anni dal momento del furto, in mancanza delle
predette informazioni. Il possessore che ha acquistato il bene potrà ricevere un equo indennizzo
provando la sua buona fede. Per l’azione di “ritorno”, è legittimato lo Stato ove si trova il bene
illecitamente esportato. Si trova in tale condizione anche un bene che è stato esportato, anche
temporaneamente, in modo lecito ma poi non riconsegnato debitamente. Il meccanismo del
“ritorno” non è automatico ma mette a carico dello Stato richiedente l’onere della prova che
l’esportazione del bene lede alcuni suoi specifici interessi o in alternativa, che il bene reclamato
abbia “un’importanza culturale significativa”. Tuttavia a favore del soggetto obbligato a
riconsegnare il bene sono previste opzioni da esercitare, di intesa con lo Stato richiedente, in
alternativa all’indennizzo. Nella fattispecie, in caso di buona fede, lo Stato (soprattutto se non è in
grado di indennizzare) non procede alla confisca ma il possessore può rimanere proprietario del
bene o trasferirlo a titolo oneroso o gratuito a condizione che risieda nello Stato richiedente e dia
garanzie per la protezione del bene.
La Convenzione UNESCO del 1972 (Convenzione di Parigi del 21 novembre 1972
recante «tutela del patrimonio culturale e naturale mondiale», ratificata con la Legge 6 aprile 1977 n. 184.) è
la convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale. Il patrimonio
culturale comprende “i siti, i complessi e i monumenti”, il patrimonio naturale invece, “i
monumenti naturali, le formazioni geologiche o fisiografiche che costituiscono l’habitat di specie
animali e vegetali minacciate, i siti naturali rigorosamente delineati aventi valore universale dal
punto di vista scientifico, della conservazione o della bellezza naturale”.
La protezione del patrimonio culturale e naturale si fonda sulla tecnica delle liste. E’ infatti
istituita una “lista del patrimonio mondiale” nella quale si prevede vengano iscritti i siti di
eccezionale valore universale sia per il patrimonio culturale che per quello naturale. Ad essa si
affianca una “lista del patrimonio mondiale in pericolo” che include i beni minacciati da pericoli
di istruzione e per i quali è richiesto l’intervento nazionale ed internazionale. Tale identificazione
è compito del Comitato del patrimonio mondiale.
In seno al Consiglio d’Europa si è conclusa la Convenzione europea per la protezione del
patrimonio archeologico del 1969 che ivi viene definito “ la vestigia, gli oggetti e qualsiasi altra
29
traccia di esistenza umana costituenti una testimonianza di epoche e civiltà di cui la principale o
una delle principali fonti di informazione scientifica è costituita da scoperte o scavi archeologici”.
Tal fine devono delimitare o proteggere le zone di interesse archeologico. Nel 1992 è stata rivista
integralmente in un nuovo testo definito convenzione di Malta.
Per ciò che concerne la protezione dei beni archeologici sommersi attivata dalle
convenzioni internazionali, si rinvia per la trattazione al capitolo 13, paragrafo V.
A livello internazionale a Parigi il 2 novembre 2001 è stata adottata la Convenzione
UNESCO sulla Protezione del Patrimonio culturale sommerso.
Ivi è sancito il diritto dello Stato costiero a disciplinare le attività che si svolgono in tali
zone, identificando gli standard di carattere tecnico ai quali gli Stati si devono conformare.
I beni subacquei sono considerati patrimonio culturale dell’umanità pertanto ciascuno
Stato è responsabile della conservazione e deve tutelare il proprio patrimonio subacqueo, definito
come “ ogni traccia di esistenza umana avente un carattere culturale, storico o archeologico che è
stato parzialmente o totalmente sotto l’acqua, periodicamente o ininterrottamente per almeno 100
anni. Ad ogni scoperta va informato sia lo stato di appartenenza del bene che quello della zona
di ritrovamento. Poiché si sancisce che è escluso lo sfruttamento commerciale di tali beni, dagli
Stati non potranno essere concesse autorizzazioni.
A disciplinare il diritto del mare e lo sfruttamento delle sue risorse c’è la Convenzione di
Montego Bay, sul diritto del mare delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1982. Essa definisce il
mare territoriale la fascia adiacente le coste di uno Stato, su cui si estende la sovranità che
quest’ultimo esercita sul proprio territorio. Lo Stato è sovrano anche sullo spazio aereo
sovrastante, sui fondi marini e sul sottosuolo del mare territoriale. Il limite esterno del mare
territoriale è di 12 miglia misurate a partire dalle linee di base. Fuori dalle acque territoriali vi è la
zona contigua di vigilanza di 24 miglia ove lo Stato può prevenire le violazioni delle proprie leggi.
Molti Stati rivendicano i diritti di sfruttamento di aree del fondale marino che appartengono alla
piattaforma continentale. I diritti ivi esercitabili sono equivalenti a quelli della zona economica
esclusiva, l’area cioè di 200 miglia a partire dalle linee base del mare territoriale che danno allo
Stato i poteri di sfruttamento delle risorse. Lo Stato costiero ha il diritto di esplorazione e
sfruttamento delle risorse che si trovano nel fondo del mare, nelle acque sovrastanti, e nel relativo
sottosuolo, salvo non pregiudicare la libertà di navigazione, sorvolo, posa di cavi e condotte degli
altri Stati. Gli spazi marini aldilà delle zone economiche costituiscono l’alto mare, in cui sono
30
esercitabili tutte le attività internazionalmente lecite. Le risorse del fondo marino in queste acque
sono riconosciute patrimonio comune dell’umanità, pertanto utilizzabili solo per fini pacifici e
sottomessi al regime internazionale. A presiedere allo sfruttamento delle risorse dei fondali
internazionali, garantendo che venga fatto nell’interesse dell’umanità, sta l’Autorità Internazionale
dei Fondi Marini. L’art..303 disciplina gli oggetti di natura archeologica e storica rinvenuti in
mare, senza però chiarire con precisione quando ritratta di archeologico piuttosto che storico.
Gli Stati aderenti hanno obblighi di protezione e di cooperazione mentre lo Stato costiero ha il
potere di controllare le attività di recupero nella zona contigua. Alle potestà dello Stato costiero
sono posti dei limiti a vantaggio dei diritti dei proprietari identificabili o dalle regole sul recupero
dei relitti. Non potrà cioè avocare a sé la proprietà dei beni recuperati ma solo imporre vincoli e
impedire che siano trasportati in un altro Stato. L’art. 149 stabilisce inoltre che gli oggetti storici o
archeologici nell’area internazionale vanno messi a disposizione a beneficio dell’umanità
considerando i diritti preferenziali dello Stato d’origine, che è piuttosto arduo individuare in base
al dispositivo delle norme. In realtà il ritrovatore deve solo porsi il problema di conservare o
cedere gli oggetti nell’interesse dell’umanità.
Il bisogno di porre regole per impedire il danneggiamento dei beni del patrimonio
culturale emerge con forza in caso di conflitti armati tra paesi. Tra le convenzioni che hanno ad
oggetto la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, va citata la convenzione dell’
Aja del 1954, con i relativi protocolli per vietare l’esportazione dei beni dal territorio di un Paese
occupato.
Senza entrare nei dettagli del testo va detto che tale convenzione si applica anche alla
Parte in guerra che non ha aderito. Il trattamento dei beni culturali durante i conflitti è regolato
che sia lo stesso sia in caso di conflitto interno che internazionale.
LO STATO NELL'ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
Una delle caratteristiche che contraddistingue lo Stato è quello della sovranità, intesa come
indipendenza rispetto ad influenze di altri Stati. Tale caratteristica è, ovviamente, comune a tutti
gli Stati per cui si pone il problema di stabilire quali sono le regole che disciplinano i rapporti tra
Stati sovrani. Il diritto internazionale è il complesso di norme e di principi che regolano i rapporti
intercorrenti tra i soggetti della Comunità internazionale.
31
Il diritto internazionale si fonda sul principio pacta sunt servanda, sull'impegno cioè di rispettare gli
accordi internazionali. L'organo competente a rappresentare lo Stato è il Presidente della
Repubblica. Lo stato acconsente che siano poste delle limitazioni alla sovranità onde assicurare la
pace e la giustizia tra le nazioni.
Secondo l’art. art 10 Costituzione l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute. L’adattamento automatico nasce per il solo fatto
che esista una norma internazionale. Tale adattamento automatico di applica anche alle
Convenzioni internazionali.
Le CONVENZIONI INTERNAZIONALI sono accordi fra due o più stati. Esse possono avere
forma scritta. Spesso perché entrino in vigore è previsto che un certo numero di Stati dopo aver
stipulato la Convenzione, debba adattarvi il proprio ordinamento interno attraverso norme di
ratifica. In Italia la ratifica è competenza del Capo dello Stato. L’ordine di esecuzione del trattato
inserisce le norme internazionali nel sistema interno dello Stato ma non è detto che le
disposizioni siano selfexecuting, cioè che i cittadini possano far valere situazioni soggettive;
occorrono allora disposizioni più dettagliate, di attuazione.
***
Nel sistema legislativo della Comunità europea non vi è una definizione di bene culturale.
Occorre pertanto far riferimento a quei beni che nel diritto italiano sono classificabili beni
culturali.
La disciplina comunitaria ha rilievo per i beni culturali sotto più profili.
Innanzitutto, devono essere ricordate le norme sulla circolazione dei beni nello spazio
comunitario. Al riguardo, la disciplina del mercato interno mira ad assicurare la libera circolazioni
delle merci tra i Paesi membri. L’art. 30 del Trattato CE pone una deroga alle norme sulla libera
circolazione delle merci, consentendo agli Stati di adottare misure restrittive del commercio in
base a «giustificati motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di sicurezza pubblica di tutela della salute
della vita della persone e degli animali o di preservazione dei vegetali di protezione del patrimoni artistico, storico o
archeologico nazionale o di tutela della proprietà industriale o commerciale».
Senza tale norma sarebbe legittimo esportare in un altro Paese comunitario un bene
culturale di grande significato nazionale o locale. In sede sopranazionale, del resto, il regime
speciale della circolazione dei beni culturali è ampiamente garantito: essi non ricadono nell’ambito
32
della Organizzazione mondiale del commercio -OMC (articolo XX, lett. f, General Agreement
On Tariffs And Trade)
La posizione della Comunità nei riguardi dei beni rientranti nel patrimonio culturale degli
Stati ha trovato riscontro in una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del
1968 nota come “oggetti d’arte”. Poiché lo Stato italiano poneva una tassa sull’esportazione di
oggetti aventi interesse artistico, storico, archeologico ed etnografico negli altri Stati membri,
sostenendo che si trattasse di una misura di protezione del patrimonio culturale, la Corte ha
negato che tale fosse la finalità della tassa e che invece fosse una chiara violazione delle
disposizioni del trattato.
Per effetto delle modifiche operate al trattato di Maastricht del 1992 che ha inserito al suo
interno, un apposito titolo dedicato alla Cultura, l’azione comunitaria ha acquisito il compito di
“integrare l’azione degli Stati membri nella conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale
di importanza europea” (art.151). Tuttavia
non è prevista la possibilità di armonizzare le
normative interne degli Stati in questo campo; gli interventi in campo culturale sono la
conseguenza dell’implicazione di natura culturale di altre materie.
Ciò non toglie che gli interventi delle istituzioni europee si siano evidenziati sia a livello di i
programmi d’azione nelle politiche culturali, nonché di recupero dei beni illecitamente esportati
all’interno e all’esterno dell’Unione europea.
L’articolo 151 Trattato C.E. permette un’azione incisiva in questo settore prevedendo
l’emanazione di un ampio ventaglio di interventi oggi unificati nell’ambito del programma
denominato “Cultura 2000”.
I due atti di seguito analizzati sono stati emanati come misure di accompagnamento al
completamento del mercato interno e sono complementari.
Con il regolamento CEE 3911/92 si prevede un controllo preventivo sull’uscita dei beni
culturali dal territorio comunitario, verificando che il bene sia accompagnato dalla licenza di
esportazione. Tale regime si applica a i beni inseriti nell’allegato. Va detto che l’autorizzazione
all’esportazione non è un obbligo per lo Stato, non è infatti pregiudicata la facoltà di definire le
categorie del proprio patrimonio nazionale. Il regolamento dispone che l’autorizzazione possa
essere negata “qualora i beni culturali siano contemplati da una legislazione che tutela il
patrimonio nazionale avente valore storico, archeologico, nello Stato membro di cui trattasi”.
33
Con la direttiva 93/7/CEE, la Comunità europea si è dotata di uno strumento per
consentire la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato.
Ciascuno Stato deve individuare delle autorità centrali che devono curare l’individuazione dei
beni già usciti dal territorio di provenienza, provvedere alla comunicazione di tale ritrovamento, e
alla cooperazione per la conservazione materiale del bene, infine che il bene sia sottratto alla
procedura di restituzione.
L’azione di restituzione della direttiva permette che ogni Stato membro possa proporre
contro il possessore, davanti al giudice competente dello Stato membro richiesto, l’azione di
restituzione del bene culturale uscito illegittimamente dal suo territorio. Tale azione si aggiunge a
quella dei privati. La prescrizione per tale azione è di un anno dalla conoscenza del fatto o trenta
dall’uscita del bene dal territorio dello Stato.
Il giudice investito della domanda di restituzione dovrà accertarsi che si tratta di un bene
culturale secondo la definizione della direttiva stessa: cioè qualificato come tale prima o dopo
l’uscita dal territorio di uno Stato membro, in applicazione della legislazione nazionale o delle
procedure amministrative nazionali ai sensi dell’art. 36 Trattato C.E.
Il giudice accorda un equo indennizzo al possessore in buona fede del bene che va
restituito. Sarà lo Stato membro richiedente a pagare l’indennizzo al momento della restituzione
del bene, salvo poi rivalersi sul responsabile dell’uscita illegittima del bene dal suo territorio.
***
LE FONTI COMUNITARIE: Il 25 marzo 1957 venne istituita la Comunità economica europea.
L'adesione dell'Italia alla Comunità europea ha comportato che nel nostro ordinamento abbia
operatività la normativa comunitaria:
1) TRATTATO C.E. è il testo legislativo fondamentale per la vita della Comunità stessa. In esso
sono previsti i principi che informano l’attività delle Istituzioni comunitarie, nonché le regole
organizzative della Comunità;
2) REGOLAMENTI sono provvedimenti normativi di portata generale prodotti su varie materie.
Nel momento in cui entrano in vigore, gli Stati membri sono obbligati ad osservarne il contenuto
senza bisogno di essere recepiti. Nella gerarchia delle fonti italiane i Regolamenti comunitari
operano con rango almeno legislativo e si impongono in via non mediata ai destinatari. Sono in
posizione superiore alle norme legislative interne;
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3) LE DIRETTIVE COMUNITARIE sono indirizzate agli stati aderenti ai quali spetta poi
recepirle all’interno dei propri ordinamenti scegliendo la via preferita (legislativa, regolamentare).
Le direttive creano solo un obbligo comunitario di adempimento per lo Stato;
Per il recepimento delle direttive comunitarie l’Italia predispone ogni anno la c.d. LEGGE
COMUNITARIA. Tale legge è preordinata al periodico adeguamento dell'ordinamento italiano a
quello comunitario. A tal fine il governo entro il 1° Marzo presenta alle camere il testo della legge
per la sua approvazione.
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6. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO E PRIVATO.
A. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO
Il patrimonio dello Stato è costituito da un complesso di beni, i beni pubblici che hanno
un regime giuridico diverso da quello appartenente ai soggetti privati. Ne tratta, in primo luogo, il
Codice Civile, nel libro III al capo II, titolo primo. Sono pubblici i beni per i quali la pubblica
amministrazione dispone di particolari poteri. Alcuni di questi beni servono alla soddisfazione di
bisogni sociali altri servono a produrre reddito.
La prima categoria comprende i beni demaniali (art. 822 del Codice Civile abbr. c.c.)3,
ed i beni patrimoniali indisponibili (art. 826 c.c.), la seconda comprende i beni patrimoniali
disponibili. I beni demaniali sono necessariamente immobili e inalienabili, quelli indisponibili
sono anche mobili e per essere alienati occorre seguire la procedura prevista dalla legge.
I. I beni demaniali
In riferimento all’oggetto del nostro studio, l’art. 822 c.c. considera anche i beni del
demanio artistico. Tra questi vi sono gli immobili di interesse storico, archeologico e artistico, le
raccolte dei musei, delle pinacoteche , degli archivi , delle biblioteche e altri beni nel regime del
demanio pubblico (i beni degli enti locali).
I beni demaniali sono inidonei al trasferimento di diritti in favore di terzi privati, non si
possono usucapire col possesso, prescrivere per mancato uso del bene, né espropriare.
Sono possibili classificazioni tenendo in considerazione le caratteristiche materiali,
pertanto, possono appartenere alla categoria del demanio naturale (il lido del mare, la spiaggia, i
fiumi…) o del demanio artificiale, del demanio necessario o del demanio accidentale (potrebbero
essere anche di proprietà privata, strade, archivi, acquedotti…).
Precedentemente Codice dei Beni culturali e del paesaggio al vigeva il principio che tali
beni fossero sottoposti implicitamente al vincolo per legge, ne è conseguita una pratica discutibile
che ha ammesso la tutela ad un’infinità di immobili di enti pubblici. Il Codice contraddice tale
pratica disponendo che i beni dello Stato siano culturali solo in base al riconoscimento di un
interesse.
3
Art. 822 Codice Civile: appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i
fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno
parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli
acquedotti riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono alla legge assoggettati al regime proprio del demanio
pubblico.
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Il Codice dei BB.CC mantiene una categoria di beni demaniali assolutamente inalienabili
indicata all’art. 54 (gli immobili e le aree di interesse archeologico, gli immobili riconosciuti
monumenti nazionali, le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, biblioteche e gli archivi) e al
comma 2 stabilisce l’inalienabilità provvisoriamente anche per i beni ancora non sottoposti alla
verifica di interesse culturale. Dopo tale verifica, la mancata sussistenza dell’interesse culturale di
un bene pubblico può comportare la sottrazione del bene alla tutela e persino la procedura di
sdemanializzazione del bene stesso.
II. I beni patrimoniali indisponibili e disponibili
L’articolo 826 del Codice Civile dispone che fanno parte del patrimonio indisponibile
dello Stato le foreste, le miniere, le cave e le torbiere, le cose di interesse storico archeologico,
paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque ritrovate nel sottosuolo, i beni in dotazione
della Presidenza della Repubblica, le caserme e gli armamenti, inoltre gli edifici ed i beni degli
uffici pubblici degli enti locali.
La particolarità di tali beni sta nella loro destinazione che non può essere modificata. Alla
categoria dei beni disponibili appartengono, invece tutti i beni di proprietà pubblica non
ricompresi dal Codice Civile o da altre leggi dello Stato. Un eventuale passaggio dei beni del
demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa e
pubblicato in Gazzetta Ufficiale (art. 829 c.c.)
III. Il regime dei beni pubblici nel nuovo Codice dei beni culturali
Le cose immobili e mobili, indicate all’art.10 comma 1 del Codice, appartenenti allo Stato,
alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a
persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione
risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte al procedimento di verifica dell’interesse culturale
previsto all’art. 12.
Questa verifica è attuata dal Ministero, come nel caso dei beni privati e viene condotta
avviando una documentazione con appositi elenchi e schede e secondo le procedure stabilite dal
Ministero. Va rimarcato che la procedura della verifica è stata introdotta perché occorreva ovviare
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alla prassi di emanare atti di dichiarazione che presumevano l’interesse culturale dei beni, ma in
assenza degli elenchi previsti dalle norme previgenti e mai costituiti.
Infatti, l’art. 5 del previgente T.U. del 1999, rifacendosi alla legge 1089 del 1939,
prevedeva l’onere per gli enti pubblici di presentare elenchi al Ministero nei quali inserire i beni ad
essi appartenenti che, presumibilmente, presentassero un interesse storico, artistico, archeologico,
ecc. La mancata compilazione di detti elenchi non impediva che lo Stato adottasse su tali cose il
regime vincolistico, perché sembrava operare una sorta di presunzione di “culturalità”. Si
ponevano però problemi ulteriori, in caso di trasformazione di enti pubblici in s.p.a., per i beni
culturali di loro spettanza.
Vige, infatti, una differenza di regolamentazione per cui, se le cose di interesse storico
artistico appartengono ai privati, sono soggette al vincolo nel caso in cui venga accertato il loro
“interesse particolarmente importante”; nel caso in cui appartengano agli enti pubblici territoriali
sono soggette al vincolo quando presentano un semplice interesse (storico artistico, archeologico
o etnografico). Ne discende che, nell’ipotesi non remota, in cui lo stesso bene passi da un ente
all’altro col cambio del regime giuridico-economico, da ente pubblico a privato, acquisti ipso facto,
quel tipo di “interesse particolarmente importante”.
La procedura per la verifica è fissata in un decreto dirigenziale del Ministero dei Beni e le
Attività Culturali e con le disposizioni previste per il ruolo dell’Agenzia del demanio, nell’invio dei
dati alle Soprintendenze. Al riguardo, il decreto del 6 febbraio 2004 prevede l’uso del modello
informatico disponibile sul sito del MIBAC e viene redatto dagli enti interessati, previ accordi con
le direzioni regionali del Ministero competenti.
L’allegato A del decreto ministeriale, dettaglia i dati inseriti negli elenchi quali, la
qualificazione dell’ente proprietario, la natura del bene, la denominazione, i dati catastali, la
destinazione d’uso ecc. Gli elenchi devono allegare la documentazione fotografica o planimetrica
o di altro tipo a prova della presenza degli elementi di pregio. Le direzioni regionali inoltreranno
poi, i dati sugli immobili alle soprintendenze di settore per l’adempimento della fase istruttoria
che va conclusa nel termine perentorio di 30 giorni. In realtà se non viene rispettato il termine
non discendono conseguenze giuridiche particolari né sanzioni. La verifica va conclusa con un
provvedimento motivato entro 60 giorni dal ricevimento della scheda.
L’art. 12 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio chiarisce gli effetti della verifica: in caso di
esito positivo l’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico,
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ecc…., costituisce dichiarazione ai sensi dell’articolo 13 (prevista per i beni privati ). Pertanto i
provvedimenti dell’accertamento e della dichiarazione vengono equiparati.
Le schede descrittive dei beni immobili dello Stato, oggetto di verifica con esito positivo
confluiranno in un archivio informatico accessibile al Ministero e all’Agenzia del demanio.
Nel caso in cui, l’esito della verifica sia negativo, la scheda con i dati verrà trasmessa per la
sdemanializzazione che però, può venire disposta con un provvedimento specifico, qualora non
ostino altre ragioni di pubblico interesse.
Le cose sottoponibili a verifica sono quelle indicate all’art. 10, comma 1, mentre quelle del
comma 2 (raccolte di musei, pinacoteche, gli archivi, le raccolte librarie e i singoli documenti,
gallerie e altri luoghi espositivi di ogni ente pubblico) non necessitano di tale verifica. Sono
sottoposti invece alla dichiarazione di interesse culturale le cose immobili e mobili, a chiunque
appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia
politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della
storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; inoltre le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti,
che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica,
numismatica o etnoantropologica, rivestono come complesso, un eccezionale interesse, (art.10 comma3).
A questo proposito, è opportuno segnalare che a distanza di due anni e mezzo dal suo ingresso il
c.d. silenzio-assenso è stato espunto dal procedimento di verifica di interesse culturale, grazie alla
nuova formulazione della disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 12 del Codice, che
fissa esclusivamente il termine finale del procedimento, senza collegare nessuna conseguenza al
mancato esito dello stesso.
B. IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PRIVATO
La dichiarazione dell’interesse particolarmente importante è l’atto con cui lo Stato
provvede ad affermare la tutela di un bene appartenente ai privati. La forma prevista è quella di
un atto amministrativo; ne consegue che vada realizzato in un procedimento con fasi che si
adeguano alle norme sui procedimenti amministrativi della legge 241/1990.
L’avvio del procedimento di dichiarazione è un atto del Soprintendente (art.14), disposto
su iniziativa d’ufficio o su richiesta degli enti territoriali, che ne dà comunicazione al proprietario
o al possessore o al detentore della cosa con una descrizione dettagliata del bene e comunicazione
di eventuali provvedimenti cautelari. Il giudizio di rilevanza del particolare interesse scaturisce da
39
una valutazione discrezionale di esistenza di quelle caratteristiche che permettono di definirlo
come un bene culturale; tale dichiarazione è, pertanto, sindacabile solo sotto il profilo della
congruità e della logica della motivazione.
La dichiarazione va ad incidere sulla situazione soggettiva del privato. Tuttavia, non si può
dire che crei l’interesse culturale, piuttosto, si limita a riconoscerlo.
Il momento iniziale da cui decorre il regime di tutela per il bene culturale è la
notificazione del provvedimento agli stessi soggetti cui era diretta la comunicazione di avvio del
procedimento.
La motivazione della dichiarazione deve precisare principalmente, sia il tipo di interesse
che giustifica il provvedimento, sia la descrizione dettagliata del bene mettendone in luce i pregi
culturali. La motivazione deve comunque, essere rigorosa: va definita senza dover comparare gli
interessi contrastanti di terzi con quelli della collettività, ma formulando la necessità di imporre il
vincolo. È pacifico, inoltre, che anche in corso di accertamento siano possibili modifiche alla
valutazione. I parametri della motivazione sono di difficile definizione pertanto, rinviano alla
preparazione culturale dei singoli funzionari.
La competenza è indicata dall’art. 14: la dichiarazione è adottata dal Ministero. Il Ministero, in
ogni caso è libero di attivarsi o meno, non è tenuto ad adottare provvedimenti, (anche se
sollecitato), ed è libero nella scelta dei mezzi. Nell’agosto del 2004 con decreti specifici le funzioni
inerenti a questa fase, sono state delegate ai Direttori regionali per i beni culturali e paesaggistici.
I destinatari del provvedimento sono sia i proprietari, sia chiunque abbia la disponibilità
materiale o giuridica del bene, affinché essi, non vadano a modificare la situazione, rischiando di
peggiorare le condizioni di tutela o le possibilità di intervento conservativo.
Nel caso in cui il procedimento riguardi complessi immobiliari, la comunicazione di avvio
va inviata anche al comune e alla città metropolitana.
L’art. 16 offre ai cittadini la possibilità di rilevare, sul piano tecnico, eventuali vizi
dell’atto. Il ricorso previsto per tale eventualità, va presentato al Ministero entro 30 gg dalla
notifica della dichiarazione. Una volta proposto, ci sarà la sospensione del provvedimento
impugnato e l’applicazione di disposizioni cautelari. In caso di decisone di accoglimento del
ricorso ne consegue un immediato annullamento dell’atto impugnato o una sua eventuale
riforma.
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La tutela dei beni è realizzata considerando le condizioni complessive di questi che, in
certi casi possono presentare anche mancanze significative. Uno stato di conservazione delle cose
storiche o artistiche, fatiscente o degradato non è di ostacolo all’apposizione del vincolo, anzi,
rileva per salvaguardare beni, di rilevante interresse, dalla definitiva scomparsa.
La modificazione del vincolo è sempre possibile: in via ipotetica, sarebbe possibile anche
eliminarlo, ma non risulta che sia accaduto.
Nulla vieta che il privato possa attivare il procedimento dell’art. 12, che prevede per i beni
degli enti pubblici o associazioni non lucrative, la verifica delle qualità culturali del bene.
Vigono regimi particolari di tutela per alcuni beni, fermi restando i principi generali, per
gli archivi, le raccolte librarie e la regolamentazione dell’accesso agli immobili di eccezionale
interesse di proprietà privata. In tal caso l’articolo di riferimento per le modalità di fruizione è
l’art.127 del Codice.
Un’altra categoria di beni del tutto particolare è rappresentata dalle cose che rivestono un
interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare,
dell’arte e della cultura in genere. Sono assoggettabili al vincolo “storico” se nelle stesse si può
riconoscere l’avvenimento storico o culturale del quale si conserva la memoria. In tal caso, è
sufficiente che lo stile esprima la relazione con la storia della politica e della cultura, non rileva
che sia di pregio artistico.
***
I beni delle persone giuridiche private senza fini di lucro sono soggetti a specifiche
disposizioni. in parte cioè il regime dei beni da essi posseduti è accomunato a quello degli enti
pubblici (vedi art.10 comma1 del Codice ).
Innanzitutto va chiarito che con tale definizione ci si riferisce in generale a enti o corpi
morali sia pubblici che privati, sia ecclesiastici che laici. Vi rientrano perciò, tutte le fondazioni o
associazioni che hanno già acquisito la personalità giuridica mediante un formale riconoscimento.
Tali enti hanno acquisito, per lasciti o donazioni, una grossa parte del patrimonio immobiliare, e
godono di agevolazioni fiscali e civili poiché perseguono finalità collettive.
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7. LA COLLEZIONE E I BENI MUSEALI.
I. La collezione
La definizione è disposta all’art. 10, comma 3, lettera e); le collezioni sono una raccolta
ordinata di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricompresse fra quelle indicate al
comma 2, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso
un eccezionale interesse artistico o storico. Anche i singoli beni possono essere singolarmente
sottoposti a vincolo ma risulta doveroso tutelare la collezione stessa per un autonomo interesse
storico-artistico se il complesso delle cose è unitariamente stabilito. L’importanza della collezione
è data dalla riunione specie se finalizzata di un congerie di oggetti. La legge non prevede
esclusioni, se si accerta che ci sono i requisiti culturali richiesti. Una definizione della Corte di
Giustizia Europea riporta: “trattasi di oggetti relativamente rari che sono oggetto di transazioni fuori del
mercato abituale di analoghi oggetti di uso comune e con valore più elevato”.
La differenza con il termine museo o pinacoteca sta nel fatto che generalmente
l’assemblaggio delle cose è tenuto assieme da un unico filo conduttore, e in genere non viene
esposta al pubblico, i musei invece possono contenere cose di vario genere e provenienza o più
collezioni.
L’art. 816, comma 2, del Codice Civile, prevede che le singole cose componenti le
universalità di mobili possono essere vendute liberamente. Non è il nostro caso in quanto non è
consentito lo smembramento di collezioni soggette a vincolo. Ciò è ribadito all’art. 21 comma 1
lettera c ) del Codice dei beni culturali, che obbliga alla preventiva autorizzazione del Ministro. In
caso di smembramento illegittimo, questi può impedire l’esportazione di quanto rimasto. Per
entrare nello specifico del regime giuridico, le collezioni di proprietà dello Stato o degli enti
pubblici territoriali sono parte del demanio; differentemente se sono di altri enti o persone
giuridiche private senza fine di lucro sono soggette al vincolo con apposito provvedimento. Ciò
discende dal comma 3 dell’art.10 lettera e) che concede al Ministro la facoltà di provvedere alla
dichiarazione dell’eccezionale interesse delle collezioni indipendentemente dalla proprietà.
Il vincolo incide sui diritti dei proprietari in quanto impone l’indivisibilità, il dovere di
acconsentire a visite, e infine, il divieto di vendita per probabile danno al pubblico godimento;
pertanto occorre una valutazione attenta del sacrificio imposto al privato.
42
II. I beni museali
I musei in quanto tali non vengono considerati dalla legge beni culturali a priori. Pertanto i
beni culturali oggetto di tutela, considerati singolarmente o quali universalità di mobili,
costituiscono i musei, senza tuttavia identificarsi con essi.
Le raccolte dei musei in quanto tali invece vengono considerate beni culturali solamente “ove si
tratti di raccolte di ogni ente ed istituto pubblico" (v. l'art. 10, comma 2, lett. a del Codice).
Le universalità di mobili costituite dalle raccolte dei musei privati ed ecclesiastici sono considerate
unitariamente beni culturali dalla legge solo se si tratta di "collezioni o serie di oggetti" le quali,
"per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, per rilevanza artistica, storica,
archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestono come complesso un eccezionale
interesse" (v. l'art. 10, comma 3, lett. e ).
I singoli pezzi di una raccolta museale privata possono essere qualificati "beni culturali”
anche singolarmente, nella misura in cui ciascun singolo pezzo, in sé considerato, presenti i
requisiti oggettivi stabiliti dalla legge per poter essere qualificato e individuato come "bene
culturale”. Tale individuazione avviene con la dichiarazione ministeriale dell'interesse artistico,
storico, archeologico o etnoantropologico non meramente "semplice" ma "particolarmente
importante" dei beni.
Le cose mobili parte di collezioni museali, a chiunque appartenenti, possono sempre essere
qualificate e individuate come beni culturali, mediante dichiarazione ministeriale, qualora
rivestano "un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia
politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose" ( l'art. 10, comma 3,
lett. d).
Per quanto attiene alle modalità di amministrazione, viene consentito ai direttori dei musei
pubblici che abbiano
"in amministrazione o in deposito raccolte o collezioni artistiche,
archeologiche, bibliografiche e scientifiche", di "ricevere in comodato da privati proprietari, beni
culturali mobili al fine di consentirne la fruizione da parte della collettività, “qualora si tratti di
beni di particolare importanza o che rappresentino significative integrazioni delle collezioni
pubbliche, previo assenso del competente organo ministeriale, e purché la loro custodia presso i
pubblici istituti non risulti particolarmente onerosa" (art. 44, comma 1). Tuttavia i direttori dei
musei sono tenuti ad adottare "ogni misura necessaria per la conservazione dei beni ricevuti; il
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comodante e i beni ricevuti in comodato, "sono protetti da idonea copertura assicurativa" a
carico dello stesso ministero (art. 44, comma 3).
L’ uscita dal territorio nazionale per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di alto
interesse culturale è sottoposta ad autorizzazione per un’ampia varietà di beni: "le fotografie,
con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze
di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque
realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni" (art. 11, comma 1, lett. f ), "i beni e
gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni"
(art. 11, comma 1, lett. h). E’ stata vietata in termini assoluti l'uscita definitiva dal territorio della
Repubblica di tutti i beni culturali mobili indicati dall'art.10 del Codice.
Le singole cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, agli altri enti pubblici e agli
enti privati non lucrativi "che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad
oltre cinquanta anni" sono cautelativamente dichiarate dalla legge in ogni caso inalienabili fino a
quando non sia stata effettuata la verifica in questione e altresì vietata l'uscita dal territorio
nazionale delle cose mobili predette, salva la possibilità di ottenere a determinate condizioni
l'autorizzazione alla loro uscita temporanea per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di
elevato interesse culturale.
Se l'esito della verifica risulta positivo, i beni rimarranno definitivamente assoggettati al regime di
tutela previsto per essi dal codice. Se invece l'esito risulta negativo, le singole cose diventeranno
pertanto liberamente alienabili. E questo varrà dunque per i pezzi delle raccolte museali che
appartengono agli enti privati non lucrativi e che non sono dichiarate nel loro complesso di
eccezionale interesse artistico o storico.
Il Codice ha esteso a tutti i tipi di beni culturali appartenenti agli enti privati senza fine di
lucro
il regime dell'autorizzazione ad alienare ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti (vedi il comma 1, lett. b), dell'art. 56); l'autorizzazione è richiesta anche nel caso di
“vendita, anche parziale, da parte di tali soggetti, di collezioni o serie di oggetti e di raccolte
librarie; di archivi o di singoli documenti " ( comma 2).
Relativamente ai beni degli enti pubblici, l’autorizzazione può essere rilasciata a
condizione che i beni medesimi non abbiano interesse per le raccolte pubbliche e dall’alienazione
non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomata la pubblica fruizione.
44
Relativamente ai beni di altri enti o soggetti privati l’autorizzazione può essere rilasciata a
condizione che dalla alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei
beni medesimi.
***
Le disposizioni sui musei sono contenute nel secondo titolo della seconda parte del
Codice, ossia nel titolo dedicato alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali.
Le finalità istitutive caratteristiche dei musei, del resto, coincidono con la fruizione collettiva e la
valorizzazione dei beni in essi conservati, anche se è evidente che gli stessi rappresentano al
contempo le strutture meglio attrezzate per la tutela dei beni culturali mobili.
La definizione di museo è fornita dall'art. 101, comma 2, lett. a del Codice, in base alla quale per
"museo" si deve intendere "una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina
ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio". Tale definizione è riferita dalla
legge tanto ai musei pubblici, quanto ai musei privati. Comparativamente va citata la definizione
statutaria di museo data dall'Icom (International Council of Museums), secondo la quale per museo si
deve intendere (traducendo dall'art. 2, par. 1, dello statuto dell'Icom) "un'istituzione permanente
senza fini di lucro, aperta al pubblico, al servizio della società e del suo sviluppo che compie
ricerche, acquisisce, conserva, comunica ed espone le testimonianze materiali dell'umanità e del
suo ambiente a fini di studio, educazione e diletto".
In ogni caso si tratta di una disposizione destinata ad essere specificata dalla legislazione
regionale, soprattutto con riferimento agli effetti giuridici provocati dalla qualificazione di una
struttura come "museo" in base alla definizione codificata.
Riguardo alle strutture private, segnatamente, il Codice lascia in proposito ampio spazio
alla potestà normativa delle regioni, limitandosi a sancire, quale unico effetto diretto di detta
qualificazione, che l'attività espletata da queste strutture ha in quanto tale la natura di "servizio
privato di utilità sociale" (v. l'art. 101, comma 4).
La disciplina giuridica è stata attratta nella sfera delle competenze legislative regionali, dato che
secondo l'art. 117 della Cost., lo Stato in materia di beni culturali ha legislazione esclusiva
solamente riguardo alla "tutela" (comma 2, lett. s), mentre riguardo alla "valorizzazione" spetta
alla legislazione statale soltanto la determinazione dei principi fondamentali (comma 3).
La legislazione regionale si occupa della fruizione e della valorizzazione dei beni presenti
negli istituti e nei luoghi pubblici della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato
45
abbia trasferito la disponibilità, ma pure della disciplina concernente la valorizzazione dei beni
culturali privati, a cominciare naturalmente da quelli conservati ed esposti nei musei. E' previsto,
inoltre, che le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano concorrere alla valorizzazione
delle collezioni private dichiarate di eccezionale interesse artistico e storico partecipando agli
accordi riguardanti le modalità della loro visita da parte del pubblico, (art. 113 comma 4, e dell'art.
104 del Codice). Va detto però, che gli accordi, concernenti gli interventi di valorizzazione dei
beni culturali pubblici stipulati su base regionale tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali possano riguardare, previo consenso dei soggetti interessati, anche beni di proprietà
privata.
La valorizzazione a iniziativa privata è qualificata come attività socialmente utile; perciò
si prevede il sostegno pubblico delle attività e delle strutture di valorizzazione dei beni culturali di
proprietà privata (tra cui le strutture museali) da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti
pubblici territoriali (v. l'art. 113, comma 1 del Codice).
Le misure di sostegno vanno adottate "tenendo conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si
riferiscono" (v. l'art. 113, comma 2) e dunque che le modalità della valorizzazione siano stabilite
"con accordo da stipularsi con il proprietario, possessore o detentore del bene in sede di
adozione della misura di sostegno" (v. l'art. 113, comma 3, nonché il seguente art. 114, relativo
agli standard qualitativi della valorizzazione).
In riferimento a questo profilo occorre tenere presente, che nel Codice possono essere
introdotte disposizioni dettagliate solamente con riferimento alla tutela dei beni, mentre con
riferimento alla valorizzazione dei beni privati e dei beni pubblici non appartenenti allo Stato, o
dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità, le norme del Codice possono valere soltanto
come disposizioni di principio.
46
Esercizi applicativi con domande di comprensione:
1) Quali sono le tappe storiche fondamentali nella costruzione del sistema normativo per i
beni culturali?
2) Perché le definizioni di patrimonio culturale e beni culturali non coincidono?
3) Con quale attributo un bene diventa bene culturale?
4) In quale categoria di beni culturali, secondo l’art.10 del Codice, rientra una pinacoteca
pubblica?
5) È bene culturale previa verifica di un interesse semplice:
o Un museo
o Un archivio privato
o Un reperto bellico dello Stato
o Uno spartito di un’associazione musicale
6) Quale modifica è stata apportata nel sistema dei beni pubblici secondo il nuovo Codice?
7) Chi attiva la procedura per la dichiarazione dell’interesse dei beni privati e chi la adotta?
8) Come sono tutelati i beni culturali dalla Convenzione UNESCO del 1970?
o
Con la lista del patrimonio mondiale
o
Con la richiesta di un certificato di esportazione
o
Con la verifica internazionale dell’interesse culturale
o
Con un elenco di beni che sono ritenuti inalienabili
9) Quali sono gli organi periferici del Ministero delle attività culturali?
10) Quali caratteristiche hanno i beni demaniali?
11) In quale categoria di beni culturali rientrano le collezioni?
47
8. PROTEZIONE E CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI.
Le norme a fondamento della tutela non sono poste a salvaguardia solo dell’aspetto
materiale del bene, ma anche a garanzia dei valori culturali che il bene veicola. Il problema
costante della materia in esame è quello della compatibilità della tutela con corretto uso e
godimento dei beni culturali.
Il D.lgs n. 112 del 1998 ha introdotto la distinzione tra tutela e gestione dei beni culturali.
Le regioni in base all’art. 117 della Costituzione hanno poteri concorrenti legislativi e
regolamentari, circa la valorizzazione dei beni, la promozione e l’organizzazione di attività
culturali. A favore dello Stato è però prevista una riserva per i beni di sua esclusiva proprietà. La
salvaguardia dell’integrità materiale delle cose di interesse culturale è affidata al Ministero o le
soprintendenze e alle regioni.
La tutela secondo l’articolo 3 del Codice, consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella
disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni
costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di
pubblica fruizione”. “L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti
volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale”. Le
funzioni amministrative sono esercitate dal Ministero, ma sono previste forme di cooperazione
con le regioni e gli enti locali.
***
Gli articoli 18 e 19 del Codice regolano la vigilanza e il potere di ispezione sui beni
culturali. Il generale compito di vigilanza è affidato al Ministero e ai sopraintendenti che, in ogni
momento, possono procedere ad ispezioni per accertare lo stato di conservazione e di custodia
dei beni culturali. in via esclusiva se le cose appartengono allo Stato, anche con forme di intesa se
appartengono agli enti locali. I soprintendenti hanno un potere di ispezione diretto ad accertare lo
stato di conservazione e custodia dei beni culturali, e non di meno accertarne l’esistenza per
avviare un procedimento di dichiarazione. La vigilanza non si pone in termini di controllo e
sovrapposizione al proprietario, ma come obbligo di manutenzione per evitarne il
deterioramento. Da ciò deriva il potere di annullamento di tutti gli eventuali comportamenti lesivi
o di opere in contrasto con l’interesse alla base del vincolo.
48
Il capo 3 del titolo 1 parte seconda del Codice tripartisce tale attività in misure di
protezione, misure di conservazione e altre forme di protezione.
I. Misure di protezione.
I.a. Divieti e autorizzazioni.
All’interno della categoria generale dei sistemi di protezione sono inserite le norme che
prevedono espliciti divieti. L’articolo 20 del Codice prevede un divieto di distruzione, di
danneggiamento e di destinazione o d’uso non compatibile col valore storico e artistico del bene
che possa metterne in pericolo la sua integrità.
Si ritiene che in assenza di una sanzione specifica, per la violazione dei divieti dell’art. 20,
vada richiamato l’articolo 733 del Codice Penale che prevede il reato di danneggiamento al
patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale. L’articolo si applica in tutti i casi di
condotte che arrecano danno a cose di rilevante pregio.
Nell’art. 21, sono individuati gli interventi sui beni culturali soggetti ad autorizzazione del
Ministero: “la demolizione dei beni culturali, anche con successiva ricostituzione; lo spostamento,
anche temporaneo, dei beni culturali; lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; lo scarto
dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati per i quali sia intervenuta la
dichiarazione nonché, lo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e delle
biblioteche private per le quali sia intervenuta la dichiarazione; delle raccolte librarie delle
biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente
e istituto pubblico; il trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di
documentazione di archivi pubblici”.
Il nullaosta della pubblica amministrazione viene concesso preventivamente nei limiti di
compatibilità delle opere con la conservazione dei valori storico-culturali del bene. Il mutamento
della destinazione d’uso del bene va comunicata al Soprintendente.
Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente
può dettare prescrizioni, ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle
tecniche di conservazione (comma 5 art.21). Nel caso di rilascio dell’autorizzazione per interventi
di edilizia pubblica e privata è previsto il termine di 120 giorni decorrenti dalla richiesta (art.22).
Decorso inutilmente il termine stabilito, il richiedente può diffidare l’amministrazione a
provvedere.
49
Gli interventi di manutenzione per tutelare la integrità della costruzione sono una
componente dell’esercizio del diritto di proprietà. Sarà illegittimo un diniego ad interventi di
siffatta natura se sono imposte al proprietario di concederlo per l’accesso al pubblico.
I.b. Misure cautelari.
L’art. 28 dispone la sospensione cautelativa dei lavori che risultano in corso su un bene
culturale, se non è stata disposta la preventiva autorizzazione o nel caso in cui sono intrapresi in
modo difforme da ciò che era stato autorizzato. Non è eseguibile senza l’autorizzazione della
soprintendenza alcuna variante ai lavori.
Al soprintendente è concesso anche disporre tale azione per interventi su cose non ancora
soggette a vincolo se viene al contempo avviata la procedura per la dichiarazione di interesse
particolarmente importante. Ovviamente chi ha la disponibilità del bene può opporsi al
riconoscimento.
Nel caso frequente di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, senza
l’avvio della verifica di interesse archeologico, il soprintendente può disporre dei saggi preventivi.
Va aggiunto che
in casi di assoluta urgenza possono essere fatti interventi provvisori
indispensabili per evitare danni al bene tutelato, purché
ne sia data comunicazione al
soprintendente, allegando i progetti per gli interventi definitivi.
II.a. Misure di conservazione
L’art. 29 definisce la conservazione nelle modalità con cui viene assicurata, cioè “una
coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro”.
Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare situazioni di rischio. In
quest’ambito rientrano anche gli interventi di espropriazione se corrispondono alla necessità di
intervenire per conservare e incrementare il patrimonio nazionale.
II.b. Il restauro
Per quanto riguarda il restauro, il 4 comma dell’art. 29 intende “l’intervento diretto sul
bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale e al recupero del
bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali”.
Per definire gli elementi tipici del restauro, occorre riferirsi anche all’indirizzo
metodologico operato nella Carta del restauro del 1972. Tale documento, che non ha forza di legge,
distingue tra interventi di salvaguardia e di restauro che sono specificatamente: “l’insieme degli
50
interventi volti a mantenere in efficienza, a facilitare la lettura e a trasmettere al futuro i beni che
ne sono oggetto”.
Gli altri interventi che non sono compresi in questa definizione, si differenziano per le
modalità di esecuzione o di attuazione.
Il Ministero, in collaborazione con altri enti, può definire criteri e modelli di intervento in
materia di conservazione dei beni culturali e istituire centri di ricerca, sperimentazione,
formazione professionale e attuazione degli interventi di particolare complessità.
Gli interventi di manutenzione e restauro vanno eseguiti, in via esclusiva, da coloro che
sono restauratori. La qualifica di restauratore di beni culturali e' acquisita infatti, esclusivamente
in applicazione dell’art.29 e l’insegnamento del restauro è impartito dalle scuole di alta
formazione e di studio, nonché dai centri accreditati presso lo Stato.
La formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari al restauro o
altre attività di conservazione è assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa
regionale. Con decreto del Ministro andranno individuate le modalità di accreditamento, i
requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dell’esame abilitante; il titolo accademico
rilasciato a seguito del superamento di detto esame, che e' equiparato al diploma di laurea
specialistica o magistrale. In attesa di tale decreto vigono le disposizioni transitorie dell’art. 182
che indicano i requisiti minimi per ottenere la qualifica di restauratore dei beni culturali ( vedi il
testo dell’articolo 182 riformato dal Dlgs 62/2008)
II.c. Obblighi conservativi imposti.
Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la
conservazione dei beni culturali di loro appartenenza. Questi soggetti e le persone giuridiche
private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, hanno
l’obbligo di conservare i propri archivi nella loro organicità e di ordinarli, di inventariare i propri
archivi storici, costituiti dai documenti relativi agli affari esauriti da oltre quaranta anni ed istituiti
in sezioni separate. I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a
garantirne la conservazione. Spetta al ministero la facoltà di adoperarsi per imporre l’obbligo di
tutela ai proprietari; le Sovrintendenze, in via eccezionale, possono adottare le misure
conservative necessarie nei casi di comprovata urgenza. Nei casi ad oggetto, esso redige una
relazione tecnica e la invia al possessore del bene, che ha così 30 giorni per far pervenire le sue
osservazioni. Il piano di lavoro può prevedere l’esecuzione diretta della soprintendenza o del
51
privato ma comunque approvato dalla prima. Nel caso di violazione dell’ordinanza che impone
di provvedere alle opere di conservazione e restauro dei beni, si può configurare il reato di cui
all’art.650 codice penale; resta da aggiungere però che, di fronte al provvedimento coercitivo è
possibile l’impugnativa al tribunale amministrativo.
III.a Il vincolo indiretto o di completamento
L’art.45 stabilisce che il “ Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le
altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne
sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.
Tale vincolo colpisce gli immobili che si trovano in relazione con i beni che rivestono un
rilevante interesse storico. Viene in rilievo, in questa particolare ipotesi, la collocazione spaziale
del bene che fa parte di una realtà fisica più ampia, che gli attribuisce un valore storico, artistico
e culturale. Ciò giustifica l’imposizione di prescrizioni che limitano il godimento di tali immobili.
Il vincolo ha una funzione complementare alla tutela dei beni artistici e storici, si concretizza in
prescrizioni che limitano il potere di godimento degli immobili circostanti, evitando che i
monumenti siano alterati nelle loro caratteristiche architettoniche, di prospettiva, luce e qualità
ambientale. In definitiva, di può affermare che abbia una funzione di completamento alla
fruizione e tutela del bene principale. Pertanto col vincolo indiretto vengono tutelati l’integrità
materiale, la visibilità complessiva e le condizioni di decoro. In questo senso, la giurisprudenza
ha precisato che la continuità dell’area non deve essere solo intesa in senso fisico, o stilistico ma
anche legata alla funzione storica (Consiglio di Stato 17 ottobre 2003).
Questo vincolo trova fondamento nella funzione sociale della proprietà dell’art.42 della
Costituzione
che ne giustifica la limitazione per interessi superiori di natura collettiva.
Naturalmente il potere di operare tale limitazione è attribuito alla pubblica amministrazione per
situazioni predeterminate per legge.
Il decreto di vincolo deve precisare gli obblighi cui sarà tenuto il proprietario del bene
colpito dal vincolo, talvolta con contenuto negativo di astensione, e le ragioni che inducono le
pubbliche amministrazioni ad adottare le misure interdittive.
III.b. Prestito per mostre ed esposizioni
Il Codice ha inserito una specifica disciplina per le mostre ed esposizioni nel capo III dedicato ad
altre forme di protezione dei beni. Per offrire un profilo di sintesi si deve citare l’art 48, ove è
sancito che : “il prestito riguarda i beni mobili, le collezioni e le serie di oggetti, le raccolte di
52
musei e gallerie, i beni librari e archivistici”. Il prestito è soggetto ad autorizzazione dal ministero
e rilasciato con provvedimento in cui vengono indicate le misure cautelative. Per la presentazione
della richiesta è previsto il termine minimo di quattro mesi per i soli beni sottoposti a tutela
statale.
53
9. LA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI IN AMBITO NAZIONALE
Nei capi IV e V del D.lgs 42/2004 è disciplinata la circolazione dei beni culturali in
ambito nazionale e internazionale intesa non solo come trasferimento fisico sulle distanze ma
come alienazione, quindi una circolazione giuridica.
I. I beni pubblici
Nel Codice Civile per i beni demaniali è prevista l’inalienabilità, intesa sia come
trasferimento del titolo di proprietà sia come trasferimento di diritti ai privati. Il Codice dei beni
culturali prevede invece delle deroghe per una parte di detti beni. L’art. 54 fissa le categorie per
cui tale possibilità viene esclusa4 ed il comma 2 estende il vincolo di inalienabilità anche ad altre
categorie di beni culturali che non fanno parte del demanio culturale5. Per tali categorie è fatta
salva la possibilità del trasferimento tra enti pubblici di vari livelli.
Tutto ciò che non è ricompresso in questa ampia elencazione può essere oggetto di
trasferimento. In particolare gli immobili possono essere alienati solo con l’autorizzazione del
Ministero a patto che venga assicurata la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei
beni. Il ministero dovrà indicare le destinazioni d’uso compatibili e vietare quelle che ritiene
dannose per la conservazione del bene. Ogni autorizzazione ad alienare comporta
automaticamente la sdemanializzazione del bene ma non l’attribuzione di bene culturale, come
precisa l’art.55. Se i beni del demanio culturale sono invece mobili possono essere alienati alle
stesse condizioni sopra citate ma senza imporre vincoli di destinazione. Lo stesso procedimento
vale anche per le alienazioni parziali. Tale sistema di controllo invece viene esonerato per le
alienazioni verso lo Stato, che si presume sia il principale garante della valorizzazione dei beni del
patrimonio culturale.
4
Art.54 : comma 1. Sono inalienabili i beni culturali demaniali di seguito indicati:
a) gli immobili e le aree di interesse archeologico;
b) gli immobili riconosciuti monumenti nazionali con atti aventi forza di legge;
c) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche; d) gli archivi. e) gli immobili dichiarati di interesse
particolarmente importante ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d); f) le cose mobili che siano opera di autore vivente
o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se incluse in raccolte appartenenti agli enti pubblici.
5 Comma 2. Sono altresì inalienabili: a) le cose immobili e mobili (appartenenti agli enti pubblici, ecc.) che siano opera di
autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica.
Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili…;
c) i singoli documenti appartenenti ali enti pubblici, nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici
diversi da quelli indicati al medesimo articolo 53.
54
II. Procedimento dell’autorizzazione ad alienare e Obbligo di denuncia del trasferimento
dei beni culturali.
La proposta di alienazione viene condotta dall’ente proprietario precisando la
destinazione del bene ed i programmi conservativi. Il controllo pubblico sull’autorizzazione ad
alienare risente di una certa gradualità, cioè decresce se i beni non sono demaniali ma
appartengono ad enti non lucrativi. L’alienazione non sottrae i beni dalle norme del Codice,
pertanto ulteriori interventi sul bene saranno oggetto di autorizzazione della Soprintendenza.
L’autorizzazione è necessaria anche in caso di permuta, cioè lo scambio di cosa contro
cosa. La condizione necessaria affinché possa avvenire è quella di far derivare un incremento al
patrimonio culturale nazionale.
Per i beni immobili appartenenti al demanio culturale va fatta richiesta di autorizzazione
ad alienare al Ministero corredatala una serie di dati 6
e viene
rilasciata su parere del
soprintendente, sentita la regione e, per suo tramite, gli altri enti pubblici territoriali interessati. Il
provvedimento, in particolare
detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di
conservazione, stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene,
si pronuncia sulla
congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione
indicati nella richiesta.
L’autorizzazione non può essere rilasciata qualora la destinazione d’uso proposta sia
suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o comunque
risulti non compatibile con il carattere storico e artistico del bene medesimo.
Il Ministero può indicare, nel provvedimento di diniego, destinazioni d’uso ritenute
compatibili con il carattere del bene e con le esigenze della sua conservazione o di concordare
con il soggetto interessato il contenuto del provvedimento richiesto, sulla base di una valutazione
comparativa fra le proposte avanzate con la richiesta di autorizzazione ed altre possibili modalità
di valorizzazione del bene. Il decreto del 2008 ha inserito una clausola risolutiva all’art. 55-bis
per la quale le succitate prescrizioni costituiscono obbligazione ai sensi dell’articolo 1456 del
6
Art. 55 … a) dalla indicazione della destinazione d’uso in atto;
b) dal programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene;
c) dall’indicazione degli obiettivi di valorizzazione che si intendono perseguire con l'alienazione del bene e delle
modalità e dei tempi previsti per il loro conseguimento;
d) dall’indicazione della destinazione d'uso prevista, anche in funzione degli obiettivi di valorizzazione da conseguire;
e) dalle modalità di fruizione pubblica del bene, anche in rapporto con la situazione conseguente alle precedenti
destinazioni d’uso.
55
codice civile e sono anche trascritte nei registri immobiliari. Nel caso di inadempimento, da parte
dell’acquirente il soprintendente avvia la risoluzione dell’atto di alienazione.
Altre alienazioni di beni culturali sono soggette ad autorizzazione da parte del Ministero,
tra cui quelli appartenenti a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti; l’autorizzazione è richiesta inoltre, nel caso di vendita anche
parziale, da enti pubblici di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie; , da parte di persone
giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di
archivi o di singoli documenti.
Nel primo caso di autorizzazione di beni appartenenti a enti pubblici territoriali, può
essere rilasciata a condizione che i beni medesimi non abbiano interesse per le raccolte pubbliche
e dall’alienazione non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomata la pubblica
fruizione mentre relativamente ai beni del secondo caso l’autorizzazione può essere rilasciata a
condizione che dalla alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei
beni medesimi.
La disciplina dettata ai commi precedenti si applica anche alle costituzioni di ipoteca e di
pegno ed ai negozi giuridici che possono comportare l’alienazione dei beni culturali ivi indicati.
Diversa la condizione per gli atti che comportano alienazione di beni culturali a favore dello
Stato, ivi comprese le cessioni in pagamento di obbligazioni tributarie, essi non sono soggetti ad
autorizzazione (art.57).
L’art. 57-bis del Dlgs 62 del 2008 ha precisato che le garanzie dei suddetti articoli valgono
anche per le procedure di trasferimento di immobili pubblici, attuate mediante l’alienazione
ovvero la concessione in uso o la locazione degli immobili medesimi.
All’art. 59 è prevista la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà e della
detenzione di beni culturali a chiunque appartenenti.
La detenzione è una situazione di fatto che corrisponde all’avere la disponibilità della
cosa pur riconoscendo che appartiene ad altri. Saranno soggetti quindi a denuncia i contratti di
deposito, i contratti di mandato con obbligo di custodia e conservazione. Una finalità della
denuncia è quella di garantire il diritto alla prelazione da parte dello Stato ( vedi prossimo
paragrafo).
Per tale obbligo, è però necessario che ci sia stata la verifica dell’interesse culturale del
bene. La denuncia va fatta entro 30 giorni decorrenti dall’atto di trasferimento al Soprintendente
56
del luogo ove si trovano i beni. Sono obbligati alla denuncia l’alienante o chi cede la detenzione o
l’acquirente o l’erede.
III. La prelazione
È un istituto giuridico che dà la possibilità, a chi viene riconosciuto tale diritto, di essere
preferito ad ogni altro acquirente, al medesimo prezzo, nell’atto dell’alienazione o al medesimo
valore attribuito nell'atto di conferimento.
Se oggetto della vendita è una raccolta di beni, il diritto di prelazione può essere
esercitato anche per una sola parte dei beni alienati, fatta salva la facoltà per il proprietario di
recedere dal contratto per poter evitare la prelazione. Non risulta possibile il caso in cui si vuol
far valere l’esercizio del diritto su una singola quota di bene unitario.
Con la prelazione il patrimonio dello Stato viene arricchito senza che venga impoverito il
proprietario, perché il prezzo d’acquisto è quello stabilito nell’atto di alienazione. Il diritto va
esercitato entro 60 giorni dalla denuncia dell’atto di alienazione. Il Ministero può rinunciare
all'esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all'ente locale
interessato. L’atto di
alienazione non regolarmente denunciato viene considerato non capace produrre gli effetti,
pertanto la prelazione può essere esercitata entro 180 giorni dalla ricezione di tutti i dati relativi a
completamento della denuncia.
La denuncia legittima l’esercizio della prelazione, non la vincola, se non nel prezzo e
nemmeno vincola il venditore che non può essere obbligato a vendere il bene se cambia idea nel
corso del procedimento. Non può essere esercitata se l’alienazione è fatta a titolo gratuito.
Il
soprintendente a cui è fatta la denuncia di un atto soggetto a prelazione ne deve dare
comunicazione alla regione e agli altri Enti locali perché anche questi possano esercitarla . Se il
ministero non intende esercitare la prelazione deve dichiararlo entro 40 giorni e l’ente locale si
deve attivare entro 60 giorni dalla denuncia. Al comma 4 dell’art.62 è prevista una norma per
agevolare questa procedura infatti se la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente
oppure risulti incompleta, il termini di esercizio della prelazione
si allungano (190 gg) e
decorrono dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque
acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa.
57
IV. La vendita al pubblico dei beni culturali
La normativa sul commercio prevista agli articoli 63 e 64 riguarda le cose di interesse culturale
indicate nelle tabelle allegate al Codice indipendentemente dalla verifica dell’interesse. Le norme
si applicano però se i beni raggiungono certe soglie minime di valore salvo che siano pezzi di
monumenti e reperti archeologici ai quali non si applicano tali soglie. I commercianti di antichità
devono essere iscritti in una sezione speciale del registro delle Camere di Commercio, avendo
fatto denuncia di attività e idoneità . La tenuta del registro delle cose alienate è obbligatoria, e
verrà sorvegliata dal soprintendente. Il mercante d’arte dovrà rilasciare una dichiarazione recante
le informazioni in suo possesso per l’autenticità e la provenienza dei beni. La violazione delle
norme è sanzionata, e nel caso specifico di chi commette esportazione illecita di opere d’arte o
chi autentica opere contraffatte o le accredita è disposto che venga punito con l’interdizione
all’attività.
Chi esercita il commercio di documenti di interesse storico
deve comunicare al
soprintendente l’elenco dei documenti, questi dovrà avviare il procedimento di verifica di
interesse particolarmente importante ai sensi dell’art.13 del Codice.
58
10. LA CIRCOLAZIONE IN AMBITO INTERNAZIONALE
La Comunità Europea si è mostrata sempre incline a mantenere piena libertà e autonoma
determinazione agli Stati membri in tema di politiche culturali, stabilendo pertanto una deroga
per i beni culturali al principio di libera circolazione delle merci.
In tema di cultura il Trattato di Amsterdam all’art.151 stabilisce che “la Comunità
Europea debba contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle
loro diversità nazionali e regionali”.
L’azione di intervento della Comunità si fonda sulla convinzione che la cooperazione
possa favorire i legami tra i popoli. L’azione di incoraggiamento e integrazione alle politiche
nazionali riguarda la diffusione della cultura, la salvaguardia del patrimonio culturale di
importanza europea e della creazione artistica letteraria con particolare attenzione al settore
audiovisivo.
Gli atti normativi di maggior rilievo sono i già citati, Regolamento CEE 3911/92 e la
Direttiva 93/7/CEE che la Legge n. 88 del 1998 ha recepito nel nostro ordinamento. Sono
misure di armonizzazione delle discipline degli Stati membri attuabili con la predisposizione di
sistemi giudiziari comunitari posti a tutela delle legislazioni nazionali. Il regolamento e la direttiva
hanno previsto l’armonizzazione dei controlli all’esportazione di beni culturali nei vari Stati
attraverso un certificato comune che va sotto il nome di licenza di esportazione. Secondo il
Regolamento all’art.2 : “esso va rilasciato da un’autorità competente dello Stato membro nel cui
territorio si trova lecitamente e definitivamente il bene culturale alla data del 1 gennaio 1993”.
Per combattere il commercio clandestino di beni culturali è stata predisposta la creazione di una
banca dati dei beni illecitamente sottratti e l’instaurazione di rapporti di stretta cooperazione tra
Ministri degli Stati .
Per assicurare il controllo sull’ingresso dei beni culturali da altri paesi è consentito, a chi
spedisce tali beni in Italia, di ottenere un certificato di avvenuta spedizione se questa avviene da
paese comunitario o piuttosto, un certificato di avvenuta importazione se la provenienza è extra
UE. Tali certificati hanno durata quinquennale e vengono rilasciati dando prova di legittimo
possesso con idonea documentazione.
L’esportazione di beni culturali dal territorio dell’UE è consentita attraverso il
procedimento per ottenere il rilascio della licenza di esportazione. La licenza può essere valida
fino a sei mesi.
59
Le norme previste dal Codice, e riformate nel 2008 sono dettagliate
nel capo V,
dall’art.64 bis all’art.87 bis. Innanzitutto, il capo risulta ora suddiviso in cinque sezioni, una in
più rispetto alle quattro precedenti (alcune delle quali rinominate). La sezione aggiunta e` la
prima, intitolata «Principi in materia di circolazione internazionale.
Nel nuovo art. 64-bis sono ribadite tre regole: 1) il controllo della circolazione e` finalizzato a
preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti; 2) il controllo sulla
circolazione internazionale dei beni culturali, viene effettuato nel rispetto della normativa
nazionale e comunitaria, ed è «funzione di preminente interesse nazionale; 3) i beni costituenti il
patrimonio culturale non sono assimilabili a merci.
I. Il divieto di esportazione
Il Codice mantiene il divieto assoluto di uscita definitiva dal territorio dello Stato per
alcune categorie di beni, tra cui quelli dell’art. 10 comma 1, 2 e 3.
Per i beni privati, in assenza di dichiarazione di interesse culturale, vale il divieto di uscita
definitiva, se risulta dannosa per il patrimonio culturale “in relazione alle caratteristiche oggettive,
alla provenienza o all’appartenenza dei beni medesimi” 7.
In tale contesto, viene in rilievo che a livello comunitario si è aperto un acceso dibattito
per la traduzione nei Paesi membri della regolamentazione europea sulla circolazione dei beni.
Questo problema è emerso poiché è stato fatto uso in maniera talora alternativa, sia del termine
patrimonio culturale, sia di tesori nazionali. Applicato al caso italiano, l’interpretazione estensiva del
Codice che amplia le categorie di beni soggetti a tutela (e quindi di quelli soggetti a limitazione
nella circolazione), non agevola l’atteggiamento di apertura richiesto in sede UE.
Per i beni non rientranti nel regime del divieto assoluto di esportazione, il Codice afferma
la possibilità di uscita solo previa autorizzazione. A tale regime sono soggette tutte le cose di
interesse culturale, a chiunque appartengano, che non siano opera di autore vivente o la cui
esecuzione non risalga ad oltre 50 anni, gli archivi e i singoli documenti di interesse culturale
appartenente ai privati (art.65). Il mancato rilascio dell’autorizzazione si fonda sull’esistenza delle
7
Art.65 comma 2. E’ vietata altresì l’uscita:
a) delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la
cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica prevista dall’articolo 12.
b) dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all’articolo 10, comma 3, e che il Ministero, sentito
il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall’uscita,
perché dannosa per il patrimonio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all’appartenenza dei beni
medesimi.
60
caratteristiche che giustificherebbero la dichiarazione. Sono liberamente esportabili le opere di
pittura, scultura, grafica e qualunque altro oggetto d’arte, di autore vivente e la cui esecuzione
risalga a meno di cinquant’anni.
Colui che intende far uscire i beni liberamente esportabili ha comunque l’onere di
comprovare al competente ufficiosi esportazione che i beni rientrano in tali categorie. L’uscita dei
beni culturali avvenuta in violazione delle norme in tema di circolazione internazionale integra il
reato di esportazione illecita8.
II. L’acquisto coattivo
L’ufficio di esportazione può proporre al Ministero anche l’acquisto del bene presentato,
trattenendo il bene in custodia fino a conclusione del procedimento. La facoltà di acquisto al
prezzo indicato dall’interessato avviene per l’esercizio di un atto imperativo da parte della
pubblica amministrazione. Se il ministero non acquista il bene, in subordine lo può fare la
regione. L’acquisto coattivo prescinde da un contratto di vendita perciò il privato può sottrarsi
all’azione della pubblica amministrazione rinunciando all’uscita all’estero.
III. L’uscita temporanea di beni culturali dal territorio dello Stato
In relazione ai beni per i quali è prescritto il divieto assoluto di uscita definitiva dal
territorio della Repubblica, il Ministero può autorizzare l’uscita temporanea del territorio dello
Stato. Questa possibilità è però limitata ai soli casi di partecipazione del bene a mostre,
esposizioni o manifestazioni d’arte di alto interesse o per accordi con istituzioni museali straniere,
sempre che ne siano garantite l’integrità e la sicurezza; è inoltre ammissibile se i beni devono
essere sottoposti a interventi di conservazione all’estero (art.66). Il codice però elenca all’art.67
altri casi di uscita temporanea cioè situazioni in cui ai beni soggetti al divieto possono accordarsi
deroghe9. In base ad una valutazione presuntiva non è ammissibile l’uscita se i beni possono
8
Art.65 comma 4. “Non è soggetta ad autorizzazione l’uscita delle cose di cui all’articolo 11, comma 1, lettera d). L’interessato ha
tuttavia l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all’estero sono opera di autore
vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto
ministeriale”.
9
Possono essere autorizzati all’uscita beni culturali che : a) costituiscano mobilio privato dei cittadini italiani che ricoprono,
presso sedi diplomatiche o consolari, istituzioni comunitarie o organizzazioni internazionali, cariche che comportano il
trasferimento all’estero degli interessati, per un periodo non superiore alla durata del loro mandato;
b) costituiscano l’arredamento delle sedi diplomatiche e consolari all’estero;
c) debbano essere sottoposti ad analisi, indagini o interventi di conservazione da eseguire necessariamente all’estero;
d) la loro uscita sia richiesta in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, in regime di reciprocità e per la
durata stabilita negli accordi medesimi, che non può essere comunque, superiore a quattro anni.
61
subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli nonché i beni
che costituiscono un’organica sezione di museo o galleria o collezione art.66 comma2).
Il procedimento per il rilascio dell’attestato di circolazione temporanea (art.68) ha avvio
con la presentazione di una denuncia all’ufficio di esportazione da parte di chi intende far uscire il
bene, indicando nella denuncia, il valore venale ed il responsabile della custodia all’estero.
Se nel procedimento, al contempo, viene valutato sussistente l’interesse che permette di
definire il bene come bene culturale, la comunicazione viene fatta valere come atto di avvio del
procedimento di dichiarazione e comporta l’applicazione delle misure cautelari. Il consenso è
sempre subordinato all’assicurazione sulle opere. Nel caso di uscita dal Paese, che sia richiesta per
partecipare a mostre promosse dal ministero dei Beni Culturali o da istituti italiani di cultura
all’estero, l’assicurazione sulle opere, può essere sostituita dall’assunzione dei rischi da parte
dello Stato. Per garantire il rientro nel territorio nazionale si può prevedere una cauzione o una
polizza fideiussoria a carico dell’interessato.
IV. L’uscita definitiva dei beni culturali dal territorio dello Stato.
L’uscita definitiva non ha obbligo di rimpatrio o limiti di tempo, pertanto, si consente in
relazione ai beni per i quali non esiste un divieto assoluto di esportazione. Solo una limitata
categoria di beni possono ottenere l’attestato di libera circolazione, cioè i beni indicati all’art.65
comma 3: le cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di
autore
non
più
vivente
e
la
cui
esecuzione
risalga
ad
oltre
cinquanta
anni;
gli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; le
fotografie,
gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive, le documentazioni di
manifestazioni, sonore o verbali, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni; i mezzi di
trasporto aventi più di settantacinque anni; i beni e gli strumenti di interesse per la storia della
scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni, a chiunque appartengano.
Diversi sono i casi in cui la richiesta di uscita definitiva ha come destinazione un paese
dell’Unione Europea o extracomunitario. Solo nel primo caso non sarà necessario richiedere
anche la licenza di esportazione. L’uscita definitiva dal territorio dello Stato è sottoposta al
preventivo rilascio di un attestato di libera circolazione, con le stesse modalità previste per il
rilascio dell’attestato di circolazione temporanea. Tuttavia per i beni sottoposti a vigilanza
regionale occorre un parere di questo ente, vincolante solo se negativo. L’attestato di libera
62
circolazione ha validità triennale e deve accompagnare la circolazione dell’oggetto. In assenza
dell’attestato l’acquirente all’estero può facilmente accorgersi della illiceità dell’esportazione. In
caso di diniego è consentito ricorso amministrativo al Ministero dei Beni Culturali entro trenta
giorni.
L’art.74 prevede che l’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione europea degli
oggetti indicati nell’Allegato A sia autorizzata con la licenza di esportazione prevista dall’articolo
2 del regolamento CEE rilasciata dall’ufficio di esportazione del Ministero contestualmente
all’attestato di libera circolazione, ed è valida per sei mesi; l’ufficio di esportazione può rilasciare, a
richiesta, anche licenza di esportazione temporanea.
V. La restituzione dei beni illecitamente usciti da uno Stato comunitario.
Per frenare il contrabbando dei beni culturali è stata creata una procedura giurisdizionale
proponibile innanzi al tribunale del luogo in cui si trova il bene illecitamente esportato che
recepisce la direttiva CEE: l’azione di restituzione dell’art.75. Ai fini della direttiva CEE, si
intendono per beni culturali quelli qualificati, anche dopo la loro uscita dal territorio di uno Stato
membro, come appartenenti al patrimonio culturale dello Stato medesimo, ai sensi delle norme
contenute nel Trattato della Comunità Europea.
La restituzione è ammessa per i beni di cui al comma 2 che rientrino in una delle categorie
indicate alla lettera A dell’Allegato A, al decreto legislativo ovvero per quelli che, pur non
rientrando in dette categorie, siano inventariati o catalogati come appartenenti a:
a) collezioni pubbliche museali, archivi e fondi di conservazione di biblioteche. Si intendono
pubbliche le collezioni di proprietà dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali e
di ogni altro ente ed istituto pubblico, nonché le collezioni finanziate in modo significativo dallo
Stato, dalle regioni o dagli altri enti pubblici territoriali;
b) istituzioni ecclesiastiche.
È illecita un’esportazione avvenuta dal territorio di uno Stato membro in violazione della
legislazione di detto Stato in materia di protezione del patrimonio culturale nazionale o del
regolamento CEE, ovvero determinata dal mancato rientro dei beni medesimi alla scadenza del
termine fissato nel provvedimento di autorizzazione alla spedizione temporanea o siano violate
le prescrizioni stabilite con il provvedimento di autorizzazione.
63
Per esercitare l’azione di restituzione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria del luogo in
cui il bene si trova, va data prova che il bene appartenga al proprio patrimonio culturale.
Va promossa nel termine perentorio di un anno a decorrere dal giorno in cui lo Stato
richiedente ha avuto conoscenza che il bene uscito illecitamente si trova in un determinato luogo
e ne ha identificato il possessore o detentore a qualsiasi titolo. L’azione di restituzione si prescrive
in ogni caso entro il termine di trenta anni dal giorno dell’uscita illecita dal territorio dello Stato
che fa la richiesta.
64
11. VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI.
Per valorizzazione, si intendono tutte le attività dirette a promuovere la conoscenza del
patrimonio culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione, la promozione e il
sostegno agli interventi. La Costituzione assegna tale compito alla competenza concorrente di
Stato e regioni (cfr. art. 117 Cost).
Gli impegni legati alla valorizzazione risultano dall’interazione tra soggetti istituzionali e
privati. La valorizzazione pubblica deve essere svolta secondo standard di qualità e pluralismo, le
iniziative private hanno finalità di solidarietà sociale tali da giustificare un regime giuridico
particolare anche sotto il profilo fiscale.
L’art.112 riformato dal Dl.156 del 2006 sancisce un principio di doverosità da parte degli
enti pubblici alla valorizzazione dei beni ad essi appartenenti. Il Ministero e gli altri enti pubblici
territoriali, anche con il concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle
attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica.
Il Codice utilizza il sistema degli accordi tra enti territoriali per definire gli obiettivi, i
tempi e le modalità di attuazione delle attività di valorizzazione. Gli accordi possono essere
destinati a elaborare piani strategici
di sviluppo culturale per l’integrazione dei processi
produttivi. Le amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali possono tuttavia, costituire appositi soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo
sviluppo dei piani.
Il novellato art.112 prevede anche la prassi degli accordi con altri soggetti giuridici
costituiti appositamente per la creazione di piani di sviluppo culturale, ai sensi del comma 5, o
con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che abbiano per statuto
finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali.
È riservata alla legislazione regionale la disciplina delle funzioni e le attività di
valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato.
Le strutture di coordinamento per la valorizzazione dell’iniziativa privata su beni privati possono
comunque beneficiare di finanziamenti pubblici ma le modalità della valorizzazione dovranno
essere concordate con l’ente pubblico territoriale finanziatore.
***
65
I. La gestione è parte della valorizzazione: è diretta ad assicurare non solo la fruizione
del patrimonio culturale ma ogni finalità propria della valorizzazione; spetta alle amministrazioni
pubbliche gestire le attività di valorizzazione.
Lo Stato ha comunque la potestà legislativa nel fissare i principi di massima anche per
beni di cui non ha la disponibilità. Anche il Dlgs. 267 del 2000, Testo Unico degli enti locali,
prevede una disciplina sulle forme di gestione delle attività culturali soprattutto se l’attività di
gestione ha una forte valenza economica .
La gestione può essere diretta o indiretta. La prima si realizza mediante strutture
organizzative interne all’amministrazione; la gestione è diretta anche in forma consortile pubblica.
La gestione indiretta e' attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione,
mediante procedure di evidenza pubblica. Ciò anche in forma congiunta o integrata dalle
amministrazioni pubbliche La scelta tra la gestione diretta e la concessione a terzi è operata sulla
base di un confronto di efficienza ed efficacia al fine di assicurare un miglior livello di
valorizzazione dei beni culturali.. Un’eventuale scelta del concessionario privato è fatta tramite
procedura ad evidenza pubblica.
All’affidamento esterno si ricorre seguendo le norme in tema di appalti di servizi. Nel
caso di concessione a terzi il rapporto è regolato da un contratto di servizio che specifica i livelli
qualitativi di erogazione e i poteri di controllo. Nel caso di affidamento diretto si può conferire in
uso il bene culturale al titolare dell’attività. Il decreto legislativo 112 del 1998 definisce la gestione
come: “l’attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la
fruizione dei beni culturali col fine di valorizzarli”.
Le amministrazioni regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione
mediante contratto di servizio, nel quale sono determinati, tra l'altro, i contenuti del progetto ed i
relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi nonché le professionalità degli addetti ed i servizi
essenziali che devono essere comunque garantiti. Il semplice inadempimento, da parte del
concessionario, degli obblighi derivanti dalla concessione determina la risoluzione del rapporto
concessorio.
66
II. La fruizione dei beni culturali
Le attività per garantire la fruizione sono classificate come «servizio pubblico» o «servizio
privato di utilità sociale» (in base alla natura giuridica dell’istituto della cultura) erano definiti
prima della recente modifica, servizi aggiuntivi.
Il Codice riserva un ruolo speciale ai luoghi e agli istituti di cultura come i musei, le
biblioteche, gli archivi, le aree e parchi archeologici che sono destinati alla fruizione collettiva ed
espletano un servizio pubblico. Se sono privati e aperti al pubblico il servizio reso viene
riconosciuto come servizio di utilità sociale. Di norma gli istituti di cultura possono essere
trasferiti agli enti locali salvo che ci sia un coordinamento della fruizione dei beni culturali. Con il
consenso dei proprietari le attività di valorizzazione possono essere date anche ai privati. Un
ruolo particolare è ricoperto dalle fondazioni bancarie che possono stipulare protocolli d’intesa
con gli enti pubblici territoriali per coordinare i loro interventi con gli enti locali.
L’accesso ai siti culturali può essere gratuito o a pagamento. La gratuità vige per l’accesso
a biblioteche e archivi pubblici dove ci sono finalità di studio e di ricerca. Nell’altro caso il
soggetto competente alla valorizzazione fissa i criteri per determinare i prezzi e le modalità di
emissione.
La gestione museale è evoluta in senso manageriale: la tassa, prevista dal Regio decreto n.
3197 del 1885 è stato sostituita con la legge 507 del 1997, dal biglietto di ingresso corrispettivo di
un servizio prestato. Le soprintendenze posso stipulare convenzioni coi privati per la gestione
delle biglietterie, i cui oneri sono inclusi nel prezzo del biglietto. Gli introiti, nel caso di istituti o
luoghi di cultura gestiti direttamente dallo Stato sono destinati alla sezione provinciale di tesoreria
dello Stato per interventi volti a garantire la conservazione del patrimonio culturale o esercitare il
diritto di prelazione.
L’art. 119 del Codice stabilisce che Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il
Ministero per l’istruzione, l’università e la ricerca, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali
interessati possono concludere accordi per diffondere la conoscenza e favorire la fruizione del
patrimonio culturale da parte degli studenti e possono stipulare con le scuole di ogni ordine e
grado apposite convenzioni per la elaborazione di percorsi didattici. I responsabili degli istituti e dei
luoghi della cultura possono stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni
ordine e grado, appartenenti al sistema nazionale di istruzione, nonché con ogni altro istituto di
formazione, per l’elaborazione e l’attuazione di progetti formativi e di aggiornamento, dei
67
connessi percorsi didattici e per la predisposizione di materiali e sussidi audiovisivi, destinati ai
docenti ed agli operatori didattici. All’art. 120 viene ridefinito che trattasi di sponsorizzazione di
beni culturali “ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l’attuazione
di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo
di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto
erogante. Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative del Ministero, delle regioni, degli
altri enti pubblici territoriali nonché di altri soggetti pubblici o di persone giuridiche private senza
fine di lucro, ovvero iniziative di soggetti privati su beni culturali di loro proprietà”.
***
All’interno della categoria dei beni privati l’art. 104 del Codice include tra i beni soggetti a
visita pubblica, i beni culturali immobili che presentano un interesse eccezionale e le collezioni
sottoposte a vincolo. Le modalità di visita vanno però concordate tra il proprietario e il
soprintendente. La garanzia del godimento pubblico va controbilanciata con i diritti del privato
proprietario al godimento individuale del bene e considerando il valore storico artistico
dell’immobile o di ciò che vi è all’interno. Un particolare tipo di beni culturali visitabili è quella
degli immobili restaurati con il concorso degli enti finanziari o degli enti pubblici.
III. Biblioteche e beni librari.
Le biblioteche pubbliche statali sono regolate dal D.P.R. 417 del 5/07/1992, possono essere
dotate di autonomia scientifica,finanziaria,organizzativa e contabile, pur tuttavia costituiscono
organi periferici del ministero. Per la gestione delle biblioteche è stato usato prevalentemente lo
strumento della convenzione previsto dal T.U. degli Enti Locali ma anche contratti di
sponsorizzazione, accordi di esercizio associato delle funzioni tra Enti Locali anche nel concorso
tra soggetti pubblici e privati. In questo campo l’amministrazione statale ha il potere di indirizzo e
vigilanza e quello sostitutivo in caso di inadempienza degli altri enti preposti. Sono trasferite alle
regioni le funzioni di tutela che abbiano ad oggetto beni librari e raccolte librarie non
appartenenti allo Stato e possono inoltre esercitare funzioni di tutela relativamente a raccolte
librarie private. Lo Stato però è competente in materia di controllo sulla produzione nazionale
delle pubblicazioni, di promozione del libro, di sviluppo dei sistemi bibliografici e bibliotecari.
All’interno del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, la direzione per i beni librari e gli
68
istituti culturali coordina quarantasette biblioteche pubbliche statali, gestisce l’istituto centrale per
la patologia del libro e l’istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane.
IV. Gli archivi
Gli archivi sono composti da documenti su supporto cartaceo o di altro materiale che
testimoniano eventi del passato e raccolti in maniera archivi di Stato: archivio centrale di Stato e
archivi di Stato. A ciò si sono aggiunti documenti giudiziari e amministrativi, liste di leva e atti
notarili. Tali raccolte se sono di proprietà della pubblica amministrazione costituiscono beni
demaniali.
Con la prima istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, gli archivi −
istituiti in ogni capoluogo di provincia − ne sono divenuti organi periferici.
Agli Enti pubblici è fatto obbligo di inventariare i propri archivi storici cioè costituiti da
documenti relativi ad affari esauriti da oltre quarant’anni. Tali archivi e i singoli documenti sono
inalienabili e sottoposti alla vigilanza delle soprintendenze. All’art.20 del Codice viene posta una
norma di tutela : “Gli archivi pubblici e gli archivi privati per i quali sia intervenuta la
dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 non possono essere smembrati”. Pertanto i proprietari di
archivi privati che vengono dichiarati di notevole interesse storico devono conservarli nella loro
organicità e non possono trasferirli o alienarli senza l’autorizzazione della soprintendenza.
L’accesso a tali beni e alle biblioteche per finalità di lettura, studio e ricerca è gratuito. Dal regime
di gratuità sono però esclusi i servizi di riproduzione
e quelli aggiuntivi. La competenza
legislativa e regolamentare delle biblioteche non statali è di competenza delle regioni. L’art. 122
del Codice afferma il principio della libera consultazione dei documenti degli archivi di Stato
salvo quelli relativi alla politica estera o interna dichiarati di carattere riservato con atto del
Ministero dell’Interno. Il Codice prevede la possibilità che i documenti riservati siano consultati
per scopi storici previo ottenimento dell’autorizzazione del Ministero dell’interno, ma non
possono essere diffusi. I privati proprietari di beni archivistici dichiarati e non depositati presso
archivi pubblici, hanno l’obbligo di ammettere la consultazione agli studiosi che abbiano
presentato motivata richiesta tramite la soprintendenza archivistica.
Per gli archivi correnti sono applicabili le norme in materia di accesso agli atti
amministrativi. Un profilo nuovo di studio è emerso con l’entrata in vigore della legge
31/12/1996 n. 675 in materia di tutela della privacy che ha introdotto limiti all’accesso ai dati
inerenti alla sfera personale. Tale legge definisce dati sensibili “i dati idonei a rivelare l’origine
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razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere”. Il trattamento dei dati
per finalità storiche, statistiche o scientifiche è riconosciuto compatibile col trattamento degli
stessi dati per altri fini ma va assoggettato al Codice di deontologia e di buona condotta previsto dalle
norme sulla privacy (art.126).
V. Mostre ed esposizioni.
Per tali attività vige la disciplina degli articoli 111 e ss. del Codice come attività di
valorizzazione dei beni culturali. È soggetto ad autorizzazione il prestito a mostre d esposizioni
sul territorio nazionale dei beni culturali pubblici e delle persone giuridiche private senza scopo di
lucro, delle cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etno-antropologico particolarmente importante e delle collezioni e serie di oggetti che nel
complesso rivestono un eccezionale interesse. Lo stesso vale per le raccolte di musei o gallerie di
enti pubblici, le biblioteche e gli archivi. La richiesta deve essere presentata al Ministero quattro
mesi prima della manifestazione. Le procedure per il rilascio dell’autorizzazione vanno
individuate con apposito regolamento. Una condizione necessaria all’autorizzazione è
l’assicurazione dei beni da parte del richiedente per il valore indicato nella domanda. Nel caso di
manifestazioni di enti pubblici l’assicurazione può essere sostituita dall’assunzione dei rischi a
carico dello Stato (art.48 comma 5). In base al regolamento di attuazione, DM 9 febbraio 2005, i
soggetti promotori che ne possono beneficiare sono gli istituti statali ed altri enti pubblici, purchè
vi sia comunque una partecipazione diretta del Ministero, tanto nella fase progettuale che
organizzativa. In merito alla concessione va tenuto conto del valore culturale dell’iniziativa e delle
condizioni di sicurezza per le opere. L’ampiezza della garanzia va intesa “da chiodo a chiodo” per
le mostre in Italia, mentre per le manifestazioni che si tengono all’estero i beni sono coperti solo
sul territorio nazionale con l’obbligo di un’assicurazione integrativa per gli spostamenti esteri.
La gestione dei prestiti è un aspetto chiave dell’organizzazione di mostre che ha molti
riflessi sul piano internazionale. Un gruppo di direttori di musei d’arte europei e nordamericani ha
approvato un documento per tentare di codificare la deontologia e le procedure che regolano i
prestiti, dando vita ad una sorta di autoregolamentazione. Il documento è stato approvato a
Londra nel 1995 col titolo Principi generali per la gestione dei prestiti e lo scambio delle opere d’arte tra
istituzioni culturali. Tra le varie raccomandazioni per avviare un processo di armonizzazione, quella
di valutare con cautela le richieste di prestito per mostre in spazi privi del carattere museale, o
70
senza elevate qualità artistiche o scientifiche, o di più, in contesti in possano essere esposte altre
opere esportate illegalmente.
In Italia è stata pubblicata alla fine del 2005 dalla Direzione per il patrimonio storico,
artistico e etnoantropologico, la Guida per l’organizzazione di mostre d’arte. Si tratta concretamente.
di
un manuale di buone pratiche, che non stabilisce nuove regole, pur tuttavia, agevola
nell’applicazione di quelle codificate e consente di programmare per tempo le fasi del lavoro.
71
12. L’ESPROPRIO.
L’espropriazione priva un soggetto di beni immobili di sua proprietà a causa di un
pubblico interesse contrastante, e previa corresponsione di una giusta indennità.
L’art.42 comma 3 della Costituzione stabilisce infatti, due principi: il principio della riserva
di legge che permette l’esercizio dell’espropriazione solo nei casi previsti dalla legge e il principio
di corresponsione di un indennizzo. La ragione giustificativa sta nel fatto che il perseguimento dei
fini pubblici permette di sacrificare gli interessi privati in contrasto con essi. La legge n.1089 del
1939 ammetteva l’espropriazione per i beni soggetti a regime di tutela storico-artistica nel caso vi
fosse un importante interesse in relazione alla conservazione o all’incremento del patrimonio
nazionale. L’art.95 del Codice 42/2004 stabilisce i presupposti per l’espropriazione ammettendola
anche per le cose mobili come oggetti artistici o librari.
Perché l’espropriazione del bene possa essere autorizzata occorrono condizioni relative ad
un importante interesse in relazione alla conservazione, valutando la proporzione tra utilità e
sacrificio imposto al privato.
Tale istituto non si pone come mezzo per incrementare il
patrimonio pubblico dei beni culturale ma come miglioramento delle condizioni di tutela ai fini
della fruizione pubblica dei beni stessi.
C’è una differenza procedurale a seconda che venga dichiarata a favore degli enti pubblici
o che vada a favore di persone giuridiche senza fini alla lucro, nel qual caso occorrono
particolari cautele relative alla qualità del nuovo proprietario.
Le norme di procedura fanno riferimento al Testo unico sulle espropriazioni approvato
con
D.P.R. n.327/2001, e modificato dal D.Lgs. n. 302/2002, D.Lgs. n. 330/2004 e L.
n.244/2007 che prevede all’art. 52 l'espropriazione di beni culturali: “Nei casi di espropriazione
per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti (omissis), si applicano in quanto
compatibili le disposizioni del presente testo unico”.
I. L’’espropriazione per fini strumentali
L’istituto è previsto all’art.96 solo per i beni immobili non consistenti in beni culturali per
“isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il
decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso”. Si impone l’applicazione di
questo articolo quando diviene necessaria una modificazione dello stato dei luoghi, sia per quanto
riguarda la destinazione, sia per l’utilizzazione. La finalità di miglioramento fanno riferimento
all’accrescimento del decoro del monumento e all’aumento di godimento da parte del pubblico,
72
con la piena disponibilità degli edifici e delle aree circostanti al monumento. Tale beneficio è
limitato ai soggetti titolari per legge del demanio artistico e storico con esclusione di altri soggetti.
II. L’espropriazione per interesse archeologico.
La finalità dell’espropriazione dell’art. 97 attiene all’esecuzione di interventi nel campo
archeologico o del ritrovamento dei beni. Questi interventi si prevedono, non limitatamente alla
ricerca archeologica, ma ad attività di sistemazione e salvaguardia dei materiali archeologici non
ancora portati alla luce. Solo il ministero può procedere all’espropriazione per interesse
archeologico, perché
diverrà proprietario delle cose ritrovate. L’espropriazione è necessaria
quando l’intervento che deve essere effettuato sull’area interessata richiede un lungo periodo con
effetti modificativi della stessa area.
***
La dichiarazione di pubblica utilità. Il procedimento di espropriazione ha inizio con la
dichiarazione di pubblica utilità dichiarata ai sensi dell’art. 98, con decreto ministeriale o con
provvedimento della regione comunicato al ministero. Per realizzarlo, in primis occorre
l’identificazione in concreto dell’interesse generale che giustifica l’espropriazione: tale atto è la
dichiarazione di pubblica utilità. Il diritto di proprietà del soggetto espropriato, per la necessità di
soddisfare un interesse della collettività, assume una nuova configurazione con un processo
definito affievolimento della posizione giuridica: non è più diritto di proprietà ma si traduce in un
interesse legittimo. Il diritto di proprietà viene salvaguardato solo dimostrando che il
provvedimento della Pubblica amministrazione non raggiunge l’interesse pubblico perseguito. La
dichiarazione di pubblica utilità deve contenere espressamente la motivazione che induce alla
scelta dell’espropriazione da parte della pubblica amministrazione e il termine entro il quale il
decretava emanato, pena la inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. Le procedure per
fissare l’indennità proseguono direttamente tra l’espropriante e l’espropriato. Il provvedimento di
approvazione del progetto dei lavori è equiparabile alla dichiarazione di pubblica utilità nei casi
tassativi dell’espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico .
***
73
L’indennità di espropriazione per i beni culturali, consiste nel giusto prezzo che il bene
avrebbe, in una libera contrattazione di compravendita, all’interno dello Stato. Il pagamento
dell’indennità è fissato secondo modalità generali stabilite in tema si espropriazione per pubblica
utilità . Sono rimaste invece, in vigore le norme della legge. 865, che determinano le indennità di
esproprio solo per i terreni agricoli. La legge n. 359 del 1992 ha introdotto un criterio di calcolo
per le aree edificabili più restrittivo del valore di mercato che in parte dipende dall’edificabilità o
meno dell’area.
III. Occupazione temporanea.
Questo istituto riguarda gli immobili in cui devono eseguirsi le ricerche archeologiche o le opere
per il ritrovamento dei beni culturali in genere. Prevede che i beni vengano lasciati ai legittimi
proprietari, mentre la pubblica amministrazione possa disporre dei beni stessi per poter svolgere
attività di interesse pubblico. Il Codice del 2004 non disciplina questo istituto ma è ripreso nel
rinvio alle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità. L’occupazione non ha limiti
temporali ma è previsto un indennizzo sia per i danni subiti che per il mancato uso dell’immobile.
IV. La retrocessione.
Il procedimento è previsto dal DPR 327 del 2001 (Testo Unico sull’espropriazione) come
modificato dai Dlgs 302 del 2001, Dlgs 330 del 2004 e L.244 del 2007 per i casi in cui, trascorsi
dieci anni dall’esecuzione del decreto di esproprio, l’opera non sia stata realizzata o cominciata, o
se ne verifichi l’impossibilita si esecuzione. In tale circostanza l’espropriato può chiedere che sia
accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità la restituzione del bene e il
pagamento di un’indennità. La retrocessione parziale dà modo al proprietario di ottenere la
restituzione della parte del bene che non sia stata utilizzata, quando sia stata realizzata l’opera
pubblica. Questo procedimento è da ritenersi inapplicabile alle espropriazioni per scopi di tutela
storico-artistica, non essendo questa ancorata ad un fine di modificazione del bene. Occorre
accertare quindi se l’attuazione di programmi specifici o la realizzazione di alcuni lavori siano il
motivo fondamentale dell’espropriazione.
74
13. RITROVAMENTI E SCOPERTE.
Il Capo VI del Titolo I della Parte Seconda del Codice si occupa di tutte le attività di
ritrovamento e scoperta dei beni culturali.
Precisamente, il Codice parla di ritrovamento e scoperta di “cose” e non espressamente di
“beni culturali”. Ciò si spiega con il fatto che prima dell’attività di verifica del reperto ritrovato o
scoperto, il bene non può ancora essere definito “culturale”. La “cosa” oggetto di ritrovamento
potrà essere qualificata come “bene culturale” solo al compimento di tutte quelle attività
procedimentali di verifica e dichiarazione di interesse culturale previste dagli articoli. 12 e ss. del
Codice.
Ritrovamenti e scoperte vengono realizzati a seguito dell’attività di ricerca archeologica (Si
veda, al riguardo l’art. 88 del Codice, secondo il quale “Le ricerche archeologiche e, in genere, le
opere per il ritrovamento delle cose indicate all’articolo 10, in qualunque parte del territorio
nazionale sono riservate al Ministero"). L’attività di ricerca archeologica può essere svolta sia
dallo Stato che dai privati ma le esplorazioni e gli scavi possono essere svolte solo dallo Stato o da
chi ne ha ottenuto la concessione.
Sintetizzando il regime delle acquisizioni nei sui tratti fondamentali, il sottosuolo
archeologico è di esclusiva spettanza dello Stato, le cose archeologiche scoperte sono di proprietà
dello Stato.
I. La concessione di ricerca archeologica.
Il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali può dare in concessione a soggetti pubblici o
privati l’esecuzione delle ricerche emettendo a suo favore un decreto di occupazione degli
immobili ove si eseguiranno i lavori. Le concessioni rilasciate dal Ministero per motivi
archeologici sono finalizzate al perseguimento di compiti istituzionali, e pertanto, l’interesse del
concessionario si concentra sulla ricerca e la verifica di studi specialistici. Per tali motivi, i
concessionari figurano come collaboratori del Ministero, ove questo non svolga direttamente le
attività. L’art. 89 indica però due ipotesi di revoca della concessione: al comma 2, una revoca
sanzionatoria, disposta per inosservanza delle prescrizioni imposte dalla concessione; al comma 3
è prevista l’altra, nei casi in cui il Ministero ritenga di doversi sostituire nella prosecuzione delle
opere per una nuova valutazione dell’interesse pubblico.
75
II. Occupazione per scopi archeologici.
Il Ministero può poi ordinare l’occupazione temporanea degli immobili ove devono
eseguirsi le ricerche o le opere suddette.
Si tratta di un’attività preliminare e finalizzata all’accertamento dell’esistenza di cose
d’interesse archeologico. Al proprietario dell’immobile occupato viene riconosciuta un’indennità
determinata secondo le modalità stabilite dalle disposizioni generali in materia di espropriazione
per pubblica utilità. L’immobile verrà restituito se e qualora non vengano rinvenuti elementi
archeologici che ne giustifichino un’espropriazione. Il Ministero ha un diritto generale di accesso
e ispezione degli immobili ma per eseguire lavori di ricerca occorre emanare un decreto di
occupazione anche a favore di concessionari privati delle attività di ricerca.
L’Indennità per l’occupazione, corrisponde ad un compenso in funzione della durata e del
peso dell’occupazione a favore del proprietario dell’immobile talora comprensivo di un
risarcimento per eventuali danni cagionati.
Se vengono rinvenuti reperti nel corso di interventi edilizi o movimenti terra, nasce un
conflitto tra il privato e il Ministero che si attiva per imporre il vincolo archeologico. Se
sussistono i presupposti di legge il vincolo è preceduto da un ordine di sospensione dei lavori. I
vincoli di natura archeologica gravano e prevalgono anche su interventi di ridefinizione
dell’assetto urbanistico del territorio.
III. Il possesso dei beni archeologici.
L’art. 91 disciplina le cose ritrovate: se immobili appartengono al demanio dello Stato, se
mobili al patrimonio indisponibile e quindi sono inalienabili, ai sensi del Codice Civile. L’art.91
del Codice BBCC, sancisce che ciò è indipendente da chi ritrovi cose d’interesse archeologico o
dal modo in cui di ritrovino, valendo fondamentalmente la circostanza che le cose siano ritrovate
nel sottosuolo o sui fondali marini.
Al riguardo va rilevato che la proprietà pubblica risulta strettamente connessa all’essenza
stessa del valore culturale della cosa, pertanto va sottoposta alla verifica di interesse culturale,
prevista all’art.12. Nel caso in cui i ritrovamenti siano avvenuti in superficie, il Codice esclude
l’applicabilità delle regole esposte (es. capitelli, urne cinerarie o lapidi). Pertanto si deve ritenere
che il Ministero si debba attivare con un’attività istruttoria condotta secondo le modalità previste
per le cose di proprietà privata.
76
Si configura il riconoscimento della proprietà legittima ai privati nei seguenti casi:
proprietà acquisita prima della L. 364-1909, acquisita all’estero o in Italia con titolo legittimo,
proprietà acquisita come premio per il ritrovamento. Tali beni possono essere liberamente alienati
ma lo Stato ha il diritto di prelazione.
IV. Scoperta fortuita.
L’art. 90 disciplina i casi i cui il ritrovamento di cose avviene in maniera del tutto
accidentale. La scoperta può distinguersi a seconda che sia frutto di intenzionalità o meno.
Il primo caso mette in luce una ricerca di tipo clandestino che non comporta le conseguenze
giuridiche favorevoli, discendenti invece, dalla scoperta fortuita.
Tra gli obblighi a cui è tenuto lo scopritore vi è quello della denuncia entro 24 ore all’Autorità di
Pubblica Sicurezza, al Sindaco o alla Soprintendenza e vanno informati, a cura del soprintendente
o del sindaco, anche i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale.
In caso di ritrovamento per scoperta fortuita, la legge riconosce un premio distintamente,
al proprietario dell’immobile, al concessionario e allo scopritore; tale premio è pari a un quarto
del valore del bene nell’ipotesi di coincidenza di tali posizioni in capo allo stesso soggetto, il
premio non sarà superiore alla metà del valore. Per controversie circa la determinazione del
valore, essa può essere rimessa ad un terzo o al tribunale del luogo del ritrovamento.
Al privato spetta senz’altro il diritto di ottenere il premio in denaro, ma in subordine il
premio può consistere in una parte dei beni ritrovati, purché tale scelta sia fatta dal Ministero.
La giurisprudenza ha sostenuto in varie situazioni sottoposte al giudizio, che uno
scopritore disonesto che omette di fare denuncia del ritrovamento perda il diritto al premio.
V. Archeologia subacquea.
La legge italiana non ha dato una disciplina organica alla materia pertanto s’intendono
applicabili le norme del Codice relativamente al mare territoriale e quelle del Codice della
Navigazione. L’art. 94 del Codice sottopone alle disposizioni della già citata Convenzione
UNESCO, gli oggetti archeologici e storici rinvenuti in fondali della zona di mare estesa 12 miglia
marine a partire dal limite esterno del mare territoriale (zona contigua).
Il nostro Codice della navigazione impone degli obblighi ben precisi in capo a chi trova e
recupera un oggetto abbandonato in acque territoriali o rigettato dal mare nel demanio marittimo
a pena di severe sanzioni pecuniarie, nonché di reclusione fino a tre anni, in quanto si configura il
77
reato di appropriazione indebita o addirittura di furto ai danni dello Stato se il relitto è stato
prelevato nel territorio demaniale. Il ritrovatore, pertanto, deve denunciare il ritrovamento nel più
breve tempo possibile e comunque entro tre giorni all'Autorità marittima più vicina, consegnando
il relitto recuperato. Coloro che intendono compiere studi o ricerche devono chiedere
autorizzazione al Ministero della Marina mercantile.
In materia di ritrovamenti di beni archeologici, se ad un relitto viene accertata la
sussistenza dell'interesse storico, artistico o etnoantropologico, verrà quindi, annoverato tra i beni
culturali ex art. 10 comma 1 del Codice, e lo stesso varrà per le navi e i galleggianti , in base
all’art. 10 comma 4, lett. i), (previa dichiarazione dell’ interesse ex art. 13).
Per la proprietà dei beni vale quanto già detto in base all'art. 91 :le cose elencate nell'art.
10, da chiunque ed in qualunque modo ritrovate sui fondali marini, appartengono allo Stato. In
base al decreto n.175 del 28 luglio 1989 è stato posto il coordinamento della vigilanza delle aree
marine di interesse archeologico e della ricerca sottomarina.
Un particolare profilo di studio emerge considerando il fatto che non si attuano azioni di
valorizzazione dei beni archeologici se le risorse del patrimonio stesso si conoscono in maniera
approssimativa. A tal fine la legge n. 264 dell’8 Novembre 2002 ha predisposto strumenti per
realizzare un censimento definito di tutti i siti archeologici sommersi nelle acque di competenza
della Repubblica Italiana. Ciò perché, per quanto possa sembrare strano, l’archeologia subacquea
non possiede una mappa dei propri siti. Le attività si strutturano in tre fasi. La prima fase ha
come oggetto la raccolta dei dati pregressi provenienti dai progetti già avviati. Lo strumento
organizzativo di questa fase è la composizione di una scheda di sito archeologico subacqueo.
La fase due parte dall’analisi delle schede dei siti sommersi per orientare la ricerca in acqua. La
fase tre avvierà l’interpretazione finale dei dati, integrando tutte le informazioni raccolte
all’interno di un database territoriale.
Per la costruzione di un sistema di moderna cartografia, il sistema predisposto dalla legge,
denominato progetto Archeomar, utilizza metodi di indagine interdisciplinari.
VI. Aree e parchi archeologici
La Convenzione Europea per la protezione del patrimonio archeologico, adottata a
Londra il 6 maggio 1969, impone a ogni Paese contraente di delimitare e proteggere i siti e i
luoghi di interesse archeologico e di costruire delle zone di riserva per la conservazione di
testimonianze materiali.
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La moderna archeologia tende oggi a tutelare il paesaggio o il complesso territoriale in cui
si inserisce la singola struttura archeologica per poter effettuare indagini che migliorano la
conoscenza di quello che viene portato alla luce. Il nostro Codice all’art.142, non distingue tra i
concetti di area e di parco ma se vogliamo attribuirgli una differenza operativa per parco si può
intendere un’estensione più vasta dove i materiali archeologici e il paesaggio si valorizzano
reciprocamente. L’individuazione di una zona di interesse archeologico ai sensi dell’art.142 non
riguarda quello previsto all’art.10 che è pertinente alle singole cose.
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Domande di comprensione:
1) Quali sono le misure di protezione previste dal Codice ?
2) Quali problemi restano irrisolti nella regolamentazione dell’attività di restauro?
3) Il vincolo indiretto interviene nella conservazione dei beni culturali :
o Attraverso sostegni economici
o Vincolando gli immobili che sono “in relazione col monumento”
o Imponendo limiti di fruibilità
o Limitando il commercio
4) Qual è la ragione della prelazione?
5) Da quale norme è prevista la licenza di esportazione?
6) Quali sono le condizioni per l’uscita temporanea dei beni dello Stato?
7) Come avviene l’azione di restituzione di beni illecitamente esportati?
8) Quali sono le principali forme di gestione dei beni culturali?
9) Quali sono gli obblighi della pubblica amministrazione per gli archivi?
10) Qual è l finalità dell’espropriazione per interesse archeologico?
11) Come si concretizzano i poteri e le spettanze dello Stato sui ritrovamenti archeologici ?
80
14. I BENI PAESAGGISTICI.
I. Evoluzione storica
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio – emanato con D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 ai
sensi della delega contenuta nell’art. 10 della legge 6 luglio 2002 n. 137 - riscrive le regole dei
beni culturali e del paesaggio a distanza di molti anni delle miliari leggi Bottai (1089 e 1497 del
1939) e dalla recente risistemazione avvenuta con il Testo Unico n. 490 del 29 ottobre 1999.
Infatti la tutela del paesaggio ha subito una profonda trasformazione dall’introduzione del
criterio di protezione della bellezza estetica del paesaggio operato fin dalla legge 29 giugno,
n.1497 del 1939. Da quella data è entrato in forza un sistema di protezione attraverso il rilascio
preventivo del nulla osta paesaggistico da un’autorità pubblica
a chi avesse intenzione di
effettuare interventi materiali su beni di pregio.
La volontà dell’epoca era quella di tutelare determinati beni non limitatamente al profilo
estetico ma considerando la capacità di tali beni di soddisfare interessi scientifici o sociali, e loro
fruibilità pubblica
Molto più tardi invece è stato esteso il vincolo a porzioni di territorio
individuati con la legge “Galasso” n.431 del 1985, che ha introdotto il vincolo paesaggistico e
imposto l’obbligo della redazione dei piani paesistici o urbanistico territoriali da parte delle
regioni. È tale legge ad avere introdotto il principio della tutela diffusa, vincolando una serie di
beni valutati nella loro globalità come elementi con importanti valenze culturali e naturali. Le due
leggi sono confluite interamente nel Testo Unico n. 490 del 1999 che trasforma il concetto di
vincolo da paesaggistico a paesaggistico-ambientale. Il nuovo Codice, il D.lgs 42 del 2004 ha
tracciato linee totalmente nuove sui vincoli paesaggistici sia per la gestione che per le sanzioni. Le
ultime modifiche al Codice, prima con il D.lgs del 24 marzo 2006 n. 157 per riunificate le
disposizioni in modo più organico, poi con il d.lgs. n. 63 del 2008 che ha innovato con
disposizioni direttamente incidenti sulla definizione di paesaggio.
II. Definizioni
La definizione di “paesaggio” che nel secolo scorso ha saputo attrarre la maggior
attenzione da parte dei giuristi è quella di Benedetto Croce secondo il quale “il paesaggio è la
rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue
montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari
del suolo”. Il paesaggio dunque “come espressione di identità nazionale”.
81
Le intervenute modificazioni socio-economiche e giuridiche, a distanza di 80 anni hanno
tolto forza a tale definizione e sollecitano a cogliere il senso delle definizioni del Codice che
distinguono “ambiente” da “paesaggio” definendo il primo come quella parte della realtà con cui
direttamente o indirettamente ognuno di noi è in relazione in termini biologici, fisici, naturali,
storici ed il secondo (“Paesaggio”), come forma del territorio espressione delle vicende storiche
dell’uomo e frutto dell’interrelazione tra il territorio e la comunità umana insediatasi10.
La nozione di ambiente come ecosistema rimane giuridicamente e concettualmente
distinta. Il nuovo Codice invece non cita mai l’ambiente recuperando l’attenzione al campo
estetico delle prime normative. Tale operazione trae le fila dall’art. 148, comma 1, lett. B) del
decreto legislativo 112 del 1998, di riforma della pubblica amministrazione, secondo il quale sono
beni ambientali (ora paesaggistici) “quelli individuati in base alla legge quale testimonianza
significativa dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali”.
Appare evidente, però, che sistematicamente il Codice si presenta come l’attuazione
dell’articolo 9 della Costituzione, immutato e vigente sin dal 1948. Pertanto questo articolo, si
ritiene che costituisca il cardine sul quale si è imperniata la costruzione dogmatica di tutto il
diritto ambientale. Le debolezze della norma sono evidenti, per la sua genericità: è solo di questi
anni, infatti, la convinzione dell’ineludibilità dello sviluppo sostenibile, della finitezza delle risorse
naturali e della protezione ambientale come sinonimo di tutela di nuovi individuali diritti
soggettivi. Alla materia del paesaggio, che ha percorso tutto il Novecento si riconducevano
unicamente segmenti di territorio esorbitanti sul piano estetico-monumentale, emergenti rispetto
al territorio «ordinario», la già citata Convenzione europea ha espressamente invitato a
considerare oggetto delle politiche paesaggistiche anche i paesaggi «della vita quotidiana» o
persino i paesaggi «degradati» Le recenti modifiche alla definizione dell’art.131 scaturiscono
dall’esigenza di garantire una maggior coerenza delle previsioni codicistiche rispetto alla
Convenzione europea del paesaggio 11 , e di garantire un ruolo effettivo allo Stato. Dietro
10 Vedi precedente art.131.
Ai fini del presente Codice per paesaggio si intendono parti di territorio i cui caratteri distintivi
derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. 2. La tutela e la valorizzazione del paesaggio
salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili.
11
Approvata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con L. 9 gennaio 2006, n. 14. viene citata anche al comma 2
dell’articolo 132 dove si prevede che la ripartizione delle competenze in materia di paesaggio è stabilita in conformità ai
principi costituzionali, anche con riguardo all’applicazione della Convenzione Europea sul paesaggio,adottata a Firenze il 20
ottobre 2000, e delle relative norme di ratifica ed esecuzione.
82
quest’ultimo orientamento riecheggiano recenti affermazioni della Corte costituzionale, secondo
cui il paesaggio costituisce un bene «primario ed assoluto» (Corte cost. n. 367/2007) che necessita
di un approccio necessariamente «unitario e globale» (Corte cost. n. 182/2006).
Per paesaggio, secondo l’art.131, si intende “il territorio espressivo di identità, il cui
carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Il Codice tutela il
paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e
visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali.
Da questa definizione si nota l’abbandono del richiamo enfatico alla «storia umana» a favore della
considerazione della natura e dell’uomo quali soggetti in correlazione dinamica, a cui si devono
caratteri originari, segni e manipolazioni del territorio.
Il richiamo al territorio ed all’identità è un attributo sociale, riscontrabile ovunque una comunità
sia insediata e l’abbandono di ogni richiamo alla storicizzazione delle tracce antropiche. Dunque,
il primo comma richiama la nozione più ampia di paesaggio come morfologia del territorio, e al
contempo il secondo lo definisce come entità tipizzata, da riferirsi ai beni elencati dall’art. 136 .
La tutela del paesaggio, ai fini del presente Codice, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove
necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime. I soggetti indicati al comma 6, qualora
intervengano sul paesaggio, assicurano la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari.
L’intervento dello Stato e dunque il ricorso agli strumenti codicistici di tutela sono stati riservati
soltanto ai beni espressivi di valore culturale. Quale elemento distintivo differenziante, la
valenza estetico-formale di alcuni particolari beni e territori. La soglia che segna il passaggio
dalla sfera della tutela statale alla dimensione locale del paesaggio si colloca all’ esito di un
procedimento di riconoscimento valoriale che terrà conto soltanto del valore culturale. Nella
Convenzione europea , viene inteso come «contesto territoriale, che si caratterizza variamente in
ragione della percezione che di esso, e delle sue diverse specificità, hanno le popolazioni che vi
abitano ...».
III. Poteri legislativi
Il Codice si struttura tenendo in considerazione le disposizioni costituzionali di attribuzione
delle competenze ripartite tra Stato e regioni, in questa materia. La divisione nasce con la riforma
Bassanini (nella Legge 59/97 e nel D.lgs. 112/98) - che delinea, tra l’altro, la suddivisione delle
funzioni in materia di beni culturali e ambientali – ed è stata poi “costituzionalizzata” con la
Legge n. 3 del 2001, di modifica del capo V della Costituzione. Quest’ultima, riscrivendo tra gli
83
altri l’art. 117 Cost., riserva la tutela “dell’ambiente” (comma due, lett. S) alla potestà legislativa
dello Stato e la valorizzazione “dei beni culturali e ambientali” alla potestà legislativa concorrente.
Riconoscendo che la valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della
cultura, le amministrazioni pubbliche promuovono e sostengono, apposite attività di conoscenza,
informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio nonché, la realizzazione di
nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati, informando la loro attività ai principi di uso
consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di
nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti.
La funzione di tutela consiste nel riconoscere, conservare e proteggere, laddove il primo
compito è chiaramente propedeutico agli altri due, che costituiscono due distinti momenti della
tutela, l’uno consistente nel preservare il bene dall’usura del tempo, per renderlo idoneo alla
fruizione delle generazioni successive, l’altro consistente in una attività di difesa delle aggressioni
provenienti dall’esterno, essenzialmente per opera dell’uomo.
Viceversa, la funzione di valorizzazione consiste in una attività di miglioramento delle condizioni
di conoscenza e di conservazione dei beni. Alla luce di ciò, risulta che l’elemento ambiguo, che
rende meno chiara la distinzione delle funzioni di tutela e di valorizzazione, è costituito
dall’attività di “conservazione”, presente in entrambe le definizioni..
Il Codice all’art.133, ha previsto che “ Il Ministero e le regioni definiscono d’intesa le
politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio (…) cooperano, altresì, per la
definizione di indirizzi e criteri riguardanti l’attività di pianificazione territoriale, nonché la
gestione dei conseguenti interventi, al
fine di assicurare la conservazione, il recupero e la
valorizzazione degli aspetti e caratteri del paesaggio (…) i detti indirizzi e criteri considerano
anche finalità di sviluppo territoriale sostenibile. Ne risulta che nell’ambito delle numerose
riforme che hanno riguardato, la pubblica amministrazione, il cosiddetto Codice Urbani ha
saputo introdurre, anch’esso, alcuni principi del sistema amministrativo: il “principio di
coordinamento” e “di pianificazione condivisa”.
IV. Individuazione dei beni e delle aree e dichiarazione di notevole interesse pubblico
L’impostazione generale della materia delle aree e dei beni soggetti a vincolo viene
ripartita nell’articolo 134 che a un carattere classificatorio poiché specifica che sono beni
paesaggistici i beni indicati all’art. 136 , 138 ,141 e 142 e gli immobili sottoposti a tutela dei piani
84
paesaggistici. I beni paesaggistici sono elencati quindi, all’art. 134, anche se l’art. 2 lascia aperta la
porta alla possibilità che ne vengano identificati di nuovi. A norma del Codice sono sottoposti a
vincolo paesaggistico i beni indicati in via generale dalla legge (art. 142) o imposti con
provvedimento amministrativo (art. 136 e ss) ovvero, infine, gli ulteriori immobili ed aree
individuati attraverso le prescrizioni dei piani paesaggistici in via di emanazione (art.134).
La categoria con più rilevanti fattori di novità è quella introdotta dagli artt. 136 e ss.
laddove si attribuisce il notevole interesse pubblico ad un insieme di beni ivi indicati:
lettera a) “le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità
geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali; lettera b) le ville, i giardini e i
parchi, che si distinguono per la loro non comune bellezza; lettera c) i complessi di cose immobili
che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i
nuclei storici; lettera d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere,
accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”.
Tutti i beni appartenenti alle categorie elencate possono essere assoggettati alle misure di
tutela predisposte dal Codice solo qualora vengano specificatamente individuati attraverso una
dichiarazione di notevole interesse pubblico, a conclusione di un procedimento accertativi
condotto sulla base di un criterio estetico ( il concetto di bello di natura). Le tipologie di beni
individuate dall’art.136 si possono distinguere in “bellezze individue” e “bellezze di insieme”. Le
procedure per imporre questi vincoli sono indicate agli articoli 137- 141. La pubblica
amministrazione ha il compito di garantire che sia rivelata all’esterno la qualità del bene in modo
da conformarne l’uso alle qualità intrinseche12.
Ciascuna regione istituisce una o più commissioni con il compito di formulare proposte
per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili (art.137). Questo organismo
acquisisce le necessarie informazioni attraverso le soprintendenze e gli uffici regionali e
provinciali, procede alla consultazione dei comuni interessati e di esperti, valuta la sussistenza
del notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree. Il potere di iniziativa del
procedimento è riconosciuto al direttore regionale, alla regione agli altri enti pubblici interessati.
Le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico contengono una specifica
disciplina di tutela, nonché l'eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili e
delle aree cui si riferiscono, tutto ciò andrà a costituire parte integrante del piano paesaggistico da
12
Sentenza Corte Costituzionale 9 marzo 1967 n.20
85
approvare o modificare. La proposta e' motivata con riferimento alle caratteristiche storiche,
culturali, naturali, morfologiche ed estetiche degli immobili o delle aree che abbiano significato e
valore identitario del territorio in cui ricadono o che siano percepite come tali dalle popolazioni.
Qualora la commissione non deliberi entro il termine di sessanta giorni dall’iniziativa, un
altro organo periferico del Ministero o regionale possono attivare una procedura di sostituzione.
Ulteriormente in questo senso si aggiunge l’art.141 che attribuisce al Ministero una duplice
possibilità di intervento nell’individuazione e nella gestione dei beni ambientali qualora si verifica
un’inerzia della commissione nel compimento della fase istruttoria o della regione nella fase di
emanazione del provvedimento. In tal caso il competente organo ministeriale periferico comunica
alla regione ed al Ministero l'avvio della procedura di sostituzione.
La proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di immobili ed aree, è
pubblicata per 90 giorni all'albo pretorio e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici
dei comuni interessati (art.139). Entro i trenta giorni successivi al periodo di pubblicazione di cui
al comma 1, i comuni, le città metropolitane, le province, le associazioni portatrici di interessi
diffusi possono presentare osservazioni e documenti alla regione, che ha altresì facoltà di indire
un'inchiesta pubblica. I proprietari, possessori o detentori del bene possono presentare
osservazioni e documenti entro i trenta giorni successivi alla comunicazione. Anche
contestualmente agli adempimenti di cui sopra, la regione comunicherà senza indugio notizia
dell’avvio del procedimento di dichiarazione al proprietario, possessore o detentore del bene
nonché al comune interessato.
La regione sulla base della proposta della commissione, esaminate le osservazioni e
tenuto conto dell’eventuale inchiesta pubblica, emanerà il provvedimento di dichiarazione di
notevole interesse pubblico degli immobili considerati. Va detto che il provvedimento costitutivo
del vincolo è lo stesso sia per le bellezze individue che per le bellezze d’insieme. La regione poi,
sulla base della proposta della commissione emana il provvedimento. Per le dichiarazioni di
pubblico interesse su beni individui la legge consente al destinatario una partecipazione al
procedimento (artt. 139 e 140) molto più efficace di quella realizzabile attraverso le osservazioni
al piano paesistico.
V. Le aree tutelate per legge
Sono una delle tre categorie di beni paesaggistici indicati all’art.134, che comprende anche
gli immobili dichiarati di interesse pubblico e quelli individuati dai piani paesaggistici. Questa
86
categoria discende direttamente dalla legge Galasso che è intervenuta affinché lo Stato
tamponasse il “dilagante degrado del patrimonio paesaggistico del Paese”. Sono aree territoriali
individuate come beni da proteggere, come zone di particolare interesse ambientale.
Le aree tutelate per legge,
comunque di interesse paesaggistico estratte dall’art.142
vengono qui riportati sinteticamente: i territori costieri compresi in una fascia della profondità di
300 metri dalla linea di battigia, i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della
profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; i fiumi, i
torrenti, i corsi d'acqua e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri
ciascuna; le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e
1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; i ghiacciai e i circhi glaciali;
i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; i
territori coperti da foreste e da boschi; le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da
usi civici; le zone umide ; i vulcani; le zone di interesse archeologico. Tali aree sono sottoposte a
vincolo senza nessun provvedimento amministrativo di notifica, salvo una ricognizione
cartografica per esigenze documentali. L’attività dell’amministrazione è limitata alla classificazione
delle diverse realtà territoriali in una delle categorie generali, attraverso operazioni di misurazione
e qualificazione nell’ambito della geografia fisica. La disciplina giuridica rimane immutata fino
all’approvazione del piano paesaggistico e comporta l’immodificabilità senza il preventivo rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica dell’art.146.
Dalla lettura integrata delle disposizioni in questo aspetto emerge che sono previste solo
due tipologie di aree nelle quali poter prevedere regimi attenuati di tutela: zone per le quali la
realizzazione di opere può avvenire nell’ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo
edilizio e zone gravemente compromesse nelle quali non è necessario il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica per interventi volti al recupero e riqualificazione (art.142
comma2). Le regioni hanno la facoltà di introdurre un regime derogatorio ma deve essere oggetto
di accordo Stato–regione. Alla pianificazione è consentito individuare nuovi vincoli e diverse
modalità di tutela non però una sottrazione di tale tutela alle aree degradate.
Ad opinione dei più, la disciplina vincolistica sui beni tutelati per legge era destinata a
durare fino all’approvazione del piano paesaggistico, essi avevano in sostanza una funzione di
misure di salvaguardia, tendenti a proteggere beni di particolare interesse nelle more della
approvazione del piano. Con il correttivo del 2006 il Codice ha invece disposto la perdurante
87
efficacia dei vincoli ope legis, anche dopo l’approvazione del piano perché lo status di bene
vincolato garantisce una maggiore tutela che non l’essere oggetto di pianificazione; la legge
disponendo che qualsiasi modificazione allo stato del bene vincolato è soggetta ad autorizzazione
(art. 146, c. 1) rende più netto il potere dell’amministrazione di decidere in ordine alla tutela, di
quando si tratta di disporre in riferimento ai piani paesaggistici il cui contenuto prescrittivo è in
continuo adattamento.
VI. La pianificazione paesaggistica
L’attività di pianificazione paesaggistica non è certo una novità all’interno
dell’ordinamento amministrativo. Le leggi Bottai del 1939 introdussero tale strumento all’interno
dell’ordinamento nazionale ma la storia dell’amministrazione ha, nel tempo, dimostrato la sterilità
pratica di questo documento riconducibile all’inerzia di alcune regioni colpevoli di non averlo
redatto e il cattivo uso di quelle altre che, invece, se ne sono dotate.
È solo dal 1985 con la legge 431 (c.d. Galasso), che le regioni hanno dovuto dotarsi di
piani paesistici e piani urbanisco-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici.
Questi ultimi ricoprivano un ruolo di primaria rilevanza atteso che ai medesimi dovevano
uniformarsi sott’ordinati piani comunali e provinciali. In caso di conclamata inadempienza
nell’emanazione del provvedimento regionale, il ministero aveva il potere di esercitare il diritto di
surroga. I piani paesistici avevano ad oggetto le sole aree tutelate per legge (obbligatoriamente) e
quelle aree/località espressamente dichiarate di notevole interesse pubblico (facoltativamente).
Nella realtà la pianificazione paesaggistica regionale non si è limitata alle sole aree vincolate,
tuttavia, sono state ammesse deroghe per far prevalere interessi particolari e dove si è adempiuto
lo si è fatto con molto ritardo.
La caratteristica dei nuovi strumenti ricade sull’ampiezza dell’oggetto che ora si estende a
ricomprendere tutto il territorio regionale; dovranno essere tutelate non solo, quindi, le aree
indicate dalla legge secondo il metodo utilizzato dal precedente Testo Unico, ma l’intero
territorio: dalle zone di pregio a quelle degradate, prevedendo un’adeguata programmazione e
tutela “personalizzata” nell’ottica della garanzia della migliore tutela e più efficiente valorizzazione
(art.143 comma 9).
Con il nuovo Codice la tutela paesaggistica si fonda su due elementi cardine: da un lato il
vincolo, da un altro la pianificazione che in via primaria è stata affidata alle regioni. Le modifiche
apportate nel 2006 hanno però sancito la doverosa concertazione tra Stato e regioni. Nel
88
legiferare sul piano paesaggistico nel 2008 sono state compiute alcune scelte di fondo:
l’attribuzione della pianificazione alle regioni e allo Stato. Infatti, il decreto del 2006, innovando
rispetto al testo originario e sulla premessa che il compito di salvaguardare e pianificare il
territorio spetta allo Stato e alle
regioni congiuntamente, parlava genericamente di
«collaborazione. Il decreto n. 63 modifica invece l’art. 135 disponendo che l’elaborazione dei
piani paesaggistici spetta alle regioni, salvo che per i beni paesaggistici, per i quali avviene
congiuntamente tra Ministero e regioni. La precedente previsione, secondo cui la pianificazione
spettava alla regioni «anche in collaborazione con lo Stato» e` stata espunta. Connessa a questa,
e` la disposizione di cui all’art. 143, relativa alla approvazione dei piani: decorso inutilmente il
termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano, i piani sono approvati in
via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro per l’ambiente, limitatamente ai beni
paesaggisti.
L'elaborazione del piano paesaggistico si articola sommariamente, nelle seguenti fasi:
ricognizione dell'intero territorio, individuazione delle aree vincolate per legge; analisi delle
dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l'individuazione dei fattori di rischio;
individuazione degli ambiti paesaggistici; definizione di prescrizioni generali ed operative per la
tutela; determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate
per legge;
individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree
significativamente compromesse o degradate (art.143).
La disciplina precedente non subisce sostanziali modificazioni quanto ai rapporti tra
amministrazioni del paesaggio e altre amministrazioni. Regioni, Ministero e Ministero
dell’ambiente possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta
dei piani, salvo che per i beni paesaggistici. L’art. 143 come attualmente modificato pone una
differenza tra «intese» ed «accordi», questi ultimi da valere ai sensi dell’art. 15 della l. n. 241/1990,
chiarendo che l’intesa e` il momento preliminare rispetto all’accordo.
Le regioni infatti, insieme ai Ministeri citati possono stipulare intese per l'elaborazione
congiunta dei piani paesaggistici. Nel caso in cui il piano sia stato approvato a seguito di tale
accordo, nel procedimento di autorizzazione, il parere del soprintendente è vincolante solo in
relazione agli interventi da eseguirsi nell’ambito dei piani paesaggistici nelle fasi di ricognizione
previste
alle
lettere
b),
c)
e
d)
del
primo
comma
dell’articolo
143.
L’efficacia del piano decorre fin dalla adozione infatti al comma 9 si precisa che “ a far data
89
dall’adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sui beni paesaggistici, interventi in
contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso”, con l’effetto di anticipare il
momento in cui diventa efficace la tutela e concretamente il momento in cui saranno sottoposte
ad autorizzazione le possibili modifiche sui beni tutelati.
Per quanto riguarda le opere di trasformazione edilizia del territorio, il piano dovrà indicare
quali opere sono consentite nelle singole zone, nel rispetto delle prescrizioni e dei criteri stabiliti
nello stesso piano. A tale fine le regioni disciplinano mediante apposite norme di legge i
procedimenti di pianificazione paesaggistica, non consentendo gli interventi in contrasto con le
prescrizioni di tutela previste nel piano.
In relazione alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi ammessi, il piano
potrà individuare aree nelle quali, per la realizzazione delle opere, è comunque necessaria la
preventiva autorizzazione della pubblica amministrazione preposta alla tutela, e pure aree
compromesse e degradate nelle quali l’autorizzazione non è invece necessaria nonché aree nelle
quali la realizzazione degli interventi può avvenire sulla base della verifica della conformità alle
prescrizioni dello stesso piano, effettuato nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio del
titolo edilizio limitando sempre che siano approvati gli strumenti urbanistici adeguati al piano
paesaggistico. Il comma 4 dell’art. 145 vincola comuni, le città metropolitane, le province e gli
enti gestori delle aree naturali protette a conformare o adeguare gli strumenti di pianificazione
urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla
legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla
loro approvazione.
Le pubbliche amministrazioni sono tenute a realizzare prioritariamente gli interventi e le
azioni individuati nel piano perché finalizzati al recupero del paesaggio o all’inserimento di
trasformazioni urbanistiche “sostenibili”. Dopo la sua approvazione il piano è il primo parametro
di riferimento per le amministrazioni preposte al rilascio delle autorizzazioni.
Il piano in queste sue parti assume la funzione di programma generale degli interventi di
tutela attiva: ricognizione e puntuale localizzazione delle aree già vincolate, individuare ulteriori
aree da assoggettare a vincolo (l’approvazione del piano ha l’effetto di dichiarare di interesse
pubblico le aree vincolate ex novo), posiziona una disciplina graduata per ogni area vincolata. Si
pone l’inderogabile esigenza di strutturare un rapporto di integrazione con il livello della
pianificazione urbanistica comunale: il paesaggio, specie quello privo di emergenze estetiche, va
90
necessariamente osservato e regolato a varie scale e con risoluzioni diverse; l’opzione per un
piano a dimensione regionale postula quindi che
alcuni contenuti trovino definizione-
integrazione ad un livello necessariamente locale. Al comma 2 dell’art. 145 infatti i piani
paesaggistici possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione
territoriale e di settore , nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo
economico. Del resto, anche i piani urbanistici comunali sono preceduti da una valutazione
ambientale strategica
nella quale le tematiche paesaggistiche sono oggetto di effettiva
considerazione. Il comma 3 dell’art.145 precisa che le previsioni dei piani paesaggistici non sono
derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico,
sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province,
sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli
strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento
degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Ai piani urbanistici
e` dedicata la innovativa previsione dell’art. 155, comma 2, secondo cui «tutti gli atti di
pianificazione paesaggistica si conformano a principi di uso consapevole del territorio e di
salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche dei vari contesti», con ciò intendendo aree delle
città che possono essere efficientemente oggetto di politiche paesaggistico-qualitative anche fuori
dal piano paesaggistico.
Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono
comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza
territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree
naturali protette. E questo non contraddice ciò che è stato precisato a livello di principio al
comma 1: l’ individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell’assetto del
territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della
pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in
materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti
locali .
Poiché i limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo,
nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici sono inoltre assicurate, la concertazione
istituzionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela
degli interessi diffusi.
91
Secondo la relazione ministeriale introduttiva del decreto n. 63 nel ridefinire l’assetto
delle competenze, fra Stato, regioni ed altri enti territoriali si ribadisce che per assicurare una
azione di governo coerente con la definizione costituzionale di paesaggio della Nazione, va
riconosciuta la preminenza che la tutela del paesaggio riveste rispetto alla cura «degli altri
interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del
territorio e di valorizzazione dei beni culturali.
VII. Il procedimento delle autorizzazioni
Si deve ricorrere alla richiesta di provvedimento autorizzatorio ogni qual volta il
proprietario, possessore o detentore di un bene vincolato intenda eseguire un’opera sul bene,
stante il divieto assoluto di modificazioni, distruzioni che rechino pregiudizio ai valori oggetto di
protezione. L’autorizzazione costituisce il presupposto del permesso di costruire o degli altri
titoli legittimanti l’intervento edilizio. I lavori non potranno essere iniziati in difetto di essa.
Rientrano in tale contesto le opere edilizie in senso stretto, tutto ciò che è soggetto al permesso di
costruire senza escludere ciò per cui basterebbe una DIA (denuncia di inizio attività).
La norma dell’art.146 ha ad oggetto i beni tutelati per legge, quelli elencati coi
provvedimenti precedenti, quelli annoverati dal piano paesaggistico. Il nuovo procedimento
prevede che il soggetto legittimato avanzi la propria richiesta di autorizzazione alla regione
presentando il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta
documentazione e che per conseguenza, debba astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non
ne abbiano ottenuta l’autorizzazione. .
Il parere del Soprintendente, in generale ha natura
obbligatoria ma non vincolante; infatti sono molte le disposizioni che entrano in gioco per
distinguere, caso per caso, il ruolo della soprintendenza; però in definitiva si tratta di due
situazioni: o l’autorizzazione non e` nemmeno richiesta, oppure, è la regola generale, essa e`
richiesta, e il parere del soprintendente è vincolante. Infatti, o le indicazioni provenienti
dall’amministrazione centrale prendono corpo in via preventiva, all’atto della approvazione delle
prescrizioni d’uso o del giudizio sull’avvenuto adeguamento
dei piani urbanistici,
oppure
successivamente, attraverso il parere vincolante.
Il comma 5, in particolare, dispone che per regola il parere debba essere vincolante, salvo
quanto disposto dall’art. 143, commi 4 e 5, che fanno riferimento a casi in cui gia` in sede di
pianificazione determinate zone vengano
affrancate dall’obbligo di autorizzazione: perchè
l’accertamento della conformità al piano paesaggistico può avvenire in sede di rilascio del titolo
92
edilizio, ovvero perchè si tratti di aree gravemente compromesse o degradate
(c. 4), e a
condizione che siano stati già approvati gli strumenti urbanistici adeguati al piano paesaggistico (c.
5). In questi casi l’autorizzazione non sarà necessaria. Il parere vincolante del soprintendente è
richiesto (comma 5), in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a
tutela dalla legge.
L’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con
le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani
paesaggistici, entro quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, e trasmette al soprintendente la
documentazione presentata dall’interessato ai lavori, accompagnandola con una relazione tecnica
illustrativa. Il comma 8 circoscrive l’oggetto del parere, che sarà, pronunciato limitatamente alla
compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso e alla conformità dello
stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alle disposizioni di tutela
contenute nelle dichiarazioni di interesse paesaggistico. Il soprintendente rende il parere entro il
termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, mentre l’amministrazione regionale
rilascia l’autorizzazione ed entro venti giorni dalla ricezione del parere della soprintendenza con
valutazione di conformità degli interventi o comunica provvedimento negativo. Nel caso di
inerzia dell’amministrazione statale e decorsi i termini è previsto che nel procedimento della
conferenza dei servizi
possa arrivarne il parere, che comunque si concluda lì la fase
autorizzatoria. 13
Formalmente, quindi l’attività si imputa alla regione, che, direttamente o attraverso il
destinatario della delega, decide sull’istanza di autorizzazione « in ogni caso decorsi sessanta
giorni dalla ricezione del parere da parte del soprintendente». L’esercizio infatti può essere
delegato(comma 6), purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di
assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la
differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in
materia urbanistico-edilizia. La normativa al comma 10 offre comunque fasi alternative, in caso
di inattività delle amministrazioni preposte.14
13
Al comma 9 si precisa che “…decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il
soprintendente abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale
il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto. La conferenza si pronuncia entro il termine perentorio di
quindici giorni”.
14
Decorso inutilmente il termine indicato all’ultimo periodo del comma 8 senza che l’amministrazione si sia pronunciata,
l’interessato può richiedere l’autorizzazione in via sostitutiva alla regione, che vi provvede, anche mediante un commissario
ad acta, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora la regione non abbia delegato gli enti indicati al
93
L’autorizzazione paesaggistica diventa efficace decorsi trenta giorni dal suo rilascio ed è
trasmessa, senza indugio, alla soprintendenza che ha reso il parere nel corso del procedimento,
nonché, unitamente allo stesso parere, alla regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali
interessati e, ove esistente, all’ente parco nel cui territorio si trova l’immobile o l’area sottoposti al
vincolo. Tuttavia, è impugnabile con ricorso amministrativo da qualsiasi soggetto pubblico o
privato che ne abbia interesse.
Il comma 3 dell’art.146 prevedendo che venga individuata la documentazione necessaria e
preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento
progettato rinvia alla predisposizione di norme di dettaglio che vanno a completare il quadro
normativo considerato. La documentazione è individuata, su proposta del Ministro, con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, e può essere
aggiornata o integrata con il medesimo procedimento. Il 12 dicembre 2005 era stato adottato un
DPCM
che ha dettagliato, le finalità, i contenuti ed i criteri di redazione della Relazione
paesaggistica che va accompagnata a tutte le istanze di autorizzazione.
VIII. Profili internazionali
La convinzione che il paesaggio rappresenti un elemento cardine del benessere individuale
e sociale e che la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione siano una condizione
chiave dell’evoluzione sociale, ha condizionato la produzione di norme anche a livello mondiale. I
sistemi di protezione dei paesaggi si possono definire conservativi se attengono alla difesa
dell’aspetto attuale, in ragione della qualità e dei valori di cui è portatore, imponendo obblighi di
comportamento o di astensione. Altri approcci di tutela restano legati ai meccanismi di
protezione dei sistemi ambientali pertanto si inseriscono nei procedimenti di valutazione di
impatto ambientale delle attività umane; non mancano sistemi di valorizzazione delle qualità del
paesaggio come rappresentazione dell’identità culturale che si prefiggono di promuovere,
pianificare e guidare le trasformazioni del territorio in modo armonico .
Degna di nota è la già citata Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Culturale e
Naturale Mondiale (approvata in Conferenza Generale UNESCO, novembre 1972) nella quale è
comma 6 al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e sia essa stessa inadempiente, la richiesta del rilascio in via sostitutiva
è presentata al soprintendente.
94
inserita la lista dei siti culturali e naturali di spiccato valore (c.d. “Lista del patrimonio mondiale”).
Per la convenzione UNESCO costituiscono patrimonio naturale:
a) i “monumenti naturali, costituiti da formazioni fisiche o biologiche oppure da gruppi di tali
formazioni aventi valore eccezionale dal punto di vista estetico o scientifico;
b) le formazioni geologiche
e fisiografiche e le zone rigorosamente delimitate costituenti
l’habitat di specie animali e vegetali minacciate che hanno valore universale eccezionale dal punto
di vista della scienza e della conservazione; c)i siti naturali oppure le zone naturali rigorosamente
delimitate aventi valore universale eccezionale dal punto di vista della scienza, della conservazione
o della bellezza naturale”.
Il sito della convenzione UNESCO per poter essere iscritto alla Lista deve aver un valore
universale eccezionale. Nonostante l’identificazione dei siti in questione spetti in primo luogo agli
Stati nel cui territorio sono localizzati,
l’ultima parola spetta comunque ad un organismo
intergovernativo costituito in seno all’UNESCO e composto da 40 membri eletti periodicamente
dalle Parti, il “Comitato intergovernativo per la tutela del patrimonio culturale e naturale
mondiale “ ( World Heritage Committee – WHC ).
Perché l’esito della valutazione sia positivo il sito deve soddisfare alternativamente determinate
condizioni: deve essere unico oppure un eccezionale esempio rappresentativo, i principali stadi
della storia evolutiva terrestre; essere eccezionale esempio di processi ecologici avvenimenti o
della evoluzione biologica. Inoltre deve contenere superlativi fenomeni naturali, formazioni o
aspetti o aree di eccezionale bellezza naturale; oppure contenere diversità biologica eccezionale o
habitat dove sopravviva specie minacciata di valore universale eccezionale. Infine un sito naturale
deve poter corrispondere a ciò che le operational guidelines definiscono “condizioni di integrità”. Il
sito deve quindi, “contenere tutti o molti degli elementi chiave delle loro relazioni naturali; deve
essere largo abbastanza da auto perpetuarsi; deve contenere i componenti degli ecosistemi per la
continuità della specie; se contiene specie minacciata deve includere le condizioni di habitat
necessari per la sopravvivenza ; avere legislazione, regolamentazione, o protezione istituzionale
adeguata”.
***
A livello europeo molti stati europei si sono dotati di uno strumento dedicato esclusivamente alla
salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione di tutti i paesaggi europei. Trattasi della
95
Convenzione Europea del Paesaggio, un documento adottato dal Comitato dei Ministri della
Cultura e dell'Ambiente del Consiglio d'Europa il 19 luglio 2000 .
La Convenzione è stata firmata da una trentina di Stati europei. Si applica all'intero
territorio degli Stati firmatari
e ha l'obiettivo di promuovere presso le autorità pubbliche
l'adozione di politiche di salvaguardia, di gestione e di pianificazione dei paesaggi e di organizzare
la cooperazione europea nelle politiche di settore. Essa definisce il Paesaggio quale componente
essenziale del contesto di vita delle popolazioni, epressione del loro comune patrimonio culturale
e naturale e fondamento della loro identità(art.1) .E’una determinata parte del territorio, così
come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dalle azione di fattori naturali e/o umani
e dalle loro interrelazioni ; "...comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne
sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i
paesaggi degradati." (art.2). Va citato, perché non si tratta di un atto marginale, che per le Alpi è
stato creato un sistema integrato di protezione con la Convenzione di Salisburgo del 7 novembre
1991, e col protocollo aggiuntivo di Chambéry del 1994 che fa riferimento i maniera specifica ai
paesaggi.
Anche nell’ordinamento comunitario il paesaggio viene in rilievo negli atti normativi
volti alla prevenzione dei danni ambientali, in particolare, nelle direttive che impongono agli Stati
membri di effettuare valutazioni di impatto ambientale. Vale la pena di citare la direttiva
85/337/CEE attiene alla valutazione degli effetti di determinati progetti pubblici e privati e la
direttiva 2001/42/CE concerne la valutazione sugli effetti dei piani e dei programmi
sull’ambiente. Il paesaggio deve essere preso in considerazione in tutto il procedimento della
valutazione, prima per stabilire debba essere oggetto di valutazione, poi nel rapporto ambientale,
e infine nel provvedimento di autorizzazione o diniego del progetto.
96
Domande di comprensione:
1) Qual è la definizione di paesaggio nel D.lgs 42 del 2004?
2) Quali sono gli enti che in base ai dettami costituzionali si occupano di paesaggio?
3) Quali sono i beni paesaggistici?
4) Qual è il percorso di accertamento del notevole interesse pubblico per un’area?
5) Perché è stata inserita la lista delle aree tutelate per legge?
6) Il contenuto dei piani paesistici :
o Il programma degli interventi regionali
o I soli criteri per autorizzare gli interventi sul territorio
o La localizzazione delle aree soggette a vincolo e di quelle degradate con il relativo
regime di tutela.
o le sole aree tutelate per legge
97
BIBLIOGRAFIA
Manuali:
Maria Alessandra Sandulli, Il Codice dei beni culturali e paesaggistici (2006), Giuffrè,
Milano.
Si tratta di un corposo commentario al Codice che consente un approfondimento articolo per
articolo. Il testo offre tutti i riferimenti di dottrina e giurisprudenza che chiariscono la portata
delle norme e permette al contempo di avere una visone di insieme. È di difficile lettura per i non
addetti ai lavori (oltre 1000 pagine).
Alessandro Ferretti, Diritto dei beni culturali e del paesaggio (2007), Simone, Napoli.
Il manuale è aggiornato alle modifiche legislative del 2006 e di facile consultazione;
indispensabile per comprendere il quadro generale della materia con l’ausilio contestuale di
numerosi materiali legislativi e schemi di inquadramento soprattutto per l’organizzazione
amministrativa.
Antonio Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio (2004), CEDAM, Padova.
Il testo è di facile lettura e approfondisce in maniera più dettagliata le norme sui ritrovamenti e le
scoperte. Nella prima parte i concetti introduttivi sono molto argomentati soprattutto con un
approccio storico alle questioni ma difficilmente schematizzabile.
Maria Agostina Cabiddu e Nicola Grasso, Il diritto dei beni culturali e del paesaggio
(2004), Giappichelli, Torino.
Il manuale che meglio sintetizza esigenze di completezza e di approccio facilitante alla
consultazione. Non deve spaventare la quantità di informazioni (600 pagine) poiché gli aspetti
generali sulla normativa sono di facile comprensione.
A.Albano, A. Lanzardo e M.L. Pecoraro, Legislazione Internazionale e Comunitaria dei
Beni Culturali (2005), Simone, Napoli.
Il testo espone alcuni degli aspetti del regime internazionale e comunitario chiarendo anche per i
non esperti, i principi giuridici generali del diritto internazionale.
98
Italo Radoccia, Diritto e beni culturali (2004), Edizioni scientifiche Calabresi, Cosenza.
Agevolala comprensione del diritto pubblico strettamente connesso con gli istituti giuridici propri
del settore de beni culturali. Tutta la prima parte si sviluppa sulle fonti del diritto,
sull’amministrazione pubblica e sui procedimenti.
Notiziario del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, anni 2005 e 2006
Utile raccolta di articoli di approfondimento di amministratori ed esperti del settore con notizie di
dettaglio e di bilancio sulle azioni del Mistero; gli articoli sono supportati da appendici normative.
Il notiziario ha un’unica uscita annuale..
SITOGRAFIA
www.icr.beniculturali.it
www.archeologia.beniculturali.it
www.beniculturali.it
www.archivi.beniculturali.it
www.unesco.org
www.unidroit.org
www.beniculturalionline.it
www.arti.beniculturali.it
www.patrimoniosos.it
99
GLOSSARIO ESSENZIALE
ORDINAMENTO GIURIDICO: insieme di tutte le norme prodotte da una determinata
comunità (es. uno Stato) per la propria organizzazione e per il perseguimento dei propri fini.
NORME, DISPOSIZIONI GIURIDICHE: norme prescrittive di comportamenti. Le norme
giuridiche fanno parte del più ampio genere delle norme sociali (come le norme di religione,
etichetta morale). Esse hanno sempre ad oggetto la regolamentazione di un rapporto tra due o
più soggetti dell'ordinamento. Esse mirano a porre vincoli per i singoli individui. Spesso la
violazione delle norme giuridiche porta all'applicazione di una sanzione.
DIRITTO PUBBLICO: regole predisposte al soddisfacimento in via diretta degli interessi
comuni a tutta la collettività. Il Diritto pubblico attiene a situazioni ed a rapporti in cui
necessariamente è implicita la presenza dello Stato. Esso regola poteri e posizioni reciproche dei
governanti e le relazioni fra questi e i governanti.
Il diritto dei beni culturali deve essere considerato come una branca del diritto pubblico. Altre
branche del diritto pubblico sono il diritto costituzionale, amministrativo, processuale, penale,
ecclesiastico.
PATRIMONIO: in base al Codice Civile si intende come l’insieme dei rapporti attivi e passivi,
in capo ad un soggetto. Si può trattare quindi di beni immobili o mobili, di debiti o crediti.
LA PROPRIETÀ: il diritto di proprietà è un diritto reale che attribuisce al titolare la facoltà di
godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Consente al proprietario ogni lecita
utilizzazione del bene: può goderne oppure disporne.
Il diritto di proprietà è tuttavia sottoposto a limiti legali, nell’interesse pubblico ossia può essere
espropriato al soggetto da parte dello Stato.
L’espropriazione della proprietà infatti viene presa in considerazione nella nostra Costituzione
nell’art. 42, comma. 3°, subito dopo aver chiarito nel co. 2°, il ruolo che deve essere riconosciuto
nel nostro ordinamento a regole che hanno il compito di assicurare la funzione sociale e
l’accessibilità a beni di interesse collettivo. Tali regole si manifestano oltre che nella imposizione
di limiti, anche nella disciplina dei modi di acquisto e di godimento della proprietà
POTESTA’ LEGISLATIVA CONCORRENTE DELLE REGIONI: le Regioni oltre al
rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
100
internazionali, sono vincolate nel quadro dei principi fondamentali pronunciati dalle leggi dello
Stato con le cosiddette leggi cornice.
FUNZIONE AMMINISTRATIVA: Ogni organo dello Stato è titolare di una specifica
funzione. La funzione amministrativa è quella che mira alla concreta realizzazione dei fini
pubblici dello Stato, individuati dal potere politico e pertanto soggetta al controllo della
magistratura. Titolari di tale funzione sono lo Stato ed i suoi organi periferici ma anche gli enti
autarchici non territoriali dotati di autonoma personalità giuridica.
I VIZI DELL'ATTO AMMINISTRATIVO: L'atto è viziato quando è difforme dalla norma
che lo regola: se la norma è giuridica, l'atto sarà illegittimo, se la norma non è giuridica, l'atto sarà
inopportuno; esso può quindi essere viziato in modo più o meno grave: l'atto può essere:
NULLO quando mancano elementi ritenuti essenziali dalla legge, ANNULLABILE quando sia
viziato taluno degli elementi essenziali Perché possa perdere efficacia occorre una sentenza
costitutiva dell'autorità giudiziaria ovvero un atto di ritiro della stessa amministrazione.
I vizi dell’atto amministrativo sono riconducibili a tre tipologie:
1. INCOMPETENZA: l’atto è espressione di un ufficio che non era proposto a quel tipo di
attività. 2. ECCESSO DI POTERE. 3. VIOLAZIONE DI LEGGE: a) vizio di forma ; b)
difetto di motivazione; c) inosservanza delle disposizioni relative alla valida costituzione dei
collegi; d) contenuto illegittimo; e) difetto di presupposti legali.
LA SANATORIA − tende ad eliminare i vizi che inficiano l'atto. Ratifica: l'organo competente si
assume la paternità del procedimento viziato sotto il profilo della titolarità.
I PRINCIPI DELL' AMMINISTRAZIONE − si veda l’art 97 Costituzione a mente del quale
i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che dia assicurato il buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Dall'analisi dell'articolo 97 della Costituzione
Italiana, si evincono i principi fondamentali dell' amministrazione:
1. PRINCIPIO DI LEGALITA', la pubblica amministrazione ,al di fuori dei casi stabiliti dalla
legge, non può godere di alcuna posizione di potere; 2. PRINCIPIO DELLA BUONA
AMMINISTRAZIONE, la pubblica amministrazione deve essere efficiente e efficacia; 3.
PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’ nel rispetto dell'oggettività di agire.
IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO − L'esercizio del potere amministrativo e la
conseguente nascita del provvedimento amministrativo, avvengono attraverso un procedimento
chiamato procedimento amministrativo. Il procedimento amministrativo deve essere improntato
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ai principi della ragionevolezza, dell’uguaglianza, della logicità, dell'economicità, della celerità e
dell’affidamento.
Il procedimento amministrativo si articola in diverse fasi: 1. INIZIATIVA da parte della stessa
p.a. o da parte di un privato (come la richiesta di una concessione edilizia); 2. ISTRUTTORIA
accertamenti valutazioni ispezioni ecc...per ogni procedimento e' previsto da legge o da
regolamento una precisa istruttoria; 3. FASE DELIBERATIVA semplice se proviene da singolo
(sindaco) più complessa se collegiale o se comprende più organi. Il silenzio può assumere il
contenuto di assenso; 4. FASE INTEGRATIVA DI EFFICACIA : alle volte controllo da parte
di un altro organo; 5. FASE ESECUTIVA.
DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA: è la facoltà di scelta fra più comportamenti
leciti per soddisfare un interesse pubblico generale e per perseguire un fine corrispondente alla
causa del potere esercitato.
DISCREZIONALITA’ TECNICA: possibilità della pubblica amministrazione di valutare fatti
e situazioni sulla base di cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico che sono
suscettibili di diversa interpretazione e applicazione
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