Capitolo Sesto Il concorso di reati ed il concorso apparente di norme coesistenti 1. Concorso di reati Si ha concorso di reati allorché un soggetto violi più volte la legge penale e perciò è chiamato a rispondere di più reati. Non si ha concorso di reati nei casi in cui già la legge, nella previsione tipica della singola norma incriminatrice, faccia rientrare più fatti che, singolarmente considerati, costitui­scono reati diversi (così ad esempio la rapina comprende le fattispecie del furto e della violenza privata). Tale unificazione legislativa dà luogo alle figure del reato continuato, del reato abituale e del reato complesso (sulle quali v. infra). Il concorso di reati assolve la funzione di limitare l’entità della pena da applicare a chi deve essere giudicato per più reati. Quanto alla disciplina del concorso di reati, sono concepibili in astratto tre sistemi: a) l’assorbimento, in virtù del quale si applica solo la pena prevista per il reato più grave; b) il cumulo materiale, per il quale si applicano tante pene quanti sono i reati commessi; c) il cumulo giuridico, per il quale si applica la pena prevista per il reato più grave, aumentata proporzionalmente alla gravità delle pene previste per gli altri reati: la pena complessiva risulta però inferiore al cumulo materiale. Il concorso può essere: A)Materiale Quando con più azioni od omissioni un soggetto viola più volte la stessa o differenti disposizioni di legge (es.: Tizio ruba più volte oppure ruba e poi uccide la vittima). Si fa luogo al cd. cumulo materiale delle pene (tot crimina tot poena): al responsabile vengono comminate tante pene per quante sono le violazioni commesse, con alcuni temperamenti circa la pena massima da infliggere (artt. 72-80 c.p.). La disciplina dettata dal codice penale per il concorso materiale di reati si applica sia nel caso che una stessa persona sia giudicata per più fatti, sia nel caso che contro di essa debbano eseguirsi più condanne (artt. 71 e 80 c.p.). I reati commessi da un unico agente possono essere legati da un vincolo (rilevante ai fini della pena: art. 61 n. 2): — ideologico (o teleologico): quando un reato è commesso allo scopo di eseguirne un altro (esempio: omicidio per derubare la vittima). I reati hanno un vincolo nella finalità cui tendono; — conseguenziale: allorché un reato viene commesso per assicurarsi il prezzo, il prodotto, il profitto o l’impunità di un altro reato (esempio: dopo aver ucciso un neonato, si occulta il cadavere). In tal caso un reato dipende dall’altro; — occasionale: nei casi in cui la commissione di un reato offra l’occasione per commetterne un altro (esempio: Tizio, entrato in casa per rubare, vede una giovane e la violenta). In tal caso, il vincolo tra i reati risiede nella contestualità degli eventi. 50 Libro I: Diritto penale - Parte I: Parte generale B)Formale (o ideale) Quando con una sola azione od omissione si viola più volte la stessa o diverse leggi penali, commettendo più reati. Il concorso formale può essere: — eterogeneo, quando con una sola azione od omissione si violano diverse disposizioni di legge (es.: con un colpo di pistola si uccide una persona e se ne ferisce un’altra); — omogeneo, quando con una sola azione od omissione si compiono più violazioni della medesima disposizione di legge (es.: una parola che ingiuria contemporaneamente più persone). Si fa luogo al cumulo giuridico, cioè si applica la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (art. 81 comma 1 c.p.). 2. Reati a struttura complessa e reati complessi Possono denominarsi reati a struttura complessa quelli composti da fatti già costituenti di per sé reato. Sono tali il: — reato complesso vero e proprio; — reato abituale; — reato continuato. Discussa è la natura giuridica di essi: infatti, secondo alcuni autori, si tratta di mera unificazione giuridica di più reati (stabilendo così un’espressa deroga alla disciplina del concorso). Secondo ANTOLISEI, invece, la natura unitaria dei reati complessi si riflette sulla disciplina prevista che è sempre quella del reato unico (ossia si tratta di ipotesi di unità reale). L’art. 84 disciplina il reato complesso che ricorre quando la legge considera come elementi costitutivi o circostanze aggravanti di un «solo» reato fatti che costituirebbero per se stessi reato. Un esempio è dato dal delitto di rapina che comprende in sé il delitto di furto (art. 624) e la violenza privata (art. 610). In tal caso, non si applicano le norme sul concorso (art. 84 comma 1 c.p.), poiché il reato complesso è considerato dalla legge (in applicazione del principio di specialità, art. 15 c.p.) come reato unico. Per aversi reato complesso occorre che i reati siano legati tra loro, non da un rapporto di mera occasionalità, ma da precise connessioni sostanziali; di regola occorre un nesso teleologico di mezzo a fine. Infine, per il principio di proporzione giuridica, il reato complesso non può assorbire quei fatti criminosi già di per sé sanzionati in modo più grave dal reato in esame. La disciplina applicabile, pertanto, è quella del reato unico. 3. Reato continuato Si verifica allorché, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, si commettono anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge (art. 81 comma 2 c.p.). Requisiti del reato continuato sono: a) pluralità di azioni od omissioni, anche se intervallate da un lungo lasso di tempo. Perché si possa parlare di continuazione è necessaria la commissione di una pluralità di condotte criminose autonome che sfocino in più episodi criminosi distinti, in modo da non risultare più riconducibili ad una sola azione od omissione (altrimenti si versa nell’ipotesi del comma 1 dell’art. 81 di concorso formale): ad esempio rapina accompagnata da sequestro di persona ed omicidio di una delle vittime. Capitolo VI: Il concorso di reati ed il concorso apparente di norme coesistenti 51 Le distinte condotte criminose possono anche essere commesse a notevole distanza di tempo tra loro: es. il caso del padre di una ragazza violentata il quale uccide i tre violentatori con omicidi commessi in tempi diversi; b) pluralità di violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Si osservi che l’art. 81 comma 2, nella sua stesura originaria, era eccessivamente restrittivo in quanto limitava la continuazione alle sole violazioni della «stessa» disposizione di legge, sicché, successivamente si è ammessa la continuazione non solo tra violazioni della stessa norma (reato continuato omogeneo) ma anche tra violazioni di diverse disposizioni (reato continuato eterogeneo), a condizione che siano espressione di un medesimo disegno criminoso; c) il medesimo disegno criminoso. Secondo la dottrina prevalente esso consiste nell’iniziale programmazione e deliberazione generica di una pluralità di reati, diretti al conseguimento di un unico fine (ANTOLISEI, MANTOVANI). Tale requisito, quindi, funge da coefficiente psicologico che unifica i vari reati e distingue il reato continuato dal concorso di reati. Da tutto quanto detto segue che la continuazione non è configurabile rispetto ai reati colposi (non potendo sussistere, in tal caso, il «disegno criminoso»). Analogamente al concorso formale di reati, anche il reato continuato è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo, e, comunque, in misura mai superiore a quella che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale delle sanzioni relative ai singoli reati avvinti dalla continuazione. Fermo restando tale limite massimo, la L. 5-12-2005, n. 251 (nota come «legge ex Cirielli»), con l’introdurre un ulteriore comma all’art. 81, ha espressamente disposto che se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma (cd. recidiva reiterata, configurabile nel caso in cui un soggetto recidivo commetta un altro delitto non colposo), l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave. Discussa, poi, è l’applicabilità del cumulo giuridico ai reati continuati puniti con pene eterogenee, posto che la riforma del 1974 è del tutto carente sul punto. Così, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, il cumulo giuridico sarebbe espressamente applicabile, in quanto previsto, nel solo caso di pene omogenee mentre, nel caso di pene eterogenee, si ritornerebbe al cumulo materiale. La dottrina prevalente (MANTOVANI, ANTOLISEI), invece, ritiene che il cumulo giuridico si applichi anche alle pene eterogenee: in tal caso, una volta determinata la pena-base del reato più grave, essa andrebbe aumentata per i reati concorrenti in termini di pena detentiva; peraltro sul punto si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 27-3-1992), le quali hanno affermato che l’applicazione dell’art. 81 non è esclusa dal concorso di reati sanzionato con pene di genere e di specie diversa: in tal caso si applicherà, infatti, la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo. 4. Segue: Reato abituale È abituale il reato che risulta dalla reiterazione nel tempo di più condotte identiche ed omogenee. Il reato abituale può consistere: a) nella ripetizione di condotte che, prese isolatamente, non costituirebbero reato (cd. reato abituale proprio): ad esempio, lo sfruttamento della prostituzione (non costituisce infatti reato il farsi consegnare una sola volta del denaro da una prostituta); b) nella ripetizione di condotte che già di per sé costituiscono reato (cd. reato abituale improprio): ad esempio, la relazione incestuosa (il singolo episodio incestuoso già costitui­sce, infatti, reato d’incesto). 52 Libro I: Diritto penale - Parte I: Parte generale 5. Il reato impossibile Secondo l’art. 49 comma 2 «la punibilità è esclusa quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso». Questa norma, oggi, è dai più ritenuta la codificazione del principio di necessaria offensività della condotta criminosa (v. cap. I, § 7). Il reato impossibile si verifica, secondo la lettera della legge: — nel caso di inidoneità dell’azione (esempio: Tizio vuol uccidere con una pistola giocattolo). Secondo la dottrina tradizionale (ANTOLISEI), il reato impossibile è un inutile doppione in negativo del delitto tentato, ossia è un tentativo inidoneo. Secondo altro orientamento più recente (MANTOVANI), si ha reato impossibile quando l’agente ha posto in essere l’intera condotta tipica ma questa è inidonea ad offendere il bene per caratteristiche intrinseche. In tal modo, si configura il reato impossibile come figura autonoma; — nell’ipotesi in cui manchi l’oggetto dell’azione e, cioè, l’oggetto materiale del reato (la persona o la cosa su cui cade l’attività fisica del reato); ad es. nel caso in cui si spara contro uno spaventapasseri. Se si verifica un delitto impossibile, il giudice ha la facoltà di ordinare che l’imputato, prosciolto, sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata, ciò perché il fatto può rivelare che l’autore sia un individuo socialmente pericoloso. È questo uno dei due casi nei quali si può applicare una misura di sicurezza senza che sussista un reato: l’altro è costituito dalla istigazione e dall’accordo criminoso che da soli non costituiscono reato. In base al comma 3 dell’art. 49 «se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso»; così, chi ha cercato di rubare una cosa che non era nel luogo, ma ha arrecato danni, risponderà di danneggiamento. Differenze Il reato complesso in senso stretto va tenuto distinto da altri istituti giuridici apparentemente simili. In particolare: a) dal reato abituale (es.: maltrattamenti in famiglia: art. 572) in cui non ricorrono più reati diversi, ma più azioni della stessa specie; b) dai delitti aggravati dall’evento (es.: art. 368 u.c.) in cui l’ulteriore evento che li caratterizza non costituisce di per sé reato, difettando l’elemento soggettivo ed essendo attribuito a titolo di responsabilità oggettiva; c) dal reato progressivo in cui non vi è pluralità di reati, ma l’agente passa, nell’esecuzione della stessa azione, da una condotta iniziale costituente reato ad una successiva più grave che assorbe in sé la precedente (ad es.: passaggio dalle lesioni all’omicidio). 6. Concorso apparente di norme coesistenti Si ha concorso apparente di norme allorché più norme appaiono, prima facie, tutte applicabili ad un medesimo fatto, mentre una soltanto è realmente applicabile. Presupposti del concorso sono: a) una pluralità di norme: può trattarsi di norme incriminatrici, scriminanti, esimenti, circostanzianti, etc.; b) l’identità del fatto contemplato da tali norme. Tale identità sussiste allorché tra le norme intercorrano i seguenti rapporti: — specialità unilaterale: sussiste quando una norma contiene tutti gli elementi di un’altra, ed almeno un elemento in più (ad esempio, la diffamazione si caratterizza rispetto all’ingiuria per la qualifica di pubblico ufficiale del soggetto passivo); Capitolo VI: Il concorso di reati ed il concorso apparente di norme coesistenti 53 — specialità reciproca: sussiste quando entrambe le norme presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi generici e specifici l’una rispetto all’altra (ad esempio, l’emissione di assegno a vuoto costituisce un tipo particolare di raggiro, rispetto a quello richiesto per la truffa, la quale richiede in più anche l’induzione in errore). In alcuni casi, è la stessa legge a risolvere il problema, escludendo espressamente l’applicazione di una delle norme concorrenti, mediante cd. clausole di riserva (ad esempio, art. 250 c.p.). Qualora però tali clausole non sussistano, ovvero siano indeterminate (cioè non sia espressamente indicata la norma la cui applicazione è esclusa), si pone il problema d’individuare la norma applicabile al fatto concreto. La dottrina tradizionale ritiene di poter risolvere il problema applicando il principio di specialità, previsto dall’art. 15 c.p.: «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito». La dottrina attualmente prevalente (PAGLIARO, BETTIOL) ritiene che il principio di specialità non sia, di per sé, sufficiente a risolvere i casi di concorso apparente di norme, e lo integra con due ulteriori criteri: a) il criterio di sussidiarietà, secondo il quale la norma principale esclude l’applicazione della norma sussidiaria. È norma sussidiaria quella che tutela un grado inferiore del medesimo interesse tutelato dalla norma principale, la quale, pertanto, assorbe in sé l’oggetto giuridico della norma sussidiaria; b) il criterio di consunzione, secondo il quale la norma consumante esclude l’applicazione della norma consumata. È norma consumante quella che comprende in sé l’intero fatto previsto da un’altra norma, esaurendone il disvalore penale. I criteri proposti dalla dottrina tradizionale sono stati sottoposti a critica dal MANTOVANI: questi ha rilevato, da un lato, l’insufficienza del principio di specialità, il quale si limita a ribadire l’applicabilità di una sola norma nei casi di concorso apparente, senza peraltro individuare la norma applicabile, dall’altro, ha evidenziato l’estrema incertezza dei criteri di sussidiarietà e di consunzione, che, in quanto criteri di valore, si prestano ai più gravi abusi. Secondo tale Autore, per risolvere il problema occorre far ricorso al principio del «ne bis in idem sostanziale», il quale, nei casi di concorso di norme, vieta di porre più volte lo stesso fatto a carico del medesimo autore. Tale principio si desume da tutta una serie di norme del codice penale: — l’art. 15, che prevede il principio di specialità; — le clausole di riserva, che escludono il concorso nei casi di specialità reciproca; — l’art. 84, che prevede il reato complesso; — l’art. 68, che prevede l’ipotesi del concorso apparente di norme circostanzianti. Secondo la Cassazione, infine, in caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme sia integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Cass. Sez. Un. 19-1-2011, n. 1235). Capitolo Undicesimo Le impugnazioni 1. Concetto e specie di impugnazioni A)Concetto L’impugnazione è il rimedio giuridico attribuito alle parti (ed eccezionalmente a soggetti che non sono stati parti del processo) per rimuovere uno svantaggio nascente da una decisione del giudice. L’impugnazione dà luogo ad una nuova fase del procedimento penale, nella quale, con maggiori garanzie funzionali soggettive (in quanto giudica un giudice superiore), si controlla o si rinnova la fase processuale anteriore. B)Specie di impugnazioni Il codice elenca i seguenti mezzi di impugnazione: — l’appello; — il ricorso per Cassazione; — il ricorso per revisione. C)Principi in materia di impugnazioni In materia di impugnazioni vigono i seguenti principi generali: 1) il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (o che è stato membro del collegio che l’ha pronunciata) non può partecipare al giudizio negli ulteriori gradi dello stesso, né prendere parte al giudizio di rinvio dopo l’annullamento, o per revisione (art. 34); 2) i mezzi di impugnazione sono tipici (tassatività dei mezzi di impugnazione): il principio è enunciato nell’art. 568. Secondo tale norma: — la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione, e ne determina il mezzo; — sono sempre soggetti a ricorso per Cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con cui il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze; — il diritto di impugnazione spetta solo a colui al quale la legge espressamente lo conferisce (comma 3); 3) il principio del divieto di reformatio in peius: al giudice dell’impugnazione è vietato di pronunciarsi in maniera più sfavorevole del primo giudice nei confronti dell’imputato, quando solo questi abbia impugnato (art. 597, comma 3); 4) il principio dispositivo: a differenza che nel procedimento di primo grado, nelle impugnazioni le parti hanno il potere di influire sullo sviluppo del rapporto processuale. D)Interesse ad impugnare Ad un sistema processuale interessato a deflazionare il carico dei processi, risponde la necessità della esistenza di un interesse concreto, diretto e personale da parte di chi si avvale dell’impugnazione (art. 568, comma 4). Capitolo XI: Le impugnazioni 285 E)Convertibilità dell’impugnazione Essa attiene a tre profili logicamente connessi: — l’errata qualificazione, data dalla parte impugnante, al mezzo di gravame proposto non è di ostacolo alla sua automatica conversione, ope legis, nel mezzo appropriato; — l’impugnazione proposta ad un giudice incompetente, si considera come validamente formulata innanzi al giudice competente cui gli atti devono essere trasmessi dal primo (art. 568, comma 5); — il ricorso si converte in appello quando contro la stessa sentenza vengono esperiti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all’articolo 12 c.p.p. F)Ricorribilità immediata in Cassazione In base al primo comma dell’art. 569, quando la parte interessata ravvisi nella sentenza vizi di legittimità, può esperire direttamente il ricorso in Cassazione, saltando il grado di appello (cd. ricorso per saltum). È necessario, però, che al diretto ricorso in Cassazione aderiscano tutte le parti che abbiano già manifestato la volontà di avvalersi dell’appello (art. 569, comma 2). G)Rinunciabilità dell’impugnazione In un processo di parti, è naturale che esse possano rinunciare al gravame azionato. Così il P.M. presso il giudice ad quem, se non può sostituirsi al P.M. sottostante, può rinunciare al gravame azionato da quest’ultimo non appena il processo arriva in dibattimento o in Camera di Consiglio (art. 589). H)Titolari dell’impugnazione Titolari in astratto del diritto di impugnare sono le parti (imputato, P.M., parte civile, etc.). Tuttavia talora il diritto di impugnazione spetta anche a soggetti che non siano parti. Così: — alla revisione sono legittimati il prossimo congiunto del condannato (o l’erede, in caso di morte); — all’appello ed al ricorso per Cassazione è legittimato il querelante condannato alle spese o ai danni. Legittimati all’impugnazione sono anche il difensore, i genitori per i figli minori sottoposti alla loro potestà, il tutore per le persone soggette a tutela (trattasi di casi di rappresentanza). Nel caso di imputato contumace il difensore non è legittimato ad impugnare la sentenza salvo che sia munito di procura speciale: in mancanza, il difensore è privo della capacità di impugnare, poiché il suo gravame consumerebbe il diritto anche dell’imputato. I) Forme e termini L’impugnazione comprende tanto la manifestazione di volontà diretta ad ottenere una nuova sentenza, quanto i motivi che inducono a tale richiesta. L’atto scritto deve contenere (art. 581): — l’indicazione del provvedimento impugnato; — la data dello stesso; 286 — — — — Libro II: Diritto processuale penale l’indicazione del giudice che lo ha emesso; l’indicazione dei punti della decisione che si intendono impugnare; le richieste che si intendono formulare; i motivi di impugnazione, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. Oltre a tali elementi, richiesti a pena di inammissibilità (art. 591) l’impugnazione richiede anche una precisa puntualizzazione delle questioni che si intendono sviluppare, per cui il giudice superiore non avrà una conoscenza generica e totale del processo, ma delimitata dalle indicazioni fornite dalla parte (tantum appellatum quantum devolutum). Se i motivi non sono di carattere personale, l’impugnazione giova anche a coloro che non l’hanno proposta (art. 587: effetto estensivo del gravame). Per quanto attiene ai termini per impugnare, dispone l’art. 585, che indica termini diversi secondo i seguenti parametri: — 15 giorni per i provvedimenti decisi in camera di consiglio ovvero per le sentenze la cui motivazione sia stata letta in udienza insieme col dispositivo; — 30 giorni, quando la motivazione della sentenza sia stata depositata successivamente; — 45 giorni, quando si tratti di motivazione complessa, per la quale il termine di deposito raggiunge i 90 giorni (art. 544). Questi termini decorrono, come precisa la legge, da momenti diversi ai sensi dell’art. 585, comma 2. Per l’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato valgono i termini delle sentenze dibattimentali (Cass. SS. UU. 16/1993). 2. L’appello A)Natura dell’impugnazione L’appello rappresenta un mezzo ordinario di impugnazione, che si propone contro un provvedimento del giudice con la richiesta di un nuovo giudizio totale o parziale. La sua esperibilità non risponde al principio di indefettibilità, valido unicamente per il ricorso per cassazione, essendo il diritto all’impugnazione costituzionalmente protetto solo limitatamente a tale ricorso (art. 111 Cost.). Tale rilievo consente di spiegare che non tutte le sentenze sono appellabili, e comunque l’appello può essere diversamente confermato a seconda delle parti che lo attivano. B)Giudice competente per l’appello Innovando al precedente codice, il nuovo codice di rito ha concentrato il giudizio di appello presso un solo ufficio giudiziario che è la Corte di appello, con una sola eccezione riguardante le sentenze del giudice di pace. In particolare, secondo l’art. 596: — la Corte di appello è competente in ordine alle sentenze emesse dal tribunale dibattimentale (sia monocratico che collegiale), dal G.I.P. o dal G.U.P. (relativamente a reati di competenza del tribunale); — la Corte di Assise di appello è competente in ordine alle sentenze della Corte di assise ovvero del G.I.P. o G.U.P. (per reati di competenza della corte di assise di primo grado); — il tribunale in composizione monocratica, per le sentenze del giudice di pace (art. 39 D.Lgs. 274/2000). Capitolo XI: Le impugnazioni 287 C)Soggetti ed atti dell’appello Nella sua conformazione tipica, l’appello investe la sentenza dei giudici di primo grado (monocratici o collegiali). Circa i soggetti appellanti, va detto che per i capi penali della sentenza il diritto all’impugnazione spetta all’imputato e al P.M. La sfera di cognizione del giudice d’appello è per sua natura più ristretta di quella del giudice di primo grado, sia perché non tutte le sentenze sono suscettibili di pervenire alla sua verifica, sia perché l’ambito di questa è variamente limitato. Le disposizioni processuali concernenti il novero delle sentenze appellabili sono state oggetto di una sostanziale (e discussa) riforma ad opera della legge 20-2-2006, n. 46, recante «Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento». Sono inappellabili le seguenti sentenze di primo grado (1): a) per l’imputato ed il P.M., quelle di condanna alla sola pena dell’ammenda (art. 593, c. 3); b) per l’imputato, le sentenze di proscioglimento emanate a seguito di giudizio abbreviato (art. 443, c. 1) (2), salvo il caso in cui l’assoluzione sia stata pronunciata per difetto di imputabilità per vizio totale di mente: in tal caso l’imputato ha facoltà di appellare (cfr. Corte Cost. sent. 274/2009); c) per il P.M., le sentenze di condanna in sede di giudizio abbreviato, a meno che non sia stato modificato il titolo di reato (es. tratto a giudizio per tentato omicidio, l’imputato viene condannato per lesioni aggravate) (art. 443, c. 3); d) per l’imputato ed il P.M., le sentenze di patteggiamento; il P.M. può proporre appello, solamente se la pena è stata applicata dal giudice che abbia ritenuto ingiustificato il dissenso del P.M. (art. 448, c. 1 e 2); e) per l’imputato ed il P.M., la sentenza di non luogo a procedere emessa in udienza preliminare (art. 428); f) per l’imputato ed il P.M., la sentenza di proscioglimento predibattimentale emanata ai sensi dell’art. 469. Va ricordato che la Corte Costituzionale, dopo avere ripristinato il potere di appellare del P.M. avverso la sentenze di proscioglimento (sent. 26/2007 citata nella nota 1), di recente con sentenza n. 85 del 4-4-2008 ha ripristinato la possibilità di appello anche dell’imputato avverso le sentenze di proscioglimento, che era stata soppressa con la riforma dell’art. 593 c.p. introdotta dalla legge 46/2006 (cd. legge «Pecorella»); la possibilità di appello, in tal caso, è comunque pur sempre condizionata dalla presenza di un interesse ad impugnare (es. per richiedere la assoluzione con formula piena, invece della declaratoria di prescrizione del reato). (1) Va ricordato che la legge 20-2-2006, n. 46 (cd. legge Pecorella) aveva previsto, modificando l’art. 593 c.p.p., l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. Tale riforma aveva sollevato molti dubbi di legittimità costituzionale, soprattutto in ragione della dissimmetria tra i poteri del P.M. (che non poteva appellare il proscioglimento) e quelli dell’imputato (che continuava a poter appellare la pronuncia di condanna). Sciogliendo ogni dubbio, con la sentenza 6-2-2007, n. 26, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della previsione della inappellabilità da parte del P.M. delle sentenze di proscioglimento. La Corte ha argomentato che «… la parità delle parti non corrisponde necessariamente ad un’eguale distribuzione di poteri e facoltà fra i protagonisti del processo … ma è necessario che l’eventuale differente modulazione dell’appello medesimo per l’imputato e per il pubblico ministero … avvenga nel rispetto del canone della ragionevolezza …». Nel caso di specie la Corte, nel dichiarare l’illegittimità della nuova disposizione, ha evidenziato che essa eccedeva il limite della «tollerabilità costituzionale», in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto ad una generalizzata ed unilaterale menomazione dei poteri processuali in danno del P.M. (2) La legge 46/2006 aveva escluso la possibilità per il P.M. di appellare le sentenze di proscioglimento, anche se emesse all’esito di giudizio abbreviato. Con sentenza n. 320 del 20-7-2007 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione, così ripristinando il potere del P.M. di appellare le sentenze di proscioglimento emesse nel giudizio abbreviato. 288 Libro II: Diritto processuale penale In sostanza con le sopracitata pronuncia e con le sentenze n. 26/2007 e n. 320/2007 riportate in nota, la Corte Costituzionale ha smantellato quasi totalmente la riforma dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento introdotta con la legge 46/2006. L’inappellabilità non preclude, ovviamente, la possibilità di proporre ricorso per cassazione (art. 111, c. 7, Cost.). Una particolare menzione merita il cd. appello incidentale (art. 595), che si realizza tutte le volte in cui una parte non si sia avvalsa dell’impugnazione, decadendo quindi dalla relativa facoltà, ma si trovi esposta all’appello di altra parte. Si tratta di una forma sui generis di restituzione nel termine, che tuttavia conserva sue precise peculiarità, costituite dal fatto che la parte autorizzata a valersi dell’appello incidentale, proprio perché agisce a seguito dell’impugnazione di altra parte, resta in qualche modo legata alle sorti di tale appello. Dispone quindi il comma 4 che «l’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia allo stesso». D)Forme del processo Il giudice di secondo grado, se appellante è solo il P.M. può operare contra reum e quindi aggravare la qualificazione del fatto, la specie o la quantità della pena, revocare benefici. Se appellante è il solo imputato e non anche il P.M., il giudice incontra il limite del divieto della reformatio in peius, sicché può operare solo a favore del reo, con eccezione dell’aggravamento della qualificazione giuridica del fatto, senza la possibilità di aumentare la pena. L’esigenza di semplificare e, quindi, di accelerare il corso del giudizio di impugnazione si rispecchia nella previsione del rito camerale accanto a quello dibattimentale. Il rito camerale, oltre che più agile e snello, è anche meno garantista per quanto attiene alla difesa dell’imputato. Infatti il contraddittorio è meramente eventuale (l’art. 127, comma 3, non richiede necessariamente la presenza delle parti in camera di consiglio). La scelta del rito camerale, anziché del dibattimento, è imposta dalla legge quando l’appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena (anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze), o l’applicabilità delle attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della condizionale o della non menzione della condanna (art. 599, comma 1). Il D.L. 92/2008 (conv. in L. 125/2008, cd. decreto sicurezza) ha soppresso il cd. patteggiamento in appello (art. 599, c. 4), che si celebrava con rito camerale. Attraverso tale strumento, il Procuratore generale e l’imputato, potevano concordare la pena reciprocamente rinunciando agli altri motivi di appello. L’istituto aveva una grande efficacia deflattiva; la sua abrogazione è stata dettata dalla finalità di evitare eccessivi abbassamenti di pena in appello anche a fronte di condanne in primo grado per gravi reati. La soppressione dell’istituto del patteggiamento in appello, ha comportato l’aggiustamento tecnico dell’abrogazione del secondo comma dell’art. 602, disciplinante la celebrazione del dibattimento in caso di non accoglimento della richiesta di patteggiamento. E)Sentenza Il processo di secondo grado sfocia in una sentenza (provvedimento tipico di definizione di ciascun grado del procedimento), tranne che ragioni di inammissibilità impediscano l’esame del merito dell’impugnazione, imponendo così la forma dell’ordinanza, ricorribile per Cassazione (artt. 591 e 605). La decisione di appello conferma o riforma la sentenza impugnata; ha sempre immediata esecutività per i capi civili e diventa esecutiva per i capi penali, quando non viene proposto ricorso per Cassazione (art. 605). Se la sentenza di primo grado presenta il vizio della non corrispondenza tra i fatti oggetto di contestazione e quelli oggetto della decisione, se è affetta da nullità assolu- Capitolo XI: Le impugnazioni 289 ta, se vi è condanna per un fatto nuovo o diverso, essa va annullata e gli atti rimessi al giudice di primo grado. 3. Il ricorso per cassazione A)Natura del ricorso Il ricorso per Cassazione si pone come un mezzo di gravame indefettibile, in quanto costituzionalmente previsto contro tutte le sentenze e quei provvedimenti che incidono sulla libertà personale (art. 111 Cost.). La Corte di Cassazione, quale organo supremo di giustizia ordinario, ha il compito di assicurare l’esatta osservanza ed uniforme interpretazione della legge (art. 65 ord. giud.). Siffatta funzione limita, nel contempo, la sua cognizione solo ai vizi di legittimità, che sono tassativamente indicati dalla legge. B)Casi di ricorso Il ricorso è ammesso solo per cinque ordini di motivi (art. 606): 1) esercizio da parte del giudice di potestà riservata ad altri poteri dello Stato; 2) violazione della legge penale; 3) violazione della legge processuale penale, se a pena di nullità, inutilizzabilità, inamissibilità o decadenza; 4) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2; 5) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. La tassatività provoca l’inammissibilità di motivi diversi o sostanzialmente apparenti e manifestamente infondati (art. 606, comma 3). Il «pacchetto sicurezza» ha introdotto nel codice l’art. 625bis c.p.p. che disciplina il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto. La nuova disposizione consente alla Corte, su ricorso del Procuratore Generale o del condannato da proporre entro 180 giorni dal deposito del provvedimento, di correggere errori materiali o di fatto contenuti nello stesso provvedimento. C)Soggetti ricorrenti Tralasciando le ipotesi di ricorso per fini civili, legittimati al ricorso per i capi penali sono l’imputato ed il pubblico ministero. L’imputato può impugnare qualsiasi tipo di sentenza: anche quella di proscioglimento, potendo avere interesse ad ottenere una formula più favorevole. Il P.M. può impugnare non solo le sentenze di proscioglimento ma anche quelle di condanna, potendo avere interesse alla modifica dell’entità della pena, ad una diversa qualificazione del reato, etc. D)Procedimento Il presidente della Corte assegna la trattazione del gravame ad una sezione, individuata secondo criteri predeterminati. Se le questioni proposte sono di rilevante importanza ovvero hanno trovato differenti soluzioni fra le singole sezioni, determinando contrasti 290 Libro II: Diritto processuale penale interpretativi, è possibile, su richiesta del Procuratore Generale, dei difensori o d’ufficio l’assegnazione alle Sezioni Unite (art. 610, comma 2). Le esigenze di difesa delle parti private sono assicurate da una serie di disposizioni previste dagli artt. 611, 612, 613, 614. E)Sentenza Al termine dell’udienza (pubblica o camerale), la Corte decide con sentenza (artt. 615 e ss.). La decisione della Corte sarà una sentenza che potrà essere: — di inammissibilità; — di rigetto; — di rettificazione di errori; — di annullamento senza rinvio; — di annullamento con rinvio. a) Inammissibilità Viene generalmente pronunciata in camera di consiglio, su richiesta del Procuratore Generale della stessa Corte. Essa costituisce una sanzione determinata dalla violazione di norme procedurali (motivi non consentiti, manifestamente infondati, inosservanza di termini e forme per impugnare) ovvero dalla inesistenza di presupposti soggettivi od oggettivi (difetto di legittimazione ad impugnare, rinuncia al ricorso, non ricorribilità del provvedimento) (artt. 591, 606 comma 3, 615 comma 2). L’inammissibilità è sempre di natura tassativa. Il «pacchetto sicurezza», modificando il primo comma dell’art. 610 c.p.p. ha reso più agevole la possibilità in Cassazione di pronunciare l’inammissibilità del ricorso, assegnando quest’ultimo a un’apposita sezione. b) Rigetto Esso si verifica quando il ricorso sia infondato, nel senso che i motivi dedotti, pur non apparendo manifestamente inconsistenti, si rivelino tali dopo la valutazione del giudice. c) Rettificazione Essa risponde ad un’esigenza di conservazione della decisione impugnata, che si verifica tutte le volte in cui errori di diritto o di indicazione di testi normativi inficiano la decisione, ma non la sua esattezza (errori di denominazione, di computo della pena, etc. che possano essere eliminati senza comportare valutazioni discrezionali, spettanti al giudice di merito). Ove invece queste siano necessarie (come previsto nel comma 3 dell’art. 619), la decisione verrà rimessa al giudice di rinvio. d) Annullamento senza rinvio L’annullamento senza rinvio consiste nella cassazione della sentenza, nella sua interezza o in talune sue parti, con definizione del processo (in caso di annullamento parziale, la parte non annullata diventa definitiva: art. 624). Esso implica, come appare evidente, la superfluità del rinvio, sia perché esaurisce il thema decidendum, sia perché comporta eventualmente provvedimenti adottabili dalla stessa Corte. Si tratta di ipotesi tassative (art. 620): — fatto non previsto dalla legge come reato; — reato estinto; — mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità; — reato estraneo alla giurisdizione del giudice ordinario; Capitolo XI: Le impugnazioni 291 — provvedimento contenente disposizioni eccedenti i poteri della giurisdizione; — provvedimento non consentito dalla legge; — sentenza nulla per difetto di contestazione relativamente ad un reato concorrente; — sentenza nulla per difetto di contestazione relativamente ad un fatto nuovo; — condanna pronunciata per errore di persona; — contrasto fra sentenza impugnata ed altra anteriore, relativa alla stessa persona ed al medesimo oggetto; — sentenza che ha deciso in appello materia che era sottratta a tale mezzo di impugnazione; — ogni altro caso in cui la Corte ritenga superfluo il rinvio. e) Annullamento con rinvio Si tratta di un provvedimento di carattere residuale, che viene adottato tutte le volte che non trovano spazio le decisioni che abbiamo già esaminato. Anche in tal caso l’annullamento parziale produce la definitività della parte non annullata (art. 624). La legge individua quale debba essere il giudice di rinvio (art. 623) e quali questioni non possano più essere sollevate nel giudizio di rinvio (art. 627). Si tenga presente che il principio di diritto affermato dalla Corte è vincolante per il giudice di rinvio (comma 3), la cui sentenza sarà soggetta ai gravami ordinari, ma solo per motivi diversi da quelli già esaminati dalla Cassazione (purché non ci si sia discostati dal principio di diritto affermato dalla Corte). Il «pacchetto sicurezza» (L. 128/2001) ha introdotto nel codice l’art. 624bis, che prevede da parte della Corte di Cassazione la dichiarazione di cessazione dell’efficacia di una misura cautelare in caso di annullamento della sentenza di appello. V. anche schema a fine capitolo. 4. La revisione A)Generalità Si tratta di un mezzo di impugnazione straordinario, idoneo a travolgere il giudicato (solo quello di condanna), esperibile senza limiti di tempo (art. 629). L’eccezionalità dello strumento giustifica la tassatività dei casi di revisione (art. 630): — inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della condanna con quelli di altra sentenza irrevocabile; — sopravvenuta revoca della sentenza pregiudiziale, civile o amministrativa, posta a fondamento della condanna (es. sentenza dichiarativa di fallimento, cui abbia fatto seguito la condanna per bancarotta: la revoca della sentenza di fallimento comporta la possibilità di revisione della condanna per bancarotta); — sopravvenienza di prove nuove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrino che il condannato deve essere assolto; — condanna conseguente a falsità in atti, in giudizio o ad altro fatto previsto dalla legge come reato (es. falsa testimonianza). La Corte Costituzionale con la sentenza 4-4-2011, n. 113, ha introdotto un quinto caso di revisione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uo- 292 Libro II: Diritto processuale penale mo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. In siffatte ipotesi, la revisione sarà possibile tutte le volte che potrà comportare il proscioglimento per assoluzione o non doversi procedere, anche se per estinzione del reato. Pertanto la revisione non è ammissibile quando si possono conseguire solo risultati minori (es. esclusione di aggravanti, modificazione della pena etc.). La revisione opera quindi solo a favore del condannato, ma non anche a danno del prosciolto (stante il principio del ne bis in idem ex art. 649). B)Legittimazione e procedimento In base all’art. 632, possono chiedere la revisione: — il condannato o un suo prossimo congiunto, o il tutore, o l’erede (in caso di decesso del condannato); — il Procuratore Generale presso la Corte d’appello che pronunciò la condanna definitiva. La competenza appartiene alla Corte d’appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11, e cioè secondo la tabella allegata all’art. 1 disp. att. (art. 633 comma 1). La domanda è sottoposta ad una preventiva delibazione di fondatezza, effettuata sulla base delle deduzioni contenute nella istanza. In caso di valutazione negativa, la domanda verrà dichiarata inammissibile (art. 634), con ordinanza ricorribile in Cassazione (3). In caso di valutazione favorevole, la Corte d’appello può anzitutto sospendere l’esecuzione della condanna (art. 635); procederà, quindi, alla trattazione delle questioni sollevate, assumendo le prove eventualmente necessarie. La decisione, con i provvedimenti conseguenti (artt. 637 e ss.), potrà formare oggetto di ricorso per Cassazione. 5. Riparazione per ingiusta detenzione e per errore giudiziario Il sistema di diritto vigente prevede la riparazione per l’ingiusta detenzione (artt. 314 e 315); la riparazione per l’errore giudiziario (artt. 643-647) e un generale risarcimento dei danni causati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali (L. 13-4-1988, n. 117). La L. 117/1988 ricordata limita la possibilità del risarcimento ai soli casi di dolo o colpa grave (escludendo perciò le ipotesi di colpa lieve). Nessun ristoro è invece previsto per quei danni che, derivando da colpa lieve del magistrato, sfuggano alla inclusione nelle due ipotesi del codice (si pensi, ad esempio, alle spese sostenute per la difesa; al discredito sociale che possa essere derivato dal procedimento penale etc.). A)La detenzione cautelare ingiusta La presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, dettata dall’art. 27 comma 2 Cost., rafforzata dalla presunzione di innocenza prevista dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (art. 6, comma 2), priva la carcerazione cautelare di ogni giustificazione teorica. Tuttavia le esigenze di tutela della collettività e quelle strumentali della celebrazione del processo richiedono talvolta la compressione del diritto di libertà individuale, anche (3) Se viene accolto il ricorso avverso l’ordinanza, la Cassazione rinvia il giudizio di revisione a un’altra Corte d’appello, anch’essa individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 (art. 634 comma 2, così modificato dall’art. 2 della L. 23-11-1998, n. 405). Capitolo XI: Le impugnazioni 293 se il rischio di tale scelta è che un cittadino potenzialmente innocente venga assoggettato ad una pena, che poi il giudizio potrà rivelare infondata. È necessario distinguere due ipotesi: la custodia cautelare ingiusta e la custodia cautelare illegittima. Si ha custodia cautelare ingiusta (art. 314, comma 1) quando essa è stata sofferta da un imputato successivamente riconosciuto innocente all’esito del processo. Si ha, invece, custodia cautelare illegittima (art. 314, comma 2), allorché essa è stata patita da un imputato (sebbene poi riconosciuto colpevole) in virtù di un ordinanza cautelare illegittima adottata in difetto dei presupposti di legge dei gravi indizi e dei limiti di pena per l’adottabilità del provvedimento (4). A tale accertamento è condizionata la domanda di riparazione (5), che comporterà un indennizzo non superiore a euro 516.456,90 (art. 315). B)L’errore giudiziario Per errore­ deve considerarsi quello che oltrepassa la soglia del giudicato e che viene rimosso con lo strumento della revisione. Non vi rientrano, perciò, le condanne intermedie, che siano state cancellate dai mezzi di impugnazione ordinari (ove mai il soggetto sia stato sottoposto a custodia cautelare, potrà eventualmente riferirsi all’istituto già esaminato alla precedente lettera b). La riparazione avviene mediante pagamento di una somma di danaro (la cui entità sarà commisurata alla durata dell’eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivatene), ovvero con la costituzione di una rendita vitalizia (art. 643). In caso di decesso del condannato, anche prima della revisione, il diritto alla riparazione si trasferisce al coniuge, ai discendenti ed ascendenti, ai collaterali entro il primo grado (art. 644). (4) La Corte cost. con sent. 20-6-2008, n. 219, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314, nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito delle imputazioni. (5) Due sentenze della Corte Costituzionale hanno riconosciuto il diritto a un’equa riparazione anche a chi sia stato ingiustamente detenuto a causa di un erroneo ordine di esecuzione (sent. 25-7-1996, n. 310) e a chi sia stato ingiustamente o illegittimamente sottoposto ad arresto o a fermo (sent. 2-4-1999, n. 109). 294 Libro II: Diritto processuale penale ricorso per cassazione (artt. 606-628) Soggetti legittimati imputato o il suo difensore (art. 607) P.M. (art. 608) avverso: avverso: — sentenza di condanna (art. 533) — sentenza di proscioglimento (art. 529) — sentenza di non luogo a procedere (art. 425) — disposizioni relative alle spese processuali (art. 535) sentenza di condanna — (art. 533) sentenza di proscioglimento — (art. 529) Corte di Cassazione udienza camerale (art. 611) a sezioni unite (artt. 610, 618) a sezione singola udienza pubblica udienza camerale (art. 611) udienza pubblica sentenza inammissibilità del ricorso (artt. 610, 615) annullamento senza rinvio (art. 620) rigetto del ricorso (art. 615, c. 2) con rinvio (art. 623) giudizio di rinvio (art. 627) rettificazione di errori non determinanti annullamento (art. 619) Appendice Quiz ufficiali per la simulazione della prova scritta In questa Appendice proponiamo 2 batterie di quiz tratti dalla Banca Dati ufficiale del precedente concorso per Commissari nella Polizia di Stato (pubblicata in G.U. 20 gennaio 2012, n. 5). Ciascun questionario tiene conto delle indicazioni contenute nell’art. 9 del bando di concorso 2013 circa lo svolgimento della prova preselettiva. A ciascun candidato verrà infatti somministrato un questionario contenente duecento quesiti con cinque risposte per ciascuno di essi, in diritto penale, diritto processuale penale, diritto civile e diritto amministrativo, in ragione di 40 per ciascuna materia. I quiz di ciascuna batteria sono stati selezionati tenendo conto del grado di difficoltà delle domande, secondo le percentuali indicate nel bando. Ricordiamo che la banca dati ufficiale con 5000 quiz (1000 per ciascuna materia) sarà pubblicata 45 giorni prima della prova preselettiva sul sito Internet della Polizia di Stato www.poliziadistato.it. Come ogni anno, la casa editrice Simone pubblicherà il volume con tutti i quiz della banca dati ufficiale (cod. 314/A, “80 Commissari Polizia di Stato - 5000 quiz ufficiali”) con il relativo software per la simulazione della prova. Questionario n. 1 1) Nel reato continuato, il disegno criminoso è.... ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ A)Il verificarsi dell’evento criminoso. B) Ammissibile anche quando sussistono reati dolosi e reati colposi. C) La circostanza aggravante dei reati. D)Il fine ultimo delle proprie azioni. E)Il progetto di compiere più reati, deliberato nelle linee essenziali. 2) La circostanza del reato si dice aggravante.... ❏❏ A) Quando importa un aumento della pena superiore ad un terzo. ❏❏ B) Quando importa un aumento della pena solo da un punto di vista qualitativo. ❏❏ C) Quando importa un aumento della pena o da un punto di vista quantitativo o da quello qualitativo. ❏❏ D) Quando importa una diminuzione della pena o da un punto di vista quantitativo o da quello qualitativo. ❏❏ E) Quando importa un aumento della pena solo da un punto di vista quantitativo. 3) Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, ha compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto è imputabile? ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ A) B) C) D) E) Si, purché abbia almeno la capacità di intendere. Si, è imputabile in ogni caso. Si, se non era soggetto a tutela. Si, se aveva la capacità di intendere e volere, ma la pena è diminuita. No, non è imputabile anche se aveva la capacità di intendere e volere. 4) I delitti contro l’incolumità pubblica.... ❏❏ A) Comprendono tutti quei fatti che offendono la libertà e la normalità della produzione e dello scambio, nonché la fiducia nell’esercizio del commercio, l’ordine del lavoro e la libertà dell’industria e del commercio. ❏❏ B) Comprendono tutti quei fatti costituenti reati di falso. ❏❏ C) Comprendono tutti quei fatti che offendono o mettono in pericolo l’istituto familiare nei suoi vari aspetti: matrimonio, morale familiare, stato di famiglia e assistenza familiare. ❏❏ D) Comprendono tutti quei fatti che possono ledere o mettere in pericolo l’armonica e pacifica coesistenza dei cittadini, turbando il regolare andamento della vita sociale. ❏❏ E) Puniscono l’azione diretta a ledere o mettere in pericolo la vita di un numero indeterminato di persone. 722 Appendice: Quiz ufficiali per la simulazione della prova scritta 5) Ai sensi dell’art. 114 del codice penale, nel caso di concorso di persone nel reato, il giudice può diminuire la pena? A) B) C) D) No, in nessun caso. Si, ma solo per chi ha organizzato la cooperazione nel reato. Si, a suo insindacabile giudizio. Si, qualora ritenga che l’opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o esecuzione del reato. ❏❏ E) Si, ma solo per colui che è stato indotto alla partecipazione per timore reverentialis. ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ 6) Quando il giudice dispone la cauzione di buona condotta applica.... ❏❏ A) Una misura di prevenzione non personale correlata alla commissione di un reato. ❏❏ B) Una pena sostitutiva. ❏❏ C) Una misura di prevenzione patrimoniale. ❏❏ D) Una misura di sicurezza patrimoniale. ❏❏ E) Una misura di sicurezza personale non detentiva. 7) Il delitto è preterintenzionale, tra le altre ipotesi,.... ❏❏ A) Quando dall’omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente. ❏❏ B) Quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato della omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria omissione. ❏❏ C) Quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica per inosservanza di leggi. ❏❏ D) Quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa d’imprudenza ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. ❏❏ E) Quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso meno grave di quello voluto dall’agente. 8) Quali misure di prevenzione sono adottate dal Questore? ❏❏ A) Avviso orale, ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio. ❏❏ B) Divieto di soggiorno, ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, confisca e cauzione di buona condotta. ❏❏ C) Sorveglianza speciale, divieto o obbligo di soggiorno, ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio. ❏❏ D) Sorveglianza speciale, avviso orale, divieto o obbligo di soggiorno. ❏❏ E) Sorveglianza speciale, divieto o obbligo di soggiorno, avviso orale e ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio. Questionario n. 1 723 9) I delitti contro la personalità dello Stato.... ❏❏ A) Comprendono tutti quei fatti che turbano od ostacolano il normale ed efficace svolgimento dell’attività giudiziaria. ❏❏ B) Sono previsti al fine di tutelare il segreto politico interno o internazionale dello Stato. ❏❏ C) Hanno come oggetto la tutela dell’integrità patrimoniale di chi viene in contatto con la pubblica amministrazione, del prestigio dei soggetti preposti alle attività pubbliche di relazione con i terzi, nonché del regolare funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici, con riferimento ai principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. ❏❏ D) Comprendono tutti quei fatti che impediscono, ostacolano o turbano il regolare svolgimento dell’attiva amministrativa, legislativa e giudiziaria dello Stato, nonché l’attività amministrativa degli altri enti pubblici. ❏❏ E) Comprendono tutti quei fatti che offendono gli interessi politici dello Stato. 10) Il delitto è oltre l’intenzione, tra le altre ipotesi,.... ❏❏ A) Quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. ❏❏ B) Quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza. ❏❏ C) Quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di imperizia. ❏❏ D) Quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso meno grave di quello voluto dall’agente. ❏❏ E) Quando dall’azione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente. 11) La dichiarazione di abitualità nel reato si estingue per effetto della riabilitazione? ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ ❏❏ A) B) C) D) E) No, non si estingue mai. No, non si estingue per effetto della riabilitazione. No, si estingue solo a seguito dell’istituto dell’indulto. No, si estingue solo a seguito della concessione della grazie. Si, si estingue. 12) I delitti di associazione politica.... ❏❏ A) Comprendono tutti quei fatti che concernono la vita dello Stato nella sua essenza unitaria, sia che essi abbiano attinenza alle relazioni dello Stato con le altre nazioni, sia che si riferiscano alla vita interna dello Stato. ❏❏ B) Sono previsti al fine di tutelare il segreto politico interno o internazionale dello Stato. ❏❏ C) Sono quei delitti che si concretizzano o in discorsi che mirano a persuadere un gran numero di persone, attraverso l’uso di un linguaggio articolato