A) Il Teatro Sociale non esiste. Non è un’entità, non ha una forma. Affermazione inquietante, forse, ma logico punto di partenza per raccontare un viaggio dentro al mondo dell’invisibile, della dialettica tra opinioni e metodologie mai universalmente condivise … per fortuna, direi! Il mio compito era quello di monitorare le realtà che si occupano di ‘teatro sociale’ nel resto d’Europa. Come risultato posso solo presentare un diario di viaggio, caotico e accidentato, come tutti i viaggi che si rispettino. Sono partita, non mi vergogno a dirlo, con l’ingenuità dell’esploratrice curiosa, ma anche un po’ infantile. Ho digitato sulla barra di ricerca la definizione Social Theatre. Sul www c’è tutto, mi son detta. In realtà c’è tutto quello che ha un nome e cognome. Non avrei dovuto dare per scontata una terminologia che è già troppo contraddittoria e cosi poco definita nel nostro stesso Paese. Risultato: un mare magnum di compagnie, gruppi, parrocchie, progetti, bibliografie, studi, network, articoli, attività di ogni genere, che non hanno praticamente nulla in comune l’una con l’altra. ‘Social Theatre in Europe’, stessa storia. ‘Teatro Social’ per provare con lo spagnolo. Uguale. Poi con il francese e niente. Unico dato comune è che spesso si trattava di esperienze riguardanti quello che in Italia definiremmo ‘Teatro civile’. Cos’è il ‘Teatro Sociale’ per noi e in che modo lo avranno categorizzato gli altri paesi europei? Noi facciamo teatro. Lo facciamo in situazioni di disagio così come lo faremmo in situazioni di cosiddetta normalità. Con la stessa accortezza che si deve a ogni essere umano. IL TEATRO SOCIALE NON ESISTE. Esistono gli artisti, gli attori, i registi, gli scrittori, i ballerini, i clown, i performer…esiste l’arte come risorsa per l’essere umano e la diversità come risorsa per l’arte. B) Scorporare i termini della questione Dovevo scandagliare il mondo dei possibili disagi, uno ad uno, per poi connetterli alle attività artistiche: immettere dati di diversa natura. Così ho preso a connettere le parole teatro e arte con le diverse categorie di disagio. ‘Theatre disabled’, ‘Teatro discapacidad’, ‘Theatre handicappè’, ‘Theatre social inclusion’, ‘Theatre in prison’, ‘Arte y carcel’, ‘Theatre and immigration’, ‘Theatre hospital’ e poi drug addiction, abuse, rape, young and children in social discomfort, eating disorders, war, emergency, … un delirio assoluto di scatole cinesi che si aprivano e si moltiplicavano. Tra le troppe risultanti, mi imbatto in un articolo pubblicato nel dicembre 2000 sulla ‘Revista Interuniversitaria de Formación del Profesorado’ dal titolo TEATRO Y DEFICENCIA MENTAL, scritto da Àngel Martínez León e Laura Romero Calavia. Si tratta di una ricerca, condotta presso la cattedra di Malattia mentale dell’ Università di Zaragoza, diretta dal professor Santiago Molina García. In breve, i ricercatori son partiti dalla loro esperienza di utilizzo del teatro come mezzo educativo per i bambini in età scolare e hanno cercato di esaminare attività teatrali svolte con persone che avessero speciali bisogni educativi. Tra le prime frasi dell’articolo una mi colpisce e mi conforta ‘non c’è niente di scritto sul teatro e la malattia mentale’. Sono passati dieci anni e la situazione è sicuramente più fluida, ma la loro condotta di ricerca li aveva portati a scontrarsi con le mie stesse difficoltà. Niente in internet, sulle banche dati, biblioteche, forum specializzati…finalmente un libro e due articoli reperiti presso il Centro di documentazione dell’università di Zaragoza. Certo, i riferimenti bibliografici alla fine si ampliano, quindi il settore della pedagogia,dell’istituzione scolastica, dell’educazione speciale, e, in secondo luogo, rimandano alle definizioni più gettonate in questa fase del mio viaggio, ossia ‘Therapy’, cui seguono tutti i composti di psico o psyco. Ma io non voglio e non posso (non è il mio campo) occuparmi di terapie. Sto cercando dei simili. Cerco arte applicata all’essere umano. I terapeuti, poi, mi daranno una mano a capire come mai il teatro e l’arte in generale facciano stare meglio. Chiunque, ne sono convinta. C) Quando teatro e arte vengono mangiati dalla prepotenza del disagio. Se è il disagio a stare in primo piano, ad essere protagonista, che fine fanno il teatro e l’arte in generale? Ho trovato un solo riferimento a una ipotetica quanto necessaria relazione tra le arti terapie e il teatro sociale. Si tratta di un libro ‘Drammaterapia e teatro sociale: dialoghi necessari’, scritto dalla dottoressa Sue Jennings, drammaterapeuta e attrice, personaggio piuttosto singolare che ha animato a lungo a Glastonbury, Inghilterra, una realtà chiamata Rowan studio (rowan è il sorbo il cui albero sembra avere delle proprietà magiche). Il Rowan è diventato anche Rowan International, Rowan Romania, Rowan Tree; è arrivato fino in Grecia e Turchia. In Romania la Jennings ha insegnato teatro sociale. Ha creato il ‘Project Wolf’ (Progetto lupo) che coinvolge giovani con speciali bisogni in un processo di creazione e interpretazione del loro stesso teatro. Sono ragazzi con difficoltà cognitive, sociali, oppure esclusi per qualche ragione dal sistema scolastico o dalla comunità. Per la Jennings il Progetto lupo è teatro sociale, nel senso che il teatro è una forma di arte performativa che affronta i bisogni dei gruppi nella comunità. Le affermazioni della Jennings mi stimolano un’altra riflessione. Se il teatro sociale è una risposta a un bisogno speciale, allora potrebbe essere inquadrato come terapia, alla stregua di molte altre attività che però partono dalla sfera delle discipline scientifiche. Come fare a superare la barriera del disagio e ad arrivare a vedere l’esperienza artistica? Da questo punto di vista un buon aggancio lo trovo sempre in Inghilterra. D) Quando il teatro incontra la diversità e il disagio, ossia quando il teatro/arte incontra l’essere umano. Fatto sta che proprio da Londra mi arriva un imput fondamentale. Si tratta di una frase scritta sulla home page di Oily Cart, compagnia teatrale che si occupa di creare teatro per giovani con disabilità multiple e autismo. ‘Oily Cart è una delle più grandi compagnie inglesi di teatro che lavora da più di 25 anni. Nonostante ciò la maggior parte degli spettatori di teatro, anche i più avidi, non ne hanno mai sentito parlare. La ragione è semplice. Oily Cart lavora interamente con i bambini, molti dei quali con disabilità multiple, e spesso, dietro le porte chiuse di scuole speciali’. Sono porte che vi apro volentieri. Oily Cart nasce, nel 1981, da Tim Webb, Max Rehinardt e Claire De Loon (personalità di tutto rispetto) mentre lavoravano assieme al Battlesea arts center. Lo scopo era quello di creare spettacoli di qualità per bambini sotto ai 5 anni. Tim Webb dice in un’intervista che nessuno voleva fare spettacoli per quella fascia d’età. Troppo difficili, troppo distratti, troppo distanti. Loro accettarono e vinsero la sfida. Finchè un giorno il direttore di una scuola speciale li chiamò a lavorare con i suoi ragazzi affetti da autismo. Dopo 25 anni Oily Cart è una delle dimostrazioni di dove può arrivare una sfida che parte dall’arte. Lavorano nel disagio facendo teatro, facendo vivere l’esperienza del teatro a chi non avrebbe potuto altrimenti. La compagnia Oily Cart, usando colori, trampolini, luci, spettacoli di marionette, palloni, bolle, piscine, aromi, mondi tattili crea spettacoli altamente interattivi e multisensoriali. Ovviamente sono provvisti di un gran numero di finanziatori e di organizzazioni partner. Organizzano corsi di specializzazione presso la Royal Scottish Academy of music and drama di Glasgow. E) Un irriducibile caos. Premetto che ci sono Paesi europei e categorie di disagio che è stato impossibile tracciare. E’ molto facile trovare risorse sul lavoro con bambini e giovani e sulla disabilità e, ma diventa impossibile reperire informazioni su altre categorie di disagio. Praticamente infiniti sono i gruppi che si occupano di teatro in scenari di guerra, ma operano prevalentemente fuori confine per ovvi motivi e ho volutamente evitato di includerli perché non avrei avuto modo né tempo di render giustizia al loro lavoro. Esistono anche delle differenze sostanziali tra Paese e Paese, che hanno a che fare con la cultura e la struttura politico-sociale, con le possibilità e l’organizzazione economica. L’esempio fondamentale in questo senso è quello dell’Inghilterra. La presenza dell’Arts Council (National Developement Agency for the Arts) rende la Gran Bretagna un luogo particolarmente fertile di iniziative riguardanti l’Arte in generale, ivi compresa quella applicata al disagio. L’Arts Council ha un piano di investimento per il periodo 2008/2011 di 1,6 bilioni di sterline. Lavora nell’Economia della creatività. Finanzia anche singoli artisti, piccole organizzazioni e centri cittadini. Produce documenti programmatici sull’uguaglianza di genere, la disabilità, l’integrazione razziale. Sono certa che non sia tutto oro ciò che luccica. Mi limito a riportare risultati. Questo è, però, un esempio di coordinazione e gestione che va preso in considerazione nel lavoro della Federazione che è, infatti, animata proprio da uno spirito e da un’idea simile. Coordinare, supportare, incrementare realtà indipendenti, ma con delle linee guida comuni. F) Un irriducibile caos Per quasi tutti gli altri Paesi le attività artistiche legate al sociale sono difficili da reperire e, soprattutto, spesso mancano di connessioni l’una con l’altra e di possibilità di finanziamento. Ancora, ci sono esperienze legate a una progettualità globale, ramificazioni di piani di intervento su settori problematici del mondo contemporaneo, ma con una vitalità breve, di qualche anno o addirittura di pochi mesi. Oppure riescono a trasformarsi in realtà permanenti nei casi più fortunati. Un progetto interessante viene dalla POLONIA. Si tratta di THEATRE AGAINST SOCIAL EXCLUSION (inizio Gennaio 2006), realizzato da un gruppo teatrale attivo dal 1995 in collaborazione con l’Associazione ART. E’ rivolto a persone che sono state in ospedali psichiatrici per lungo tempo (di età compresa tra i 18 e i 60 anni), integrate con studenti della Music Academy di Wroclaw. Oltre alla sezione di spettacolo vero e proprio è stato pensato un workshop che coinvolge gli spettatori, in particolare lavoratori del sociale, studenti del settore sociale, poliziotti, guardie municipali, infermieri. Il progetto agisce quindi sia sull’inclusione dei soggetti cosiddetti disagiati, sia sull’ambiente circostante, proponendo forme di educazione non convenzionale. Il successo degli spettacoli ha permesso il raggiungimento degli altri obiettivi del progetto e ha l’incremento dei workshop. Problemi: Scarse risorse economiche, mancanza di scambio, poca propensione nell’usare l’esperienza dei membri del gruppo per una reale reintegrazione sociale. Esempi di questo genere si moltiplicano nella mia ricerca e non posso citarli tutti. Sarebbero comunque ottime opportunità di scambio e di contatto per rendere più stabili e realmente europei certi progetti il cui valore sia evidente. Quello che segue sarà un elenco di esperienze portate alla luce a fatica. Indico la provenienza geografica e la natura dei diversi lavori, lasciando al pubblico la libertà di formarsi un’idea sul variegato, quanto parziale panorama, che ne risulterà. REGNO UNITO: Son partita dall’esperienza di Oily Cart e, rimanendo in Gran Bretagna, voglio citare un esempio totalmente diverso. Si tratta di VITA NOVA. Siamo nel Dorset. Sette persone, che provenivano da diverse strade, ma con una cosa in comune: essere stati tossicodipendenti. Erano riusciti a uscire dalla droga e volevano ridare qualcosa alla propria comunità. Una sorta di restituzione. Si son messi assieme per scrivere uno spettacolo da proporre alle scuole per parlare dell’abuso di sostanze stupefacenti. Parlarne in modo onesto.Fu loro vietato dal responsabile delle scuole di Bornemouth di mettere in scena il loro testo di fronte ai ragazzi. Non voleva che gli alunni si trovassero in presenza di extossicodipendenti. Lo misero in scena su una piazza della città chiamando i ragazzi delle scuole di recitazione per unirsi a loro. Era il 1999. Scratchin’ the Surface, questo è il titolo dell’opera, è arrivato a oltre 70.000 repliche e oggi VITA NOVA tiene workshops e spettacoli su comportamenti antisociali, bullismo, cultura delle gang, alcolismo, violenza domestica in college, scuole, centri diurni, comunità. Conta sette membri nello staff e oltre trenta volontari. Esempio totalmente differente dal precedente, di nicchia potremmo dire. Di queste realtà ne esistono tantissime e ho faticato a trovarle. Moltissime mi saranno sfuggite. CORALI è una compagnia nata in un centro diurno del Southwork per volontà di un’assistente sociale che ci lavorava, Virginia Moffat. Oggi è una compagnia di danzatori professionisti che ha lasciato il centro e vive del suo lavoro. L’ ANNE PEAKER CENTRE FOR ARTS IN CRIMINAL JUSTICE , che fa parte della rete di ESCAPE ARTISTS. ESCAPE ARTISTS coinvolge anche La compagnia della fortezza in Italia, Teatre de Opprime in Francia, Risksteatern in Svezia, Aufbruck in Germania. L’ANNE PEAKER si occupa di portare il teatro e altre forme d’arte all’interno delle carceri. Lavora in collaborazione con tutti gli attori del processo: dipartimento di giustizia, dirigenti carcerari, enti governativi, gruppi artistici, educatori e ricercatori. Sostiene e realizza progetti nelle carceri minorili. Nel 2001 ha lanciato un progetto di alta formazione per gli artisti coinvolti in progetti di inclusione sociale. Fra i lavori realizzati c’è ‘Creative skill 4 life’, del 2008, laboratorio teatrale per soggetti a rischio di esclusione sociale, che si è svolto presso centri di accoglienza per homeless. DEMENTIA AUTHORS è un progetto di scrittura creativa, a Glasgow, ideato e condotto dalla scrittrice Anthea McKinley. Persone affette da demenza, che vivono in una comunità d’accoglienza, sono messe in condizioni di scrivere, di far sentire la propria voce, di essere riconosciuti come autori a pieno titolo. Tra il 2003 e il 2009 ci sono stati 214 partecipanti al progetto. HEART N’SOUL è un’organizzazione nata nel 1986 che si occupa di realizzare progetti e formare artisti con disabilità. Musica, teatro, danza, arti visive, film. Molti sono artisti residenti. Altri vengono dall’esterno di volta in volta. Heart N’ Soul è nata dalla volontà del musicista Mark Williams di esplorare nuovi modi di fare musica e di usare l’arte per fare la differenza. Nel 1984 comincia a tenere sessioni creative nell’ accademia musicale di Mulberry con persone con disabilità cognitive. Il gruppo riuscì a produrre musica assolutamente originale e si trasferì all’ Albany, Londra, dove si unì a loro un professionista del teatro, Alix Parker. Cominciarono a creare spettacoli a livello professionale. Nella compagnia persone con disabilità cognitive vengono impiegate in ogni ruolo, dal marketing all’arte. IL MUSEO DI LONDRA ha avviato nel 2007 un programma di inclusione sociale attraverso l’arte. Il progetto, della durata di tre anni, si rivolge a disoccupati di lungo termine, pregiudicati e giovani a rischio dell’East London. Dello stesso periodo è DRAMA IN THE DOCKS. Un gruppo di giovani disoccupati lavora con animatori teatrali alla creazione di miniperformance, basate sulle problematiche della città. GREAE THEATRE COMPANY è una compagnia diretta da disabili che utilizza le competenze di attori, scrittori e registi con handicap fisici e sensoriali. Ha sviluppato un modello di training teatrale apposito. Nei suoi spettacoli usa principalmente il linguaggio dei segni e le descrizioni audio. L’approccio artistico è teso a creare performance che coinvolgano in egual misura un pubblico di disabili e non-disabili. LUNG HA’s THEATRE COMPANY, nata nel 1984, una delle prime compagnie professionali in Scozia con componenti con disabilità cognitive. Ha un cast di 25 attori. MIND YOUR HEAD è un programma, basato a Cork, Irlanda, che esplora le questioni riguardanti la salute mentale con i giovani. Al suo interno sono stati realizzate una serie di brevi animazioni in 2D dai ragazzi di Gurranabraher, periferia nord della città. Bullismo, uso di droghe, il suicidio, stress. ANJIALI, che vuol dire unione di mani, è una compagnia di danza nata da una serie di workshop integrati di danza contemporanea. Oggi è una compagnia professionale. StopGAP, compagnia di danza integrata con disabili, che, sfidando la nozione tradizionale di danza, utilizza il potenziale fisico e intellettuale di ogni suo ballerino per creare nuovi lavori. Organizza corsi, seminari, laboratori residenziali. FACE FRONT sviluppa performance con attori con disabilità fisica, sensoriale e cognitiva e con altri non-disabili di differenti età ed etnie. Stimola lo spettatore su tutti livelli sensoriali, utilizzando tetaro fisico, movimento, video, canzoni, poesia, musica. Punta a dare diverse vie d’accesso al fruitore e a utilizzare al massimo le potenzialità degli attori. REPUBBLICA SLOVACCA- A Bratislava c’è DIVADLO Z PASAZE (Theatre from the passage) che comprende una comunità residenziale e lavora con attori disabili in maniera professionale. RHIYS Romanian Hungarian Intercultural Youth Society UNGHERIA-ROMANIA è un’organizzazione non governativa e no profit fondata a Budapest da studenti e giovani professionisti rumeni che studiano e lavorano in Ungheria. Propone un progetto di dialogo interculturale attraverso il teatro. Gli obiettivi sono: unire i partecipanti in un evento culturale rompendo le barriere linguistiche, creare contatti diretti tra i gruppi di teatro indipendente provenienti da entrambi i Paesi, coinvolgere i partecipanti in discussioni sul dialogo interculturale in teatro, facilitare lo scambio di idee fra pubblici delle due diverse provenienze. ROMANIA CHANCE FOR LIFE è una Fondazione che si occupa dello sviluppo delle comunità locali potenziando le capacità di bambini e giovani, supportandoli emozionalmente e socialmente per contribuire a uno sviluppo sostenibile delle comunità rumene. Ha fondato THE ROMANIAN FEDERATION FOR COMMUNITY ARTS con l’obiettivo supportare e difendere i diritti umani, incrementando e utilizzando metodi di arte interattiva, che prevengano e agiscano in situazioni di oppressione, come la discriminazione nella società rumena. SPAGNA ASSOCIACIÓN PALADIO ARTE, a Segovia, è un’associazione senza scopo di lucro che lavora per l’integrazione lavorativa e sociale delle persone in situazione di svantaggio, principalmente con i disabili fisici e psichici, attraverso un mezzo tanto efficace come il teatro. Ha una compagnia stabile e una scuola di teatro alla quale possono accedere gratuitamente persone con e senza disabilità. DESPERTAR LOS SENTIDOS è un progetto sorto con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone che soffrono di disabilità fisica, psichica o cognitiva. ‘Il nostro obiettivo è non lasciare indifferente lo spettatore, vogliamo che apprezzino il nostro lavoro, la nostra disciplina e, soprattutto, la nostra arte. Non vogliamo che vedano lo spettacolo per compassione. Gli artisti dimostrano che la danza è un linguaggio universale con il quale chiunque può comunicare, indipendentemente dalle sue capacità fisiche, psichiche, cognitive. BAILAR ES LO CONTRARIO A LA COMPASIÓN, SIGNIFICA OFRECER PROTAGONISMO AL CUERPO, CUANDO EL CUERPO ES DIFERENTE’. LOCOS POR EL TEATRO, Alicante, è una compagnia teatrale nata all’interno di AFEMA (Associazione di familiari e malati di mente di Alicante). Dopo aver frequentato un breve laboratorio teatrale i partecipanti decidono di costituirsi in compagnia. Parallelamente alla costruzione degli spettacoli, la compagnia tiene un laboratorio teatrale aperto a tutti coloro che sono interessati al loro tipo di lavoro. TEATROYCOMPROMISO, a Madrid, lavora sul teatro dell’ascolto. TRANSFormas, Barcellona, che utilizza il teatro dell’oppresso. GERMANIA AUFBRUCH, Art city prison, progetto indipendendente del teatro di Berlino. Aufbruch ha lavorato con la mediazione artistica per moltissimi anni nel carcere di Tegel, uno dei più grandi d’Europa. Negli ultimi anni lavora anche nel carcere minorile di Berlino. SVEZIA MOOMTEATERN lavora con la disabilità. E’ stato fondato a Malmo da Kijell Stiernholm. Quando arrivò a Malmo non aveva soldi e il suo progetto andava avanti senza finanziamenti. La gente gli offriva da mangiare per compensare la sua attività. A fatica e dopo molto lavoro Stiernholm è riuscito a ottenere appoggio economico perché ha trasformato il suo intervento in una reale possibilità di lavoro. Mira a diventare un’istituzione culturale con uno status nazionale e regolari finanziamenti. OLANDA Il KIT di Amsterdam è un’organizzazione no profit che si occupa di cooperazione internazionale e interculturale. Il Tropentheater ne fa parte lo scambio culturale, lo sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà, il lavoro sul disagio sociale, l’integrazione razziale e culturale. FINLANDIA A Espoo c’è THATISUMU RY, compagnia teatrale attiva nell’integrazione di gruppi di bambini e ragazzi. Al suo interno nasce Stardock Ry, l’associazione no profit che si occupa di fare teatro con ragazzi e bambini anche in situazioni di svantaggio e di promuovere l’attività teatrale presso lo stesso target. In FRANCIA c’è il CRTH Centre Ressources Théàtre Handicap con la sua scuola di teatro e un programma di educazione e sensibilizzazione che parte dall’amore per il teatro. Fondata da Pascal Parsat, la scuola ‘O claire de lune’ è sostenuta dal ministero della sanità e dello sport e dalla Fondazione France Télévision. G) Non dare forma a ciò che rifiuta una forma. Non ho voluto, di proposito, ordinare il caos. E’ legittimo che rimanga una babele di esperienze, nella quale c’è posto per ogni onesta forma di intervento sociale attraverso l’arte. Federare vuol dire semplicemente unire le forze per un obiettivo comune, ma non livellare le differenze. Conosco molti professionisti del settore che, per comodità, direi, abbiamo definito ‘teatro sociale’. Li stimo. Apprezzo il loro lavoro, ma non sempre mi piace quello che fanno. Eppure questo non mi impedisce di supportarne l’attività perché è onesta e in linea con la loro visione del mondo e dell’arte. Noi facciamo teatro sociale venendo dal teatro. E’ quella la nostra casa, la nostra formazione, il nostro strumento, forse, anche la nostra visione della vita. Mettiamo in campo esperienze, le nostre diversità, i nostri approcci personali, con la volontà di scambiare con altri visioni, successi, sconfitte. Che questo scambio possa diventare globale, coinvolgere altri paesi, anche oltre i confini europei è auspicabile. In ogni caso, l’operatore di teatro sociale, che deve essere formato e preparato ad affrontare le eventualità della sua professione, non ha uno status neanche nel resto d’Europa. Così come avviene in Italia è un professionista del teatro che ha plasmato il proprio lavoro lavorando, sperimentando, credendo, aggiornandosi, ampliando i propri campi di ricerca, incrociando saperi e competenze, acquisendo nuove tecniche, aprendosi a metodologie. C’è chi usa il playback theatre, chi il Teatro dell’Oppresso, altri il clown o il multimediale, l’acrobatica o la danza, la scrittura creativa, l’improvvisazione, la musica…tutti usano l’arte. Tutti lavorano in connessione con altri esperti, altre figure professionali, quando necessitano di un supporto o di cooperare per raggiungere gli obiettivi. Un legittimo caos di professionisti che sanno scambiare saperi e coordinare competenze diverse, rimanendo interi nella propria essenza.