proscenio ellittico della storia mediterranea. Antiche

….proscenio ellittico della storia mediterranea.
Antiche radici, Shardana
Dolmen, menhir, domus de janas e reperti raccontano di civiltà sapiens pre-nuragiche (14000 a.c.-1600 a.c).
Tombe, pozzi sacri, villaggi, oltre 7.000 nuraghi, scritti, armi,
manufatti ed opere artistiche narrano di una civiltà avanzata,
raffinata e progredita di naviganti, guerrieri, agricoltori e pastori che
aveva rapporti con Micene, i Fenici, gli Etruschi. I nuragici “Shardana”
(Sardiani) furono anche pirati e mercenari, conflissero con gli egizi, li
bronzetti di epoca nuragica raffiguranti
guerrieri e una nave
servirono ed è provato che raggiunsero le coste dell’Africa subsahariana. Probabilmente d’origine semitica,
giunsero sull’Isola intorno al 1600 a.c. dalle regioni
costiere (oggi Siria e Palestina) dell’Asia Minore (oggi
Medio-Oriente); parlavano una lingua indoeuropea
simile al latino; come i Sardi tardo-preistorici,
adoravano una sola divinità con caratteri israeliti che
si chiamava Yahwhé. Secondo una teoria accreditata,
la civiltà nuragica potrebbe essere alla radice del
mito di Atlantide, distrutta dall’inondazione
susseguente ad uno dei maremoti che investirono il
Mediterraneo nell’antichità; forse non è casuale il
fatto che i greci chiamavano nuragici ed etruschi con
Etruschi, Greci, Fenici 700-900 a.c.
lo stesso nome: Tirsenoy.
Cartagine, Roma e le città
La civiltà nuragica sfumò progressivamente nel dominio Cartaginese prima e Romano poi. Occupando le
coste, le potenze emergenti spinsero i nuragici verso l’entroterra dove sopravvivono tracce della loro
cultura.
I Fenici, presenti nell’Isola dal 700-900 a.c. ebbero rapporti pacifici e scambievoli con i Sardi; i Cartaginesi
invece guardarono subito la Sardegna con marcato intento colonizzatore. Intorno al 535 a.c. i Sardi
respinsero il primo tentativo di conquista cartaginese; gli insediamenti fenici costieri divennero città, ma
subendo l’egemonia culturale ed economica della civiltà nordafricana; entrarono in scena Karalis (Cagliari),
Solki (Sant’Antioco), Bosa ,Tharros, Bithia (Chia), Neapolis (Santa Maria di Nabui), Cornus (Cuglieri), Nora,
Otocha (Santa Giusta).
I Romani dominarono la Sardegna dall’inizio del 200 a.c., dopo averne
condiviso la signoria con Cartagine per qualche tempo e più d’un conflitto.
Soffocarono numerose rivolte, imposero l’egemonia romana e fondarono
anche città, come Turris Libisonis (Porto Torres) sull’ingresso occidentale
dello stretto a nord e Forum Traiani (Fordongianus) lungo la via che univa
il nord col sud. In questo periodo Olbia, che era già stata una città di
riferimento con Fenici e Cartaginesi, conobbe un periodo di nuova
importanza e vitalità. Strade, centri urbani ed opere pubbliche
caratterizzarono la dominazione di Roma, che fece della Sardegna uno dei
suoi granai e diede col latino volgare l’impronta definitiva alla lingua sarda.
La vocazione cosmopolita
Il sardo contemporaneo, che è una lingua romanza, si distingue in due varianti: il Logudorese al centro nord
ed il Campidanese al sud. Ci sono poi i suoi “dialetti”: l’Arborense parlato nell’area centro-occidentale, il
Barbaricino della zona attorno a Nuoro (il Loguodorese più prossimo all’originale) e l’Ogliastrino della zona
centro-orientale; il Gallurese, parlato al nord-est è una variante del dialetto corso del sud; il Sassarese
parlato nel nord-ovest rispecchia la storia comunale e mercantile della città ed è un ibrido tra il logudorese
con cui convive, il corso, il toscano ed ha influenze catalane, spagnole e liguri. A
Carloforte, sull’Isola di San Pietro si parla il Tabarchino, un dialetto arcaico di
radice ligure; ad Alghero si parla una variante ibrida del Catalano e degli idiomi
dialettali delle province di Girona, Barcellona e delle Baleari. Ad Arborea, città di
fondazione, e nel Campidano oristanese va scomparendo il dialetto veneto,
introdotto con le immigrazioni associate alla bonifica delle paludi nella prima metà
del 1900 d.c.; a Fertilia va esaurendosi un dialetto ibrido veneto-friulano portato da un flusso immigratorio
d’origine istriana e dalmata che dopo il secondo conflitto mondiale si aggiunse ad uno di radice ferrarese
precedente alla guerra. Ad Isili, nel Sarcidano, cioè tra Campidano e Barbagia, sta scomparendo un gergo
d’origine zingara, portato probabilmente da artigiani e venditori ambulanti di manufatti in rame.
Ricchezza
Lo sfruttamento minerario, iniziato circa 6000 anni a.c. con l’ossidiana del Monte Arci fu
integrato intorno al 3000 a.c. dall’estrazione metallifera, proseguita e sviluppata dai
nuragici prima e da Fenici e Cartaginesi poi, specialmente nell’Iglesiente; in epoca
romana essa divenne intensiva interessando anche altre aree come il Sarrabus a sud-est
e impiegando forzati e schiavi oltre ai minatori, allora detti “metallari”. Col declino
dell’Impero anche l’attività mineraria subì una recessione; interi bacini estrattivi furono
abbandonati, per essere riscoperti molti secoli più tardi.
Vandali
All’inizio del IV secolo (400 d.c.), sospinti dall’effetto combinato della pressione degli Unni da nord-est e
dalla resistenza romana nell’Italia centro-settentrionale, i Vandali dell’Europa centrale erano penetrati in
Gallia (Francia) ed in Spagna; da qui occuparono il Nord-Africa, passarono in Sicilia e poi in Sardegna,
sottraendo l’Isola ai romani. Nella seconda metà del 400 d.c. i Vandali confinarono sull’Isola degli esuli
africani, tra i quali un gruppo di guerrieri mauritani; questi furono insediati a Forum Traiani (Fordingianus)
per contrastare la popolazione dell’interno che resisteva ai nuovi dominatori; solo dopo la fine del dominio
vandalo, dediti ormai al brigantaggio ed al saccheggio, si sparsero per l’Isola, scendendo anche verso il Sud.
Bisanzio
Dopo il dominio Vandalo durato 80 anni, nel 534 d.c. iniziò quello bizantino. Con la
nuova signoria si giunse presto alla conversione al cristianesimo anche nell’interno
dell’Isola, con il patto tra Zabarda, dux di Papa Gregorio Magno, e Ospitone, capo
della Barbària (oggi Barbagia) che restava irredenta durante il dominio bizantino.
Intenso fu l’influsso bizantino culturale e religioso, nei costumi, nelle tradizioni,
nell’arte, nell’architettura e nelle strutture politiche; un’influenza della quale ancor
oggi sono vivide le tracce, miste a retaggi preesistenti.
Splendore medievale
La
suddivisione
politico-amministrativa
bizantina sopravvisse al progressivo affievolirsi
del dominio imperiale, causato anche dalla
crescente influenza araba nel Mediterraneo.
Verso la fine del 800 d.c. la Sardegna – che fu
prima un Ducato dell’Esarcato d’Africa e poi
Arcontea dipendente direttamente da
Costantinopoli - si avviò verso l’autonomia
dall’Impero e, sulle vestigia delle sue
articolazioni, presero forma i Giudicati.
La cultura politica sarda a cavallo della fine del
primo millennio d.c. differì da quella che nello
stesso periodo maturò sulle coste europee; il
diritto romano fu il suo riferimento; l’Isola
l’Impero Romano d’Oriente, l’area di dominazione bizantina nel 600 d.c.
restò per questo sostanzialmente estranea al
feudalesimo, che vi si affermerà solo col dominio catalano dal 1400 d.c.
I Giudicati furono veri e propri stati sovrani che non rimasero del tutto indenni dalle forme feudali
prevalenti nel continente; emerse infatti un’aristocrazia latifondista che, però, non ebbe lo stesso carattere
di quella feudale. Furono per molti aspetti piuttosto moderni e la loro esperienza è al pari di quella
Comunale che caratterizzò l’Italia centro-settentrionale e l’Europa occidentale nel medioevo. Anche
significative esperienze comunali s’intrecciarono in Sardegna con quelle giudicali, come soprattutto Sassari
e Villa di Chiesa (Iglesias) che, con Alghero, Cagliari, Oristano, Bosa ed altre città, ancora per diversi secoli
dopo la fine dei Giudicati resteranno distanti dai modelli di feudalesimo introdotti dagli aragonesi.
I Giudicati erano 4: Cagliari (Santa Igia, cioè Santa Gilla), Arborea (Tharros, poi Oristano), Torres (Porto
Torres, poi Ardara ed infine Sassari) e Gallura (Civita, cioè Olbia e Luogosanto). Pur
mantenendo una comune matrice bizantina ed istituzionale, differivano tra loro
per consuetudini politiche, cultura e raffinatezza delle corti, potenza, ricchezza,
ecc. Inizialmente c’era anche un piccolo Giudicato, quello di Agugliastra (Ogliastra),
che fu, però, presto assorbito da quello di Cagliari.
La monarchia giudicale era un misto tra ereditaria ed elettiva e fondava la sua
legittimità sul consenso delle “Corone”, sorta di parlamenti che esercitavano
funzioni di pubblico governo e giustizia accanto al Giudice. Le istituzioni erano
articolate, equilibrate e sussidiarie. Il patrimonio dello Stato era separato da quelli
privati del Giudice e degli aristocratici. La condizione dei cittadini e la servitù, la
proprietà, l’uso delle terre ed il demanio pubblico, il diritto civile e penale, erano regolati in modo molto
avanzato per l’epoca.
Pisani e Genovesi erano entrati in Sardegna quando, nel 1015-1016 d.c., respinsero il tentativo di invasione
del Principe delle Baleari Mujiahid, fedele al Califfo di Cordoba. E’ l’ultimo scontro vero e proprio, dopo
quasi tre secoli di pressione araba cui i Sardi resistettero con alterne vicende. Seguiranno ancora molto a
lungo numerose scorrerie, ma il pendolo geopolitico oscilla ormai altrove.
Il Giudicato di Cagliari cadde in mano
Pisana a metà del 1200 d.c. Quello di
Torres fu spartito fra le famiglie
genovesi dei Doria e dei Malaspina
nello stesso periodo. Il Giudicato di
Gallura, controllato dai Pisani sin
dall’inizio del 1200 d.c. cessò di
esistere più o meno con quello di
Cagliari. Di queste vicende si
avvantaggiarono territorialmente gli
aragonesi ed il Giudicato di Arborea
che cessò di esistere solo due secoli
dopo.
Il Giudicato di Arborea si oppose
strenuamente
all’ambizione
di
le potenze marittime nel Mediterraneo durante il 1200 d.c.
dominio degli aragonesi sull’Isola
intera in base all’avocazione del Regno di Sardegna e Corsica da parte del Papa per cederlo al Re d’Aragona,
dietro pegno di vassallaggio e pagamento annuo, nell’ambito di un trattato finalizzato all’equilibrio tra
Angioini e Aragonesi in Sicilia dopo i Vespri.
La prima fase del periodo giudicale, quindi, si può collocare tra il 900 ed il 1250 d.c.; la seconda fase, che
vede protagonista il solo Giudicato d’Arborea, dalla metà del XIII secolo (1250 d.c.) al 1420 d.c.
Il Giudicato sardo
Quando Bonifacio VIII, nel 1297 concesse al Re Aragonese il Regno di Sardegna e Corsica, ignorò le altre
signorie già insediate: il Giudicato
d’Arborea, sopravvissuto agli altri tre; il
Comune di Sassari, i domini genovesi dei
Doria a nord, e quelli pisani a Cagliari, Villa
di Chiesa ed in Gallura.
Per questo gli Aragonesi ritenevano
vassalli i Giudici di Arborea che, invece, si
consideravano i legittimi sovrani dell’Isola.
In questa diversa visione reciproca
(paritaria per i Sardi, subordinata per gli
aragonesi) pesa la diversa cultura
istituzionale delle due casate e l’indole
indipendente dei Sardi. Il Re Aragonese,
cioè il Conte di Catalogna, conferì
numerosi titoli e terre alla famiglia
lo scenario geopolitco nel Mediterraneo del 1300 d.c.
Giudicale fino a creare Visconte di Bas
Ugone II, nonno della futura Giudicessa Eleonora, elevandolo ai vertici della gerarchia nobiliare del regno
catalano; lo fece per marcare il vassallaggio del Giudice ed allo scopo di assicurarsene la lealtà nella lotta di
conquista del “suo regno sardo” contro le Repubbliche Marinare; per contro Ugone II accettò l’intreccio
iberico per sfruttare a proprio vantaggio la potenza militare degli aragonesi, allo scopo di liberare la “sua
Isola” dagli invasori liguri e toscani.
Quando ancora regnava Ugone II, al figlio Mariano venne concesso dal Re d’Aragona il titolo di Conte del
Goceano (centro-nord/Tirso; Bono, Benetutti, Bultei, Nule, Burgos, Bottidda, Illorai, ecc.) e
della Marmilla (centro-sud/giare); lo rese così suo vassallo per quei territori isolani del
Regno sardo-corso che non facevano formalmente parte del Giudicato; Mariano si distinse
subito per una visione illuminata e lungimirante dell’organizzazione agraria, politica e
militare delle sue terre. Salì al Giudicato quando, senza discendenti, morì suo fratello
Mariano IV
maggiore Pietro III e volle subito arginare le mire catalane sulla Sardegna.
de Bas-Serra
Scacciate le Repubbliche Marinare dalla terra sarda i nodi del rapporto con gli aragonesi
erano venuti al pettine; malgrado le parentele Mariano IV invertì, quindi, la politica paterna di alleanza con
la corte iberica e lo scontro fu inevitabile, sanguinoso e lunghissimo: oltre 90 anni. Mariano condusse,
anche assieme al figlio Ugone, numerose operazioni militari per mare e per terra circoscrivendo la presenza
aragonese a Cagliari ed Alghero ed estendendo i suoi domini su quasi tutto il resto dell’Isola; commerciando
con sagacia e cinismo le granaglie del suo regno in tutto il Mediterraneo accumulò enormi ricchezze con le
quali finanziò senza difficoltà l’impegno bellico.
Promulgò il Codice Rurale; fu in corrispondenza con grandi personaggi del suo tempo su tutte le sponde del
mare che abbracciava l’Isola.
Nella seconda metà del 1300 d.c. gli succedette il primogenito Ugone III, fratello maggiore di Eleonora, la
cui madre era una nobildonna catalana, Timbora di Roccabertì; Ugone III sposò un’aristocratica viterbese
dalla quale ebbe una figlia e proseguì le politiche indipendentiste paterne anche sul piano giuridico e
militare; non riuscì, però, ad aver un buon rapporto con l’aristocrazia sarda la quale provocò una rivolta nel
corso della quale fu ucciso con la figlia, futura Giudicessa.
Non è improbabile che sia stata la stessa sorella ad ordirne
l’assassinio profittando delle circostanze. “Allontanata”
dalla Sardegna da suo fratello che la sospettava di
“intelligenza” con gli aragonesi a causa di malcelate
ambizioni dinastiche, tramò forse col marito, Brancaleone
Doria, genovese, che riconobbe i suoi due figli, anche se
l’effettiva paternità del secondo non può essergli
attribuita. Costui, pur essendo vassallo del Conte di
matrimonio di Eleonora de Bas-Serra e Brancaleone Doria
Catalogna, aveva sposato la futura Giudicessa su
1376 d.c.
ispirazione di Mariano IV in funzione anti-aragonese,
poiché i Doria avevano ampi possedimenti nel nord dell’Isola. Ugone III glieli sottrasse, ma l’ascesa di
Eleonora avrebbe di fatto ripristinato la signoria dei Doria sui loro possedimenti sardi.
Nel 1383 in Sardegna a seguito della rivolta fu proclamata una Repubblica confermando, però, i sistemi
normativi che Mariano IV ed Ugone III avevano introdotto.
Eleonora
Eleonora chiese al Re d’Aragona – che era nominalmente titolare del Regno - di riconoscere la successione
di suo figlio al Giudicato; regnava in Catalogna l’aragonese Pietro il Cerimonioso che, però, rifiutò temendo
la potenza della famiglia legata a doppio filo con Genova la quale in un sol colpo avrebbe avuto signoria su
oltre 2/3 dell’Isola e prese in ostaggio Brancaleone, recatosi a corte per ricevere terre, insegne nobiliari e
trattare l’invio di una flotta in appoggio al ripristino della monarchia giudicale della moglie. Eleonora
raggiunse comunque Oristano, regolò i conti con la fronda aristocratica e si autoproclamò reggente per
conto del primogenito Federico; firmò però sempre i suoi atti di governo come Giudicessa, anche perché in
Sardegna non vigeva la legge salica.
Secondogenita di Mariano IV, la Giudicessa
era creditrice del Doge di Genova per una
grossa somma; la figlia di questi era
promessa a suo figlio Federico. Questo
accordo saldava gli interessi geopolitici ed
economici del Giudicato sardo a quelli
della Repubblica Marinara. Eleonora era
già, quindi, inserita nelle dinamiche
politiche mediterranee ed europee ed era
alleata della potenza ligure tramite vincoli
economici e di matrimonio.
Eleonora fu una vera Regina. Trasse
legittimazione al suo regno dal consenso
com’era uso in Sardegna, governò con
determinazione, saggezza e misura e
seppe contrastare l’ambizione aragonese
Giudicato di Arborea alla morte di Eleonora nel 1404 d.c.
con scaltra efficacia, pazienza, forza e
cinismo, estendendo il dominio del suo Giudicato a quasi tutta l’Isola. Sottoscrisse una pace con gli
aragonesi, cedendo loro ampi territori per ottenere il riconoscimento della sua legittimità e la liberazione
del marito; disattese, però, gli accordi armando un esercito che, guidato da Brancaleone, riconquistò gran
parte di quanto aveva ceduto. Coltivò il germoglio della cultura indipendentista sarda piantato da Barisone I
raccogliendo il testimone dal padre e dal fratello che lo avevano a loro volta idealmente ereditato da quel
primo Re di Sardegna investito nel 1164 d.c. da Federico Barbarossa – non dal Papa – che cercò vanamente
di unificare i Giudicati; i quali però, ad eccezione di quello di Arborea, derivarono sotto l’influenza pisana,
genovese e catalana.
La Carta de Logu
Nel 1215 il Re d’Inghilterra, Giovanni senza terra, era stato costretto a concedere la Magna Charta
Libertatum; la Charta, che è considerata l’embrione del riconoscimento dei diritti
universali dell’uomo è, però, una sorta di “contratto” tra il monarca ed i suoi Baroni;
al contrario, la Carta de Logu, voluta da Eleonora dopo quasi due secoli, ha un
“respiro” costituzionale ed è uno dei primissimi documenti di questo tipo.
Due anni dopo la nascita di Eleonora, 41 anni prima della sua
reggenza, 5 anni prima dell’ascesa al trono giudicale di suo padre
Mariano IV, 50 anni prima della promulgazione della Carta de Logu
ed un secolo e mezzo circa dopo la Magna Charta, nel 1342,
Giovanni senza terra
un’altra donna aristocratica volitiva – la Contessa Margherita
Re d’Inghilterra
Maultasch di Tirolo-Gorizia (1318-1369) – aveva promulgato in
Alto-Adige uno statuto che prevedeva forme di rappresentatività politica, creava un
impianto amministrativo e giurisdizionale autonomo e pubblico, definiva ampliandole le
Margherita Maultasch
di Tirolo-Gorizia
libertà individuali, regolava la proprietà riconoscendola anche ai contadini, interveniva nell’organizzazione
dell’attività mineraria, della giustizia, del commercio.
Eleonora promulgò la sua Carta de Logu nel 1392 quando il suo secondogenito Mariano V Doria stava per
salire al trono giudicale, succedendo al fratello Federico (come il Barbarossa) morto prima di emanciparsi.
La Carta raccolse ed aggiornò gli ordinamenti ed il codice rurale del padre e del fratello di Eleonora, li
integrò con alcuni impianti giuridici di matrice bizantina, recepì aspetti della civiltà giuridica comunale sarda
(come il Breve di Villa di Chiesa e gli Statuti sassaresi) e del Centro-Italia; accolse elementi del pensiero
giuridico catalano e canonico ed innestò il tutto sulle consuetudini locali; impresse un impulso
sorprendentemente anticipatore alla fine del medioevo introducendo di fatto la certezza del diritto, la
pubblicità delle leggi, la proprietà privata. Definì il diritto penale,
civile, rurale procedurale, sancì due gradi di appello e garanzie
processuali, tutelò le donne, fronteggiò l’usura, anticipò la natura
moderna dello Stato, del Governo e della Giustizia, regolò il diritto
di famiglia e le successioni, precorse il principio dell’erga omnes,
affrontò il tema degli incendi con impressionante similitudine alle
norme attuali.
Eleonora de Bas-Serra
Giudicessa d’Arborea
Eleonora governò con realismo da Giudicessa e reggente tra il
1383 e il 1392 d.c., ma di fatto detenne il potere fino alla sua
morte nel 1404 d.c.
Il Giudicato di Arborea soccombette definitivamente 11 anni dopo la battaglia di Sanluri del 1409 d.c.,
quando l’ultimo Giudice di Arborea lo cedette all’Aragona per 100.000 fiorini d’oro, mettendo fine ad un
epoca di straordinario splendore culturale, giuridico, economico e politico il cui lascito è inesaurito.
La Carta de Logu, recepita, confermata ed estesa a tutta l’Isola dagli aragonesi dopo la fine del Giudicato,
all’inizio del 1400 d.c., è rimasta in vigore in Sardegna sin quando il Codice di Carlo Felice – oltre 4 secoli più
tardi - la sostituì nel 1827, sette anni dopo l’Editto delle Chiudende che ne aveva stravolto il presupposto
rurale. La Carta de Logu ha impresso molti tratti della cultura isolana sulla quale ha inciso profondamente
nel lungo tempo in cui è restata regolatrice delle Comunità e costituisce il raccordo con tutte le epoche e le
civiltà pregiudicali.
Sfruttamento
Con i bizantini la Sardegna aveva ripreso ad esportare metalli, specialmente l’argento, sino a che l’insidia
dei pirati saraceni associata al declino dell’Impero Orientale lo rese difficoltoso. Dopo la nascita dei
Giudicati, seguiti alla implosione dell’Impero di Bisanzio, i Pisani – egemoni in buona parte dell’Isola in base
al trattato con Genova promosso da Benedetto XIII - diedero nuovo impulso all’attività mineraria, in
particolare con Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico che signoreggiava nel sud dell’Isola.
L’abbandono della Sardegna da parte dei Pisani a seguito delle sconfitte inflitte loro dall’alleanza tra
Giudicato di Arborea e Regno di Aragona determinò l’interruzione dell’afflusso dei carichi d’argento alla
Repubblica Marinara cosa che concorse non poco al suo declino. Durante la dominazione spagnola,
nonostante gli sforzi, l’attività mineraria resterà residuale.
Declino spagnolo
Il Regno di Sardegna e Corsica, voluto da
Papa Bonifacio VIII per gli aragonesi ma mai
effettivamente formatosi, si compì, quindi,
oltre un secolo dopo la sua istituzione, solo
con la fine dell’ultimo Giudicato. Mentre
l’Europa s’avviava verso la fine del
medioevo, gli ordinamenti aragonesi e la
loro politica oppressiva e vessatoria
rigettarono la Sardegna indietro nel tempo
dopo l’anelito di modernità e splendore che
l’avevano distinta. Insistentemente il Re
d’Aragona cercò di sottomettere i Sardi e i
Corsi, ma il conflitto fu sempre latente ed in
Sardegna emerse esplicitamente quasi
subito, nel 1470 d.c., con Leonardo de
Il dominio spagnolo all’inizio del 1700 d.c.
Alagon,
feudatario
appena succeduto all’indomito zio Marchese di Oristano Salvatore Cubello nel
dominio dell’Arborea e del Goceano, cui la Corona aspirava direttamente. Leonardo
sfidò il Vicerè catalano ad Uras e lo sconfisse; 8 anni dopo, nella battaglia di
Macomer, le truppe aragonesi prevalsero su Leonardo sottraendogli il dominio e
imprigionandolo in Spagna dove morì molti anni dopo. La signoria spagnola fu sempre
contrastata e fu infeconda per l’Isola nel suo complesso, anche dopo il matrimonio di
Leonardo de Alagon
Ferdinando d’Aragona con Isabella di Castiglia che aveva unificato i regni iberici.
Savoia
Il Regno di Sardegna arrivò ai Savoia col trattato di Londra del 1718 d.c., dopo le guerre di successione
spagnole che avevano segnato l’inizio del secolo ed un triennale interregno asburgico. Il Re sabaudo
Amedeo II attuò una feroce repressione ed occupò militarmente l’Isola. Anche il suo successore, Carlo
Emanuele III, che riscattò i Tabarchini (pescatori e commercianti pegliesi stabilitisi dal 1540 d.c. su
un’isoletta in prossimità della costa nord-africana ed entrati in conflitto col Bey di Tunisi) assegnandogli
l’Isola di San Pietro, non introdusse cambiamenti sostanziali nell’assetto feudale dell’Isola ne promosse
mutamenti delle condizioni di vita delle popolazioni; accrebbe invece, come i suoi successori, la pressione
fiscale e lo sfruttamento delle risorse sarde.
La Maddalena, abitata fin dalla preistoria, nota ai greci, crocevia dei traffici marittimi in epoca romana,
teatro di scontri tra i saraceni e le Repubbliche Marinare e sede di insediamenti benedettini
non fu contemplata dal trattato di Londra a dispetto della sua importanza strategica;
rimase, quindi, terra di nessuno per circa 50 anni. Era abitata da una colonia di pastori corsi
sin dal 1600 d.c. I Savoia se ne impossessarono nel 1767, patteggiando con gli isolani;
questo spiega la lealtà dimostrata dalla comunità maddalenina nei confronti del Re
sabaudo durante la guerra contro la Francia rivoluzionaria. Alla fine del secolo, a La
Maddalena, Andrea de Geneys fondò la Marina da guerra dei Savoia, la Marina Sarda, dalla
quale discenderà la Marina Militare Italiana; l’Isola diverrà progressivamente
Andrea
de Geneys
un’importante base navale, prima sabaudo-piemontese, poi Italiana.
A Caprera, la seconda Isola dell’arcipelago de La Maddalena, dimorerà a più riprese, si
ritirerà, morirà ed è sepolto Giuseppe Garibaldi.
Già nella seconda metà del secolo i Sardi avevano preso a ribellarsi sempre più spesso ed
efficacemente al dominatore sabaudo, sostenuti da un crescente appoggio politico e
intellettuale specie dopo la Rivoluzione Francese, nel 1789 d.c.
Giuseppe
Garibaldi
Nel 1793 d.c., mentre La Maddalena resisteva alla pressione dei francesi, questi
occuparono Sant’Antioco e Carloforte instaurandovi sistemi d’ispirazione repubblicana e
illuminista; attaccarono Cagliari, ma furono sconfitti e respinti dalla resistenza dei Sardi
ingannati da un’abile propaganda del clero e degli aristocratici fedeli alla corona.
Sull’onda di questi eventi l’aristocrazia sarda invocò autonomia e rappresentatività nell’ambito del regno
piemontese, ma fu blandita e disillusa.
Nel 1794 d.c. le città e le campagne insorsero, furono uccisi generali piemontesi, imprigionati e scacciati
funzionari del regno e lo stesso Viceré. Sassari ed i feudi logudoresi chiesero, però, di emanciparsi da
Cagliari e di dipendere direttamente da Torino. La rivolta si estese progressivamente in chiave antifeudale.
La situazione fu turbolenta e belligerante sino al Natale del 1795, quando i rivoltosi presero Sassari.
Giovanni Maria Angioy
Inviato dal Viceré con pieni poteri per sedare la rivolta, ma sensibile alla cultura illuminista, riconobbe la
saldatura emergente tra le classi sociali escluse sino ad allora dal potere politico, raccolse il malcontento, fu
accolto come un liberatore ed ottenne sostegno ovunque.
Anche a Sassari fu accolto da liberatore; per questo non gli fu necessario impiegare la consistente forza
militare raccolta lungo la via da Cagliari per sottomettere i rivoltosi.
Rappacificata l’Isola, tentò di avviare l’emancipazione dei feudi e riscattare le genti sarde, entrando in
conflitto anche militare coi Savoia; ne uscì, però, sconfitto. Fu abbandonato
progressivamente dai suoi stessi compagni e dagli aristocratici che l’avevano
appoggiato. Gli furono revocati i poteri e fu braccato.
Riuscì a fuggire in Francia dove coltivò ancora l’idea di rendere la Sardegna una
terra più libera e per la quale si adoperò giungendo sino a convincere
Napoleone – Primo Console – ad organizzare una spedizione che, però, non
partirà mai perché distratta da un’insurrezione in Corsica.
Morì in Francia; con lui un'altra occasione cruciale per il popolo sardo andò
perduta.
Giovanni Maria Angioy
Il Re in Sardegna
Il Re sabaudo riparò in Sardegna dopo l’occupazione francese del
Piemonte nel 1799 d.c.; qui rimase sino al 1814 d.c., quando Napoleone
cadde definitivamente.
L’Editto delle Chiudende
Tornato nelle sue terre dopo l’arroccamento sardo del primo ‘800, il Re
piemontese Vittorio Emanuele I dette il colpo di grazia all’economia
sarda con l’Editto delle Chiudende del 1820 d.c. Con questo
muretti a secco
provvedimento si autorizzava, di fatto, chiunque a recintare ed appropriarsi dei terreni che
tradizionalmente erano risorsa collettiva. Dell’editto si avvantaggiarono i soggetti economici più forti, come
i latifondisti e gli stessi piemontesi, stravolgendo uno dei cardini della cultura rurale e giuridica sarda
sopravvissuto indenne persino agli aragonesi.
Famelico appetito
Ai numerosi tentativi di insurrezione
soffocati nel sangue ed alle spinte
indipendentiste ed autonomiste che si
succedettero per tutto l’800, i piemontesi
opposero sempre un famelico interesse per
le risorse isolane, del quale l’intensivo
disboscamento dell’Isola è ancor oggi una
dolorosa testimonianza.
Con l’assegnazione ai Savoia del regno di
Sardegna l’attività estrattiva aveva ritrovato
vigore, ma la monarchia sabauda l’affidò
all’inizio prevalentemente a stranieri
(inglesi, tedeschi e svedesi). A metà del
1800, scadute ormai le vecchie concessioni
La Sardegna è sottomessa al Regno Sabaudo dal 1718
ed è annessa perfettamente al Piemonte nel 1847
e introdotta una nuova legislazione sulla
materia, numerose società con capitali sardi, liguri e piemontesi investirono sull’Isola, con varia e non
sempre fortunata sorte. Anche grazie ad un’analisi condotta da Quintino Sella (1868-71) – che era
ingegnere minerario – l’attenzione alle miniere sarde, già da trent’anni sempre più produttive, guadagnò
centralità nel governo sabaudo a cavallo dell’unificazione italiana; “intelligenze” con capitali stranieri
alimentarono, però, in questo periodo nuovi appetiti sulle ricchezze isolane. Iniziò un periodo di grande
produzione, di estensione delle aree estrattive e di nuovi flussi immigratori da diverse regioni del neonato
Regno d’Italia che, però, non si accompagnarono al riconoscimento del diritto dei minatori a giuste
condizioni di vita e lavoro ed alla loro emancipazione dalle società concessionarie.
L’unione “imperfetta”
Nel 1847 d.c. lo Statuto Albertino entrò in vigore in Sardegna in esito alla cosiddetta “unione (o fusione)
perfetta” tra il Regno piemontese e l’Isola, sostituendo il Codice di Carlo Felice che era restato vigente per
circa 20 anni dopo l’abrogazione della Carta de Logu.
Si obliterarono così i valori storici dell’Isola. Non vi sarà più discontinuità tra le sorti del Regno piemontese,
poi italiano, e la Sardegna.
Il primo sciopero generale d’Italia
All’inizio del ‘900 il movimento sindacale era lacerato da profonde divisioni emerse con chiarezza nell’Aprile
del 1904, al Congresso dei Socialisti. In quell’anno si erano registrati numerosi scioperi in Sardegna; i
minatori di Monteponi, Montevecchio, Lula, San Benedetto, San Giovanni Ingrostu, gli scalpellini di
Villasimius e La Maddalena, i conciatori di Sassari e Bosa avevano scioperato avanzando le loro
rivendicazioni. Il 3 settembre i minatori di Buggerru disertarono i pozzi, provocando anche l’interruzione del
lavoro negli impianti di superfice. La società francese concessionaria restò sorda alle loro richieste e chiese
aiuto al governo italiano che inviò due compagnie di soldati. Seguirono disordini e i soldati del Re italiano
spararono sulla folla inerme a difesa degli interessi del concessionario francese. Restarono a terra 3 morti e
numerosi feriti di cui uno morì un mese dopo. Malgrado il prezzo di sangue pagato il lavoro riprese ob torto
collo con poco vantaggio per i minatori. La reazione nazionale, però, non tardò; da più parti, perfino dalla
Svizzera, nel movimento operaio si levò l’energica ed inedita istanza di
uno sciopero generale. La Camera del Lavoro di Milano lo propose e,
durante un gremito comizio restato memorabile, tenutosi nel cortile delle
scuole di Porta Romana, la folla acclamò la proclamazione dello sciopero
nazionale. In varie località d’Italia vi furono altre proteste e disordini, con
altri morti e feriti. La tensione cresceva e i Socialisti superarono timori,
murales rievocativo dell’eccidio
divisioni ed indugi proclamando il primo sciopero generale della storia
di Buggerru
d’Italia. Per 5 giorni tutta l’Italia fu attraversata da un moto di indignata
protesta dei lavoratori e dei contadini per l’ignobile vile eccidio dei minatori sardi.
Il “Secolo Breve” sardo
La prima metà del ‘900 è segnata da una pesante depressione economica, dallo spopolamento,
dall’insorgere di un nuovo e particolare banditismo come fenomeno di reazione alla condizione cui uno
Stato straniero, oppressore, distante, miope e sordo aveva condannato le comunità, e dall’enorme
contributo di vite ai due conflitti mondiali.
Non mancheranno però in tutto il secolo periodi in cui riaffiorerà con prepotenza l’anelito sardo
all’autodeterminazione, nella produzione letteraria e culturale o nei nuovi fermenti politici dai
quali nascerà il Partito Sardo d’Azione tra le due guerre e lo Statuto dell’Autonomia parallelo
alla Costituente repubblicana. Il ‘900 vedrà i natali di eminentissime personalità della politica e
della cultura, sarde ma di respiro nazionale ed internazionale.
Durante il ventennio fascista una nuova stagione agricola, di bonifica e mineraria nel Sulcis – quella
carbonifera -, con la nascita di Carbonia ed il suo originale
carattere architettonico razionalista e sociale, darà nuovo slancio
all’economia inducendo nuove immigrazioni.
Lungo l’intero arco del secolo prenderà forma sull’Isola una
coscienza politica e sindacale non marginale ne culturalmente
infeconda espressa da personalità di rilievo.
L’agricoltura e la pastorizia conosceranno nuova dignità.
Carbonia subito dopo l’edificazione
Dopo la II^ guerra mondiale si sconfiggerà la malaria, ma insorgeranno le
servitù militari, le industrializzazioni delle quali oggi si raccoglie il frutto
controverso ed un nuovo
banditismo; l’estrazione
metallifera e carbonifera
si
spegnerà
progressivamente
a
causa dell’esaurimento
dei giacimenti e/o della
sua scarsa economicità; in Sardegna ci sono ancora,
tuttavia, ricchi giacimenti d’oro. Prenderà piede il turismo
come fonte di ricchezza e lavoro, ma con le insidie
servitù militari
Golfo di Cugnana
edificatorie che l’accompagnano. Troverà nuova linfa la cultura autonomista ed indipendentista in una
nuova declinazione, spesso d’avanguardia.
Indipendenza e autonomia
Dall’epoca nuragica allo Statuto dell’Autonomia (1948 d.c.) i popoli sardi sono stati indipendenti a periodi
alterni per circa 1400 anni; sono stati, invece, soggetti al dominio delle potenze emergenti nelle varie
epoche per complessivi 2150 anni. La Sardegna oggi è integrata nello Stato Italiano, ma gode di uno
speciale regime di autonomia.
Nell’Europa del XXI secolo e nel fermento mediterraneo dell’inizio del terzo millennio, in un anfiteatro
ormai globalizzato, misurandosi con una profonda mutazione dell’economia, con nuove sfide di
integrazione socio-culturale e con un nuovo anelito autonomista l’avventura sarda continua, come sempre,
in proscenio.