Capitolo 1 Il personale degli enti locali

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Edizioni Simone - Vol. 25/2 Compendio di Diritto degli enti locali
Parte sestaLa disciplina del pubblico impiego locale
Capitolo 1Il personale
degli enti locali
SommarioSezione Prima: Profili generali ed evoluzione normativa. - 1. Il
rapporto di pubblico impiego. - 2. Profili evolutivi della disciplina: dalla
privatizzazione al D.Lgs. 165/2001. - 3. La Riforma Brunetta: L. 15/2009
e D.Lgs. 150/2009. - 4. L’attuazione della Riforma Brunetta negli enti locali. - 5. Gli interventi legislativi successivi alla terza riforma del pubblico
impiego. - Sezione Seconda: Le fonti. - 1. La contrattazione collettiva: ruolo
e oggetto. - 2. La contrattazione collettiva dopo la riforma Brunetta. - 3.
L’aran e le rappresentanze sindacali. - 4. Il procedimento di contrattazione
collettiva. - 5. Le fonti del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali.
- 6. L’organizzazione burocratica. - Sezione Terza: La disciplina giuridica
del rapporto di lavoro. - 1. Costituzione del rapporto di lavoro. - 2. I
diritti patrimoniali: la retribuzione. - 3. I diritti non patrimoniali. - 4. Ferie e
festività. - 5. Permessi. - 6. Assenze. - 7. Aspettativa. - 8. Le forme flessibili
di impiego. - 9. La disciplina delle cause di estinzione del rapporto di lavoro.
Sezione Prima
Profili generali ed evoluzione normativa
1.Il rapporto di pubblico impiego
Il rapporto di impiego pubblico è quel rapporto di lavoro in cui una persona fisica pone
volontariamente la propria attività, in via continuativa, e dietro retribuzione, al
servizio dello Stato o di un ente pubblico non economico, assumendo particolari diritti
e obblighi.
Il rapporto d’impiego si configura come:
— rapporto volontario: sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto è richiesta
non solo la volontà della P.A., ma anche quella del dipendente;
— rapporto strettamente personale: la specifica capacità intellettiva e tecnica richiesta per
ogni singolo ufficio e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri
interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae;
— rapporto giuridico bilaterale: esso, infatti, comporta diritti ed obblighi reciproci per ciascuna
delle parti;
— rapporto di subordinazione gerarchica: la subordinazione gerarchica e disciplinare differenzia, infatti, l’impiego dall’incarico professionale (locatio operis).
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I principi costituzionali in merito al lavoro pubblico
La Costituzione considera il lavoro come il più importante fenomeno della vita sociale: l’art. 1
afferma che «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Su questa premessa, nonché sul presupposto che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto
al lavoro, promuovendo le condizioni che rendono effettivo tale diritto, e che ogni cittadino ha il
dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art.
4), bisogna sottolineare che la materia del pubblico impiego non trova una disciplina specifica tra le
norme costituzionali, sebbene ve ne siano alcune che assumono particolare rilevanza in tale ambito.
Tra queste ricordiamo:
— il principio dell’accesso ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza (art. 51);
— il dovere per i pubblici impiegati di adempiere con onore alle proprie funzioni e di porsi al servizio
esclusivo della Nazione (artt. 54 e 98);
— la riserva di legge inerente all’organizzazione dei pubblici uffici e il principio di buon andamento
dell’amministrazione (art. 97);
— la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici (art. 28).
2.Profili evolutivi della disciplina: dalla privatizzazione al D.Lgs.
165/2001
A) Il quadro normativo antecedente il processo di privatizzazione
Il pubblico impiego, nel periodo immediatamente successivo alla costituzione dello
Stato unitario, era disciplinato da norme di diritto privato speciale; successivamente,
a partire dall’inizio del XX secolo, il rapporto di pubblico impiego è stato oggetto di
una disciplina rigorosamente unilaterale, scandita da fonti di natura legislativa e
regolamentare nonché da atti amministrativi.
In questa fase, nessun rilievo veniva riconosciuto alla fonte contrattuale ed i pubblici dipendenti
si trovavano in una posizione di assoluta soggezione gerarchica.
In particolare, fonti di regolamentazione in materia erano rappresentate dal R.D. 11 novembre
1923, n. 2395 (ordinamento gerarchico) e dal R.D. 30 ottobre 1923, n. 2960 (stato giuridico).
La prima disciplina organica del pubblico impiego si ha con l’adozione del Testo Unico del 1957
— D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 — che attenua la valenza gerarchica introdotta nel 1923 a favore
di una migliore organizzazione del lavoro dei dipendenti pubblici.
Nel 1980, a quasi trent’anni dall’adozione del Testo Unico, la L. 11 luglio 1980, n.
312 compie un ulteriore passo verso la privatizzazione del pubblico impiego. In questo
testo, tra l’altro, si riconosce per la prima volta il dovere di produttività del pubblico
dipendente.
Un primo vero cambio di indirizzo si registra, però, con la legge quadro 29 marzo
1983, n. 93, che introduce un modello basato sul ruolo primario della contrattazione
collettiva e sul recepimento in D.P.R. di accordi collettivi stipulati tra la parte pubblica
e i rappresentanti sindacali dei dipendenti.
La normativa relativa all’impiego pubblico restava, però, profondamente differenziata
rispetto a quella dell’impiego privato.
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B) Il processo di privatizzazione
Le lacune di fondo della Legge quadro dell’83 sono state aggravate dal moltiplicarsi di
disfunzioni di varia natura; sulla spinta di ciò si è poi giunti all’emanazione del D.Lgs.
n. 29 del 3 febbraio 1993 (Norme in materia di razionalizzazione dell’organizzazione
dell’amministrazione e revisione della disciplina del pubblico impiego), che ha suggellato quel faticoso processo di avvicinamento del lavoro pubblico a quello privato.
Con tale provvedimento è stata realizzata la cd. privatizzazione del pubblico impiego,
espressione con la quale si designa:
— l’estensione delle norme del diritto privato al rapporto di pubblico impiego, spostando la relativa disciplina dall’ambito amministrativo a quello privatistico;
— la diretta applicabilità della disciplina della contrattazione collettiva;
— l’attribuzione al datore di lavoro pubblico degli stessi poteri di gestione del rapporto
propri del datore di lavoro privato.
Il processo di riforma intrapreso con il D.Lgs. 29/1993 ha poi subito un’importantissima accelerazione nel momento in cui, tra la fine del 1994 e i primi mesi del 1995,
sono stati siglati i primi contratti collettivi, destinati a rappresentare il momento del
definitivo passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina del lavoro nella P.A. Entro il
1997 si è completata la prima stagione della contrattazione collettiva, sia relativamente
alla parte economica che a quella normativa.
Ciò, unitamente alla complessiva ristrutturazione della pubblica amministrazione avviata dalle leggi Bassanini (L. 15 marzo 1997, n. 59 e L. 15 maggio 1997, n. 127), hanno
indotto il legislatore a prevedere significative novità (tra di esse ad es. la creazione di
un ruolo unico interministeriale dirigenziale) ad integrazione e completamento della
riforma del 1993 (cd. seconda privatizzazione del pubblico impiego).
Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 attua in gran parte gli obiettivi della legge delega del
1997, modificando le disposizioni del D.Lgs. 29/1993.
Con tale provvedimento, in particolare, viene meglio delineata la separazione delle
fonti pubblicistiche e privatistiche di regolazione del rapporto di lavoro, marcata la
devoluzione del relativo contenzioso al G.O. ed estesa la privatizzazione anche ai
dirigenti generali di categoria, che in una prima fase ne erano stati esclusi.
C) Il Testo unico in materia di pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001)
La successione di provvedimenti che, con finalità diverse, sono intervenuti sostituendo,
integrando o abrogando norme del testo originario del D.Lgs. 29/93, ha reso necessaria
un’opera di coordinamento e di riassetto della disciplina del pubblico impiego.
A tal fine risponde il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», con cui è stata
data attuazione alla delega contenuta nella L. 24 novembre 2000, n. 340.
Tuttavia, il D.Lgs. 165/2001 ha assolto solo parzialmente allo scopo perché ha natura
sostanzialmente compilativa, nulla innovando rispetto al quadro legislativo preesistente
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costituito dal D.Lgs. 29/93 e dalle sue successive modifiche. Esso ha, tuttavia, il pregio
di offrire un assetto unitario e più chiaro della disciplina del pubblico impiego
presentando, nel suo corpo, norme di coordinamento testuale e sistematico, indicando
espressamente le norme abrogate o non più efficaci, eliminando le incongruenze e le
lacune determinate dalla stratificazione legislativa.
L’ambito di applicazione del D.Lgs. 165/2001
Il D.Lgs. 165/2001 si applica a tutte le pubbliche amministrazioni ovvero «le amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le
Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi
case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti
gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti
del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie previste di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300» (art. 1
co. 2 D.Lgs. 165/2001, modificato dall’art. 1 D.Lgs. 145/2002).
Sono esclusi, invece, dalla nuova normativa, continuando il loro rapporto ad essere regolato in regime
di diritto pubblico le specifiche categorie individuate dall’art. 3 del D.Lgs. 165/2001.
3.La Riforma Brunetta: L. 15/2009 e D.Lgs. 150/2009
In risposta all’esigenza di sviluppare meccanismi meritocratici nella P.A. e reagire alla
scarsa qualità dei servizi offerti (cd. campagna antifannulloni), la L. 4-3-2009, n. 15,
ha attribuito un’ampia delega al Governo per riformare la disciplina del rapporto di
lavoro dei dipendenti pubblici, nel segno della convergenza degli assetti regolativi del
lavoro pubblico con quelli del lavoro privato.
Tale delega ha trovato attuazione con il D.Lgs. 27-10-2009, n. 150, cd. riforma Brunetta. Si tratta della terza riforma del pubblico impiego, che muove dall’esigenza
di sviluppare, nelle strutture pubbliche — al pari di quanto accade nelle imprese private — meccanismi meritocratici e legati ai risultati raggiunti e di valutazione della
performance lavorativa.
La Riforma Brunetta, in particolare, ha inteso:
— responsabilizzare maggiormente i dipendenti pubblici (dirigenti in primis);
— incentivare selettivamente le migliori prestazioni (meritocrazia);
— affermare la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera dei dipendenti;
— contrastare la scarsa produttività e l’assenteismo, agevolare la mobilità del
personale, assicurare una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali
su base territoriale;
— assicurare la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche, anche a
garanzia della legalità;
— rafforzare le prerogative datoriali dei dirigenti;
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— riaffermare e presidiare la ripartizione tra gli ambiti e le materie sottoposte alla
legge, nonché sulla base di questa, ad atti organizzativi e all’autonoma responsabilità
del dirigente nella gestione delle risorse umane, e quelle oggetto della contrattazione collettiva;
— rilegificare, totalmente o parzialmente, alcuni aspetti del rapporto di lavoro pubblico, scelta motivata dalla sostanziale sfiducia nei confronti di una contrattazione
collettiva considerata, per più versi, inefficace e/o fuori controllo;
— costruire un sistema globale di gestione delle performances, attraverso un ciclo
distinto in sei fasi e che ha nell’attribuzione selettiva degli incentivi economici
e di carriera il profilo portante.
4.L’attuazione della Riforma Brunetta negli enti locali
A) L’ambito di applicazione: art. 74 del D.Lgs. 150/2009
La norma che, all’interno del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, individua l’ambito di
applicazione della riforma stessa è l’articolo 74.
Secondo il disposto di cui al comma 1 dell’articolo 74 rientrano nella potestà legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere l) ed m)
della Costituzione gli articoli: 11 (commi 1 e 3), da 28 a 30, da 33 a 36, 54, 57, 61,
62 (comma 1), 64, 65, 66, 68, 69 e 73 (commi 1 e 3).
In generale, tali norme si riferiscono ai seguenti ambiti:
— obbligo della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (vedi infra lett. B);
— qualità dei servizi;
— atti di organizzazione dell’ente in relazione alla gestione delle risorse umane;
— disciplina della contrattazione collettiva;
— disciplina delle mansioni con riferimento all’abbandono delle progressioni verticali;
— responsabilità, sanzioni e procedure disciplinari.
L’articolo 74 al comma 2, invece, indica quali sono le disposizioni che, costituiscono
principi generali dell’ordinamento ai quali Regioni ed Enti locali devono adeguarsi,
negli ambiti di rispettiva competenza; in tale contesto rientrano gli articoli 3, 4, 5
(comma 2), 7, 9, 15 (comma 1), 17 (comma 2), 18, 23 (commi 1 e 2), 24 (commi 1
e 2), 25, 26, 27 (comma 1) e 62 (commi 1bis e 1ter).
Essi recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 Cost. che al comma 1 recita:
«I pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Le disposizioni specifiche circa termini e modalità per l’adeguamento degli enti
territoriali sono contenute negli articoli 16 e 31 del D.Lgs. n. 150 che fissano quale
termine per l’adeguamento il 31 dicembre 2010; decorso tale termine è stabilita l’applicazione delle norme previste nei titoli secondo e terzo dello stesso decreto n. 150
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(relativi rispettivamente alla «misurazione e valutazione della performance» e alla
«meritocrazia e premialità») sino all’emanazione della disciplina regionale e locale.
B) Gli strumenti di verifica dell’efficienza della gestione: la trasparenza
L’articolo 16 del D.Lgs. 150/2009 stabilisce che nelle Regioni e negli Enti locali trovano diretta applicazione le disposizioni dell’articolo 11 dello stesso D.Lgs. n. 150,
commi 1 e 3 relativi alla trasparenza.
Tale ultima norma è stata espressamente abrogata dall’art. 53 del D.Lgs. 14 marzo
2013, n. 33 (cd. Testo Unico per la trasparenza nelle P.A.) che si apre con una definizione del principio di trasparenza che richiama, rielaborandola e completandola, quella
fornita dall’art. 11 del D.Lgs. 150/2009.
La trasparenza, infatti, è intesa quale accessibilità totale delle informazioni concernenti, da una lato, l’organizzazione, dall’altro l’attività delle pubbliche amministrazioni
(art. 1).
Lo scopo è quello di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nel senso di consentire ai cittadini la
possibilità di effettuare un controllo democratico sull’operato della P.A., valutando
la sua conformità ai precetti costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità
e lealtà nel servizio alla Nazione.
In questo senso, dunque, la trasparenza:
— costituisce una ineludibile condizione di garanzia delle libertà individuali e
collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali;
— integra il diritto ad una buona amministrazione;
— concorre alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al completo servizio
dei cittadini.
Viene fatto salvo il rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto
d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali.
C) I criteri per la differenziazione delle valutazioni: il sistema delle fasce di merito
Tra gli strumenti previsti dal D.Lgs. 150/2009 per premiare la performance del personale,
il sistema cd. delle fasce di merito rappresenta sicuramente la novità più evidente.
La distribuzione del personale in fasce di merito, secondo il livello di performance
raggiunto, è disciplinata dall’art. 19 del D.Lgs. 150/2009 che prevede per le pubbliche
amministrazioni tre fasce di merito: alta, media e bassa cui corrisponde una percentuale
del trattamento accessorio correlato alla performance.
Tale previsione per gli enti locali deve essere integrata con quanto previsto dall’art.
31, comma 2 dello stesso decreto n. 150.
Secondo tale comma, come modificato dal D.Lgs. 1° agosto 2011, n. 141, a differenza
delle amministrazioni statali, per le quali sussiste l’obbligo di differenziare le valutazioni
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dei dipendenti in tre distinte fasce secondo percentuali prestabilite, le Regioni e gli enti
locali potranno prevedere anche più di tre fasce e un diverso sistema di distribuzione percentuale delle risorse. Ciò può essere fatto purché sia garantito che una quota
prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla
performance individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente collocato
nella fascia di merito alta. Si applica, inoltre, quanto previsto dall’art. 19, comma 6
del D.Lgs. n. 150 ovvero i limiti numerici (più di 15 dipendenti in servizio e più di 5
dirigenti in servizio) per la differenziazione retributiva in fasce.
Lo stesso D.Lgs. 141/2011 (art. 6) precisa che i meccanismi delle fasce di merito si
applicano a partire dalla tornata di contrattazione collettiva successiva a quella relativa
al quadriennio 2006-2009.
In relazione all’importanza che il sistema della performance riveste all’interno della struttura
organizzativa delle pubbliche amministrazioni, inoltre, il D.Lgs. 33/2013, cd. Testo Unico sulla
trasparenza nella P.A., all’articolo 20, ha imposto obblighi di pubblicazione dei dati relativi alla
valutazione della performance e alla distribuzione dei premi al personale.
5. Gli interventi legislativi successivi alla terza riforma del pubblico
impiego
All’indomani della cd. terza riforma del pubblico impiego (riforma Brunetta), ed ancora in piena fase di attuazione della stessa per gli enti locali, gli anni successivi sono
stati caratterizzati da numerosi e costanti interventi del legislatore incentrati su due
importanti direttrici: da un lato, infatti, l’attività e l’organizzazione delle pubbliche
amministrazioni sono sempre più orientate verso obiettivi di razionalizzazione e
risparmio; dall’altro lato, tale processo di riduzione delle spese si accompagna all’esigenza, estremamente sentita, di riportare le amministrazioni medesime entro i binari
della legalità e dell’integrità.
Il primo imperativo categorico per le amministrazioni, infatti, è «spending review»,
ossia revisione della spesa.
In questo ambito si collocano le manovre finanziarie, le leggi di stabilità e i numerosi decreti
legge (D.L. 95/2012, D.L. 101/2013 etc.) dell’ultimo quadriennio che, susseguitisi a ritmo vorticoso
nell’attuale contesto di grave crisi economica, sono tutti accomunati dall’esigenza della riduzione
delle spese dell’apparato pubblico.
Attraverso tali provvedimenti il legislatore ha proceduto ad un insieme di tagli strutturali volti al
miglioramento della produttività delle diverse articolazioni della pubblica amministrazione al taglio
delle dotazioni organiche e alla razionalizzazione degli assetti strutturali delle amministrazioni.
Il secondo imperativo è invece riconducibile al recupero della legalità e dell’integrità
nell’azione e nell’organizzazione amministrativa e in questo ambito il punto di partenza
è rappresentato dalla L. 6-11-2012, n. 190, cd. legge anticorruzione, che ha inciso sia
direttamente sul codice penale (sulla disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione), sia sulle norme che regolano il rapporto di lavoro alle dipendenze della
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P.A., mediante una serie di deleghe all’esecutivo nonché dai successivi provvedimenti
attuativi (D.Lgs. 235/2012; D.Lgs. 33/2013 e D.Lgs. 39/2013).
Esattamente a metà strada tra le esigenze di semplificazione e risparmio e quelle di
contrasto alla corruzione si pone, infine, la nuova riforma della pubblica amministrazione di cui alla riforma Renzi-Madia, D.L. 24-6-2014, n. 90 («Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari»),
conv. in L. 11-8-2014, n. 114.
Tra le disposizioni della suddetta riforma si evidenziano i vincoli alle assunzioni e agli
incarichi esterni e le disposizioni che incidono anche direttamente sul D.Lgs. 267/2000
(es. art. 110).
Sezione Seconda
Le fonti
1.La contrattazione collettiva: ruolo e oggetto
Il processo di ravvicinamento del pubblico impiego al rapporto di lavoro privato ha
trovato la sua massima espressione e realizzazione nella regolamentazione della contrattazione collettiva introdotta dal D.Lgs. 29/1993, caratterizzata dalla distinzione
della disciplina in normativa e contrattuale. La contrattazione collettiva è articolata in
comparti ossia raggruppamenti di settori di lavoro omogenei o affini.
Tale normativa ha abolito la complessa procedura (ex L. 93/1983) che subordinava l’acquisto di
efficacia del contratto collettivo al recepimento dello stesso in un atto a carattere normativo (decreto del Presidente della Repubblica), facendo assurgere la contrattazione collettiva al ruolo
di fonte primaria e diretta di disciplina del rapporto di pubblico impiego, analogamente a
quanto avviene nel settore privato.
La contrattazione collettiva, ante riforma del 2009, disciplina la durata sia dei contratti
nazionali che di quelli integrativi, la struttura contrattuale ed i rapporti tra i diversi livelli.
Alla contrattazione collettiva è riservata la competenza esclusiva in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti.
Le pubbliche amministrazioni stipulano contratti collettivi integrativi nel rispetto delle materie
e dei limiti prefissati dai contratti nazionali di comparto, per cui i contratti integrativi non possono
contenere clausole in contrasto con vincoli risultanti dai contratti nazionali.
2.La contrattazione collettiva dopo la riforma Brunetta
L’art. 40 del D.Lgs. 165/2001, avente ad oggetto la disciplina dei Contratti collettivi
nazionali ed integrativi, risulta novellato ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 150/2009.
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Le principali novità sono le seguenti:
— viene riconsiderato l’ambito delle materie attribuite alla contrattazione medesima:
è, infatti, previsto che la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi
direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle
relazioni sindacali;
— è prevista l’istituzione di massimo quattro comparti di contrattazione collettiva
nazionale;
— è disposto che la contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore
privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei
contratti collettivi nazionali e integrativi.
Secondo le disposizioni di cui al comma 3bis dell’art. 40 del D.Lgs. 165/2001 (modificato dall’art. 54 del D.Lgs. 150/2009) le pubbliche amministrazioni attivano autonomi
livelli di contrattazione collettiva integrativa.
Questa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance. A tal fine destina al trattamento
economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente
del trattamento accessorio complessivo comunque denominato.
Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi
nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; può
avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni.
In merito all’efficacia della contrattazione integrativa già vigente e all’applicazione delle
nuove disposizioni il riferimento è all’art. 65 del D.Lgs. 150/2009, come interpretato
dal D.Lgs. 141/2011 (cd. correttivo alla riforma Brunetta).
3.L’ARAN e le rappresentanze sindacali
A) L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
Una delle novità introdotte dalla riforma del pubblico impiego è stata l’istituzione
dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN), organismo dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia
organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio.
L’ARAN ha la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, esercita a
livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei
contratti collettivi e all’assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi. Su richiesta delle amministrazioni, infine, può
fornire assistenza ai fini della contrattazione integrativa (art. 46 D.Lgs. 165/2001).
La L. 15/2009, nel più ampio contesto di riordino delle procedure di contrattazione
collettiva ed integrativa, ha previsto anche una riorganizzazione delle competenze,
della struttura e degli organi dell’ARAN. Tale delega è stata attuata ex art. 58 D.Lgs.
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150/2009, che incide sull’art. 46 D.Lgs. 165/2001, soprattutto per quanto concerne le
funzioni e la composizione della struttura stessa.
Ai sensi del novellato articolo, infatti, l’ARAN cura le attività di studio, monitoraggio
e documentazione necessarie all’esercizio della contrattazione collettiva. Predispone
a cadenza semestrale, ed invia al Governo, ai comitati di settore dei comparti Regioni
e Autonomie locali e Sanità e alle Commissioni parlamentari competenti, un rapporto
sull’evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti.
L’ARAN effettua anche il monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi
nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al
Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la congruenza della
ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione
nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità
emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa.
B) Le rappresentanze sindacali
I rappresentanti dei lavoratori, relativamente alla stipula dei contratti collettivi nazionali, sono le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto una rappresentatività
non inferiore al 5%, considerando, a tal fine, la media tra il dato associativo ed il dato
elettorale.
Alla contrattazione collettiva nazionale partecipano, inoltre, le confederazioni alle quali
siano affiliate le organizzazioni sindacali come sopra individuate.
Tuttavia, l’attuazione della legge delega 15/2009 ha ridisegnato completamente il
sistema delle relazioni sindacali nell’impiego pubblico, attraverso la diminuzione
delle materie affidate alla contrattazione collettiva.
4.Il procedimento di contrattazione collettiva
L’art. 47 D.Lgs. 165/2001, concernente il procedimento di contrattazione collettiva, risulta sostituito
completamente ai sensi dell’art. 59 D.Lgs. 150/2009.
La procedura si apre con l’emanazione degli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale
da parte dei comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale.
L’ipotesi di accordo è trasmessa dall’ARAN, corredata dalla prescritta relazione tecnica, ai comitati
di settore ed al Governo entro 10 giorni dalla data di sottoscrizione. Acquisito il parere favorevole
sull’ipotesi di accordo, nonché la verifica da parte delle amministrazioni interessate sulla copertura
degli oneri contrattuali, il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali
alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione
e di bilancio di cui all’articolo 1bis della L. 468/1978.
La Corte dei conti, a sua volta, certifica l’attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con
gli strumenti di programmazione e di bilancio; essa delibera entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata
positivamente. L’esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all’ARAN, al comitato di
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.
In caso di certificazione non positiva della Corte dei conti, invece, le parti contraenti non possono
procedere alla sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo. In tal caso, il Presidente dell’ARAN,
d’intesa con il competente comitato di settore, che può dettare indirizzi aggiuntivi, provvede alla
riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo adeguando i costi
contrattuali ai fini delle certificazioni. In seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi di accordo si
riapre l’intera procedura di certificazione. Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata
a singole clausole contrattuali, invece, l’ipotesi può essere sottoscritta definitivamente, ferma
restando l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate.
Così come stabilisce il comma 8 dell’art. 47 i contratti e gli accordi collettivi nazionali nonché le
eventuali interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana oltre che sul sito dell’ARAN e delle amministrazioni interessate. I previsti obblighi di
pubblicazione sono altresì rafforzati da quanto stabilito dall’art. 21 del D.Lgs. 33/2013 che sancisce
l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare i riferimenti necessari per la consultazione
dei contratti e accordi collettivi nazionali che si applicano loro, nonché le eventuali interpretazioni autentiche. Le P.A. pubblicano, altresì, i contratti integrativi stipulati, con la relazione
tecnico-finanziaria e quella illustrativa (certificate dagli appositi organi di controllo), nonché le
informazioni trasmesse annualmente ai sensi del comma 3 dello stesso art. 47.
Il contratto collettivo, una volta sottoscritto, acquista efficacia erga omnes, cioè sia per le amministrazioni che per tutti i lavoratori interessati.
5.Le fonti del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali
A) Quadro generale
Ex art. 88 del D.Lgs. 267/2000 all’ordinamento degli uffici e del personale degli enti
locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e provinciali, si applicano le
disposizioni del D.Lgs. 165/2001 e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nello stesso
testo unico enti locali.
La disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali è, quindi, attualmente
articolata secondo i seguenti livelli:
— legislazione nazionale (D.Lgs. 165/2001, TUEL, Codice civile e alcune leggi di
settore, quali la legge 146/1990 sull’esercizio del diritto di sciopero).
Così come stabilisce l’articolo 2, comma 2 del D.Lgs. 165/2001 (modificato dall’art. 1 della L.
15/2009 e da ultimo dall’articolo 33 del D.Lgs. 150/2009), i rapporti di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del
codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse
disposizioni contenute nello stesso Testo unico che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei
rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche,
o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e,
per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente
previsto dalla legge.
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
L’articolo 1, comma 2 della L. 15/2009 precisa che le modifiche introdotte si applicano alle
disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della L. 15/2009;
— contrattazione nazionale di comparto, nei limiti fissati dal novellato art. 40 del
D.Lgs. 165/2001;
— fonti normative locali (statuto, regolamenti di organizzazione e altri regolamenti),
per la definizione di istituti organizzativi che hanno riflessi sul rapporto di lavoro
(quali gli orari di apertura al pubblico, la gestione del personale etc.);
— contrattazione integrativa;
— contrattazione individuale, con la quale si istituisce il singolo rapporto di lavoro.
La contrattazione collettiva nel comparto Regione e autonomie locali
Dopo la privatizzazione del pubblico impiego, nucleo fondamentale della disciplina del rapporto di
lavoro dei dipendenti degli enti locali è la contrattazione collettiva.
Il primo contratto collettivo (relativo al comparto Regioni e autonomie locali) è stato sottoscritto in
data 6 luglio 1995; quest’ultimo è stato successivamente modificato dal contratto collettivo integrativo
del 13 maggio 1996.
Con la sigla del CCNL del 31 marzo 1999 è stato poi, introdotto negli enti locali, il sistema di
classificazione del personale articolato in quattro categorie; a questo contratto hanno fatto seguito
il CCNL 1° aprile 1999, integrato dal CCNL del 14 settembre 2000, ed il CCNL 22 gennaio 2004.
Il più recente contratto collettivo, invece, è stato sottoscritto in data 11 aprile 2008 e concerne il
periodo 1° gennaio 2006-31 dicembre 2009 per la parte normativa ed è valido dal 1° gennaio 2006
fino al 31 dicembre 2007 per la parte economica.
Tale contratto, che si applica al personale non dirigente del Comparto Regioni e autonomie locali,
come definito dal CCNQ dell’11 giugno 2007, ha operato un restyling del codice disciplinare e del
rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
6.L’organizzazione burocratica
Comuni e Province provvedono a definire l’ordinamento generale degli uffici e dei
servizi, ovvero a disciplinare il proprio assetto organizzativo e funzionale a mezzo di
regolamenti emanati nel rispetto delle previsioni statutarie in materia (art. 89 T.U.).
Nell’esercizio della potestà regolamentare loro spettante, gli enti locali si attengono a
precisi criteri guida in modo che l’intera gestione burocratica risulti caratterizzata da
autonomia, funzionalità, economicità, professionalità e responsabilità rispettando un
preciso ambito di operatività definito dal comma 2 dell’art. 89 T.U.
L’art. 89 del T.U., giusta il rinvio a quanto demandato alla contrattazione collettiva
nazionale, individua nelle seguenti materie l’oggetto su cui l’ente locale esercita la
potestà regolamentare:
a) responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative;
b) organi, uffici, modi di conferimenti della titolarità dei medesimi;
c) principi fondamentali di organizzazione degli uffici;
d) procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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e) ruoli, dotazioni organiche e loro consistenza complessiva;
f) garanzia della libertà di insegnamento ed autonomia professionale nello svolgimento
dell’attività didattica, scientifica e di ricerca;
g) disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra impiego nelle pubbliche
amministrazioni ed altre attività e casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi
pubblici.
L’art. 3, comma 56 della L. 24-12-2007, n. 244 (da ultimo sostituito dall’art. 46, comma 3 del D.L.
25-6-2008, n. 112, conv. con modif. nella L. 6-8-2008, n. 133), inoltre, ha previsto che con i regolamenti di cui all’art. 89 siano fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti,
i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a
tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce
illecito disciplinare e determina responsabilità erariale, con obbligo per la P.A. di recuperare le
somme spese dal dirigente responsabile.
Gli uffici di supporto agli organi di direzione politica
Ai sensi dell’art. 90 del D.Lgs. 267/2000 (da ultimo modificato dal D.L. 90/2014, conv. con modif. in
L. 114/2014) il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione
di uffici (cd. uffici di staff) alle dirette dipendenze del Sindaco, del Presidente della Provincia,
della Giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente ovvero, purché l’ente non sia dissestato o versi
in situazioni strutturalmente deficitarie, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato
i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni.
Trattasi, dunque, di strutture di natura politica non necessarie ma solo eventuali, nonché collocate
in posizione servente e subalterna rispetto agli organi di direzione politica.
Il citato D.L. 90/2014 conferma la natura di tali uffici laddove ribadisce il divieto di effettuazione
di attività gestionale per i componenti degli stessi anche nel caso in cui nel contratto individuale
di lavoro il trattamento economico è parametrato a quello dirigenziale, prescindendo dal possesso
del titolo di studio.
Sezione Terza
La disciplina giuridica del rapporto di lavoro
1.Costituzione del rapporto di lavoro
Il rapporto di lavoro si costituisce mediante contratto individuale (art. 35 D.Lgs.
165/2001 e art. 14 CCNL Regioni ed autonomie locali del 6-7-1995).
La disciplina pattizia prevede che il contratto debba essere redatto per iscritto (ma nulla dice nel
caso in cui tale forma non sia rispettata) e indicare:
—
—
—
—
—
tipologia del rapporto di lavoro;
data di inizio del rapporto di lavoro;
qualifica di inquadramento professionale e livello retributivo iniziale;
mansioni corrispondenti alla qualifica di assunzione;
durata del periodo di prova;
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
— sede di destinazione dell’attività lavorativa;
— termine finale, in caso di rapporto a tempo determinato;
— nel caso si tratti di rapporto di lavoro a tempo parziale, l’articolazione dell’orario di lavoro
assegnata.
Obblighi di informazione sono imposti, al datore di lavoro pubblico e privato (D.Lgs.
152/1997) in relazione al contratto di lavoro.
Per la disciplina relativa alla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi si applica l’art. 53 del D.Lgs. 165/2001, modificato da ultimo dal D.L. 101/2013, conv. con
modif. nella L. 125/2013.
Per ogni successiva modifica della prestazione lavorativa va stipulato un nuovo e
apposito contratto individuale di lavoro.
2.I diritti patrimoniali: la retribuzione
Una categoria di diritti del lavoratore, che riveste notevole rilievo, dando inoltre luogo
ad un cospicuo contenzioso, è quella dei diritti aventi natura patrimoniale. Trattasi
del compenso per il lavoro prestato; tale compenso, denominato retribuzione, o stipendio, viene calcolato su base annua ma corrisposto a cadenza mensile; ciò vale in
generale, salvo che per quelle voci del trattamento economico accessorio per le quali
la contrattazione decentrata prevede diverse modalità temporali di erogazione. Inoltre,
essendo esso il corrispettivo per la quantità e la qualità del servizio prestato, viene
commisurato anche al diverso grado di articolazione e specializzazione delle mansioni
svolte ed al grado di responsabilità o di rischio che ogni singolo lavoratore assume a
proprio carico in base all’inquadramento che ha ricevuto all’atto dell’assunzione o del
passaggio alla qualifica superiore.
Per primo, l’art. 28 del CCNL Regioni e Autonomie locali del 6-7-1995 (quadriennio
1994-1997) ha definito la struttura della retribuzione del personale delle amministrazioni
del comparto, suddividendola in trattamento fondamentale e trattamento accessorio.
L’art. 52 del CCNI 14-9-2000, (cd. code contrattuali), ha poi, individuato quattro tipologie di
retribuzione, differenti per la natura dei compensi che ne fanno parte e che si distingono in:
retribuzione mensile, retribuzione base mensile, retribuzione individuale mensile e retribuzione globale di fatto.
All’art. 10 del CCNL 9 maggio 2006 viene fornita la nozione di retribuzione; la stessa riprende
(con le necessarie integrazioni) la suddivisione di cui all’art. 52 del CCNI del 14-9-2000.
La disciplina in generale del trattamento economico è contenuta nell’articolo 45 del
D.Lgs. 165/2001, da ultimo modificato dall’articolo 57 del D.Lgs. 150/2009.
Così come stabilisce il comma 1 del citato articolo il trattamento economico fondamentale ed accessorio (fatto salvo quanto previsto all’articolo 40, commi 3ter
e 3quater, e all’articolo 47bis, comma 1 dello stesso D.Lgs. n. 165) è definito dai
contratti collettivi.
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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Anche a seguito della riforma del 2009 resta fermo il principio stabilito al comma 2
secondo cui le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità
di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai
rispettivi contratti collettivi.
Dal combinato disposto dei commi 3 e 3bis (rispettivamente sostituito ed inserito dall’art. 57 del
D.Lgs. 150/2009) si ricava che i trattamenti economici accessori, definiti dai contratti collettivi
in coerenza con le disposizioni vigenti, devono essere collegati:
a) alla performance individuale;
b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle
unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione;
c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose
per la salute.
3.I diritti non patrimoniali
A) Il diritto all’ufficio
Il diritto all’ufficio, come diritto alla permanenza nel rapporto di lavoro, non comporta
un diritto assoluto e incondizionato di rimanere in servizio, ma comporta la pretesa da
parte dell’impiegato di non essere rimosso dall’impiego, se non nelle ipotesi stabilite
dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
B) Il diritto allo svolgimento delle mansioni
Il CCNL 31 marzo 1999 (Comparto regioni ed autonomie locali) afferma il principio
della piena fungibilità delle mansioni collocate all’interno di una medesima categoria
ovvero dell’esigibilità di tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria in quanto
professionalmente equivalenti (art. 3, comma 2).
Il contratto collettivo richiama la disciplina generale di cui all’art. 52 del D.Lgs.
165/2001 da ultimo modificato dall’articolo 62 del D.Lgs. 150/2009.
In base a quanto dispone l’art. 52 D.Lgs. 165/2001 (come novellato), il prestatore di
lavoro può essere adibito:
— alle mansioni per le quali è stato assunto;
— alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle
corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per
effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35, comma 1, D.Lgs. 165/2001.
L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non
ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di
direzione.
Si tenga altresì presente che le disposizioni dettate dall’articolo 62 del D.Lgs. 150/2009
ai commi 1bis e 1ter sul meccanismo delle progressioni all’interno delle aree funzionali
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
costiuiscono principi generali ai quali Regioni ed enti locali devono adeguare i
loro ordinamenti.
Il già citato art. 3 del CCNL al comma 2 precisa che l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto
di lavoro.
La disciplina delle mansioni prevede anche la possibilità che il dipendente venga adibito a mansioni
proprie della categoria immediatamente superiore, ipotesi ammessa dalla disciplina generale (art.
52 del D.Lgs. 165/2001) soltanto nei casi individuati al comma 2:
a) vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano
state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti;
b) sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione
dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
La contrattazione collettiva (art. 3, comma 3 del CCNL 31 marzo 1999) precisa che
l’ipotesi, qui in esame, costituisce il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo e che, salvo diversa disciplina contrattuale, l’assegnazione temporanea a mansioni
superiori è regolata dalla disciplina generale di cui all’art. 52 citato.
C) I diritti sindacali
Il diritto dei lavoratori di costituire ed aderire ad associazioni sindacali, per la
tutela in forma collettiva dei comuni interessi professionali, nonché quello, collegato,
di svolgere attività sindacali, ed il diritto di sciopero è riconosciuto e garantito nel
nostro ordinamento dalla Carta costituzionale (art. 39 Cost.).
La fonte normativa più importante dopo la Costituzione in materia di libertà e attività
sindacale è la L. 20 maggio 1970, n. 300, meglio nota come Statuto dei lavoratori.
L’art. 42 D.Lgs. 165/2001 richiama tale fonte laddove espressamente stabilisce che
nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle
forme previste dallo Statuto dei lavoratori.
La stessa norma attribuisce, in particolare, ai seguenti due organismi di rappresentanza dei
lavoratori l’esercizio dei diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto:
— le rappresentanze sindacali dei lavoratori (R.S.A.), che possono essere costituite in ciascuna
amministrazione o enti con più di 15 dipendenti dalle organizzazioni sindacali in possesso dei
requisiti di rappresentatività per la contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 43 D.Lgs. 165/2001;
— un organismo di rappresentanza unitaria del personale (R.U.P.), mediante elezioni alle quali è
garantita la partecipazione di tutti i lavoratori. Per la costituzione di tale organismo, è garantita
la facoltà di presentare liste, oltre che alle organizzazioni sindacali dotate di rappresentatività
ai sensi dell’art. 43 D.Lgs. 165/2001, anche alle altre organizzazioni sindacali.
Il contratto collettivo di comparto stipulato l’1-4-1999, infine, riconosce, alla luce dell’art. 9 D.Lgs.
165/2001, ai lavoratori rappresentati dalle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del contratto di comparto e dalle R.S.U., diritti di informazione (art. 7) e concertazione (art. 8, sostituito
dall’art. 6 del CCNL del 22-1-2004), anche relativamente agli atti interni di organizzazione aventi
riflessi sul rapporto di lavoro.
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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D)Il diritto di sciopero
Lo sciopero si configura come una astensione totale e concertata dal lavoro da parte
di più lavoratori subordinati per la tutela dei loro interessi collettivi.
L’effettuazione di uno sciopero, stante la garanzia costituzionale (art. 40 Cost.), costituisce un fatto
giuridicamente lecito e non un’ipotesi di inadempimento contrattuale; l’esercizio del diritto di
sciopero dà luogo alla sospensione bilaterale delle due prestazioni fondamentali del rapporto
di lavoro ovvero della prestazione lavorativa (dal lato dei dipendenti) e della corresponsione della
retribuzione (dal lato del datore di lavoro).
Così come stabilisce l’articolo 40 della Costituzione, l’esercizio dello sciopero deve
avvenire «nell’ambito delle leggi che lo regolano»; tale previsione è stata a lungo
disattesa e solo con la L. 12 giugno 1990, n. 146 è stata introdotta una disciplina legislativa in merito con cui si è inteso «contemperare l’esercizio del diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente
tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione,
all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione».
L’accordo collettivo nazionale in materia di norme di garanzia di funzionamento dei servizi pubblici
essenziali nell’ambito del comparto Regioni ed autonomie locali stipulato il 19 settembre 2002,
individua all’art. 2 le regole da rispettare in caso di sciopero e i servizi da considerare essenziali.
4.Ferie e festività
In base a quanto dispone l’art. 36 Cost., il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non
può rinunziarvi.
Il contratto collettivo del comparto Regioni ed autonomie locali 6-7-1995 riconosce al dipendente
un periodo di ferie di 32 giorni lavorativi (28 in caso di distribuzione dell’orario settimanale in cinque
giorni), ridotto a 30 (o, rispettivamente, 26) giorni per i dipendenti assunti dopo la stipulazione del
contratto collettivo fino a quando non maturino tre anni in servizio.
Le ferie sono fruibili nel corso di ciascun anno solare in periodi compatibili con le oggettive esigenze
di servizio e tenuto conto delle richieste del dipendente.
L’art. 18 CCNL per il periodo 1994-1997 considera giorni festivi le domeniche e gli altri giorni
riconosciuti come tali dallo Stato a tutti gli effetti civili, nonché la ricorrenza del Santo Patrono della
località in cui il dipendente presta la sua opera.
Il giorno di riposo settimanale cade normalmente di domenica e non può essere inferiore a 24 ore.
Il principio della non monetizzazione delle ferie alla luce della spending review
Secondo la disciplina della contrattazione collettiva (art. 18, commi 9 e 16 del CCNL 6 luglio
1995) le ferie non sono monetizzabili, ma all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora
le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio, si procede al pagamento
sostitutivo delle stesse.
Tale previsione contrattuale deve essere coordinata con quanto previsto dall’art. 5, comma 8 del
D.L. 95/2012, conv. con modif. nella L. 135/2012 cd. spending review, disposizione quest’ultima
inderogabile dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
La norma, infatti, per tutto il personale delle amministrazioni (inserite nel conto economico consolidato della P.A., come individuate dall’ISTAT, tra le quali rientrano anche gli enti locali) ha stabilito
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
l’obbligo di fruire (secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti) delle ferie, dei riposi e dei
permessi loro spettanti. Per il personale, ivi compreso quello di qualifica dirigenziale, non si dà
luogo, infatti, in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi.
Sul punto deve, inoltre, essere segnalato che il Dipartimento della Funzione pubblica, con nota n.
32937 del 6 agosto 2012, ha chiarito la portata applicativa della norma con particolare riguardo
all’ambito temporale, ovvero se il divieto si applica anche alle ipotesi di ferie maturate antecedentemente all’entrata in vigore del D.L. 95/2012.
Ciò fermo restando che la «eventuale monetizzazione» per i casi residui può comunque avvenire
nelle limitate ipotesi normativamente e contrattualmente previste.
5.Permessi
A domanda del dipendente sono concessi permessi retribuiti per i seguenti casi da
documentare debitamente (art. 19 del CCNL del 6 luglio 1995):
— 8 giorni all’anno per la partecipazione a concorsi od esami, limitatamente ai giorni
di svolgimento delle prove;
— 3 giorni per evento in caso di lutti per coniuge, parenti entro il secondo grado ed
affini di primo grado;
— 3 giorni all’anno per particolari motivi personali o familiari;
— 15 giorni consecutivi in occasione (ossia nell’immediata prossimità) del matrimonio.
Oltre ai permessi regolati dall’art. 19 CCNL Regioni ed autonomie locali, vanno segnalati i tre giorni
di permesso mensile riconosciuti dall’art. 33, comma 3 L.104/1992 che regolamenta l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. In materia è intervenuta, dapprima la L.
4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro) e, successivamente, il D.Lgs. 18 luglio 2011, n.
119 che ha introdotto importanti limiti per la fruizione di tali permessi, al fine di reprimere eventuali
abusi del dipendente nel loro utilizzo.
Sono, inoltre, fatti salvi gli altri permessi retribuiti previsti da specifiche disposizioni di legge (es.
per testimonianze in cause civili e penali, partecipazione a collegi giudicanti etc.).
Diversi dai permessi retribuiti sono i permessi brevi (art. 20 CCNL 6-7-1995), fruibili per esigenze di tipo personale e che possono essere concessi nei limiti della metà
dell’orario giornaliero di lavoro.
6.Assenze
A) Assenze per malattia
Il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto purché la
malattia non superi i 18 mesi cumulando le assenze degli ultimi 3 anni; in casi particolarmente gravi tale periodo si raddoppia (ma senza retribuzione) previo accertamento
da parte dell’Azienda USL competente al fine di stabilire la sussistenza di eventuali
cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro
(art. 21, commi 1 e 2, modif. con CCNL 14-9-2000 e CCNL del 5-10-2001).
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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L’assenza per malattia comporta una serie di obblighi disciplinati dall’art. 21 del citato CCNL.
La malattia che abbia dato luogo a ricovero ospedaliero o si sia protratta per oltre 3 giorni ove
insorta nel periodo di ferie dà diritto alla sospensione di queste ultime, sempreché il dipendente
documenti la malattia e ne informi tempestivamente l’amministrazione.
Il controllo sulle assenze per malattia
La disciplina di cui sopra deve essere integrata e coordinata con quanto disposto, in via generale, dal
D.Lgs. 150/2009 che al fine di combattere l’assenteismo sul lavoro ha disposto precisi controlli
sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici.
In particolare, è previsto (art. 55septies D.Lgs. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. 150/2009 e modificato da ultimo dal D.L. 101/2013, conv. con modif. nella L. 125/2013) che, in caso di assenza per
malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di
malattia nell’anno solare l’assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica
rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il SSN.
In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica (in proposito
si confrontino le circolari n. 23 del 16 febbraio 2012; n. 4 del 18 marzo 2011; n. 1 del 23 febbraio
2011 e n. 1 dell’11 marzo 2010), direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia,
all’INPS, che, a sua volta, immediatamente la inoltra, con le medesime modalità, all’amministrazione
interessata. L’inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione
medica costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l’applicazione della
sanzione del licenziamento ovvero, per i medici in rapporto convenzionale con le aziende sanitarie
locali, della decadenza dalla convenzione. Il medico o la struttura invia telematicamente la medesima
certificazione all’indirizzo di posta elettronica personale del lavoratore qualora quest’ultimo ne
faccia espressa richiesta fornendo un valido indirizzo.
L’amministrazione dispone il controllo sulle assenze per malattia valutando la condotta complessiva
del dipendente e gli oneri connessi all’effettuazione della visita avuto riguardo il fine di prevenire
l’assenteismo. Il controllo è in ogni caso richiesto sin dal primo giorno quando l’assenza si verifica
nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.
Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche
di controllo e il regime delle esenzioni dalla reperibilità, sono stabilite con decreto del Ministro per
la pubblica amministrazione e l’innovazione.
In questo contesto, è da ricordare anche la disposizione che introduce una nuova ipotesi di reato
(False attestazioni o certificazioni) a carico dei dipendenti pubblici: si tratta dell’art. 55quinquies
D.Lgs. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. 150/2009.
B) Assenze per infortuni sul lavoro o per malattia dovuta a causa di servizio
In tal caso il dipendente ha diritto alla conservazione del posto per il periodo di
comporto e comunque per un periodo di 18 mesi prorogabili per altri 18 mesi in casi
particolarmente gravi, all’intera retribuzione comprensiva del trattamento accessorio.
Per gli infortuni sul lavoro con prognosi superiore a tre giorni, sono previste particolari
formalità a carico dell’Amministrazione, da svolgersi anche con tempestive e dettagliate
comunicazioni all’INAIL e alla Prefettura.
C) Assenze collegate alla maternità ed alla paternità
Al personale dipendente dagli enti locali si applicano le disposizioni vigenti in materia
di tutela della maternità contenute nella L. 53/2000 e nel D.Lgs. 151/2001, T.U. in
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità modificato da ultimo dal
D.L. 179/2012 (conv. con modif. nella L. 221/2012) e dalla L. 228/2012.
La normativa (art. 16 del D.Lgs. 151/2001) prevede un periodo di astensione obbligatoria, cd. congedo di maternità, in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro le
donne e che normalmente si estende ai due mesi precedenti la data presunta del parto
e durante i tre mesi dopo il parto.
Inoltre l’astensione comprende (art. 16 T.U.):
— i due mesi precedenti la data prevista del parto salvo la flessibilità di cui all’art. 20;
— il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto, ove esso
avvenga oltre la data presunta;
— i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20;
— gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data
anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo
di maternità dopo il parto.
Il legislatore prevede anche la possibilità (attraverso gli organismi competenti) di anticipare il
periodo di astensione obbligatoria a 3 mesi dalla data presunta del parto in relazione all’occupazione in lavori che siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli per l’avanzato stato di gravidanza
(art. 17, comma 1 del T.U.) ed altresì di disporre l’interdizione dal lavoro per tutta la durata della
gravidanza nelle ipotesi specificamente individuate dallo stesso art. 17 (commi 3-4 modificati dal
D.L. 5/2012, conv. con modif. nella L. 35/2012), laddove queste si riferiscono:
a) a gravi complicanze della gravidanza o a persistenti forme morbose che si presume possano
essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) a condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino
o anche a svolgimento da parte della donna di lavori pericolosi, faticosi ed insalubri.
Al padre lavoratore è riconosciuto il congedo di paternità, ovvero il diritto ad astenersi
dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità, o per la parte residua che sarebbe
spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di
abbandono o affidamento esclusivo del bambino al padre (art. 28 T.U.).
Per tutto il periodo del congedo di maternità e di paternità spetta alle lavoratrici e/o ai
lavoratori un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione; inoltre, tali periodi
sono computati nell’anzianità di servizi a tutti gli effetti (TFR, ferie etc.).
I congedi per maternità o paternità operano anche in caso di adozione o affidamento. In
proposito l’art. 26 del D.Lgs. 151/2001 (sostituito dall’art. 2, comma 452, L. 24-12-2007,
n. 244) dispone che il congedo di maternità spetta per un periodo massimo di cinque
mesi, anche alle lavoratrici che abbiano adottato o avuto in affidamento un minore.
Il congedo di cui all’art. 26, commi 1, 2 e 3, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice
spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. La stessa cosa avviene per il congedo
di cui all’art. 26, comma 4 (art. 31, D.Lgs. 151/2001, sostituito dall’art. 2, comma
454, L. 24-12-2007, n. 244).
Durante i primi otto anni di vita del bambino, l’art. 32 del T.U. prevede la possibilità
di un congedo della durata massima cumulativa di 10 mesi, fruibile in alternativa
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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dal padre o dalla madre. In particolare il diritto di astenersi dal lavoro (congedo parentale) compete:
— alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità,
per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
— al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso in cui il padre lavoratore
eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato
non inferiore a tre mesi (per cui il congedo complessivo sale a undici mesi);
— qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
Il congedo parentale di cui all’art. 32 del D.Lgs. 151/2001 spetta anche nel caso di adozione
nazionale, internazionale e di affidamento (art. 36, D.Lgs. 151/2001 come sostituito dall’art. 2,
comma 455, L. 24-12-2007, n. 244).
Durante il primo anno di vita del bambino la madre lavoratrice fruisce di due periodi
di riposo retribuiti, anche cumulabili durante la giornata (il riposo è uno solo quando
l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore), della durata di un’ora ciascuno, considerati a tutti gli effetti ore lavorative (art. 39 T.U.). Durante tali periodi la lavoratrice
può uscire dall’azienda (cd. permessi per allattamento).
I periodi di riposo sono riconosciuti al padre lavoratore nelle ipotesi specificamente
individuate dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001.
In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle
ordinarie possono essere utilizzate anche dal padre.
Il D.Lgs. 151/2001, all’art. 54, conferma il divieto assoluto di licenziamento delle
lavoratrici, nonché di sospensione dal lavoro e di collocazione in mobilità, dall’inizio
del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (comma 1).
In caso di fruizione del congedo di paternità, il divieto di licenziamento si applica anche
al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento
di un anno di età del bambino (comma 7).
Deve, infine, essere precisato che le disposizioni dell’articolo 54 si applicano anche
in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un
anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
In caso di adozione internazionale, il divieto di licenziamento opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito
a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento (comma 9, art. 54 sostituito dall’art.
2 del D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).
D)Servizio militare
Ai sensi dell’art. 9 CCNL 14-9-2000 (cd. code contrattuali) la chiamata alle armi per adempiere
gli obblighi di leva, l’arruolamento volontario allo scopo di anticipare il servizio militare obbligatorio, il servizio civile sostitutivo sospendono il rapporto di lavoro, anche in periodo di prova, ed il
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
dipendente ha titolo alla conservazione del posto senza diritto alla retribuzione fino ad un mese
dopo la cessazione del servizio.
La disciplina prevista dall’art. 9 del CCNL 14-9-2000 deve essere necessariamente coordinata
con il nuovo quadro normativo che ha disposto la soppressione del servizio di leva obbligatorio
disposto dalla L. 23-8-2004, n. 226 a partire dal 1° gennaio 2005, legge abrogata dal D.Lgs. 66/2010
(Codice dell’ordinamento militare).
E) Congedi per la formazione
Ai lavoratori, con anzianità di servizio di almeno cinque anni nello stesso ente e con rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, possono essere concessi a richiesta congedi per la formazione
(art. 16 del CCNI del 14-9-2000).
Per la concessione di tali congedi, i lavoratori interessati ed in possesso della prescritta anzianità,
devono presentare all’ente di appartenenza una specifica domanda, contenente l’indicazione
dell’attività formativa che intendono svolgere, della data di inizio e della durata prevista della stessa.
F) Assenza per l’esercizio delle funzioni di giudice onorario o di viceprocuratore onorario
Il CCNL del 22 gennaio 2004 all’articolo 20 attribuisce al lavoratore, autorizzato dall’ente di
appartenenza a svolgere funzioni di giudice onorario o di vice-procuratore onorario di Tribunale,
ai sensi delle disposizioni vigenti, il diritto di assentarsi dal lavoro per il tempo necessario
all’espletamento dell’incarico (comma 1).
7.Aspettativa
Al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato che ne faccia formale richiesta possono essere concessi periodi di aspettativa, per comprovati motivi personali
o di famiglia, per un periodo massimo di dodici mesi in un triennio.
L’aspettativa può essere concessa per varie cause:
—
—
—
—
per comprovati motivi personali o di famiglia (art. 11 CCNL 14-9-2000);
per mandato parlamentare (art. 68 D.Lgs. 165/2001);
per mandato amministrativo (art. 81 D.Lgs. 267/2000);
per mandato sindacale (art. 12 accordo collettivo quadro in tema di utilizzo dei distacchi,
aspettative e permessi sindacali siglato il 10 luglio 1998 e succ. integrazioni);
— per svolgere attività presso soggetti o organismi, pubblici o privati, anche operanti in
sede internazionale (art. 23bis, D.Lgs. 165/2001);
— per dottorato di ricerca o borsa di studio (art. 12 CCNL 14-9-2000);
— per avvicinamento al coniuge che presti servizio all’estero (art. 13 CCNL 14-9-2000).
In argomento si tenga presente che la L. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro) all’articolo
18 ha introdotto una nuova ipotesi di aspettativa che può essere richiesta dai dipendenti pubblici
per avviare attività professionali e imprenditoriali.
Di tale forma di aspettativa il dipendente può usufruire per un periodo non superiore a dodici mesi
e, in tali casi, non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all’art. 53 del D.Lgs.
165/2001 da ultimo modificato dal D.L. 101/2013 conv. con modif. nella L. 125/2013.
L’aspettativa comporta la perdita dell’intera retribuzione e non è utile ai fini del computo dell’anzianità di servizio.
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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8. Le forme flessibili di impiego
L’art. 92 del D.Lgs. 267/2000, al comma 1, consente agli enti locali di costituire rapporti
di lavoro a tempo parziale e a tempo determinato (pieno o parziale) nel rispetto della
disciplina vigente in materia. Lo stesso comma 1 specifica che i dipendenti a tempo
parziale, purché autorizzati dall’amministrazione d’appartenenza, possono prestare
attività lavorativa presso altri enti.
Il comma 2 stabilisce altresì per i Comuni interessati da mutamenti demografici
stagionali, in relazione a flussi turistici o a particolari manifestazioni anche a carattere
periodico, la possibilità di prevedere, con regolamento, particolari modalità di selezione per l’assunzione del personale a tempo determinato. Tale regolamentazione è
ammessa per far fronte ad esigenze temporanee o stagionali di personale ma deve
rispettare i criteri di rapidità e trasparenza ed escludere ogni forma di discriminazione.
Lo stesso Testo Unico richiama l’applicazione dei commi 7 e 8 dell’art. 36 del D.Lgs.
29/1993, confluiti nell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, successivamente modificato ed
integrato più volte.
9.La disciplina delle cause di estinzione del rapporto di lavoro
Il rapporto di pubblico impiego è soggeto a vicende estintive di varia natura, che trovano
la loro origine nella disciplina pattizia, pubblicistica e privatistica.
A) La disciplina pattizia
La cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha luogo:
— per superamento del periodo di comporto in caso di assenza per malattia (art. 21
CCNL 6-7-1995);
— per superamento del periodo di comporto in caso di assenza per malattie dovute
a causa di servizio (art. 22 CCNL 6-7-1995);
— in seguito a licenziamento disciplinare, con o senza preavviso (art. 25 CCNL
6-7-1995, come sostituito dal CCNL del 22-1-2004);
— al compimento del limite massimo di età o al raggiungimento dell’anzianità massima di servizio, quando tale ipotesi sia prevista espressamente come obbligatoria
da fonti legislative o regolamentari applicabili presso l’ente (art. 27ter CCNL 6-71995 come modificato dal CCNL del 22-1-2004);
— per dimissioni del dipendente;
— per decesso del dipendente.
Altre ipotesi di risoluzione previste dal contratto collettivo sono quella, senza obbligo
di preavviso, conseguenziale all’annullamento della procedura di reclutamento,
che costituisce il presupposto della stipula del contratto individuale di lavoro (art. 14).
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Parte sesta La disciplina del pubblico impiego locale
B) La disciplina pubblicistica
Residuano, delle vecchie previsioni contenute nel testo unico sugli impiegati civili
dello Stato, le ipotesi di decadenza dall’impiego:
— per perdita della cittadinanza italiana (e, si deve ritenere, anche della cittadinanza comunitaria, laddove ai cittadini degli Stati dell’Unione europea sia consentito
l’accesso alle pubbliche amministrazioni) (art. 127, comma 1, lett. a D.P.R. 3/1957);
— per avvenuta accettazione di una missione o altro incarico da un’autorità
straniera senza autorizzazione del Ministro competente (art. 127, comma 1,
lett. b D.P.R. 3/1957);
— per mancata cessazione della situazione di incompatibilità tra obblighi di
servizio e attività svolte dal dipendente, nonostante la diffida ricevuta (art. 63
D.P.R. 3/1957, espressamente richiamato dall’art. 53 D.Lgs. 165/2001).
Nell’ipotesi di accertata permanente inidoneità psicofisica del dipendente, la P.A. può
risolvere il rapporto (art. 55octies, D.Lgs. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. 150/2009).
Con D.P.R. 27-7-2011, n. 171 sono disciplinate il procedimento di verifica dell’inidoneità al servizio nonché gli effetti sul trattamento giuridico ed economico conseguente
ai provvedimenti eventualmente adottati.
C) La disciplina privatistica
In base all’espresso richiamo dell’art. 2, comma 2 D.Lgs. 165/2001, sono, infine, estensibili ai rapporti di pubblico impiego le norme del codice civile e delle leggi speciali
sul lavoro nell’impresa.
Si applicherà al pubblico impiego sicuramente il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio, contenuto nella L. 9 gennaio 1963, n. 7, e la tutela
assicurata dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori consistente nella reintegrazione nel
posto di lavoro.
Il diritto del lavoro privato conosce il licenziamento: per giusta causa (art. 2119 c.c.),
che si configura qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche
provvisoria, del rapporto; per giustificato motivo soggettivo (art. 3 L. 604/1966),
determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore
di lavoro; e per giustificato motivo oggettivo (art. 3 L. 604/1966), determinato da
ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa.
Questionario
1. Come si configura giuridicamente il rapporto di pubblico impiego? (Sez. I, par. 1)
2. Nella evoluzione della disciplina del pubblico impiego cosa si intende per «privatizzazione»? (Sez. I, par. 2, lett. B)
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Capitolo 1 Il personale degli enti locali
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3. Qual è l’ambito di applicazione del cd. T.U. del pubblico impiego? (Sez. I, par.
2, lett. C)
4. Come è intesa la trasparenza come strumento di verifica dell’efficienza della
gestione? (Sez. I, par. 4, lett. B)
5. Quale ruolo svolge l’Agenzia di rappresentanza negoziale della P.A. (ARAN)?
(Sez. II, par. 3, lett. A)
6. Quale procedura viene seguita nella formazione dei contratti collettivi? (Sez. II,
par. 4)
7. In cosa consiste il diritto all’ufficio? (Sez. III, par. 3, lett. A)
8. Quali permessi retribuiti spettano al dipendente in base alla contrattazione collettiva? (Sez. III, par. 5)
9. In relazione a quale periodo sussiste il divieto assoluto di licenziamento delle
lavoratrici madri? (Sez. III, par. 6)
10. Quali sono le cause di estinzione del rapporto di lavoro? (Sez. III, par. 8)
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