G. A. Borgese, Lazzaro,
a cura di Alfredo Sgroi, Palermo, Selinos, 2011.
Il dramma composto da Giuseppe Antonio Borgese, intitolato Lazzaro, è stato pubblicato nel
lontano 1926 e mai ristampato negli anni successivi. Adesso vede la luce per i tipi della Selinos, con
una introduzione di Alfredo Sgroi.
In realtà di questo dramma esistono tre diverse redazioni: il copione originale, composto
probabilmente tra il 1924 e il 1925; la prima versione edita sulla rivista “commedia” nel numero del
15 maggio del 1925 (pp. 517-531); quella definitiva, pubblicata da Mondadori nel 1926 in volume,
adesso di nuovo riproposta.
Nel Lazzaro il perno dell’azione scenica ruota intorno alla sofferta e graduale presa di coscienza
(secondo i dettami dello gnoti authon socratico e cristiano) del protagonista, che l’autore ritrae in
una veste inedita, partendo dalle fonti evangeliche per costruire un’intensa analisi esistenziale e
psicologica del Lazzaro ormai resuscitato, e quindi alle prese con il grande Mistero della nuova
Fede. L’opera, in tre atti e un Prologo, non presenta la canonica distinzione in “scene”; i
protagonisti si alternano sul palcoscenico senza che ci siano stacchi netti o mutamenti scenografici.
Ciò serve a rimarcare una scelta ben precisa: all’interno dei singoli atti la stessa azione scenica deve
essere omogenea e organica il più possibile, conservando una cornice unitaria entro cui si collocano
i tenui sbalzi tonali del testo, solitamente legati alle particolari sfumature psicologiche dei
protagonisti. In genere, però, l’intreccio si snoda verso l’esito finale, alternando brevi momenti di
intensa concitazione drammatica a lunghe stasi dell’azione.
La stessa azione scenica ha come fondamentale preludio, nell’edizione a stampa, alcune epigrafi. Si
tratta in realtà di citazioni che non hanno un valore puramente letterario o esornativo: esse, al
contrario, sono il risultato di un’attenta scelta dell’autore, che inserendole nel testo ha voluto
lanciare dei messaggi al lettore. Queste citazioni servono infatti a rintracciare le principali fonti
bibliche, e non solo, che Borgese ha scandagliato prima di procedere alla composizione del
dramma. Esse sono significative sia dal punto di vista dei contenuti, sia per la disposizione con cui
vengono presentate nel testo. E, incastonandosi in posizione strategica all’inizio di ogni “Atto”,
rimarcano la calcolata scelta dell’autore, il quale parte proprio da queste fonti per imbastire un plot
originale, nel senso che esso porta alla ribalta ciò che è taciuto nei Vangeli: i tormenti di Lazzaro e
dei suoi consanguinei di fronte alla tragica parabola esistenziale del Cristo.
Il circuito drammatico si apre sul “miracolo” (la resurrezione di Lazzaro), per poi chiudersi con un
altro avvenimento altrettanto miracoloso (la resurrezione di Cristo). Entro questa circolarità si
muovono tutti i personaggi. Alcuni sono nettamente definiti, come Agar (la moglie di Lazzaro), o
Maria Maddalena (sua sorella), figura topica di tanta letteratura “decadente”, che però Borgese
ripropone ripristinandone la funzione di simbolo della Fede.
Nel primo atto una soffusa “luce pomeridiana” illumina lo spazio scenico, e l’azione si svolge nella
“corte interna della casa di Lazzaro”. E’ un luogo chiuso, quasi soffocante, contrapposto
all’invisibile mondo en plein air affollato dai curiosi, che scrutano Lazzaro dal muro di cinta per
scoprire il suo segreto. Si tratta, per loro, di capire se Lazzaro stesso ha ordito un inganno, con la
complicità di Gesù, oppure se la sua resurrezione è frutto di un vero miracolo. E’ proprio sull’esile
filo di questo quesito che l’intreccio del primo atto si dipana lentamente, sul filo di una lunga
schermaglia dialogica da cui emerge ancora più nettamente il carattere dei protagonisti: da una parte
si collocano i sostenitori della nuova Fede (Marta, Maria); dall’altra gli ostinati nemici, ossia gli
ipocriti sacerdoti che apparentemente indagano sul miracolo, ma che in realtà sono
pregiudizialmente orientati alla condanna del Cristo; infine gli indecisi, ancora incerti sulla via da
scegliere (Agar, Lazzaro). Insomma, le posizioni sono polarizzate tra chi, come la Maddalena, crede
senza reticenze alla divinità di Cristo, e chi, come gli scettici negatori, che vedono in Gesù e i suoi
sostenitori un’accolita di impostori. La posizione interlocutoria degli “indecisi” non può reggere a
lungo: una scelta di campo, prima o poi, deve essere fatta. Ed è proprio questo il tema che alimenta
la tensione drammatica dell’intreccio. Lazzaro non vuole inizialmente accettare la sua speciale
condizione. La discesa nel mondo degli inferi non è stata per lui, come è naturale, irreversibile, e di
ciò non sa darsi ragione. Il suo nostos nel mondo dei vivi lo ha perciò sconvolto totalmente, e vive
sospeso in un limbo immobile, tra mille dubbi esistenziali, in cui l’unico dato certo è l’impossibilità
di tornare a vivere un’esistenza “normale”, nonostante i suoi disperati tentativi di esorcizzare il lato
oscuro della sua vicenda. Finché, nel tempo sacro della pasqua si consuma la drammatica morte di
Gesù. Una morte scandalosa per pagani (Claudia, Pilato) ed ebrei, e tramortente per i suoi seguaci,
che ben altra immagine avevano coltivata del Messia.
Lazzaro è alla fine letteralmente travolto dalla forza misteriosa della Fede: il suo mistico gesto
conclusivo è di totale abbandono al Cristo. Egli vuole credere senza vedere il Risorto, rinunciando
volutamente alla propria individualità e all’esercizio della ragione, per abbandonarsi completamente
alla nuova Fede. In questo modo si distingue dagli altri personaggi, i quali invece non sanno
rinunciare alla visione beatificante.
Nella parabola esistenziale di Lazzaro l’autore ha voluto rappresentare il percorso di redenzione a
cui ciascun uomo- egli stesso in primo luogo- è chiamato a compiere. La scelta di seguire le vie di
Gesù è certo ardua, impegnativa: anche lacerante. Ma ineludibile. Da qui la straordinaria tensione
drammatica di questo testo così intenso e coinvolgente, che meritava assolutamente di tornare a
disposizione dei lettori.