LA VOCE DEL POPOLO I depositi salgono a 411 mld di euro Nuovo record storico per la liquidità “parcheggiata” dalle banche dell’Eurozona presso la Banca centrale europea. Venerdì scorso i depositi sono saliti a 411 miliardi di euro rispetto ai 346 del giorno precedente. Polverizzato il precedente picco storico di 384 miliardi toccato nel giugno 2010 in piena crisi del debito della Grecia. L’impennata dei depositi, remunerati dalla Bce allo 0,25 p.c., segue la maxi-operazione di finanziamento triennale con cui la Bce ha fornito la scorsa settimana 489 miliardi di euro al tasso dell’1 p.c., la più corposa operazione di finanziamento nella storia decennale dell’euro. L’Eurotower ha assegnato prestiti per 489 miliardi di euro alle 523 banche del vecchio continente che ne hanno fatto richiesta. Si tratta del maggiore finanziamento realizzato dalla banca centrale europea, superando anche l’iniezione di liquidità all’inizio del 2009 in piena crisi finanziaria dopo il crac Lehman Brothers che arrivò a 442 miliardi di euro. Si tratta inoltre del finanziamento con la durata maggiore realizzato dalla Bce. Le banche hanno ricevuto prestiti con scadenza triennale anche se dal 2013 potranno rimborsarlo, tutto o in parte. BIS A FEBBRAIO Il 28 febbraio ci sarà il bis con un’altra operazione a tasso fisso e ammontare illimitato. L’Eurotower, cioè, soddisferà qualsiasi richiesta delle banche. I risultati dell’operazione hanno sorpreso i mercati che si aspettavano richieste tra 250 e 300 miliardi di euro. La reazione è stata piuttosto negativa anche se sembra prevalere una certa prudenza nell’interpretare i numeri. L’andamento dei mercati conferma la prudenza nel valutare il significato del finanziamento. Dopo un avvio in rialzo per i mercati azionari gli indici hanno ripiegato terminando in territorio negativo. Gli spread di Italia e Spagna avevano proseguito la discesa per poi invertire la tendenza all’esito dell’asta della Bce. PREOCCUPAZIONE Così tante richieste di prestiti potrebbero significare che la situazione di liquidità del mondo del credito è preoccupante. Tuttavia al- cuni analisti osservano che “le banche non potevano rifiutare un’offerta simile”. Possono prendere denaro a basso costo e impiegarlo con margini superiori. Il finanziamento, fortemente voluto dal presidente della Bce, Mario Draghi, deve servire ad assicurare liquidità alle banche a basso costo in modo che gli istituti di credito non taglino i flussi di finanziamenti all’economia reale. Secondo stime di Barclays 193 miliardi di euro saranno dirottati verso il sistema economico e 296 miliardi per le obbligazioni bancarie in scadenza. Più che l’ammontare del maxi-finanziamento da parte della Bce, il tema fondamentale è proprio come le banche impiegheranno le risorse. L’operazione potrebbe anche fornire un sostegno ai mercato dei titoli di Stato. IPOTESI Le banche potrebbero, infatti, fare del “carry trade”, impiegare parte del prestito ottenuto a un tasso dell’1 p.c. per acquistare titoli di Stato, sostenendo così i Paesi dell’area euro, e incassando rendimenti decisamente più elevati. Ma su cosa faranno le banche fioriscono molte ipotesi tra gli addetti ai lavori. C’è anche chi crede che gli istituti di credito impiegheranno solo marginalmente la liquidità per finanziare l’economia e acquistare titoli di Stato. Il grosso del maxi-prestito sarà impiegato per acquistare le obbligazioni bancarie in scadenza. Lo stesso Draghi nell’audizione all’Europarlamento dei giorni scorsi ha ricordato che nel primo trimestre del 2012 arriveranno a scadenza bond emessi dalle banche per 230 miliardi di euro. EVITARE I RISCHI Al tempo stesso i prestiti nell’area euro per l’80 per cento sono concessi dalle banche. E queste preferiscono parcheggiare la liquidità nel porto sicuro della Bce piuttosto che prestarla ad altre banche a tassi più elevati assumendosi un rischio di controparte. Il risultato di questo comportamento, dovuto alla crescente avversione al rischio, si traduce nel blocco dei canali di trasmissione della politica monetaria e in forme di razionamento credito (credit crunch) a danno dell’economia reale. c vo /la .hr dit w.e ww Liquidità «parcheggiata» alla Bce e economia & finanza An 11 no e 20 VI • r b m n. 253 • Giovedì, 29 dice IL PUNTO di Christiana Babić Ansia da crisi Crisi, recessione, illiquidità, difficoltà, debiti, flop… e poi ancora spread, bund, btp, tasse, sacrifici… che brutto anno questo 2011 che stiamo per lasciarci alle spalle con la speranza e l’augurio che il 2012 dia ragione a tutti coloro che nonostante tutto non perdono l’ottimismo. Perché di ottimismo si sente davvero il bisogno dato che nemmeno la frenesia del Natale è riuscita a far decollare quei consumi dei quali l’economia sembra proprio non poter fare a meno. I tempi, infatti, sono quelli che sono e i dati sono i peggiori degli ultimi dieci anni: le vendite sono crollate e il cosiddetto “settore regali” ha subito una contrazione fortissima determinando un clima austero sia per i consumatori – che si sono trovati costretti a ridurre il numero è l’entità dei regali –, sia per i commercianti che hanno subito una drastica riduzione del giro d’affari. Un andamento che, purtroppo, sommato agli annunci poco rassicuranti sulle misure di contenimento della spesa pubblica potrebbe determinare nuovi picchi d’ansia nei cittadini. Un male non indifferente visto che gli individui ansiosi sono ignari dei pericoli che li circondano, e proprio per questo si sentono minacciati e si spaventano più facilmente rispetto alle persone non ansiose. Lo svela uno studio dei ricercatori israeliani della Tel Aviv University guidati da Tahl Frenkel: gli individui ansiosi sono meno capaci di cogliere dettagli e indizi di situazioni potenzialmente “a rischio” e, quando finalmente riescono a carpirli – in ritardo – l’effetto della paura e dell’ansia su di loro è maggiore perché è come se venissero presi “di sorpresa”. In altre parole, l’ansia da crisi potrebbe provocare un deficit nella capacità di valutazione delle minacce – necessaria per un processo decisionale efficace e per il regolamento della paura – che porterebbe a una sotto-reazione agli stimoli di pericolo. E ritardare così l’individuazione, l’analisi e la valutazione del problema… con conseguente individuazione della soluzione giusta. 2 economia&finanza Giovedì, 29 dicembre 2011 NIENTE CRISI Ecco i Paesi in cui il Prodotto interno lordo crescerà maggiormente nel 2012 Macao, Mongolia, Libia: il Pil d’oro di René Ambrus M acao, Mongolia, Libia: il podio che non ti aspetti. In un anno che per molti Paesi delle economie tradizionali rischia di essere caratterizzato dal ritorno alla recessione, non mancano altre nazioni che invece promettono di crescere addirittura a doppia cifra. La classifica delle nuove tigri del business, da prendere con le molle, è stata riportata dal sito di finanza personale Money Energy, che ha loro accreditato in alcuni casi tassi di crescita più generosi di quelli che mediamente sono stati stimati. Naturalmente, anche se il consuntivo dovesse collimare con quanto previsto, non sono eventi destinati a cambiare le sorti globali: il Prodotto interno lordo o Pil di questi Paesi è tale che, sommati tutti assieme, non fanno un decimo di quello statunitense. Ma almeno nel 2012 a Macao, Ulan Bator e Tripoli si dovrebbe poter parlare a buon diritto di crescita. PARADISO DEI GIOCATORI Nel piccolo territorio affacciato sul Mar cinese meridionale (meno di 30 chilometri quadrati) fino al 1999 sotto il controllo portoghese, il Pil è previsto in crescita del 15 p.c. su base annua nel 2012. A guardare i dati recenti si tratta, in realtà, di un deciso rallentamento. Il Pil di Macao è salito infatti del 26,2 p.c. nel 2010 e ancora del 21,1 p.c. nel terzo trimestre del 2011. Pur depurando la ricchezza dall’inflazione, sono tassi lontanissimi da quelli della (de)crescita globale. C’è un settore soltanto a trainare la crescita della piccola enclave cinese: è il gioco d’azzardo. Nel solo mese di ottobre i 34 casinò di Macao hanno generato ricavi per 3,36 miliardi di dollari, facendo ormai della località la capitale indiscussa dei tavoli verdi, diverse lunghezze davanti a Las Vegas. La liberalizzazione dell’industria del gioco, avvenuta nel 2001, ha attratto in questi 10 anni decine di miliardi di dollari di investimenti diretti. L’allentamento della stretta di Pechino sulla liber- Il balzo della Mongolia al secondo posto tra i Paesi in maggior crescita è dovuto soprattutto all’esportazione di rame Il Venetian Macao Resort, simbolo di ricchezza del Paese che fino al 1999 era sotto il controllo portoghese tà di accesso, inoltre, ha dato linfa all’industria turistica. RISORSE MONGOLE Se Macao rappresenta in qualche maniera una conferma, il balzo della Mongolia al secondo posto tra i Paesi in maggior crescita è la grande sorpresa. Il +14,8 p.c. del quale è accreditata per l’anno prossimo rappresenta circa il doppio di quanto fatto registrare nel 2010. Un’impennata simile, però, è già stata fatta segnare nel primo semestre del 2011, ma complessivamente l’anno dovrebbe chiudersi con una crescita appena sopra la doppia cifra. La Mongolia è ormai satellite privilegiato della crescita cinese, che ha fame di materie prime. E le previsioni che la riguardano per l’anno prossimo sono ancor più sorprendenti se si pensa che la Cina, per contro, va rallentando. La crescita, inaugurata attorno al Per assumere le aziende puntano sulle conoscenze personali Impiego, amici per lavoro Meglio del curriculum per farsi assumere? Le conoscenze personali. Sarebbero queste, infatti, il segreto per essere introdotti nel mondo del lavoro, visto che le imprese hanno deciso di preferire la rete di amicizie piuttosto che affidarsi a società di lavoro interinale, centri per l’impiego e la valutazione del curriculum. A riferirlo è un’indagine Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro, che rileva come nel 2010 oltre sei imprese su dieci per la selezione del personale abbiano fatto ricorso al cosiddetto canale informale, “conoscenza diretta in primo luogo e segnalazioni personali”, attraverso conoscenti o fornitori. CANALE INFORMALE La ricerca, inoltre, ha evidenziato che rispetto al 2010 l’utilizzo del canale informale ha registrato un forte aumento, passando al 61,1 p.c. dal 49,7 p.c. del 2009. “Il clima economico ancora incerto spinge evidentemente le imprese alla massima cautela nella selezione di nuovi candidati: la conoscenza diretta, magari avvenuta nell’ambito di un precedente periodo di lavoro o di stage, e il rapporto di fiducia da essa scaturito diventano quindi premianti ai fini dell’assunzione”, si legge il rapporto. BANCHE DATI INTERNE Nel 2010 è anche cresciuto il ricorso da parte delle imprese a strumenti interni, ovvero alle banche dati costruite dalle stesse aziende sulla base dei curriculum raccolti nel tempo (al 24,6 p.c. dal 21,5 p.c.), ma la quota resta limitata a poco più di due imprese su 10. Perdono invece terreno le modalità di reclutamento “tradizionali” (annunci su quotidiani e riviste specializzate), preferite solo nel 2,3 p.c. dei casi. Sono pochissime e in diminuzione anche le aziende che utilizzano intermediatori istituzionali, come società di lavoro interinale, di selezione (5,7 p.c.) e quelle che si affidano a operatori istituzionali, ovvero ai centri per l’impiego (2,9 p.c.). IL CURRICULUM Ma se si guarda alla dimensione d’impresa il quadro cambia, dopo i 50 dipendenti le aziende iniziano a fare più affidamento sulle loro banche dati interne, a basarsi sulla “carta”, ovvero sui curriculum. Ecco che, quindi, al crescere della dimensione d’impresa il rapporto diretto del candidato con il datore di lavoro o tramite conoscenti perde importanza. Basti pensare che nelle realtà con più di 500 dipendenti il ricorso al canale informale scende al 10,2 p.c., mentre l’utilizzo di strumenti interni sale al 48,9 p.c. 2005 e che è andata impennandosi negli ultimi tre anni, è interamente dovuta alla ricchezza mineraria del sottosuolo mongolo. ORO GIALLO E ROSSO Una ricchezza rappresentata dal rame, innanzitutto. Oyu Tolgoi, in pieno deserto del Gobi, è uno dei filoni vergini più grandi del mondo, conserva anche tonnellate d’oro e, una volta completati i lavori per avviare l’attività estrattiva, si calcola possa fornire da solo il 5 p.c. del Prodotto nazionale lordo della Mongolia. Al progetto hanno cominciato a lavorare Rio Tinto, Ivanhoe Mines e il governo locale, che recentemente ha fatto sapere di voler incrementare la propria partecipazione nelle operazioni dal 34 al 50 p.c. Altra materia prima essenziale di cui vi è ormai carenza quasi ovunque ed è invece ancora quasi del tutto intatta in Mongolia è il carbone. Si calcola che Tavan Tolgoi ne contenga 6 miliardi di tonnellate. Ci lavora un’azienda locale, ma per avviare l’estrazione in grande stile si aspetta l’arrivo di investitori stranieri, coi quali l’enorme patrimonio verrà condiviso e assieme ai quali le azioni della società mineraria dovrebbero essere portate alla Borsa di Londra e a quella di Hong Kong, oltre naturalmente che a quella di Ulan Bator. PETROLIO LIBICO Per quanto riguarda la Libia, il +13,6 p.c. preventivato per il Pil del 2012 è, naturalmente, frutto di un 2011 orribile. La guerra civile che ha portato alla fine del regime di Muammar Gheddafi dovrebbe costare, nell’anno che va a concludersi, un calo in doppia cifra per la ricchezza dello Stato posto sulle sponde meridionali del Mediterraneo. L’ipotesi di una crescita capace di recuperare in un solo anno quanto bruciato nell’ultimo è una scommessa sulla capacità della transizione democratica di essere rapidamente efficace nel rilancio di un’economia che ha dalla sua una carta sempre vincente come quella del petrolio. È su greggio e gas naturale che si basa la rinascita di Tripoli. La National oil corporation libica ha previsto che nel quarto trimestre del 2012 tornerà a esportare 1,345 milioni di barili al giorno, tornando più in fretta di quanto in precedenza preventivato ai livelli anteriori alla guerra. Alcuni analisti del settore ritengono però la previsione eccessivamente ottimistica. IRAQ IN DOPPIA CIFRA Il petrolio è senz’altro la principale ricchezza anche del quarto e ultimo Paese a superare la doppia cifra nelle previsioni di crescita della ricchezza nel prossimo anno: l’Iraq (+10,9 p.c.). E ha un ruolo molto importante anche in quelli che lo seguono immediatamente in questa classifica: Angola (+9,9 p.c.) e Niger (+9,5 p.c.). Solo in settima posizione si è posizionata la Cina (+8,2 p.c.), che precede Etiopia e Ruanda (+8 p.c.). L’EUROPA ARRANCA Com’è noto, il mondo va in un’altra direzione. L’Ocse a fine novembre ha tagliato ulteriormente le stime di crescita a livello globale. I Paesi industrializzati, nel loro complesso, dovrebbero crescere non più dell’1,6 p.c., per l’Eurozona è previsto un sostanziale stallo (+0,2 p.c.). Le economie mature ristagnano mentre si prevede così che possano seguitare a crescere a ritmi sostenuti l’America Latina e l’Asia, alle quali sempre più frequentemente dovrebbe accodarsi anche l’Africa. La National oil corporation libica ha previsto che nel quarto trimestre del 2012 tornerà a esportare 1,345 milioni di barili al giorno economia&finanza 3 Giovedì, 29 dicembre 2011 IMPRESE Vince la formula: «Innovazione, qualità e sostenibilità» Il boom della green economy di Marco Grilli C hi fino a ieri affermava che sostenibilità non facesse rima con competitività, dovrà forse ricredersi. La green economy, l’economia che diffonde il colore della speranza, pare l’antidoto più giusto ed efficace per combattere la crisi, una vera occasione per la crescita ed una scommessa per il futuro. Per economia verde intendiamo il complesso delle attività economiche che mirano ad uno sviluppo sostenibile a basso impatto ambientale, basato sulla riduzione delle emissioni inquinanti e sul risparmio energetico. Fonti rinnovabili, efficienza energetica, riciclaggio, tecnologie e prodotti per ridurre le emissioni, servizi di pubblico interesse efficienti e mobilità ed edilizia sostenibile, sono le parole d’ordine di questa rivoluzione economica, che pone la natura al centro del proprio interesse. D’altra parte, il riscaldamento globale del pianeta, l’inquinamento ambientale e l’esauribilità dei combustibili fossili – oltre ai loro costi crescenti – impongono la ricerca di un nuovo modello di sviluppo, più sano e virtuoso. Una grande sfida per l’umanità, che ha il compito di lasciare in eredità alle nuove generazioni un mondo ancora vivibile. SVILUPPO E QUALITÀ Anche le imprese italiane, chiamate a fronteggiare la crisi ed a migliorare la propria competitività sul mercato globale, sembrano puntare con convinzione sul modello green. Lo dimostrano inequivocabilmente i dati forniti dal Rapporto GreenItaly 2011, realizzato da Unioncame- le alla cittadinanza attiva, dalle realtà territoriali e istituzionali all’ambiente della cultura. I NUMERI Il Rapporto GreenItaly 2011 parla chiaro: in tre anni, dal 2008 al 2011, il 23,9 p.c. delle aziende attive in Italia hanno investito in tecnologie e prodotti ecocompatibili. Numericamente si tratta di 370.000 imprese (quasi 220.000 dei servizi e 150.000 industriali) che hanno adottato strategie di riduzione dell’inquinamento o massima efficienza energetica Dal 2010 al 2011 la percentuale di piccole imprese – da 20 a 49 dipendenti – impegnate nella rivoluzione verde è passata dal 29,1 al 55,1, mentre per quanto riguarda quelle medie – da 50 a 499 dipendenti – si è registrata una significativa crescita dal 37,3 al 68,5. Nel complesso, le piccole e medie imprese manifatturiere dedite alla green economy sono salite dal 30,4 al 57,5 p.c. del totale. L’analisi settoriale attribuisce il primato verde alle industrie manifatturiere (64,4 p.c. nel 2011), seguite da quella alimentare (61,3 p.c.), dalla meccanica (58,6 p.c.) e poi dalle produttrici di beni per la persona e per la casa (50,1 p.c.). Un particolare plauso, secondo GreenItaly 2011, merita la filiera della meccanica, mezzi di trasporto, elettronica e strumentazione di precisione, senza dimenticare il ruolo svolto dal comparto della lavorazione dei minerali non metalliferi, dove un’impresa su tre si è prodigata nell’investire in sostenibilità. UNIFORMITÀ TERRITORIALE La green economy pare anche realizzare ciò che per altri settori re e da Symbola, la Fondazione per le qualità italiane nata nel 2005 con l’obiettivo di promuovere un nuovo modello di sviluppo orientato alla qualità, in cui si fondono tradizione, territorio, innovazione tecnologica, ricerca e design. In pratica, la Fondazione punta alla soft economy, ossia ad un’economia della qualità in grado di coniugare competitività e valorizzazione del capitale umano, crescita economica e rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, produttività e coesione sociale. Un movimento culturale originale, che svolge la sua attività prevalentemente attraverso ricerche, rapporti, azioni di comunicazione e di formazione ecc., mettendo in rete soggetti diversi fra loro, dalle personalità del mondo economico e imprenditoria- produttivi resta un miraggio: l’uniformità territoriale. Nelle prime dieci posizioni della classifica regionale per la diffusione delle imprese che investono nell’economia verde, troviamo cinque regioni del Nord e altrettante del Sud. Primeggia il Trentino Alto Adige (29,5 p.c.), seguito da: Valle d’Aosta (27,3 p.c.), Molise, Abruzzo, Basilicata, Puglia e Campania (valori tra il 25 e il 27,2 p.c.), Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Piemonte (quasi 24 p.c.). L’incidenza percentuale delle piccole e medie imprese green, per ripartizione geografica, vede al comando il Sud (64,5), seguito dal Nord Est (57,3), dal Nord Ovest (56,7) e dal Centro (53,6). BENEFIT PER L’OCCUPAZIONE Notevoli i benefici anche in termini di occupazione. Nel 2011 oltre il 38 p.c. delle assunzioni riguarda il settore della green economy, con 220.000 posti di lavoro su un totale di c.a. 600.000. Da notare che 97.600 ingressi nel mondo del lavoro sono legati strettamente all’economia verde, concernendo figure professionali impegnate nelle energie rinnovabili, nella gestione di acque e rifiuti, nella tutela ambientale ecc.. Mantenendo questi ritmi, si può sperare anche per i prossimi anni in un vero e proprio boom di assunzioni (fino a un milione di posti di lavoro), tra nuova occupazione e riqualificazione dell’esistente. Un settore che mostra tutta la sua forza per quanto riguarda la valorizzazione delle risorse umane, come dimostrato dalla trasversalità delle competenze richieste. Tra gli assunti dalla green economy ritroviamo artigiani, operai specializzati e agricoltori (49 p.c.), le professioni tecniche (19,5 p.c.), gli impiegati (9,6 p.c.), le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (8,8 p.c.), le attività commerciali ed i servizi (7,5 p.c.), fino al 4,8 p.c. di legislatori, dirigenti e imprenditori. Secondo il Rapporto GreenItaly 2011, i green jobs sono particolarmente richiesti al Sud e nelle piccole imprese e comportano assunzioni più stabili rispetto alle altre professioni (i contratti a tempo indeterminato arrivano nel 48 p.c. dei casi contro il 43 p.c. degli altri mestieri). Siamo di fronte non solo a professioni già esistenti, ma a figure nuove legate all’innovazione ed alle tecnologie. Le professioni più ricercate, elencate nel comunicato stampa di GreenItaly 2011, sono “l’auditor esperto in emissioni di gas serra in atmosfera, il tecnico superiore per industrializzazione, qualità e sostenibilità dell’industria del mobile, lo statistico ambientale, l’operatore marketing delle produzioni agroalimentari biologiche, il risk manager ambientale, l’ingegnere dell’emergenza, il progettista di architetture sostenibili e l’esperto del ciclo di vita dei prodotti industriali”. FORMAZIONE SPECIFICA Questa richiesta di manodopera, così settoriale e specializzata, rischia però di non trovare soddisfazione nel mercato italiano. Stando ai dati forniti da Unioncamere, le imprese lamentano difficoltà nel trovare il 30,3 p.c. dei profili green in senso stretto, ed il 28,1 p.c. delle figure professionali riconducibili all’economia verde, tanto che il 15 p.c. del fabbisogno potrebbe rimanere insoddisfatto a causa della mancanza di competenze e professionalità. La via per ovviare a questo limite è quella della formazione specifica e professionalizzante. L’Università italiana pare muoversi in tal senso, avendo attivato ben 193 corsi di laurea in 54 atenei sui temi della sostenibilità ambientale (1/3 di questi sono al Sud), mentre i dottorati di ricerca sul tema, istituiti negli ultimi otto anni, sono saliti a 91. Il Bel Paese, unico al mondo per patrimonio naturale, storico e artistico e da sempre sinonimo di talento e creatività, pare avere le condizioni ottimali per promuovere una vera modernizzazione all’insegna dello sviluppo sostenibile, dove l’economia verde s’incrocia con quella soft, ossia con la qualità, l’innovazione e la ricerca, che il grande storico dell’economia Carlo Maria Cipolla identificava con quella capacità di “produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo”. Questo è quanto sostiene il presidente di Symbola, Ermete Realacci, che considera la green economy come “una chiave per ragionare sul futuro della nostra economia attraverso tutti i settori: dall’agroalimentare alle ceramiche, dalla nautica al turismo, alla meccatronica, dai settori più tradizionali a quelli più innovativi”. OCCASIONE DI CAMBIAMENTO Nella relazione che accompagna il Rapporto GreenItaly, Realacci invita a pensare alla crisi come ad una grande occasione di cambiamento, apprezzando il fatto che “nell’incrocio tra innovazione, qualità e bellezza, la green economy in salsa italiana è già ben presente nelle attività della parte più avanzata del sistema imprenditoriale italiano”. Il trinomio innovazione, qualità e sostenibilità ritorna anche nei commenti del segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi, “tre valori che, coniugati tra loro, consentono alle imprese italiane di intercettare le preferenze dei consumatori del mondo, di rendere i prodotti unici e non ripetibili, di fare efficienza puntando sulla creatività delle risorse umane e sull’uso responsabile delle risorse naturali”. Secondo un altro studio, realizzato dalla IR Top – una società di consulenza specializzata nelle pubbliche relazioni con investitori finanziari – e presentato lo scorso ottobre nel convegno milanese “Crescita e industria green”, il fatturato dell’economia verde italiana sarebbe superiore a quello della media europea. “Il campione di aziende che operano nel settore green è ben rappresentato sul listino azionario italiano – sostiene l’amministratore delegato di Ir Top, Anna Lambiase – le 13 società analizzate hanno mostrato nel 2010 solidi fondamentali e risultati in forte crescita, segnando un +35 p.c. nell’incremento dei ricavi rispetto a una media europea del +25 p.c. con un livello di occupazione che vede oltre 7.000 unità impiegate”. Da rilevare la forte presenza di investitori istituzionali nel capitale delle società – ben 74 – per un valore complessivo dell’investimento di 111 milioni di euro. “Una presenza – dice ancora Lambiase – giustificata dalle elevate prospettive di sviluppo e di internazionalizzazione”. SCENARI EUROPEI Intanto il verde pare contagiare anche l’Europa. L’UE, infatti, ha lanciato il programma “Horizon 2020”, destinando oltre 25 miliardi di euro alla ricerca per combattere le cause all’origine dei cambiamenti climatici. Al centro dei progetti, l’abbattimento delle emissioni inquinanti e lo sviluppo della green economy. Quindi, al di là delle opportunità sul territorio nazionale italiano –ad esempio il credito d’imposta del 55 p.c. a favore dei privati per la ristrutturazione delle case e l’efficienza energetica, prorogato nella manovra del governo Monti fino a fine dicembre 2012 e finora utilizzato da 600mila famiglie, per un totale di c.a. 12 miliardi di euro di investimenti – il Sistema Paese dovrà farsi trovare pronto in questa sfida globale, giocata, come nel caso delle fonti rinnovabili, in progetti ambiziosi su scala internazionale (ad es. il “Desertec”, che prevede investimenti per 300 miliardi di euro nel sud del Mediterraneo, destinati in particolare al solare termico ad alta concentrazione). Dopo tanto “oro nero”, il nostro futuro potrebbe avere un’anima verde. 4 economia&finanza Giovedì, 29 dicembre 2011 ATTUALITÀ Nonostante la crisi il settore guarda con ottimismo al 2012 Imprenditoria, tra desiderata e difficoltà ZAGABRIA – Nonostante le condizioni difficili, nel 2011, l’economia croata ha dimostrato di essere forte e capace di sopravvivere. Però l’acqua è giunta alla gola, l’illiquidità sale, l’amministrazione soffoca e l’imprenditoria non dispone più di risorse interne né di riserve per poter continuare la gestione. Dunque, la L’ANALISI DELLA Una settimana targata INA di Davor Špoljar Nonostante il clima prefestivo il volume degli scambi realizzato la scorsa settimana alla Borsa di Zagabria si è aggirato mediamente attorno ai 12,5 milioni di kune al giorno. Il dato più alto delle ultime tre settimane. In primo luogo ciò è dovuto ai titoli dell’INA che lunedì scorso sono stati riammessi sul listino, totalizzando in cinque giorni un volume di scambi pari a 21 milioni di kune. Il prezzo dei titoli INA è sceso in questo periodo dell’8,3 p.c. Il loro prezzo alla fine della settimana scorsa era di 3.850 kune. Alle spalle dei titoli dell’INA, per quanto concerne la liquidità, si sono piazzate le azioni dell’Adris, con un volume di scambi medio giornaliero pari a 2,2 milioni di kune (-0,5 p.c.). Al terzo posto, con un volume di scambi di 14 milioni di kune, si sono piazzati i titoli della Telekom croata (HT), il cui valore è sceso dello 0,8 p.c. La maggior parte dei titoli con la maggiore liquidità ha chiuso la scorsa settimana in perdita. D’altra parte ci sono stati anche titoli che hanno guadagnato, come ad esempio quelli della Đuro Đaković (+5 p.c.), della Petrokemija (+4,9 p.c.) e della Belje (+3,7 p.c.). L’indice Crobex ha chiuso in perdita per la terza settimana consecutiva. Questa volta la perdita è stata dell’uno per cento. La Borsa di Zagabria risulta pertanto uno dei pochi mercati europei in perdita. I mercati europei e mondiali, infatti, hanno avuto una forte crescita. I dati macroeconomici relativi alla disoccupazione negli Stati Uniti, alla fiducia dei consumatori in Germania e al buon esito delle recenti aste di titoli di stato spagnoli, hanno spinto al rialzo la maggior parte degli indici, che in alcuni casi hanno guadagnato anche il 3 p.c. I rialzi più sostanziosi (+ 5 p.c.) li hanno messa a segno l’indice austriaco ATX e quello ceco PX. MERCATO DEI CAMBI Stabile il mercato monetario di Ivan Slamić La settimana che precede le festività di fine anno ha portato stabilità al mercato. L’equilibrio tra domanda e offerta ha fatto sì che il cambio EUR/HRK si sia mantenuto tra un minimo di 7,510 e un massimo di 7,520. Inoltre, la mancata emissione di titoli di stato a breve termine, come pure l’assenza di titoli in scadenza, ha contribuito a ridurre le pressioni nei confronti della valuta croata. I volumi di scambio si sono mantenuti a livelli modesti. Anche i cambi delle restanti valute si sono mantenuti stabili. Il cambio del dollaro americano sia nei confronti dell’euro sia della kuna è oscillato meno dell’uno per cento. Il cambio EUR/USD si è aggirato attorno a quota 1,300-1,3150 (1,3070). L’assenza di dati significativi e l’avvicinarsi della fine dell’anno ha spinto gli investitori a non esporsi. Per quanto concerne la pubblicazione di dati rilevanti, vale la pena menzionare le informazioni relative al PIL statunitense. Un dato, in linea alle previsioni degli analisti, che di conseguenza non ha suscitato particolari reazioni né sul mercato valutario né su quello azionario. L’economia americana è cresciuta del 2,6 p.c. su base annua. Una crescita molto più grande rispetto a quella dell’Europa, che rischia di fare i conti con una nuova recessione. Il cambio USD/HRK si aggira attualmente attorno a quota 5,750, una variazione trascurabile rispetto al cambio di lunedì scorso (5,770). Anche il valore del franco svizzero si mantiene stabile. Il cambio EUR/CHF si aggira attorno a quota 1.2220, su base settimanale il cambio è oscillato tra un minimo di 1,2170 e un massimo di 1,2240. Il cambio CHF/HRK continua a mantenersi attorno a 6,150 kune per un franco svizzero. Riassumendo l’anno che sta per concludersi, vale la pena menzionare il fatto che il grande perdente degli ultimi 12 mesi risulta essere l’euro. La moneta unica si è indebolita rispetto alla maggior parte delle altre valute. Il valore dell’euro si aggira ai livelli minimi su base annua nei confronti dello yen, del dollaro americano, della sterlina e del dollaro australiano. Considerato il forte legame con i mercati europei, anche la kuna ha subito grosse perdite nei confronti delle valute menzionate in precedenza. Si tratta di una conseguenza della crisi della zona euro. Agli operatori del mercato non rimane che sperare che i leader europei saranno in grado di trovare la giusta via per superare la recessione e stimolare la crescita economica. mossa seguente sta al governo. Questa è la valutazione degli imprenditori, cioè dell’analisi delle loro risposte alle domande inerenti alle previsioni economiche per il 2012. All’inchiesta hanno aderito 442 ditte, poco meno della metà di quelle che hanno presentato il piano finanziario per 2010. In esse è stato realizzato il 14,96 per cento del totale delle entrare, il 13,07 per cento dei profitti al netto e impiegano il 17,04 per cento del totale dei lavoratori nelle ditte. IL VOTO DEL 2011 Allo stato generale dell’economia nel 2011 è stato assegnato un voto da 1 a 5 e quello medio è risultato essere 2,31, un po’ meglio dell’anno precedente. Un valore medio inferiore alla sufficienza è stato assegnato dalle ditte medio-piccole e da quelle che si occupano di servizi. In particolare, il voto minimo (1,7) è stato assegnato nella Croazia adriatica. Per il settore edilizio e l’industria della lavorazione l’anno scorso si è meritato “due”, mentre i migliori 400 considerano che sia stato a livello di 2,39. Le gradi ditte, quelle adriatiche e la Città di Zagabria hanno assegnato voti da 2,4 a 2,5, mentre il settore del commercio è del parere che l’anno scorso si sia meritato il 2,55, il voto più positivo. STASI Nel prevedere un aumento economico nel 2012 gli imprenditori si sono dimostrati molto coscienti della situazione, per cui hanno considerato che l’anno entrante non si discosterà da quello che sta per terminare. Ci sono però dei cauti ottimisti – le ditte della capitale, i commercianti, i porgitori di servizi e i 400 migliori attendono un aumento economico uguale o leggermente superiore. La Croazia adriatica, nord occidentale e centrale, come le piccole e medie imprese e quelle dell’industria della lavorazione, ritengono che non ci saranno cambiamenti. Solamente le piccole imprese, specialmente quelle del settore edile, sono del parere che la situazione rimarrà invariata. In particolare, più grande è l’azienda edile, più sentito è il pessimismo. USCIREMO DALLA CRISI Sebbene la recessione non demorda e la crisi nell’eurozona non accenni a calmarsi, il 55 per cento degli imprenditori è convinto che riuscirà ad ammortizzare le conseguenze della crisi. Il 38,6 per cento degli imprenditori edili ha annunciato che intende confrontarsi con le conseguenze della crisi, mentre il 35,4 per cento si attende di riuscirsi. Però, nel loro gruppo c’è il 20 per cento circa delle ditte, le quali impiegano circa 200 lavoratori, che ritiene di riuscire a superare la crisi con grandi difficoltà. GESTIONE Le attese inerenti al nuovo governo e alle sue mosse sono grandi, ma gli imprenditori non credono che ci saranno sostanziali cambiamenti nella gestione. Questo pensiero è stato espresso dal 39 per cento degli intervistati (che impiegano circa 36.000 lavoratori), mentre il 38,7 per cento (con 26.500 lavoratori) crede sia possibile che le condizioni potrebbero migliorare, anche se di poco. Che potrebbero peggiorare le condizioni per gli investimenti e la gestione è il pensiero del 17,8 per cento delle aziende (con 13.600 lavoratori), mentre solamente lo 0,16 per cento degli imprenditori crede che ci sarà un sensibile miglioramento. Tra le ditte edili, il 50,4 per cento è convinto che nella gestione tutto resterà com’è, un piccolo peggioramento è atteso dal 24,4 per cento e un drastico peggioramento dal 14,8 per cento. SUPERARE LA CRISI Il 35,9 per cento delle ditte (con i suoi 34.500 lavoratori) vede una via d’uscita nel ridurre le spese; il 32,1 per cento (con 27.500 lavoratori) crede in un migliore piazzamento dei propri prodotti; la riorganizzazione è la strada scelta dal 22,2 per cento (con circa 20.000 lavoratori); la riduzione del costo del lavoro è l’opzione del 6,9 per cento delle aziende, mentre il 2,8 per cento delle aziende ha deciso di cambiare il processo di produzione. EDILIZIA GRAVE A differenza dell’anno scorso, quando la maggior parte degli imprenditori attendeva di vedere i riscontri della crisi nella propria azienda, l’inchiesta di quest’anno rileva che la valutazione era esatta e che sono riusciti ad ammortizzare bene i risvolti della crisi. Alla luce di tali risultati, il 56 per cento delle ditte (con 39.400 lavoratori) attende un risvolto accettabile, mentre il 34,4 per cento (con 30.400 impiegati) si prepara a un’influenza negativa. ESPORTATORI In questo settore solamente l’1,1 per cento degli imprenditori (1.200 impiegati) crede che l’esportazione salirà considerevolmente, il 24,1 per cento (16.300 lavoratori) attende un leggero aumento, il 67,3 per cento (42.200 impiegati) ritiene che la situazione è in stallo, il 3,6 per cento (4.500 lavoratori) prevede una leggera diminuzione, mentre un drastico calo è paventato dal 2,7 per cento delle ditte (circa 3.000 lavoratori). Per ciò che concerne i profitti derivanti dall’esportazione, il 46,2 per cento delle ditte dovrebbe rimanere ai livelli di quest’anno, mentre il 34,8 per cento attende un lieve aumento. GESTIONE 2012 In generale, la maggior parte delle ditte ha realizzato quest’anno profitti leggermente superiori a quelli del 2010, aprendo anche qualche posto di lavoro in più. Per ciò che concerne l’anno a venire, attende un andamento positivo il 54,6 per cento delle aziende, anche se sarà di poco superiore al 2011. Anche il settore dell’occupazione dovrebbe subire un aumento, perché il 37,2 per cento delle ditte intende aprire nuovi posti di lavoro. INVESTIMENTI Da più parti giungono segnali di tempi difficili, ma dalle previsioni degli imprenditori si deduce che proprio in questi tempi bisogna investire laddove è maggiore la concorrenzialità. Così, il 16,9 per cento intende modernizzare le proprie capacità tramite più mezzi investiti, mentre il 43,2 per cento investirà, ma un po’ meno. Dovrà ridurre in denaro per gli investimenti il 10,6 per cento delle aziende. Se la ricerca e lo sviluppo saranno finanziati agli stessi livelli di quest’anno, nel commercio si immetterà più denaro, mentre non è certo una priorità investire nel rinnovamento delle attrezzature, almeno per ciò che concerne il settore edile. FINANZIAMENTI Il piano dei finanziamenti sottintende l’uso dei mezzi propri per la maggior parte degli imprenditori (il 78,9 per cento). Attingere dai Fondi europei sarà il primo passo per il 62,7 per cento, mentre ricorrerà ai crediti bancari il 59 per cento, come l’anno scorso. Anno VI / n. 253 del 29 dicembre 2011 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: ECONOMIA & FINANZA [email protected] Redattore esecutivo: Christiana Babić / Impaginazione: Denis Host-Silvani Collaboratori: Krsto Babić, Mauro Bernes, Marco Grilli ed Erika Blečić- Foto: Ivor Hreljanović e archivio