CAPITOLO 3
RICHIAMI di FISICA TECNICA
3.1 Energia, calore e lavoro
L’Energia, il Calore ed il Lavoro, come chiarito in precedenza, sono tre grandezze omogenee:
pertanto hanno, nei due sistemi di unità di misura, la stessa rappresentazione in grandezze
fondamentali:
•
Sistemi scientifici
[E] ≡ [Q] ≡ [L]=[M]*[L]2*[t]-2
•
Sistemi tecnici
[E] ≡ [Q] ≡ [L]=[F]*[L]
Se consideriamo il Sistema Internazionale – SI - (particolare sistema scientifico) l’unità di misura
della grandezza Energia o Calore o Lavoro è il:
•
kg*m2*s-2 = joule = J,
pertanto sia l’energia, che il lavoro ed il calore trovano la stessa unità di misura.
Cosa ben diversa nel significato: l’energia, il calore e il lavoro sono entità ben distinte.
L’energia, sia essa meccanica, elettrica, chimica, nucleare, elastica,.., è una caratteristica intrinseca
di un sistema e, pertanto, è definita a meno di una costante.
Il Lavoro e il calore sono invece interazioni, scambi di energia tra un sistema e l’ambiente. Il calore
è facile da riconoscere, si scambia per differenza di temperatura tra il sistema e l’ambiente, mentre
il lavoro è il trasferimento di energia associato all’effetto combinato di una forza ed di uno
spostamento.
In altri termini l’energia è una peculiarità di un sistema. L’unico modo di modificare o trasferire
energia avviene attraverso scambio di calore o di lavoro: in ultima analisi il calore ed il lavoro sono
la stessa cosa e rappresentano “movimento di energia”.
Per meglio comprendere questo concetto consideriamo un sistema costituito da una certa quantità di
acqua MH2O, posto ad una quota Hi rispetto ad una quota di riferimento Hrif (con Hi>Hrif): il sistema
possederà una certa energia potenziale Epot.
Ipotizziamo che il sistema evolva e dopo un ceto istante si trovi alla quota Hrif: la sua energia
potenziale nella nuova posizione è diminuita. Infatti, attraverso lo sviluppo di un lavoro il sistema
ha ceduto quota della sua energia potenziale all’ambiente. Tale lavoro viene sfruttato e convertito in
energia elettrica negli impianti idroelettrici.
Il calore ed il lavoro pertanto:
• si riconoscono al contorno di un sistema quando lo attraversano, cioè entrambi sono
fenomeni di contorno;
• entrambi sono forme di energia di scambio, in quanto i sistemi posseggono energia, ma non
calore e lavoro, che invece sono movimenti di energia;
• entrambi sono pertanto associati ad una trasformazione e non ad uno stato di un sistema;
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•
entrambi sono funzioni di linea, ovvero hanno differenziali non esatti (dL e dQ), cioè la
loro entità dipende dal percorso seguito durante una trasformazione e non solo dallo stato
iniziale e finale
3.2 Trasformazioni reversibili ed irreversibili
Il cambiamento che un sistema subisce passando da uno stato di equilibrio 1 ad un altro stato di
equilibrio 2 si chiama trasformazione e il luogo dei punti che unisce lo stato 1 con lo stato 2 di dice
linea della trasformazione.
Stato 2
Stato 1
Linea della trasformazione
Per definire completamente ed univocamente una trasformazione è necessario conoscere lo stato
iniziale 1, lo stato finale 2, la linea della trasformazione e le interazioni con l’ambiente.
Una trasformazione si dice reversibile internamente (o ideale) quando sussistono le due seguenti
proprietà:
•
•
è una trasformazione quasi-statica;
non vi è la presenza di attriti.
Una trasformazione è quasi-statica quando in ogni istante il sistema si ritrova infinitesimamente
vicino allo stato di equilibrio precedente. Ovvero la trasformazione è l’insieme di infiniti stati di
equilibrio e il sistema passa dallo stato 1 allo stato 2 attraversando infiniti stati di equilibrio. Da un
punto di vista pratico una trasformazione reale si avvicina ad una trasformazione quasi-statica
quando si svolge molto lentamente, in modo da consentire che le proprietà di una parte del sistema
non si modifichino più velocemente di quelle nelle altre parti.
Se consideriamo un gas all’interno di un cilindro con pistone che viene compresso velocemente, le
molecole vicine alla superficie del pistone non hanno un tempo sufficiente per allontanarsi e
finiscono per addensarsi in una piccola zona vicino al pistone ove determinano una area di
maggiore pressione rispetto a posizioni più lontane. Questa differenza di pressione del sistema
impedisce di considerare quest’ultimo in equilibrio. Cosa ben diversa se la compressione avviene
lentamente dando il tempo alle molecole di disporsi omogeneamente e non rilevando differenze di
pressione all’interno dello stesso sistema.
Nella realtà non esistono trasformazioni quasi-statiche. Esistono tuttavia molti processi reali che si
avvicinano, a meno di errori trascurabili, ad un comportamento quasi-statico.
L’ipotesi di considerare una trasformazione quasi statica ha diverse implicazioni: da un lato
consente di rappresentare teoricamente con una certa semplicità un fenomeno reale, dall’altro
sicuramente macchine che lavorano in questa situazione evidenziano le maggiori prestazioni, da
confrontare con i casi reali.
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In una trasformazione si può limitare la presenza di attriti. Anche in questo caso l’assoluta assenza
di attriti è ideale, ma opportune scelte consentono di considerare in molti casi la trasformazione
senza attriti, a meno di un errore trascurabile.
Per rappresentare lo stato termodinamico “A” di un sistema si utilizzano generalmente piani
cartesiani ortogonali n-dimensionali, che, come coordinate, impiegano proprietà termodinamiche,
quali ad esempio temperatura, pressione, volume, entalpia, entropia, ecc…; ovvero:
P, T, V, h, S,…
PA, TA, VA, hA, SA,…
•
PA, TA, VA, hA, SA,…
P, T, V, h, S,…
PA, TA, VA, hA, SA,…
“A” : stato del sistema termodinamico
P, T, V, h, S,…
La rappresentazione di una trasformazione come linea continua è possibile solo se la trasformazione
è reversibile internamente, ovvero è quasi statica e non vi è la presenza di attriti. Infatti solo in
questo caso si riesce a identificare con una linea continua l’insieme dei punti che rappresentano
l’evoluzioni di stati di equilibrio partendo dallo stato iniziale fino allo stato finale.
Qualora non si sia in presenza di una trasformazione reversibile internamente, non è possibile
individuare i vari stati intermedi compresi tra lo stato iniziale e finale. In tal caso è tipico
rappresentare la trasformazione con un tratteggio ad indicare che è noto lo stato iniziale “i” e quello
finale “f”, ma non sono noti gli stati intermedi.
Xi
stato finale “f”
trasformazione rev. internamente (ideale)
trasformazione non rev. internamente
stato iniziale “i”
Yj
Zk
Ove per i gruppi di assi X, Y, Z:
i: da 1 a n;
j: da 1 a m;
k: da 1 a p, con n, m, pvN
Nel caso particolare di sostanze pure, ovvero di una sostanza la cui composizione chimica non
varia in tutta la massa presa in considerazione, è possibile rappresentare univocamente lo stato
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attraverso solo due grandezze termodinamiche, purché queste non siano tra loro collegate. La
rappresentazione si semplifica e si passa da n-dimensioni ad un piano cartesiano. Nel seguito alcune
rappresentazioni di trasformazioni ideali e reali di sostanze pure.
p
pi
T
stato i-esimo
Ti
●
T
Tf
stato finale (“f”)
stato i-esimo
stato iniziale (“i”)
●
Ti
Vi
V
Si
S
Si
Sf S
Una trasformazione si dice reversibile esternamente quando, qualora esistano scambi di calore
tra sistema e ambiente esterno essi avvengano con salti infinitesimi di temperatura.
Una trasformazione si dice totalmente reversibile (o semplicemente reversibile) quando sussiste
contemporaneamente la reversibilità interna e la reversibilità esterna.
Un sistema compie un ciclo termodinamico quando percorre diverse trasformazioni e alla fine lo
stato finale coincide con lo stato iniziale. Un ciclo è reversibile internamente (o ideale) se tutte le
trasformazioni che lo costituiscono sono reversibili internamente; un ciclo è reversibile
esternamente se tutte le trasformazioni che lo costituiscono sono reversibili esternamente. Nel caso
in cui tutte le trasformazioni che costituiscono il ciclo siano internamente ed esternamente
reversibili, allora si parla di ciclo totalmente reversibile o tout court reversibile.
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3.3 Lavoro
Il lavoro è definito come il prodotto scalare di un vettore forza per il relativo vettore spostamento
r r
L = F ×S
Consideriamo un sistema costituito da un cilindro contenente un gas il quale esercita una pressione
P su un pistone spostandolo (Figura 1): tipico lavoro meccanico che si incontra frequentemente
nella pratica, come ad esempio durante il funzionamento dei motori alternativi. Infatti durante
l’espansione i gas di combustione forzano il pistone a muoversi e quindi l’albero motore a ruotare.
F=p*A
dx
Figura 1
La forza esercitata dal gas sulla superficie A del pistone sarà pari al prodotto della pressione per la
superficie.
F=p*A
come facilmente verificabile anche attraverso una semplice analisi dimensionale:
[ F ] = [M]*[L]*[t]-2
[ p ] * [ A ] = [M]*[L]*[t]-2*[L]-2*[L]2 =[M]*[L]*[t]-2
Consideriamo uno spostamento infinitesimo del pistone (dx), il lavoro compiuto dal gas sul pistone
sarà pari a:
L = F * x δL = F * dx
Ponendo a sistema le due equazioni:
F = p * A
δL = p * A * dx
⇒
⇒ δL = p * dV

δL = F * dx dV = A * dx
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A
dx
Integrando si ottiene:
2
L12 = ∫ pdV
1
Come già anticipato si ricorda che il lavoro non è una variabile di stato, quindi il lavoro necessario a
portare un sistema dallo stato 1 allo stato 2 è funzione del percorso.
Si rammenta inoltre che l’integrale di una funzione non è altro che l’area ad essa sottesa e pertanto,
tornando all’esempio del gas nel cilindro, nel piano (p,V) il lavoro compiuto dal sistema per passare
dallo stato 1 allo stato 2 è pari all’area evidenziata in Figura 2. Si evidenzia, in base a quanto
precisato in precedenza, che è possibile rappresentare la trasformazione con una linea continua solo
nel caso di trasformazione reversibile internamente o ideale.
p
1
p = f(V)
2
L12
V
Figura 2: lavoro nel piano (P,V).
Grandezza ed unità di misura
La grandezza lavoro [L] è omogenea con la grandezza energia [E].
L’unità di misura del lavoro (L) nel sistema internazionale (SI) è il joule (J), ovvero:
(L) =
kg × m
× m = N × m = J = joule .
s2
Convenzione di segno
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Sul presupposto che la “produzione” di lavoro da parte di un sistema sia considerato un effetto
positivo e desiderabile e negativo invece il consumo da parte del sistema, per convenzione si
considera:
- positivo il lavoro compiuto dal sistema all’ambiente;
- negativo il lavoro fornito dall’ambiente al sistema.
Quindi nel caso di Figura 1 abbiamo che per:
-
∆L > 0, il gas si espande spostando il pistone da sinistra verso destra;
∆L < 0, il pistone si sposta da destra verso sinistra comprimendo il gas.
Secondo tale convenzione il lavoro prodotto dai motori automobilistici, da turbine a gas, idrauliche
o a vapore è positivo, invece è negativo il lavoro consumato da compressori e pompe.
Con riferimento al concetto di “trasferimento di energia” di cui al capitolo precedente, l’energia di
un sistema diminuisce quando il sistema compie lavoro e aumenta quando il lavoro è compiuto sul
sistema.
Riconsiderando il lavoro:
2
L12 = ∫ pdV
1
Si osservi che p è la pressione assoluta ed è sempre positiva, mentre la variazione di volume dV è
positiva durante un processo di espansione (aumento di volume) e negativa durante un processo di
compressione (diminuzione di volume). Pertanto il lavoro risulta positivo durante un processo di
espansione e negativo durante un processo di compressione, il che risulta coerente con la
convenzione di segno adottata e descritta in precedenza.
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3.4 Calore
Consideriamo un sistema chiuso il cui contorno sia adiabatico, impervio e rigido, suddiviso al suo
interno in due sottosistemi 1 e 2 da una lamina di materiale qualunque.
setto divisorio di materiale qualunque
1
θ1
2
θ2
Contorno adiabatico, impervio e rigido
Il sistema 1 sia costituito da una massa d’acqua M alla temperatura θ1; il sistema 2 sia costituito
dalla stessa massa del sistema 1, M però alla temperatura θ2, con θ1>θ2.
L’esperienza mostra che dopo un certo tempo t il sistema 1 avrà diminuito la sua temperatura e il
sistema 2 l’avrà aumentata, finché i due sistemi raggiungeranno un equilibrio termico
corrispondente alla stessa temperatura θ, con θ2 ≤ θ ≤ θ1.
Il sistema 2 ha variato la sua temperatura passando da θ2 a θ, ovvero:
∆θ = (θ - θ2)
Per quanto verrà detto sull’energia interna U, poco più avanti, si ha per il sistema 2:
∆U2 = C x M x ∆θ
Analogamente l’esperienza mostra che il sistema 1 ha diminuito la sua energia interna in valore
assoluto uguale a quanto per il sistema 1 e cioè:
|∆U1| = C x M x ∆θ ≡ |∆U2|
A fronte di ciò si è portati ad ammettere che i sistemi 1 e 2 si siano “scambiati dell’energia”, ma
non vi è presenza di lavoro meccanico, tipica forma di scambio di energia e pertanto si ipotizza che
un’energia ha “attraversato” il setto divisorio delimitante i due sistemi, cioè un’energia di transito,
non esprimibile come il lavoro descritto nel paragrafo precedente: si introduce pertanto il calore.
Il calore è definito come la forma di energia che si trasferisce tra due sistemi (o tra un sistema e
l’ambiente) in virtù di una differenza di temperatura.
Non può esistere alcuna trasmissione di calore tra due sistemi alla stessa temperatura.
Analizzando per il singolo sistema lo stato all’istante iniziale 1 e lo stato all’istante finale 2, la
quantità di energia trasferita durante la trasformazione 1-2 è indicata come Q12 o semplicemente
anche Q.
Il calore si può trasmettere in tre diversi modi:
• conduzione:
è il trasferimento di energia che si verifica per effetto delle interazioni
delle particelle. La conduzione nei solidi è dovuta alle vibrazioni delle
molecole all’interno del reticolo e al trasporto di energia da parte degli
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elettroni liberi. La conduzione nei liquidi e negli aeriformi è dovuta alla
collisione tra le molecole durante il loro moto casuale.
• convezione:
è il trasferimento di energia tra una superficie solida e il liquido o
aeriforme adiacente in movimento ed implica gli effetti combinati di
conduzione e trasporto di massa.
• irraggiamento: è il trasferimento di energia che avviene attraverso le onde
elettromagnetiche (fotoni). Questa forma di trasmissione di calore, a
differenza delle due precedenti, non richiede la presenza di un mezzo
interposto e avviene alla velocità della luce.
Convenzione di segno
Per convenzione si considera:
- positivo il calore entrante in un sistema (Q > 0);
- negativo il calore ceduto da un sistema (Q < 0).
In alcuni casi che svilupperemo nel seguito, per dare maggior risalto fisico alla scrittura
matematica, si invertirà la convenzione di segno per il lavoro. Per evitare confusioni sarà
segnalato opportunamente.
Grandezza ed unità di misura
La grandezza calore [Q] è omogenea con la grandezza energia [E].
L’unità di misura del lavoro (Q) nel sistema internazionale (SI) è il joule (J), ovvero:
(Q) =
kg × m
× m = N × m = J = joule .
s2
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3.5 Primo principio della termodinamica
Le osservazioni sperimentali mostrano che l’energia non può essere né creata, né distrutta, ma può
solo cambiare forma. Si può affermare che durante un’interazione tra sistema ed ambiente esterno al
sistema, la quantità di energia guadagnata dal sistema deve essere esattamente uguale alla quantità
di energia persa dall’ambiente.
Pertanto il PRIMO PRINCIPIO della TERMODINAMICA esprime il principio di
conservazione dell’energia. La variazione di energia totale di un sistema (∆E) è pari alla somma
algebrica di tutte le energie che ne attraversano il contorno.
Il primo principio essendo un postulato non può essere dimostrato matematicamente, ma la sua
validità si basa sul presupposto che non si conosce processo in natura che l’abbia violato.
Se consideriamo un sistema chiuso allo scambio di massa (Figura 3), l’energia può attraversare il
contorno del sistema sotto due forme distinte: calore (Q) e lavoro (L).
Q12
ambiente esterno
ambiente esterno
contorno diabatico, mobile, impervio
∆E
L12
sistema
Figura 3: sistema chiuso allo scambio di massa.
Per il principio di conservazione dell’energia e adottando le convenzioni di segno di cui in
precedenza sia per il calore che il lavoro, si ha che:
Q12 – L12 = ∆E
.
Si ricorda inoltre che l’energia totale di un sistema (E) è una grandezza di stato e pertanto l’energia
necessaria a portare un sistema dallo stato 1 allo stato 2 è indipendente dal percorso.
∆E = E2 – E1
Differenziando si ottiene:
δQ – δL = dE
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(1)
Considerando un processo ciclico, ovvero costituito da una successione di trasformazioni tali che lo
stato iniziale “1” coincida con lo stato finale “2” ed essendo l’energia totale una grandezza di stato
si ha che:
P
●
1≡2
V
Q12 – L12 = ∆E = E1-E2 = 0 → Q12 = L12
Energia totale di un sistema
L’energia di un sistema può esistere in numerose forme: energia termica, cinetica, potenziale,
elettrica, magnetica, chimica e nucleare. La somma di tutte le forme di energia si dice ENERGIA
TOTALE del sistema.
Nell’analisi termodinamica è consuetudine suddividere le componenti dell’energia totale in due
gruppi:
a) forme macroscopiche dell’energia:
• ENERGIA CINETICA:
le possiede un sistema nel suo complesso , rispetto ad
un qualche sistema esterno di riferimento. Sono legate
al movimento e all’influenza di alcuni fenomeni
esterni come la gravità, il magnetismo, l’elettricità e la
tensione superficiale. Per esempio sono forme
macroscopiche l’energia cinetica e l’energia
potenziale.
l’energia che un sistema possiede per effetto del suo moto,
riferito ad un fissato sistema di riferimento. Se tutte le parti
di un sistema si muovono con la stessa velocità l’energia
cinetica è espressa dalla relazione: Ec = ½mv2, ove v è la
velocità del sistema nel riferimento fissato.
• ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE: l’energia che un sistema possiede
per effetto della sua quota in un
campo gravitazionale.
E’ espressa dalla seguente
relazione: Ep = mgz, ove g è
l’accelerazione di gravità e z la
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quota del centro di massa del
sistema rispetto ad un piano di
riferimento arbitrariamente scelto.
•
EFFETTI dovuti a fenomeni magnetici, elettrici e di tensione superficiale: sono
significativi in casi particolari e qui d’ora in avanti trascurati.
b) forme microscopiche dell’energia:
•
solo legate alla struttura molecolare del sistema e al
grado di attività molecolare. Sono indipendenti dal
sistema di riferimento esterno. La somma di tutte le
forme microscopiche di energia è detta energia
interna del sistema ed è indicata con la U.
ENERGIA INTERNA
E’ una funzione di stato che esprime, in un sistema, la somma di tutte le energie
microscopiche di un sistema, ovvero dell’energia traslazionale, rotazionale e vibrazionale
delle molecole, più l’energia degli elettroni.
Al fine di meglio comprendere il concetto di energia interna di un sistema consideriamo
l’esperienza di Joule. Si consideri il sistema in (Figura 4).
FLUIDO
Figura 4: esperienza di Joule.
F
Il moto discendente del grave comporta l’agitazione del fluido per mezzo delle pale ad
esso collegate. Arrivato a fine corsa il grave, l’agitazione del sistema cessa. Il fluido ha
quindi assorbito energia ma non è aumentata né la sua energia cinetica (dEc = 0) né la sua
energia potenziale gravitazionale (dEp = 0), né ha scambiato calore con l’esterno (δQ =
0).
Il lavoro fornito al sistema, in accordo al principio di conservazione dell’energia, deve
aver trovato una “collocazione” finale. Si è portati ad ammettere che il sistema abbia
immagazzinato in sé l’energia corrispondente al lavoro compiuto e cioè che il sistema sia
in grado di possedere un’energia e che questa abbia compiuto una variazione pari al
lavoro compiuto e a tale energia si dà il nome di energia interna U. Sempre
nell’esperienza di Joule si nota che la temperatura θ dell’acqua prima e dopo aver
compiuto il lavoro subisce una variazione. L’esperienza con masse d’acqua diverse e con
valori di lavoro compiuto diversi hanno consentito inoltre di stabilire un legame
proporzionale tra lavoro L, massa e variazione di temperatura dθ:
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dL = dU = c x M x dθ,
ove c opportuna costante, M è la massa d’acqua e dθ la variazione di temperatura a
seguito del lavoro dL compiuto
Dall’esperienza di Joule pertanto si rileva un incremento della temperatura del sistema e
considerato che la temperatura di un sistema non è altro che la manifestazione
macroscopica dello stato di agitazione delle molecole che lo compongono, quello che se
ne deduce è la definizione stessa di energia interna.
Cercando di approfondire ulteriormente il concetto di energia interna.
Come definito in precedenza L’energia interna è legata alla struttura molecolare e al
grado di attività molecolare.
Considerando le singole molecole del sistema durante il loro moto casuale, esse traslano
ad una certa velocità, vibrano l’una relativamente all’altra e ruotano attorno ad un asse. A
questi moti si possono associare le energie cinetiche di traslazione, di vibrazione e di
rotazione, che complessivamente prendono il nome di energia sensibile. Dato che la
velocità media e il grado di attività delle molecole sono proporzionali alla temperatura,
all’aumentare della temperatura del sistema aumenta l’energia cinetica delle molecole e
conseguentemente la frazione di energia interna detta energia sensibile.
L’energia interna dipende anche dalle forze intermolecolari, cioè da quelle forze che
tengono legate le molecole di un sistema. Esse saranno più intense nei solidi e più deboli
nei sistemi costituiti da sostanze nello stato aeriforme. Se si fornisce ad esempio ad una
fase solida la quantità di energia necessaria può essere vinto il legame molecolare e
passare ad esempio alla fase aeriforme. In tal caso l’energia interna della fase gassosa a
causa della fornitura di energia è ad un livello di energia interna maggiore rispetto alla
fase liquida o solida. L’energia interna legata alla fase del sistema è detta energia
latente.
L’energia interna associata ai legami atomici all’interno di una molecola è detta energia
chimica o di legame. Ad esempio durante una reazione chimica, come avviene in un
processo di combustione, alcuni legami chimici vengono distrutti ed altri si formano. Il
tutto determina variazioni di energia di legame e quindi di energia interna del sistema.
Vi è poi un’enorme quantità di energia interna associata ai legami all’interno del nucleo
di uno stesso atomo. Questa energia è detta energia nucleare.
Pertanto, trascurando nelle forme macroscopiche dell’energie gli effetti dovuti a fenomeni
magnetici, elettrici e di tensione superficiale e riassumendo quale somma di tutte le forme
microscopiche dell’energia nell’energia interna, si ha che l’energia totale di un sistema (E) si può
scrivere come somma:
E = Ec + Ep + U = ½mv2 + mgz + U
Quindi per il principio di conservazione dell’energia (1) si ha che:
δQ – δL = dEp + dEc + dU
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3.6 L’equazione di stato dei gas perfetti
In un sistema termodinamico costituito da una sostanza pura le equazioni che legano tre proprietà
termodinamiche intensive, come ad esempio pressione, temperatura e volume specifico, sono
chiamate equazioni di stato.
Tra le numerose equazioni di stato la più semplice e più nota è quella dei gas perfetti, che lega
temperatura, pressione e volume specifico.
Un gas si definisce perfetto se obbedisce alla relazione:
pv = RT
ove:
p = pressione assoluta;
v = volume specifico;
T = temperatura assoluta
R = costante del gas = R*/PM,
ove
R* = costante universale dei gas perfetti = 8.314 J/(kmolK)
PM = massa molare
---------------------------------------------------------------------------------------------Gas o vapore?
I termini gas e vapore son usati molte volte non correttamente. La fase aeriforme di una sostanza si
chiama gas quando la sua temperatura è superiore a quella critica per cui essa non può essere
condensata a temperatura costante, al contrario la fase aeriforme si chiama vapore.
---------------------------------------------------------------------------------------------Un gas perfetto è una sostanza ideale, ovvero non reale. Ma in particolari condizioni
termodinamiche l’equazione di stato dei gas perfetti approssima sufficientemente bene il
comportamento dei gas reali.
In particolare è stato rilevato sperimentalmente che l’equazione di stato dei gas perfetti vale quando
i gas reali sono a bassa densità, il che significa basse pressioni ed elevate temperature del gas.
Nelle applicazioni pratiche molte sostanze aeriformi come l’aria, l’azoto, l’ossigeno, l’idrogeno,
l’elio, l’argon, il neon, il kripton e anche l’anidride carbonica, possono essere trattati come gas
perfetti compiendo errori trascurabili.
Cosa diversa ad esempio nel trattare il vapor d’acqua utilizzato nei cicli Rankine o vapori degli
impianti frigoriferi: in tal caso l’errore non sarebbe trascurabile. In tal caso è necessario utilizzare le
opportune tabelle.
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In particolare per il vapor d’acqua:
Errore percentuale (|v-videale| / v ) a seguito di aver considerato il vapor d’acqua un gas perfetto
Evidenziata in rossa l’area in cui il vapor d’acqua può essere trattato come gas perfetto con un
errore inferiore al 1%.
L’equazione di stato dei gas perfetti è molto semplice e conseguentemente comoda nell’utilizzo;
purtroppo rappresenta la realtà in modo accettabile solo in alcune zone termodinamiche. I gas reali
in vicinanza delle zone di miscele sature liquido e vapore e del punto critico non possono essere
trattati come gas perfetti.
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3.7 Calore specifico
In generale, se si considera una trasformazione rappresentata nel piano (p,V) da una linea x:
p
x
V
si definisce calore specifico Cx lungo la trasformazione x:
 δQ 
Cx = 

 dT  x
il rapporto tra il calore δQ per unità di massa che il sistema evolvente scambia con l’esterno lungo
un elemento della trasformazione x e la variazione di temperatura concomitante dT.
In altri termini il calore specifico è il calore che si deve fornire all’unità di massa per innalzarne la
temperatura di 1 K.
Innanzitutto è rilevante nella definizione generale considerare una generica trasformazione x. Infatti
nel caso si consideri un gas, come si vedrà nel seguito, è differente parlare di C lungo una
trasformazione isobara (Cp) , o lungo una trasformazione isocora (CV).
Mentre se ci si riferisce ai liquidi e ai solidi si può parlare indistintamente e generalmente di C, in
quanto Cp=Cv=C.
Dalla definizione, l’analisi dimensionale in grandezze fondamentali nei sistemi scientifici porta a:
2
2
[Cx ] = [Q ] × 1 = [M ]×2[L] × 1 × 1 = [L]2 × 1
[M ] [T ]
[M ] [T ] [t ] [T ]
[t ]
che nel SI a livello di unità di misura :
(C x ) =
joule
J
=
chi log rammo × kelvin kg × K
Richiamando il primo principio della termodinamica si può dare una forma più significativa ed utile
alla formulazione del calore specifico. Ovvero:
δQ – δL = dEp + dEc + dU
ove si ricorda che il membro di sinistra dell’uguaglianza rappresenta il “lavoro “ totale (lavoro e
calore) fatto sul sistema, mentre quello di destra la variazione dell’energia del sistema.
In molti fenomeni termodinamici le variazioni dEp e dEc sono trascurabili, si può semplificare la
scrittura in:
δQ = dU + δL
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Ma dall’analisi del lavoro si è ottenuto che:
δL = pdV
Pertanto dal primo principio della termodinamica, nell’ipotesi di considerare fenomeni in cui è
trascurabile la variazione di energia potenziale e cinetica, si ottiene:
δQ = dU + pdV
Considerando la definizione di calore specifico e sostituendo quest’ultima formulazione si ottiene:
 δQ   dU + pdV   dU   pdV 
Cx = 
 =
 =
 +

dT
 dT  x 
 x  dT  x  dT  x
Ma U è l’energia interna ed è una funzione di stato , pertanto il suo dU è un differenziale esatto.
________________________________________________________________________________
Differenziale esatto (richiamo di Analisi Matematica)
Considero la funzione definita nel campo A:
Z = f(x,y)
y
y+∆y
y
.
.
Q
P
x
x + ∆x
A
x
Fissato un punto P(x,y)vA si diano ad x e ad y due incrementi rispettivamente ∆x e ∆y, non
entrambi nulli, in modo che il punto Q(x+∆x, y+∆y)vA.
Sia il corrispondete incremento della funzione f il ∆Z:
∆Z = f(Q)-f(P) = f (x+∆x, y+∆y) - f(x,y)
Supponiamo che esistano due costanti: λ e µ, dipendenti da (x,y), tali che valga la seguente
differenza:
∆Z - {λ∆x+µ∆y} = ω(∆x,∆y)
Tale che la differenza ω(∆x,∆y) per Q→P sia un infinetisimo di ordine superiore rispetto alla
distanza PQ e cioè:
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limQ → P
∆Z − {λ∆x + µ∆y}
ω (∆x, ∆y)
= limQ → P
=0
PQ
PQ
In tal caso si dice che f(x,y) è una funzione differenziabile nel punto P(x,y) e λ∆x+µ∆y è detto il
differenziale o anche differenziale totale della funzione f(x,y).
Cioè indicando con df o dz il differenziale si ha:
dz = df = λ∆x+µ∆y
Tralasciando la dimostrazione, se la funzione f(x,y) è differenziabile nel punto (x,y) essa è ivi
continua e dotata delle derivate parziali, cioè fx (x,y) e fy(x,y) e inoltre risulta che:
λ = fx (x,y) = δf(x,y)/ δx
µ = fy (x,y) = δf(x,y)/ δy
E cioè:
df = f x ( x, y )∆x + f y ( x, y )∆y =
δf ( x, y )
δf ( x, y )
∆x +
∆y
δx
δy
Ma:
∆x = dx
∆y = dy
Pertanto il differenziale della funzione f(x,y) risulta :
df = f x ( x, y )dx + f y ( x, y )dy =
δf ( x, y)
δf ( x, y)
dx +
dy
δx
δy
A questo punto si definisce differenziale esatto.
La forma differenziale lineare:
X(x,y)dx + Y(x,y)dy
Si dice esatta o integrabile se coincide con il differenziale df di una funzione f(x,y), cioè se esiste:
df = X(x,y)dx + Y(x,y)dy
la forma differenziale esatta df è detta anche differenziale esatto e si ha che:
δf ( x, y )
δx
δf ( x, y )
Y ( x, y ) =
δy
X ( x, y ) =
________________________________________________________________________________
Pagina 18 di 56
Consideriamo l’energia interna che è una funzione di stato esprimibile in funzione delle grandezze
T e V, ovvero:
U =U(T,V)
In base a quanto precedentemente richiamato, il suo differenziale esatto risulta:
 δU (T ,V ) 
 δU (T ,V ) 
dU = 
 dT + 
 dV
 δT V
 δV T
Dividendo tutto per dT si ha:
dU  δU (T ,V )   δU (T ,V )  dV
=
 +

dT  δT V  δV T dT
Considerando l’ultima formulazione del Cx ottenuta si ha:
 δQ   dU + pdV   dU   pdV   δU (T ,V )   δU (T ,V )  dV  pdV 
+
Cx =   = 
 =
 +
 =
 +


dT
 dT  x 
 x  dT x  dT  x  δT V  δV T dT x  dT  x
(a)
A questo punto se considero una trasformazione isocora, ovvero a volume costante V = costante si
ha che la generica trasformazione “x” è “V” e quindi il calore specifico a V costante :
 δQ   δU (T ,V ) 
CV =   = 
(b)

 dT V  δT V
Nel caso particolare dei gas perfetti l’energia interna è solo funzione della temperatura, ovvero
U=f(T), pertanto la (a) si semplifica:
 δU (T )   pdV 
Cx = 
 +
 L gasperfetti (c)
 δT V  dT  x
Ma essendo U = f(T), la derivata parziale fatta solo su T, esistendo solo T diventa la derivata totale
e cioè:
 δU (T )   dU (T ) 

=
 (d)
 δT   dT 
Inserendo la (d) nella (b) si ottiene per i gas perfetti in una trasformazione a volume costante:
 dU (T ) 
CV = 
 (e)
 dT V
Inserendo la (e) nella (c) si ha:
 pdV 
Cx = CV + 
 (f)
 dT  x
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Nel caso di gas perfetti in una trasformazione isobara dall’equazione di stato di ha:
pv = RT
d(pv) = d(RT)
vdp + pdv = RdT
pdv = RdT
R=
pdv
dT
Quindi lungo una trasformazione isobara per un gas perfetto si ottiene la relazione di Mayer:
CP = CV + R
---------------------------------------------------------------------------------------Relazione di Mayer in scrittura molare
La relazione ottenuta sopra:
CP = CV + R
si riferisce ai calori specifici e alla costante universale riferiti alla massa, valida una volta definito il
tipo di gas perfetto in analisi.
La relazione di Mayer può anche essere espressa in scrittura molare, ovvero:
C * P = C *V + R*
ove:
C*P = calore specifico molare di un gas perfetto lungo una trasformazione isobara (kJ/(kmol*K)
C*V = calore specifico molare di un gas perfetto lungo una trasformazione isocora (kJ/(kmol*K)
R* = costante universale dei gas perfetti = 8.320 kJ/(kmol*K) = è lo stesso valore per tutti i gas
Con la notazione molare non è necessario esplicitare il tipo di gas perfetto in analisi, cosa diversa se
si utilizza la formulazione specifica alla massa.
Infatti la R nella formulazione massiva si ottiene:
R=
R*
PM molecola
ove PMmolecola = è la massa molare e può essere definita come la massa in chilogrammi di una chilomole di sostanza.
Consideriamo un gas costituito dall’ossigeno O2:
PM(O2)= 16x2 = 32 kg/kmol
R=
8.320 kJ /(kmol × K )
kJ
= 260
32
kg / kmol
kg × K
costante dell’O2
Tale relazione è fondamentale perché consente di ricavare C*p una volta nota C*v.
Pagina 20 di 56
Dalla teoria cinetica dei gas si può dimostrare che il calore specifico molare di un gas perfetto è
costante ed è pari a tante volte il valore R*/2 quanti sono i gradi di libertà degli atomi che
compongono le molecole, ovvero:
R*
*
CV = N ×
2
ove:
N=
grado di libertà degli atomi che compongono le molecole
N=3
nel caso di gas monoatomico, ove sussistono 3 gradi di libertà
3 gradi di libertà
N=5
nel caso di gas biatomico, ove sussistono 5 gradi di libertà (3+3-1)
1 legame
N=6
nel caso di gas triatomico, ove sussistono 6 gradi di libertà (3x3-3)
3 legami
Quindi:
•
Gas monoatomico:
CV = 3/2R
CP = 5/2R
•
Gas biatomico:
CV = 5/2R
CP = 7/2R
•
Gas triatomico:
CV = 3R
CP = 4R
---------------------------------------------------------------------------------------Per i gas perfetti
cx = cost
Pertanto data una trasformazione a volume costante
du = cv dT ⇒ ∫ du = ∫ cv dT = cv ∫ dT ⇒ ∆u = cv ∆T
Quindi
u2 – u1 = cv*(T2 – T1)
Mentre per una trasformazione a pressione costante
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per gas perfetti
dh = c P dT ⇒ ∫ dh = ∫ c P dT = c P ∫ dT ⇒ ∆h = c P ∆T
Quindi
h2 – h1 = cP*(T2 – T1)
per gas perfetti
Ora riprendiamo la definizione generale di calore specifico, ovvero:
 δQ 
Cx = 

 dT  x
In una generica trasformazione Cx può variare da punto a punto.
Interesse particolare hanno quelle trasformazioni reversibili per le quali Cx è una costante; tali
trasformazioni prendono il nome di trasformazioni POLITROPICHE.
Le trasformazioni isobare e isocore nei gas perfetti, come si è avuto modo di verificare in
precedenza, sono caratterizzate da CX, ovvero rispettivamente Cp e CV costanti e quindi fanno parte
della famiglia delle trasformazioni politropiche.
Si può dimostrare che per i gas perfetti lungo una trasformazione politropica valga:
C x −C P
p ×V
C X − CV
= cos tan te
C − CP
posto : x
=n
C X − CV
C p , CV = costante per i gas perfetti
C x =costante per def. di politropica
si ha :
p × V n = cos tan te
Ora analizziamo le trasformazioni politropiche di interesse.
Trasformazione isobara
Cx = Cp
n=
C p − CP
CP − CV
=0
da cui
pV0 = costante
p = costante.
Trasformazione isocora
Cx = CV
Pagina 22 di 56
CV − CP
=∞
CV − CV
n=
da cui
pVn = costante; estraendo la radice ennesima ad ambo i membri si ottiene:
n
pV n = n cos tan te
1
p n × V = cos tan te
p
1
∞
× V = cos tan te
p 0 × V = cos tan te
V = cos tan te
Trasformazione adiabatica
Per definizione dQ = 0, quindi
 δQ 
Cadiab = 
 =0
 dT  x
C − CP CP
n = ad
=
=γ
Cad − CV CV
γ
pV = pV
CP
CV
= cos tan te
Trasformazione isoterma
Per definizione dT = 0, quindi
 δQ 
CT = 
 = ±∞
 dT  x
C − CP
n= T
=1
CT − CV
pV = cos tan te
Ove il CT assume valore +∞ se dQ > 0, ovvero dato che nell’isoterma dal primo principio dQ = dL,
se dL > 0, il che accade quando il lavoro è uscente e cioè durante un’espansione. Analogamente il
CT assume valore -∞ nel caso di compressione.
Ricapitolando si può dire che il calore specifico costante Cx per le politropiche può assumere tutti i
valori compresi tra ±∞.
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ISOCORA (V=cost.)
Cx = Cv
n = ±∞
p
ISOBARA (p=cost.)
Cx =Cp
n=0
ISOTERMA (T=cost.)
Cx = ±∞
n=1
ADIABATICA (δ
δQ=0)
Cx = 0
n = Cp/Cv = γ
V
Calore specifico per sostante in fase solida e liquida
Finora si è analizzato il Cx per i gas perfetti e reali. Approfondiamo nei casi di solidi e liquidi.
Riconsideriamo la scrittura generale di calore specifico:
 δQ   dU + pdV   dU   pdV   δU (T ,V )   δU (T ,V )  dV  pdV 
+
Cx =   = 
 =
 +
 =
 +


dT
 dT  x 
 x  dT x  dT  x  δT V  δV T dT x  dT  x
nel caso di solidi e liquidi si può approssimare compiendo un errore del tutto trascurabile che V∼
costante senza e quindi il termine dV/dT = 0; pertanto si ottiene:
 δU (T ,V ) 
Cx = 
 = CV
 δT V
Quindi se la trasformazione è isocora, è isobara, vale sempre:
Cx = CV = CP = C
Quindi in generale per i solidi o i liquidi si parla di calore specifico senza specificare se a V o a P
costante.
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Calore specifico per sostante in fase solida, liquida e gassosa: CASI REALI
Per i solidi e i liquidi reali il valore C, per i gas reali il Cp e il CV non sono costanti, ma variano con
la temperatura e precisamente crescono con la temperatura.
Per le varie sostanze sono state ricavate espressioni in grado di rappresentare l’andamento del calore
specifico con la temperatura.
3.8 Entalpia
L’entalpia (H) di un sistema è così definita:
H = U + pV
Dove:
- U è l’energia interna del sistema;
- p è la pressione del sistema;
- V è il volume.
L’entalpia è una grandezza di stato essendo funzione di grandezze di stato.
La grandezza entalpia [H] è omogenea con la grandezza energia [E].
L’unità di misura dell’entalpia (H) nel sistema internazionale (SI) è il joule (J).
Ragionando in termini di entalpia specifica massica si ha:
h = u + pv
dove:
- u è l’energia interna specifica massica del sistema;
- p è la pressione del sistema;
- v è il volume specifico massico.
L’unità di misura dell’entalpia specifica alla massa (h) nel sistema internazionale (SI) è il
joule/chilogrammo (J/kg).
Differenziando sia ha che:
dh = du + d(pv) = du + pdv + vdp
Dato un sistema in quiete la variazione di energia cinetica (dEc) e di energia potenziale (dEp) del
sistema sono nulle. Dal primo principio della termodinamica si ricava:
dEp = 0

⇒ δQ − δL = dU
dEc = 0
δQ − δL = dEp + dEc + dU

Ragionando sempre in termini di energia per unità di massa e quindi di lavoro scambiato per unità
di massa (l) e di calore scambiato per unità di massa (q) si ha:
δq – δl = du
ma dalla definizione di lavoro sappiamo essere:
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δl = pdv
Quindi ponendo a sistema si ottiene:
δq − δl = du du = δq − pdv
⇒
⇒ dh = δq − pdv + pdv + vdp ⇒ dh = δq + vdp

δl = pdv
dh = du + pdv + vdp
dh = δq + vdp
Trasformazione isobara
Una trasformazione isobara è una trasformazione a pressione costante.
p = cost dp = 0
Quindi:
dp = 0
⇒ dh = δq (trasformazione isobara)

dh = δq + vdp
Trasformazione isocora
Una trasformazione isocora è una trasformazione a volume costante.
v = cost dv = 0
Quindi:
du = δq − Pdv
⇒ du = δq (trasformazione isocora)

dv = 0
Nel caso di gas perfetti, dato che per un gas perfetto l’energia interna è funzione solamente della
temperatura, ovvero:
u = f(T)
ne consegue che anche l’entalpia per un gas perfetto è funzione solamente della temperatura.
h = u + pv
⇒ h = u + RT

 pv = RT
Quindi:
h = u + RT

u = f (T ) ⇒ h = g (T )
 R = cos t

Anche l’entalpia, per un gas ideale, è funzione solamente della temperatura.
Pagina 26 di 56
3.9 Secondo principio della termodinamica
Il primo principio della termodinamica afferma che l’energia è una grandezza che si conserva.
La soddisfazione del primo principio non assicura però in alcun modo che una trasformazione
avvenga.
Sarà il secondo principio della termodinamica ad indicare le modalità con le quali una
trasformazione,che soddisfa la conservazione dell’energia, possa avvenire.
All’aspetto quantitativo legato al primo principio si sviluppa con il secondo principio, pertanto, il
tema qualitativo dell’energia.
Trasformazione ciclica
In termodinamica si definisce trasformazione termodinamica o semplicemente ciclo un numero
qualsiasi di trasformazioni che partendo da uno stato iniziale riconduce il sistema evolvente alla fine
allo stesso stato. Ovvero stato iniziale “i” e stato finale “f” coincidono. Ad esempio se si considera
il piano (p,V):
P
.
stato finale “f”
stato iniziale “i”
trasformazione ciclica o “ciclo”
V
L’obiettivo delle trasformazioni è quello di trasformare calore in lavoro, essendo il ciclo un sistema
chiuso, terminato un ciclo il sistema evolvente è ancora in grado di fornire lavoro in cambio di certo
quantitativo di valore.
Ovvero matematicamente dal primo principio della termodinamica, con l’adozione delle
convenzioni di segno:
L (+)
Q (+)
sistema
Q − L = ∆U
ma
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 L = pdV
∫

⇒ Q = L = ∫ pdV

∆U = ∫ dU = 0
cioè il sistema è in grado di fornire lavoro in cambio del calore Q ricevuto.
A questo punto si potrebbe essere portati ad affermare che basterebbe procurarsi una sorgente
capace di fornire calore indefinitamente che si otterrebbe all’infinito lavoro.
Approfondiamo.
p
ds1
T1
ds2
T2
V
Si evidenzia che dei tratti della linea rappresentante il ciclo, ds1 e ds2 coincidono con archi di
isoterme (T1 e T2).
In particolare analizzando il tratto di trasformazione isoterma ds1 si ha una diminuzione di
pressione e aumento di volume, il sistema sta espandendo e cioè compiendo lavoro verso l’esterno,
ovvero per le convenzioni sopra ricordate δL1 è positivo e dal primo principio nel caso di isoterma e
gas perfetto δL=δQ(*) e pertanto il δQ1 è positivo, cioè entrante.
Analogamente nel tratto di isoterma ds2 si ha un aumento di pressione e conseguente diminuzione di
volume, il sistema sta comprimendosi e cioè ricevendo lavoro dall’esterno, ovvero per le
convenzioni sopra ricordate δL2 è negativo e dal primo principio nel caso di isoterma e gas perfetto
δL=δQ(*) e pertanto il δQ2 è negativo, cioè uscente.
____________________________________________________________
(*) Promemoria
Si ricorda che il primo principio della termodinamica con l’adozione dei segni di cui in precedenza
vale: Q – L = ∆Ep + ∆Ec + ∆U. Trascurando le variazioni di energia potenziale e cinetica del
sistema la scrittura si semplifica in Q – L = ∆U.
Per un gas perfetto l’energia interna U è solo funzione della temperatura U=f(T) e pertanto quando
il gas perfetto evolve lungo una trasformazione isoterma la dU=0 e la scrittura del primo principio
della termodinamica in scrittura differenziale diventa δL = δQ
____________________________________________________________
In tal modo si è potuto riscontrare che in un generico ciclo si hanno dei tratti in cui il calore entra ad
una certa temperatura ed altri in cui il calore esce ad un’altra temperatura. Cioè in altre parole,
Pagina 28 di 56
comunque si disegni il ciclo ci sarà sempre scambio di calore a diverse T per ricevere o fornire
calore a serbatoi a diverse T.
In ultima analisi si riscontra l’impossibilità ad ottenere un ciclo funzionante con una sola sorgente
di calore.
Da questi rilievi scaturisce il principio di Lord Kelvin che dice che “è impossibile compiere una
trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di calore fornito da
un’unica sorgente T uniforme”.
Si può dare un’altra formulazione al principio, ricorrendo alla quotidiana esperienza.
Nessuno a mai contraddetto l’esperienza che mostra che non si verifica mai un passaggio spontaneo
di calore da una sorgente a T minore ad una a T maggiore.
Generalizzando questa esperienza si ottiene il principio di Clausius, ovvero “è impossibile
compiere una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia un passaggio di calore da una
sorgente a temperatura inferiore ad una a temperatura superiore”.
Il principio di Lord Kelvin e il principio di Clausius sono in realtà due modi per esprimere lo stesso
principio detto: secondo principio della termodinamica.
___________________________________________________________
Dimostrazione dell’equivalenza dei principi di Lord Kelvin e di Clausius
La formulazione di Kelvin e quella di Clausuis coincidono: l’equivalenza è dimostrata verificando
che la violazione di uno dei due comporta la violazione dell’altro.
1)
Consideriamo l’enunciato di Lord Kelvin: per qualsiasi apparecchiatura che operi secondo
un ciclo è impossibile ricevere calore da una sola sorgente e produrre una quantità di lavoro utile, o
meglio ancora, nessun motore termico può avere un rendimento del 100%, perché la termodinamica
dice che dovrà comunque scaricare una quantità di calore al pozzo.
A questo punto violiamo l’enunciato di Lord Kelvin e verifichiamo se conseguentemente si viola
anche quello di Clausius.
Consideriamo un ciclo diretto (motore termico) e un ciclo inverso che funzionino e scambino alle
stesse T.
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SORGENTE
(TH)
SORGENTE
(TH)
QH
QH+QC
L=QH
QC
POZZO
(TC)
Ciclo diretto
Ciclo inverso
Quindi violando l’enunciato di Lord Kelvin ipotizziamo che il ciclo motore abbia un’efficienza pari
al 100% e venga trasformato tutto il calore QH in L, cioè L = QH
A questo punto si fornisce tale lavoro al ciclo inverso.
Tale combinazione di due macchine dà origine alla seguente macchina inversa:
SORGENTE
(TH)
(QH +QC) - QH = QC
TH>TC
QC
POZZO
(TC)
Violando il principio di Lord Kelvin si è realizzata una macchina inversa che riesce a trasferire la
quantità di calore QC da una sorgete a temperatura inferiore ad una a temperatura superiore senza
richiedere alcun lavoro. Si sta violando pertanto il principio di Clausius.
2)
Consideriamo l’enunciato di Clausius: per qualsiasi apparecchiatura che operi secondo un
ciclo inverso è impossibile fornire calore da una sorgente a temperatura più bassa ad una più alta
senza fornire al sistema evolvente del lavoro.
A questo punto violiamo l’enunciato di Clausius e verifichiamo se conseguentemente si viola
anche quello di Lord Kelvin.
Pagina 30 di 56
Consideriamo un ciclo diretto (motore termico) e un ciclo inverso che funzionino e scambino alle
stesse T.
SORGENTE
(TH)
SORGENTE
(TH)
QH
QC
L
QC
QC
POZZO
(TC)
POZZO
(TC)
Ciclo diretto
Ciclo inverso
TH>TC
Evidente la violazione del principio di Clausius sul ciclo inverso. Svolgendo il bilancio dei due cicli
si ottiene il complessivo ciclo diretto:
SORGENTE
(TH)
QH - QC
L
QC - QC
POZZO
(TC)
Ciclo diretto
TH > TC
E cioè, con (QH - QC) > 0:
Pagina 31 di 56
SORGENTE
(TH)
TH>TC
QH - QC
L
Ciclo diretto
E ne deriva che è violato l’enunciato di Lord Kelvin.
___________________________________________________________
Serbatoi di calore: sorgenti e pozzi
Si definisce serbatoio di calore un corpo di capacità termica molto grande in grado di assorbire o
rilasciare calore senza subire alcuna variazione di temperatura. Nella realtà gli oceani, i laghi, i
fiumi di certe dimensioni, l’atmosfera possono essere considerati serbatoi di calore.
Non è detto che un corpo per essere considerato un serbatoio deve essere di notevoli dimensioni:
dipende dalla quantità di energia che assorbe o fornisce. Ad esempio l’aria contenuta in una stanza
non subisce delle alterazioni di temperatura a causa del calore disperso da un televisore.
I serbatoi di calore si suddividono in :
•
•
sorgenti:
pozzi:
sono dei serbatoi che forniscono calore;
sono dei serbatoi che assorbono calore.
Pagina 32 di 56
Ciclo motore
Il ciclo motore o ciclo diretto è un sistema isolato che converte il calore in lavoro. Tale sistema è
composto da due serbatoi di calore, uno che funziona da sorgente, a temperatura TH, ed uno che
funziona da pozzo, a temperatura TC, con TH > TC e da una macchina trasformatrice (M) che
opera ciclicamente e all’interno della quale evolve un fluido di lavoro.
Il sistema preleva calore (QH) dal serbatoio caldo (sorgente), lo cede alla macchina trasformatrice
che lo converte in parte in lavoro (L) e in parte lo cede al serbatoio freddo (pozzo) (Qc).
SORGENTE
(TH)
QH
L
M
QC
POZZO
(TC)
Figura 5: ciclo diretto o ciclo motore.
All’interno della macchina trasformatrice o macchina termica (M) evolve un fluido di lavoro
secondo un ciclo termodinamico chiuso, pertanto il fluido di lavoro è soggetto ad una serie di
trasformazioni che a partire da un dato stato iniziale lo riporta al medesimo stato iniziale. Pertanto
tutte le grandezze di stato (P,ρ,T,h,s,u, ecc..), tra lo stato iniziale e quello finale, non variano.
Pagina 33 di 56
qH
ECO + EVA+ SH
Compressore
l
Pompe
alimento
CONSENSATORE
qC
Per il I Principio della Termodinamica, applicato al ciclo termodinamico del fluido di lavoro, si
avrà che:
δq – δl = du
ma
du = 0
pertanto
δq = δl l = qH - qC
Rendimento di primo principio (ηI)
Si definisce rendimento di primo principio di un ciclo diretto il rapporto tra l’effetto utile (l) e
l’energia spesa per generarlo (qH).
ηI =
l
q − qC
q
= H
=1− C
qH
qH
qH
Il rendimento di primo principio rappresenta la percentuale di calore prelevato dalla sorgente
calda (qH) che il sistema è in grado di convertire in lavoro (l).
ηI < 1
Ciclo Reversibili e ciclo di Carnot
Riprendendo quando definito nei paragrafi precedenti, si definisce ciclo reversibile o detto anche
totalmente reversibile, un ciclo in cui tutte le trasformazioni che lo costituiscono sono reversibili,
ovvero tutte le trasformazioni sono ideali e reversibili esternamente.
L’idealità, ovvero la reversibilità interna , di una trasformazione è definita nel momento in cui
sussiste la quasi staticità e l’assenza di attriti; la reversibilità esterna è rispettata dalla
trasformazione, qualora esista scambio di calore tra sistema e esterno questo avvenga con un salto
infinitesimo di temperatura.
Pagina 34 di 56
Un particolare ciclo reversibile è il ciclo di Carnot; è costituito da:
- 2 trasformazioni isoterme (T=cost.);
- 2 trasformazioni adiabatiche (isoentropiche).
T
qH
1
T1 = T2
TH=T1+dT
2
q
qC
T4 = T3
TC=T4+dT
3
4
s1 = s4
s
s2 = s3
Figura 6: ciclo di Carnot diretto - piano (T,s).
p
p1
1
qH
2
p2
l
p4
4
qC
p3
3
v1
v4
v2
v3
Figura 7: ciclo di Carnot diretto - piano (p,v).
_______________________________________________________
Le linee che rappresentano le isoterme e le adiabatiche nel piano (p,V).
Riprendendo l’equazione di stato della politropica ho:
Pagina 35 di 56
v
p ×V
C x −CP
C X − CV
posto :
= costante
C x − CP
=n
C X − CV
C p , CV = costante per i gas perfetti
C x =costante per def. di politropica
siha :
p × V n = costante
Ora se considero le trasformazioni isoterma e adiabatica ho:
isoterma:
adiabatica:
pV = cost
pVγ = cost, ove γ = Cp/Cv>1
Quindi nel caso isoterma nel piano (p,V) la rappresentazione è un’iperbole, nel caso dell’adiabatica
è corretta dall’esponente γ, cioè graficamente:
p
P=cost/Vγ
P=cost/V
ISOTERMA (T=cost.)
Cx = ±∞
n=1
ADIABATICA (δ
δQ=0)
Cx = 0
n = Cp/Cv = γ
V
______________________________________________________
Pagina 36 di 56
Come si vede in Figura 6 e Figura 7 l’area interna al ciclo rappresenta:
-
nel piano (T,s) il calore scambiato con i serbatoi di calore (q = qH – qc);
-
nel piano (p,v) il lavoro generato.
Lungo la trasformazione isoterma 1→2 il fluido riceve il calore qH dalla sorgente a TH,
temperatura superiore di un infinitesimo alla T1, ovvero TH = T1+dT.
Applicando il primo principio della termodinamica, con le convenzioni di segno definite in
precedenza, si ha:
Q1→ 2 = ∆U1→ 2 + L1→ 2
ma per i gas perfetti U = U(T),
quindi lungo un’isoterma ∆U1→
→2 = 0
ed essendo Q1→2 = QH =L1→
→2
Ragionando in termini di grandezze specifiche massiche il lavoro l1→2 della particolare politropica
isoterma per il gas perfetto vale:
l1→2 = R × T1 × ln
V2
V
= p1 × V1 × ln 2 (a)
V1
V1
Lungo la trasformazione isoterma 3→4 il fluido cede il calore qC al pozzo alla TC, temperatura
inferiore di un infinitesimo alla T4, ovvero TH = T4+dT.
Analogamente a quanto detto per la trasformazione 1→2 si ha:
l3→ 4 = R × T2 × ln
V4
V
= p 2 × V2 × ln 4 (b)
V3
V3
Ma quanto vale V2 e V4?
A questo punto consideriamo la politropica adiabatica, dato che 2 e 4 si trovano sulle trasformazioni
adiabatiche.
In particolare la trasformazione adiabatica 4→1, sempre con gas perfetto:
pVγ=cost, con γ=Cp/CV
e cioè:
p4V4γ = p1V1γ
ma
pV=RT, e cioè p = RT/V
Pagina 37 di 56
cioè
R×
T4
T
× V4γ = R × 1 × V1γ
V4
V1
T4 × V4γ −1 = T1 × V1γ −1
Analogamente per la trasformazione adiabatica 2→3, sempre con gas perfetto si ha:
T2 × V2γ −1 = T3 × V3γ −1
Per le trasformazioni isoterme si ha:
T4 ≡ T3
T1 ≡ T2
T4 × V4γ −1 = T1 × V1γ −1 (1)
T4 × V3γ −1 = T1 × V2γ −1 (2)
Dividendo la (1) per (2) si ottiene:
V1 V4
(3)
=
V2 V3
Dalla (1) e dalla (2) isolando T1/T4, si ha:
T1  V4
=
T4  V1



T1  V3 
= 
T4  V2 
γ −1
γ −1
e cioè:
 V4   V3 
  =  
 V1   V2 
e anche:
 V2   V3 
  =   (3)
 V1   V4 
Inserendo nella (a) e nella (b) la (3)
Pagina 38 di 56

V
V
l1→2 = R × T1 × ln 2 = p1 × V1 × ln 2
V1
V1


V4
V
= p 2 × V2 × ln 4
l3→4 = R × T2 × ln
V3
V3

 V   V 
 2  =  3 
 V1   V4 
e tenendo conto dell’algebra dei logaritmi si ha:
qH = l1→2 = R × T1 × ln
qC = l3→ 4 = R × T2 × ln
V2
V1
(4)
V4
V
= − R × T2 × ln 2
V3
V1
(5)
_________________________________________________________________
Logaritmi
Dicesi logaritmo di un numero reale positivo b, rispetto alla base a positiva e diversa da 1, quel
numero reale α cui bisogna elevare la base a perché la potenza sia uguale a b e cioè:
aα = b
loga b = α
y
a>1
x
1
a<1
_________________________________________________________________
Pagina 39 di 56
Quindi considerando la (4) e la (5) ed il primo principio per il ciclo si ha:
Qciclo = ∆U ciclo + Lciclo
ma
∆U ciclo = 0
Qciclo = Lciclo
Nel nostro caso:
Qciclo = QH + QC (6)
ove la somma è algebrica infatti
qC = − R × T2 × ln
V2
V1
Allora si suole indicare per comodità la seguente convenzione per i cicli:
+ il calore entrante nel sistema e proveniente dalla sorgente;
-
il calore uscente dal sistema e diretto al pozzo:
Sorgente
TH
+
CICLO
Pozzo
TC
Pertanto scrivere la (6), che era di natura algebrica, in forma aritmetica così:
l = qH-qC , con TH>TC e quindi RTH>RTC e cioè |qH|>|qC|.
Da notare che con l’adozione della forma aritmetica non cambia nulla a livello di convenzioni di
segno in quanto si mantiene quanto già adottato e cioè positivo se il q è entrante nel sistema e
negativo se il Q è uscente dal sistema.
Quindi considerando la definizione generale di rendimento e i calori QH e QC in valore assoluto
dalle formulazioni (4) e (5), il rendimento di Carnot, cioè il rendimento di primo principio per un
particolare ciclo reversibile detto ciclo di Carnot, è pari a:
V
R × T2 × ln 2
l
q − qC
q
T
V1
= H
=1− C =1−
=1− c
ηI =
V
qH
qH
qH
TH
R × T1 × ln 2
V1
Pagina 40 di 56
Il rendimento di Carnot rappresenta il rendimento massimo idealmente ottenibile, quindi in
assenza di irreversibilità, da una macchina trasformatrice operante tra due serbatoi di calore, ovvero
tra due temperature estreme, TH e TC.
Si può dimostrare che due cicli reversibili che lavorano alle stesse temperature estreme hanno lo
stesso rendimento.
Dalla definizione generale di rendimento di primo principio, il lavoro massimo ottenibile sarà
pertanto pari a:
Lmax = ηreversibile × QH
Tanto maggiore è la differenza di temperatura tra la sorgente calda e la sorgente fredda e tanto
maggiore sarà il rendimento di conversione del calore in lavoro.
_______________________________________________________________
Altri cicli reversibili, oltre Carnot
Un ciclo composto da 4 trasformazioni politropiche reversibili, a 2 a 2 uguali (detto ciclo
simmetrico) scambino calore con la stessa sorgente, oppure più semplicemente tra di loro. Infatti in
tal caso l’unico scambio di calore verso l’esterno, potenziale responsabile di irreversibilità esterne,
avviene solo lungo le isoterme.
Ad esempio consideriamo un ciclo costituito da:
2 trasformazioni isoterme
2 isobare (p2 > p1)
p
p2
T
4
Q4→1
1
\
Q3→4
isoterma T1
isoterma T2
3
isobara p1
T2
2
Q2→3
V
Q1= calore entrante totale dal ciclo = Q4→
→1+Q1→
→2
Q isobara 4 →1 = C p × (T1 − T4 ) = C p × (T1 − T2 )
Q isoterma 1→ 2 = R × T1 × ln
2
isobara p2
Q1→2
p1
1
\
T1
V2
V1
Q2= calore uscente totale dal ciclo = Q2→
→3+Q3→
→4
Pagina 41 di 56
4
3
S
Q isobara 2 → 3 = C p × (T2 − T3 ) = C p × (T1 − T2 )
V3
V4
Quindi esplicitando il rendimento di primo principio si ha:
Q isoterma 3→ 4 = R × T2 × ln
V3
Q
V4
ηI = 1 − 2 = 1 −
V
Q1
C p × (T1 − T2 ) + R × T1 × ln 2
V1
C p × (T1 − T2 ) + R × T2 × ln
Nella realtà il calore scambiato (acquistato e ceduto dal sistema) lungo le isobare è lo stesso e alle
stesse temperature estreme (T1 e T2), quindi alla fine è come se il ciclo scambiasse calore solo lungo
le isoterme e cioè Q1→2 e Q3→4.
Quindi si può scrivere il rendimento come:
ηI = 1 −
Q2 →3
Q1→ 2
V3
V
T2 × ln 3
V4
V4
=1−
= 1−
V
V
R × T1 × ln 2
T1 × ln 2
V1
V1
R × T2 × ln
Ma 1→4 e 2→3 sono trasformazioni isobare e pertanto:
V4 T2
T
= ⇒ V4 = 2 × V1
V1 T1
T1
V3 T2
T
= ⇒ V2 = 1 × V3
V2 T1
T2
Pertanto il rendimento diventa:




V3 

T2 × ln
 T2

V3
× V1 
T2 × ln

V4
 T1
 = 1 − T2 , che è il rendimento di Carnot.
ηI = 1 −
=1−
V
 T1

T1
T1 × ln 2
 × V3 
V1
T

T1 × ln 2
 V1 




_______________________________________________________________
In generale possiamo riepilogare dicendo che, date due temperature estreme T1 e T2, il rendimento
di primo principio vale:
Pagina 42 di 56
ηI =
per qualsiasi ciclo
ciclo reversibile (es. Carnot):
L
Q
= 1− 2
Q1
Q1
I
η rev
=1−
T2
T1
I
ciclo ideale (rev.internamente): η idelae
ciclo reale (irreversibile)
I
η reale
ove vale il legame:
I
I
I
η reale
< η ideale
< η rev
Consideriamo un ciclo reversibile che lavora tra le temperature estreme T1 e T2, scambiando calore
Q1 e Q2 e Lrev sia il lavoro sviluppato (detto anche Lmassimo); rappresentiamo attraverso i diagrammi
di Nyrquist i flussi di calore e lavoro in gioco.
Caso reversibile
Q1
Sorgente
TH
Q1
Q2
CICLO
Lrev
L
Q2
Pozzo
TC
Fissate le temperature estreme il ciclo reversibile rappresenta la massima efficienza possibile.
Pertanto è immediata una prima considerazione, a riprova del secondo principio della
termodinamica, ovvero non è possibile che il calore scaricato e non trasformato in lavoro (Q2) possa
essere paria a zero. Cioè la termodinamica ci dice che nel caso di ciclo reversibile comunque
esisterà un Q2 e quindi il ηIrev sarà sempre minore di 1. Si avvicinerà ad 1 più le temperature
estreme del ciclo (T1 e T2) saranno lontane tra loro.
Ricordando che:
T
I
η rev
= 1− 2
T1
se T2→0K, o T1→∞K si otterrebbe un rendimento pari a 1. Ma ciò non è possibile.
La T2 è la temperatura del pozzo; utilizzando come pozzi o l’acqua di mare, di fiume o l’aria
ambiente è evidente che in nessun caso nella pratica si potrebbe raggiungere la temperatura di 273°C.È evidente che più la temperatura T2 è bassa più il ciclo reversibile è performante.
La T1 è la temperatura della sorgente; avere temperature troppo elevate (migliaia di gradi) è
sicuramente non fattibile per la resistenza dei materiali. Anche in questo caso più T1 è elevata
meglio è per l’efficienza del ciclo.
E’ interessante, fissata la T2, vedere come varia il rendimento di primo principio al variare della T1
e quindi anche della distanza tra T1 e T2.
Pagina 43 di 56
T1
(K)
925
800
700
500
350
T2
(K)
303
303
303
303
303
ηIrev
(%)
67,2
62,1
56,7
39,4
13,4
Oltre ad evidenziare come peggiora il rendimento di un ciclo reversibile (che si ricorda essere il
meglio a parità di temperature estreme) al diminuire della temperatura T2, si rileva che, essendo il
reversibile il massimo teorico, nel caso di T1=350K, il rendimento di un qualsiasi ciclo non potrà
essere superiore a 13,4%.
Un’ulteriore considerazione di interesse è che se devo valutare la bontà di un ciclo reale, il
rendimento di primo principio non sarà in grado di dirmi se il particolare ciclo è molto performante
o poco rispetto al massimo possibile che è dato dal caso reversibile. In altre parole risulta evidente
che il rendimento di primo principio ha una natura quantitativa, ovvero non è altro che un bilancio
energetico; sarà necessario introdurre un altro parametro di efficienza per poter effettuare delle
analisi di natura qualitativa: il rendimento di secondo principio o energetico.
Ritornando al diagramma di Nyrquist: nel caso di ciclo ideale e poi reale si introducono le
irreversibilità.
È fondamentale chiarire che la termodinamica, fissate le T estreme (T1 e T2), con il caso reversibile
fornisce il valore Q2 che il sistema non riesce a trasformare in lavoro e che scarica. Tale Q2
individuato è fisso.
Le irreversibilità vanno a ridurre il lavoro reversibile che si potrebbe sviluppare; si genera pertanto
un lavoro perso, ovvero si può scrivere:
Lrev=Lreale+Lperso
Il più delle volte il lavoro perso, conseguenza della presenza delle irreversibilità si evidenzia
sottoforma di calore (come nel caso di presenza di attriti): ecco che il lavoro perso è pari a del
calore sviluppato, ma che concettualmente non ha niente a che fare con il Q2 di cui in precedenza.
Caso ideale e reale
Q1
L ideale o reale
Q2
L rev
L perso
Pagina 44 di 56
Rendimento di secondo principio
Il rendimento di secondo principio, detto anche rendimento exergetico, fissate le temperature
estreme del ciclo, è il rapporto tra il rendimento reale e il suo relativo reversibile, ovvero è il
rapporto tra il lavoro realmente ottenibile e quello massimo che fornirebbe un ciclo reversibile che
lavorasse alle stesse temperature estreme.
È pertanto una misura di quanto una macchina termica reale si avvicini al comportamento di una
macchina termica reversibile, quindi priva di irreversibilità.
η II =
ηreale Lreale
Lreale
=
=
ηCarnot Lrev η rev × QH
Pagina 45 di 56
3.10
Ciclo inverso
Il sistema preleva calore (QC) dal pozzo, lo cede alla macchina trasformatrice che assorbe lavoro (L)
e cede calore alla sorgente (QH).
SERBATOIO CALDO
(TH)
QH
L
M
QC
SERBATOIO FREDDO
(TH)
Figura 8: ciclo inverso.
All’interno della macchina trasformatrice o macchina termica (M) evolve un fluido di lavoro
secondo un ciclo termodinamico chiuso, pertanto il fluido di lavoro è soggetto ad una serie di
trasformazioni che a partire da un dato stato iniziale lo riportano al medesimo stato iniziale.
Pertanto tutte le grandezze di stato (P,ρ,T,h,s,u, ecc..) tra lo stato iniziale e quello finale non
variano.
Per il I principio della termodinamica applicato al ciclo termodinamico del fluido di lavoro avremo
che:
QH = L + QC
Pompa di calore
Scopo della pompa di calore è quello di fornire calore ad una sorgente calda prelevandolo da una
sorgente fredda. Si tratta quindi di un ciclo inverso e come tale la pompa di calore assorbe lavoro
(L).
L’efficienza di una pompa di calore si misura in termini di COP (coefficient of performance) o εp
(efficienza della pompa di calore).
Pagina 46 di 56
COPpompadicalore = ε p =
EFFETTO _ UTILE QH
QH
=
=
>1
ENERGIA _ SPESA
L QH − QC
Analogamente a quanto sviluppato nei cicli motore, nel caso di ciclo reversibile:
rev
rev
COPpompadical
ore = ε p =
QH
QH
TH
=
=
>1
L QH − QC TH − TC
Ciclo frigorifero
Scopo del ciclo inverso frigorifero è sottrarre calore ad una serbatoio freddo cedendolo ad un
serbatoio caldo.
L’efficienza di un ciclo frigorifero si misura in termini di COP o εr (efficienza frigorifera).
COPfrigorifero = ε r =
EFFETTO _ UTILE QC
Qc
=
=
>0
ENERGIA _ SPESA L QH − QC
Analogamente a quanto sviluppato nei cicli motore, nel caso di ciclo reversibile:
rev
rev
COPfrigorifer
=
o = εr
QC
QC
TC
=
=
>0
L QH − QC TH − TC
Si distinguono due tipologie di cicli frigoriferi, detti:
- a compressione;
- ad assorbimento.
Nel ciclo frigorifero a compressione ideale (Figura 9 e Figura 10) il fluido di lavoro subisce le
seguenti trasformazioni:
- 1 2, il fluido dallo stato di vapor saturo secco, pressione P1, viene compresso fino alla
pressione P2, corrispondente ad una temperatura di condensazione superiore alla temperatura
della sorgente calda;
- 2 3, il fluido attraversa uno scambiatore di calore cedendo calore alla sorgente calda e
condensando, passando quindi dallo stato di vapor surriscaldato, punto 2, a quello di liquido
saturo, punto 3;
- 3 4, il fluido è fatto espandere in una valvola di laminazione portandolo ad una pressione
P4 corrispondente ad una temperatura di evaporazione inferiore alla temperatura della
sorgente fredda. La sua rappresentazione nel piano (T,S) è tratteggiata perché non è una
trasformazione ideale;
- 4 1, il fluido entro in uno scambiatore di calore che funge da evaporatore dove scambia
calore con la sorgente fredda e si riporta alla condizione iniziale di vapor saturo, punto 1.
È da osservare che lungo la trasformazione di espansione 3 4 non viene impiegata una turbina a
vapore, come succede nell’espansione dei cicli diretti, in quanto in questa posizione all’interno della
campana di Andrews la quantità in fase liquida del fluido è talmente elevata che la gestione ed il
rendimento di una turbina a vapore sarebbe inaccettabile.
Pagina 47 di 56
2
T
QH
3
TH
L
TC
4
QC
1
s
Figura 9: ciclo frigorifero a compressione.
QH
3
2
Compressore
Condensatore
L
Valvola di
laminazione
Evaporatore
4
1
QC
Figura 10: schema impiantistico di un frigo a compressione.
In un frigorifero domestico il refrigerante assorbe calore dalla cella frigorifera mediante un
evaporatore costituito da una serpentina posta nella stessa cella, mentre cede calore all’aria
circostante attraverso un condensatore costituito da una serpentina posta nella parte retrostante del
frigorifero.
Pagina 48 di 56
Figura 11: schema di frigo domestico.
Nel ciclo frigorifero ad assorbimento (Figura 12), al fine di ovviare agli alti consumi energetici
della compressione del fluido di lavoro in fase vapore, si integra il sistema con un secondo fluido
che viene compresso in fase liquida.
Il ciclo sfrutta quindi due fluidi (ad esempio ammoniaca ed acqua) la cui solubilità varia con la
temperatura.
Il ciclo frigorifero ad assorbimento ad acqua e ammoniaca è così composto:
- 6 1, la soluzione di acqua e ammoniaca, in fase liquida, con l’ammoniaca disciolta
nell’acqua, entra in uno scambiatore di calore (generatore) dove viene scaldata (Qgeneratore),
causando il rilascio dell’ammoniaca in fase gassosa;
- 1 2, l’ammoniaca in fase gassosa attraversa uno scambiatore di calore (condensatore)
dove cede calore (QH) alla sorgente calda;
- 2 3, l’ammoniaca attraversa una valvola di laminazione che la porta ad una pressione
corrispondente ad una temperatura di evaporazione inferiore alla temperatura della sorgente
fredda;
- 3 4, l’ammoniaca attraversa uno scambiatore di calore (evaporatore) assorbendo calore
dalla sorgente fredda (QC);
- 4 5, l’ammoniaca in fase gassosa viene miscelata nuovamente con l’acqua
nell’assorbitore, dove fluisce l’acqua in fase liquida proveniente dal generatore e
opportunamente laminata (9 10). Il processo di assorbimento dell’ammoniaca nell’acqua
comporta il rilascio spontaneo di calore (Qassorbitore);
- 5 6 la soluzione in fase liquida di acqua e ammoniaca è compressa attraverso una pompa.
L’efficienza del frigorifero ad assorbimento sarà pari a:
frigorifero
COPassorb
= ε ass =
.
EFFETTO _ UTILE
Qc
=
ENERGIA _ SPESA L + Qgeneratore
Pagina 49 di 56
QH
1
2
Qgeneratore
Generatore
6
9
Condensatore
Pompa
Laminatore
acqua
Valvola di
laminazione
ammoniaca
L
10
Evaporatore
5
3
4
QC
Assorbitore
Qassorbitore
Si osserva che, a differenza dei cicli motori in cui le efficienze prendono il nome di rendimento η,
nei cicli inversi si utilizza il termine di COP oppure ε: la ragione sta nel fatto che il rendimento η
assume valori tra 0 e 1, mentre il COP o ε può essere anche superiore a 1.
--------------------------------------------------------------------------------------------I fluidi refrigeranti
Molte sono le sostanze che possono essere utilizzate come fluido refrigerante: si ricordano i
clorofluorocarburi (CFC), l’ammoniaca, gli idrocarburi (propano, etano, etilene, ecc.) ed in
alcuni casi anche l’acqua quando le applicazioni prevedono temperature superiori al punto di
congelamento.
Il mercato mondiale è coperto nella stragrande maggioranza delle applicazioni (più del 90%) dai
CFC ed in particolare dai R-11, R-12, R-22 e R-502.
R-11:
utilizzato principalmente nelle macchine frigorifere degli impianti di condizionamento
dell’aria degli edifici.
R-12 e R-134a: utilizzati nei frigoriferi e nei congelatori domestici e nei condizionatori dell’aria
delle automobili.
R-23:
utilizzato nelle pompe di calore, nei condizionatori d’aria di edifici commerciali e negli
impianti industriali di refrigerazione di grandi dimensioni.
R-502: è una miscela tra R-115 e R-22, è il refrigerante utilizzato negli impianti di refrigerazioni
commerciali come i supermercati.
Ammoniaca:
è stato ed è tuttora presente l’uso nel settore industriale ed in quello del
commercio all’ingrosso. L’ammoniaca è tossica. I vantaggi invece si possono
riassumere in basso costo, più elevato COP, migliori proprietà di scambio termico
da cui deriva l’adozione di più piccoli scambiatori di calore e pertanto meno
Pagina 50 di 56
costosi, maggiore facilità in caso di fughe e l’assenza degli effetti nocivi sullo
strato dell’ozono.
L’immissione di CFC completamente alogenati (come R-11, R-12 e R-115) nell’atmosfera
distrugge lo strato dell’ozono, consentendo ai raggi ultravioletti (nocivi) di raggiungere più
facilmente la superficie terrestre e alla radiazione infrarossa di allontanarsi dalla terra (effetto serra).
I CFC non completamente alogenati (come ad esempio R-22) hanno solo il 5% rispetto agli altri di
capacità distruttiva dell’ozono.
In alcuni Paesi l’uso dei CFC è stato vietato. Sono in studio CFC che non danneggiano lo strato
atmosferico dell’ozono e che non contribuiscono all’effetto serra. Il R-134a è stato sviluppato
recentemente con questa finalità e sta sostituendo il R-12.
---------------------------------------------------------------------------------------------
3.11
Entropia, processi reversibili e processi irreversibili
In un qualsiasi ciclo termodinamico reversibile o irreversibile, diretto o inverso l’integrale ciclico di
δQ/T è sempre inferiore o al più uguale a zero: questa relazione prende il nome di diseguaglianza
di Clausius.
δQ
∫T
≤ 0 (1) diseguaglianza di Clausius
Ed in particolare vale l’uguaglianza a zero solo per i cicli totalmente reversibili o almeno
internamente reversibili, mentre per quelli irreversibili è inferiore a zero, ovvero:
 δQ 
=0

int .rev
 δQ 
∫  T irrev. < 0
∫  T
(2) per cicli totalmente reversibili o almeno internamente reversibili
(3) per cicli irreversibili (3)
Considerando l’equazione (2) si evidenzia che l’integrale ciclico (la circuitazione) della grandezza
(δQ/T)int.rev., è nullo. Come già discusso in precedenza significa che la grandezza in questione non
dipende dalla modalità con cui evolve la trasformazione, ma solo dallo stato iniziale e finale. In
altre parole la grandezza (δQ/T)int.rev è una grandezza di stato.
Clausius definì questa nuova grandezza entropia e la indicò con S:
 δQ 
dS = 
(4)

 T int .rev
La variazione di entropia di un sistema si ottiene integrando la (4) tra uno stato iniziale “1” ed uno
stato finale “2”:
Pagina 51 di 56
 δQ 
∆S = S 2 − S1 = ∫ 

T  int .rev
1
2
(5)
L’integrale di δQ/T fornisce il valore della variazione di entropia tra i generici stati 1 e 2 solo se la
trasformazione 1→2 è una trasformazione reversibile almeno internamente. Nel caso di
trasformazione irreversibile la variazione di entropia tra i due stati può essere calcolata come
integrale di δQ/T solo ipotizzando una trasformazione internamente reversibile tra 1 e 2.
La grandezza entropia [S] è una derivata e in scrittura di grandezze fondamentali nel sistemi
scientifici vale:
[S] = [E]/[T] = [M][L]2[t]-2[T]-1
L’Unità di misura dell’entropia nel SI è (S) = J/K
Si utilizza anche l’entropia specifica alla massa [s], che in scritture di grandezze fondamentali nel
sistemi scientifici vale:
[s] = [E]/([T]x[M) = [L]2[t]-2[T]-1
L’Unità di misura dell’entropia specifica alla massa nel SI è (s) = J/(kgxK)
Ora consideriamo un ciclo composto da due trasformazioni:
1→2: trasformazione generica reversibile o irreversibile;
2→1: trasformazione internamente reversibile,
1→2: trasformazione reversibile o irreversibile
2→1: trasformazione internamente reversibile
Riscrivendo la (1) nel nostro caso si ha:
δQ 2 δQ 1  δQ 
∫ T = ∫1 T + ∫2  T int .rev ≤ 0 (5)
ma per la (5) si ha:
Pagina 52 di 56
2
∫
1
δQ
T
+ S1 − S 2 ≤ 0 (6)
Ovvero:
2
∆S = S 2 − S1 ≥ ∫
1
δQ
T
(7)
in forma differenziale:
dS ≥
δQ
T
(8)
Dove l’uguaglianza si ha solo per trasformazioni almeno reversibili internamente; mentre per
trasformazioni irreversibili vale la disuguaglianza.
La lettura della (7) e della (8) porta ad affermare che la variazione di entropia di un sistema chiuso
durante una trasformazione irreversibile è maggiore dell’integrale della grandezza δQ/T valutato
lungo la trasformazione. Solo nel caso di una trasformazione reversibile la variazione di entropia è
proprio pari all’integrale della grandezza δQ/T.
La T rappresenta la temperatura assoluta valutata al contorno del sistema dove vengono scambiate
quantità di calore tra sistema e ambiente.
In altre parole la (7) si può scrivere esplicitando due termini:
2
∆S = S 2 − S1 = ∫
1
δQ
T
+ S generata (9)
Ovvero lungo una generica trasformazione, quindi irreversibile, la variazione di entropia del sistema
passando dallo stato 1 allo stato 2 (∆S=S2-S1) è dato dal contributo di due addendi:
•
2
∫
δQ
che rappresenta l’entropia scambiata tra sistema e ambiente per scambio termico dal
T
sistema;
1
•
Sgenerata, che rappresenta la “creazione”o la “generazione” di entropia a causa
dell’irreversibilità
Evidentemente Sgenerata è pari a zero nel caso di trasformazioni internamente reversibili. Negli altri
casi è maggiore di zero. Ovvero Sgenerata≥0.
Nel caso non vi sia scambio di calore nella trasformazione in esame il primo addendo, ovvero
l’integrale di δQ/T è pari a zero e pertanto rimane solo Sgenerata ovvero le irreversibilità.
Si può anche dire che durante una trasformazione l’entropia di un sistema isolato non diminuisce
mai e al più rimane costante se la trasformazione è reversibile: principio dell’aumento
dell’entropia.
Pagina 53 di 56
Dato che nessuna trasformazione reale è reversibile, si può affermare che ogni trasformazione
comporta la generazione di una quantità di entropia.
-----------------------------------------------------------------------------------------------L’entropia scambiata
L’entropia può essere trasferita, scambiata da o ad un sistema in due modi:
1) per scambio termico
2) per trasporto di massa
Il trasferimento di entropia per scambio termico
Il movimento di calore è caratterizzato da un aumento di disordine e pertanto movimento di
entropia. Un sistema che riceve calore, pertanto, riceve anche entropia e quindi il sistema vede un
suo aumento di entropia; contemporaneamente pari quantità di entropia è diminuita nell’ambiente
che ha fornito il calore. Quindi quando il sistema cede calore all’ambiente, quest’ultimo aumenta la
sua entropia perché riceve assieme entropia, in tal caso il sistema invece diminuisce la sua entropia.
Ecco che l’entropia scambiata si scrive come calore scambiato e temperatura, cioè:
SCAMBIATA
S per
scambio termico =
δQ
∫T
Da notare che essendo temperatura assoluta T > 0, l’entropia scambiata assume il segno della
convenzione di segno adottata per il calore. Ovvero nel caso il calore entri nel sistema è positivo,
cioè l’entropia scambiata è positiva (Sscambiata > 0) vuol dire che il sistema aumenta la sua entropia e
l’ambiente esterno che ha fornito il calore la diminuisce. Nel caso in cui il calore è fornito dal
sistema all’ambiente esterno, il sistema diminuisce la sua entropia (Sscambiata < 0) e l’ambiente
esterno l’aumenta.
Il trasferimento di entropia per trasporto di massa
L’entropia come l‘energia è proporzionale alla massa costituente il sistema: quindi quando si
aumenta la massa si un sistema in conseguenza si aumenta l’entropia del sistema.
L’entropia generata
Sgenerata è l’entropia che si genera durante le trasformazioni per effetto di irreversibilità come ad
esempio l’attrito.
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Calore e lavoro
Nel trattare il concetto di “energia in movimento” il calore ed il lavoro sono stati del tutto
equivalenti.
In realtà la trattazione fin qui sviluppata sull’entropia consente di rilevare una differenza
sostanziale tra le due grandezze omogenee.
Dato che l’entropia si scambia solo con le quantità di calore (e di massa), ma non sicuramente di
lavoro si può affermare che:
il trasferimento di energia che si attua attraverso uno scambio di calore è accompagnato da
scambio di entropia.
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Il trasferimento di energia che si attua con scambio di lavoro non è accompagnato da
scambio di entropia.
In definitiva, a differenza del calore che è disordine, il lavoro è una forma di energia organizzata,
priva di disordine, per cui non c’è alcuno scambio di entropia associato al trasferimento di energia
tramite il lavoro.
Data una trasformazione reversibile il diagramma entropico rappresenta il calore scambiato nella
trasformazione.
T
2
1
Q
S
Figura 13: diagramma entropico per una trasformazione reversibile.
2
Q12 = ∫ TdS
1
Come detto in un sistema isolato la variazione di entropia del sistema non può essere negativa.
∆S ≥ 0
sistema isolato
Mentre per un sottoinsieme del sistema la variazione di entropia può anche essere negativa.
∆S < 0
sottosistema
Consideriamo ad esempio un sistema isolato costituito da due serbatoi di calore.
CONTORNO DEL SISTEMA ISOLATO
Q
T2
T1
SERBATOIO DI
CALORE 1
SERBATOIO DI
CALORE 2
Figura 14: sistema isolato.
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La variazione di entropia del sistema sarà pari alla somma delle variazione di entropia dei sotto
sistemi che lo compongono.
∆STOT = ∆S1 + ∆S2
Definiti:
- Q1 il calore uscente dal serbatoio 1;
- Q2 il calore entrante nel serbatoio 2;
il calore uscente da uno dei due serbatoi sarà uguale, in valore assoluto, al calore entrante nell’altro
serbatoio.
Q1 = Q2 = Q
Se i due serbatoi sono alla medesima temperatura (T1 = T2) la trasformazione è reversibile, il
calore passa spontaneamente da un serbatoio all’altro e viceversa.

Q
Q


∆S TOT = 1 + 2
∆
S
=
∆
S
+
∆
S

1
2
TOT

T1 T2

Q1

<0
⇒  Q1 = Q 2
⇒ ∆S TOT = 0
 ∆S 1 =
T
1

T = T
2

 1
Q2
>0

 ∆S 2 =

T2
Se i due serbatoi sono a temperatura diversa (ad esempio T1 > T2) la trasformazione è
irreversibile, il calore passa spontaneamente dal serbatoio caldo a quello freddo, ma non viceversa.

Q
Q


∆S TOT = 1 + 2
∆
S
=
∆
S
+
∆
S

TOT
1
2

T1 T2


Q1
<0
⇒  Q1 = Q 2
⇒ ∆S TOT > 0
 ∆S 1 =
T1

T > T
2

 1
Q2
>0

 ∆S 2 =

T2
L’entropia in definitiva è una grandezza termodinamica che serve a misurare il disordine
molecolare. Più un sistema è disordinato, più è difficile prevedere la posizione delle sue molecole e
più è alta la sua entropia.
L’entropia di una sostanza cristallina pura alla temperatura dello zero assoluto è nulla da momento
che non vi è alcuna indeterminazione sulla posizione delle molecole: questa dizione prende il nome
di terzo principio della termodinamica e si dice entropia assoluta l’entropia che fa riferimento
allo zero assoluto.
L’entropia assoluta è fondamentale come valore di riferimento assoluto per la determinazione
dell’entropia. Se Sasoluto=0 nel caso di sostanza cristallina pura, nel caso di sostanza non pura, dato
che si possono avere in tal caso più di una configurazione molecolare e pertanto si genera
un’indeterminazione dello stato microscopico, la Sassoluta di una sostanza non pura sarà >0.
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