numero 60 - Associazione Pordenonese di Astronomia

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MONTEREALE VALCELLINA
PORDENONE
LO SCOPO DEL NOSTRO NOTIZIARIO
Nel corso della storia dell’umanità, la
ricerca e il desiderio di sapere hanno
condotto,attraverso varie strade, l’uomo
a sempre meglio conoscere la natura
nelle sue molteplici espressioni.
L’ASTRONOMIA, intesa come studio
dell’ Universo che ci circonda, si può
considerare una delle più affascinanti e
coinvolgenti.
Per mezzo di questo NOTIZIARIO
l’ A.P.A. si propone di estendere le
conoscenze di questa affascinante
scienza ai soci e simpatizzanti.
IN QUESTO NUMERO
 Meteore…………….. ...................................................................................pag. 1
 Crateri di impatto sula Terra e sulla Luna...................…………………... pag. 4
 Eclissi parziale di Luna del 25/04/2013...................................................... pag. 9
Notiziario stampato in proprio e distribuito a soci e simpatizzanti
Gli articoli e le relazioni sono ad uso interno e riservate ai soci
Per questo numero hanno collaborato:
Carrozzi Giampaolo – Abate Dino – Luigi De Giusti - Stampa curata da Luigi De Giusti
IL DIRETTIVO DELL’ASSOCIAZIONE PER IL BIENNIO 2012 – 2014
1.
2.
3.
4.
PRESIDENTE: Giampaolo Carrozzi
VICE PRESIDENTE: Zanut Stefano
SEGRETARIO E RESPONSABILE OSSERVATORIO: Abate Dino
MEMBRI:
- Berzuini Andrea
- De Giusti Luigi
- Frisina Antonio
- Vanzella Piermilo
METEORE
Giampaolo Carrozzi
Il 15 febbraio u.s. l’steroide 2012 DA14 (vds. N.59) passò vicino alla Terra, circostanza che offrì l’occasione per una intensa,
quanto approssimativa attività informativa cultural-astronomica. Forse è opportuno chiarire scientificamente alcuni concetti
elementari di base. Ogni oggetto che penetra nell’atmosfera terrestre assume il nome di meteora (o meteoroide).
Un breve richiamo sulla «atmosfera terrestre»: una sfera di gas che avvolge la Terra e che è stata suddivisa in diverse zone,
correlate sopra tutto alla temperatura. Tra una zona e l’altra viene individuata una zona di transito chiamata «pausa». Tali zone
sono:
- Troposfera: da 0 a 6 - 20 km. (aerei). Zona dove si verificano quasi tutti i fenomeni meteorologici, salendo in quota la temperatura scende sino a raggiungere i - 55° C nella zona chiamata: tropopausa (zona di transizione tra Troposfera e Stratosfera.
- Stratosfera: raggiunge i 50- 60. (palloni sonda). In questa zona si ha il fenomeno dell’inversione termica. Mentre nella troposfera la temperatura diminuisce in funzione dell’altezza nella stratosfera aumenta sino a raggiungere i 0° C ed è dovuta alla
presenza di uno spesso strato di ozono, che assorbe la maggior parte delle radiazioni solari ultraviolette (UV), altrimenti nocive
alla vita sulla Terra.
- Mesosfera: va dai 60 agli 80 km. In questa zona la temperatura riprende a diminuire sino a raggiungere i - 70°C e - 90°C intorno agli 80 km. In questa zona generalmente si osservano i fenomeni connessi con le meteore che appaiono brillanti e cadono sulla Terra come meteoriti.
Oltre la mesopausa, alla quota di circa 100 km, l'aria è tanto rarefatta da non opporre una resistenza tangibile al moto dei corpi,
e diventa possibile muoversi con il moto orbitale. Per questo motivo, in astronautica la mesosfera viene considerata il confine
con lo spazio interplanetario.
- Termosfera: (navicelle spaziali) è la sfera successiva alla Mesosfera ed è separata da quest'ultima dalla mesopausa. La temperatura, dopo l'abbassamento avvenuto nella mesosfera, torna a crescere con la quota. Ad un'altezza di circa 300 km la temperatura raggiunge i 1000 °C. Per paradosso, gli astronauti che si trovano a questa altezza debbono indossare tute riscaldate per
non morire di freddo, nonostante il fatto che il gas circostante ha una temperatura superiore a quella della tuta, e quindi effettivamente le cede calore; il motivo è che, a causa della ridotta densità del gas, la quantità di calore che questo è in grado di fornire alla tuta è nettamente inferiore a quella che la tuta perde per irraggiamento
- Ionosfera: è lo strato di atmosfera nel quale i gas sono fortemente ionizzati: è costituita dagli strati esterni dell'atmosfera, esposti alla radiazione solare diretta che strappa gli elettroni dagli atomi e dalle molecole.
Ha uno spessore di alcune centinaia di chilometri e assorbe buona parte delle radiazioni ionizzanti provenienti dallo spazio. La
temperatura in questo strato sale con l'altitudine, per l'irraggiamento solare, ed arriva ai 1700 °C al suo limite esterno. Al confine fra mesopausa e ionosfera hanno luogo le aurore polari.
A circa 550 km di quota, i due gas componenti base dell’atmosfera: azoto e ossigeno cessano di essere i componenti principali
dell'atmosfera, e vengono spodestati da elio e idrogeno. La ionosfera riveste una grande importanza nelle telecomunicazioni
perché è in grado di riflettere le onde radio: tra i 60 e gli 80 km vengono riflesse le onde lunghe, tra i 90 e i 120 le onde medie,
tra i 200 e i 250 le onde corte, tra i 400 e i 500 km le onde cortissime.
- Esosfera: è la parte più esterna dell'atmosfera terrestre, dove la composizione chimica cambia radicalmente. L'esosfera non
ha un vero limite superiore sfumando progressivamente verso lo spazio interplanetario ed arrivando a comprendere parte delle
fasce di Van Allen. I suoi costituenti sono perlopiù idrogeno ed elio. É stato ricavato che la temperatura dell'esosfera aumenta
con l'altezza fino a raggiungere, se non superare, i 2000 °C. Alcune delle molecole presenti raggiungono la velocità di fuga terrestre (11,2 km/s) e sfuggono dall'atmosfera, perdendosi nello spazio. Quindi una meteora può essere un frammento di cometa
o di asteroide (o di qualsiasi altro corpo celeste), che entrando all'interno dell'atmosfera terrestre si incendia e diventa una...
stella cadente. Tra l’altro il riscaldamento, contrariamente a quello comunemente ritenuto, non è prodotto dall’attrito con
l’atmosfera terrestre ma dalla «pressione dinamica», che è la componente dinamica della pressione di un fluido in moto.
Ovvero indica l'incremento di pressione derivante dalla energia cinetica del fluido.
È dato dalla formula
dove q è la pressione dinamica, ρ è la densità e v la velocità del fluido.
I meteoroidi penetrano nella nostra atmosfera con velocità comprese fra 11.2 e 72.8 km/s, subendo una notevole pressione dinamica che ne riscalda la superficie.
Ciascun urto con le molecole d'aria libera un'energia termica dell’ordine di 100 eV (1 eV è uguale a poco più di 10 -36 chilogrammi); per cui ad una altezza di 80-90 km, la temperatura del corpo raggiunge i 2500° K e i suoi atomi iniziano a sublimare
(passano dallo stato solido a quello gassoso). Proseguendo nella sua caduta, si avvia un processo noto come ablazione: processo di rimozione di materiale dalla superficie di un oggetto mediante processi di vaporizzazione ed erosione. Il meteoroide inizia così a perdere progressivamente massa, lasciando dietro di sé gocce di materia fusa. Gli atomi del meteoroide e le molecole
atmosferiche, a causa degli urti reciproci, si ionizzano. La radiazione emessa nella banda del visibile deriva per il 90% dai processi di ablazione del corpo e per il resto dalla ricombinazione elettronica dei gas atmosferici eccitati. Dal suolo si osserverà
quindi una scia luminosa: la meteora.
Una meteora è composta di due parti: la testa e la scia. La testa della meteora contiene il meteoroide in progressivo disfacimento avvolto da gas ionizzati, mentre la scia è una lunga colonna di plasma, visibile solo per qualche secondo. Una meteora molto brillante viene chiamata bolide. L'International Meteor Organization (IMO) definisce bolide una meteora di magnitudine
apparente pari a -3 o più luminosa. Mentre la sezione meteore della British Astronomical Association ha una definizione più
rigorosa, indicando come limite inferiore una magnitudine pari a -5.
Se non si è già dissolto nell'aria, il meteoroide rallenta fino a 3 km/s, l'ablazione e l'emissione di luce cessano, entrando così
nella fase di volo buio; se il meteoroide sopravvive al transito nell'atmosfera ed allo schianto sulla superficie, l'oggetto risultante è chiamato meteorite e colpendo la Terra può produrre un cratere meteoritico.
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Il materiale terrestre fuso "schizzato" fuori da un cratere, si chiama impattite. Le particelle di polvere meteoriche rilasciate da
meteoriti in caduta possono persistere nell'atmosfera per diversi mesi. Possono avere effetti sul clima, diffondendo radiazioni
elettromagnetiche e/o catalizzando reazioni chimiche nell'atmosfera superiore.
Impatti con la superficie terrestre
Meteor crater: vicino alla città di Flagstaff in Arizona, generato 49.000 anni fa
dall’impatto con un meteorite di circa 25-30 metri di diametro.
La maggior parte delle meteoriti si disintegrano in aria, e l'impatto con la superficie terrestre è piuttosto raro. Ogni anno si stima che il numero di rocce che cadono sulla Terra
delle dimensioni di una palla da baseball o più si aggiri sulle 500. Di queste ne vengono
mediamente recuperate solo 5 o 6; gran parte delle rimanenti cadono negli oceani o comunque in zone in cui il terreno rende difficile un loro recupero. Le meteoriti più grosse
possono colpire il terreno con forza considerevole, formando così un cratere meteoritico
(o cratere da impatto). Il tipo di cratere (semplice o complesso) dipenderà dalla grandezza, composizione, livello di frammentazione e angolo d'impatto della meteora. La forza della collisione di una grande meteora può causare disastri di grande entità. In tempi storici, sono stati registrati danni di piccola entità a proprietà, bestiame e
anche persone. Nel caso in cui la meteora sia un frammento di cometa, composto per lo più di ghiaccio, il riscaldamento può
provocare una notevole esplosione, senza che alcun frammento del meteoroide sopravviva. Si ipotizza, secondo alcune teorie
correnti, che l'evento di Tunguska (Siberia: 30 giugno 1908),sia stato causato probabilmente da un caso di questo tipo. Ogni
meteorite ha un nome specifico che deriva dal posto dove è stata trovata, di solito la località abitata o la caratteristica geografica più vicina. Nel caso in cui più meteoriti vengano trovate nello stesso luogo, al nome della meteorite vengono fatti seguire un
numero (Allan Hills 84001) o più raramente una lettera (Dimmitt (b)).
A seconda che si tratti di un meteorite ferroso o roccioso diverse caratteristiche possono cambiare, ma normalmente tutte le meteoriti cadute da non troppo tempo mostrano una crosta di
fusione scura e possono presentare sulla superficie piccole cavità chiamate regmagliti, simili
alle impronte lasciate dalle dita sulla creta fresca, dovute all'ablazione selettiva dell'atmosfera
che vaporizza più facilmente minerali a più bassa temperatura di fusione. La forma non è mai
sferica e non presentano quarzo o bollicine. Quelle ferrose hanno una densità prossima a quella
del ferro, ma anche quelle rocciose risultano significativamente più pesanti rispetto alle rocce
comuni. Una volta tagliate e lucidate molte meteoriti ferrose presentano le Figure di Widmanstätten, mentre molte di quelle rocciose possono presentare dei condruli. Se nel tragitto attraverso l'atmosfera il meteorite mantiene un orientamento stabile, si forma un meteorite tipicamente a forma di scudo detto orientato (fig. a lato).
Le meteoriti sono state divise tradizionalmente in tre grandi categorie:
- rocciose (anche detti aeroliti), composti principalmente da silicati,
- ferrose (anche detti sideriti), composti per lo più da una lega di ferro e nichel),
- ferro - rocciose (anche dette sideroliti), che contengono sia metallo sia roccia in proporzioni simili.
Le meteoriti rocciose vengono divise tra condriti e acondriti a seconda della presenza o
meno dei condruli (sferule di minerali mafici - associazione di ferro/ magnesio) con grani di
piccole dimensioni, indicativi di un rapido raffreddamento.
Le ferrose sono classificate in base all'aspetto della struttura di Widmanstatten: le atassiti
ne sono prive, le ottaedriti mostrano una struttura interna disposta come le facce di un ottaedro, le esaedriti hanno invece una struttura dei cristalli cubica.
Meteorite Alvord, un'ottaedrite: sono visibili le figure di Widmanstätten
Le ferro-rocciose vengono divise tra quelle composte da una matrice metallica con inclusioni rocciose, dette pallasiti, e quelle
con una matrice litoide con inclusioni metalliche chiamate mesosideriti.
Gao - Guenie, una condrite
Sau 001, una condrite ordinaria
Agoult, un'acondrite
Esquel, una pallasite
ordinaria
Meteoriti primitive
Circa l'85% delle meteoriti che cadono sulla terra è di tipo primitivo, cioè non ha attraversato fasi di riscaldamento e differenziazione. Questi processi tipicamente hanno luogo in corpi progenitori di grosse dimensioni. Le meteoriti primitive sono costituite dalle condriti.
Meteoriti differenziate
Le acondriti compongono circa l'8% del materiale caduto sulla Terra e si pensa che derivino dalla crosta degli asteroidi più
grandi. Sono simili alle rocce ignee terrestri. Tra le acondriti sono comprese le meteoriti lunari e le meteoriti marziane, chiamate anche meteoriti planetarie per distinguerle da quelle asteroidali di consistenza numerica notevolmente maggiore. È di at
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tualità la discussione sull'origine di alcune acondriti provenienti da altri corpi celesti differenziati: l'attenzione è rivolta principalmente sull'asteroide Vesta e più recentemente sul pianeta Mercurio.
Il 5% delle meteoriti cadute sono invece ferrose e contengono leghe di ferro-nichel; questi meteoriti derivano probabilmente
dal nucleo di qualche pianeta o asteroide che si è spezzato.
Il rimanente 1% è costituito da meteoriti ferro-rocciose, che sono intermedie tra i primi due tipi.
Storia
La prima caduta studiata scientificamente che avvenne nei pressi di una città abitata è stato il meteorite Hraschina.
Un'altra caduta storicamente importante per la comprensione del fenomeno fu la pioggia di meteoriti di Siena verificatasi il 16 giugno 1794 alle 19:00 a sud-est di Siena. Un esemplare della
meteorite di Siena, raccolto e studiato da Ambrogio Soldani, è esposto nel Museo di Storia Naturale dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena.
La caduta di "pietre" a L'Aigle, in Normandia, il 26 aprile 1803 alle ore 13:00, è considerato l'evento che convinse definitivamente gli studiosi a credere che le meteoriti fossero oggetti provenienti dallo spazio.
Willamette, con il suo peso di 14.200 kg, è la più grande meteorite trovata negli Stati Uniti e una delle più grandi al mondo,
scoperta nel 1902 in Oregon ed è una meteorite ferrosa.
I meteoriti più grandi
Hoba, il singolo frammento di meteorite più grande mai trovato
Parlando di dimensione c'è da precisare se si parla del frammento più grande ritrovato di una
particolare meteorite o della quantità totale di materiale proveniente dalla medesima caduta meteoritica: molto spesso infatti un singolo meteoroide durante l'ingresso nell'atmosfera tende a
frammentarsi in più pezzi. Nella tabella sono elencate i meteoriti più grandi (singolo frammento) ritrovate sulla superficie terrestre.
Peso in
tonnellate
60
31
22
16
14
11,5
Località
Hoba (Namibia)
Cape York (Groenlandia)
Bacubirito (Messico)
Anno di
ritrovamento
1920
1894
1863
Peso in
tonnellate
37
28
20
Mbosi (Tanzania)
Willamette (USA)
Mundrabilla (Australia)
1930
1902
1966
15
14
11
Località
Campo del Cielo (Argentina)
Armanty (Cina)
Cape York
(Groenlandia)
Campo del Cielo (Argentina)
Chupaderos (Messico)
Morito (Messico)
Anno di
ritrovamento
1969
1963
2005
1852
1600
Tutte le più grandi meteoriti ritrovate sono di tipo ferroso, dovuto al fatto che le meteoriti di tipo ferroso rispetto a quelle rocciose si frantumano meno durante l'ingresso nell'atmosfera e tendono a preservarsi meglio nel corso dei secoli all'azione degli
agenti atmosferici.
La meteorite più grande (singolo frammento) rinvenuta in Italia è stata ad Alfianello in provincia di Brescia (ca. 200 kg), fatta
a pezzi nel 1883 poco dopo la caduta. La seconda più grande e la più grande tutt'ora intera è invece a Bagnone (provincia di La
Spezia), trovata nel 1883.
Danni a persone, animali o cose
L'unica vittima registrata causata da una meteorite è un cane egiziano, che rimase ucciso nel 1911 (vi sono però notevoli dubbi sulla veridicità dell'intera storia). Negli anni ottanta la meteorite Nakhla, vista cadere nel 1911 appunto a
Nakhla, in Egitto e responsabile della presunta morte del cane, venne riconosciuta come una rara meteorite marziana,
capostipite delle nakhliti.
Un caso, in tempi moderni, di una persona colpita da una meteorite si verificò il 30 novembre 1954 a Sylacauga, Alabama, USA. Una meteorite di circa 4 kg ruppe il tetto di una casa e colpì la signora Elizabeth Hodges nel suo soggiorno, dopo essere rimbalzata sulla radio. La signora non ebbe altre conseguenze oltre ad una ferita superficiale.
Altro caso accadde il 19 febbraio 1956 nelle prime ore del mattino a Sinnai, in Sardegna, e dopo aver sfondato il tetto
di una casa ferì una persona che si trovava all'interno. Il meteorite è probabilmente una condrite H6 chondrite.
Il 30 giugno 1908, un meteorite si è schiantato in Siberia, nella zona in cui scorre il fiume Tunguska
In alcuni casi, come per esempio il 9 ottobre 1992 a Peekskill, New York, USA e il 26 marzo 2003 a Park Forest, Illinois, USA sono stati documentati i danni causati dalla caduta di meteoriti: a Peekskill è stato perforato il bagagliaio di
un'auto e a Chicago è stata distrutta una stampante.
Il 18 maggio 1988, sulla zona di Torino ovest, cadde una pioggia di frammenti di meteorite. Uno, del peso di 800 g
piombò nel parcheggio dello stabilimento Aeritalia (attualmente Alenia), in corso Marche. Curiosamente l'azienda in
questione costruisce, fra l'altro, anche scudi di protezione anti-meteorite per satelliti artificiali. Altri frammenti vennero raccolti a Pianezza, Collegno e Borgata Leumann. Il campione principale è conservato presso la stessa Alenia. Si
tratta di una Condrite, H.
Nel 2000 un meteorite di circa 180 tonnellate di peso è caduto a circa 26 km di distanza dalla città di Whitehorse, nello Yukon canadese.
Nel 2006 un meteorite ha colpito una zona presso Reisadalen, in Norvegia.
Nel 2008 è successo il primo caso monitorato, relativo al cosiddetto "2008 TC3", caduto in Sudan.
Il 15 febbraio 2013, alle ore 9:22 locali, si è verificata una vera e propria pioggia di meteoriti in una zona della Russia comprendente sei città della zona di Cheliabynsk, nel distretto di Satka sui monti Urali, dove ha causato il ferimento di circa 1200 persone.
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CRATERI DA IMPATTO SULLA TERRA E SULLA LUNA
Stefano Zanut
L’ultimo numero del Notiziario ha posto l’attenzione verso 2012 DA14, il piccolo asteroide che la sera del 15 febbraio ha sfiorato la Terra passando a una distanza inferiore a quella dei satelliti geostazionari. Casualmente la mattina dello stesso giorno un altro fenomeno astronomico è riuscito ad attirare l’attenzione del mondo: il superbolide
che ha solcato i cieli sopra Chelyabinsk, causando una vera e propria pioggia di meteoriti in quella zona.
Immagini tratte da internet sull’apparizione diurna del bolide sul buco di circa 6 metri causato dal meteorite sul lago di Cebarkul.
Di questo la televisione ha proposto filmati veramente impressionanti che hanno richiamato alla mente il maestoso
e terrificante evento del 1908 a Tunguska, in Siberia, causato da un grande meteoroide o una cometa che riuscì a
devastare un’area di circa 2.150 km2, con l’abbattimento 60-80 milioni di alberi. Per fortuna l’evento del 15 febbraio non è stato così devastante, ma i danni sono risultati comunque ingenti, tanto da provocare il ferimento di
1.500 persone, danneggiare 3.000 edifici e rompere circa 200.000 m2 di superfici vetrate.
L’onda d’urto ha inoltre determinato un evento sismico di magnitudo 2,7 della scala Richter e il giorno dopo sulla
superficie ghiacciata del lago di Cebarkul è stato rinvenuto un buco con diametro di 6 m, causato dall’impatto di un
grosso frammento del corpo originale. Alla fine i danni stimati ammontavano a circa 33 milioni di euro.
In merito alle dimensioni originali del meteoroide non vi sono ancora dati precisi ma gli astronomi stimano che avesse un diametro compreso tra 15 e 17 m, una massa tra 6.000 e 10.000 tonnellate e una velocità di circa 17,5
km/s. Nell’impatto con l’atmosfera è riuscito a sprigionare un’energia di circa 500 kiloton, pari a 20-30 volte quella
sprigionata dalle bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki.
Torneremo con maggior precisione su questo evento quando saranno disponibili notizie più strutturate e precise in
merito, in ogni caso ha contribuito a indirizzare l’attenzione verso le conseguenze che un impatto del genere può
causare sulle terra, un aspetto già in parte delineato nell’articolo dedicato a 2012 DA14. L’esito più classico è senza
dubbio il cratere d’impatto, una cicatrice presente e ben visibile sulla superficie di molti corpi del sistema solare,
non ultimi la Terra e la Luna, del quale cercheremo di spiegare la dinamica di formazione e la classificazione.
Crateri da impatto e loro classificazione
Le dimensioni di un cratere da impatto dipendono principalmente dalla massa del meteoroide impattante, dalla sua
velocità e dal materiale di cui è composto il terreno. In linea di massima si assume che a parità di materiale, il volume scavato sia proporzionale all’energia cinetica del corpo impattante. Si distinguono due tipi di strutture da impatto: crateri semplici e crateri complessi.
I crateri semplici sono costituiti da piccole strutture che tendono a
mantenere la forma a scodella del cratere di transizione e risultano molto diffusi nel Sistema Solare, dove il più grande ha un diametro di 90 km e si trova su Amaltea, uno dei satelliti di Giove.
Sulla Luna la maggior parte dei crateri inferiori a 15 km è di questo tipo, mentre sulla terra il diametro che li caratterizza è inferiore a 4 km. Un esempio è il cratere di Barringer, in Arizona, meglio
conosciuto come “meteor crater”, una struttura di recente formazione (circa 50.000 anni fa) e quindi ancora perfettamente conservato, aiutato anche dalla sua collocazione in area desertica.
I crateri complessi sono invece strutture molto più grandi e caIl Meteor crater, in Arizona
ratterizzate dalla presenza di un picco centrale, un fondo piuttosto
pianeggiante ed un estensivo collasso lungo il bordo.
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L’elemento centrale è causata dal “rimbalzo elastico” del terreno in risposta all’impatto, proprio come quando si
fa cadere un sasso nell’acqua e dalla superficie s’innalza temporaneamente una piccola colonna di liquido. Il collasso lungo il bordo si manifesta invece con la formazione di terrazze e fratture concentriche, che si possono vedere anche con un piccolo telescopio nei crateri Copernico e Tycho.
Nel Sistema Solare crateri di questo tipo presentano diametri molto vari, da 5 km sulla terra fino a 500 km
nell’asteroide Vesta. Quest’ultimo permette di farci un’idea sulle forze devastanti che s’innescano in eventi di questo tipo, basti pensare che questo pianetino, il secondo più massivo della fascia asteroidale, ha un diametro di circa 530 km, ossia poco più grande del cratere. Inoltre Rheasilvia (così lo hanno battezzato gli astronomi!) è profondo 20 km con un picco centrale che si presenta come una vera e propria montagna alta 20 km e di larghezza alla base di circa 200 km, tale da configurarla come una delle più grandi montagne del Sistema Solare. Rheasilvia
risulta poi sovrapposto a un altro cratere, Veneneia, frutto di un impatto avvenuto in epoche precedenti e con diametro di 400 km, così che queste infossature enormi danno a Vesta l’aspetto di un globo schiacciato al polo sud.
L’età stimata dei due è di 1 miliardo di anni per Rheasilvia e 2 per Veneneia. Sullo stesso asteroide la missione
Dawn ha permesso di scoprire anche una moltitudine di altri crateri, dei quali almeno 5 bacini larghi più di 150
km.
Il cratere lunare al sorgere del Sole. L’altezza
del “picco” centrale è circa 2 km rispetto al fondo del cratere Tycho, che è largo 85 km e profondo 4,7 km (Immagine tratta da Lunar Reconnaissance Orbiter - LRO -, disponibile su
http://lro.gsfc.nasa.gov/)
Elaborazione di un’immagine dell’asteroide Vesta, proveniente dalla sonda Dawn, con evidenziati i giganteschi crateri dell’emisfero sud (immagine tratta da http://dawn.jpl.nasa.gov/ con
altri dettagli della missione)
Considerando il rapporto profondità/diametro per queste due tipologie di crateri, nella Luna si può notare un valore intorno a 1/5 per i crateri semplici e variabile tra 1/10 e 1/20 per quelli complessi.
Oltre a queste due formazioni da impatto ne esistono altri, sebbene poco diffuse:
i bacini ad anelli multipli e le catene di crateri.
I primi sono grandi strutture da impatto poco profonde e dal fondo relativamente pianeggiante, ma circondate da
anelli concentrici di montagne o fratture della crosta. Un classico esempio è rappresentato dal bacino Orientale sulla faccia nascosta della Luna, che raggiunge un diametro di 900 km; un altro ancora è visibile su Callisto, il satellite più esterno di Giove, con un diametro di 600 km. Nel nostro pianeta il cratere Chicxulub, scoperto negli anni 90
e da molti considerata l’impronta dell’asteroide che 65 milioni di anni fa determinò l’estinzione dei dinosauri, è una
struttura di questo tipo.
Tracce del cratere Chicxulub nello Yucatan (Messico), individuato grazie a misure gravimetriche confermate da immagini ottenute dallo
Shuttle Endeavour. Si traccia di una depressione di circa 180 km di diametro che potrebbe essere stata causata proprio dall’impatto con un
corpo di 10-20 km di diametro. L’immagine di destra è una rappresentazione artistiche di come poteva presentarsi un tempo l’area interessata
dall’impatto di 65 milioni di anni fa (da www.media.inaf.it)
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Infine una catena di crateri è definita come un insieme di crateri da impatto di dimensioni simili e della stessa età,
posti a formare un segmento di retta. In merito alla loro formazione le ipotesi sono principalmente due: potrebbero
essere stati causati dalla ricaduta degli ejecta durante la formazione di un cratere principale, oppure dalla caduta di
nuclei cometari o asteroidi multipli o frammentati da forze mareali di un corpo planetario. Negli ultimi tempi è
quest’ultima la più accreditata, visti anche gli studi condotti sulle osservazioni dell’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove, avvenuto nel 1994.
La formazione
Il processo d’impatto è assimilabile a un’esplosione in cui l’energia cinetica iniziale del corpo impattante (il meteoroide) viene in gran parte utilizzata per scavare il materiale della superficie del bersaglio realizzando un cratere che
nella maggior parte dei casi ha un diametro molto maggiore del corpo che lo ha generato. Un evento di questo tipo
si manifesta in modo rapido, completandosi in tempi che vanno da frazioni di secondo a pochi minuti e per descriverlo si ricorre ad una scomposizione in fasi convenzionali che in relazione dinamica tra loro permettono di acquisire un’adeguata visione d’insieme, anche se non proprio in rigorosa sequenza temporale.
Tali fasi sono infatti da considerare come fenomeni fisici che vicendevolmente si sovrappongono e si influenzano;
quelle che meglio rappresentano un evento di questo tipo sono le seguenti:
Contatto e formazione di un’onda d’urto
Formazione di una cavità transitoria con l’espulsione del materiale
Collasso della cavità e formazione del cratere definitivo
Contatto e formazione di un’onda d’urto.
La velocità d’impatto di un meteoroide con la superficie terrestre può variare da circa 11 a 70 km/s, con un valore
medio che può attestarsi intorno a 15-20 km/s, a cui si associa un’energia cinetica che nell’impatto si trasferisce al
terreno con un sistema di onde d’urto che si propaga sia nelle rocce del terreno che all’interno nel corpo impattante.
In questa circostanza la pressione che si genera può raggiungere valori elevatissimi, dell’ordine di un milione di
volte quella atmosferica (100 GPa = 1000 kbar o 1 Mbar), con picchi di 500-1.000 GPa, mentre il volume ordinariamente occupato dalla roccia può ridursi fino a 1/3 di quello originario, con fenomeni di fluidificazione ma anche
fusione e vaporizzazione di parte del meteoroide e del materiale circostante l’area dell’impatto. Tali pressioni decrescono gradualmente allontanandosi dal punto d’impatto, anche se possono mantenere valori dell’ordine di 10-50
GPa fino a distanze di molti chilometri, producendo ancora azioni sul materiale investito. Le onde d’urto si manifestano come onde sismiche che si propagano ad una velocità paragonabile a quella del suono nel terreno, ossia
dell’ordine di 5-8 km/s, proprio come nei terremoti.
Formazione della cavità transitoria con l’espulsione del materiale.
La fase del primo contatto si evolve rapidamente verso una vera e propria fase di scavo e di più lunga durata, nella
quale si manifestano complesse interazioni tra le onde d’urto in espansione e la superficie del terreno, in grado di
produrre con rapidità una depressione a forma di ciotola, il cosiddetto “cratere transitorio”. La sua formazione non
è propriamente identificabile come un fenomeno di scavo meccanico originato dall’oggetto solido impattante (il
meteoroide) che si apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie terrestre), cercando di mantenere la
direzione originaria del suo moto, si tratta invece della trasformazione istantanea, nell’ambito di una regione limitatissima, di enormi quantitativi di energia cinetica in energia meccanica e termica.
Dalla cavità che sta nascendo si verifica contemporaneamente l’espulsione dei detriti (ejecta) all’esterno, formando
le caratteristiche raggiere che si possono osservare in alcuni crateri lunari, ma che sulla Terra verranno ben presto
mascherate dall’opera erosiva dei fenomeni atmosferici e molto spesso completamente cancellate, assieme a tutta la
struttura craterica, dall’azione distruttiva dei fenomeni geologici. La quantità di materiale espulso è approssimativamente paragonabile al materiale compresso dall’onda d’urto sul fondo del cratere.
Fasi di formazione del cratere:
A - Primo contatto / compressione
B - Fine contatto / fase di compressione
C - Fase di scavo
D - Fine fase di scavo
E - Fase di modifica
F - Cratere finale
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La resistenza delle rocce terrestri aumenta mano a mano che ci si muove verso l’interno, quindi nell’ambito di questa dinamica il diametro del cratere transitorio cresce più della sua profondità. Infine la profondità e il diametro del
cratere, presi separatamente, dipendono dalle proprietà della superficie, come la densità, la resistenza alla deformazione, l’accelerazione di gravità, ecc., mentre il rapporto profondità/diametro risulta indipendente da questi parametri.
Collasso della cavità e formazione del cratere definitivo.
È la fase finale che risulta influenzata dalla forza di gravità, che per i crateri semplici agisce facendo scorrere il materiale lungo le pareti, dando origine alla “lente di breccia” e al profilo parabolico. Per i crateri complessi la dinamica di formazione è invece più complessa e non pienamente compresa.
La forma dei crateri
La maggior parte delle strutture da impatto risulta circolare sul piano d’impostazione, una condizione che può risultare strana, o almeno poco intuitiva, visto che nella maggior parte dei casi l’angolo d’incidenza sulla superficie planetaria è modesto, ma questa è semplicemente una conseguenza dell’elevata velocità d’impatto. Dalle sperimentazioni è infatti risultato che per angoli d’incidenza superiori a 10-15° non si manifesti alcun effetto sulla forma.
Su questi aspetti un riferimento fondamentale sono gli studi compiuti nel 1978 da Don Gault, dell’Ames Research
Center (ARC) della NASA, e John Wedekind, del Caltech di Pasadena, utilizzando l’Ames Vertical Gun Range (AVGR). Nelle ricerche venne impiegato un vero e proprio “cannone”, originariamente progettato per sparare
sfere millimetriche con l’obiettivo di fornire supporto al programma Apollo per la ricerca sui processi di impatto
sulla superficie lunare. Lo stesso macchinario venne quindi impiegato per altri programmi di ricerca della NASA
riguardanti la geofisica e la geologia planetaria, l’esobiologia e l’origine del sistema solare. L’AVGR è stato impiegato anche nella programmazione di missioni interplanetarie per considerare l’impatto di sonde, come nel caso delle missioni Stardust e Deep
Modellazioni d’impatto di
un proiettile da 5 km di
Impact. La struttura è dotata di
diametro ad una velocità
un particolare cannone in gradi 8 km/s e un basso ando di lanciare proiettili a velogolo d’impatto. La linea
cità comprese tra 500 e 7.000
tratteggiata evidenzia i
m/s in una camera di prova di
bordi della cavità del cratere prima della fase di
2,5 metri di diametro, in cui
modifica. La croce (X)
può essere mantenuto il vuoto
marca il punto di contatto
o riempita di differenti gas in
del proiettile con la supermodo da simulare diverse atficie, il “+” evidenzia il
centro geometrico del cramosfere planetarie. Lo studio
tere.
ha quindi permesso di confermare come la forma di un cratere da impatto e la modalità
con cui il materiale viene espulso dipendono dall’angolo
con cui un proiettile colpisce il
bersaglio. Nel caso di angoli minori di 15° il modello di materiale espulso viene allungato nella direzione a valle in
una “zona proibita”, dove non compare materiale espulso, e si sviluppa in direzione a monte del punto d’impatto.
Per urti di pochi gradi, i raggi tendono a porsi lateralmente producendo una sorta di percorso a farfalla. I due crateri
ellittici più conosciuti sono certamente quelli che si trovano nel Mare della Fecondità e osservabili fin dai primi
giorni dopo la Luna piena: si tratta dei crateri Messier e Messier A. Il primo è molto allungata (9x11 km) così come
Messier A (13x11 km), ma quest’ultimo è anche caratterizzato da due lunghe code gemelle di raggi che puntano
lontano. La dedica a Messier, famoso cacciatore di comete, è proprio dovuta a quest’ultima configurazione che richiama la forma di una cometa. Molte sono state le ipotesi sulla loro formazione, alcune molto bizzarre come quella di Franz von Gruithuisen, medico e astronomo tedesco vissuto tra 7 e 800, che ipotizzava un’origine artificiale
dei raggi, oppure quella di Valdemar Axel Firsoff, astrofilo e scrittore di fantascienza svedese, che negli anni 60 del
secolo scorso sosteneva che le code associate a Messier A fossero le tracce lasciate da una sorta di migrazione del
cratere, per giungere all’idea proposta da Harvey Nininger, famoso collezionista di meteoriti, che ipotizzò la presenza di un tunnel tra i due crateri.
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Crateri Messier e Messier A
Al giorno d’oggi l’ipotesi più accreditata è che i crateri sia stati generati da un impatto radente alla superficie di un
unico meteoroide, che dopo essersi frantumato è letteralmente “rimbalzato” generando il secondo cratere, oltre che
molti piccoli crateri ben visibili nei dintorni.
Tracce di crateri d’impatto sulla terra
Come noto gran parte delle formazioni da impatto presenti sulla superficie terrestre sono quasi scomparse a causa
sia dell’attività geologica che di quella atmosferica. Su questo argomento è disponibile un catalogo in cui sono censite tutte le strutture d’impatto scoperte grazie a un lavoro cominciato nel 1955 dagli astronomi dell’osservatorio di
Ottawa e tenuto costantemente aggiornato su:
www.passc.net/EarthImpactDatabase/index.html, che al 31/12/2012 conta 183 crateri. A titolo di curiosità una delle ultime scoperte riguarda un cratere con diametro di 45 m e 15 di profondità, in ottimo stato di conservazione,
rinvenuto in Egitto da un geologo italiano tramite Google Earth (notizia tratta da:
http://www.media.inaf.it/2010/07/22/scoperto-cratere-da-impatto-in-egitto/).
Posizionamento dei crateri d’impatto censiti sulla superficie terrestre e riproposti su Google Maps
(http://impact.scaredycatfilms.com/).
Le icone rosse identificano crateri esposti e le verdi quelli non esposti, con associate alcune specifiche indicazioni
(nome del cratere, località, coordinate geografiche, scopritore e diametro).
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Eclissi parziale di Luna del 25/04/2013
(Dino Abate)
Il fenomeno è risultato ben visibile grazie alle buone condizioni meteorologiche, ma poco vistoso, come peraltro
previsto dalle riviste specializzate, con una grandezza di appena 0,015.
La fotografia è stata elaborata proprio per enfatizzare la differenza di luminosità tra la zona di penombra e la zona
d’ombra (in alto a sinistra), e rendere più appariscente il cono d’ombra prodotto dalla Terra, che ha soltanto lambito
il nostro satellite.
Riprese fotografiche digitale con sensibilità equivalente impostata a 800 iso, posa di 1/1000”, al fuoco diretto di un
rifrattore TeleVue NP127 F 5.2. Località di ripresa: Tiezzo di Azzano Decimo, ora T.U. 20:20
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ASSOCIAZIONE PORDENONESE DI
ASTRONOMIA
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