Cusano Mutri
Cusano Mutri, terra abitata dell’antico Sannio Pentro, è una conca sul versante sudorientale del massiccio del Matese, con depressione minima allo “stretto di Lavello”, mt. 257
s.l.m.. Questa forra, scavata dalle acque del torrente Titerno, che solca l’intera vallata, è anche
l’unico accesso di bassa quota a quest’ultima.
Adagiato su uno sperone roccioso alle pendici del monte Mutria, Cusano Mutri è inconfondibile
per il suo aspetto di centro pedemontano medioevale, arroccato intorno al Castello dei
Colonna, con case strette e bianche per la pietra calcarea, per i vicoletti e le scalinate tortuose,
per le case a strapiombo sulla valle sottostante, per le cortine murarie rette da poderosi archi
acuti ciechi e per i campanili e le cupole che emergono dall'abitato.
Storia
Alcuni tra i più autorevoli storici ritengono che l’attuale territorio di Cusano Mutri corrisponda al
sito dell’antica Cossa dei sannii, distrutta — secondo la narrazione di Tito Livio (XXIV, 22) —
unitamente a Teleria, Mela, Fulfola ed Orbitanio, tutti centri abitati del circondario, nell’anno
202 a.C. dall’esercito del console Q. Fabio Massimo (1).
L'antica Cossa fu conquistata da Carlo Magno nel 774.
Nell' VIII secolo, i benedettini di S. Vincenzo al Volturno si stanziarono nella chiesa di Santa
Maria del Castagneto e nelle campagne sorsero miriadi di nuovi nuclei abitati anche perché la
zona, grazie alla stessa natura del territorio, rappresentava un rifugio sicuro per le popolazioni
limitrofe afflitte dalle incursioni dei saraceni.
Con la monarchia Normanna dei Signori Sanframondo, nel XV secolo, ci fu una notevole
espansione dell'abitato, che, scampato al terremoto del 1688, è rimasto immutato nei secoli. I
Sanframondo detennero il feudo di Cusano fino alla metà del 400; successivamente, nel giro di
un secolo il feudo passò nelle mani di molti feudatari, dai Gaetani, ai Colonna, ai Carafa, ai
Leone.
Il rapido avvicendarsi di queste famiglie suscitò un malcontento nel popolo che insorse nel
1780 e, all'abolizione dei diritti feudali, distrusse il castello.
Con l’unificazione d’Italia, molti luoghi abitati si trovarono in una situazione di
omonimia. Il ministro dell’Interno Caprilo, con circolare del 30 giugno del 1862, pregava i
Comuni in essa elencati affinché deliberassero per l’aggiunta di un appellativo desunto dal sito
in cui l’abitato stesso si trovava (mare, monte, fiume, ecc.)
Cusano scelse lo specificativo di Mutri, dalla sua più alta vetta 1823 mt., la terza della
Campania dopo il Miletto 2050 mt. e il Gallinola 1923 mt., sempre dello stesso massiccio.
Etimologia
Per quanto concerne l’etimologia del toponimo Cusano, va precisato che, esso — pur con
piccole varianti fonetiche e morfologiche — è assai diffuso in Italia, oltre che all’estero, anche
come antroponimo.
Prima di esporre le ipotesi etimologiche dovute a vari studiosi, riportiamo un detto
popolare, privo di fondamento, ma colorito ed ironico. Tale locuzione di antica tradizione, si rifà
al noto episodio delle “Forche Caudine”: un gruppo di soldati romani, riusciti ad evitare i
pesanti calzari sanniti sul sedere, si rifugiarono nella nostra conca, donde vennero chiamati
“Culo sano”, da cui il termine “Cusano”, per contrazione.
Le ipotesi glottologiche fino ad oggi più accreditate sull’etimo del toponimo della nostra
località, sono quattro:
1)
Il termine Cusano deriverebbe dal latino clausus=chiuso, donde l’aggettivale clausanus,
essendo il luogo completamente circondato dai monti.
2)
Il toponimo deriverebbe dal personale latino “Cuscus” (6).
3)
Il vocabolo risalirebbe ad una radice greca -/ (da cui lat. Koph) della lettera del greco
arcaico (“coppa”), derivata — a sua volta — dall’omonima dell’alfabeto ebraico-caldeo (in
grafia, approssimativamente: Q, q; simboli originariamente riportati come stemma di Cusano,
in quanto identificativi del luogo). Questa parola designa una coppa o una conca; ovvero una
valle o anche un lavello (7).
4)
Cusano deriverebbe da Cossa, la città sannitica di cui innanzi; e tanto anche sulla base
della dizione “cosano”, usata in diverse carte geografiche di alcuni secoli fa.
Di conseguenza, a mio avviso, la prima e la terza ipotesi presentano margini di incertezza,se
non di improbabilità.
Pertanto: l’etimo comune a tutte le località anzidette significa “luogo difeso o fortificato”.
Il Monte Mutria (1823m)
Il Monte Mutria è la terza vetta del Matese, e tra le più affascinanti per la bellezza dei luoghi e
dei panorami che offre.
Domina il settore orientale del massiccio, con una cresta che si sviluppa da O verso E per più di
8 chilometri attraverso 7 groppe arrotondate.
La cima, con pascoli ma scarsa vegetazione legnosa è piatta con avvallamenti carsici.
Da tale sommità nasce e prende velocità, la tremenda Bora (Uòria), nota e temuta anche nella
sottostante valle telesina dove viene chiamata “Cusanara”.
Il Mutria era sacro per gli antichi Sanniti: nell'area a nord, non lontano dalle pendici sorsero
vari santuari (tra Guardiaregia e Sepino), necropoli e siti (Sàipins, in loc. Terravecchia).
Racchiuso tra i bracci del Torrente Quirino a nord e quelli del Titerno a Sud, la montagna
alimenta ogni anno, con lo scioglimento delle nevi, numerose sorgenti sia sul versante
molisano che su quello campano.
Un tempo sui lussureggianti pascoli delle pendici settentrionali sostavano le mandrie: un pò più
in basso della Sepino Sannita sorse quella romana di Altilia, ove si incrociavano il tratturo
Pescasseroli - Candela con il tratturello che scende dal Matese, mutandosi entro le mura nel
decumano e nel cardo dell'impianto urbano del sito.
Circondato da fittissimi boschi (alle pendici settentr. sul sentiero che va da Guardiaregia verso
Pesco Rosito sorgono i "Tre Frati", faggi secolari di quasi 500 anni), ma squarciato anche da
impressionanti canaloni e profondi crepacci nudi sul versante Sud, il monte può essere risalito
sia da E che da O.
Etimologia
Sulle carte geografiche alcune volte è scritto “Mutri”, altre volte “Mutria”, ancora oggi non
si sa l’esatta dizione. Questi equivoci erano usuali, poiché nel redigere le approssimative tavole
corografiche dell’epoca, quasi nessuno si avventurava nelle zone interne; limitandosi ad una
passiva riproduzione delle preesistenti notizie, riportando il monte sial al maschile (Mutri) che
al femminile (la montagna Mutria), in base ad interpretazione personale.
Per quanto concerne l’origine del toponimo “Mutri/Mutria”, mentre la derivazione appare
incerta, il significato è: “superbo, altezzoso, corrucciato”, che ben si addice all’aspetto del
monte.
Come vedremo Mutri o Mutria è una corruzione della originaria denominazione; che era
Mutilo (in dialetto Mutilie), nome diffuso sin dall’antichità nel nostro Sannio Pentro anche come
antroponimo. Basti ricordare l’embratur C. Papio Mutilo comandante in capo dell’esercito nella
Guerra Sociale (anni 91 e seg. A.C.).
Il significato del termine è lineare: mutilato, monco, tronco, come la nostra montagna. La
sua etimologia è parimenti chiara: dal greco / =monco.
Flora:
La flora e fauna del Mutria sono molto diversificate, assai più che sulle altre cime del Matese:
le genziane, i gigli di S. Giovanni, l' aquilegia, i nontiscordardime e le numerose specie di
orchidee selvatiche dipingono prati e i pascoli con tavolozze dalle ricchissime sfumature; i lecci,
aceri e tassi delle pendici e forre cedono il passo a imponenti faggete e queste ai prati delle
groppe sommitali.
Fauna:
La ricca idrografia e vegetazione rendono possibile la riproduzione di numerose specie di
mammiferi (lupo, volpe, martora, tasso, gatto selvatico, scoiattolo); tra i rapaci c'e' la rara
Aquila Reale, che nidifica sia più ad ovest nel Vallone dell'Inferno che sul Mutria stesso, e
caccia in un ampio areale tra questa montagna e il Lago Matese. Nelle faggete che salgono dal
Molise, da Bocca della Selva e dal Pesco Rosito, è relativamente facile imbattersi nella
Salamandra Pezzata e nella Vipera Comune.
Geologia:
Il massiccio del Matese è un importante gruppo montuoso composto da una quindicina di vette
di forma e grandezza differenti, allungato per circa cinquanta chilometri al confine tra il Molise
e la Campania settentrionale.
Si tratta di una unità morfologica molto ben individuata nell'ambito dell'Appennino centro meridionale e risulta abbastanza nettamente delimitata dal corso dei fiumi Tammaro e Biferno.
L'assetto e il modellamento attuale del massiccio sono regolati da fattori tettonici, dalla
costanza della litologia, rappresentata essenzialmente da facies calcaree stratificate anche in
grosse bancate, frequentemente di spessore superiore ai due metri, e dagli effetti degli
incessanti fenomeni di erosione.
La sua conformazione morfologica è quella tipica di un vasto altipiano carsico, diviso
longitudinalmente in due dorsali principali, separate da un solco centrale caratterizzato da
pianori e conche carsiche, quali le piane del Lago Matese e di Letino; la dorsale più importante
, con le vette più elevate, quali Monte Miletto (2050 metri), Monte La Gallinola (1923 metri) e
Monte Mutria (1823 metri), è quella nord - orientale.
Il massiccio del Matese è costituito da una successione di calcari e calcari dolomitici fossiliferi e
l'alta solubilità dei carbonati che costituiscono queste rocce ha determinato una fitta rete di
cavità ipogee, specialmente in corrispondenza dei piani di fratturazione e/o di stratificazione
delle rocce.
Il paesaggio carsico è quindi caratterizzato dalla presenza di forme sia superficiali, quali doline,
puli e campi solcati, che sotterranee quali grotte ed inghiottitoi, e dalla complessità idrologica
sotterranea, con corsi d'acqua che si formano e poi improvvisamente scompaiono nel
sottosuolo.
Carsismo
Con il termine di carsismo si indica l'attività chimica dell'acqua, soprattutto su rocce calcaree,
ad opera di precipitazioni rese leggermente acide dall’anidride carbonica presente
nell’atmosfera.
Il processo
Il carsismo si sviluppa principalmente a seguito della dissoluzione chimica delle rocce calcaree.
Il processo rientra nel grande insieme delle azioni di disgregazione compiute dagli agenti
esogeni a spese delle rocce affioranti sulla crosta terrestre.
La corrosione avviene per opera delle acque meteoriche che, contenendo disciolta al loro
interno una certa quantità di anidride carbonica atmosferica, intaccano la roccia calcarea,
asportando in particolare il carbonato di calcio.
Con il passare del tempo l'acqua piovana, talora localmente acidificata dall'azione biologica,
discioglie la roccia, sia superficialmente che in profondità, infiltrandosi per vie di penetrazione
spesso impostate sul linee di frattura o di faglia.
Il complesso fenomeno chimico della dissoluzione carsica può essere così sintetizzato:
CO2 + H2O + CaCO3 -> Ca(HCO3)2
Contrariamente al carbonato di calcio (CaCO3) praticamente insolubile, il carbonato acido di
calcio (Ca(HCO3)2) si dissocia in acqua in ioni Ca++ e HCO3- che vengono asportati dall'acqua
dilavante.
Il materiale non disciolto (es. silice e ossidi metallici) vanno a costituire i cosiddetti depositi
residuali, sovente associati alle forme carsiche.
L'evoluzione del carsismo procede in profondità creando cavità ipogee, arrestandosi solo al
contatto con rocce non sottoposte, per contenuto mineralogico, al fenomeno di dissoluzione
carsica.
Dal punto di vista geochimico vengono interessati dal processo minerali carbonatici quali
primariamente la calcite e l'aragonite, ma anche in misura minore la dolomite. Forme di
dissoluzione simili, ma che si attuano in modo chimicamente diverso, possono anche formarsi a
spese di formazioni gessose e saline; tali forme vengono spesso ricomprese nel fenomeno
carsico, anche se a rigore non subiscono il processo di dissoluzione sopra descritto.
L'azione corrosiva dipende dalla natura della roccia, dalla temperatura media stagionale e dalla
presenza di precipitazioni. Ecco perché i terreni carsici si trovano prevalentemente nella fascia
climatica temperata, dove le condizioni atmosferiche sono più favorevoli, sia per le
temperature che per la quantità di precipitazioni. All’infuori di questa fascia il carso si trova
solo sporadicamente.
Le forme
Dissolvendosi, le rocce calcaree danno luogo a forme caratteristiche sia nell'ambiente esterno
sia nel sottosuolo.
Il paesaggio carsico è privo di rete idrografica superficiale.
In geomorfologia si suole distinguere in carsismo superficiale e carsismo ipogeo.
Forme del carsismo superficiale
Le forme del carsismo superficiale, vengono classificate, in base alla scala del fenomeno, in
microforme e macroforme.
Tra le microforme, si annoverano le scannellature, i "campi solcati" o "campi carreggiati"
(karren in tedesco, lapiez in francese), le docce (dei solchi più ampi), le vaschette di corrosione
(in sloveno kamenitza), i fori e gli alveoli.
Tra le macroforme più importanti si ricordano doline, polje, inghiottitoi e valli carsiche.
Sovente scivolano al loro interno anche variabili quantità di terreno. Con ciò altra anidride
carbonica può aggiungersi al flusso corrosivo dell’acqua.
Molto noto tra i polie, per fare un esempio, è il Cerkniško jezero in Slovenia, che da quasi due
secoli viene studiato da scienziati provenienti da tutto il mondo.
Forme del carsismo ipogeo
Le grotte sono senza dubbio le forme più conosciute, ma esistono anche cunicoli più o meno
estesi, come quelli percorsi da fiumi sotterranei (es: il Timavo) che scompaiono dalla superficie
terrestre sprofondando nel sottosuolo dove scorrono anche per parecchio tempo prima di
tornare all’aperto (risorgive carsiche).