Anche noi siamo il frutto dell`evoluzione dell`universo

CORRIEREdegliITALIANI
MERCOLEDÌ 4 OTTOBRE 2006
INTERVISTA
A TU PER TU 3
A colloquio con la nota scienziata Margherita Hack
INTERVISTA
Anche noi siamo il frutto
dell’evoluzione dell’universo
Le stelle
chiamate
supernovae
di LUCA BERNASCONI
Quali altre scoperte sono state fondamentali per la
scoperta di chi noi siamo?
Certamente l’aver scoperto che le stelle chiamate supernovae sono quelle che producono
tutti gli elementi presenti nell’Universo, per cui
anche noi siamo fatti di materiale ed elementi
che sono stati creati da queste supernovae. Anche noi non siamo qualcosa al di fuori dell’Universo, ma siamo proprio il prodotto dell’evoluzione dell’Universo.
Nelle sue risposte si sente spesso echeggiare la professoressa Margherita Hack. Al proposito lei ha scritto una frase molto significativa: "Bisogna aver capito a fondo le cose per poterle insegnare". Qual è
la sua visione sulla scuola odierna?
A giudicare dai risultati... Spesso i ragazzi arrivano all’Università senza saper scrivere in italiano. Naturalmente ce ne sono di molto bravi,
ma mi pare che la maggioranza abbia una preparazione molto scarsa. La scienza, soprattutto,
è sempre stata trascurata nelle scuole medie, anche ai tempi miei quando l’era un po’ più seria.
Le opere divulgative che lei ha scritto traducono in
ragionamenti semplici concetti complessi. Sebbene siano meritorie in quanto permettono l’accesso
a discipline ostiche ai non addetti ai lavori, non si
corre il rischio di una semplificazione snaturante?
Infatti bisogna cercare di spiegare i fenomeni
con esempi semplici ma pertinenti, anche perché tutta la vita è governata dalla fisica. Quando si parla ad esempio del big bang, della fuga
delle galassie, si usano termini impropri che danno un’idea sbagliata, perché ci si immagina un
gran botto iniziale, un’esplosione, da cui tutte le
galassie sono scaraventate in tutte le direzioni.
Probabilmente non c’è stato nessun botto, la fuga delle galassie non è una fuga perché è l’espansione, lo spazio, a trascinare le galassie, come la
pasta di un dolce che lievita. Se in questa pasta
ci sono delle noccioline, esse vengono trascinate l’una via dall’altra perché a gonfiarsi è la pasta, non sono le noccioline che si muovono. Lo
stesso avviene con le galassie: gli ammassi di galassie non espandono, in quanto sono tenuti insieme dalla forza di gravità, come le noccioline
che, essendo solide, non espandono.
La mia Firenze. In riva all’Arno con Margherita Hack
(Edizioni della Laguna, 2003), è una sorta di guida in sua compagnia alla scoperta di una delle più
belle ed importanti città italiane. Che cosa rende Firenze tanto speciale per lei?
Forse perché l’ho girata tanto a piedi che ne
conosco ogni pietra, e quindi tutto mi ricorda degli episodi legati ai miei genitori, ai miei amici,
ai miei compagni. E poi, che sia una bella città,
me ne sono resa conto quando me ne sono andata, perché vivendoci non si va ad ammirare i
monumenti, ma quando si torna dopo tanto, la
bellezza è sotto i propri occhi.
Il Campanile di Giotto da una parte, dall’altra l’Osservatorio Astronomico di Arcetri. Quali sono per lei
i punti in comune fra arte e scienza?
Sia l’arte che la scienza sono due manifestazioni della mente umana, della creatività umana. Anche nell’arte, come nella scienza, esistono rapporti di forme, di dimensioni che fanno
un oggetto bello o brutto.
Per cogliere la bellezza di immagini come quelle che
qualche tempo ci sono giunte da Marte, è sufficiente fermarsi all’oggettività scientifica?
Chi ama la natura, ammira Marte già solo vedendo tutte le strutture formate ad esempio dalla sabbia, o guardando i crateri, le pianure, le
montagne: pur essendo un paesaggio desertico,
ha una sua bellezza. La meraviglia risiede anche
nel cogliere le analogie e le differenze con la Terra, vedendo ad es. le tracce lasciate dall’acqua che
un tempo era abbondante su Marte. È una bellezza paragonabile a quella di una montagna, di
un lago, di un paesaggio terrestre.
Ospite applauditissima dell’ASRI
(Associazione Svizzera per i Rapporti Culturali ed Economici con l’Italia:
www.asri.ch), introdotta dal suo Presidente, l’avvocato Paolo Solari-Bozzi, la professoressa Hack ha tenuto
banco per più di un’ora ripercorrendo la storia dell’Universo in modo
esauriente e con una lucidità invidiabile. Una vita dedicata all’osservazione e alla comprensione delle stelle
per le quali Margherita Hack ha dato molti contributi: "Sono contenta
di aver fatto la mia modesta parte".
Una grande fortuna per lei l’aver attraversato un secolo durante il quale sono avvenute le principali scoperte che hanno riguardato il suo campo di ricerca. Scienziata di fama internazionale, donna modesta e genuina, con i piedi ben piantati in terra, si è raccontata all’indomani della conferenza, con il suo sorriso bonario, con la sua giovinezza negli occhi d’un azzurro limpido come un
cielo estivo.
Né vocazione, né passione precoce
sono state le chiavi d’ingresso al mondo dell’astrofisica e dell’astronomia,
ma piuttosto il caso. Che cosa l’ha attirata maggiormente una volta varcata quella soglia?
Il divertimento di fare ricerca. Intanto a me è sempre piaciuto lavorare con le mani, quindi anche utilizzare uno strumento, imparare a
usarlo; e poi incominciare a capire
che cosa significasse fare ricerca, ossia lavorare di testa mia trovando dei
programmi con gli strumenti a disposizione che all’epoca erano limitati come a Firenze il telescopio da
30 centimetri che permetteva soltanto lo studio di stelle abbastanza brillanti. Tuttavia, c’era il gusto di fare da
sé e di innovare malgrado le limitazioni strumentali. Altro aspetto del
divertimento, quello di capire dagli
spettri le ragioni fisiche di certe
anomalie che vi apparivano. Il mio
campo principale di ricerca è infatti sempre stato quello di studiare stelle peculiari, diverse dalla norma.
Quali sono le componenti che fondano
una mentalità scientifica?
Intanto la costanza, il non scoraggiarsi davanti alle difficoltà, sia perché la matematica e la fisica, che
debbono piacere, sono discipline
abbastanza dure, sia perché la ricerca non dà risultati immediati, a volte nemmeno un risultato. Oltre a ciò,
è poi necessaria una certa fantasia
scientifica: capire quali siano i problemi aperti che si possono affrontare.
La mentalità scientifica ha in qualche
misura modellato la sua quotidianità?
Non saprei di preciso, sebbene
possa confermare di avere una mentalità abbastanza pratica. Essendo in
campo scientifico sperimentale e
non teorica, è probabile che la mia
forma mentis scientifica abbia in un
certo senso influenzato la mia quotidianità.
"Rimane il mistero di come l’Universo si sia originato" scrive in Dove nascono le stelle (Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2004). Per un credente il
mistero viene risolto con l’intervento
della mano di Dio. Ma per chi credente non è?
Non sappiamo come si sia originato l’Universo e la scienza non è in
grado di dirne la ragione. Essa cerca
di capire come funzioni l’Universo,
la natura, il nostro corpo, ma non sa
rispondere al perché l’Universo sia
nato, sempre che sia nato. A me interessa il campo scientifico. Ci sono
scienziati credenti, non credenti,
agnostici. La scienza ha il compito di
studiare la natura attraverso l’osservazione e l’esperimento; se poi qualcuno crede in Dio è questione di fede, come lo è anche il non crederci,
perché l’esistenza di Dio non può essere dimostrata.
Qual è il ruolo dell’intuizione e dell’immaginazione in un lavoro scientifico?
È importante, poiché da certe ca-
ratteristiche che si osservano nelle
immagini stellari, negli spettri stellari, si possono non notare certi fenomeni, non rendersi conto della loro importanza, oppure capire, intuire, che in quelle anomalie, in quei fenomeni fuori dalla norma, per altro
non sempre molto visibili, si nasconda qualcosa sulle cui ragioni fisiche
bisogna indagare.
Non deve essere stato sempre facile per
una scienziata del suo calibro lavorare in un universo prettamente maschile e anche in anni in cui erano pochissime le donne ad occupare certe posizioni di prestigio. Quali i principali
ostacoli che ha dovuto superare?
Io debbo dire che non ho avuto alcun problema di sorta. Forse ho dovuto lavorare di più dei miei colleghi
maschi per vincere la Cattedra, ma
a parte questo, non mi sono mai sentita diversa, perché ho sempre sentito di vivere con degli esseri umani,
femmine o maschi che fossero, certamente anche in maniera competitiva.
Lei ha infatti dei trascorsi sportivi: la
sua specialità il salto in lungo e il salto in alto. Che cosa le ha insegnato lo
sport?
Ho fatto atletica a livello nazionale e posso dire che lo sport è molto
utile in quanto aiuta a misurarsi con
gli altri, a rendersi conto delle proprie
capacità, e dà quella competitività
necessaria anche nella vita. In fondo anche la ricerca, il volere andare
avanti e riuscire, è una gara. Perciò
io ho preso la vita come una gara.
Fra le scoperte scientifiche da lei compiute, ve n’è una che l’ha particolarmente appagata?
Forse una c’è una, ed è quella per
la quale ho avuto la conferma a una
mia teoria 22 anni dopo. Nel 1956 ero
a Berkeley, in California. Stavo studiando una stella molto strana, con
caratteristiche uniche, che subiva
un’eclissi ad opera di un oggetto sconosciuto sul quale erano state avanzate varie ipotesi. Tra di esse quella
di Otto Struve, l’allora direttore del
Dipartimento di Astronomia di
Berkeley, secondo cui quell’oggetto
avrebbe potuto essere una stella
molto fredda che occultava la stella
visibile ogni 27 anni senza lasciare
traccia. Io ebbi la fortuna di avere degli spettri eccellenti per studiare
quella stella. Da certe caratteristiche
molto poco visibili ho immaginato
che la causa dell’eclissi fosse il contrario di quanto suggerito da Struve,
e cioè che si trattasse di una stella
molto più calda, ma molto più piccola di quella visibile. Per confermare questa mia teoria sarebbe stato
necessario osservare questo oggetto
nell’ultravioletto, ma nel 1956 non
era ancora incominciata l’era spaziale - lo Sputnik fu lanciato nel ’57, il
primo satellite astronomico alla fine
degli anni ’60. Quando nel ’78 venne lanciato un satellite preposto all’osservazione degli spettri ultraviolette delle stelle, il primo programma
da me proposto fu quello di osservare questa stella di cui mi ero occupata molti anni prima. Dal satellite arrivavano le immagini su uno schermo televisivo. Se la mia ipotesi fosse stata sbagliata, lo schermo sarebbe dovuto rimanere nero. Dopo un
po’ apparve invece una strisciolina
luminosa, ossia lo spettro della stella calda. È stato emozionante vederlo apparire, una bella soddisfazione.
Sia chiaro che non è stata una grande scoperta, ma pur sempre un piccolo tassello che ho portato all’astrofisica.
Ammirare incantati la cupola celeste
con le stelle brillanti e la luna è un’esperienza comune a tutti. Ma quando
Margherita Hack osserva il cielo, le
emozioni umane si combinano immancabilmente con quelle scientifiche?
Certo il cielo è un bello spettacolo, quando si riesce a vederlo, perché
ormai è sempre meno visibile a causa dell’inquinamento luminoso.
Quando io lo guardo, ciò che mi meraviglia sempre è pensare che, semplicemente analizzando la luce bian-
La Nebulosa del Granchio. È un resto di supernova: una nebulosa di gas in espansione.
ca di quei puntolini così deboli e lontani, si è potuto capire tanto della
struttura fisica delle stelle. Capire che
sono globi completamente gassosi,
in equilibrio fra due forze opposte,
quella di gravità e la pressione dei
gas. Ricavare dalla condizione fisica
alla superficie che sono corpi completamente gassosi. Risalire alle condizioni interne scoprendo che dentro le stelle avvengono delle reazioni nucleari che nel corso di milioni
di anni modificano la loro struttura
interna, facendole evolvere. È straordinaria la possibilità di ricostruire
tutta la storia di una stella: come si
forma, come invecchia e come finisce.
Che cosa le hanno insegnato per il suo
mestiere i testi degli antichi filosofi
che lei cita spesso?
A volte meravigliano le intuizioni
degli antichi greci come Democrito
e la sua idea atomica, o Ipparco che
aveva capito che era la terra a girare
su se stessa e non la volta celeste a
muoversi da est a ovest, e che aveva
ideato dei mezzi per misurare la distanza della luna e del sole, mostrando l’esattezza di quei metodi. Soltanto i suoi mezzi di misura erano troppo incerti nonostante la sua misurazione della distanza della luna avesse valore praticamente uguale a
quello attuale, mentre quella del sole era stata largamente sottostimata,
malgrado il principio fosse giusto. È
proprio in base a queste misure che
probabilmente aveva capito che il
sole era molto più splendente dei
pianeti e quindi forse per questo aveva immaginato che dovesse essere il
sole al centro del sistema solare e
non la terra. Meraviglia, in definitiva, questa capacità di liberarsi dall’inganno dei sensi.
con delle righe scure che non si capiva che cosa fossero. Poi, a metà del
XIX secolo, il grosso contributo di
Angelo Secchi che ha studiato sistematicamente gli spettri delle stelle,
iniziando a capire le differenze, a intuire che erano dipendenti dalla diversa temperatura superficiale. Tutte queste osservazioni, però, erano
fatte a occhio. Si guardava il telescopio, si vedevano le immagini, ci si doveva ricordare quanto si era visto per
poi disegnarlo. Erano insomma tutte osservazioni molto soggettive che
dipendevano dalla memoria visiva e
dall’abilità del disegnatore.
Quando il salto di qualità?
Un grosso passo in avanti si è avuto alla fine dell’Ottocento quando è
stata inventata l’emulsione fotografica: fissando le immagini, essa ha
permesso di studiarle con calma a tavolino e in modo oggettivo. Sono poi
arrivati i grandi telescopi che hanno
permesso di vedere più lontano: vedere più lontano significa anche
guardare più indietro nel tempo, e di
conseguenza si è potuto iniziare a capire come si modifichi l’Universo nel
tempo. Agli inizi degli anni Trenta si
era scoperto che la galassia emette
anche onde radio e quindi l’astronomia, che fino ad allora aveva studiato il cielo semplicemente misurando la luce, ha visto che esiste anche
un cielo radio. Successivamente è arrivata l’era spaziale che ha permesso di studiare l’Universo a raggi
gamma, raggi x, ultravioletto, infrarosso - tutta la gamma dello spazio
elettromagnetico- mostrando che
ci sono oggetti completamente ignorati prima, molto deboli nel visibile
ma magari forti radiosorgenti. Insomma, si è scoperto un aspetto del
cielo completamente nuovo.
A meravigliare lei è anche l’ingenuità
dei bambini, come scrive in L’universo di Margherita. Storia e storie di Margherita Hack (Editoriale Scienza, Trieste, 2006): "Dovremmo tornare un po’
tutti come bambini". Come fare?
È possibile restare bambini, ci si
può divertire a fare quello che si faceva da bambini. Certamente dipende dal carattere. Io, ad esempio, mi
sento, non dico come a 10 anni, ma
come a 20 sì!
È nel corso della sua esistenza che sono state fatte le principali scoperte su
stelle, galassie, Universo. Un bel privilegio.
Nel corso del XX secolo si sono verificati enormi sviluppi. Prima del
XIX secolo le stelle venivano studiate soltanto come punti luminosi di
cui si esaminava la posizione e di cui
si tentava di misurare i moti. L’astrofisica è nata all’inizio del XIX secolo
quando si è cominciato a studiare lo
spettro del sole, ossia a disperdere la
luce del sole con un prisma e vedere che c’era una striscia luminosa
La nota scienziata Margherita Hack, ospite dell’ASRI a Zurigo.