PROGETTO PRÓSOPON
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
E CONOSCENZA DELLA PERSONA UMANA

Direttore
Marco Tommaso R
Facoltà Teologica dell’Emilia–Romagna
Comitato scientifico
Fausto A
Facoltà Teologica dell’Emilia–Romagna
Erio C
Arcidiocesi di Modena–Nonantola
François D
Facoltà Teologica dell’Emilia–Romagna
Giuseppe M
Pontificio Ateneo Sant’Anselmo
Bernardino P
Psicologo e psicoterapeuta
Marco S
Università Cattolica del Sacro Cuore
PROGETTO PRÓSOPON
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
E CONOSCENZA DELLA PERSONA UMANA
È il tipo di persona che rende nervoso il caffè.
Leopold F
Il termine “persona” raccoglie un universo di conoscenza,
sia nella visione storica che nella visione teoretica, e prende
forma in quella disciplina che oggi annovera il nome di Antropologia teologica, in una visione aperta e sincera dell’esistenza umana e dei suoi problemi. Lo studio complesso della
scienza moderna e le numerose discipline che si occupano
della persona umana, hanno reso questo settore estremamente vasto e complesso, affascinante e controverso, così come
è l’insieme della relazione tra la persona e Dio. Questa collana raccoglie la ricerca umanistica e teologica sulla persona
umana e sulla sua natura, senza dimenticare l’apertura alla
trascendenza e all’assoluto, anche nelle nuove traiettorie del
linguaggio contemporaneo. Il logo di collana, invece, rappresenta le due prime lettere del termine greco πρόσωπον, in cui
l’equivalente traduzione di “persona” sottolinea l’oggetto di
indagine della ricerca della collana, includendo le sfumature
della semantica del termine stesso, dove la parola πρόσωπον
indica la maschera nella tragedia greca, con il desiderio di
“smascherare” la persona per scoprirne la vera identità.
Marco Tommaso Reali
La grande ribellione
Una cyber–pastorale di GTA V
Prefazione di
Giuseppe Mazza
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice

Prefazione
Mala tempora ludunt: il cattivo in gioco
di Giuseppe Mazza

Introduzione

Capitolo I
La filosofia del gioco

Capitolo II
L’arena online

Capitolo III
La libertà e “Il mio canto libero”

Capitolo IV
Epsilon Program

Capitolo V
Los Santos

Conclusione

Bibliografia

Prefazione
Mala tempora ludunt: il cattivo in gioco
di G M
È un dato di fatto: il cattivo ritorna. Un allarmato bon ton
vi coglierà i tratti di una psicosi di massa, ma più realisticamente dovremmo dire che quello del lato oscuro (della
Forza, del Bene, della vita in genere) è un ritorno più che
scontato. O forse un ritorno atteso, visto che il fascino
del negativo non ha mai smesso di esercitare il ruolo di
controparte in ogni drammatizzazione dell’esistenza. Ce
lo rende evidente la fiction, in specie quella d’animazione:
è fresco di uscita Descendants, dedicato ai figli dei cattivi
Disney, da Maleficent alla Regina Cattiva, da Crudelia Demon a Jafar. Il debordante successo di Cattivissimo me fa il
paio con l’irresistibile simpatia dei Minions, alla ricerca —
in quello che è molto più di un semplice spin–off — di un
cattivo di riferimento per non estinguersi.
Ed è la ricerca di “cattivi di riferimento” a fare, in effetti,
la differenza. La lunga saga di Star Wars ci ha abituato al
cambio di orizzonti: l’odiato Dart Fener della Trilogia diviene, nello sguardo allargato dell’Esalogia, quell’Anakin
Skywalker di cui il pubblico imparerà ad apprezzare le
complesse sfumature chiaroscurali. A fare la differenza è
un cattivo disarmato (perché incapace di nuocerci, dietro


Prefazione
uno schermo), ma comunque disarmante: complesso, in
fondo umanissimo nelle sue contraddittorie spigolosità,
spesso (e nascostamente) più comprensibile della controparte positiva. Che riscuota una condiscendente approvazione è sotto gli occhi di tutti; che cosa ne decreti il
successo è ancora difficile dirlo.
Almeno inizialmente, è forse il desiderio di alternative
a creare i presupposti per l’empatia del primo approccio.
Il cattivo è un “buono alternativo”, è quello che vince per
tutto il film e solo alla fine, forse esclusivamente in ossequio a un’obsoleta tradizione buonista, viene rovesciato.
Il cattivo convince perché, al di là della punizione in cui
prima o poi incorre — che interessa poco, perché in fondo
è quasi sempre scontata —, vive nel segno della libertà. Nei
suoi antivalori, è probabilmente più “vero” del Bene che
osteggia; compos sui, sposa quel lato della realtà — quello
avvolto nell’ombra, meno definito e quindi potenzialmente universale — che seduce più delle nitide quadrettature
dei paladini della luce. Nuovo, interessante, mai banale, il
cattivo realizza l’eversione più sottile: quella che lo staglia
come Possibilità infinita contro l’usurato paradigma della
Norma. È (quasi) tutto, perché è tutto ciò che la Norma
non è: è un ribelle.
Il bel saggio di Marco Tommaso Reali ci guida senza
retorica in questo universo, scandagliando l’epopea della
ribellione e il suo impatto sul mondo giovanile (e non solo)
nel contesto dei videogame. Il riferimento specifico alla
fortunata edizione V di Grand Theft Auto non è casuale: la
sua uscita ha provocato, come fedelmente annota l’autore,
«una enorme tensione in tutto il mondo videoludico, incapace di astenersi dal dominio libero di una realtà in cui
nulla è escluso». L’approccio pedagogico e pastorale può
suscitare diffidenza in alcuni, ma nessuno può comunque
Prefazione

esimersi, in un’epoca in cui l’onere educativo è sempre più
demandato a una pluralità di interazioni, dal confronto con
le dinamiche innescate dall’innesto della virtualità nello
sviluppo della maturità cognitiva.
L’universo dei videogame, del resto, offre ampia risonanza allo scarto cui accennavamo: da un lato la stilizzata
simplicitas della regola, codificazione dell’atrofica inerranza della struttura; dall’altro l’accattivante plurivocità dell’alternativa negativa, dell’antitesi, della violazione. È a colpi
di click, come giustamente rimarca Reali, che «gratificazione e adrenalina sviluppano una continua ridondanza tra
l’asetticità del tempo presente e la virtualità del tempo del
gioco». La percezione delle differenze tra reale e virtuale (o, con terminologia più propria, dovremmo dire: tra
realtà e realtà aumentata) sfuma man mano che l’immedesimazione diventa trasposizione dell’identità. Non è più il
mio avatar a saltare, nuotare, sparare, uccidere, ma sono io
a farlo. Nel farlo, esorcizzo la peggiore delle schizofrenie:
quella che mi separa dalla possibilità di essere.
Non ha davvero senso dire che i videogame sono alienanti perché “allontanano i nostri ragazzi dalla realtà” (da
quale realtà?). È piuttosto l’esatto contrario: essi riconsegnano loro quel margine di virtualità che deve incorniciare
ed espandere la percezione del reale di ciascuno. Se tale
estensione virtuale non esiste, se è mutilata o canalizzata
troppo rigidamente da ambienti educativi necrotici, all’adolescente manca una parte del reale che egli si aspetterebbe di trovare: quella che può essere. Il non–essere, il
non–essere–ancora, quello possibile, quello onirico e —
a breve termine — progettuale, non può mancare nella
crescita di un essere umano. Non dovrebbe mancare mai,
ma è un vero delitto vederlo soffocare soprattutto nell’età
che più di ogni altra è recettiva rispetto ad esso.

Prefazione
Il problema, semmai, è l’assenza di continuità con l’esperienza che i videogame rendono possibile: di qui la
noia, la sensazione di apatia e di insoddisfazione a computer spento. Essa è solo parzialmente dovuta allo sbarramento emotivo che il vissuto ordinario contrappone alla
sovraeccitazione dell’esperienza ludica (peraltro innegabile, poiché il mondo di un videogame è quasi sempre
estremo). Ne è causa anche la percepita assenza di stimoli,
di evocazioni, di ispirazioni che impoverisce l’ordinario.
L’esperienza videoludica diviene patologica se smette
di essere metafora pro–vocante della realtà e assume vita
autonoma. La sua bellezza diventa quindi in–estetica, cioè
esteticamente autoreferenziale, introiettata e introversa,
poiché l’unica propaggine che la connette con l’ordinario
è l’involucro corporeo che ne è fruitore, ovvero il fascio di
nervi, muscoli e ossa che fa da hardware al suo utente finale.
Nella più comune delle ipotesi, diviene poi an–estetica: la
sua bellezza assopisce, spegne la progettualità, non perché
non saprebbe congetturarla, ma semplicemente per mancanza di appigli, di incoraggiamenti, di supporti esterni.
Si anestetizza per disperazione.
L’emulazione della violenza esperita nei videogame,
quella che porta un tredicenne a imbracciare il fucile da
caccia del padre e a far fuoco su familiari e amici, è la
testimonianza estrema di un’assenza e, insieme, l’esito fallimentare di una ricerca disperata: quella della possibilità di
tradurre in realtà il surplus di evocazione che il videogame
rende accessibile. Non (solo) perché i videogame siano
“esagerati” (troppo sangue, troppi morti, troppe parolacce. . . ), ma perché la realtà — quella della famiglia, della
scuola, della società civile — non lo è abbastanza.
Ecco allora lo snodarsi di veri e propri labirinti di solitudine, cui accenna anche Reali: spazi di rimodulazione
Prefazione

silenziosa in cui l’idea stessa di libertà si scolla da quella
di responsabilità e prelude a una malcelata “vendetta interiore”. È forse tutta qui la “grande ribellione” cui allude il
titolo di quest’opera: è la rivalsa esercitata verso una vita
che appare punteggiata dal fallimento e dalla frustrazione,
e non necessariamente per propria diretta colpa. Sta a noi,
sta anche a noi, portarci senza retorica
dinanzi al giovane, che conosce le fatiche della vita solo ora,
che vuole anche sognare prima di precipitare definitivamente
a terra con il carico della sua fantasia. Questo, probabilmente,
molti non lo capiscono, e certi drammi esistenziali, anche profondi, con troppa faciloneria cadono al vaglio di un giudizio
sommario e benpensante. Chi è giovane trascina con sé un
carico di progetti e aspettative della vita, che forse è una delle
cose più belle dell’esistenza stessa. Questa è la vera libertà di
qualità a cui una persona non dovrebbe mai rinunciare.
Prof. Giuseppe M
Docente di Filosofia della comunicazione
Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Roma
Introduzione
La mia esperienza con il mondo dei videogiochi è nata insegnando religione in un liceo. Da piccolo amavo i videogiochi, che passavano tra le mie mani e nelle mia mente in
forma rudimentale, così come era possibile in quell’epoca,
tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta,
assecondando simulazioni sportive con giocatori a forma
di stanghetta, o nella sale videogiochi al mare, dove la fantascienza e il far west costituivano lo scenario di avventure
stilizzate. I ragazzi di scuola, invece, mi hanno insegnato
che i videogiochi oggi sono una cosa molto seria, dove al
livello molto elevato del comparto grafico, tridimensionale
e assolutamente coinvolgente, si dipingono scenari di ogni
genere, dove spesso regna incontrastata la violenza, e dove
il controllo in prima persona del personaggio con cui ci
si identifica, spesso un vero e proprio alter ego, conduce
ad una certa fatica nella distinzione tra l’io reale di questo mondo e quell’io virtuale rappresentato nelle stanze
videoludiche.
All’interno del progetto scolastico realizzato insieme
con i ragazzi, ho imparato da loro la necessità di affrontare il mondo dei videogiochi, dove spesso si affacciano
numerosi contenuti che hanno a che fare con il cristianesimo, la Bibbia, la storia della Chiesa, le religioni e le sette
afferenti al mondo contemporaneo, la massoneria, in una
trama sottile ed efficace in cui parte dei contenuti è palese
e diretto, e parte è invece celato, nascosto e in qualche


Introduzione
modo esoterico. L’analisi dei contenuti di un videogioco
può divenire una straordinaria piattaforma educativa per
imparare ciò che di storico è fittizio ed elevato a genere
letterario di fiction, rispetto a una storia vera, e per distinguere la verità della realtà dalla finzione del virtuale. Molti
valori umani sono in gioco: la libertà, la ricerca della verità, il ripensamento della persona attraverso la storia, la
pace umana e il rispetto per l’altro, tanto per fare qualche
esempio.
La ribellione complessiva, tipica dell’età evolutiva quando entra nella fase adolescenziale, mi ha spinto a scegliere
e a dare priorità al videogioco GTA V (Grand Theft Auto –
V edizione), che rappresenta l’emblema di questa “grande
ribellione”, dove tutto è messo in discussione e dove ogni
cosa è lecita. Questo fenomeno tipico dei teenagers, fase
assolutamente connaturale alla crescita e tappa inevitabile
verso l’età adulta, deve però completarsi con la necessaria
maturità che segna la donna e l’uomo quando sono definitivamente formati. La realtà dei fatti, molte volte, insegna
la difficoltà del completamento dei processi educativi. Anche l’adulto si ribella e ha una componente di ribellione
non indifferente rispetto ai tanti comportamenti assunti.
E questo videogioco è molto amato anche dagli adulti. Ma
GTA V sfoga l’individuo nell’assunzione di tanti atteggiamenti violenti, o ne amplifica inconsciamente l’accesso
portando la ribellione ad affacciarsi nel mondo reale?
Il gioco rappresenta una delle dimensioni umane che
realizzano la natura del nostro essere. Da sempre la persona ha bisogno di giocare, non solo all’interno dell’età
evolutiva, ma anche nell’età adulta, in cui la dimensione
ludica è segno di sviluppo dell’indole emozionale e razionale, al pari della risibilità. La completezza del carattere,
la capacità di fare ironia del mondo attorno a se, lo svilup-
Introduzione

po di una razionalità amichevole ed estrosa conducono al
gioco come forma di aggregazione e crescita sociale.
Non vi è, di conseguenza, nulla di male, se all’interno
di un processo di crescita, un adolescente usi i videogiochi,
dato che questa possibilità è ampiamente e legittimamente
realizzabile anche in età adulta. Tuttavia vi è un limite di
tempo a cui la persona deve attenersi, per non incorrere
nell’assuefazione ad un universo parallelo che, a volte, non
si riesce a dominare, anzi, da cui si è dominati. All’interno
di questa lettura nasce il presente libro, che vuole essere
una guida etica a chi desideri approcciare, conoscere e
giocare con il videogioco GTA V, probabilmente il videogioco più venduto e giocato di sempre, la cui attesa uscita
lo scorso anno ha provocato una enorme tensione in tutto
il mondo videoludico, incapace di astenersi dal dominio
libero di una realtà in cui nulla è escluso.
Tale testo è rivolto sia ai giovani giocatori sia agli educatori, ai genitori, agli psicologi e agli operatori pastorali,
sacerdoti, religiose e religiosi. Questo progetto, di dare
veste etica e critica ai temi del videogioco in questione,
non vuole suscitare eccessivo sdegno o riprovazione per
i contenuti trattati o creare panico, nemmeno è mio desiderio demonizzare questo videogioco o i videogiochi in
generale. Desidero piuttosto accompagnare criticamente
i contenuti presentati, in modo da offrire una maggiore
consapevolezza nell’approccio e nella conoscenza solo indirettamente intravista dai giocatori e provare a costruire
il giusto distacco del gamer (giocatore) tra la realtà virtuale
in cui è inserito e il mondo a cui davvero appartiene. A
questo si accompagna un’attenzione educativa cristiana, la
cui specificità è data in positivo dal rispetto per la dimensione religiosa e per la visione trascendente, e come servizio
educativo nell’avvisare circa la confusione religiosa che va

Introduzione
riorganizzata all’interno dei contenuti della trama videoludica. Inoltre, nel prendere coscienza della realtà violenta e
senza regole, tale da suscitare il ragionevole dubbio sulla
presenza o meno del concetto di persona e sulla legittimità
del divertimento prodotto.
Durante lo sviluppo di questo libro, ho variato la descrizione degli eventi tra prima e terza persona. Ho desiderato,
in tal modo, mostrare il mio coinvolgimento all’interno
del videogioco, la mia esperienza vissuta in prima persona
ne rappresenta il risvolto più divertente e drammatico al
tempo stesso. Ma durante l’analisi dei fatti, ho preferito
parlare in terza persona, per permettere a chi legge di farsi
un’opinione attraverso una serie di considerazioni complesse e importanti. Spero che l’originalità di questo libro
consista anche nell’uso di questa metodologia, in cui è
stato importante per me raccontarmi dentro i fatti vissuti,
per poi commentarli dall’esterno, oltre l’esperienza più
personale. Mi sono spesso rivolto ai giovani usando la parola “ragazzi”, perché mi rivolgo a loro con confidenza,
proprio come quando a scuola insegno religione. Ognuno
poi legga questo termine come più preferisce, ma sappiate che non intendo con esso fare del paternalismo o del
moralismo.
Nel primo capitolo di questo libro introdurremo il tema del gioco e la sua specifica trasposizione sul video, in
modo da coglierne la filosofia complessiva e proveremo
a percorrere insieme l’itinerario emozionale e cognitivo
che viene evocato in chi gioca. Questa prima riflessione è
essenziale per costruire i criteri etici di rappresentazione
dei concetti di persona e relazione, che serviranno come
punti di riferimento nella dinamica critica e di revisione
dei contenuti analizzati. Non potremo mai determinare
un percorso educativo consapevole senza sviluppare l’a-
Introduzione

deguato clima di crescita che vorremmo determinare: un
clima rispettoso, aperto al trascendente, senza tradire i
contenuti di ragionevolezza che una religione offre (e in
GTA V è presentato un sistema religioso), la capacità di
costruire la relazione con il mondo e con gli altri senza far
uso della violenza e delle sostanze stupefacenti.
Nel secondo capitolo analizzeremo lo sviluppo del gioco,
concentrandoci sulla trama libera che la modalità online
(ma in parte anche quella offline) sono in grado di offrire al
videogiocatore. Vi sarà la descrizione ambientale dei luoghi
e dei fatti vissuti in alcune avventure, e la descrizione di
alcune possibilità a disposizione del gamer (giocatore), sino
a determinare la formazione delle squadre di gioco e gli atti
delinquenziali individuali e di gruppo, che possono essere
originati nelle imprese e scorribande che le diverse squadre
possono attuare negli scontri tra loro.
Nel terzo capitolo cercheremo di sviluppare, in maniera specifica, il concetto di libertà che sta alla base di questo
gioco. La presunta libertà senza regole e senza vincoli etici
e giuridici è un tema importante, e che ha bisogno di un
suo specifico accesso contenutistico in una visione filosofico–teologica cristiana. Occorre ricominciare a educare al
fondamentale concetto di libertà non solo gli adolescenti
e i giovani, ma anche gli adulti e tutti coloro che ritengono che essere liberi significhi fare ciò che si vuole. Ho
chiesto aiuto ad una grande canzone italiana per provare a
significare il concetto di libertà. Questa canzone è: “Il mio
canto libero”, di Lucio Battisti, scritta insieme al grande
autore Mogol. Questa canzone mi è sembrata un buon
discernimento per comprendere il significato della libertà
attraverso la relazione tra persone.
Il quarto capitolo è dedicato all’Epsilon Program, la pseudo religione ufologica presente nel gioco, probabile paro-

Introduzione
dia della Chiesa di Scientology. In questo contesto saranno
presentate le diverse concezioni di morte e di futuro escatologico, nonché gli interlocutori indicati dal gioco e lo
sviluppo delle stanze mistiche e delle conseguenti missioni
indicate. Nella revisione di questa parte del gioco, intendiamo offrire al lettore il richiamo specifico sull’importanza della fede nell’era postmoderna e sulla formazione di
una religiosità contemporanea che confonde un eventuale
“Regno dei Cieli” con lo spazio cosmico e con le nuove
creature perfette e trascendenti che lo abitano. Ma abbiamo voluto descrivere alcune critiche che la religione in
generale subisce dal mondo contemporaneo, provando a
mostrarne i limiti.
Nel quinto capitolo tracceremo una visione complessiva di Los Santos, la città che è un mondo da lasciare alle
mappe virtuali e che non può essere né ispirato né aspirato
da alcuno che abbia buon senso e voglia di vivere. Per questo il quinto capitolo opererà la conclusione di ispirazione
nichilista che la gestione visionaria di questo videogioco
comporterà, appassionante ed eroico nel male sino alla
morte (possibilmente dell’altro), in un difficile e discutibile modo di pensare il divertimento non casuale a cui si
viene educati. Los Santos è stata misurata anche attraverso
l’ausilio delle due città figurate nel libro dell’Apocalisse:
Babilonia e Gerusalemme.
Lasciamo agli psicologi, agli educatori, ai genitori, ai
sacerdoti il compito di valutare e stabilire l’influsso tra
la dimensione cognitiva e il comportamento reale che
questo mondo virtuale affrontato in questo “viaggio” lascia
a chi gioca, sino a creare gli adeguati collegamenti tra le
anomalie comportamentali di molti giovani e l’eventuale
ispirazione regalata da GTA V. L’impostazione personale
che suggerisco al lettore è quella di farsi trascinare in una
Introduzione

piacevole e difficile avventura, che è quella di ogni tipica
sfida educativa, dove l’errore conseguito e la responsabilità
personale mancata non sono demoni da esorcizzare, ma
piuttosto devono incuriosire coloro che si occupano di tali
argomenti e devono condurre ad una nuova formazione.
Questa è anzitutto una informazione dei rischi assunti
e un’acquisizione di una responsabilità e di una coscienza
che manca proprio nel mondo adulto, laddove l’assenza
di tempo o la paura del mondo tecnologico impedisce ai
più di interessarsi dei tanti videogiochi lasciati nelle mani
e nella testa dei ragazzi, con le loro specificità che sono
accondiscese molto più che le forme educative lasciate dal
mondo adulto.