UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA MASTER DI I LIVELLO EDUCATORE ESPERTO PER LA DISABILITÀ SENSORIALE TESI DI MASTER ANTONIO PROVOLO: STORIA DI UN UOMO E DEL SUO METODO EDUCATIVO PER I SORDI. TRA XIX E XXI SECOLO Relatori dott.ssa Marcella Nalli prof. Mario Gecchele Specializzanda dott.sa Valentina Baldari VR099569 Anno Accademico 2010-2011 A tutti i bambini speciali che ho conosciuto, che conosco e che conoscerò... Grazie per aver dato un senso a tutto quello che faccio! INDICE Introduzione pag.1 PARTE PRIMA: ANTONIO PROVOLO E IL SUO METODO NEL XIX SECOLO Capitolo 1 pag. 4 Antonio Provolo: l'uomo, il servo di Dio, l'educatore 1.1 Cenni storici sull'educazione dei sordi 1.2 Antonio Provolo e l'educazione dei sordi nella Verona del XIX secolo 1.3 Provolo: il precursore della moderna musicoterapia Capitolo 2 pag.11 Il metodo educativo 2.1 Il sordo non educato 2.2 L'importanza della lettura labiale 2.3 Dal canto alla parola PARTE SECONDA: ANTONIO PROVOLO E LA MODERNITÀ Capitolo 3 pag.18 Modernità del metodo provoliano 3.1 Il metodo di Provolo al Congresso di Milano: la tarda riscoperta del genio pedagogico 3.2 Provolo iniziatore del metodo orale puro Capitolo 4 pag. 24 Applicazione moderne del metodo di Provolo 4.1 L'istituto Fortunata Gresner di Verona: le suore che hanno continuato il progetto di Don Provolo 4.2 Metodi odierni in sintonia con la metodologia provoliana 4.2.1 Improvvisazione clinica. Il metodo di Giulia Cremaschi Trovesi 4.2.2 Applicazioni della musica nell’educazione del sordo: metodo di Alain Carrè Riflessioni conclusive pag. 46 Allegati pag. 50 Bibliografia pag. 55 Siti internet pag. 57 Ringraziamenti pag.58 INTRODUZIONE “A parlare con verità i sordi di nascita non debbono per ciò chiamarsi anche muti, mentre ed hanno la potenza di parlare e realmente anche parlano”1 così apriva Antonio Provolo, giovane sacerdote veronese che nel 1830 aprì nella sua città una scuola per l'istruzione dei sordi, la Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita. Si dice spesso che la sordità è una disabilità invisibile, difficile da mettere in luce in tutti i suoi aspetti. La sordità non “si vede”: è riconoscibile solo al momento di comunicare. Così le persone sorde non sempre ricevono da parte degli udenti tutte quelle attenzioni e quella disponibilità necessarie ad affrontare le difficoltà comunicative che possono incontrare. Giulio Ferreri afferma “che il sordomuto fu sempre considerato, per molti secoli, come un individuo non sociabile perché incapace di educazione e che soltanto molto tardi e con grande difficoltà si è arrivati a comprendere che il sordomutismo è un fenomeno psico-patologico secondario in ordine alla vita dello spirito e allo sviluppo dell'intelligenza”2. Il sacerdote veronese aveva ben compreso che la sordità non implicava l'incapacità di parlare, un erronea convinzione che ha attraversato i secoli e che ha influenzato la ricerca sulla metodologie educative e riabilitative dei sordi. Molte persone sorde in realtà hanno l'apparato fonatorio integro, ma non potendo udire non possono apprendere il linguaggio in modo naturale come una persona udente, e di conseguenza anche quello scritto, perché non riescono a cogliere la corrispondenza tra suono e significato e non riescono a controllare i suoni che emettono, per questo necessitano di un intervento logopedico. L'apprendimento del 1 2 A. Provolo, Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita, Verona, 1838 p. 2. G. Ferreri, Disegno storico sull'educazione dei sordomuti, vol. I, Milano, 1917, p. 4. linguaggio verbale, per questi motivi, nella persona sorda deve servirsi degli altri sensi, come la vista e il tatto. Provolo aveva colto questa erronea corrispondenza già nel XIX secolo e aveva improntato il suo metodo per ridare la parola ai sordi, attraverso il canto. Ma per arrivare all'eliminazione del termine “sordomuto” e alle influenze negative del suo uso sui metodi riabilitativi bisogna aspettare, in Italia, il 2006 con la legge n. 95 che ha cancellato definitivamente il preesistente termine “sordomuto” da tutte le leggi in vigore, sostituendolo con “sordo”, ed ha introdotto il criterio della “compromissione” del linguaggio al posto del suo “impedimento”. Vale a dire che l’apprendimento del linguaggio non deve più essere impossibile ma soltanto difficoltoso e, quindi, può realizzarsi, ad esempio, grazie alla protesizzazione ed a percorsi abilitativi precoci. Questo ritardo nel considerare la relazione tra sordità e mutismo come una erronea corrispondenza è stato causato da “il persistere per lungo tempo, nella cultura pedagogica del nostro Paese, di una sorta di pregiudizio culturale nei riguardi dell'educazione speciale, ivi compresa quella dei sordomuti”3come afferma Roberto Sani nella sua opera “L'educazione dei sordomuti nell'Italia dell'800”. Ma ritorniamo alla prima metà dell'800, anni in cui il Provolo, nonostante le controversie di quei tempi tra metodo orale e metodo gestuale in cui era immersa le delicata questione dell'educazione dei sordi, delineai i tratti della sua pratica riabilitativa originale avente come unico fine il ridare la parola al sordo attraverso la musica e il canto. Un metodo che è stato successivamente paragonato alla musicopedagogia da Aleardo Zecchini 4 e da Giulia Cremaschi 3 4 Sani R., L'educazione dei sordomuti nell'Italia dell'800, Società Editrice Internazionale, Torino, 2008 p. VII della Prefazione. Padre Aleardo Zecchini è direttore dell'Istituto Don Antonio Provolo di Verona. Trovesi5 e alla musicoterapia da Maria Palma Pelloso6. Questo lavoro ha lo scopo di illustrare, nella prima parte, la figura di don Provolo, nel suo secolo, il XIX, alla luce del contesto storico e culturale di quel tempo con alcuni accenni alla modernità delle sue intuizioni e del suo metodo educativo. La seconda parte, invece, propone una rivisitazione moderna dell'opera di don Provolo, infatti vengono illustrate le motivazione che portano a considerare estremamente moderni i capi saldi del suo metodo, che sono in linea con le considerazioni finali del congresso di Milano del 1880, cioè l'importanza del metodo orale puro nell'educazione e nell'istruzione del sordo. L'ultimo capitolo illustra le applicazioni moderne del metodo provoliano riportando un'intervista a una suora-insegnante che ha lavorato seguendo i principi del metodo di Provolo nell'istituto femminile, da lui fondato nel 1841, oggi denominato Centro Scolastico “Fortunata Gresner” e una breve ricerca su chi oggi si occupa di musicoterapia per sordi in linea con le intuizioni di don Provolo, una ricerca che si sofferma su due importanti figure, Giulia Cremaschi Trovesi e Alain Carrè. 5 6 Giulia Cremaschi Trovesi è una musicista e una musicoterapeuta bergamasca, che attua interventi di musicoterapia per bambini sordi in sintonia con le intuizioni del Provolo. Maria Palma Pelloso è autrice della più recente biografia di Provolo, Silenzio e parola, Verona, Novastampa, 1989. PARTE PRIMA ANTONIO PROVOLO E IL XIX SECOLO CAPITOLO 1 ANTONIO PROVOLO: L'UOMO, IL SERVO DI DIO, L'EDUCATORE 1.1 Cenni storici sull'educazione dei sordi1 Le prime testimonianze di rieducazione del sordo si hanno a partire dal XVI secolo. Da allora fino al XVIII secolo la rieducazione del sordo è a carattere esclusivamente privato. Alla fine del ‘500 un monaco benedettino, Padre Ponce de Leon, rieduca tre fratelli sordi, figli di una nobile famiglia castigliana, servendosi di una sorta di alfabeto manuale.L’arte della rieducazione tra il XVII e il XVIII sec. si diffuse anche in Inghilterra, Svizzera, Olanda, mentre la prima scuola pubblica per sordomuti fu fondata dall’abate de L’Epée nella seconda metà del ‘700, in Francia. Il metodo di de L’Epée ebbe un enorme successo poiché associava il segno alla parola francese scritta. Tale metodo fu poi perfezionato dal successore di de L’Epée, l’abate Sicard che diresse dopo di lui la scuola parigina (1789). Grazie a Sicard, il metodo e la lingua dei segni francese si diffonderanno anche negli Stati Uniti. In Italia, inizialmente, si utilizzò il metodo gestuale grazie all’abate Silvestri che seguì le linee del metodo de L’Epée: si istruivano gli allievi nell’articolazione, nella lettura labiale, ma con il supporto gestuale come mezzo primario di comunicazione. Il XIX secolo segna la svolta nel campo dell'educazione dei sordi: “è in questo periodo, infatti, che si determina, nelle sue linee essenziali, il modello istituzionale e operativo che caratterizzerà le iniziative per l'istruzione e l'educazione dei sordomuti nel nostro Paese per oltre un secolo e ne condizionerà profondamente la fisionomia e gli stessi indirizzi culturali metodologici-didattici”2. Gli istituti per sordomuti che sorsero (Milano, Bologna, Roma, Torino, Per la storia dei sordi ho attinto alla premessa di R. Sani, L'educazione dei sordomuti nell'Italia dell'800, società Editrice Internazionale, Torino, 2008 p. XII-X. 2 Sani R., L'educazione dei sordomuti nell'Italia dell'800, Società Editrice Internazionale, Torino, 2008 p. 3. 1 Verona) tra la fine del 1700 e il 1850 ebbero il merito di dare un'istruzione ai sordi e insegnare loro un mestiere, facendoli vivere a contatto con altri sordi, sempre utilizzando la lingua dei segni come metodo principale. La disputa ideologica tra i sostenitori dell’oralismo, quindi della verbalità con esclusione dei segni, e quelli del gestualismo, quindi della lingua dei segni, venne risolta al “Congresso Internazionale” di Milano nel 1880 dove si optò in favore del metodo orale puro e si affermava che “il Congresso, considerando la non dubbia superiorità della parola articolata sui gesti, per restituire il sordomuto alla società, per dargli una più perfetta conoscenza della lingua, dichiara che il metodo orale debba essere preferito a quello della mimica nell'educazione ed istruzione dei sordomuti.” 3 Quindi il Congresso riconobbe l'oralismo come l'unico metodo di insegnamento della lingua parlata ai sordi, basato sull'importanza dell'espressione verbale e della lettura delle labbra. Anche nella realtà venne scelto il metodo orale come metodo ufficiale, annullando in tal modo tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i segni e il metodo misto. Questa data rappresenta una svolta storica nell’educazione ufficiale del sordo. Nella vita quotidiana, il gesto continuava ed essere utilizzato stabilmente. In effetti la lingua orale veniva usata per gli apprendimenti scolastici e i segni solo nella vita di tutti i giorni, in quanto i ragazzi sordi riuscivano a comunicare in modo più spontaneo e con meno fatica. 1.2 Antonio Provolo e l'educazione dei sordi nella Verona del XIX secolo4 All’inizio del XIX secolo, per iniziativa di alcuni educatori filantropi, furono aperte delle scuole adatte per l’istruzione e l'educazione dei sordi, al tempo S. Maragna, La sordità: educazione, scuola , lavoro ed integrazione sociale, Hoepli Editore, Milano, 2000, p. 23. 4 Per la storia dell'educazione dei sordi a Verona nel 1800 ho attinto al primo capitolo di M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 32-36. 3 denominati “sordomuti”. A Verona alcune persone furono sensibili alle opere di aiuto di coloro che erano i più colpiti dalla povertà e dall'ignoranza. In questo panorama emerse una figura nota in Verona, la marchesa Maddalena di Canossa che, istituendo la Congregazione di Suore "Figlie della Carità”, volle aiutare le fanciulle sorde abbandonate in strada, ospitandole nel Convento di San Giuseppe, dal 1815 al 1830, per educarle ai principi del Cristianesimo. Mentre la marchesa si occupava delle ragazze sordomute, il giovane sacerdote Lodovico Maria Besi aveva a sua volta ospitato una decina di maschi sordomuti nella sua casa per educarli ed istruirli. Quando il sacerdote Besi fu chiamato al Collegio Vaticano, confidò al curato della chiesa di San Lorenzo, don Antonio Provolo, la sua preoccupazione di dover cessare la scuola per i sordomuti. Antonio Provolo era nato a Verona il 17 febbraio 1801, in una famiglia di modeste condizioni sociali; rimasto orfano di padre a 15 anni, studiò prima presso i carmelitani scalzi e, dopo la soppressione napoleonica degli Ordini religiosi, passò a studiare al ginnasio di S. Sebastiano. Fig. 1 Don Antonio Provolo (1801-1842) Conobbe in questo periodo padre Giovanni Frisoni, che divenne per lui direttore spirituale e confessore; su suo consiglio infatti entrò nel seminario vescovile di Verona, per diventare sacerdote; e ci riuscì il 18 dicembre 1824, coronando così anche gli sforzi che la madre, una lavandaia, aveva fatto per mantenerlo agli studi, nonostante le ristrettezze economiche, sopravvenute con la morte del padre5. Fu insegnante di grammatica nello stesso seminario per un paio d’anni6, finché lasciò l’incarico seguendo don Luigi Bragato nell’Oratorio di S. Lorenzo, frequentato da molti giovani, ai quali dedicò il suo impegno di educatore e di appassionato cultore di musica e canto 7. Nel 1830 avvenne poi l'incontro con il conte Lodovico Maria Besi (18051871), che in alcune stanze vicino alla chiesa di S. Pietro Incarnato, aveva raccolto qualche sordomuto, per dare loro un insegnamento, il conte però decise di partire per Roma; quindi la scuola, con grande preoccupazione del suo fondatore, doveva chiudere. Quella preoccupazione colpì profondamente il Provolo, tanto da decidere di assumersi l’impegno di continuare l'educazione dei sordomuti, scoprendo in tal modo quella che poi gli fu riconosciuta come una vera vocazione, visto che iniziò a studiare per poter insegnare adeguatamente ai sordi, ed aprì, quindi, una scuola specializzata in Via Enrico Noris nel 18308 dove alloggiava con i pochi sordomuti giù iniziati all’educazione dal conte Besi, e dove in quel nuovo compito fu aiutato da altri sacerdoti e da alcuni laici. La scuola di Don Provolo “sarà la prima istituzione veronese stabile, dedita all'educazione e all'istruzione dei sordi”. 9 Successivamente avvenne l'incontro con Maddalena di Canossa 10, con la quale il Provolo riuscì ad ottenere nel 1832 la chiesa di S. Maria del Pianto con un orto, dove si trasferì con la scuola ed un gruppo di collaboratori, sacerdoti e laici, che si era formato intorno a lui e alla sua scuola. Intanto proseguendo nella collaborazione con la Canossa, diede vita alla Congregazione dei Figli della Carità, chiamati poi “Canossiani”. Ma le strade dei due fondatori si divisero, perché la Canossa considerò fra le sue Istituzioni, non primario l’intervento per i sordomuti, mentre per Antonio M.P. Pelloso, Silenzio e Parola, pp. 27-31. Idem, pp. 39-40 e 45. 7 Idem, p. 55. 8 Idem, pp. 96-97. 9 M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 33. 1 0 L. Maestrelli, Biografia di don Antonio Provolo, 1901, p. 25. 5 6 Provolo era diventato lo scopo più importante della sua vita. Fig. 2 Prima Sede della scuola di Provolo di Verona, in via Enrico Noris (1830). Così andò per la sua strada, ponendo le basi di una nuova congregazione religiosa maschile, che chiamò “Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti”, fondata nel 1839; due anni dopo diede vita all’istituto femminile che si chiamerà “Compagnia di Maria per l’educazione delle sordomute” di cui diventerà direttrice una delle sue prime collaboratrici, Fortunata Gresner (18171886). Fig. 3 Logo della Congregazione delle “Suore della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti” fondate a Verona nel 1841 da don Antonio Provolo, con la collaborazione di suor Fortunata Gresner. Don Provolo morì il mattino del 4 novembre 1842 a soli 41 anni 11; dal 1 1 Idem, pp. 77-81. 1930 è sepolto nella chiesa di S. Maria del Pianto a Verona. Sono in corso dal 1960 i relativi processi per la sua beatificazione. 1.3 Provolo: il precursore della moderna musicoterapia Provolo sarà il primo in Italia ad escogitare per i sordomuti un nuovo e più razionale metodo di insegnamento, dando loro non solo un linguaggio mimico, come allora era usanza, ma era convinto che si poteva dare ad essi la parola con la parola, metodo diffuso specie in Germania; essi dovevano avere la padronanza del linguaggio leggendolo dal labbro, ma anche dal mento, dalla gola e dal petto dei loro interlocutori, con un apprendimento “vibrotattile-visivo” della parola. Fu un precursore della moderna musicoterapia, perché fece anche riusciti tentativi di insegnare ai sordomuti il canto: “Grazie a Provolo, in musicoterapia siamo in grado di dimostrare che il sordo può accedere al linguaggio verbale seguendo un percorso didattico fondato sulla spontaneità naturale e sulla memoria dei suoni” 12. Giulia Cremaschi Trovesi13 sostiene che: L'educatore veronese sviluppa la sua metodica rendendosi conto che la competenza del sordo cresce se il soggetto viene educato all'ascolto e al riconoscimento dei suoni; egli comprende che non basta puntare a una memoria stimolata da una azione di tipo motorio-visivo-spaziale, ma che un'azione acusticotemporale consente di confrontare ciò che si dice con ciò che si è ascoltato. Poiché ogni voce umana è fatta di suoni, Provolo inventa un uso sociale e sapiente del suono. Scoprire e discriminare il suono proveniente dalle vibrazioni della cassa armonica di un pianoforte o di un violoncello è stata per il sordo una scoperta capace di far scaturire forti emozioni. Il sordo che incontra Provolo è una persona che si sente morta ma, successivamente all'incontro, si scopre in vita e scopre che la vita è bella nonostante la povertà e l'indigenza, si scopre anche capace di migliorare la propria capacità di vita, la propria abilità, si scopre utile agli altri, è felice. Far scoprire la possibilità di esprimere il proprio “io” attraverso la voce è una cosa straordinaria, perché significa liberare la persona sorda da un mortale isolamento. E il sordo che vive in questo isolamento spesso diventa aggressivo. La persona sorda, scoprendosi capace di generare il suono, la parola, il canto, perde ogni paura e aggressività; oltre ad acquistare coraggio e gioia di vivere, fortifica 2 M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 16. 1 3 Presidente della Fondazione Italiana Musicoterapeuti. 1 l'apparato respiratorio e fonatorio.14 Provolo comprese già nel quarto decennio del XIX secolo che si doveva andare oltre l'udito e la “vicarietà degli altri sensi” e che tutto il corpo doveva diventare partecipe di un dialogo per troppi secoli interrotto a scapito della persona sorda. La musica, la parola, il canto, investendo di armonici e arricchendo di nuove possibilità il corpo del sordo, facevano sì che egli, poco a poco, scoprisse di poter adeguatamente comunicare con i propri simili ed esprimere quindi in pieno tutta la propria potenzialità umana 15. Sul suo metodo d’insegnamento scrisse anche un dotto manuale e altre opere inerenti i sordomuti. 1 1 4 Idem, pp. 16-17. 5 Idem, p. 146. CAPITOLO 2 IL METODO EDUCATIVO Don Provolo nel suo Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona (Verona, 1839) delinea i tratti del suo metodo partendo dall'analisi della condizione in cui si trova il sordo e dal perché è necessario che impari a parlare, leggendo il labiale, per arrivare alle strategie che bisogna attuare per arrivare ad apprendere la lingua e a cantare. 2.1 Il sordo non educato Il sordo dalla nascita si trova in una condizione delicata che Provolo denomina come “stato infelice del sordomuto”7 in quanto non gli è concessa alcun tipo di istruzione. Dopo un'infanzia accompagnata dal «dirotto amarissimo pianto» e dallo sguardo «di compassione e di dolore» della madre, lo attenderà una vita di emarginazione, rattristata dall'incapacità di trovare una risposta alle domande fondamentali dell'esistenza dell'uomo e dell'universo e di dare senso alla sofferenza 8. Provolo si preoccupava del fatto che il sordo non potendo udire non riusca a cogliere la parola di Dio, e quindi a non capire il senso della natura e dell'universo, rimanendo ad uno stato infelice simile a quello degli animali. Per questo egli afferma che è importante che i sordi apprendano il linguaggio verbale, ne ha bisogno la loro anima, la quale “senza la cognizione delle parole che determinano, che dividono, che definiscono, che generalizzano le idee che le si presentano dinnanzi, ella non può percepirle che indeterminate, confuse, erronee e affatto ristrette”9. Senza il linguaggio nella testa del sordo, a parere del Provolo vi sarebbe il caos più totale che compromette l'uso della A.Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. V. M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 39-40. 7 8 9 A.Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. VII. ragione, per questo è necessaria la parola affinché si impari a riflettere e a ragionare, in modo da poter vivere insieme alle altre persone. 2.2 L'importanza della lettura labiale “I gesti non sono un mezzo sufficiente per mettere i sordomuti in possesso della lingua e ridonarli perfettamente alla società, ma vi si richiede in primo luogo il linguaggio articolato” 10: in questa frase l'autore racchiude il suo pensiero nei riguardi dell'impronta nettamente oralista da dare al suo metodo. Il linguaggio dei gesti, secondo Provolo, può solo in parte supplire al linguaggio verbale, non sostituirsi ad esso. Con questo non lo esclude totalmente dal suo metodo educativo, anzi ritiene che sia un passaggio importante, in quanto l'allievo può, con esso, passare dallo stato di sordomuto a quello di “sordo-parlante e intelligente”11. Provolo è a favore del metodo orale perché sostiene che non tutti possono comprendere il linguaggio dei gesti, sono pochi quelle che riescono a comprenderlo anche tra le persone letterate; per questo nella vita pratica , in famiglia, al lavoro, il sordo che non è stato educato al linguaggio verbale incontra molte difficoltà a comunicare con gli altri e ciò implica l'esclusione sociale. L'apprendimento della lingua parlata sarò lento e difficoltoso, ma sicuramente possibile. “Questo lo si potrà ottenere istruendo l'allievo a cogliere le singole parole e quindi l'intero discorso solo osservando i movimenti delle labbra di chi parla” 12. Un prerequisito essenziale è proprio quello che il sordo impari a leggere le labbra, se gli si vuole dare la possibilità di percepire le istruzioni del maestro e quello che gli altri intendono comunicargli. La lettura labiale permette di percepire il linguaggio verbale con la stessa immediatezza e rapidità con la quale la persona udente lo coglie nella vita di tutti i giorni. Idem, p. VIII. Idem, pp. IX-X. 12 Idem p. X. 10 11 Imparare a leggere sulle labbra del proprio interlocutore con rapidità è possibile, perché è come leggere un qualsiasi testo scritto, secondo Provolo. L'educatore dapprima pronuncerà le sillabe molto lentamente, con movimenti della labbra assai accentuati, seguendo lo stesso ordine con cui sono riportati nella Tavola I (vedi allegati); gradualmente abituerà l'allievo a leggerle sulle labbra con maggior velocità, quindi invertirà l'ordine con cui sono scritte sulla tavola, fino ad arrivare alla lettura sui movimenti naturali delle labbra. Giunti a questo punto, […] il sordo dovrà quindi memorizzare molte parole, saper ben pronunciarle e infine esercitarsi a leggerle sulle labbra, con lo stesso procedimento descritto sopra con le sillabe delle quattro tavole (vedi allegati).13 L'apprendimento della lettura delle parole sulle labbra segue la stessa linea dell'apprendimento della lingua, per cui si impareranno prima i sostantivi, poi i verbi, poi si passerà agli aggettivi e alle parti non declinabili, cioè preposizioni, avverbi, congiunzioni ed espressioni del linguaggio comune. 2.3 Dal canto alla parola Il sordo che ha imparato a parlare lo fa con qualche difficoltà, il suono della sua voce è spesso differente rispetto a quello dell'udente, è un suono incomposto, gutturale, talvolta spiacevole da udire e “che talora toglie intelligenza al discorso”14. Se ascoltiamo il parlare di ciascuno di noi, secondo il nostro autore, ci accorgiamo che di fondo c'è un canto che varia a secondo della provincia di cui siamo originari, ed è proprio questo canto di fondo che dà colore e valore a quello che stiamo dicendo, per queste ragioni bisogna insegnare al sordo a cantare, perché il sordo “cantando si sente internamente”15. Questa capacità di sentirsi internamente si attua solo cantando e non semplicemente parlando perché, afferma Provolo: M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 55. 14 Idem, p. XI. 15 M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p.44 13 ...col canto facendogli sentire internamente diversi suoni temperati con dolce melodia, l'anima corre subito a riflettere questa piacevole novità che in lei succede e da quel momento riflette al suono non solo quando canta, ma ancora quando parla ed acquista conseguentemente quella memoria prodigiosa di cui tanto il sordomuto abbisogna” 16 Provolo appare abbastanza fiducioso nel ritenere il canto il metodo migliore per educare il sordo e in particolar modo per addolcirlo, in quanto spesso i giovani sordi con cui lavorava dimostravano un carattere irrequieto e ingrato. La musica è per il sacerdote veronese un mezzo di straordinaria capacità educativa, in quanto permette di educare anche popoli selvaggi che non hanno mai avuto un accenno di civilizzazione, perché desta nell'animo di ognuno di noi, l'affetto principale, l'amore, che di noi tutti è fondamento. L'anima ascoltando la musica, che altro non è che un insieme di variate e ordinate percussioni, prova un piacere che si chiama armonia. Il sordo anche se non sente il suono, ne coglie il tempo e il moto, investendo la sua anima: questo è l'effetto speciale della musica. Nelle Prefazioni ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordi-muti di nascita, Provolo propone l'insegnamento del canto ai sordi anche come un metodo terapeutico, che giova alla salute di questi, in quanto cantare permette di evitare molte malattie polmonari di cui a quel tempo erano affetti molti giovani sordi, malattie che a parere dell'autore si potevano evitare con l'esercizio polmonare che si fa quando si canta. Prima di imparare a parlare, quindi, bisogna imparare a cantare: dal canto alla parola, è questa la scoperta del genio di questo grande educatore dei sordi del 1800, una scoperta che permette al sordo di entrare in possesso di una lingua. Nel Manuale Provolo riporta le strategie da adottare per permettere l'apprendimento della lingua nei sordi. 16 A.Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. XII. Provolo suppone di insegnare ad un gruppo di dodici allievi con l'aiuto di un assistente. Inizialmente li aiuta ad apprendere la lettere dell'alfabeto unitamente alla dattilologia, quindi i mille e cinquanta sostantivi elencati nel primo fascicolo del Manuale: tali sostantivi sono divisi in “classi” per facilitarne la comprensione e, per abituare gradualmente l'allievo alle parole astratte, ogni gruppo di nomi è preceduto dal “nome generico che li abbraccia” (per esempio “corpo umano” per i nomi dall' 1 al 85, “veste” per quelli dall'86 al 122, “cibo” dal 123 al 150). Per aiutare la memoria del sordo l'autore fa notare certi accorgimenti: i nomi sono posti verticalmente uno sotto l'altro, ciascuno porta il numero progressivo e dopo ogni sei nomi c'è uno spazio o intervallo. Questa “nomenclatura” viene riportata in un libro grande, con caratteri di dimensioni tali da poter esser letti comodamente da dodici allievi quando il libro è posto su di un leggio; su ogni pagina di questo volume non compaiono più di sei sostantivi. A questo punto il maestro spiega a gesti i primi sei nomi, poi invita il miglior scolaro a ripetere mentre egli con una “verga” man mano li indica. Come l'allievo avrà terminato andrà a ripetere gli stessi nomi davanti all'assistente leggendoli però su un normale libro stampato: alla fine li studierà e imparerà da solo con la dattilologia. Nel frattempo un secondo scolaro ripeterà quanto svolto dal primo con l'insegnante, con l'assistente e da solo e quando questo “triplice esercizio” sarà stato eseguito da tutti i dodici allievi, il maestro passerà a spiegare altri sei nomi e così via. Nei primi giorni bisognerà fare attenzione a non spiegare troppi nomi e a fare ogni tanto una ripetizione generale. […] All'allievo si dovrà anche insegnare con esemplificazioni pratiche le declinazioni dei nomi, i pronomi e i verbi essere e avere. […] Per far conoscere il significato dei verbi Provolo si serve dei sostantivi già imparati precedentemente; così per la relazione stretta che passa fra il soggetto, il verbo e il complemento oggetto, per l'associazione delle idee si ottiene il duplice risultato di mettere in chiaro il valore del verbo e di imprimere ancor più nella memoria sia i nomi che i verbi. A tal fine i verbi sono collocati in ordine alfabetico e, come i nomi, vengono numerati, divisi in gruppi di sei da uno spazio o intervallo mediante il medesimo triplice esercizio, ma con un'importante variante: se a questo punto l'allievo sarà in grado, studierà i verbi non con la dattilologia ma pronunciandoli con il linguaggio articolato. […] Ciò che si è detto per i verbi vale anche per gli aggettivi e per le parti indeclinabili (preposizioni, avverbi, congiunzioni e espressioni usate nel linguaggio comune). È importante esercitare il sordo nella coniugazione dei verbi regolari: a tal fine il Manuale riporta tutte le desinenze delle tre coniugazioni; una volta apprese con scioltezza, si passerà ai verbi irregolari.17 Altro passaggio necessario ad arrivare all'uso della lingua, superando la fase in cui si apprendono tutta una serie di parole, è l'apprendimento del “linguaggio articolato”, al quale si può giungere utilizzando il tatto e la vista, per supplire alla mancanza dell'udito. È un compito questo che dovrà essere esercitato con “somma pazienza” dagli educatori perché necessita di tempi M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 47-48. 17 lunghi, di continue rassicurazioni e incoraggiamenti, che saranno ricompensati dal raggiungimento dell'obiettivo sperato. ...al sordo quindi non si deve insegnare, come hai bambini che hanno udito e parola, che effe più a dà fa, ma l'educatore, pronunciate immediatamente le sillabe fa, fo, fu, fe, fi, istruisce l'allievo a emettere il “valore assoluto” della consonante, cioè la f senza vocale. […] Per prime si insegnano le vocali, perché sono le basi e le fondamenta della pronuncia; meglio dal punto di vista pedagogico iniziare dalle più facili in modo da incoraggiare l'allievo, quindi iniziare dall'o e dall'u, per poi passare all'e e all'i. Lo stesso vale per le consonanti... 18 Per far apprendere al sordo il suono di ciascuna vocale e consonante, Provolo ci dice che bisogna utilizzare due strumenti: il tatto e lo specchio. Il tatto è un mezzo necessario anche per imparare a cantare e a produrre suoni non sgradevoli, è un percorso fatto di sette gradini, ci dice Provolo nel suo Manuale: innanzitutto bisogna insegnare a produrre un suono, anche se sgradevole, con il tatto, cioè si appoggerà la mano dell'allievo sul petto dell'educatore, che produrrà un suono, l'allievo sentirà le vibrazioni di questo suono e lo si stimolerà a produrre lo stesso suono appoggiando la sua mano sul suo petto; poi dovrà produrre suoni differenti, in questo caso le mani del sordo vanno appoggiate una sulla gola dell'educatore e una sulla sua stessa gola, l'educatore intonerà le diverse note musicali, ed inciterà l'allievo a riprodurre e a sentire la differenza di vibrazione; il sordo poi dovrà saper differenziare i suoni per altezza e per far questo bisogna metterlo nelle condizioni, per questo l'educatore alzerà o abbasserà la mano a seconda del suono che il sordo ha emesso; successivamente dovrà riconoscere i suoni della scala temperata, un apprendimento che verrà facilitato grazie all'uso di uno strumento speciale ideato da Provolo: “ una stecca divisa in parti eguali, sopra cui vi sono sette colori, tante volte quante sono le voci ordinarie di un M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007, p.49. 18 uomo, disposti con quell'ordine che li darebbe il prisma, e sopra ciascun colore sta la lettera delle sette note musicali: A, B, C ...” 19 (vedi tabella); NOTA LETTERA CORRISPONDENTE COLORE DO C VIOLETTO RE D ROSSO MI E ARANCIO FA F GIALLO SOL G VERDE LA A AZZURRO SI B INDACO Tab. 1 corrispondenza tra nota, colore e lettera della stecca colorata, che è uno strumento utilizzato da Provolo per insegnare la scala temperata ai sordi. inoltre dovrà riconoscere il nome delle note e intonare intervalli di note in senso ascendente e discendente; tutti questi apprendimenti, per arrivare a dire che siano conclusi, dovranno essere messi in atto dal sordo con tempo e misura. Possiamo notare come Provolo basa tutta la sua metodologia sull'uso del tatto, ma altro senso importante è la vista, perché oltre a sentire e riflettere le diverse vibrazioni di ciascun suono, il sordo deve osservare con la vista i diversi movimenti della bocca, della lingua e del mento mentre il maestro canta, in modo da poterli imitare. 19 A.Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. XXXI. PARTE SECONDA ANTONIO PROVOLO E LA MODERNITÀ CAPITOLO 3 MODERNITÀ DEL METODO PROVOLIANO 3.1 Il metodo di Provolo al Congresso di Milano del 1880: la tarda riscoperta del genio pedagogico Il Provolo riuscì ad ottenere attraverso l'uso della musica e del canto alcuni importanti risultati, ma gli educatori dell'epoca non presero in considerazione quel metodo, ritenendo assurdo insegnare musica ai sordomuti, e solo dopo 30/40 anni cominciarono a capire l'importanza dell'operato del Provolo soprattutto per la riabilitazione del linguaggi dei sordi. Anche l' educatore senese, padre Pendola (1800-1883), condivise le esperienze provoliane cominciando ad applicare il metodo dell’oralismo, avvenuto in seguito alla decisione del Congresso degli Educatori di Milano, nel 1880, dopo di cui tutti gli Istituti che si occupavano di sordi dovettero applicare quel metodo. Il giovane sacerdote don Luigi Mestrelli, dopo la prematura morte di Provolo (1841), si prese in carico la responsabilità della direzione dell’istituto per i sordomuti di Verona e dimostrò di saper risolvere le questioni più difficili che riguardavano la scuola, come le non indifferenti questioni economiche per poter proseguire l’opera di Provolo e, cosa più importante, l'approvazione della Santa sede per la congregazione maschile e femminile dell’istituto. Dopo aver raggiunto questi traguardi , don Luigi morì nel 1875. La direzione dell'istituto fu affidata poi a don Giulio Giori, che aveva conosciuto il fondatore quando aveva solo sei anni.20 Giori nel suo libro Il Provolo al Congresso internazionale dei maestri dei sordomuti, sostenendo l'impronta nettamente oralista di Provolo, svolge una esaustiva sintesi dei criteri guida del metodo del suo maestro e si rifà per meglio esplicitarli al Manuale: 20 [www.storiadeisordi.it/articolo.asp?ENTRY_ID=127] Necessità della parola: «...se non impareranno a parlare poco frutto caverà il maestro dalla sua lunga e pesante fatica21». La parola veste dell'idea: «...la parola... è la veste più conveniente, la più opportuna, per esprimere e manifestare i sentimenti di un'anima ragionevole 22». Il gesto supplemento alla parola: «il linguaggio dei gesti non è che un supplemento alla mancanza della loquela, che meglio non si potrà risarcire che colla loquela stessa23». Insufficienza del gesto: “ Anche adoperando il linguaggio dei gesti come lo dà la natura, non vi è linguaggio più rozzo più scarso più incerto di quello dei gesti, che non può per conseguenza portare alla mente cognizioni chiare, precise, specificate24». Bisogno della parola in società: sono poche le persone che conoscono il linguaggio dei gesti; i sordi ciechi inoltre non possono comunicare con i gesti 25. La parola mezzo per precisare l'idea: «...il mio allievo... se nel corso della sua educazione il parlare gli tornò utile per abbreviarla e per ricevere delle idee più rette e precise, dopo di essa, ritornato nel seno di sua famiglia, gli si rende per molte ragione necessaria26». Facilità nella parola per accrescere le cognizioni tanto in iscuola come in famiglia: «Se avrà imparato a pronunciare vocaboli non solo in iscuola, ma al giuoco, a tavola, al passeggio, con molta facilità glieli farò applicare a vari casi che ordinariamente succedono. Se saprà parlare starà più facilmente in esercizio e le cose di maggiore importanza non se le dimenticherà mai più27». Opportunità della parola in ordine alla salute:«...in tale esercizio...l'uso moderato gliene tornerà di vantaggio, mentre quegli apparenti sforzi che mostra di far pronunciando, da altro non procedono che dalla perpetua inerzia in che sino ad ora ha tenuto gli organi della voce e della inesperienza dell'adoperarli. 28 La presenza di don Giulio fu forse determinante, in occasione del Congresso di Milano degli Educatori di sordomuti, dove egli intervenne energicamente per sostenere l'operato del Provolo e del suo metodo e dell'importanza della musica e del canto per insegnare ai sordi a parlare. Alla morte di don Giulio, gli succedette don Luciano Magarotto (18481910), che ampliò strutturalmente l'istituto, acquistando nuovi fabbricati attigui ed esaudendo una preghiera del fondatore, che quando era in vita 21 22 23 24 25 26 27 28 A.Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. VII-VII, Idem, p. X. Idem, p. X. Idem, p. VIII. A. Provolo, Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita, Verona, 1838 p. 21. Idem, p. 21-22. Idem, p. 21-22. A. Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. X. desiderava ed aveva previsto l'ampliamento sia della sua struttura che della sua opera. Il progetto di don Magarotto fu, poi, continuato anche dai suoi successori don Giacomo Regazzoni, che fu direttore dell'istituto dal 1910 al 1916, e don Paolo Romani, che fu direttore sino al 1938. I successori di questi ultimi, seguono oggi gli stessi fini ed obiettivi, nello spirito del fondatore, per realizzare l'opera di educazione e di integrazione dei sordi.29 3.2 Provolo iniziatore del metodo orale puro Il metodo orale, dopo uno storico e secolare dibattito tra i sordi e gli esperti del tempo, fu da questi concordato nel Congresso di Milano del 1880 e diffuso; da quel momento esso ha dominato in modo quasi assoluto il panorama italiano dell’educazione dei sordi. Dopo un lungo ostracismo al gesto sostitutivo, durato quasi un secolo, tutti gli oralisti concordano nell’esclusione, nell’ambito del linguaggio parlato e scritto, di qualsiasi uso dei segni, non negando il gesto integrativo. Essi puntano da una parte sull’allenamento acustico, per favorire l’utilizzo del residuo uditivo, dall’altra sul potenziamento della labiolettura alla base della comunicazione orale. Il Congresso di Milano riassunse le sue conclusioni in otto punti30: • Il metodo orale è superiore al mimico per restituire il sordomuto alla società e dargli una più perfetta conoscenza della lingua, quindi "il metodo orale deve essere preferito a quello della mimica per l'educazione e l'istruzione dei sordomuti". • considerando lo svantaggio dell'uso simultaneo della parola e dei gesti mimici, il congresso dichiara che "il metodo orale puro deve essere 29 30 [www.storiadeisordi.it/articolo.asp?ENTRY_ID=127] Atti del Congresso Internazionale tenuto in Milano dal 6 all’11 Settembre 1880 pel miglioramento della sorte dei sordomuti, Eredi Botta, Roma, 1881, pp. 171-173. preferito". • Il Congresso, di fronte a numerosi sordomuti privi di educazione, fa voti "che i governi prendano le necessarie disposizioni, finché tutti i sordomuti possano essere istruiti". • Considerando che il metodo per i sordi deve avvicinarsi a quello dei parlanti, il Congresso dichiara "che il mezzo più naturale e più efficace pel quale il sordo parlante acquisterà la conoscenza della lingua, è il metodo oggettivo, quello cioè che consiste ad indicare prima colla parola, poi colla scrittura, gli oggetti e i fatti presenti agli allievi; che al primo periodo detto materno devesi avviare l'allievo alla osservazione delle forme grammaticali per mezzo di esempi e di esercizi pratici, coordinati, e che nell'altro periodo si vuol aiutarlo a dedurre da tali esempi i precetti grammaticali espressi con la più grande semplicità e chiarezza possibile; che i libri scritti con parole e forme linguistiche conosciute dall'allievo possono esser messe in ogni tempo fra le mani di lui". • Il Congresso fa voti "che i maestri dell'insegnamento orale attendano alla pubblicazione di libri speciali"; • Il Congresso dichiara "che i sordomuti istruiti col metodo orale puro non dimenticano, dopo essere stati licenziati dalla scuola, le cognizioni che essi vi hanno acquistate, ma anzi le svolgono per mezzo della conversazioni e della lettura che sono rese loro più facili; che nelle loro conversazioni coi parlanti essi si servono della parola esclusivamente; che la parola e la lettura sulle labbra, non che perdersi, si svolgono con l'esercizio". • L'età più adatta per la parola è quella dagli otto ai dieci anni, che la durata degli studi deve essere di sette o otto anni, che un professore non può insegnare efficacemente a più di dieci allievi. • Il Congresso ritiene opportuno di introdurre gradatamente e progressivamente il metodo orale puro, separando gli allievi che non lo usano dagli altri. Come abbiamo avuto modo di dire nel paragrafo precedente, Provolo era giunto alle conclusioni del Congresso di Milano (1880) già negli anni '30 dello stesso secolo. Nei suoi scritti e nella sua opera non possiamo far altro che notare l'esaltazione della parola e del dare al sordo questo strumento affinché non lo si escluda dal resto della società. La parola è per Provolo non solo il mezzo di comunicazione che ci permette di esprimerci con gli altri, ma le sue intuizioni vanno ben oltre sostenendo che la parola è uno strumento anche del pensiero e gli educatori devono esser in grado di mettere il proprio allievo sordo nella condizioni di pensare con la parola, come affermava nell'introduzione del suo Manuale a pagina X: La mente nel percepire le cognizioni vuole essere intuitiva: per poco che si prolunghi il mezzo di comunicazione, l'idea arriva alla mente dilombata e il mezzo più rapido e quindi più atto a una facile e frequente ripetizione è il linguaggio articolato. Così che oltre di avere il sordomuto appreso a trasmettere al pari di noi le proprie cognizioni parlando, sarà in caso di percepire le altrui leggendo sul labbro con quella velocità con che altri le riceve per l'udito.31 Come possiamo notare i principi seguiti da Provolo nella sua opera di educazione dei sordi sono in linea con i criteri guida emanati dal Congresso di Milano nel 1880 e a cui dovevano rifarsi tutti gli educatori che si occupavano di sordi. Il Congresso afferma la netta superiorità della parola sul gesto ed esalta il metodo orale puro (vedi punto 1 e 2), intuizione a cui era arrivato il nostro autore all'inizio della sua opera e nel momento in cui aveva tentato di educare i suoi sordi con i gesti, ma si era accorto per tempo che il solo gesto non era sufficiente a garantire una piena educazione ed istruzione del sordo e il suo inserimento ed integrazione nel tessuto sociale. Il Congresso sosteneva 31 A. Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838, p. X. che il sordo educato alla parola, una volta finito il suo percorso di istruzione e di educazione all'interno della scuola, riesce a trattenere nella sua memoria le cognizioni che ha appreso (vedi punto 6) con più facilità rispetto a un sordo non educato oralmente. Provolo aveva intuito anche questa affermazione del Congresso sostenendo che i sordi hanno grandi difficoltà nel memorizzare dando una spiegazione nella Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita: Non imparano già a memoria col mezzo facilissimo dei suoni come facciamo noi, ma bensì con quello dei segni. Così che per ricordarsi della parola Antonio è necessario che ritengano nella mente tante idee quante sono le lettere che la compongono, che in questo caso sarebbero sette, ed altrettante per l'ordine con cui sono collocate, perché le medesime lettere poste in altra maniera non dicono più Antonio. Quattordici idee per questa sola parola! Qual fatica per imparare un vocabolario e poi una grammatica? E quanta pazienza ci vorrà a guidarli per una strada così lunga e faticosa, se spesse volte sono lunatici, irragionevoli, inquieti e senza voglia di studiare?32. 32 A. Provolo, Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita, Verona, 1838 p. 14. CAPITOLO 4 APPLICAZIONI MODERNE DEL METODO DI PROVOLO 4.1 L'istituto Fortunata Gresner di Verona: le suore che hanno continuato il progetto di Don Provolo L'istituto Fortunata Gresner 33 nasce nel 1841 grazie a don Antonio Provolo con l'importante collaborazione di suor Fortunata Gresner. Inizialmente nasce con l'intento di occuparsi dell'educazione delle “sordomute”, ma poi la scuola si apre a tutti i giovani in difficoltà. Sino ad arrivare al 1977, anno in cui la scuola accoglie anche allievi normodotati con lo scopo di realizzare un progetto di scuola “integrativa”. Oggi l'istituto continua la sua opera di educazione e di istruzione dei sordi e di chi presenta altre difficoltà: come disabilità intellettive e psicofisiche, perseguendo progetti di integrazione con bambini normodotati. Attualmente la scuola è frequentata da un importante numero di allievi con disabilità uditiva, la maggior parte di origine straniera (Romania, Marocco, Sri Lanka, ecc.), questi trovano risposte ai loro bisogni educativi grazie ad attività logopediche improntate sul metodo orale, ma le attività che si rifanno al metodo di don Provolo per educare i sordi sono attualmente sospese, perché le suore che lavoravano a questo progetto sono impegnate in altri incarichi istituzionali. Nonostante le circostanze ho svolto un'intervista a una suora, suor Felicita, che ha lavorato con il metodo di Provolo sino a pochi anni fa, e che attualmente si occupa di altre questioni organizzative della scuola. Riporto di seguito il testo dell'intervista. Io: In che anno ha iniziato a lavorare per educare i sordi? 33 [www.gresner.it] S.F.: Ho iniziato nel '54 come maestra per i sordi nella scuola materna, poi più avanti ho preso un'altra specializzazione per le scuole elementari e... sono andata sempre avanti ad insegnare alle elementari per quindici anni, applicando il metodo del Provolo. Poi ho continuato ad insegnare anche ad altri ragazzi disabili, applicando sempre lo stesso metodo. Qui all'Istituto, prima di aprire a tutti i tipi di handicap, avevamo solo sordi e chi aveva disturbi del linguaggio, ma aveva integro l'apparato uditivo, quindi ci sentivano. Avevamo 80/85 sorde, c'erano solo femmine perché un tempo era così, e dormivano anche qua. Avevamo bambini con problemi dell'udito o del linguaggio che frequentavano la scuola, stavano qua con le suore sino a sette anni, ma poi andavano dai preti che avevano l'altro istituto maschile. Io: Quindi per quanto tempo ha svolto questo lavoro e applicato il metodo? S.F.: Ho lavorato per circa quarantacinque anni nella scuola, praticamente. E...i primi quindici anni mi sono occupata soltanto dei sordi applicando il metodo come era stato tramandato da Provolo, solo per i sordi. Poi alla scuola di specializzazione, dove ci hanno insegnato allora come usare i fonemi, come fare i fonemi, che mezzi usare, che... tutto quanto quello che serviva per la fonetica e per l'articolazione, ce lo insegnavano loro. E dopo, invece, quando mi sono trovata direttamente con i disabili ho applicato un po' il metodo del Provolo e un po' la fonetica così come ce l'avevano insegnato alla scuola di specializzazione. Io: Quindi durante questo periodo ha utilizzato il metodo del Provolo. E come lo ha messo in atto? S.F.: L'ho messo in atto facendo gli esercizi che faceva lui, e che sono riportati sul Manuale. Quindi prima prendevo la mano degli alunni, la appoggiavo sul petto e facevo sentire loro la risonanza della voce e poi facevo gli esercizi di fonetica vocale per vocale e...e poi la vocale con la consonante, poi i vari fonemi, poi la parola intera e avanti così...(sorride) Io: Ma... si rifaceva alle tavole che Provolo aveva inserito nel suo Manuale? S.F.: Anche quelle abbiamo usato, ma poi con le altre suore ci arrangiavamo a farne di nuove e ad usare strumenti fatti da noi e che ci venivano in mente. Ci siamo create, infatti, molto materiale didattico. Io: Quindi è stata affiancata da qualcuno nel suo lavoro... S.F.: Inizialmente da una suora più anziana, che era bravissima ad insegnare l'articolazione, mi ricordo che faceva parlare anche chi non emetteva nessun suono e poi... sono stata affiancata da suore più giovani che venivano da me ad imparare a fare il lavoro. Io: Ha incontrato delle difficoltà ad attuare il metodo? S.F.: Qualche volta si! Con i sordi profondi, quelli che proprio non emettevano nessun suono e oltre a questi anche quelli che insieme alla sordità erano anche oligofrenici...e la fatica era far capire l'esercizio da fare perché capivano una cosa per un'altra, mentre i sordi capivano subito. Con i solo sordi se volevo un “pa”, facevano l'esercizio correttamente, se gli spronavo a guardare la posizione giusta della lingua e della bocca, e...mentre con gli oligofrenici facevo molta fatica, perché avevano anche dei problemi al livello della comprensione. Io: Quindi mi pare di capire che Lei, nell'educare tanti giovani, abbia incontrato molti casi difficili, ne ricorda uno in particolare? S.F.: Ricordo un... un ragazzo sordo, autistico e oligofrenico, che le uniche due cose che diceva erano: “aaaa” “pppp”, ma non avevano l'intento di comunicare niente. Solo queste due cose! Con lui ci si capiva molto poco. Comunque lui a me si era molto affezionato, e attraverso l'affetto sono riuscita ad ottenere dei risultati soprattutto a livello comportamentale. Ho deciso poi di lavorare soprattutto sulle autonomie. Applicare il metodo con questo caso e cercare di farlo parlare è stato molto difficile, però sono riuscita a fargli dire solo alcune parole di base, come papà e mamma. Ecco... le parole più usuali. Ma è stato veramente un caso difficile, che ricordo con affetto! Io: Quindi il metodo di Provolo lo ha applicato non soltanto per educare i sordi, ma anche con chi presentava una commorbilità? S.F.: Si ma non sono riuscita ad ottenere un granché... Io: Provolo, oltre ad utilizzare il metodo tradizionale orale per educare i sordi, utilizzava la musica, secondo Lei quali benefici i giovani in difficoltà possono trarre dalla musica? S.F.: Sicuramente, per conto mio, la musica ha il grande potere di rilassare. E quando ci troviamo di fronte a patologie con disturbi comportamentali, se riusciamo, innanzitutto a rilassarli questi giovani, possiamo fare molto per loro, perché sono più attenti... Ho frequentato un corso di musicoterapia, e facevo dei giochi di musica e fonemi...e... così un fonema veniva associato a una musica, se cambiava la musica cambiava il fonema e con la parolina c'era un'altra musica...finché imparavano tutto a memoria e la musica li aiutava a ricordare le parole. Io: Vuole aggiungere qualche altra osservazione? S.F.: L'unica osservazione che faccio è: “I sordi devono parlare!”. È una cosa che ho sempre detto nei convegni in cui ho parlato di Provolo. Mi viene da piangere quando vedo i sordi che non dicono neanche una parola, come un ragazzino sordo di quindici anni che viene in questa scuola e non dice neanche una parola. Io: Quindi Lei è pienamente a favore del metodo orale...bisogna insegnare ai sordi a parlare! S.F.: Ritengo utile anche il linguaggio dei segni, quindi il metodo gestuale, perché il segno aiuta sempre la parola...la parola aiuta il gesto, ma la parola ci deve sempre essere. Io: Quindi il gesto deve accompagnare la parola! S.F.: Si, esatto! Altra cosa importante è donare l'affetto, perché la persona disabile è sempre una persona in difficoltà, che soffre e che ha bisogno di affetto. E l'affetto che dai, ti viene restituito, magari non subito, ma con il tempo! Se dai affetto ai bambini a cui insegni vedrai che loro a scuola renderanno il doppio. Fatelo sentire ai bambini! Ringraziando suor Felicita, l'ho accompagnata verso l'uscita della piccola aula in cui mi ha ricevuto, mi abbraccia forte e mi fa un sacco di auguri, poi lei ringrazia me perché sto svolgendo questa ricerca su don Provolo, e mi dice che è una cosa importante far sapere cosa il fondatore della sua Congregazione ha fatto e anche della grande mamma che è stata suor Fortunata Gresner. La saluto ancora e ripensando a ciò che mi ha raccontato e al discorso sull'importanza dell'affetto che secondo lei è primario nella relazione educativa, trovo molti rimandi alla storia di don Provolo e agli insegnamenti che si possono trovare nel suo Manuale, dove tra le righe si può leggere il grande affetto e l'amore che questo sacerdote provava per i suoi sordi, e al quale ha donato tutti i suoi studi e la sua vita, tanto che le suore raccontano che al momento della sua morte il cuore di Provolo fosse più grande del normale, perché appunto era intriso di affetto e amore 34. 4.2 Metodi odierni in sintonia con la metodologia provoliana Ricercando chi oggi si occupa di educare i sordi attraverso la musicoterapia, in sintonia con le intuizioni e le premesse di don Provolo, mi sono imbattuta nell'analizzare le esperienze e il lavoro di Giulia Cremaschi Trovesi e di Alain Carrè, due musicoterapeuti che hanno lavorato con bambini sordi attraverso le possibilità che offre la musica. 4.2.1 Improvvisazione clinica. Il metodo di Giulia Cremaschi Trovesi. Giulia Cremaschi Trovesi 35 è professoressa di musica e musicoterapia, docente, formatore e supervisore presso scuole e corsi di musicoterapia, presidente dell'APMM (Associazione Pedagogica Musicale e Musicoterapia) e della FIM (Federazione Italiana Musicoterapeuti). Dalla pluriennale esperienza di studi e pratica di musicoterapia, l’autrice 34 35 [www.gresner.it/fondatori%20scm.html] [ www.musicoterapiaonline.net] ha sviluppato una comprensione nuova e profonda del rapporto tra l’uomo e il suono e descrive in che modo e perché, proprio nella musicoterapia, questa relazione possa essere così straordinariamente fruttuosa e, viceversa, in che cosa deve consistere la musicoterapia per far sì che questa relazione si manifesti e dia frutti. L’obiettivo primario del suo metodo è quello di offrire al bambino sordo l’opportunità di ascoltare. Nasce spontanea una domanda: nella realtà come è possibile mettere un bambino sordo in condizione di ascoltare? Posto il bambino in una condizione di accoglienza, di ascolto, di non giudizio, ma soprattutto di risonanza (percezione acustica e uditiva mediante l'utilizzo della cassa armonica del pianoforte e dell'improvvisazione clinica 36), il bambino sordo scopre il valore della parola per superare la comunicazione non verbale. È un procedimento che non può fare da sé, la parola nasce con il dialogo, nell’interrogarsi a vicenda; la parola nasce nella relazione. Un bambino sordo di circa un anno, a contatto diretto con la risonanza del pianoforte e con le mani, occupate a manipolare strumenti idiofoni, dimostra di trovarsi a suo agio. Egli li scuote, li porta alla bocca, li lancia, li confronta divertendosi. Il suo interesse passa da uno strumento all’altro, perché è attirato dai timbri sonori, dalle forme e dai colori diversi. Il bambino è a contatto diretto con la risonanza37. Lo strumento essenziale per il metodo Cremaschi è il pianoforte. È lo strumento del piano e del forte. Permette di suonare tenendo d'occhio ciò che accade nella stanza. Offre una poderosa cassa di risonanza e produce la gamma quasi completa delle frequenze percepibili dall'essere umano, consentendo di improvvisare con stili e modi diversi fra loro. La cassa armonica del pianoforte è una mini-palestra dove il bambino ha libertà d’azione; il pianoforte è il tempo e il luogo delle esperienze vitali del bambino. Il musicoterapeuta suona osservando e osserva suonando, ogni attimo 36 37 G. Cremaschi Trovesi, Il corpo vibrante. Teoria e pratica ed esperienze di musicoterapia con bambini sordi, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2001, p. 28. Idem, pp. 251-255. dell’improvvisazione musicale è dosato e calibrato sulla qualità delle emozioni che il bambino rivela. Il musicoterapeuta crea il contesto delle opportunità (il setting terapeutico) perché fra il bambino e i suoi genitori (la loro presenza durante le sedute è molto importante) avvengano esperienze fondate sulla scoperta dei suoni. L’improvvisazione musicale clinica è l’asse portante dell’intervento di musicoterapia per bambini sordi. Essere pianista significa avere imparato ad eseguire musica, essere musicoterapeuta significa servirsi dell’essere pianista per relazionarsi con bambini sordi in modo musicale diretto, immediato, e creativo. L’improvvisazione musicale clinica al pianoforte nasce dal ritrovare la naturalità del fare musica e spazia in contrasti che avvengono senza preavviso: le sue possibilità sono infinite. La relazione tra musicoterapeuta e bambino sordo avviene attraverso il dialogo sonoro, che si instaura principalmente con il pianoforte, anche con il pianoforte unito ad altri elementi, strumentali e non. Tra questi ci sono: gli strumenti idiofoni come i campanelli o i legnetti, i giochi con i nastri, la coperta, i salti, le filastrocche e altri strumenti musicali. Gli strumenti idiofoni38 possono riprodurre i suoni, i versi, le voci del mondo della natura. La riproduzione ha carattere evocativo. Ogni strumento idiofono, presenta un timbro, un’altezza e un’intensità che lo caratterizza. Lo strumento idiofono, presenta la sua efficacia nell’essere in sintonia con le emozioni dei bambini, con il loro tono energetico, respiratorio, partecipativo. Il riconoscimento del timbro dello strumento musicale permette al musicoterapeuta di scegliere il registro sonoro adeguato. Ogni gesto nasce dall’intenzionalità, ha un suo ritmo, un suo tono, una direzione. La caratteristica principale dell’agire di un bambino piccolissimo consiste nel saltare da un interesse all’altro, in modo imprevedibile. Il gioco dell’improvvisazione musicale al pianoforte insieme agli strumenti idiofoni 38 Idem, pp.255-258. consiste nel cambiare in modo immediato non appena cambia il bambino. È il bambino stesso che fa comprendere se il musicoterapeuta suona in modo adeguato, perché intensifica la sua concentrazione. Se il bambino interrompe l’attenzione, il professionista deve fare attenzione a se stesso, poiché probabilmente egli non ha colto l’essenza emozionale del bambino, sta suonando soltanto, sta creando un sottofondo musicale che non interessa al bambino, che non fa sorgere né rinnovare il suo interesse. La parola sorge spontanea nel dialogo, dai timbri sonori, dagli sguardi, dalle sonorità degli strumenti idiofoni e del pianoforte, dall’iniziativa del bambino, dal saper valorizzare questa iniziativa. In un dialogo noioso non può nascere nulla di nuovo. Il dialogo creativo è vivace, spigliato, imprevedibile. È come se si giocasse a rincorrersi con gli strumenti musicali idiofoni e con il pianoforte. Dalle risate del bambino sordo nasce la voce, nasce il bisogno della lettura della bocca dell’adulto, per aprirsi di più al dialogo, in modo sempre più ricco. Nel dialogo sonoro non si può sapere cosa accadrà. Una frase ha inizio; un gioco ritmico vivace e brillante caratterizza una frase; la frase può avere una conclusione oppure rimanere sospesa; si tiene d’occhio il porsi, l’agire, l’emozione del bambino. Perché? Perché la relazione interpersonale è imprevedibile. Perché l’interesse di un bambino piccolissimo è guizzante e segue la direzione dello sguardo. Perché il musicoterapeuta, per tener desto l’interesse bambino, è ancora più guizzante di lui. I giochi con gli strumenti idiofoni sono infiniti; le emozioni sono il terreno fertile che porta il bambino al libero sfogo della voce. Più la voce spazia nei suoni armonici, più la gioia partecipativa del bambino è grande. Il musicoterapeuta non ha il tempo di predisporre il gioco creativo e quindi impara a trattare la tastiera come quando gioca sulla sabbia o tira le palle di neve. Si gioca e basta, egli non ha il tempo di cercare dove mettere il dito sulla tastiera, ha tempo solo per accorgersi che il bambino, quando è contento, dà libero sfogo alla voce, è vivacissimo. I campanelli 39 rientrano negli strumenti idiofoni, producono frequenze comprese fra gli 2000 Hz e gli 6000 Hz e permettono giochi dell’improvvisazione musicale brillanti e delicati. Quando un bambino sordo dimostra di gradire i campanelli e si compiace nel protrarre il gioco sta dicendo, attraverso tutto se stesso, che sta godendo nell’apprezzare le sonorità molto acute. Il musicoterapeuta gioca con lui dialogando con il pianoforte. Ognuno ha i suoi strumenti. Qualora il gioco fosse soltanto la condivisione dei campanelli, esso sarebbe povero di stimoli, ma la presenza degli accordi suonati al piano arricchisce e rinforza gli armonici dei campanelli. Il musicoterapeuta osserva la qualità dell’impegno attentivo del bambino. Gli elementi importanti, cui il musicoterapeuta deve mirare, per far sì che un bambino presti attenzione sono: • essere creativi nel ritmo assecondando e facilitando i tempi di attenzione del bambino; • creare melodie cantabili purché con ritmi brillanti; • creare melodie cantabili sulle quali il musicoterapeuta può cantare parole che descrivono le azioni del bambino; • restare, in ogni modo, pronti a cambiamenti repentini, qualora la situazione lo richieda. L'improvvisazione nei giochi con i legnetti40 varia in relazione a: • la qualità dei movimenti che il bambino realizza nella manipolazione; • l'intensità con la quale il bambino picchia i legnetti fra di loro; • l'intenzione con la quale il bambino picchia. Anche in questo contesto l'improvvisazione al pianoforte è utile per valorizzare l'intenzione motoria e la tonicità comunicativa del bambino. Con il passare del tempo il bambino presta la sua attenzione sempre meno 39 40 Idem, pp. 259-260. Idem, p. 261. all'aspetto manipolativo per interessarsi alle qualità musicali del suo gioco. Il ritmo comincia a farsi strada nell'interesse del bambino. Nelle attività con i nastri 41 l'euritmia, già presente nelle altre attività, regna sovrana. Il bambino compie un particolare movimento, le persone presenti riprendono la coreografia prodotta dal bambino e la ripetono più volte. Questo lavoro accompagnato con il pianoforte, può avere diversi obiettivi: • intensificare o attenuare i movimenti; •rallentare o accelerare il tempo, con gradualità, per migliorare la coordinazione; • amplificare le sonorità con accordi in registri gravi per condurre il bambino e le persone che interagiscono con lui a migliorare e prolungare l'attenzione; • modificare lo stile compositivo-creativo per portare a modificazioni emotive. Ogni obiettivo sorge nell'istante in cui si suona perché, anche in questa attività, il pianoforte non è un accompagnamento, ma il dialogo sonoro al quale il bambino partecipa con tutto se stesso. La sequenza ritmico motoria è la stessa. La ripetizione dello stesso movimento è favorita e pertanto non ha carattere ripetitivo. Quando un bambino dimostra di voler essere accolto e compreso, può essere cullato e steso in una coperta 42. Il musicoterapeuta dagli atteggiamenti del bambino coglie che egli va calmato, tranquillizzato, rassicurato. Questa esigenza sorge in momenti di grande tensione: più il bambino è teso, meno ammette di aver bisogno di essere calmato. L'essere accolto e cullato, mentre il musicoterapeuta improvvisa al pianoforte, alternando momenti di silenzio alla musica, è un punto di arrivo. Due persone reggono la coperta ai quattro lati e cullano il bambino. Questi giochi avvengono nelle situazioni emotivocomunicative che richiedono contenimento e consentono di dimostrare al bambino che ogni suo atteggiamento ha un valore e per questo viene accolto. 41 42 Idem, pp. 261-262. Idem, p. 262. Il camminare43 è, di per sé, una danza. Lo scandire del passo offre al musicoterapeuta indicazioni sulle emozioni del bambino che traspaiono dall'appoggio del piede, dalla postura corporea, dal modo di dirigere lo sguardo, dall'oscillare delle braccia. L'improvvisazione musicale al pianoforte rispecchia il carattere della persona che traspare dall'andatura. È un rispecchiamento del passo che ha il carattere del dialogo sonoro. Il musicoterapeuta parla con il pianoforte, il bambino risponde con l'intercedere dei passi. Il musicoterapeuta osserva il tipo di salti 44 del bambino e attraverso il peso degli accordi conduce il bambino verso al conquista dell'elasticità e dell'armonia del movimento. Il dialogo sonoro in atto consente di far conquistare al bambino la coordinazione senza dover ricorrere a correzioni o raccomandazioni. Il dialogo sonoro modifica le posture per mezzo del dialogo stesso. Nel canto di una filastrocca45 l'accompagnamento al pianoforte varia per accordarsi con le esigenze emotivo-relazionali del momento. Anche suonare per accompagnare il canto di una filastrocca è un esempio di dialogo sonoro. L'obiettivo non va ricercato nel canto in sé ma in ciò che fa del canto l'occasione per comunicare, per iniziare con un emozione e finire con il condividere un'altra emozione. Tutte le filastrocche, anche nel caso di quelle con rime e assonanze, che apparentemente non hanno senso, portano il senso dentro di loro, nel valore affettivo del canto. Ogni filastrocca porta nascosto dentro di sé il suo valore affettivo comunicativo, che emerge quando si canta. Giulia Cremaschi Trovesi sostiene che il bambino sordo deve essere avviato alla musicoterapia attraverso un intervento precoce 46: il bambino 43 44 45 46 Idem, Idem, Idem, Idem, pp. pp. pp. pp. 262-263. 263-264. 264-265. 270-275. sordo viene avviato alla musicoterapia nell'età compresa tra i 12 e i 15 mesi; deve essere accompagnato dai genitori o da uno solo dei due e deve portare le protesi acustiche. I dati dell'anamnesi sono raccolti durante un incontro con i genitori che il musicoterapeuta svolge senza la presenza del bambino (egli anche se sordo, percepisce che si parla di lui, soprattutto in termini di handicap). La relazione interpersonale è fondata sull'impegno a conoscersi, su un agire sereno e accogliente. I principali obiettivi del musicoterapeuta nei confronti dei genitori consistono nell'insegnare loro ad ascoltare il bambino, nell'accogliere le loro ansie, nel condurli ad esprimersi sull'immagine che essi hanno dell'infanzia, stimolandoli ad essere critici nei confronti delle attività che vengono proposte al figlio in modo da riconoscere un atteggiamento educativo da uno addestrativo. Il musicoterapeuta deve far comprendere loro la natura acustico-fisio-percettiva del suono, condurli a sperimentare che il bambino ascoltato impara ad ascoltare e ad ascoltarsi, far intendere loro che il suono è un fenomeno complesso, insegnare loro ad apprezzare i progressi graduali, spesso ai loro occhi piccolissimi, che compie il bambino. È fondamentale che i genitori si dispongano all'ascolto, nei momenti di attesa (silenzio), piuttosto che servirsi di questi momenti per parlare e soprattutto superino pregiudizi e preconcetti legati alla sordità. Il bambino può imparare ad ascoltare soltanto in modo soggettivo e si apre al linguaggio attraverso il dialogo. Il dialogo sonoro è la condizione favorevole al farsi spontaneo dei vocalizzi, allo scoprire i movimenti della bocca, della lingua, del respiro (farsi spontaneo dell'articolazione). Bisogna far vivere ai genitori i progressi del figlio con emozioni che li aprano verso il valore della comunicazione non verbale che sfocia, inevitabilmente, nel verbale. L'obiettivo, nei confronti del bambino, consiste nell'operare, attraverso il dialogo sonoro, in modo creativo, affinché il bambino metta in atto se stesso. Obiettivo comune per tutti è imparare ad ascoltare. La libertà nell'improvvisazione al pianoforte è ciò che consente al musicoterapeuta di ricalcare (matching), assecondare (pacing), per condurre (leading) il bambino alla reciprocità d'ascolto che caratterizza il dialogo sonoro. Il bambino è coinvolto dalle onde sonore che lo fanno convibrare in tutto se stesso e migliora la coordinazione, l'articolazione, l'attenzione. Gli strumenti a fiato sono quelli che inducono nel bambino maggiori emozioni, infatti il fiato esce dalla bocca del bambino e il suono sfocia più lontano. Lo stupore del bambino è pari alla sua gioia. Il bambino è appagato, contento, pronto a ricominciare. ----Nell'attuare le osservazioni47 sul bambino sordo, seguito in musicoterapia, durante la sua crescita, sono apprezzabili soltanto le risposte spontanee.Onde accertare che il bambino stia imparando ad ascoltare, il musicoterapeuta deve ottenere le risposte alle seguenti domande: - come il bambino partecipa agli incontri di musicoterapia? - quale livello di comprensione rivelano i genitori nei confronti delle attività del figlio? È bene osservare se il bambino dimostra di voler restare sulla cassa armonica del pianoforte e se, con tutto se stesso, sollecita il musicoterapeuta a suonare. In questo caso il musicoterapeuta osserva, mentre suona, come il bambino si atteggia nel tono emotivo-energetico-corporeo e nella coordinazione psico-relazionale-corporea. È importante che il musicoterapeuta osservi anche come i genitori (sempre presenti) vivano queste esperienze. Il musicoterapeuta sta attento al prolungarsi dell'attenzione del bambino su una sola attività e sottolinea ai genitori come l'incontro si svolga su attività che sono sempre meno varie. Non è necessario continuare a fare nuove proposte per tenere desta l'attenzione del bambino, piuttosto il bambino deve concentrarsi più a lungo sulla stessa attività. Il bambino si accorge presto che il musicoterapeuta è il 47 Idem, pp. 281-289. regista che, suonando, dirige la situazione. Il bambino è attratto dalla tastiera, si stende sopra al pianoforte e con le braccia in avanti si allunga per riuscire a toccare con le mani la tastiera. Egli suona con il musicoterapeuta dimostrando di voler imitare e interagire con l'adulto, ma anche di voler fare tutto da solo. Il bambino va alla ricerca dei suoni differenti fra loro, con lo sguardo interroga il musicoterapeuta avvertendo le marcate differenze fra i suoni e chiedendo collaborazione, ma allo stesso tempo vorrebbe fare tutto da solo. Quando il bambino ha raggiunto l'età compresa fra i tre e i quattro anni le attività musicali sono determinanti. Il musicoterapeuta individua l'attenzione del bambino e favorisce la sua spontaneità, propone al bambino di eseguire gli stessi giochi, fatti fino ad ora, chiudendo gli occhi con una mascherina di stoffa se il bambino accetta dimostra di avere fiducia nelle persone presenti. Con la mascherina sugli occhi è anche possibile fare giochi di movimento (sempre suggeriti dal pianoforte). Il bambino mette la mascherina, è lontano dal pianoforte; il musicoterapeuta suona nel registro centrale e il bambino fa oscillare le braccia a tempo. Il musicoterapeuta, all'improvviso, smette di suonare e il bambino si ferma. Il musicoterapeuta suona in un registro più acuto, a ogni ripresa sempre più acuto, fino a suonare sull'ultimo tasto del pianoforte: il bambino non sbaglia i movimenti. I genitori manifestano un'emozione fortissima e gratificano il bambino. Con bambini sordi in età compresa fra i quattro e i cinque anni 48, seguiti in equipe, le attività musicali sono complesse e varie. Per accertare l'evoluzione dell'attenzione nell'ascolto, il musicoterapeuta osserva innanzitutto la disponibilità con la quale il bambino entra nell'aula di musica. A questa età inoltre il musicoterapeuta non si serve più degli strumenti idiofoni, ma dà maggiore spazio ad altri strumenti musicali che, pur avendo un solo timbro, possiedono grandissima varietà di frequenze, intensità e 48 Idem, pp. 300-306. durata. A questo punto egli valuta l'interesse del bambino non più focalizzato sulla forma, sul colore oltre che sul timbro del suono, ma sugli attributi del suono (altezza, durata e intensità). L'analisi sul timbro del suono è implicita nell'intonazione della voce, nella precisione melodica ritmica e metrica attuata, ad esempio, cantando le filastrocche. Con l'uso di uno strumento, il musicoterapeuta, senza che il bambino possa vedere, gli fa tracciare su grandi fogli grafici che rappresentano i movimenti di ascesa e di discesa del suono, quindi verifica come il bambino ascolta, facendogli produrre sui suoni vocali movimenti di ascesa e discesa. Nei bambini tra i cinque e i sette anni 49 il musicoterapeuta valuta la qualità degli apprendimenti che manifestano spontaneamente. Le attività musicali divengono complesse e possono comprendere: scrivere e leggere l'altezza e la durata dei suoni (melodia e ritmo). Il bambino, a occhi bendati, ascolta ciò che viene suonato dal musicoterapeuta al pianoforte o con altri strumenti, facendo oscillare le braccia in tempo binario (battere/levare). Egli è in grado di muovere le braccia seguendo l'improvvisazione al pianoforte, adeguandosi ai cambiamenti dinamici del ritmo. Il musicoterapeuta varia quindi le frequenze e allontana il bambino dalla fonte sonora per aumentare le difficoltà del gioco. Con un bambino sordo, figlio di genitori sordi 50, le attività da svolgere in musicoterapia sono le stesse degli altri bambini. L'attenzione particolare è rivolta al bambino nella relazione con i genitori in modo da condurre l'intera famiglia alla scoperta del mondo dei suoni. Questo tipo di intervento pone degli obiettivi per il bambino e degli obiettivi per i genitori. Gli obiettivi per il bambino sono: 49 50 Idem, pp. 309-312. Idem, pp. 316-320. - essere il protagonista della sua crescita e del suo apprendimento; - aprirsi spontaneamente al linguaggio verbale attraverso il canto. Gli obiettivi per i genitori sono: - accorgersi della presenza del mondo dei suoni; - attraverso i giochi musicali apprezzare il valore dell'infanzia; - accorgersi delle loro doti e potenzialità; - prendere atto dei pregiudizi onde riuscire a superarli; - scoprire la soggettività dei processi percettivi; - accogliere il modo naturale di accedere al linguaggio verbale. Quando la sordità infantile viene diagnosticata dopo i primi due anni di vita del bambino, si parla di una diagnosi tardiva51. Infatti all'interno dei primi due anni di vita il bambino ha strutturato la sua visione del mondo e ha imparato a organizzarsi secondo le esperienze vissute. Le modalità di intervento sono suggerite dal modo di porsi del bambino. È consigliabile agire con prudenza, fare in modo che il bambino si senta ascoltato. È opportuno prestare attenzione alla mamma che per prima è invitata a provare ad ascoltare il pianoforte. La mamma si appoggia al pianoforte: può accadere che il bambino sia attirato da quello che fa la mamma e segua il suo esempio; può accadere che abbia paura e che cerchi di allontanare la mamma. Il primo incontro pone quindi le basi per l'intervento futuro. Si possono utilizzare diversi strumenti, si può giocare in vari modi, fino a quando il bambino si lascia coinvolgere. Se il dialogo sonoro attuato fra adulti riesce ad operare cambiamenti, anche momentanei, nei genitori, allora sorge nel bambino l'intenzione di partecipare al gioco. Il cambiamento di atteggiamento nel bambino avviene attraverso un forte coinvolgimento emotivo che lo porta a servirsi spontaneamente della voce, a trovare il gusto della voce, a scoprire a cosa serve. Tutto ciò accade sempre attraverso la 51 Idem, pp. 320-322. compartecipazione attiva dei genitori. La storia di ogni bambino è soggettiva, ma l'ingresso in musicoterapia per un bambino di cinque anni52 richiede un'attenzione particolare. Il bambino può essere attento ai suoni e all'ascolto in generale; pur portando le protesi acustiche e non ascoltando, il bambino può essere interessato al mondo circostante; può aggrapparsi a uno o a entrambi i genitori oppure stare lontano da loro; il bambino può opporsi alle novità. Qualora si verificasse la non disponibilità ad accogliere nuove esperienze, il musicoterapeuta osserva se il bambino attua la sua relazione con gli altri soltanto attraverso lo sguardo; verifica se è un bambino iperteso o ipotonico; controlla i suoi atteggiamenti perché è consapevole che ogni atteggiamento o comportamento del bambino è congruo con le sue esperienze. Il rispetto del suo atteggiamento è fondamentale per riuscire a trovare un modo per interagire con lui. Il musicoterapeuta osserva e coglie in quale dei due genitori c'è la disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Si procede per gradi. In presenza di forti tensioni emozioni, il musicoterapeuta può offrire ai genitori di picchiare su dei tamburi, indicando al bambino di aspettare. Il bambino abituato ad essere al centro dell'attenzione, si stupisce nel vedere l'attenzione centrata sul genitore. Ciò fa gradatamente abbandonare al bambino l'atteggiamento di rifiuto. In tal modo si può far capire al bambino che è permesso a tutti giocare, che nessuno, nel gioco, può prevaricare sugli altri. È un momento delicato nel quale musicoterapeuta conquista o meno la stima del bambino. 4.2.2 Applicazioni della musica nell’educazione del sordo: metodo di Alain Carrè.………………………………. --Alain Carrè è un docente universitario nonché appassionato musicista e musicoterapeuta. Ha elaborato nel campo della pedagogia musicale e della 52 Idem, pp. 326-327. musicoterapia teorie e proposte che gli hanno valso una reputazione internazionale. Carrè è sempre stato animato da una convinzione fondamentale: l'evoluzione della pedagogia musicale deve passare attraverso una considerazione pluridisciplinare delle conoscenze e competenze dell'insegnante di musica. Tali competenze devono spaziare dalla psicoacustica alla neurologia funzionale. A. Carrè si occupa anche di musicoterapia per sordi, poiché è convinto che la musica non solo sia accessibile alle persone con disabilità, ma essa renda possibile l'elaborazione di percorsi didattici nuovi, diversi da quelli convenzionali53. Anticipatore del metodo Carrè (da cui l'autore trarrà spunti per il suo metodo) è il Grafismo Fonetico di Aldo Gladik. Questo sistema permette (con bambini aventi già una ricca espressione linguistica) di supplire ad una memoria linguistica insufficiente per memorizzare testi sempre più lunghi. Questo metodo prevede l'utilizzo di filastrocche, scelte in funzione dei temi della vita del bambino, delle feste, degli avvenimenti importanti. La melodia, il ritmo e le rime sono rispettate nella misura della qualità della parola del bambino. Gli obiettivi del grafismo fonetico sono54: • far memorizzare canti e filastrocche; • giungere a migliorare la struttura del linguaggio, precisare la pronuncia e la successione delle sillabe; • evocare delle filastrocche e dei canti abbastanza rapidamente, rispettando ritmo e melodia; • provare piacere nel cantare o recitare una filastrocca, in gruppo, con l'aiuto di un pannello con affisso il grafismo fonetico corrispondente. I fondamenti del grafismo fonetico mettono in moto l'educazione uditiva, musicale e linguistica del bambino sordo. Le modalità d'applicazione sono 53 54 [www.cirmac.it.] A. Carrè, Quando la musica parla al silenzio. Proposta di musicoterapia per bambini audiolesi , Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1997, pp. 159-162. tredici e ciascuna comporta delle precise attività. - 1. Conoscenza degli strumenti, attraverso la manipolazione. 2. Riconoscimento degli strumenti attraverso l’ascolto. Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • riconoscere gli strumenti musicali le cui vibrazioni sono percepite in conduzione ossea o in modo vibro-tattile (mani sullo strumento, seduti sullo strumento, sdraiati sullo strumento); • riconoscere gli strumenti durante l'ascolto di un'informazione sonora (durante l'ascolto delle parole, durante l'ascolto del canto, durante l'ascolto di un insieme di strumenti). 3.Costruzione di strumenti. Attraverso la sua partecipazione alla realizzazione di strumenti, il bambino familiarizza con gli oggetti sonori sotto tutti i loro aspetti, cosa che gli permette di meglio comprendere e sfruttare il carattere sonoro d'ogni oggetto sonoro e in ogni momento musicale. 4. Il gesto intenzionalmente musicale. 5. Orientamento spaziale con l’aiuto dell’ascolto. Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • localizzazione della fonte sonora in rapporto all'uditore; •spostamento della fonte sonora nello spazio e modificazione della percezione dell'ascoltatore; • localizzazione di diverse fonti che emettono dei suoni nello spazio. 6. Percezione della durata e ascolto. Un esempio interessante di questa attività è la valutazione della durata dei suoni ed espressione della sensazione di durata con l'aiuto del movimento di un dito, di una mano, del braccio o del corpo intero simultaneamente o posteriormente all'emissione sonora. 7. Pratica musicale vocale e strumentale. Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • gioco simultaneo della voce cantata e dello strumento, a livello della percezione e della produzione; • sviluppo del senso armonico attraverso la pratica di più strumenti. 8. Strumenti musicali e linguaggio. Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • ritmi della voce parlata espressa con diversi strumenti musicali esplorandone tutte le bande di frequenza: ritmi fonetici, ritmi di filastrocche intere, ritmi di una frase, ritmi di una recita; • utilizzazione dei ritmi e degli strumenti nella lettura per il sostegno della dinamica, della giusta articolazione, della varietà degli accidenti e della ricchezza dell'intonazione. 9. Fatti musicali e rappresentazioni analogiche . Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • rappresentazione grafica analogica del gesto musicale, con strumenti o con la voce cantata; • rappresentazione grafica analogica d'ogni parametro, melodia, intensità, timbro, ritmo. 10. Mimo di fenomeni della natura e della società . Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • imitare e/o mimare, con l'aiuto degli strumenti musicali, gli animali domestici, i suoni dell'ambiente, i suoni di fenomeni naturali (vento, pioggia), i suoni provenienti da azioni (gettare,battere); • giochi di mimo di voce parlata nell'ambito di contesti musicali. 11. Rapporto tra ascolto e educazione musicale. Gli stimoli appropriati dell'ascolto favoriscono uno sviluppo neurologico equilibrato tra la funzione concettuale sonora o musicale e l'esecuzione della sequenza. 12. Composizioni musicali scelte. Un esempio interessante per questa attività è l'espressione di sentimenti e di stati d'animo: gioia/danza/festa, quiete/riposo/sonnolenza, tristezza/dolore/pianto, forza/sforzo/azione. 13. Creatività a scuola e fuori della scuola . Alcuni esempi di attività che assolvono questo fine sono: • creazione di sequenze musicali utilizzando uno strumento solo oppure diversi strumenti; • creazione di sequenze vocali cantate ad una voce oppure a più voci 55. A sostegno della validità del suo metodo A. Carrè sottolinea come l'importanza della musica nell'educazione del sordo sia fondamentale. Il sordo, infatti, non prova naturalmente, alcun interesse per il suono che percepisce a volte poco e male, ma riesce a captare i suoni musicali meglio rispetto ai suoni delle parole e ai rumori anche in caso di deficit uditivo molto grave. Il sordo, paradossalmente, può quindi essere stimolato a sviluppare un'intelligenza uditiva che l'udente non possiede. È importante perciò stimolare costantemente il cervello del bambino sordo creando in lui il desiderio di giocare con il suono, esercitando permanentemente l'ascolto e l'analisi uditiva, favorendo lo sviluppo dell'immaginazione e rinforzando la concentrazione e l'attenzione, esercitando continuamente la motricità, conferendo al suono una dimensione artistica, sviluppando l'interesse per la comunicazione orale e migliorandone la qualità. A. Carrè, profondamente convinto del contributo della musica nello sviluppo armonioso del bambino sordo chiede ai genitori che educano, agli ortofonisti che rieducano, ai professori specializzati che insegnano, agli educatori che accompagnano, di comprendere il ruolo sostitutivo che la musica rappresenta per il sordo e l'importanza che i tratti prosodici della parola acquistano quando si sente così poco e male. 55 Idem, pp. 172-180. RIFLESSIONI CONCLUSIVE Il sordo, a causa del suo deficit uditivo, ha una percezione delle informazioni sonore debole a livello d’i intensità e disturbata a livello delle frequenze del timbro. I suoni musicali sono superiori ai suoni del linguaggio per il potere informazionale che hanno per il cervello del sordo. Quello che il sordo profondo preferisce della parola è la sua natura prosodica; la pertinenza prosodica si sostituisce a quella fonetica nella percezione del sordo profondo. La musica, più facilmente percepita e più facilmente analizzata dal cervello, gioca un ruolo compensativo nell’'ascolto del sordo: la musica diviene sonorità pertinente e si sostituisce al fonema mal percepito. Il deficit uditivo non altera il ruolo dominante dell’'emisfero sinistro nell’'elaborazione del linguaggio, ma aumenta il ruolo dell’'emisfero destro il quale attraverso la musica aumenta la percezione nel sordo. La musica all’'inizio è colta nel suo insieme dai meccanismi dell’'emisfero destro dove si attivano le fonti delle emozioni, ma l'’esecuzione musicale, che necessita di una produzione sequenziale motoria molto sviluppata della voce e della mano, è prevalentemente sotto il controllo dell’'emisfero sinistro. Per il bambino sordo il suono viene utilizzato come mezzo di comunicazione, allo scopo di migliorare la qualità dell’'analisi della parola e la qualità della parola stessa 56. Un principio fondamentale della musicoterapia per bambini e ragazzi sordi si può racchiudere nell'’affermazione del professor Carrè: «i suoni musicali sono superiori ai suoni del linguaggio». Come si spiega questa affermazione? L’'orecchio umano capta e trasforma le vibrazioni che daranno luogo ad una sensazione sonora compresa tra i 16 Hz e i 20000 Hz. Il limite massimo 56 A. Carrè, Quando la musica parla al silenzio. Proposta di musicoterapia per bambini audiolesi , Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1997, pp. 149-150. (20000 Hz) di questa sensibilità si abbassa con l’'età e con l'’usura delle cellule ciliate (cellule dell’'orecchio interno). In questo campo le vibrazioni prodotte dalla voce, sia parlata che cantata, vanno dai 400 Hz ai 4000 Hz, mentre le vibrazioni degli strumenti musicali partono da 16 Hz e arrivano a 16000 Hz. Si può notare come il suono musicale copra la quasi totalità del campo uditivo umano e si presenti come un prezioso strumento in caso di sordità. Il suono musicale può essere percepito dal bambino sordo in molti punti del campo uditivo (generalmente nella zona dei suoni gravi, ma non solo). La musicoterapia, quindi, è utile al bambino sordo perché lo stimola dal punto di vista vibrotattile-sonoro, crea una base relazionale per facilitargli l’'apprendimento delle abilità motorie e delle risposte verbali e, infine, crea una base relazionale motivante e gradevole per lo sviluppo di forme di socializzazione e integrazione sociale. Sordità e musica possono apparire incompatibili, in contraddizione, ma così non è. Grazie alla musicoterapia si possono ottenere dei risultati importanti con i bambini sordi perché la musicoterapia vede come protagonista del percorso terapeutico non la musica in sé e per sé, bensì il fenomeno di percezione della vibrazione e le vibrazioni si possono percepire con tutto il corpo. Queste sono tutte considerazioni che possiamo ritrovare anche nel pensiero di Provolo, il quale aveva già capito, nel suo tempo, della straordinaria capacità educativa che ha la musica e di quanti benefici si possono trarre nel campo educativo dei sordi. L'educatore veronese ha il grande merito di essere andato oltre l'apparenza e di aver capito che esser sordo non voleva dire a priori non poter sentire e non poter comunicare, ma si è interrogato ed è andato alla scoperta del modo di sentire e di ascoltare di persone sorde, ha costruito strumenti particolari per favorire nei sordi l'interesse per il mondo dei suoni , e lo ha reso consapevole della capacità terapeutica del suono che può essere colto da chiunque attraverso il fenomeno della risonanza corporea. Merito di don Provolo è stato anche quello di aver aggiunto un ingrediente in più in tutto il suo lavoro, l'amore e l'affetto verso il prossimo, verso i suoi sordi. Forse in questo ambito la parola “amore” può far sorridere qualcuno, ma non è un ingrediente così scontato nella relazione educativa, perché senza amore non si può educare nessuno, tantomeno un sordo. ALLEGATI TAVOLE CON SILLABE (A. Provolo, Manuale, p. XXV) (A. Provolo, Manuale, p. XXVI) (A. Provolo, Manuale, p. XXVII) (A. Provolo, Manuale, p. XXIII) BIBLIOGRAFIA • Atti del Congresso Internazionale tenuto in Milano dal 6 all’11 Settembre 1880 pel miglioramento della sorte dei sordomuti , Eredi Botta, Roma, 1881. • A. Carrè, Quando la musica parla al silenzio. Proposta di musicoterapia per bambini audiolesi, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1997. • G. Cremaschi Trovesi, Il corpo vibrante. Teoria e pratica ed esperienze di musicoterapia con bambini sordi , Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2001. • G. Ferreri, Disegno storico sull'educazione dei sordomuti, vol. I, Milano, 1917. • L. Maestrelli, Biografia di don Antonio Provolo, 1901. • S. Maragna, La sordità: educazione, scuola , lavoro ed integrazione sociale, Hoepli Editore, Milano, 2000. • • M.P. Pelloso, Silenzio e Parola, Novastampa, Verona, 1989. A. Provolo, Manuale per la scuola dei sordi-muti di Verona, Verona, 1838. • A. Provolo, Prefazione ai primi due saggi tenuti a Santa Maria del Pianto dei Colombini dà sordo-muti di nascita, Verona, 1838. • M. Rossi, Dal canto alla parola: la musicopedagogia e la musicoterapia per i sordi di Antonio Provolo, Franco Angeli, Milano, 2007. • R. Sani, L'educazione dei sordomuti nell'Italia dell'800 , Società Editrice Internazionale, Torino, 2008. SITI INTERNET • www.storiadeisordi.it • www.gresner.it • www.musicoterapiaonline.net RINGRAZIAMENTI Un altro traguardo sta per essere tagliato e non posso fare a meno di ricordare come sono arrivata sin qui. Il percorso è stato breve, ma appassionante, per questi ed altri motivi ringrazio per primi tutti i professori che hanno partecipato al Master per avermi dato degli strumenti preziosi, di cui farò tesoro nella mia vita lavorativa e non, in modo particolare ringrazio la prof.ssa Marcella Nalli e il prof. Mario Gecchele che mi hanno diretto e consigliato nella stesura di questo elaborato finale. È importante per me dire grazie ai miei compagni di corso per la complicità e il senso di altruismo che mi hanno dimostrato in tutte le intere giornate di studio passate insieme, allietate dalle pause di chiacchere di massimo dieci minuti. Grazie ragazzi e viva la ciambella! Grazie a chi mi regala emozioni, a chi mi fa sognare, a chi mi fa amare, a chi mi fa sperare, a chi mi fa viaggiare, a chi mi fa ridere! Grazie a chi ogni giorno fa parte della mia vita...grazie ai grandi, ai medi e ai piccoli! Grazie a chi sta ai piani bassi e a chi sta in quelli alti! Grazie al piccolo Andrea per mettermi alla prova ogni volta che tocca a me! E un grazie a me che ci metto l'impegno! Verona, 14 gennaio 2012 Valentina Baldari