Quelli che lo definiscono un film fascista non sanno di

REPERTO UNO
INTERVISTA A CLINT EASTWOOD
Quelli che lo definiscono un film fascista non sanno di cosa
stanno parlando. Parlano a vanvera… non c’è nulla di simile
nel film. Callaghan è un uomo che combatte la burocrazia e
un certo tipo di abitudini radicate. Fa le cose in modo poco
ortodosso – che è il solo modo che conosce per maneggiarle.
Ha un certo numero di ore per risolvere il caso e, per quanto
lo riguarda, è più interessato alla vittima che alla Legge. Nel
film dice di essere un uomo con un alto senso morale. […]
Noi, gli americani, siamo andati a Norimberga e abbiamo
condannato persone che hanno commesso certi crimini perché non hanno aderito a una morale superiore; li abbiamo
condannati su questa base – perché non avrebbero dovuto
obbedire alle leggi del loro paese e ai loro capi in quel tempo. Avrebbero dovuto obbedire alla vera morale. Li abbiamo mandati in prigione su questa base. Lo stesso avviene
con Callaghan. Qualcuno gli dice che è così che vanno, male,
le cose e lui risponde: «Be’, è sbagliato. Non posso accettarlo». Questo non è fascismo. Questo è l’opposto del fascismo.
[R. E. KAPSIS – K. COBLENTZ (edited by), Clint Eastwood. Interviews, Jakson, University Press of Mississippi, 1999, p. 32]
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REPERTO DUE
I DOVERI DI UN CITTADINO LIGIO ALLA LEGGE
Questa era la nuova regola, e qualunque cosa facesse, a
suo avviso la faceva come cittadino ligio alla Legge. Alla
polizia e alla Corte disse e ripeté di aver fatto il suo dovere, di aver obbedito non soltanto a ordini, ma anche alla
Legge. Eichmann aveva la vaga sensazione che fosse una
distinzione importante, ma né la difesa né i giudici cercarono di sviscerare tale punto.
[H. ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 142]
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Introduzione
«Io non ho buone intenzioni»
Né colpa né vergogna: fare fuori l’idiota della morale
Il pensiero non dovrebbe mai cedere alla tentazione delle
buone intenzioni.
Eppure, alcuni recenti testi di filosofi, teologi, scrittori,
psicoanalisti, dedicati a questioni morali sembrano esserne ossessionati: quasi si trattasse di scacciare un pericolo
e una minaccia sempre più vicini e incombenti. Se ne percepisce la forza, che attrae e respinge al contempo. E ci
si precipita a correre al riparo – al riparo del Bene nelle
sue varie declinazioni, l’unico porto sicuro per l’etica, in
apparenza.
Per troppo tempo – veniamo ammoniti dai novelli moralizzatori – ci si sarebbe divertiti a mettere in discussione
tutto: Legge, autorità, verità, valori, realtà. Nietzsche e i
suoi scalmanatissimi nipotini novecenteschi avrebbero distrutto a colpi di martello filosofico i valori supremi, con
il risultato di lasciarci in eredità il deserto del nichilismo
in cui l’esercizio della libertà si degrada a edonismo senza
freni. Si tratterebbe, ora, di recuperare i valori e i fondamenti perduti per ricostruire una morale degna di questo
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nome e instillare un po’ di vergogna e senso di colpa nei
soggetti che, infine, sono arrivati a godere di beni prima
riservati solo a pochi (ecco, in sintesi, la critica alla società
dei consumi).
I toni sono allarmati: si invoca un risveglio filosofico,
una presa di coscienza politica, un’analisi collettiva del
nostro modo di vivere. Una conversione, al limite.
Il ritorno all’ordine è assicurato.
Si autorappresenta come promessa di un ritorno a una
libertà e una vita autentiche – e non è altro, in effetti, che
il brutto remake del finale dell’Attimo fuggente. Ricordate? Nel film di Peter Weir, i valori di Onore, Disciplina
e Tradizione vengono infine restaurati alla Welton Academy dopo che la Legge del padre aveva conosciuto, con
l’arrivo del professor Keating, la propria interna trasgressione e il godimento degli allievi era stato incoraggiato direttamente dal maestro. Non a caso nel finale gli studenti
vengono obbligati a sottoscrivere un documento in cui si
dice che Niel, lo studente che si è suicidato, era stato spinto da Keating a disobbedire alla volontà del padre.
Ma di che cosa hanno paura i nostri solerti moralizzatori?
È qui il risvolto interessante della nuova ondata moralizzatrice che investe differenti settori del pensiero
contemporaneo con una particolare predilezione per la
filosofia. Ciò di cui si ha davvero paura non è un nemico
esterno all’orizzonte morale, bensì il suo cuore di tenebra.
Agli occhi del moralismo contemporaneo e dei suoi paladini, o idioti della morale, la vera minaccia è l’etica stessa,
in ciò che essa ha di più alto e perturbante: la decisione,
l’atto che eccede i limiti di ogni regola, Legge, principio.
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Quando si attacca la libertà sregolata dei soggetti, è la natura della decisione etica – essenzialmente sregolata – che
si vuole colpire.
Ecco lo spettro che si vorrebbe esorcizzare con le litanie sulle buone intenzioni, la buona volontà, la massimizzazione del bene, il bene comune. È sempre in nome del
bene, di un qualche bene, ideale o materiale (bene-piacere), che si tenta di normalizzare, vale a dire di contenere
attraverso regole e leggi, il territorio dell’etica, esorcizzandone il lato oscuro – quello in cui il bene stesso della vita
non è semplicemente ciò che si tratterebbe di salvaguardare, difendere, preservare, mettere a frutto, ma ciò che si
tratta di mettere in gioco, ogni volta, nella decisione.
A proposito di Dr. House, Nicola Lusuardi, nel suo
bellissimo La rivoluzione seriale, scrive: «House ontologicamente (e narratologicamente) non potrà mai essere
‘buono’». Lo stesso si può dire per il soggetto dell’etica
dell’eroismo.
È contro il buonismo morale, di cui l’idiota della morale è l’incarnazione perfetta, che prende forma l’etica
dell’eroismo.
Ma che cos’è un idiota della morale?
L’unica seria minaccia, tra tante paventate, che ossessiona il nostro tempo: ci ammonisce dalle pagine dei quotidiani, ci scrive lettere indignate in forma di libro e non
disdegna nemmeno, all’occasione, la telepredica accorata.
E ha un solo obiettivo: instillarci vergogna e senso di colpa. L’idiota della morale è il triste risultato dell’addomesticamento moralistico dell’etica e la figura prediletta da
una certa cerchia di intellettuali che vorrebbero imporlo
quale modello etico universale.
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Ora, l’idiota della morale ricorda non tanto il principe
Myškin (l’idiota di Dostoevskij) ma l’idiota di Eastwood,
vale a dire Rowdy Yates, il cowboy bravo ragazzo che fa il
suo dovere interpretato da Eastwood nella serie TV degli
anni Sessanta Rawhide e soprannominato, da Eastwood
stesso, «servo delle praterie» o «idiota delle pianure». L’idiota delle pianure viene simbolicamente ucciso da Eastwood prima attraverso la figura di Joe, il protagonista di
Per un pugno di dollari, poi nella sequenza di apertura di
Impiccalo più in alto.
Compito dell’etica dell’eroismo: fare fuori l’idiota della morale, ligio alla Legge e al dovere.
“Like it or not, enjoy yourself!”
«Io non ho buone intenzioni».
Ecco una dichiarazione di Jacques Lacan che può valere come emblema di questo libro. Potrebbe apparire
una formula impropria per introdurre un libro di etica;
non lo è, in verità, essendo mia precisa intenzione indagare il lato oscuro dell’etica, riabilitando la portata etica
di quella Cosa additata dai moralisti contemporanei come
il Male dell’epoca ipermoderna. Si tratta di rovesciare la
questione morale, ponendo al cuore dell’etica la Cosa che
la morale vorrebbe esorcizzare come il Male. E questa
Cosa è, precisamente, il godimento, «il Male del godimento» o «godimento del Male» per usare una formula
di Massimo Recalcati, la cui interpretazione di Lacan è
tutta finalizzata a contenere, in nome della Legge paterna,
il godimento.
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È nel fondo senza fondo di questa Cosa oscura, nel
godimento, che si alimenta l’etica dell’eroismo.
Quando Laura Bazzicalupo nel suo libro Eroi della libertà critica, con toni e argomentazioni da far impallidire
anche il più accanito filosofo apocalittico, il fatto che gli
eroi del cinema, dei fumetti, della TV, dei cartoons, «si
inscrivono nel godimento» non si accorge che è proprio
qui la loro forza e la loro originalità rispetto al paradigma
eroico del soggetto autonomo, libero e sovrano. In questo senso si può ben dire che le famigerate «icone pop di
facile fruizione», come le definisce Bazzicalupo, mettono
in atto oggi un complesso lavoro di decostruzione del paradigma eroico classico che i filosofi di professione non si
sognano nemmeno di elaborare. Per dirla in una battuta:
in confronto alla complessità del testo cinematografico di
Kung Fu Panda, del fumetto di Frank Miller Batman: il ritorno del Cavaliere Oscuro o della serie TV Dr. House oggi
è il testo del filosofo di professione che rischia di apparire
di facile fruizione.
Ma ponendo al cuore dell’etica eroica il godimento
non si rischia di distruggere l’etica stessa?
Georges Bataille, parlando del male che si esprime in
letteratura, sosteneva che ciò non implica un’assenza di
morale, piuttosto un’ipermorale. Lo stesso vale per l’etica
dell’eroismo che, attraverso una decostruzione del buonismo etico, lavora in direzione di quella che Derrida ha
definito un’iper-etica e Clint Eastwood, al momento di
difendere il personaggio dell’ispettore Callaghan dalle accuse di fascismo, una morale superiore.
Proverò dunque a delineare il profilo di un’etica dell’eroismo come etica del godimento.
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Il mio debito verso Lacan è evidente. Ma non ha i tratti
di un vero e proprio debito teorico, che implica sempre
un confronto approfondito con un autore, bensì di un
prestito libero che mette in rapporto l’idea lacaniana di
etica eroica con quella derridiana di etica fondata sulla
decisione dell’Altro in me. In altri termini: l’ipotesi formulata, e rigettata, da Žižek secondo cui l’etica lacaniana
sarebbe un’altra versione dell’etica decostruttiva sarà al
centro di questo libro.
Ma che cos’è il godimento?
Come si può conciliarlo con l’etica?
E cosa c’entra, in tutto ciò, l’eroismo?
Risponderò a queste domande nel corso del libro. Per
il momento, mi limito a dire che il godimento non ha nulla a che fare con il nostro piacere, la nostra felicità, il nostro benessere o il nostro personale interesse: in questo
senso, l’etica dell’eroismo si trova agli antipodi rispetto a
qualsiasi etica dell’edonismo. Con il godimento siamo al
di là del bene morale, ma siamo anche già al di là, per dirla con Freud, del principio di piacere come riduzione materialistica del bene. Il godimento, nella sua portata etica,
è qualcosa come un desiderio fuori-norma, fuori-Legge.
Un desiderio assoluto e pericoloso, eccessivo, di cui Antigone, disposta a sacrificare tutto e tutti, e a trasgredire
le leggi della comunità, per dare sepoltura al fratello, è
l’archetipo classico.
E tuttavia: non mi interessa riproporre, una volta di
più, Antigone come modello etico. La sua fedeltà assoluta
al godimento rischia di essere senza scampo, e al fondo
mortifera, perché manca di un certo distacco ironico e
della capacità di saperci fare con il proprio godimento.
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Seguirò invece i passi di alcuni eroi della cultura
di massa contemporanea: da Dirty Harry a Dr. House,
passando per Kung Fu Panda. Come Antigone, anche i
miei eroi sono al di là della Legge e disposti a non cedere
sul proprio singolarissimo godimento. Ma, a differenza
dell’eroina di Sofocle e dell’idiota della morale, sono dotati, in modi differenti, di humour e ironia – vale a dire
della capacità di saperci fare con il godimento o, in altri
termini, con la morte. Perché il godimento, nel suo carattere assoluto e eccessivo, ha a che fare con la pulsione di
morte.
Ma che cosa significa saperci fare con il godimento
come con la morte? Significa saper mantenere quella distanza che permette di giocare con il godimento, e anche
di prendersi gioco di esso, senza con ciò cessare di prenderlo sul serio.
È il caso di House. In molti avevano pensato che la
serie si sarebbe conclusa con la tragica morte dell’eroe. E
invece la sua morte è solo apparente: House gioca con la
morte, cioè con il fuoco (nell’ultimo episodio rimane rinchiuso in un edifico in fiamme), ma sopravvive, e la serie si
conclude, dopo otto stagioni, sulle note di Enjoy Yourself,
formula che esprime perfettamente l’ingiunzione etica del
godimento, al di là del principio di piacere, che Žižek ha
sintetizzato così: Like it or not, enjoy yourself!
Ma anche quando i nostri eroi decidono di andare incontro alla morte, come la banda di fuorilegge del Mucchio
selvaggio, dimostrano di saperci fare con il godimento.
Non a caso il gesto estremo della banda si condensa in una
scambio battute, pronunciate in un bordello, che si prendono apertamente gioco della morte: Lets’ go, Why not?
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L’eroe imperfetto, il bene comune e Superman
Su un punto occorre essere chiari, visto che da più parti
si torna a parlare di eroismo: l’etica dell’eroismo non è in
alcun modo una ripresa dell’eroismo classico che miri a
neutralizzarne l’ambivalenza e pericolosità – e la forza,
anche – in nome di un’idea cara a san Tommaso e oggi
tornata di moda: il bene comune.
È questa la via percorsa da Wu Ming 4 in L’eroe imperfetto, un libro per molti versi interessante, ma che rischia
di trasformare l’eroe, una volta privato della sua forza
perturbante, in una specie di «idiota delle pianure», per
riprendere la formula di Clint Eastwood. Niente di nuovo
sotto il sole: si tratta di un classico gesto di addomesticamento morale dell’eroismo ben presente nella tradizione
filosofica occidentale, che fin dall’antichità ha tentato di
asservire al bene la virtù amorale che fa corpo con l’eroismo, vale a dire il coraggio.
Non voglio, con ciò, disconoscere l’importanza del
ruolo giocato dal bene comune in campo etico, bensì precisarne la funzione che è quella di una scusa, di un alibi
per non fare ciò che occorre fare. D’altra parte, come ha
ricordato Žižek in Metastases of Enjoyment analizzando
l’idea lacaniana di eroe come soggetto che non cede sul
proprio desiderio: «Il bene della comunità è la scusa standard per compromettere il proprio desiderio».
A questo proposito il monologo pronunciato da Superman (figura simbolo dell’eroe che rappresenta la Legge e
agisce per il bene comune) in Batman: il Cavaliere Oscuro
colpisce ancora di Frank Miller, in cui il padre dei supereroi fa la moralina al Cavaliere Oscuro, è un esempio per(c) Ponte alle Grazie - 30
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fetto di uso della nobile scusa del bene comune. «Bruce,
sei un sociopatico, un monomaniaco, un megalomane. Il
nostro mondo è uno zoo di vetro facile a frantumarsi…
Una costruzione di carte in equilibro precario pronto a
crollare… E tu sei l’uomo che farà cadere tutto. Non sai
come le cose potrebbero peggiorare. E a te non potrebbe
fregare di meno. No. Per te non c’è niente. Non c’è posto nel tuo cuore di acciaio per compiangere le sofferenze
che allegramente causerai. Non ti preoccupi neppure per
un istante che la tua folle arroganza porterà morte… E
genocidio… Sulle nostre teste. E sulle nostre coscienze.
Sei un mostro. Un bastardo. No…. Neanche il minimo
compromesso, Bruce Wayne. Tu… Senza poteri eccetto
le tue misere cecità umane e il tuo smisurato egoismo…
Il tuo instancabile, impietoso e implacabile odio per tutto
ciò che non è completamente perfetto… Tu sarai la morte di tutti noi. Noi che viviamo nel mondo degli uomini
dobbiamo considerare il bene comune… e venire a patti
con lo stato delle cose».
Un’etica dell’eroismo degna di questo nome non può
cercare riparo dietro nessuna scusa, per quanto nobile.
Inoltre, come noto, pensare di esorcizzare il pericolo di
un’etica dell’eroismo attraverso il bene comune o il bene
dell’altro rischia di essere un rimedio peggiore del male
che vorrebbe combattere: è proprio quando si agisce in
nome del bene, di un supposto bene universale o dell’altro, quando si vuole realizzare il bene, che il male è pressoché assicurato. Non a caso una delle formule più minacciose che si possano rivolgere a qualcuno è: l’ho fatto
per il tuo bene.
Si tratta allora di abbandonare le nobili scuse e trovare
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il coraggio per pensare fino in fondo un’etica dell’eroismo
come etica del godimento.
Un’etica fuori-Legge
Parlando delle trasformazioni dell’etica contemporanea,
la filosofa Alenka Zupančič ha scritto: «L’etica ha per lungo tempo designato questo niente nel nome del quale le
persone si sono opposte a questo o a quello stato cose, o
hanno trasgredito una legislazione positiva. Oggi l’etica è
sempre più ciò in nome di cui si fanno passare le leggi: l’etica è messa al servizio del legale […] Così l’etica diviene
essenzialmente restrittiva, sprovvista di qualsiasi potenza
creativa».
L’etica dell’eroismo rompe con l’asservimento dell’etica
al legale per misurarsi con la potenza creativa dell’etica. Il
che significa una sola cosa: per l’etica dell’eroismo non c’è
atto etico degno di questo nome che non rompa con un
orizzonte di norme dato, con la Legge.
Ecco il punto. Contrario al senso comune. Immorale.
Pericoloso, al limite. Perché qui eroe e criminale, etica e
crimine rischiano sempre di entrare in uno spazio di indistinzione: in quella zona oscura magistralmente indagata
da Frank Miller in Batman: il ritorno del Cavaliere Oscuro
e sintetizzata magnificamente nella formula «dobbiamo
essere criminali». D’altra parte già Lacan scriveva a proposito di Antigone: «Antigone sceglie di essere puramente e semplicemente la guardiana dell’essere criminale».
Frank Miller! Ma Frank Miller è di destra! Ma Frank
Miller ha creato Holy Terror! Già. E l’ispettore Callaghan
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(cui anche Miller si è ispirato) è fascista. E il Dr. House è
sessista e razzista. Inutile negarlo: sono questioni delicate.
Che non possono essere eluse. Si tratterà dunque di dire,
con Žižek: «In questa città decido io che cosa è o non è
di sinistra».
Parlerò di eroi.
Eroi contemporanei, postmoderni o ipermoderni. Cui
importa poco o nulla dei mali morali che tanto scandalizzano, e affascinano, gli intellettuali alla ricerca di Dio, del
Padre, del pane di ieri o del socialismo del bene comune.
I miei eroi attraversano il deserto postmoderno della moralità senza nessuna nostalgia per i valori perduti.
Anzi: vivono questo deserto come una straordinaria possibilità per l’affermazione di nuove pratiche di libertà e
di azione – al di là dei limiti della morale e delle vecchie
ideologie moderne di cui oggi si lamenta la scomparsa.
Lo psicoanalista Massimo Recalcati ha scritto che
nell’epoca dell’eclissi del padre il desiderio di riferimenti
resta, evocando a questo proposito la figura omerica di
Telemaco che continua ad attendere il ritorno del padre
Ulisse perché riporti Legge e ordine sull’isola di Itaca. Gli
eroi che incontreremo non hanno nessun complesso di
Telemaco. Essi sanno, con Deleuze, che «non c’è pericolo
più grande del ritorno del padre». È innegabile: questi
eroi sono figure ben poco rassicuranti, invero perturbanti.
Sono anche, sempre, dei criminali o dei fuorilegge, come
i protagonisti del Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah.
Ecco ciò che non si può esorcizzare.
Ma è proprio questo a renderli filosoficamente interessanti.
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