Le voci della scienza MARGHERITA HACK 18 aprile 2008

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Le voci della scienza
MARGHERITA HACK
18 aprile 2008
Trascrizione dell’intervista
NOTE TECNICHE E CRITERI DI TRASCRIZIONE
Questo documento scritto è una derivazione del documento originale, che è da considerarsi la registrazione
audiovisiva conservata presso gli archivi del Museo su supporto MiniDV in formato SD PAL 720x576.
Esso ha unicamente lo scopo di indicizzare e rendere fruibile il contenuto del documento audiovisivo originale.
La trascrizione è letterale; eventuali discordanze da una trascrizione verbatim sono introdotte allo scopo di
favorire la leggibilità.
I principali criteri di realizzazione sono:
inserimento di punteggiatura;
eliminazione di parole incomplete e interiezioni ridondanti;
redazione del testo delle domande;
codici di tempo inseriti all’inizio di ciascuna risposta (approssimati al secondo e riferiti al timecode
impostato sul filmato originale).
Intervista raccolta il 18 aprile 2008 a Trieste, presso l’abitazione di Margherita Hack alla presenza di Fiorenzo
Galli, Direttore Generale del Museo; a cura di Simona Casonato. Trascrizione di Lorenza Moneta.
Si può presentare al pubblico del museo?
[00:48] Buongiorno, sono Margherita Hack. Sono un'astrofisica, cioè un fisico che studia la
natura fisica dei corpi celesti, la loro temperatura, la loro densità, le fonti di energia, e come
si svolge la loro vita.
Che cosa ha significato per lei, dal punto di vista umano, essere uno scienziato?
[01:10] Essere uno scienziato è un lavoro come un altro: un lavoro più divertente, un lavoro
per cui in fondo si può dire che siamo pagati per divertirci; perché la scienza è un lavoro
divertente, incuriosisce, prende! Quando si ha un problema da risolvere ci si pensa anche la
notte, e a volte di notte vengono le idee migliori. Quindi credo che io ho avuto fortuna, nel
poter – dopo la laurea – seguitare a fare ricerca.
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
Quali sono le doti necessarie per svolgere la professione dello scienziato?
[01:50] Intanto bisogna avere attitudine alla matematica, alla fisica, a tutte le materie
scientifiche, che sono alla base della ricerca. E bisogna anche avere costanza, perché spesso
si intraprende una ricerca e poi ci si accorge che non si va da nessuna parte.
Spesso ci sono delle delusioni, degli errori: quindi non bisogna scoraggiarsi, bisogna avere
molta costanza, e anche un certo intuito, quella che si chiama immaginazione scientifica.
A volte si trova un risultato che sembra strano: alcuni pensano che sia un errore, che sia uno
sbaglio, e lo buttano via.
A volte, in questi risultati, c'è una scoperta: non sempre una grande scoperta. Ma,
comunque: nel nostro lavoro, quello che facciamo – nel 90% dei casi – è di portare un
piccolo tassello avanti nella conoscenza. Le grandi scoperte avvengono di rado.
Molto dipende dal carattere delle persone, dei giovani, che incominciano questa carriera: gli
consiglierei di non scoraggiarsi, di avere costanza, di insistere, di leggere i lavori fatti dagli
altri. Quando si intraprende una ricerca è molto importante andare a vedere quello che è
stato fatto prima. Io lo chiamo il “concime della mente”, perché quando si legge quello che
hanno fatto gli altri, vengono anche molte idee.
Che cosa pensa dell’immagine degli scienziati?
[04:01] Io non me ne sono mai preoccupata, dell'immagine. Credo di essere come mi sento
di essere, come sono sempre stata. Io ho ottantasei anni, però se devo dire che mi sento
diversa da quando ne avevo diciotto, no. A parte il fisico, che non risponde più come allora,
però mi sento con la stessa voglia di vivere, di divertirmi, di lavorare, di godermi anche la
vita, una bella giornata di sola o di farmi una bella passeggiata col cane.
Nell'immaginario collettivo, lo scienziato è visto come una persona distante dalle
faccende umane. Che cosa ne pensa?
[04:50] Io credo che sia un'immagine un po’ distorta, perché in fondo gli scienziati sono
persone come tutte le altre. Come in tutti gli altri tipi di lavoro, c'è chi si dà arie e si tiene
distaccato, e c'è chi invece parla volentieri, comunica volentieri. Si tratta del carattere delle
persone, più che del mestiere di scienziato, di politico, di letterato. Se uno vede lo scienziato
come uno che sta chiuso nella torre d'avorio, che non comunica con nessuno, oltre ad essere
antipatico, fa ritenere che la scienza sia qualche cosa di estremamente difficile,
irraggiungibile. Mentre le esperienze scientifiche le facciamo tutti i giorni, in casa, nella vita
comune. Anche guardando una pentola che bolle facciamo della scienza.
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
Che significato ha per lei la divulgazione scientifica?
[06:05] Nella divulgazione… Ho trovato che divulgando, per far capire concetti difficili a chi
non è del mestiere, bisogna averli capiti molto bene. Quindi, quando ho incominciato a
divulgare, mi è stato molto utile, perché arrivavo a capire quello che non avevo capito, o
avevo capito molto superficialmente. Direi che la divulgazione è stata più utile a me che a
coloro che la ricevevano. D'altra parte fa piacere di potere far capire quello che si fa, anche
perché spesso ci scambiano per astrologi, per maghi. Addirittura mi hanno chiesto se
leggevo la mano. E quindi fa piacere di far capire in che cosa consiste il nostro lavoro.
Oppure mi dicono: ah, ma lei guarda sempre le stelle! Già: si immaginano che un astronomo
sia sempre a naso in su a guardare le stelle.
Ora, a guardare le stelle forse venti secoli fa si imparavano tante cose. Oggi, a guardarle si
impara poco: bisogna usare mezzi molto più complessi. Quindi, cerco di spiegare che quello
che facciamo è di analizzare la luce delle stelle, perché nella luce dei corpi celesti è racchiusa
un'enorme quantità di informazioni. Incredibile; anzi mi meraviglio a volte a pensare che da
stelle così lontane, così deboli, ci arriva un po’ di luce. E semplicemente analizzandola –
scomponendo cioè la luce bianca nelle sue componenti monocromatiche – ci troviamo tante
di quelle informazioni, sulla temperatura, sulla densità, sulla composizione chimica, sui moti
della stella nel suo insieme, sui moti nell'atmosfera della stella, sulle fonti di energia.
Naturalmente, per interpretare tutti questi dati, occorre una grande quantità di conoscenze
di fisica: si può dire che tutta la fisica viene utilizzata per interpretare gli spettri dei corpi
celesti, cioè la luce scomposta nelle sue componenti monocromatiche.
Qual è il rapporto tra scienza e tecnologia nella sua professione?
[08:40] In generale, non c'è bisogno di conoscere a fondo la tecnologia. In generale è un po’
come chi guarda la televisione e ascolta la radio, e la ascolta e la guarda senza sapere come
funziona. Quindi spesso, queste macchine che utilizziamo, sappiamo come si adoperano,
sappiamo quello che vien fuori, però non è che conosciamo a fondo come è fatto e come
funziona. Naturalmente, anche questo dipende dalle persone: c'è chi ha più interesse per la
parte tecnologica, certo è importante anche sapere quanto si può fare affidamento sui
risultati che vengono dalla macchina. Quindi una certa conoscenza ci vuole, ma non è che si
possa conoscere a fondo tutti i dettagli. Tanto più che oggi i telescopi sono talmente
complessi che sarebbe impossibile conoscere a fondo, in tutti i suoi dettagli, come funziona.
Ma all'ingrosso, bisogna sapere.
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
Che rapporto c'è tra scienza e tecnologia, in generale?
[10:00] La scienza cerca di capire quelle che sono le leggi che regolano la natura, che
regolano l'universo, che regolano il nostro corpo. La tecnologia applica le scoperte della
scienza a fini pratici. Credo che sia essenzialmente questa la differenza tra scienza e
tecnologia. La tecnologia inventa strumenti più adatti a risolvere o affinare certe osservazioni
o certi esperimenti fatti dallo scienziato. Quindi c'è una stretta correlazione tra scienziato e
tecnologo. Però, mentre la scienza non deve avere limiti, deve indagare per la curiosità di
indagare, per la curiosità di conoscere le leggi della natura, la tecnologia applica la scienza, e
quindi la tecnologia dovrebbe usare queste applicazioni per il bene dei viventi, e non per
distruggerli.
Per uno scienziato, quanto conta l'approccio interdisciplinare?
[11:30] È importante per ogni essere umano. Noi viviamo in un mondo che è fatto di
scienza, è fatto di politica, è fatto di sport… quindi uno ha tanti interessi. Certamente lo sport
è molto importante: lo sport fatto, non solo quello guardato.
Lo sport agonistico, per me, è stato molto importante, perché anche la scienza l'ho affrontata
un po’ come uno sport; come una gara, come il voler riuscire a fare e trovare delle risposte a
determinati problemi. Anche qui una grossa spinta è la voglia di vincere, di arrivarci prima
degli altri. È umano: quando si fa un lavoro che piace, si vuole riuscire a farlo, a farlo bene
ed emergere. E questo è lo sport.
Lei ha sostenuto che spesso gli scienziati seguono delle “mode”. Ci sono state
occasioni perdute a causa di questo atteggiamento?
[12:58] Mode ci sono, e dipendono anche dalla disponibilità dei mezzi. C'è stato un periodo a
fine Ottocento, inizi Novecento, in cui era molto di moda studiare il sole. Il sole è una bella
stellona grossa, vicina, e quindi anche con strumenti relativamente limitati si poteva avere
tante informazioni sulla natura fisica del sole, era un po’ una stella-cavia per capire anche il
comportamento delle altre stelle. Poi, sebbene ci siano ancora molti problemi aperti sul sole,
è passato di moda. Oggi sono pochi gli scienziati che si dedicano esclusivamente al Sole,
perché se ne sa già molto e quel tanto che non si sa, sono fenomeni più limitati, che
interessano meno; e gli strumenti più potenti hanno aperto nuovi campi, la possibilità di
studiare anche le stelle più deboli, quindi il panorama si è molto allargato ed è venuto di
moda in tutto il Novecento lo studio delle stelle, la struttura dell'evoluzione delle stelle.
Partendo dal sole il campo si è molto allargato ed i mezzi a disposizione permettevano di
studiare stelle anche molto più deboli che prima non erano accessibili.
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
Quindi è venuta molto di moda la spettroscopia stellare. Io sono spettroscopista stellare. Ho
cominciato con la tesi di laurea a studiare gli spettri di alcune stelle, e in fondo tutta la mia
vita ho studiato gli spettri delle stelle. Prima da terra; poi, con telescopi spaziali, ho potuto
utilizzare gli spettri in altre zone dello spazio elettromagnetico, che venivano assorbite
dall'atmosfera, come l'ultrarosso, l'ultravioletto.
Però, nella seconda metà del Novecento, ecco che avendo a disposizione strumenti sempre
più potenti, anche oggetti così deboli e lontani come le galassie diventavano più accessibili:
quindi ecco la moda delle galassie, che è venuta a sovrastare lo studio delle stelle, quindi
direi strettamente legata alla disponibilità dei mezzi di osservazione. Ora, studiare le galassie
vuol dire anche studiare l'universo nel suo insieme, quindi la cosmologia.
Poi ci sono state osservazioni nella seconda metà del Novecento, sui primi stadi di vita
dell'universo; la fotografia dell'universo bambino che si è potuta ottenere per la prima volta
nel '65; poi con strumenti sempre più raffinati. Questo ci ha fatto capire che si riesce a
vedere come era fatto l'universo fin quasi dagli inizi, quindi un argomento estremamente
affascinante è naturale che sia venuto di gran moda. Non solo, ma le condizioni dell'universo
primordiale sono quelle che si ricreano negli acceleratori di particelle; quindi si arriva ad
avere questo incontro tra gli astrofisici che studiano gli oggetti più grandi e più lontani
dell'Universo con i fisici delle particelle, che addirittura cercano di ricreare le condizioni
dell'Universo primordiale nelle macchine acceleratrici.
Ci sono campi che prima non erano esplorabili e che poi diventano esplorabili, e quindi tutti
ci si buttano sopra. Anche se forse sarebbe meglio, in certi campi, non lasciarli a mezzo,
perché presentano ancora molti problemi da risolvere. Si lasciano da parte, perché c'è un
campo ancora più interessante: in questo senso è una moda.
D'altra parte, ora c'è per esempio questa grande curiosità di vedere entrare in funzione
l’LHC, il Large Hadron Collider, a Ginevra, perché si spera di trovare una particella, che si
chiama il bosone di Higgs, che dalla teoria, dal modello standard per le particelle si suppone
che sia quella che dà la massa a tutte le altre. Allora io dico: se dà la massa a tutte le altre, è
il creatore dell'universo. Allora se è il creatore dell'universo, è un Dio come quello
immaginato dai filosofi o dagli scienziati: un Dio creatore, che però se ne frega
completamente delle creature che ha creato. Quindi io ho trovato: bosone di Higgs uguale
Dio. È la mia scoperta! [ride, n.d.r.].
Qual è il rapporto tra fisica e metafisica, tra osservazione e speculazione? Se lei
nascesse oggi e avesse ora la carriera davanti, riuscirebbe a immaginarsi che tipo
di ricerca farebbe tra cinquant’anni? Si lavorerà ancora così?
[19:40] Penso di sì, perché la scienza procede in questo modo. Credo che tra cinquant’anni
un grosso problema sarà quello di capire nel dettaglio come si è originato l'universo: se si è
originato, se è stato davvero un inizio, il Big Bang, o se l'universo è sempre esistito e se il Big
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Bang è solo un cambiamento di condizioni fisiche dell'universo. Io credo che questi sono
problemi in gran parte metafisici, ma che la fisica delle particelle in parte può risolvere.
Credo però anche che, oggi, ho l’impressione che molte teorie di fisici e astrofisici sono molto
ardite e forse anche poco prudenti. Penso a certe domande che si fa: se le energie si
potranno sviluppare nell' LHC, se si potrà ad esempio viaggiare nel tempo.
Questo mi sembra a me che sia un po’ fantascienza. Può darsi che mi sbagli ma, quando si
incomincia a parlare di spazio-tempo che si avvoltola; di buchi che si possono fare nello
spazio-tempo, per andare avanti o indietro nel tempo; beh, qui credo che si faccia viaggiare
un po’ troppo la fantasia. Però a volte le scoperte avvengono anche di qua, quindi: chi lo sa!
Lei personalmente si sente soddisfatta di quello che ha fatto o vorrebbe ancora
fare qualcosa?
[21:28] Beh… no! Io ho un carattere per cui mi contento di quello che ho, perciò forse son
felice. Ho fatto un lavoro degno, niente di straordinario, ho risolto dei problemi, piccoli
problemi, nulla a che fare con la grande cosmologia e le grandi risposte. Ho risolto, spiegato,
il funzionamento di certe stelle un po’ strane e mi sono divertita a farlo. Ho utilizzato gli
strumenti più moderni, che erano i telescopi spaziali: ormai mi diverto più a divulgare, forse
perché oggi posso far altro. Però mi diverto. E forse questo è fondamentale.
Il risultato che mi rende più soddisfatta è quello di avere previsto un vent'anni prima una
soluzione per una stella molto strana: una stella doppia che si chiama Epsilon Aurigae, nella
costellazione dell'Auriga, e che è formata da una stella molto più grossa del sole e poco più
calda, e che subisce delle eclissi ogni ventisette anni da parte di un compagno, che però
nessuno ha mai visto e che ha delle proprietà molto strane. In generale, queste portano a
delle diminuzioni di luce, perché questo corpo passa davanti alla stella visibile e porta via
della luce e porta via luce in maniera diversa a secondo dei diversi colori, delle diverse
lunghezze d'onda. Invece, in questo caso, la diminuzione era uguale a tutte le lunghezze
d'onda e questo poneva dei grossi problemi. Era stata data una spiegazione nel '27 da un
gruppo di astrofisici americani, postulando che la stella eclissante fosse una gigante rossa,
cioè una stella molto più grande e più debole della stella visibile, e che la diminuzione di luce
fosse dovuta all'atmosfera estesa di questa stella, che si sarebbe comportata come un corpo
grigio, cioè un corpo che assorbe ugualmente tutti i colori, mentre di solito le stelle hanno
una certa temperatura, emettono di più o di meno le varie lunghezze d'onda, assorbono di
più o di meno le varie lunghezze d'onda. Io ho avuto l'opportunità di studiare delle
osservazioni fatte a Monte Palomar di questa stella visibile e, da certe caratteristiche dello
spettro, avevo dedotto che ci doveva essere una compagna molto piccola e calda, che non si
vedeva perché, essendo piccola, era meno luminosa della stella visibile, ed essendo molto
calda emetteva soprattutto ultravioletti che venivano assorbiti dalla nostra atmosfera. Questa
ipotesi l'ho fatta nel '57, quando ancora l'era spaziale non era incominciata. E quindi per
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avere una risposta se avevo ragione o no, bisognava osservarla nell'ultravioletto, perché
nell'ultravioletto si sarebbe potuta vedere ‘sta stella, questa stellina compagna. E questo l'ho
potuto vedere nel '78, quindi ventuno anni dopo, quando è stato lanciato un satellite, in
collaborazione tra la NASA e l'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea, che era l’International
Ultraviolet Explorer, nato proprio per osservare gli spettri ultravioletti delle stelle.
Quindi la prima stella che ho studiato è stata questa qui. Se c'era la compagna calda, dopo
un po’ avrei dovuto vedere apparire sullo schermo lo spettrino luminoso di questa stellina
invisibile. Se invece non c'era, non avrei visto nulla, perché la compagna era troppo fredda
per emettere in maniera apprezzabile l'ultravioletto. E quindi aspettavo con ansia di vedere il
risultato. E poi ‘sta strisciolina è apparsa. E ventun’anni dopo ho avuto conferma di questa
mia ipotesi, che spiegava un sistema unico, perché solo questa c’ha queste caratteristiche; e
che era rimasto insoluto per trent’anni. Per mezzo secolo anzi, perché le prime osservazioni
erano incominciate nei primi del Novecento.
E quindi ci vuole anche molta pazienza.
[26:30] Beh, non è che aspettassi quella. Quando è arrivato il satellite ho pensato di
approfittarne. D’altra parte, sa, gli astronomi spesso risolvono problemi utilizzando addirittura
osservazioni del secolo scorso, dell’Ottocento, del Settecento: ad esempio le stelle nove, le
supernove. Ad esempio, la Nebulosa del Granchio è una supernova che esplose nel 1060, mi
sembra, e fu osservata dai cinesi, e tutte le osservazioni dei cinesi ci dicevano che quella
doveva essere effettivamente una supernova. Andando a guardare in quella posizione
indicata dagli astronomi cinesi mille anni fa, si è trovata questa nebulosa. Questa nebulosa si
sta espandendo, noi si può misurare la velocità di espansione. Mille anni fa era ridotta a un
puntino: cioè a dimensioni caratteristiche di una stella. Quindi si è poi potuto trovare che al
centro di questa nebulosa c'è una stella di neutroni, cioè quello che la teoria supponeva
fosse quello che restava dell'esplosione di una supernova.
Quindi utilizzando questa osservazione di mille anni fa, si è potuto ricostruire e avere dati
osservativi della storia di tutta questa stella, a conferma delle nostre teorie sulle supernove.
Altro che pazienza: mille anni!
A che cosa serve un museo scientifico?
[28:30] Io non è che abbia tanta esperienza di musei scientifici. Però penso che un museo
scientifico avvicina alla scienza tante persone, che magari di scienza non hanno mai sentito
parlare. In particolare, sono importanti i musei moderni, in cui addirittura i visitatori possono
fare esperimenti, possono mettere le mani sugli strumenti, e quindi interattivi. Penso che
siano un primo passo per avvicinare a una scienza, a una scienza che è sempre poco
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
valutata in Italia. Guardavo proprio in questi giorni, che si incomincia a fare il toto-ministri.
Questa volta, ma purtroppo anche le volte precedenti, anche quando ha vinto il governo di
centro sinistra, nel toto-ministri si parla di tutti: degli interni, degli esteri, della giustizia, delle
pari opportunità, dei beni culturali... però della scuola e dell'università tutti se ne
dimenticano. Oppure, come ho letto oggi, per la scuola si pensa addirittura a Bondi, per
l'università non se ne parla. L’università e la ricerca sono quisquiglie, chi se ne frega... ci
sono tante cose più interessanti.
Lei non trova strano che la scienza non sia considerata nei beni culturali?
[30:00] Beh, i beni culturali sono un po’ diversi. Beni culturali vuol dire curare tutti i musei, le
opere d'arte, tutto quello che abbiamo in Italia, certamente sono importanti. Però, far ricerca
è una cosa non passiva, ma proprio di... Si parla tanto di innovazione: ma per fare
innovazione bisogna fare la ricerca prima di tutto.
Che cosa pensa del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano?
[30:30] È molto interessante, penso che sia un grosso fiore all'occhiello di Milano. So che ci
va moltissimi studenti, moltissime scuole: quindi fa quel passo necessario perché una buona
percentuale dei bambini e dei ragazzi che visitano il museo incomincino a chiedersi che cosa
è la scienza, a che cosa serve, tanti dicano "ma vorrei fare lo scienziato", ed intanto
incominciano ad incuriosirsi di quello che è la scienza e di come questa scienza ha progredito
nel corso dei secoli.
Quale oggetto che rappresenta il suo lavoro vorrebbe esporre al Museo?
[31:20] La risposta più semplice sarebbe di metterci qualche strumento spaziale: il telescopio
spaziale. Altrimenti le immagini, le più stupefacenti: l'immagini dell'universo bambino, quelle
sono state davvero strabilianti. Forse metterei quelle.
Un'altra cosa che ha colpito l'immaginazione è stata la scoperta del primo pianeta extrasolare, quindi rendersi conto che fino al 1990 si supponeva che esistessero altri sistemi
planetari, però non ci si aveva nessuna prova. Dal '90 ad oggi abbiamo già scoperto qualcosa
come duecento e passa pianeta extra-solari. Ci rendiamo conto che i sistemi planetari sono
molto abbondanti nell'universo e questo risponde anche alla curiosità se siamo soli
nell'universo. Pensare di esser soli, oggi, equivarrebbe un po’ a tornare ai tempi
dell'antichità, della Bibbia, quando si pensava che la Terra fosse al centro dell'universo, fatta
da Dio per gli uomini. Vorrebbe dire pensare che la Terra è stata fatta, unica e sola, per noi.
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Trascrizione dell’intervista a Margherita Hack
Oggi sarebbe assurdo: solo nella nostra galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle,
nell'universo ci sono centinaia di miliardi di galassie, ciascuna con centinaia di miliardi di
stelle... pensare che sia solo la terra il pianeta adatto allo sviluppo della vita sembra
veramente assurdo. Anche se, ancora oggi, è molto difficile capire come la vita si sia
sviluppata: le condizioni per una vita elevata sono molto restrittive.
Però ci sono miliardi, miliardi, miliardi di pianeti. Resteremo sempre soli, perché le distanze
sono enormi; però è impossibile pensare che siamo l'unica civiltà, l'unico pianeta che ospita
degli esseri viventi.
Quali attività divulgative potremmo intraprendere per avvicinare i ragazzi alla
scienza?
[34:20] Io credo che bisognerebbe non solo puntare su tutto ciò che di fantascientifico ci dà
l'astronomia, ma proprio cercare di fargli vedere, fargli fare piccole esperienze: vedere come
è uno spettro di stella, come si interpreta, fargli vedere come si lavora, partendo dalla
manovalanza. Altrimenti uno resta affascinato... belle le stelle, la cosmologia, i buchi neri,
però rimangono parole che colpiscono la fantasia. Si dovrebbe proprio… Capisco che è
difficile: bisognerebbe proprio farli lavorare con le loro mani, fargli vedere come si arriva a
tutti questi risultati.
Qual è il suo primo ricordo scientifico?
[36:55] Da piccola c'era il babbo mio che leggeva libri di divulgazione scientifica e mi
insegnava la differenza tra stelle e pianeti, mi faceva vedere le stelle coi pianeti più visibili e
più brillanti; ma molto più di questo non ricordo. Poi a scuola di scienza se ne faceva molto
poca. Anche al liceo: io ho fatto il classico, gli esperimenti scientifici li faceva il tecnico e li
faceva vedere a tutta la classe. Si capiva ben poco. Al liceo erano però le materie che mi
piacevano di più, fisica e matematica. Però, di lavoro scientifico...
Mah, ho fatto più che altro il lavoro tecnologico, perché mi è sempre piaciuto armeggiare con
le mani. Costruivo navi, smontavo e rimontavo la bicicletta, mi piaceva giocare col meccano.
Quindi facevo più una ricerca tecnologica che scientifica. Sapevo utilizzare molto bene seghe,
martelli, chiodi, cacciaviti, dadi... ma proprio un vero interesse scientifico, no.
Mi è venuto solo alla fine del liceo e poi all'università: al liceo mi piaceva la fisica e poi
all'università ho incominciato a studiare con piacere ed interesse, e non perché dovevo farlo.
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Oggi una donna scienziata è vista ancora come un eccezione?
[39:15] Ci sono tanti pregiudizi che risalgono anche all'educazione. Se si pensa, all'inizio del
Ventesimo secolo, le donne non erano ammesse al liceo e all'università, quindi non avevano
modo di fare scienza. Credo fare scienza bisogna aver per forza un'educazione, una
preparazione di matematica e di fisica, che non è così necessaria nelle materie letterarie. Se
uno ha fantasia, attitudine a scrivere, probabilmente, anche senza una grande preparazione,
può diventare un grande scrittore, una grande scrittrice.
Nella scienza, invece, ci vuole una preparazione di base, altrimenti manca l'alfabeto per
andare avanti. Questo ha creato il pregiudizio che le donne siano più adatte alle materie
letterarie che a quelle scientifiche. In realtà, oggi non ci sono più. Tutti possono avere
accesso ai campi che gli interessano di più, ed oggi ci sono moltissime donne che fanno
scienza. All'università, ormai, le studentesse sono il 50%, nelle materie scientifiche; in
matematica sono anche di più. Anche a fisica, ingegneria… anche se in larga minoranza.
Le cose stanno cambiando, però i pregiudizi sono duri a morire. Poi sono le stesse famiglie:
quando il bambino nasce gli si dà come balocchi il motorino, l'automobilina oppure la
bambola, ecco che si indirizzano già su due campi diversi, gli si dà già un imprinting, mentre
dovrebbero essere lasciati liberi di scegliere i giocattoli che gli interessano di più e non
impedire al bambino di giocare con la bambola e la bambina di giocare con l'automobile:
lasciateli liberi, che scelgano quello che più gli interessa. Io per fortuna ho avuto una famiglia
estremamente liberale che non mi ha mai condizionata, ma mi ha lasciata libera di fare le
scelte che preferivo.
Quali personaggi nella storia della scienza ritiene fondamentali?
[42:16] Aristarco, Galileo, Einstein e Lucrezio. Mi è capitato tra le mani Lucrezio, il De rerum
naturae, per una citazione che ero andata a cercare: veramente era straordinario la
mentalità scientifica e laica di Lucrezio, la modernità.
Nel panorama attuale ci sono colleghi con cui si sente particolare affinità?
[43:00] Colleghi con cui c'è affinità ce n'è parecchi: di grandi nomi ora...non saprei. Oggi, di
persone che emergono tipo Einstein non ne vedo. Tanti siamo in grande affinità e amicizia,
soprattutto perché si pensa allo stesso modo in politica. Un grande collante è l'antiberlusconismo. [ride n.d.r.]
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Parlando di scienziati celebri: lei ha conosciuto di persona Oppenheimer.
[43:55] Oppenheimer l'ho conosciuto che era il presidente dell'Institute for Advanced Studies
di Princeton. Era una persona molto gentile e timida, direi, cioè come persona umana, non
come scienziato: era un persona veramente straordinaria. E mi colpiva appunto questa sua
timidezza, gentilezza che aveva: anche la moglie, erano due tipi molto simili. Avevano
caratteristiche fisiche e di umanità... Io li ho conosciuti poco, li ho incontrati alle feste di
ricevimento che si dà ai nuovi arrivati all’Institute for Advanced Studies. Ma era una persona,
lui ed anche la moglie, che colpivano per questa gentilezza e riservatezza che avevano.
Che differenza c'era in quegli anni tra la ricerca americana e la ricerca europea?
[45:05] In America io ci sono stata come ospite, come ricercatore, quindi potevo pensare
solo alla ricerca senza tutti quegli impacci burocratici che avevo in Italia. Quindi, per quanto
riguarda la ricerca, mi trovavo molto meglio, oltre alla possibilità di accedere risultati o a dati
dei più grandi strumenti di allora. Quello che colpiva era il rispetto della cosa pubblica, cioè in
Italia si sperpera enormemente. Anche oggi io vedo se chiedi una risma di carte te ne danno
il triplo di quelle che ti servono, andavo a chiedere un foglio di carta millimetrata alla
segretaria del direttore di Dipartimento, mi diceva: "Quanto ha bisogno? Un foglio? Due?
Perché?" E me ne dava uno o due alla volta, non di più. Quindi, veramente, si stava attenti al
centesimo: qui, nemmeno oggi.
Allora, quando io ho cominciato, certo c'era molto meno soldi in Italia di quanti ce ne sono
oggi. L'unica cosa… Ecco, Abetti [Giorgio Abetti, n.d.r.] - il nostro direttore ad Arcetri - che
era stato educato in America, mi ricordo che un giorno trovò la luce accesa nelle scale al
mattino e fece una mezza inchiesta per cercare di capire chi l'aveva dimenticata. Quindi c'era
un senso del risparmio e del giusto utilizzo della cosa pubblica, che in Italia non c'era e non
c'è ancora oggi. Si potrebbe risparmiare enormemente, ma c'è un grande spreco.
Che cosa pensa del rapporto tra cultura, libri ed internet?
[48:15] Penso che il leggere, rispetto a internet, la televisione eccetera, abbia il vantaggio
che sviluppa molto di più la fantasia: quando io leggo un libro, mi immagino tutto un
ambiente, mentre la televisione me lo mostra e cancella immediatamente quello che poteva
essere la mia visione fantastica. D'altra parte, anche internet è utile perché ti dà una marea
di informazioni, però necessariamente c'è la quantità che riduce la qualità. Quindi può essere
una guida, ma non basarsi esclusivamente su internet. Ad esempio, nella ricerca scientifica
c'è la tendenza, ultimamente, a dimenticare quello che è stato fatto in passato, ma
comunque sono alla base. A volte si ha l'impressione, in certi lavori, che si stia riscoprendo
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l'ombrello: quindi bisogna soprattutto nel nostro campo di ricerca tenere in conto quello che
è stato fatto in passato, vedere come è cambiato il modo di pensare, come e se sono
cambiati i risultati che si ottengono dalle osservazioni, se hanno ancora un valore e spesso
ce l'hanno.
Certo che il leggere credo che sia fondamentale, anche per imparare a scrivere, per imparare
a parlare, perché quando uno scrive la tesi di laurea non è più abituato a scrivere, ormai si
legge un italiano che fa scappare. Ormai non si è più capaci a dividere le parole, perché le
parole le divide il computer e le divide all'inglese e quindi son cose che danno noia,
insomma.
Che rapporto c'è in Italia tra cultura scientifica e cultura umanistica?
[50:50] C'è tutta una tradizione in Italia, e non solo in Italia, soprattutto umanistica. Per cui
ancora oggi si pensa che la vera cultura sia quella umanistica, mentre la scienza è
tecnologia: tanto è vero che anche sul giornale c'è la pagina della cultura e la pagina della
scienza, come se la scienza non fosse cultura. C’è poi un forte squilibrio nell'insegnamento:
nelle scuole la scienza è ridotta anche al liceo scientifico, molto meno insegnata
dell'insegnamento umanistico. Quindi si risente ancora di tutta una tradizione in cui la vera
cultura è quella umanistica.
Domandare se la scienza è utile, credo che basti dire come si vive oggi e come si viveva 50
anni fa, prima della guerra. Queste sono applicazioni della scienza: tutti i marchingegni
tecnologici che ci fanno fare meno fatica, ci fanno vivere più facilmente, ci fanno campare
molto di più, sono tutti risultati dei progressi della scienza. Quindi mi sembra assurdo
chiedersi se la scienza serva o no.
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