Liquidità «parcheggiata» alla Bce Ansia da crisi

LA VOCE
DEL POPOLO
I depositi salgono a 411 mld di euro
Nuovo record storico per la liquidità “parcheggiata” dalle banche dell’Eurozona presso la Banca centrale europea. Venerdì scorso i depositi sono saliti a 411 miliardi di euro rispetto ai 346
del giorno precedente. Polverizzato il
precedente picco storico di 384 miliardi toccato nel giugno 2010 in piena crisi
del debito della Grecia. L’impennata dei
depositi, remunerati dalla Bce allo 0,25
p.c., segue la maxi-operazione di finanziamento triennale con cui la Bce ha fornito la scorsa settimana 489 miliardi di
euro al tasso dell’1 p.c., la più corposa
operazione di finanziamento nella storia
decennale dell’euro. L’Eurotower ha assegnato prestiti per 489 miliardi di euro
alle 523 banche del vecchio continente
che ne hanno fatto richiesta. Si tratta del
maggiore finanziamento realizzato dalla
banca centrale europea, superando anche
l’iniezione di liquidità all’inizio del 2009
in piena crisi finanziaria dopo il crac Lehman Brothers che arrivò a 442 miliardi
di euro. Si tratta inoltre del finanziamento con la durata maggiore realizzato dalla Bce. Le banche hanno ricevuto prestiti
con scadenza triennale anche se dal 2013
potranno rimborsarlo, tutto o in parte.
BIS A FEBBRAIO Il 28 febbraio ci
sarà il bis con un’altra operazione a tasso
fisso e ammontare illimitato. L’Eurotower, cioè, soddisferà qualsiasi richiesta
delle banche. I risultati dell’operazione
hanno sorpreso i mercati che si aspettavano richieste tra 250 e 300 miliardi di
euro. La reazione è stata piuttosto negativa anche se sembra prevalere una certa prudenza nell’interpretare i numeri.
L’andamento dei mercati conferma la
prudenza nel valutare il significato del
finanziamento. Dopo un avvio in rialzo
per i mercati azionari gli indici hanno ripiegato terminando in territorio negativo. Gli spread di Italia e Spagna avevano
proseguito la discesa per poi invertire la
tendenza all’esito dell’asta della Bce.
PREOCCUPAZIONE Così tante richieste di prestiti potrebbero significare
che la situazione di liquidità del mondo
del credito è preoccupante. Tuttavia al-
cuni analisti osservano che “le banche
non potevano rifiutare un’offerta simile”. Possono prendere denaro a basso costo e impiegarlo con margini superiori.
Il finanziamento, fortemente voluto dal
presidente della Bce, Mario Draghi, deve
servire ad assicurare liquidità alle banche a basso costo in modo che gli istituti
di credito non taglino i flussi di finanziamenti all’economia reale. Secondo stime
di Barclays 193 miliardi di euro saranno dirottati verso il sistema economico
e 296 miliardi per le obbligazioni bancarie in scadenza. Più che l’ammontare del
maxi-finanziamento da parte della Bce,
il tema fondamentale è proprio come le
banche impiegheranno le risorse. L’operazione potrebbe anche fornire un sostegno ai mercato dei titoli di Stato.
IPOTESI Le banche potrebbero, infatti, fare del “carry trade”, impiegare parte del prestito ottenuto a un tasso
dell’1 p.c. per acquistare titoli di Stato,
sostenendo così i Paesi dell’area euro, e
incassando rendimenti decisamente più
elevati. Ma su cosa faranno le banche
fioriscono molte ipotesi tra gli addetti ai
lavori. C’è anche chi crede che gli istituti
di credito impiegheranno solo marginalmente la liquidità per finanziare l’economia e acquistare titoli di Stato. Il grosso
del maxi-prestito sarà impiegato per acquistare le obbligazioni bancarie in scadenza. Lo stesso Draghi nell’audizione all’Europarlamento dei giorni scorsi
ha ricordato che nel primo trimestre del
2012 arriveranno a scadenza bond emessi dalle banche per 230 miliardi di euro.
EVITARE I RISCHI Al tempo stesso i prestiti nell’area euro per l’80 per
cento sono concessi dalle banche. E queste preferiscono parcheggiare la liquidità
nel porto sicuro della Bce piuttosto che
prestarla ad altre banche a tassi più elevati assumendosi un rischio di controparte. Il risultato di questo comportamento,
dovuto alla crescente avversione al rischio, si traduce nel blocco dei canali di
trasmissione della politica monetaria e
in forme di razionamento credito (credit
crunch) a danno dell’economia reale.
c
vo
/la
.hr
dit
w.e
ww
Liquidità «parcheggiata» alla Bce
e
economia
& finanza
An
11
no
e 20
VI •
r
b
m
n. 253
• Giovedì, 29 dice
IL PUNTO
di Christiana Babić
Ansia da crisi
Crisi, recessione, illiquidità, difficoltà, debiti, flop… e poi ancora spread,
bund, btp, tasse, sacrifici… che brutto anno questo 2011 che stiamo per lasciarci alle spalle con la speranza e l’augurio che il 2012 dia ragione a tutti
coloro che nonostante tutto non perdono l’ottimismo. Perché di ottimismo si
sente davvero il bisogno dato che nemmeno la frenesia del Natale è riuscita
a far decollare quei consumi dei quali l’economia sembra proprio non poter
fare a meno.
I tempi, infatti, sono quelli che sono e i dati sono i peggiori degli ultimi
dieci anni: le vendite sono crollate e il cosiddetto “settore regali” ha subito
una contrazione fortissima determinando un clima austero sia per i consumatori – che si sono trovati costretti a ridurre il numero è l’entità dei regali –, sia per i commercianti che hanno subito una drastica riduzione del giro
d’affari.
Un andamento che, purtroppo, sommato agli annunci poco rassicuranti
sulle misure di contenimento della spesa pubblica potrebbe determinare nuovi picchi d’ansia nei cittadini. Un male non indifferente visto che gli individui ansiosi sono ignari dei pericoli che li circondano, e proprio per questo si
sentono minacciati e si spaventano più facilmente rispetto alle persone non
ansiose.
Lo svela uno studio dei ricercatori israeliani della Tel Aviv University guidati da Tahl Frenkel: gli individui ansiosi sono meno capaci di cogliere dettagli e indizi di situazioni potenzialmente “a rischio” e, quando finalmente
riescono a carpirli – in ritardo – l’effetto della paura e dell’ansia su di loro è
maggiore perché è come se venissero presi “di sorpresa”.
In altre parole, l’ansia da crisi potrebbe provocare un deficit nella capacità di valutazione delle minacce – necessaria per un processo decisionale
efficace e per il regolamento della paura – che porterebbe a una sotto-reazione agli stimoli di pericolo. E ritardare così l’individuazione, l’analisi e la
valutazione del problema… con conseguente individuazione della soluzione
giusta.
2 economia&finanza
Giovedì, 29 dicembre 2011
NIENTE CRISI Ecco i Paesi in cui il Prodotto interno lordo crescerà maggiormente nel 2012
Macao, Mongolia, Libia: il Pil d’oro
di René Ambrus
M
acao, Mongolia, Libia: il
podio che non ti aspetti. In
un anno che per molti Paesi delle economie tradizionali rischia di essere caratterizzato dal ritorno alla recessione, non mancano
altre nazioni che invece promettono di crescere addirittura a doppia
cifra. La classifica delle nuove tigri del business, da prendere con le
molle, è stata riportata dal sito di
finanza personale Money Energy,
che ha loro accreditato in alcuni
casi tassi di crescita più generosi di
quelli che mediamente sono stati
stimati. Naturalmente, anche se il
consuntivo dovesse collimare con
quanto previsto, non sono eventi destinati a cambiare le sorti globali: il Prodotto interno lordo o Pil
di questi Paesi è tale che, sommati
tutti assieme, non fanno un decimo
di quello statunitense. Ma almeno
nel 2012 a Macao, Ulan Bator e
Tripoli si dovrebbe poter parlare a
buon diritto di crescita.
PARADISO DEI GIOCATORI Nel piccolo territorio affacciato
sul Mar cinese meridionale (meno
di 30 chilometri quadrati) fino al
1999 sotto il controllo portoghese, il Pil è previsto in crescita del
15 p.c. su base annua nel 2012. A
guardare i dati recenti si tratta, in
realtà, di un deciso rallentamento. Il Pil di Macao è salito infatti del 26,2 p.c. nel 2010 e ancora
del 21,1 p.c. nel terzo trimestre del
2011. Pur depurando la ricchezza
dall’inflazione, sono tassi lontanissimi da quelli della (de)crescita globale. C’è un settore soltanto
a trainare la crescita della piccola
enclave cinese: è il gioco d’azzardo. Nel solo mese di ottobre i 34
casinò di Macao hanno generato
ricavi per 3,36 miliardi di dollari,
facendo ormai della località la capitale indiscussa dei tavoli verdi,
diverse lunghezze davanti a Las
Vegas. La liberalizzazione dell’industria del gioco, avvenuta nel
2001, ha attratto in questi 10 anni
decine di miliardi di dollari di investimenti diretti. L’allentamento
della stretta di Pechino sulla liber-
Il balzo della Mongolia al secondo posto tra i Paesi in maggior
crescita è dovuto soprattutto all’esportazione di rame
Il Venetian Macao Resort, simbolo di ricchezza del Paese che fino al 1999 era sotto il controllo portoghese
tà di accesso, inoltre, ha dato linfa
all’industria turistica.
RISORSE MONGOLE Se
Macao rappresenta in qualche maniera una conferma, il balzo della Mongolia al secondo posto tra i
Paesi in maggior crescita è la grande sorpresa. Il +14,8 p.c. del quale è accreditata per l’anno prossimo rappresenta circa il doppio di
quanto fatto registrare nel 2010.
Un’impennata simile, però, è già
stata fatta segnare nel primo semestre del 2011, ma complessivamente l’anno dovrebbe chiudersi
con una crescita appena sopra la
doppia cifra. La Mongolia è ormai
satellite privilegiato della crescita
cinese, che ha fame di materie prime. E le previsioni che la riguardano per l’anno prossimo sono ancor
più sorprendenti se si pensa che la
Cina, per contro, va rallentando.
La crescita, inaugurata attorno al
Per assumere le aziende puntano sulle conoscenze personali
Impiego, amici per lavoro
Meglio del curriculum per farsi assumere? Le conoscenze personali. Sarebbero queste, infatti, il segreto per essere introdotti
nel mondo del lavoro, visto che le
imprese hanno deciso di preferire la rete di amicizie piuttosto che
affidarsi a società di lavoro interinale, centri per l’impiego e la valutazione del curriculum. A riferirlo è un’indagine Excelsior di
Unioncamere e ministero del Lavoro, che rileva come nel 2010
oltre sei imprese su dieci per la
selezione del personale abbiano
fatto ricorso al cosiddetto canale informale, “conoscenza diretta in primo luogo e segnalazioni
personali”, attraverso conoscenti
o fornitori.
CANALE
INFORMALE
La ricerca, inoltre, ha evidenziato che rispetto al 2010 l’utilizzo
del canale informale ha registrato un forte aumento, passando al
61,1 p.c. dal 49,7 p.c. del 2009.
“Il clima economico ancora incerto spinge evidentemente le imprese alla massima cautela nella
selezione di nuovi candidati: la
conoscenza diretta, magari avvenuta nell’ambito di un precedente periodo di lavoro o di stage, e
il rapporto di fiducia da essa scaturito diventano quindi premianti
ai fini dell’assunzione”, si legge il
rapporto.
BANCHE DATI INTERNE Nel 2010 è anche cresciuto
il ricorso da parte delle imprese
a strumenti interni, ovvero alle
banche dati costruite dalle stesse
aziende sulla base dei curriculum
raccolti nel tempo (al 24,6 p.c.
dal 21,5 p.c.), ma la quota resta
limitata a poco più di due imprese su 10. Perdono invece terreno
le modalità di reclutamento “tradizionali” (annunci su quotidiani
e riviste specializzate), preferite
solo nel 2,3 p.c. dei casi. Sono pochissime e in diminuzione anche
le aziende che utilizzano intermediatori istituzionali, come società
di lavoro interinale, di selezione
(5,7 p.c.) e quelle che si affidano
a operatori istituzionali, ovvero ai
centri per l’impiego (2,9 p.c.).
IL CURRICULUM Ma se
si guarda alla dimensione d’impresa il quadro cambia, dopo i
50 dipendenti le aziende iniziano
a fare più affidamento sulle loro
banche dati interne, a basarsi sulla “carta”, ovvero sui curriculum.
Ecco che, quindi, al crescere della
dimensione d’impresa il rapporto
diretto del candidato con il datore di lavoro o tramite conoscenti
perde importanza. Basti pensare
che nelle realtà con più di 500 dipendenti il ricorso al canale informale scende al 10,2 p.c., mentre
l’utilizzo di strumenti interni sale
al 48,9 p.c.
2005 e che è andata impennandosi
negli ultimi tre anni, è interamente
dovuta alla ricchezza mineraria del
sottosuolo mongolo.
ORO GIALLO E ROSSO Una
ricchezza rappresentata dal rame,
innanzitutto. Oyu Tolgoi, in pieno
deserto del Gobi, è uno dei filoni
vergini più grandi del mondo, conserva anche tonnellate d’oro e, una
volta completati i lavori per avviare
l’attività estrattiva, si calcola possa
fornire da solo il 5 p.c. del Prodotto nazionale lordo della Mongolia.
Al progetto hanno cominciato a lavorare Rio Tinto, Ivanhoe Mines e
il governo locale, che recentemente
ha fatto sapere di voler incrementare la propria partecipazione nelle operazioni dal 34 al 50 p.c. Altra
materia prima essenziale di cui vi è
ormai carenza quasi ovunque ed è
invece ancora quasi del tutto intatta in Mongolia è il carbone. Si calcola che Tavan Tolgoi ne contenga
6 miliardi di tonnellate. Ci lavora
un’azienda locale, ma per avviare
l’estrazione in grande stile si aspetta l’arrivo di investitori stranieri,
coi quali l’enorme patrimonio verrà condiviso e assieme ai quali le
azioni della società mineraria dovrebbero essere portate alla Borsa
di Londra e a quella di Hong Kong,
oltre naturalmente che a quella di
Ulan Bator.
PETROLIO LIBICO Per
quanto riguarda la Libia, il +13,6
p.c. preventivato per il Pil del 2012
è, naturalmente, frutto di un 2011 orribile. La guerra civile che ha portato alla fine del regime di Muammar
Gheddafi dovrebbe costare, nell’anno che va a concludersi, un calo in
doppia cifra per la ricchezza dello
Stato posto sulle sponde meridionali del Mediterraneo. L’ipotesi di una
crescita capace di recuperare in un
solo anno quanto bruciato nell’ultimo è una scommessa sulla capacità della transizione democratica di
essere rapidamente efficace nel rilancio di un’economia che ha dalla
sua una carta sempre vincente come
quella del petrolio. È su greggio e
gas naturale che si basa la rinascita
di Tripoli. La National oil corporation libica ha previsto che nel quarto
trimestre del 2012 tornerà a esportare 1,345 milioni di barili al giorno, tornando più in fretta di quanto
in precedenza preventivato ai livelli
anteriori alla guerra. Alcuni analisti
del settore ritengono però la previsione eccessivamente ottimistica.
IRAQ IN DOPPIA CIFRA Il
petrolio è senz’altro la principale
ricchezza anche del quarto e ultimo Paese a superare la doppia cifra nelle previsioni di crescita della
ricchezza nel prossimo anno: l’Iraq
(+10,9 p.c.). E ha un ruolo molto
importante anche in quelli che lo
seguono immediatamente in questa classifica: Angola (+9,9 p.c.) e
Niger (+9,5 p.c.). Solo in settima
posizione si è posizionata la Cina
(+8,2 p.c.), che precede Etiopia e
Ruanda (+8 p.c.).
L’EUROPA
ARRANCA
Com’è noto, il mondo va in un’altra direzione. L’Ocse a fine novembre ha tagliato ulteriormente le stime di crescita a livello globale. I
Paesi industrializzati, nel loro complesso, dovrebbero crescere non più
dell’1,6 p.c., per l’Eurozona è previsto un sostanziale stallo (+0,2 p.c.).
Le economie mature ristagnano
mentre si prevede così che possano
seguitare a crescere a ritmi sostenuti
l’America Latina e l’Asia, alle quali
sempre più frequentemente dovrebbe accodarsi anche l’Africa.
La National oil corporation libica ha previsto che nel quarto trimestre del 2012 tornerà a esportare 1,345 milioni di barili al giorno
economia&finanza 3
Giovedì, 29 dicembre 2011
IMPRESE Vince la formula: «Innovazione, qualità e sostenibilità»
Il boom della green economy
di Marco Grilli
C
hi fino a ieri affermava che
sostenibilità non facesse
rima con competitività, dovrà forse ricredersi. La green economy, l’economia che diffonde il
colore della speranza, pare l’antidoto più giusto ed efficace per combattere la crisi, una vera occasione
per la crescita ed una scommessa
per il futuro. Per economia verde
intendiamo il complesso delle attività economiche che mirano ad uno
sviluppo sostenibile a basso impatto
ambientale, basato sulla riduzione
delle emissioni inquinanti e sul risparmio energetico. Fonti rinnovabili, efficienza energetica, riciclaggio, tecnologie e prodotti per ridurre
le emissioni, servizi di pubblico interesse efficienti e mobilità ed edilizia sostenibile, sono le parole d’ordine di questa rivoluzione economica, che pone la natura al centro del
proprio interesse. D’altra parte, il
riscaldamento globale del pianeta,
l’inquinamento ambientale e l’esauribilità dei combustibili fossili – oltre ai loro costi crescenti – impongono la ricerca di un nuovo modello di sviluppo, più sano e virtuoso.
Una grande sfida per l’umanità, che
ha il compito di lasciare in eredità
alle nuove generazioni un mondo
ancora vivibile.
SVILUPPO E QUALITÀ Anche le imprese italiane, chiamate a
fronteggiare la crisi ed a migliorare la propria competitività sul mercato globale, sembrano puntare con
convinzione sul modello green. Lo
dimostrano inequivocabilmente i
dati forniti dal Rapporto GreenItaly 2011, realizzato da Unioncame-
le alla cittadinanza attiva, dalle realtà territoriali e istituzionali all’ambiente della cultura.
I NUMERI Il Rapporto GreenItaly 2011 parla chiaro: in tre anni,
dal 2008 al 2011, il 23,9 p.c. delle
aziende attive in Italia hanno investito in tecnologie e prodotti ecocompatibili. Numericamente si tratta di
370.000 imprese (quasi 220.000 dei
servizi e 150.000 industriali) che
hanno adottato strategie di riduzione dell’inquinamento o massima efficienza energetica Dal 2010 al 2011
la percentuale di piccole imprese –
da 20 a 49 dipendenti – impegnate
nella rivoluzione verde è passata dal
29,1 al 55,1, mentre per quanto riguarda quelle medie – da 50 a 499
dipendenti – si è registrata una significativa crescita dal 37,3 al 68,5.
Nel complesso, le piccole e medie
imprese manifatturiere dedite alla
green economy sono salite dal 30,4
al 57,5 p.c. del totale. L’analisi settoriale attribuisce il primato verde
alle industrie manifatturiere (64,4
p.c. nel 2011), seguite da quella alimentare (61,3 p.c.), dalla meccanica (58,6 p.c.) e poi dalle produttrici
di beni per la persona e per la casa
(50,1 p.c.). Un particolare plauso,
secondo GreenItaly 2011, merita la
filiera della meccanica, mezzi di trasporto, elettronica e strumentazione
di precisione, senza dimenticare il
ruolo svolto dal comparto della lavorazione dei minerali non metalliferi, dove un’impresa su tre si è prodigata nell’investire in sostenibilità.
UNIFORMITÀ TERRITORIALE La green economy pare anche realizzare ciò che per altri settori
re e da Symbola, la Fondazione per
le qualità italiane nata nel 2005 con
l’obiettivo di promuovere un nuovo
modello di sviluppo orientato alla
qualità, in cui si fondono tradizione,
territorio, innovazione tecnologica,
ricerca e design. In pratica, la Fondazione punta alla soft economy,
ossia ad un’economia della qualità in grado di coniugare competitività e valorizzazione del capitale
umano, crescita economica e rispetto dell’ambiente e dei diritti umani,
produttività e coesione sociale. Un
movimento culturale originale, che
svolge la sua attività prevalentemente attraverso ricerche, rapporti,
azioni di comunicazione e di formazione ecc., mettendo in rete soggetti
diversi fra loro, dalle personalità del
mondo economico e imprenditoria-
produttivi resta un miraggio: l’uniformità territoriale. Nelle prime dieci posizioni della classifica regionale per la diffusione delle imprese
che investono nell’economia verde,
troviamo cinque regioni del Nord
e altrettante del Sud. Primeggia il
Trentino Alto Adige (29,5 p.c.), seguito da: Valle d’Aosta (27,3 p.c.),
Molise, Abruzzo, Basilicata, Puglia e Campania (valori tra il 25 e il
27,2 p.c.), Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Piemonte (quasi 24 p.c.). L’incidenza percentuale
delle piccole e medie imprese green, per ripartizione geografica, vede
al comando il Sud (64,5), seguito
dal Nord Est (57,3), dal Nord Ovest
(56,7) e dal Centro (53,6).
BENEFIT PER L’OCCUPAZIONE Notevoli i benefici anche
in termini di occupazione. Nel 2011
oltre il 38 p.c. delle assunzioni riguarda il settore della green economy, con 220.000 posti di lavoro
su un totale di c.a. 600.000. Da notare che 97.600 ingressi nel mondo
del lavoro sono legati strettamente
all’economia verde, concernendo
figure professionali impegnate nelle energie rinnovabili, nella gestione di acque e rifiuti, nella tutela ambientale ecc.. Mantenendo questi ritmi, si può sperare anche per i prossimi anni in un vero e proprio boom
di assunzioni (fino a un milione di
posti di lavoro), tra nuova occupazione e riqualificazione dell’esistente. Un settore che mostra tutta
la sua forza per quanto riguarda la
valorizzazione delle risorse umane,
come dimostrato dalla trasversalità
delle competenze richieste. Tra gli
assunti dalla green economy ritroviamo artigiani, operai specializzati
e agricoltori (49 p.c.), le professioni tecniche (19,5 p.c.), gli impiegati
(9,6 p.c.), le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (8,8 p.c.), le attività commerciali ed i servizi (7,5 p.c.), fino
al 4,8 p.c. di legislatori, dirigenti e
imprenditori. Secondo il Rapporto
GreenItaly 2011, i green jobs sono
particolarmente richiesti al Sud e
nelle piccole imprese e comportano
assunzioni più stabili rispetto alle
altre professioni (i contratti a tempo
indeterminato arrivano nel 48 p.c.
dei casi contro il 43 p.c. degli altri
mestieri). Siamo di fronte non solo a
professioni già esistenti, ma a figure
nuove legate all’innovazione ed alle
tecnologie. Le professioni più ricercate, elencate nel comunicato stampa di GreenItaly 2011, sono “l’auditor esperto in emissioni di gas serra in atmosfera, il tecnico superiore
per industrializzazione, qualità e sostenibilità dell’industria del mobile,
lo statistico ambientale, l’operatore
marketing delle produzioni agroalimentari biologiche, il risk manager
ambientale, l’ingegnere dell’emergenza, il progettista di architetture
sostenibili e l’esperto del ciclo di
vita dei prodotti industriali”.
FORMAZIONE SPECIFICA Questa richiesta di manodopera, così settoriale e specializzata, rischia però di non trovare soddisfazione nel mercato italiano. Stando ai dati forniti da Unioncamere,
le imprese lamentano difficoltà nel
trovare il 30,3 p.c. dei profili green
in senso stretto, ed il 28,1 p.c. delle figure professionali riconducibili all’economia verde, tanto che il
15 p.c. del fabbisogno potrebbe rimanere insoddisfatto a causa della
mancanza di competenze e professionalità. La via per ovviare a questo limite è quella della formazione specifica e professionalizzante.
L’Università italiana pare muoversi
in tal senso, avendo attivato ben 193
corsi di laurea in 54 atenei sui temi
della sostenibilità ambientale (1/3 di
questi sono al Sud), mentre i dottorati di ricerca sul tema, istituiti negli
ultimi otto anni, sono saliti a 91. Il
Bel Paese, unico al mondo per patrimonio naturale, storico e artistico e da sempre sinonimo di talento
e creatività, pare avere le condizioni ottimali per promuovere una vera
modernizzazione all’insegna dello
sviluppo sostenibile, dove l’economia verde s’incrocia con quella soft,
ossia con la qualità, l’innovazione e la ricerca, che il grande storico
dell’economia Carlo Maria Cipolla identificava con quella capacità
di “produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo”.
Questo è quanto sostiene il presidente di Symbola, Ermete Realacci, che considera la green economy
come “una chiave per ragionare sul
futuro della nostra economia attraverso tutti i settori: dall’agroalimentare alle ceramiche, dalla nautica al
turismo, alla meccatronica, dai settori più tradizionali a quelli più innovativi”.
OCCASIONE DI CAMBIAMENTO Nella relazione che accompagna il Rapporto GreenItaly,
Realacci invita a pensare alla crisi
come ad una grande occasione di
cambiamento, apprezzando il fatto che “nell’incrocio tra innovazione, qualità e bellezza, la green economy in salsa italiana è già ben presente nelle attività della parte più
avanzata del sistema imprenditoriale italiano”. Il trinomio innovazione, qualità e sostenibilità ritorna
anche nei commenti del segretario
generale di Unioncamere, Claudio
Gagliardi, “tre valori che, coniugati tra loro, consentono alle imprese
italiane di intercettare le preferenze
dei consumatori del mondo, di rendere i prodotti unici e non ripetibili, di fare efficienza puntando sulla creatività delle risorse umane e
sull’uso responsabile delle risorse
naturali”. Secondo un altro studio,
realizzato dalla IR Top – una società di consulenza specializzata nelle
pubbliche relazioni con investitori finanziari – e presentato lo scorso ottobre nel convegno milanese
“Crescita e industria green”, il fatturato dell’economia verde italiana
sarebbe superiore a quello della media europea. “Il campione di aziende che operano nel settore green è
ben rappresentato sul listino azionario italiano – sostiene l’amministratore delegato di Ir Top, Anna
Lambiase – le 13 società analizzate
hanno mostrato nel 2010 solidi fondamentali e risultati in forte crescita, segnando un +35 p.c. nell’incremento dei ricavi rispetto a una media europea del +25 p.c. con un livello di occupazione che vede oltre
7.000 unità impiegate”. Da rilevare
la forte presenza di investitori istituzionali nel capitale delle società –
ben 74 – per un valore complessivo
dell’investimento di 111 milioni di
euro. “Una presenza – dice ancora
Lambiase – giustificata dalle elevate
prospettive di sviluppo e di internazionalizzazione”.
SCENARI EUROPEI Intanto il verde pare contagiare anche
l’Europa. L’UE, infatti, ha lanciato
il programma “Horizon 2020”, destinando oltre 25 miliardi di euro
alla ricerca per combattere le cause
all’origine dei cambiamenti climatici. Al centro dei progetti, l’abbattimento delle emissioni inquinanti
e lo sviluppo della green economy.
Quindi, al di là delle opportunità sul territorio nazionale italiano
–ad esempio il credito d’imposta
del 55 p.c. a favore dei privati per
la ristrutturazione delle case e l’efficienza energetica, prorogato nella
manovra del governo Monti fino a
fine dicembre 2012 e finora utilizzato da 600mila famiglie, per un totale
di c.a. 12 miliardi di euro di investimenti – il Sistema Paese dovrà farsi
trovare pronto in questa sfida globale, giocata, come nel caso delle fonti
rinnovabili, in progetti ambiziosi su
scala internazionale (ad es. il “Desertec”, che prevede investimenti
per 300 miliardi di euro nel sud del
Mediterraneo, destinati in particolare al solare termico ad alta concentrazione). Dopo tanto “oro nero”, il
nostro futuro potrebbe avere un’anima verde.
4 economia&finanza
Giovedì, 29 dicembre 2011
ATTUALITÀ Nonostante la crisi il settore guarda con ottimismo al 2012
Imprenditoria, tra desiderata e difficoltà
ZAGABRIA – Nonostante
le condizioni difficili, nel 2011,
l’economia croata ha dimostrato
di essere forte e capace di sopravvivere. Però l’acqua è giunta alla
gola, l’illiquidità sale, l’amministrazione soffoca e l’imprenditoria non dispone più di risorse interne né di riserve per poter continuare la gestione. Dunque, la
L’ANALISI DELLA
Una settimana targata INA
di Davor Špoljar
Nonostante il clima prefestivo il volume
degli scambi realizzato la scorsa settimana
alla Borsa di Zagabria si è aggirato mediamente attorno ai 12,5 milioni di kune al giorno. Il dato più alto delle ultime tre settimane. In primo luogo ciò è
dovuto ai titoli dell’INA che lunedì scorso sono stati riammessi sul
listino, totalizzando in cinque giorni un volume di scambi pari a
21 milioni di kune. Il prezzo dei titoli INA è sceso in questo periodo dell’8,3 p.c. Il loro prezzo alla fine della settimana scorsa era di
3.850 kune.
Alle spalle dei titoli dell’INA, per quanto concerne la liquidità,
si sono piazzate le azioni dell’Adris, con un volume di scambi medio giornaliero pari a 2,2 milioni di kune (-0,5 p.c.). Al terzo posto,
con un volume di scambi di 14 milioni di kune, si sono piazzati i titoli della Telekom croata (HT), il cui valore è sceso dello 0,8 p.c. La
maggior parte dei titoli con la maggiore liquidità ha chiuso la scorsa settimana in perdita. D’altra parte ci sono stati anche titoli che
hanno guadagnato, come ad esempio quelli della Đuro Đaković
(+5 p.c.), della Petrokemija (+4,9 p.c.) e della Belje (+3,7 p.c.).
L’indice Crobex ha chiuso in perdita per la terza settimana consecutiva. Questa volta la perdita è stata dell’uno per cento. La Borsa di Zagabria risulta pertanto uno dei pochi mercati europei in
perdita. I mercati europei e mondiali, infatti, hanno avuto una forte crescita. I dati macroeconomici relativi alla disoccupazione negli
Stati Uniti, alla fiducia dei consumatori in Germania e al buon esito delle recenti aste di titoli di stato spagnoli, hanno spinto al rialzo
la maggior parte degli indici, che in alcuni casi hanno guadagnato
anche il 3 p.c. I rialzi più sostanziosi (+ 5 p.c.) li hanno messa a segno l’indice austriaco ATX e quello ceco PX.
MERCATO DEI CAMBI
Stabile il mercato monetario
di Ivan Slamić
La settimana che precede le festività di
fine anno ha portato stabilità al mercato.
L’equilibrio tra domanda e offerta ha fatto
sì che il cambio EUR/HRK si sia mantenuto
tra un minimo di 7,510 e un massimo di 7,520. Inoltre, la mancata
emissione di titoli di stato a breve termine, come pure l’assenza di
titoli in scadenza, ha contribuito a ridurre le pressioni nei confronti
della valuta croata. I volumi di scambio si sono mantenuti a livelli
modesti.
Anche i cambi delle restanti valute si sono mantenuti stabili. Il
cambio del dollaro americano sia nei confronti dell’euro sia della
kuna è oscillato meno dell’uno per cento. Il cambio EUR/USD si
è aggirato attorno a quota 1,300-1,3150 (1,3070). L’assenza di dati
significativi e l’avvicinarsi della fine dell’anno ha spinto gli investitori a non esporsi. Per quanto concerne la pubblicazione di dati
rilevanti, vale la pena menzionare le informazioni relative al PIL
statunitense. Un dato, in linea alle previsioni degli analisti, che di
conseguenza non ha suscitato particolari reazioni né sul mercato
valutario né su quello azionario. L’economia americana è cresciuta del 2,6 p.c. su base annua. Una crescita molto più grande rispetto a quella dell’Europa, che rischia di fare i conti con una nuova
recessione. Il cambio USD/HRK si aggira attualmente attorno a
quota 5,750, una variazione trascurabile rispetto al cambio di lunedì scorso (5,770).
Anche il valore del franco svizzero si mantiene stabile. Il cambio EUR/CHF si aggira attorno a quota 1.2220, su base settimanale il cambio è oscillato tra un minimo di 1,2170 e un massimo
di 1,2240. Il cambio CHF/HRK continua a mantenersi attorno a
6,150 kune per un franco svizzero.
Riassumendo l’anno che sta per concludersi, vale la pena menzionare il fatto che il grande perdente degli ultimi 12 mesi risulta
essere l’euro. La moneta unica si è indebolita rispetto alla maggior
parte delle altre valute. Il valore dell’euro si aggira ai livelli minimi su base annua nei confronti dello yen, del dollaro americano,
della sterlina e del dollaro australiano. Considerato il forte legame
con i mercati europei, anche la kuna ha subito grosse perdite nei
confronti delle valute menzionate in precedenza. Si tratta di una
conseguenza della crisi della zona euro. Agli operatori del mercato non rimane che sperare che i leader europei saranno in grado
di trovare la giusta via per superare la recessione e stimolare la crescita economica.
mossa seguente sta al governo.
Questa è la valutazione degli imprenditori, cioè dell’analisi delle
loro risposte alle domande inerenti alle previsioni economiche
per il 2012.
All’inchiesta hanno aderito
442 ditte, poco meno della metà
di quelle che hanno presentato il piano finanziario per 2010.
In esse è stato realizzato il 14,96
per cento del totale delle entrare, il 13,07 per cento dei profitti al netto e impiegano il 17,04
per cento del totale dei lavoratori
nelle ditte.
IL VOTO DEL 2011 Allo
stato generale dell’economia nel
2011 è stato assegnato un voto
da 1 a 5 e quello medio è risultato essere 2,31, un po’ meglio
dell’anno precedente. Un valore
medio inferiore alla sufficienza
è stato assegnato dalle ditte medio-piccole e da quelle che si occupano di servizi. In particolare,
il voto minimo (1,7) è stato assegnato nella Croazia adriatica.
Per il settore edilizio e l’industria
della lavorazione l’anno scorso si è meritato “due”, mentre i
migliori 400 considerano che sia
stato a livello di 2,39. Le gradi
ditte, quelle adriatiche e la Città
di Zagabria hanno assegnato voti
da 2,4 a 2,5, mentre il settore del
commercio è del parere che l’anno scorso si sia meritato il 2,55,
il voto più positivo.
STASI Nel prevedere un aumento economico nel 2012 gli
imprenditori si sono dimostrati molto coscienti della situazione, per cui hanno considerato che
l’anno entrante non si discosterà da quello che sta per terminare. Ci sono però dei cauti ottimisti – le ditte della capitale, i commercianti, i porgitori di servizi e
i 400 migliori attendono un aumento economico uguale o leggermente superiore. La Croazia
adriatica, nord occidentale e centrale, come le piccole e medie imprese e quelle dell’industria della
lavorazione, ritengono che non ci
saranno cambiamenti. Solamente
le piccole imprese, specialmente
quelle del settore edile, sono del
parere che la situazione rimarrà invariata. In particolare, più
grande è l’azienda edile, più sentito è il pessimismo.
USCIREMO DALLA CRISI Sebbene la recessione non demorda e la crisi nell’eurozona
non accenni a calmarsi, il 55 per
cento degli imprenditori è convinto che riuscirà ad ammortizzare le conseguenze della crisi. Il
38,6 per cento degli imprenditori edili ha annunciato che intende
confrontarsi con le conseguenze
della crisi, mentre il 35,4 per cento si attende di riuscirsi. Però, nel
loro gruppo c’è il 20 per cento
circa delle ditte, le quali impiegano circa 200 lavoratori, che ritiene di riuscire a superare la crisi con grandi difficoltà.
GESTIONE Le attese inerenti al nuovo governo e alle sue
mosse sono grandi, ma gli imprenditori non credono che ci saranno sostanziali cambiamenti
nella gestione. Questo pensiero
è stato espresso dal 39 per cento
degli intervistati (che impiegano
circa 36.000 lavoratori), mentre
il 38,7 per cento (con 26.500 lavoratori) crede sia possibile che
le condizioni potrebbero migliorare, anche se di poco. Che potrebbero peggiorare le condizioni per gli investimenti e la gestione è il pensiero del 17,8 per
cento delle aziende (con 13.600
lavoratori), mentre solamente lo
0,16 per cento degli imprenditori crede che ci sarà un sensibile
miglioramento. Tra le ditte edili, il 50,4 per cento è convinto
che nella gestione tutto resterà
com’è, un piccolo peggioramento è atteso dal 24,4 per cento e un
drastico peggioramento dal 14,8
per cento.
SUPERARE LA CRISI Il
35,9 per cento delle ditte (con i
suoi 34.500 lavoratori) vede una
via d’uscita nel ridurre le spese;
il 32,1 per cento (con 27.500 lavoratori) crede in un migliore
piazzamento dei propri prodotti; la riorganizzazione è la strada
scelta dal 22,2 per cento (con circa 20.000 lavoratori); la riduzione del costo del lavoro è l’opzione del 6,9 per cento delle aziende, mentre il 2,8 per cento delle
aziende ha deciso di cambiare il
processo di produzione.
EDILIZIA GRAVE A differenza dell’anno scorso, quando
la maggior parte degli imprenditori attendeva di vedere i riscontri della crisi nella propria azienda, l’inchiesta di quest’anno rileva che la valutazione era esatta e
che sono riusciti ad ammortizzare bene i risvolti della crisi. Alla
luce di tali risultati, il 56 per cento delle ditte (con 39.400 lavoratori) attende un risvolto accettabile, mentre il 34,4 per cento
(con 30.400 impiegati) si prepara
a un’influenza negativa.
ESPORTATORI In questo
settore solamente l’1,1 per cento degli imprenditori (1.200 impiegati) crede che l’esportazione
salirà considerevolmente, il 24,1
per cento (16.300 lavoratori) attende un leggero aumento, il 67,3
per cento (42.200 impiegati) ritiene che la situazione è in stallo,
il 3,6 per cento (4.500 lavoratori) prevede una leggera diminuzione, mentre un drastico calo è
paventato dal 2,7 per cento delle
ditte (circa 3.000 lavoratori).
Per ciò che concerne i profitti derivanti dall’esportazione, il
46,2 per cento delle ditte dovrebbe rimanere ai livelli di quest’anno, mentre il 34,8 per cento attende un lieve aumento.
GESTIONE 2012 In generale, la maggior parte delle ditte ha
realizzato quest’anno profitti leggermente superiori a quelli del
2010, aprendo anche qualche posto di lavoro in più. Per ciò che
concerne l’anno a venire, attende un andamento positivo il 54,6
per cento delle aziende, anche se
sarà di poco superiore al 2011.
Anche il settore dell’occupazione dovrebbe subire un aumento,
perché il 37,2 per cento delle ditte intende aprire nuovi posti di
lavoro.
INVESTIMENTI Da più parti giungono segnali di tempi difficili, ma dalle previsioni degli imprenditori si deduce che proprio
in questi tempi bisogna investire
laddove è maggiore la concorrenzialità. Così, il 16,9 per cento intende modernizzare le proprie capacità tramite più mezzi investiti,
mentre il 43,2 per cento investirà, ma un po’ meno. Dovrà ridurre in denaro per gli investimenti il 10,6 per cento delle aziende.
Se la ricerca e lo sviluppo saranno finanziati agli stessi livelli di
quest’anno, nel commercio si immetterà più denaro, mentre non è
certo una priorità investire nel
rinnovamento delle attrezzature,
almeno per ciò che concerne il
settore edile.
FINANZIAMENTI Il piano dei finanziamenti sottintende l’uso dei mezzi propri per la
maggior parte degli imprenditori
(il 78,9 per cento). Attingere dai
Fondi europei sarà il primo passo
per il 62,7 per cento, mentre ricorrerà ai crediti bancari il 59 per
cento, come l’anno scorso.
Anno VI / n. 253 del 29 dicembre 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: ECONOMIA & FINANZA [email protected]
Redattore esecutivo: Christiana Babić / Impaginazione: Denis Host-Silvani
Collaboratori: Krsto Babić, Mauro Bernes, Marco Grilli ed Erika Blečić- Foto: Ivor Hreljanović e archivio