Risurrezione di Lazzaro - La restituzione della persona e di tutte le sue relazioni
Sebastiano del Piombo 1517-19
National Gallery –Londra
Gesù restituisce Lazzaro alla vita
Avvicinandoci alla lettura del quadro, in primo piano vediamo chiaramente Cristo. Lo si vede in
tutta la sua statura, in piedi, e chiaro ed evidente risulta il suo gesto; sono le mani ad essere le
protagoniste e conducono chi guarda verso Lazzaro, un uomo dalla pelle scura, non rosea, che non
individuiamo subito. L’occhio fatica a riconoscerlo, perché generalmente è rappresentato tutto
avvolto in bende, fasciato come una mummia, mentre esce da un sepolcro, che qui invece non
vediamo.
Emblematici sono gli esempi del sarcofago del terzo secolo dei Musei Capitolini dove Cristo come
filosofo togato ha la verga taumaturgica in mano, con la quale guarisce i malati. Alle soglie della
modernità vediamo la stessa impostazione iconografica nell’affresco di Giotto nella cappella
Scrovegni, in cui la figura di Gesù-maestro viene arricchita aggiungendovi le figure di Pietro e di
una donna con aureola che aiutano Lazzaro ad uscire dal sepolcro, segno di una Chiesa che ascolta
e mette in pratica.
Nel dipinto di del Piombo le bende toccano solo tre punti del corpo di Lazzaro: i piedi, le mani ed il
capo così come leggiamo nel testo giovanneo: “Uscì fuori il morto, legato piedi e mani con bende e
la sua faccia era avvolta con un sudario.” Sebastiano qui risulta fedele alla narrazione evangelica.
Gesù viene rappresentato come persona autorevole sui testimoni che gli stanno intorno: è dipinto
con la mano destra levata al cielo indicando il suo legame con il Padre, al quale rivolge la preghiera
con la certezza di essere ascoltato, mentre con la mano sinistra ordina di sciogliere le bende a
Lazzaro e di lasciarlo andare. In questo modo, Cristo non solo strappa Lazzaro alle catene della
morte, scioglietelo, e si vede l’uomo che aiuta Lazzaro a togliersi le bende ai piedi, ma lo libera
anche da se stesso, dalle sue chiusure, dai suoi limiti e dalle sue dipendenze e lo ridona alla vita. Gli
ridà la sua dignità di uomo e lo restituisce alle sue relazioni. Cristo poi affiderà questa autorità di
‘sciogliere’ dal peccato a Pietro.
Quelle relazioni che vengono sottolineate in Giovanni con le lacrime e giocate nei legami affettivi,
sono rappresentate con le bende poste nelle parti del corpo che ci permettono di entrare in
relazione. Così i piedi servono per incontrare, le mani per abbracciare, gli occhi per vedere, la bocca
per parlare.
Quindi, Lazzaro non solo viene aiutato, ma si toglie lui stesso le bende che lo legano e il suo volto
in ombra è rivolto verso Cristo. Interessante questa posizione che ricorda l’Adamo di Michelangelo
nella Cappella Sistina e che Sebastiano sicuramente ha visto data la sua amicizia con Michelangelo
stesso. Un richiamo quindi alla creazione?
Certo che, il parallelo si presta, visto che si parla di un risorgere alla vita vera, con la vittoria sulla
malattia e sul peccato che Cristo, il nuovo Adamo, opererà riscattando l’umanità da questa
schiavitù, di cui la risurrezione di Lazzaro è segno.
Il gesto di Gesù è segno che trasforma
Torniamo con lo sguardo a una visione globale del quadro e ci accorgiamo che l’accavallarsi delle
figure sembra innaturale. Non viene mantenuta la naturalità dello spazio e i gesti sono costruiti
chiaramente in funzione del messaggio, sacrificando la naturalezza delle forme, artificiose e colte.
A quest’opera faceva pendant la Trasfigurazione di Raffaello; tele volute entrambe dal Cardinale
Giulio de’ Medici e destinate alla cattedrale di Narbonne in Francia, di cui Giulio era vescovo. Le
tele, essendo pale d’altare, dovevano essere costruite in modo esemplare, dato che venivano a
sostituire i temi consueti per questo tipo di collocazione, come le Madonne in trono tra santi, le
Crocifissioni…
Sebastiano Luciani, detto del Piombo, attraverso i corpi e le vesti rende fluidamente i movimenti dei
personaggi e tutta la scena risulta vivace emotivamente.
Questo movimento viene costruito seguendo due diagonali: una discendente da sinistra, in
corrispondenza della città di Gerusalemme, che vediamo sullo sfondo e che presenta una
costruzione di tempio distrutto. Sulla sua traiettoria, oltre il fiume Giordano, la diagonale coinvolge
i discepoli che fanno da coronamento a Cristo. In ginocchio, ai piedi di Cristo, vediamo san Pietro,
rapito solo dal gesto di Gesù, dalla forza che egli emana, e le sue mani giunte ci dicono che il grido
“Lazzaro, vieni fuori” ha prodotto il suo effetto non solo su Lazzaro, ma anche su chi sta
guardando. Questo grido ha dato quindi un carattere pubblico al segno e ha rivelato l’onnipotenza di
Cristo e Pietro, che rappresenta assieme agli apostoli la Chiesa, ne deve dare testimonianza con la
sua fede…
Anche il gesto della mano di uno dei discepoli, che segna il numero due, ci conduce al testo
evangelico, che racconta come, nonostante Gesù amasse Lazzaro e la sua famiglia, abbia tardato
due giorni prima di partire verso Betania. I discepoli comunque lo ascoltano e lo seguono.
Questa diagonale, che scende da sinistra, incontra il movimento discendente da destra delle donne
che si coprono il volto e si turano il naso per non sentire l’odore della decomposizione. Anche
Marta ha il volto girato e cerca di allontanare l’odore schermandosi con le mani “ Signore, già
puzza…è di quattro giorni”. Maria, invece, è in ginocchio davanti a Gesù e sembra avergli appena
detto “ Signore se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Dietro scorgiamo i giudei che
le erano venuti dietro. Maria volge le spalle a Lazzaro e non vede il miracolo, tutta presa nel suo
dolore, da questa tragedia che le ha strappato un affetto così importante e tolto serenità e pace. La
sua mano destra è al petto, sta raccontando, forse, come il suo cuore sia dolorante; mentre l’altra è
aperta come impotente. Sembra solo rimanerle una preghiera e una invocazione a fior di labbra.
Le due diagonali convergono proprio sul braccio teso di Gesù, sul gesto che trasforma.
Lazzaro, quindi, è una figura quasi marginale rispetto alla fede di Marta e alla sequela degli
apostoli.
È Gesù il centro della rivelazione, Egli ha il potere di far vivere e la sua preghiera gli conferma che
questo suo potere gli viene dal Padre. Questo lo mette in una situazione privilegiata ed è l’unico che
sembra stare sopra un piedistallo, in cui è inciso il nome del pittore: SEBASTIANUS VENETUS
FACIEBAT.
Devo dire che non mi aspettavo che il quadro mi rivelasse una tale ricchezza di spunti, o meglio,
pur conoscendo il racconto e il suo significato, attraverso i personaggi raffigurati ho rivisto il senso
profondo del brano di Giovanni. In particolar modo, mi ha sorpreso notare che Lazzaro è presente,
ma muto, permettendo così a ogni personaggio del racconto di prendere la parola. È attraverso di lui
che ciascuno nella scena può rivelarsi.
E mi sorge una domanda: dobbiamo proprio toccare il fondo per poter capire la vita e davvero
dobbiamo soffrire per poter apprezzare la vita e l’amore?
Qui, Amore e sofferenza sono uniti al concetto di passione, eppure, potendo sembrare un assurdo,
Gesù lo conferma quando dice: “questa malattia non è per la morte ma per la gloria di Dio”. Chi
crede in Lui insomma non eliminerà il dolore, soffrirà per amore e non potrà sottrarsi dal
coinvolgersi nelle relazioni, dallo spendersi per gli altri. Perché come viene sottolineato da Turoldo
(I miei giorni) anche noi possiamo dire che la nostra carne, nonostante i dubbi e le rabbie, non lo
abbandonerà e continuerà a spendersi con tutto il corpo, le mani, i piedi e la testa. Perché, non
siamo noi a consumarci, ma è Dio che si consuma in noi, che opera in noi e che porta frutto, perché
dimora in noi.
Buttignol Paola