A) Il Teatro Sociale non esiste. Non è un`entità, non ha una

A) Il Teatro Sociale non esiste. Non è un’entità, non ha una
forma. Affermazione inquietante, forse, ma logico punto di
partenza per raccontare un viaggio dentro al mondo
dell’invisibile, della dialettica tra opinioni e metodologie
mai universalmente condivise … per fortuna, direi! Il mio
compito era quello di monitorare le realtà che si occupano
di ‘teatro sociale’ nel resto d’Europa. Come risultato posso
solo presentare un diario di viaggio, caotico e accidentato,
come tutti i viaggi che si rispettino. Sono partita, non mi
vergogno a dirlo, con l’ingenuità dell’esploratrice curiosa,
ma anche un po’ infantile. Ho digitato sulla barra di ricerca
la definizione Social Theatre. Sul www c’è tutto, mi son
detta. In realtà c’è tutto quello che ha un nome e
cognome. Non avrei dovuto dare per scontata una
terminologia che è già troppo contraddittoria e cosi poco
definita nel nostro stesso Paese. Risultato: un mare
magnum di compagnie, gruppi, parrocchie, progetti,
bibliografie, studi, network, articoli, attività di ogni genere,
che non hanno praticamente nulla in comune l’una con
l’altra. ‘Social Theatre in Europe’, stessa storia. ‘Teatro
Social’ per provare con lo spagnolo. Uguale. Poi con il
francese e niente. Unico dato comune è che spesso si
trattava di esperienze riguardanti quello che in Italia
definiremmo ‘Teatro civile’. Cos’è il ‘Teatro Sociale’ per noi
e in che modo lo avranno categorizzato gli altri paesi
europei? Noi facciamo teatro. Lo facciamo in situazioni di
disagio così come lo faremmo in situazioni di cosiddetta
normalità. Con la stessa accortezza che si deve a ogni
essere umano. IL TEATRO SOCIALE NON ESISTE. Esistono
gli artisti, gli attori, i registi, gli scrittori, i ballerini, i clown,
i performer…esiste l’arte come risorsa per l’essere umano
e la diversità come risorsa per l’arte.
B) Scorporare i termini della questione Dovevo scandagliare il
mondo dei possibili disagi, uno ad uno, per poi connetterli
alle attività artistiche: immettere dati di diversa natura.
Così ho preso a connettere le parole teatro e arte con le
diverse categorie di disagio. ‘Theatre disabled’, ‘Teatro
discapacidad’, ‘Theatre handicappè’, ‘Theatre social
inclusion’, ‘Theatre in prison’, ‘Arte y carcel’, ‘Theatre and
immigration’, ‘Theatre hospital’ e poi drug addiction,
abuse, rape, young and children in social discomfort,
eating disorders, war, emergency, … un delirio assoluto di
scatole cinesi che si aprivano e si moltiplicavano. Tra le
troppe risultanti, mi imbatto in un articolo pubblicato nel
dicembre 2000 sulla ‘Revista Interuniversitaria de
Formación
del Profesorado’ dal titolo TEATRO Y
DEFICENCIA MENTAL, scritto da Àngel Martínez León e
Laura Romero Calavia. Si tratta di una ricerca, condotta
presso la cattedra di Malattia mentale dell’ Università di
Zaragoza, diretta dal professor Santiago Molina García. In
breve, i ricercatori son partiti dalla loro esperienza di
utilizzo del teatro come mezzo educativo per i bambini in
età scolare e hanno cercato di esaminare attività teatrali
svolte con persone che avessero speciali bisogni educativi.
Tra le prime frasi dell’articolo una mi colpisce e mi conforta
‘non c’è niente di scritto sul teatro e la malattia mentale’.
Sono passati dieci anni e la situazione è sicuramente più
fluida, ma la loro condotta di ricerca li aveva portati a
scontrarsi con le mie stesse difficoltà. Niente in internet,
sulle
banche
dati,
biblioteche,
forum
specializzati…finalmente un libro e due articoli reperiti
presso il Centro di documentazione dell’università di
Zaragoza. Certo, i riferimenti bibliografici alla fine si
ampliano, quindi il settore della pedagogia,dell’istituzione
scolastica, dell’educazione speciale, e, in secondo luogo,
rimandano alle definizioni più gettonate in questa fase del
mio viaggio, ossia ‘Therapy’, cui seguono tutti i composti di
psico o psyco. Ma io non voglio e non posso (non è il mio
campo) occuparmi di terapie. Sto cercando dei simili. Cerco
arte applicata all’essere umano. I terapeuti, poi, mi
daranno una mano a capire come mai il teatro e l’arte in
generale facciano stare meglio. Chiunque, ne sono
convinta.
C) Quando teatro e arte vengono mangiati dalla prepotenza
del disagio. Se è il disagio a stare in primo piano, ad
essere protagonista, che fine fanno il teatro e l’arte in
generale? Ho trovato un solo riferimento a una ipotetica
quanto necessaria relazione tra le arti terapie e il teatro
sociale. Si tratta di un libro ‘Drammaterapia e teatro
sociale: dialoghi necessari’, scritto dalla dottoressa Sue
Jennings, drammaterapeuta e attrice, personaggio
piuttosto singolare che ha animato a lungo a Glastonbury,
Inghilterra, una realtà chiamata Rowan studio (rowan è il
sorbo il cui albero sembra avere delle proprietà magiche).
Il Rowan è diventato anche Rowan International, Rowan
Romania, Rowan Tree; è arrivato fino in Grecia e Turchia.
In Romania la Jennings ha insegnato teatro sociale. Ha
creato il ‘Project Wolf’ (Progetto lupo) che coinvolge
giovani con speciali bisogni in un processo di creazione e
interpretazione del loro stesso teatro. Sono ragazzi con
difficoltà cognitive, sociali, oppure esclusi per qualche
ragione dal sistema scolastico o dalla comunità. Per la
Jennings il Progetto lupo è teatro sociale, nel senso che il
teatro è una forma di arte performativa che affronta i
bisogni dei gruppi nella comunità. Le affermazioni della
Jennings mi stimolano un’altra riflessione. Se il teatro
sociale è una risposta a un bisogno speciale, allora
potrebbe essere inquadrato come terapia, alla stregua di
molte altre attività che però partono dalla sfera delle
discipline scientifiche. Come fare a superare la barriera del
disagio e ad arrivare a vedere l’esperienza artistica? Da
questo punto di vista un buon aggancio lo trovo sempre in
Inghilterra.
D) Quando il teatro incontra la diversità e il disagio, ossia
quando il teatro/arte incontra l’essere umano. Fatto sta
che proprio da Londra mi arriva un imput fondamentale. Si
tratta di una frase scritta sulla home page di Oily Cart,
compagnia teatrale che si occupa di creare teatro per
giovani con disabilità multiple e autismo. ‘Oily Cart è una
delle più grandi compagnie inglesi di teatro che lavora da
più di 25 anni. Nonostante ciò la maggior parte degli
spettatori di teatro, anche i più avidi, non ne hanno mai
sentito parlare. La ragione è semplice. Oily Cart lavora
interamente con i bambini, molti dei quali con disabilità
multiple, e spesso, dietro le porte chiuse di scuole speciali’.
Sono porte che vi apro volentieri. Oily Cart nasce, nel
1981, da Tim Webb, Max Rehinardt e Claire De Loon
(personalità di tutto rispetto) mentre lavoravano assieme
al Battlesea arts center. Lo scopo era quello di creare
spettacoli di qualità per bambini sotto ai 5 anni. Tim Webb
dice in un’intervista che nessuno voleva fare spettacoli per
quella fascia d’età. Troppo difficili, troppo distratti, troppo
distanti. Loro accettarono e vinsero la sfida. Finchè un
giorno il direttore di una scuola speciale li chiamò a
lavorare con i suoi ragazzi affetti da autismo. Dopo 25 anni
Oily Cart è una delle dimostrazioni di dove può arrivare
una sfida che parte dall’arte. Lavorano nel disagio facendo
teatro, facendo vivere l’esperienza del teatro a chi non
avrebbe potuto altrimenti. La compagnia Oily Cart, usando
colori, trampolini, luci, spettacoli di marionette, palloni,
bolle, piscine, aromi, mondi tattili crea spettacoli altamente
interattivi e multisensoriali. Ovviamente sono provvisti di
un gran numero di finanziatori e di organizzazioni partner.
Organizzano corsi di specializzazione presso la Royal
Scottish Academy of music and drama di Glasgow.
E) Un irriducibile caos. Premetto che ci sono Paesi europei e
categorie di disagio che è stato impossibile tracciare. E’
molto facile trovare risorse sul lavoro con bambini e
giovani e sulla disabilità e, ma diventa impossibile reperire
informazioni su altre categorie di disagio. Praticamente
infiniti sono i gruppi che si occupano di teatro in scenari di
guerra, ma operano prevalentemente fuori confine per ovvi
motivi e ho volutamente evitato di includerli perché non
avrei avuto modo né tempo di render giustizia al loro
lavoro. Esistono anche delle differenze sostanziali tra Paese
e Paese, che hanno a che fare con la cultura e la struttura
politico-sociale, con le possibilità e l’organizzazione
economica. L’esempio fondamentale in questo senso è
quello dell’Inghilterra. La presenza dell’Arts Council
(National Developement Agency for the Arts) rende la Gran
Bretagna un luogo particolarmente fertile di iniziative
riguardanti l’Arte in generale, ivi compresa quella applicata
al disagio. L’Arts Council ha un piano di investimento per il
periodo 2008/2011 di 1,6 bilioni di sterline. Lavora
nell’Economia della creatività. Finanzia anche singoli artisti,
piccole organizzazioni e centri cittadini. Produce documenti
programmatici sull’uguaglianza di genere, la disabilità,
l’integrazione razziale. Sono certa che non sia tutto oro ciò
che luccica. Mi limito a riportare risultati. Questo è, però,
un esempio di coordinazione e gestione che va preso in
considerazione nel lavoro della Federazione che è, infatti,
animata proprio da uno spirito e da un’idea simile.
Coordinare, supportare, incrementare realtà indipendenti,
ma con delle linee guida comuni.
F) Un irriducibile caos Per quasi tutti gli altri Paesi le attività
artistiche legate al sociale sono difficili da reperire e,
soprattutto, spesso mancano di connessioni l’una con
l’altra e di possibilità di finanziamento. Ancora, ci sono
esperienze legate a una progettualità globale, ramificazioni
di piani di intervento su settori problematici del mondo
contemporaneo, ma con una vitalità breve, di qualche anno
o addirittura di pochi mesi. Oppure riescono a trasformarsi
in realtà permanenti nei casi più fortunati. Un progetto
interessante viene dalla POLONIA. Si tratta di THEATRE
AGAINST SOCIAL EXCLUSION (inizio Gennaio 2006),
realizzato da un gruppo teatrale attivo dal 1995 in
collaborazione con l’Associazione ART. E’ rivolto a persone
che sono state in ospedali psichiatrici per lungo tempo (di
età compresa tra i 18 e i 60 anni), integrate con studenti
della Music Academy di Wroclaw. Oltre alla sezione di
spettacolo vero e proprio è stato pensato un workshop che
coinvolge gli spettatori, in particolare lavoratori del sociale,
studenti del settore sociale, poliziotti, guardie municipali,
infermieri. Il progetto agisce quindi sia sull’inclusione dei
soggetti cosiddetti disagiati, sia sull’ambiente circostante,
proponendo forme di educazione non convenzionale. Il
successo degli spettacoli ha permesso il raggiungimento
degli altri obiettivi del progetto e ha l’incremento dei
workshop. Problemi: Scarse risorse economiche, mancanza
di scambio, poca propensione nell’usare l’esperienza dei
membri del gruppo per una reale reintegrazione sociale.
Esempi di questo genere si moltiplicano nella mia ricerca e
non posso citarli tutti. Sarebbero comunque ottime
opportunità di scambio e di contatto per rendere più stabili
e realmente europei certi progetti il cui valore sia evidente.
Quello che segue sarà un elenco di esperienze portate alla
luce a fatica. Indico la provenienza geografica e la natura
dei diversi lavori, lasciando al pubblico la libertà di formarsi
un’idea sul variegato, quanto parziale panorama, che ne
risulterà. REGNO UNITO: Son partita dall’esperienza di
Oily Cart e, rimanendo in Gran Bretagna, voglio citare un
esempio totalmente diverso. Si tratta di VITA NOVA. Siamo
nel Dorset. Sette persone, che provenivano da diverse
strade, ma con una cosa in comune: essere stati
tossicodipendenti. Erano riusciti a uscire dalla droga e
volevano ridare qualcosa alla propria comunità. Una sorta
di restituzione. Si son messi assieme per scrivere uno
spettacolo da proporre alle scuole per parlare dell’abuso di
sostanze stupefacenti. Parlarne in modo onesto.Fu loro
vietato dal responsabile delle scuole di Bornemouth di
mettere in scena il loro testo di fronte ai ragazzi. Non
voleva che gli alunni si trovassero in presenza di extossicodipendenti. Lo misero in scena su una piazza della
città chiamando i ragazzi delle scuole di recitazione per
unirsi a loro. Era il 1999. Scratchin’ the Surface, questo è il
titolo dell’opera, è arrivato a oltre 70.000 repliche e oggi
VITA NOVA tiene workshops e spettacoli su comportamenti
antisociali, bullismo, cultura delle gang, alcolismo, violenza
domestica in college, scuole, centri diurni, comunità. Conta
sette membri nello staff e oltre trenta volontari. Esempio
totalmente differente dal precedente, di nicchia potremmo
dire. Di queste realtà ne esistono tantissime e ho faticato a
trovarle. Moltissime mi saranno sfuggite. CORALI è una
compagnia nata in un centro diurno del Southwork per
volontà di un’assistente sociale che ci lavorava, Virginia
Moffat. Oggi è una compagnia di danzatori professionisti
che ha lasciato il centro e vive del suo lavoro. L’ ANNE
PEAKER CENTRE FOR ARTS IN CRIMINAL JUSTICE , che fa
parte della rete di ESCAPE ARTISTS. ESCAPE ARTISTS
coinvolge anche La compagnia della fortezza in Italia,
Teatre de Opprime in Francia, Risksteatern in Svezia,
Aufbruck in Germania. L’ANNE PEAKER si occupa
di
portare il teatro e altre forme d’arte all’interno delle
carceri. Lavora in collaborazione con tutti gli attori del
processo: dipartimento di giustizia, dirigenti carcerari, enti
governativi, gruppi artistici, educatori e ricercatori.
Sostiene e realizza progetti nelle carceri minorili. Nel 2001
ha lanciato un progetto di alta formazione per gli artisti
coinvolti in progetti di inclusione sociale. Fra i lavori
realizzati c’è ‘Creative skill 4 life’, del 2008, laboratorio
teatrale per soggetti a rischio di esclusione sociale, che si è
svolto presso centri di accoglienza per homeless.
DEMENTIA AUTHORS è un progetto di scrittura creativa, a
Glasgow, ideato e condotto dalla scrittrice Anthea
McKinley. Persone affette da demenza, che vivono in una
comunità d’accoglienza, sono messe in condizioni di
scrivere, di far sentire la propria voce, di essere
riconosciuti come autori a pieno titolo. Tra il 2003 e il 2009
ci sono stati 214 partecipanti al progetto. HEART N’SOUL è
un’organizzazione nata nel 1986 che si occupa di realizzare
progetti e formare artisti con disabilità. Musica, teatro,
danza, arti visive, film. Molti sono artisti residenti. Altri
vengono dall’esterno di volta in volta. Heart N’ Soul è nata
dalla volontà del musicista Mark Williams di esplorare nuovi
modi di fare musica e di usare l’arte per fare la differenza.
Nel 1984 comincia a tenere sessioni creative nell’
accademia musicale di Mulberry con persone con disabilità
cognitive. Il gruppo riuscì a produrre musica assolutamente
originale e si trasferì all’ Albany, Londra, dove si unì a loro
un professionista del teatro, Alix Parker. Cominciarono a
creare spettacoli a livello professionale. Nella compagnia
persone con disabilità cognitive vengono impiegate in ogni
ruolo, dal marketing all’arte. IL MUSEO DI LONDRA ha
avviato nel 2007 un programma di inclusione sociale
attraverso l’arte. Il progetto, della durata di tre anni, si
rivolge a disoccupati di lungo termine, pregiudicati e
giovani a rischio dell’East London. Dello stesso periodo è
DRAMA IN THE DOCKS. Un gruppo di giovani disoccupati
lavora
con
animatori
teatrali
alla
creazione
di
miniperformance, basate sulle problematiche della città.
GREAE THEATRE COMPANY è una compagnia diretta da
disabili che utilizza le competenze di attori, scrittori e
registi con handicap fisici e sensoriali. Ha sviluppato un
modello di training teatrale apposito. Nei suoi spettacoli
usa principalmente il linguaggio dei segni e le descrizioni
audio. L’approccio artistico è teso a creare performance
che coinvolgano in egual misura un pubblico di disabili e
non-disabili. LUNG HA’s THEATRE COMPANY, nata nel
1984, una delle prime compagnie professionali in Scozia
con componenti con disabilità cognitive. Ha un cast di 25
attori. MIND YOUR HEAD è un programma, basato a Cork,
Irlanda, che esplora le questioni riguardanti la salute
mentale con i giovani. Al suo interno sono stati realizzate
una serie di brevi animazioni in 2D dai ragazzi di
Gurranabraher, periferia nord della città. Bullismo, uso di
droghe, il suicidio, stress. ANJIALI, che vuol dire unione di
mani, è una compagnia di danza nata da una serie di
workshop integrati di danza contemporanea. Oggi è una
compagnia professionale. StopGAP, compagnia di danza
integrata con disabili, che, sfidando la nozione tradizionale
di danza, utilizza il potenziale fisico e intellettuale di ogni
suo ballerino per creare nuovi lavori. Organizza corsi,
seminari, laboratori residenziali. FACE FRONT sviluppa
performance con attori con disabilità fisica, sensoriale e
cognitiva e con altri non-disabili di differenti età ed etnie.
Stimola lo spettatore su tutti livelli sensoriali, utilizzando
tetaro fisico, movimento, video, canzoni, poesia, musica.
Punta a dare diverse vie d’accesso al fruitore e a utilizzare
al massimo le potenzialità degli attori. REPUBBLICA
SLOVACCA- A Bratislava c’è DIVADLO Z PASAZE (Theatre
from the passage) che comprende una comunità
residenziale e lavora con attori disabili in maniera
professionale. RHIYS Romanian Hungarian Intercultural
Youth Society UNGHERIA-ROMANIA è un’organizzazione
non governativa e no profit fondata a Budapest da studenti
e giovani professionisti rumeni che studiano e lavorano in
Ungheria. Propone un progetto di dialogo interculturale
attraverso il teatro. Gli obiettivi sono: unire i partecipanti
in un evento culturale rompendo le barriere linguistiche,
creare contatti diretti tra i gruppi di teatro indipendente
provenienti da entrambi i Paesi, coinvolgere i partecipanti
in discussioni sul dialogo interculturale in teatro, facilitare
lo scambio di idee fra pubblici delle due diverse
provenienze. ROMANIA CHANCE FOR LIFE è una
Fondazione che si occupa dello sviluppo delle comunità
locali potenziando le capacità di bambini e giovani,
supportandoli
emozionalmente
e
socialmente
per
contribuire a uno sviluppo sostenibile delle comunità
rumene. Ha fondato THE ROMANIAN FEDERATION FOR
COMMUNITY ARTS con l’obiettivo supportare e difendere i
diritti umani, incrementando e utilizzando metodi di arte
interattiva, che prevengano e agiscano in situazioni di
oppressione, come la discriminazione nella società rumena.
SPAGNA ASSOCIACIÓN PALADIO ARTE, a Segovia, è
un’associazione senza scopo di lucro che lavora per
l’integrazione lavorativa e sociale delle persone in
situazione di svantaggio, principalmente con i disabili fisici
e psichici, attraverso un mezzo tanto efficace come il
teatro. Ha una compagnia stabile e una scuola di teatro
alla quale possono accedere gratuitamente persone con e
senza disabilità. DESPERTAR LOS SENTIDOS è un progetto
sorto con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle
persone che soffrono di disabilità fisica, psichica o
cognitiva. ‘Il nostro obiettivo è non lasciare indifferente lo
spettatore, vogliamo che apprezzino il nostro lavoro, la
nostra disciplina e, soprattutto, la nostra arte. Non
vogliamo che vedano lo spettacolo per compassione. Gli
artisti dimostrano che la danza è un linguaggio universale
con il quale chiunque può comunicare, indipendentemente
dalle sue capacità fisiche, psichiche, cognitive. BAILAR ES
LO CONTRARIO A LA COMPASIÓN, SIGNIFICA OFRECER
PROTAGONISMO AL CUERPO, CUANDO EL CUERPO ES
DIFERENTE’. LOCOS POR EL TEATRO, Alicante, è una
compagnia teatrale nata all’interno di AFEMA (Associazione
di familiari e malati di mente di Alicante). Dopo aver
frequentato un breve laboratorio teatrale i partecipanti
decidono di costituirsi in compagnia. Parallelamente alla
costruzione degli spettacoli, la compagnia tiene un
laboratorio teatrale aperto a tutti coloro che sono
interessati al loro tipo di lavoro. TEATROYCOMPROMISO, a
Madrid, lavora sul teatro dell’ascolto. TRANSFormas,
Barcellona, che utilizza il teatro dell’oppresso. GERMANIA
AUFBRUCH, Art city prison, progetto indipendendente del
teatro di Berlino. Aufbruch ha lavorato con la mediazione
artistica per moltissimi anni nel carcere di Tegel, uno dei
più grandi d’Europa. Negli ultimi anni lavora anche nel
carcere minorile di Berlino. SVEZIA MOOMTEATERN lavora
con la disabilità. E’ stato fondato a Malmo da Kijell
Stiernholm. Quando arrivò a Malmo non aveva soldi e il
suo progetto andava avanti senza finanziamenti. La gente
gli offriva da mangiare per compensare la sua attività. A
fatica e dopo molto lavoro Stiernholm è riuscito a ottenere
appoggio economico perché ha trasformato il suo
intervento in una reale possibilità di lavoro. Mira a
diventare un’istituzione culturale con uno status nazionale
e regolari finanziamenti. OLANDA Il KIT di Amsterdam è
un’organizzazione no profit che si occupa di cooperazione
internazionale e interculturale. Il Tropentheater ne fa parte
lo scambio culturale, lo sviluppo sostenibile, la lotta alla
povertà, il lavoro sul disagio sociale, l’integrazione razziale
e culturale. FINLANDIA A Espoo c’è THATISUMU RY,
compagnia teatrale attiva nell’integrazione di gruppi di
bambini e ragazzi. Al suo interno nasce Stardock Ry,
l’associazione no profit che si occupa di fare teatro con
ragazzi e bambini anche in situazioni di svantaggio e di
promuovere l’attività teatrale presso lo stesso target. In
FRANCIA c’è il CRTH Centre Ressources Théàtre Handicap
con la sua scuola di teatro e un programma di educazione
e sensibilizzazione che parte dall’amore per il teatro.
Fondata da Pascal Parsat, la scuola ‘O claire de lune’ è
sostenuta dal ministero della sanità e dello sport e dalla
Fondazione France Télévision.
G) Non dare forma a ciò che rifiuta una forma. Non ho voluto,
di proposito, ordinare il caos. E’ legittimo che rimanga una
babele di esperienze, nella quale c’è posto per ogni onesta
forma di intervento sociale attraverso l’arte. Federare vuol
dire semplicemente unire le forze per un obiettivo comune,
ma non livellare le differenze. Conosco molti professionisti
del settore che, per comodità, direi, abbiamo definito
‘teatro sociale’. Li stimo. Apprezzo il loro lavoro, ma non
sempre mi piace quello che fanno. Eppure questo non mi
impedisce di supportarne l’attività perché è onesta e in
linea con la loro visione del mondo e dell’arte. Noi facciamo
teatro sociale venendo dal teatro. E’ quella la nostra casa,
la nostra formazione, il nostro strumento, forse, anche la
nostra visione della vita. Mettiamo in campo esperienze, le
nostre diversità, i nostri approcci personali, con la volontà
di scambiare con altri visioni, successi, sconfitte. Che
questo scambio possa diventare globale, coinvolgere altri
paesi, anche oltre i confini europei è auspicabile. In ogni
caso, l’operatore di teatro sociale, che deve essere formato
e preparato ad affrontare le eventualità della sua
professione, non ha uno status neanche nel resto d’Europa.
Così come avviene in Italia è un professionista del teatro
che
ha
plasmato
il
proprio
lavoro
lavorando,
sperimentando, credendo, aggiornandosi, ampliando i
propri campi di ricerca, incrociando saperi e competenze,
acquisendo nuove tecniche, aprendosi a metodologie. C’è
chi usa il playback theatre, chi il Teatro dell’Oppresso, altri
il clown o il multimediale, l’acrobatica o la danza, la
scrittura creativa, l’improvvisazione, la musica…tutti usano
l’arte. Tutti lavorano in connessione con altri esperti, altre
figure professionali, quando necessitano di un supporto o
di cooperare per raggiungere gli obiettivi. Un legittimo caos
di professionisti che sanno scambiare saperi e coordinare
competenze diverse, rimanendo interi nella propria
essenza.