IL RUOLO DEL TUTOR Christian Colautti tratto da: Trevisiol C. (a cura di), Il tutor nei processi di formazione, Franco Angeli, Milano, 2002. Nei percorsi di sviluppo professionale, in modo particolare quando sono di medio e lungo periodo, solitamente l’articolazione dei ruoli coinvolti prevede una figura deputata a seguire i partecipanti lungo tutto il percorso: il tutor. Al di là delle formalizzazioni e delle certificazioni, in parte di recente codificate, ma in larga parte ancora da definire, il ruolo e le attività del tutor dipendono spesso dai significati consensualmente costruiti intorno a questo ruolo dagli attori del sistema di apprendimento. Il ruolo del tutor è definito sulla base delle aspettative ad esso correlate e ai significati che vi attribuiscono gli interlocutori e la persona che interpreta il ruolo. In tal senso, nella prassi formativa, si trovano molti modi di intendere il ruolo del tutor. Esso oscilla tra un ruolo “povero” di segretario o “bidello” del corso, che si limita a garantire il rispetto minimo delle regole burocratiche e degli aspetti organizzativi, ad un ruolo più importante di facilitatore, consulente, responsabile in aula del sistema di apprendimento. In questa seconda accezione il tutor svolge un ruolo complesso che richiede l’attivazione di saperi specialistici, di metodologie adeguate, di modalità di intervento intenzionali e articolate. Il presente contributo1 ha come obiettivo quello di proporre una riflessione intorno alla figura del tutor e alle attività e alle funzioni che egli deve svolgere. A partire da alcuni spunti di riflessione sui significati che sta acquisendo l’apprendimento nell’attuale contesto culturale, sociale, economico, viene proposta una caratterizzazione del tutor come consulente del processo di apprendimento e una visione d’insieme della tutorship come funzione complessa che ha a che fare con dinamiche psicologiche, relazionali, istituzionali. Il tutor, secondo la prospettiva qui presentata, ha la funzione di aiutare, supportare, facilitare l’apprendimento dei partecipanti. E il suo ruolo è tanto più importante quanto più i percorsi sono lunghi e significativi rispetto allo sviluppo personale e professionale delle persone che vi partecipano. 1. APPRENDIMENTO CHE CAMBIA Le persone all’interno dei sistemi sociali, istituzionali, organizzativi, hanno un bisogno fondamentale: quello di apprendere. Attraverso l’apprendimento le persone possono crescere, stare meglio, realizzare i propri progetti personali e professionali, nella continua coevoluzione, adattamento e attivazione del proprio sistema di riferimento. Questo bisogno fondamentale può essere soddisfatto in modo implicito o esplicito, secondo percorsi spontanei, dinamiche emergenti o attraverso progetti pensati e organizzati. 1 In lavoro qui presentato propone una riflessione, riveduta ed ampliata, in parte già contenuta in una precedente pubblicazione dello stesso Autore, “La tutorship nei percorsi di apprendimento”, in SIFORP, La formazione psicologica, Franco Angeli, Milano, 2000. 2 I percorsi di apprendimento possono essere scelti e progettati in modo individuale e autodiretto o secondo una logica collettiva, istituzionale ed eterodiretta. Per ciò che riguarda l’apprendimento professionale, dentro e fuori dalle organizzazioni, l’evoluzione, l’affinamento e la formalizzazione delle pratiche educative e formative tende a rendere sempre più espliciti, intenzionali e organizzati i percorsi di apprendimento. Ciò significa che in misura sempre maggiore la rilevazione dei bisogni di apprendimento, la progettazione e la realizzazione di eventi formativi, l’accompagnamento, il monitoraggio e la valutazione dei risultati è accolto e formalizzato all’interno di politiche, processi organizzativi, meccanismi operativi e attività ben definiti. E ciò sia a livello organizzativo, ovvero all’interno delle organizzazioni di lavoro (Aziende, Pubblica Amministrazione, Cooperative, Organizzazioni non-profit), sia a livello “territoriale” (territorio Nazionale, ma in particolare, attraverso recenti provvedimenti legislativi2, a livello Regionale e Provinciale). Allo stesso tempo sembra essere in atto una significativa tendenza all’individualizzazione dei percorsi di apprendimento: ciascuno sempre di più può costruirsi e progettarsi un proprio percorso di sviluppo, sapendo di poter contare in un “mercato” della formazione sempre più ricco e abbondante. In qualche modo la “customizzazione” dell’offerta formativa e il desiderio o la necessità di rispondere in modo mirato alle esigenze del Mercato del Lavoro porta ad aumentare le soluzioni di apprendimento percorribili, con il risultato di avere soluzioni e percorsi di sviluppo meno istituzionali e collettivi e maggiormente individuali. Ciascuno è di fronte ad una varietà più abbondante di offerte formative, tra le quali può scegliere utilizzando la propria discrezionalità. Si assiste ad una gestione più autonoma e diretta dei percorsi di formazione: le aziende, gli enti, il territorio, spesso mettono a disposizione le risorse per l’apprendimento (talvolta addirittura l’offerta supera la domanda), e lasciano una buona discrezionalità e autonomia al singolo individuo rispetto a ciò che per lui è più utile e opportuno scegliere. Se da un lato i percorsi di apprendimento sono sempre più formalizzati ed organizzati, ma allo stesso tempo ciascuno deve utilizzare la propria discrezionalità nella scelta del percorso da intraprendere, allo stesso tempo l’apprendimento all’interno dei percorsi di sviluppo professionale sembra essere sempre più difficile e complesso. La civiltà della tecnica, quella che ci troviamo e troveremo a vivere, impone alle persone ritmi di cambiamento incalzanti e capacità di apprendimento sempre più evolute. Non è più possibile limitarsi a imparare a fare, a riprodurre, ad eseguire ciò che già è stato pensato e progettato. È sempre più pressante la richiesta di cambiare, innovare, trasformare. La velocità dei cambiamenti e la possibilità/necessità di doverne tener conto ha assunto negli ultimi tempi proporzioni inaudite. E molte delle trasformazioni e 2 In particolare si fa riferimento al D.lgs. 469/97 e al D.lgs. 112/98, attraverso i quali le competenze in materia di Politiche Attive del Lavoro e Formazione sono state delegate alle Regioni e in parte da esse alle Province. 3 delle innovazioni professionali ed organizzative, rese possibili soprattutto dagli sviluppi delle infrastrutture tecnologiche, stanno assumendo carattere paradigmatico. I cambiamenti e le modificazioni della “morfologia” dei sistemi professionali e organizzativi si trasformano qualitativamente, al punto tale che le categorie concettuali note, prima ancora che i saperi e gli strumenti operativi, non sono più adeguate a descrivere, comprendere, progettare, gestire le attività del futuro. In uno scenario di questo genere uno sguardo troppo pratico-operativo rischia di essere fuorviante, pur essendo necessario per i fini trasformativi e riproduttivi. La complessità (dei mercati, delle tecnologie, delle culture, dei processi e delle dinamiche professionali e organizzative) chiede ai nuovi professionisti uno “sguardo” alto, una “buona teoria” con cui guardare alle trasformazioni in atto, per poter adattarsi e attivare il proprio contesto in modo utile, coerente e intelligente rispetto alle finalità perseguite. Da questo punto di vista i percorsi di apprendimento devono aiutare le persone ad avere uno sguardo bi-fronte: sul presente, per manutenere, presidiare e supervisionare i processi operativi, e in questo caso possono fornire gli strumenti e le capacità necessarie al “saper fare” professionale; sul futuro, per pensare, innovare, progettare il nuovo, e in questo caso la formazione può offrire stimoli e orientamenti necessari al “saper essere” e al “saper trasformare”. Ciascuno è chiamato sempre di più ad apprendere, a prepararsi, a svilupparsi da un punto di vista professionale per innovare e modificare i contesti nei quali andrà a svolgere la propria attività professionale. Ciascuno mentre impara a fare deve anche imparare a trasformare e innovare3. Anche le capacità di apprendimento devono quindi evolversi, poiché i ritmi del cambiamento richiedono non soltanto l’acquisizione di nuove conoscenze, capacità, abilità, ma anche e soprattutto nuovi modi di “stare al mondo” e nuovi modi di imparare. Ciò che cambia, e in modo significativo, non è il contenuto, o per lo meno non soltanto il “che cosa” è necessario apprendere. Cambia il modo, ovvero il “come” si apprende e che cosa significa apprendere. Lo sviluppo esponenziale dei sistemi tecnologici, in particolare dell’ICT, modifica le dinamiche dell’apprendimento. L’abbondanza di informazioni, di conoscenze, di risorse per l’apprendimento resa possibile anche dai nuovi sistemi informatici richiede capacità evolute di ricerca, di “indicizzazione”, di stoccaggio delle informazioni, delle conoscenze, degli strumenti, che non necessariamente devono essere utilizzati nel momento in cui vengono trovati, ma possono essere attivati successivamente, quando la situazione lo richiede. Accanto al sapere, al saper fare, al saper essere, è sempre più importante il saper cercare, il saper archiviare, e saper recuperare. Potremmo dire che non è importante o distintivo solamente il know-how, ma essere in grado di poterlo cercare, recuperare, ricombinare e acquisire nel momento in cui vi è la necessità. In qualche modo diventa saliente il “know-where”. Non è un caso infatti che tra le capacità trasversali più 3 Volpe V., intervento al Convegno AIF-Veneto e Friuli Venezia Giulia, Pratiche e metodi di formazione per il cambiamento organizzativo, Jolly Hotel Tiepolo, Vicenza, giugno 2002. 4 richieste all’interno dei sistemi sociali e organizzativi complessi ci sia quella di networking, ovvero la capacità di fare e stare in rete (sociale, culturale, professionale), di conoscerne i “nodi” più significativi, in modo da poterli attivare al momento opportuno. L’apprendimento cambia, si trasforma, diventa più complesso, e chiama maggiormente in causa dimensioni psicologiche, relazionali, valoriali, culturali. Aumenta il livello di incertezza, di “solitudine”, di aleatorietà e di discrezionalità. Per questo motivo diventa importante, spesso fondamentale, attivare all’interno dei percorsi di apprendimento ruoli che si pongano con una funzione di supporto, di facilitazione, di orientamento. Detto in altro modo, ruoli consulenziali che in integrazione con altri ruoli siano in grado di aiutare le persone ad acquisire nuove conoscenze, capacità, strumenti professionali, ma soprattutto di aiutare a rileggere, analizzare e rielaborare l’esperienza di apprendimento. Individuiamo nel tutor questo ruolo consulenziale, che contrariamente a ciò che spesso accade nella prassi formativa, ha una rilevanza determinante nella buona riuscita dei percorsi di apprendimento. E ciò soprattutto quando i percorsi formativi sono a lungo termine e sono finalizzati a sviluppare capacità complesse. 2. IL TUTOR COME CONSULENTE DI PROCESSO Il ruolo del tutor può essere pensato come un ruolo consulenziale all’interno del percorso di apprendimento. In altri termini possiamo dire che il tutor ha tra le sue funzioni fondamentali quella di offrire un aiuto e un supporto consulenziale a coloro che partecipano al percorso di apprendimento, facilitando l’acquisizione e lo sviluppo di nuove conoscenze, capacità e sensibilità, supportando i partecipanti nella diagnosi e nella soluzione dei problemi e delle criticità affrontate. Da ciò ne consegue che il tutor non interviene tanto sul contenuto dell’apprendimento, quanto sul processo psicosociale (cognitivo, emotivo, affettivo, relazionale, sociale). Il tutor non è l’esperto dei contenuti. Questo è piuttosto il ruolo richiesto ai docenti, ai tecnici, ai testimoni aziendali. Il tutor è invece l’esperto dei processi. Il processo di apprendimento è un processo complesso, nel quale intervengono fattori cognitivi, emotivi, culturali, relazionali. Apprendere non significa soltanto acquisire nuovi contenuti, modificare i propri comportamenti, imparare ad utilizzare nuovi strumenti. L’apprendimento molto spesso destruttura, trasforma, ristruttura l’immagine di sé, personale e professionale, modifica la rete di relazioni come conseguenza della trasformazione del ruolo sociale o organizzativo; ridefinisce il sistema valoriale e l’articolazione degli interessi, di ciò che è rilevante e importante e di ciò che non lo è; modifica la natura e la direzione delle risorse che ciascuno è disposto ad investire. Proprio per la complessità delle dinamiche dell’apprendimento e per le implicazioni con le dimensioni psicologiche è richiesto al tutor un aiuto consulenziale. In tal senso si 5 avvicina, e in parte si sovrappone, ad altre funzioni, come ad esempio quella di coaching, più caratterizzata sul versante del contenuto tecnico-operativo dell’apprendimento, o a quella del mentoring, in cui è maggiormente presente la dimensione etico-valoriale e di orientamento strategico del sapere. La tutorship si caratterizza invece per la maggiore attenzione alle dimensioni di processo dell’apprendimento, meno vicina al presidio dei contenuti rispetto al coaching, più orientata al breve-medio termine anzichè al lungo termine rispetto al mentoring. Per il tutor svolgere un ruolo consulenziale all’interno del percorso di apprendimento significa porsi come “parte terza” rispetto ai contenuti e rispetto alle dinamiche psicologiche dei partecipanti. Tanto più il tutor indirizza la propria azione di aiuto sui contenuti, tanto più il suo ruolo si confonde con il ruolo dei docenti e degli esperti, perde di specificità, diventa ridondante e perde in legittimazione. Tanto più il tutor indirizza la propria azione di aiuto alle dinamiche psicologiche (soggettive e di gruppo), tanto più il suo ruolo si avvicina a quello di counsellor o di terapeuta, perdendo di vista le finalità di apprendimento istituite. Il tutor può proporsi come supporto consulenziale se riesce a stare ad una giusta distanza, anche emotiva, dai contenuti e dalle dinamiche dei partecipanti, per concentrarsi sulla relazione tra le dinamiche psicologiche (soggettive e di gruppo) e i contenuti di apprendimento proposti: in altri termini sulle dinamiche dell’apprendimento. Svolgere un ruolo consulenziale all’interno del sistema di apprendimento significa adottare modalità di relazione di aiuto non direttive. Il tutor deve per lo più accompagnare le persone, facilitare il processo di acquisizione e sviluppo di nuovi saperi, dare l’orientamento e le indicazioni della strada da percorrere. Un atteggiamento troppo direttivo rischia di portare il tutor a sostituirsi al partecipante e a risolvere per suo conto le criticità che incontra. In questo modo è molto probabile che il suo aiuto non sia efficace. Innanzitutto perché sostituendosi al partecipante egli presuppone di conoscere la natura del problema, o per lo meno dà per scontato che la diagnosi portata dalla persona sia corretta, di interpretare correttamente le dinamiche psicologiche sottese alle dinamiche di apprendimento, di avere consapevolezza delle risorse che la persona è in grado o meno di attivare per fare fronte al problema. Il tutor rischia quindi di dare indicazioni senza avere in realtà compreso il problema, sottraendo per altro al partecipante un’occasione di apprendimento, che non risiede soltanto nella capacità di trovare da sé la soluzione più opportuna (problema solving), ma soprattutto nella capacità di procedere in modo corretto alla diagnosi (problem setting). Se il tutor imposta realmente con i partecipanti una relazione consulenziale egli davvero può dare un contributo significativo, non tanto per suggerire la direzione corretta, ma per fare acquisire una corretta metodologia di apprendimento. In tutor in questo senso aiuta il partecipante ad imparare a imparare. 6 3. IL TUTOR COME RAPPRESENTANTE DELL’ISTITUZIONE APPRENDIMENTO Il tutor rappresenta da un punto di vista simbolico e operativo il percorso di apprendimento. In termini “gergali”, nel linguaggio della formazione psicosociale, si è soliti affermare che il tutor rappresenta l’“istituzione apprendimento”. Parlare di istituzione in riferimento ad un percorso di apprendimento significa prendere in considerazione almeno le seguenti caratteristiche: le finalità e gli obiettivi del percorso di apprendimento, sia gli obiettivi generali che gli obiettivi specifici; le risorse a disposizione di coloro che, nell’articolazione dei diversi ruoli, partecipano al percorso (persone, conoscenze, strumenti, tecnologie per la didattica, informazioni, …); le norme e le convenzioni, esplicite e implicite, che regolano le relazioni e gli scambi tra gli attori del sistema di apprendimento; la cultura, i valori, gli assunti di base che sottendono al percorso di apprendimento, talvolta in modo implicito e inconsapevole. Da un punto di vista simbolico-affettivo il tutor rappresenta l’istituzione apprendimento, nel senso che i partecipanti, e in certa misura anche i docenti, trasferiscono al tutor il vissuto emotivo ed affettivo collegato e riferito al percorso di apprendimento Avere consapevolezza di questa dinamica di transfert4 aiuta il tutor a riconoscere, contenere ed elaborare le dinamiche affettive di cui costantemente è investito. Tanto più i percorsi di apprendimento sono di lungo periodo, tanto più le dinamiche affettive sono significative. Infatti è più probabile che i percorsi a medio-lungo termine abbiano per i partecipanti implicazioni cognitive ed affettive profonde in termini di acquisizione, sviluppo e cambiamento delle proprie conoscenze e capacità, ma anche dell’immagine di sé, del proprio modo di essere e stare con gli altri, dei propri progetti personali e professionali. È più probabile che le persone debbano mettere in discussione, rivedere e trasformare alcune dimensioni del proprio sé, affrontando le paure, le incertezze, le ansie, ma anche le speranze, le euforie, le gioie del progetto che stanno portando avanti. È in questi momenti, di progressione e di regressione, di identità e disidentità, di “innamoramento” e “disamoramento” del percorso di apprendimento che le persone investono il tutor delle proprie dinamiche affettive, che riguardano non tanto il tutor in quanto persona ma il tutor in quanto ruolo, e quindi rappresentante dell’istituzione apprendimento. Proprio in questi momenti il tutor può offrire il suo aiuto 4 Utilizziamo qui la parola transfert nel senso classico di movimento affettivo vissuto nei confronti di qualcosa o qualcuno che viene trasferito e quindi vissuto, in modo per lo più latente, nei confronti di qualcos’altro o qualcun altro. 7 consulenziale per accompagnare e supportare le persone nell’elaborazione del proprio vissuto. In tal senso il tutor può facilitare nei partecipanti il riconoscimento, l’esplicitazione e l’elaborazione dell’esperienza che stanno vivendo, e farne oggetto di apprendimento. Da un punto di vista razionale-operativo il tutor rappresenta l’istituzione apprendimento nel senso che egli è in qualche modo garante delle finalità e degli obiettivi di apprendimento istituiti, delle risorse da utilizzare, delle regole di comportamento convenute, dei valori e degli assunti che caratterizzano il percorso. Rappresentare l’istituzione apprendimento da un punto di vista operativo vuol dire presentare e trasferire ai partecipanti e ai docenti il progetto e gli obiettivi di apprendimento in esso contenuti, e fare in modo che essi vengano il più possibile rispettati. Il tutor deve per ciò appropriarsi degli obiettivi che l’organizzazione si pone rispetto al percorso formativo. Per fare questo è opportuno che egli sia costantemente in contatto con il project leader ed è auspicabile che partecipi, anche se non integralmente almeno in parte, all’attività di progettazione. Allo stesso modo il tutor deve presentare e condividere con i docenti e i partecipanti alcune “regole” fondamentali da utilizzare nel percorso, e farle rispettare. Ciò non significa assumere un atteggiamento normativo-burocratico e diventare un rigido difensore della norma. Significa piuttosto assumersi la responsabilità di garantire alcune modalità di comportamento condivise e istituite. Infine il tutor deve conoscere e far proprie alcune variabili culturali e valoriali dell’organizzazione che ospita il percorso di formazione. Infatti gli obiettivi, le modalità di gestione del percorso, le regole condivise hanno solitamente una loro coerenza con i valori, la cultura gli assunti impliciti dell’organizzazione che promuove il percorso. Non essere sensibile e attento alla dimensione valoriale e culturale in cui opera può portare il tutor ad una mancanza di coerenza tra la sua attività e il senso e il significato generale attribuito all’iniziativa di formazione. 4. IL TUTOR COME RUOLO DI CONNESSIONE E INTEGRAZIONE DELL’APPRENDIMENTO Il tutor ha una funzione di connessione e integrazione tra le diverse componenti del sistema di apprendimento. Innanzitutto è funzione fondamentale del tutor mantenere il collegamento con i diversi attori del percorso di apprendimento, in modo particolare con lo staff e i ruoli che lo compongono: il project leader, i docenti, i testimoni aziendali, … A questi egli deve fornire input e suggerimenti in merito ai partecipanti, ad eventuali situazioni particolari (difficoltà, resistenze, specificità, …), ai contenuti precedentemente trattati e a ciò che verrà trattato in seguito, alle fasi e alle dinamiche che sta vivendo il gruppo. Allo stesso tempo il tutor deve facilitare il collegamento tra lo staff e il gruppo di apprendimento, presentando il docente (o il testimone) in base a ciò che per i 8 partecipanti può essere utile sapere rispetto al contributo previsto, esplicitando le connessioni tra il suo intervento e gli interventi precedenti e successivi, sottolineando, se ne individua l’utilità, gli elementi di specificità e di integrazione, riassumendo e anticipando in aula, o comunque prima dell’intervento, i temi trattati. Per poter fare ciò in modo opportuno il tutor dovrebbe conoscere, anche se non a livello specialistico, le tematiche e i contenuti trattati. Il tutor si pone come elemento di collegamento tra le diverse modalità di apprendimento utilizzate, e quindi tra le diverse dimensioni psicosociali implicate (cognitiva, affettiva, operativa, relazionale, sociale, istituzionale). Il percorso di apprendimento può infatti essere caratterizzato da modalità e dimensioni di apprendimento differenti a tra loro articolate: modalità prevalentemente teoriche che coinvolgono soprattutto il livello cognitivo; modalità sperimentale-addestrative che attivano prevalentemente le dimensioni cognitive e operative; modalità esperienziali che coinvolgono soprattutto il livello affettivo e relazionale, e a seconda dei dispositivi possono coinvolgere la dimensione sociale e istituzionale; modalità di tipo riflessivo che consentono un’elaborazione sia della dimensione cognitiva che della dimensione affettiva attivate nel percorso di apprendimento. Le differenti modalità, e quindi i diversi livelli di apprendimento attivati, vengono di fatto realizzate attraverso dispositivi didattici diversi e articolati: introduzioni e lezioni teoriche, ricerca d’aula, lavori in sottogruppo, simulazioni e role-playing, visione di sequenze cinematografiche, … È compito del tutor gestire in modo adeguato il collegamento tra momenti didattici differenti, affiancando e supportando il docente da un punto di vista metodologico rispetto alle specifiche attività intraprese o anche proponedole, in accordo con il docente, qualora ne avverta la necessità. Il tutor si pone inoltre come elemento di connessione tra i diversi momenti del percorso di apprendimento: il momento che precede l’attività d’aula, il momento di realizzazione dell’attività formativa, i momenti fuori dall’aula, di attività on the job o di verifica e trasferimento degli apprendimenti. È importante che i partecipanti percepiscano la continuità e il collegamento tra questi diversi momenti, in modo tale che le informazioni, le conoscenze, gli strumenti, le nuove capacità sperimentate possano trovare una sintesi coerente. Quanto più il tutor riesce a dare continuità al passaggio tra momento conoscitivo, momento sperimentale, momento applicativo, momento elaborativo, … tanto più i partecipanti saranno in grado di apprendere in modo utile ed efficace. E’ responsabilità del tutor, oltre che del docente-formatore, preoccuparsi del “collegamento” tra i diversi partecipanti, ovvero delle relazioni che si instaurano all’interno del gruppo in apprendimento. È ciò soprattutto in termini di differenziazioneintegrazione, e di gestione delle diverse “anime” che compongono il gruppo di apprendimento. In modo particolare nelle fasi di avvio del percorso è molto importante preoccuparsi di riconoscere e valorizzare l’identità delle persone presenti in aula, legittimando e dando cittadinanza alle diverse aspettative, sensibilità, culture di cui ciascun partecipante è portatore. Prendere parte ad una iniziativa di formazione all’interno di un gruppo rimanda al problema dell’identità e della minaccia all’identità a 9 cui conduce la partecipazione alla vita del gruppo. Accade allora che la scarsa attenzione al riconoscimento e all’integrazione tra le diverse soggettività e istanze presenti porti le persone a preoccuparsi maggiormente di difendere la propria identità, verso lo staff e verso gli altri partecipanti, anziché ad occuparsi dell’apprendimento. Il tutor allora si deve porre e proporre come elemento di facilitazione nel processo di espressione, socializzazione, differenziazione-integrazione delle identità dei partecipanti, per valorizzare le differenze e metterle a disposizione del gruppo per il lavoro di apprendimento. Infine, è opportuno che il tutor aiuti e faciliti il collegamento e l’ integrazione tra le diverse risorse per l’apprendimento messe a disposizione dei partecipanti: il materiale e gli strumenti presentati in aula, il materiale di studio, le indicazioni bibliografiche, gli strumenti per i lavori di applicazione, i docenti, il project leader o il direttore del corso, il tutor stesso. I partecipanti devono infatti avere la sensazione di una coerenza, e di fatto trovarla, tra gli obiettivi di apprendimento e le risorse messe loro a disposizione dal percorso. Il tutor deve facilitarne l’utilizzo, motivando e aiutando i partecipanti ad utilizzare e valorizzare le specificità di ciascuna risorsa. 5. IL TUTOR COME RAPPRESENTAZIONE E PRESIDIO DEI CONFINI I percorsi di apprendimento possono essere pensati come percorsi di trasformazione. Ciò significa che le conoscenze, le capacità, le sensibilità già acquisite e possedute vengono in qualche modo modificate e ricombinate per dare vita a nuove strutture di sapere e forse a nuove potenziali competenze. Allo stesso modo si trasforma anche l’immagine di sé, la percezione del proprio ruolo, presente e futuro, il modo di pensare alle relazioni con gli altri, la definizione del proprio progetto personale e professionale. Detto in altri termini, si modificano i confini del possibile, ovvero di ciò che ciascuno conosce e potrebbe conoscere, ciò che ritiene di essere e ciò che vorrebbe diventare, delle relazioni che ha e vorrebbe avere nel futuro. Il tutor può svolgere una funzione consulenziale nel riconoscimento, nell’elaborazione e nello spostamento dei confini psichici (cognizioni, emozioni, affetti) e dei confini istituzionali (ruolo, potere, autorità, discrezionalità) presenti nel percorso di apprendimento. Il percorso di apprendimento è un movimento, cognitivo e affettivo, attraverso il quale le persone modificano, spostano, allargano i confini della realtà psichica e sociale. Soltanto che in questo movimento tra il presente (come sono), il possibile (come potrei essere), il desiderato (come vorrei essere) i partecipanti talvolta hanno difficoltà a distinguere ciò che è reale da ciò che è fantasticato. I percorsi di apprendimento, soprattutto quando sottendono progetti professionali significativi e importanti per coloro che gli hanno intrapresi, producono una sorta di “ansia generativa”, che rimanda alla paura di dare vita a un nuovo progetto di sviluppo che può riuscire come fallire. L’oscillazione tra la fantasia spesso irrealisticamente 10 “euforica” di dare alla luce un nuovo sé personale e professionale eccezionale, sopra la norma, migliore degli altri, e la paura eccessivamente “depressiva” di fallire nell’intento, di non essere adatti per il nuovo ruolo professionale che si sta acquisendo, di essere meno adeguati degli altri partecipanti, influenza in modo determinante la partecipazione al percorso. Normalmente, nella maggior parte dei casi, entrambe queste posizioni sono eccessive, e quasi sempre i percorsi di apprendimento portano ad una progressione significativa in termini di sviluppo professionale, pur non sconvolgendo in modo “drammatico” i percorsi di vita dei partecipanti. Una funzione fondamentale del tutor è quella di facilitare nelle persone una visione realistica del loro percorso di trasformazione, aiutandole a riconoscere e attraversare i confini psichici via via incontrati, elaborando insieme a loro le dinamiche affettive generate, esplorando in tal modo lo spazio del possibile. Fondamentalmente questa funzione del tutor corrisponde a ciò che definiamo esame di realtà, ovvero di riconoscimento ed esplicitazione di ciò che è reale o realistico, e ciò che invece è solo fantasticato. Conseguentemente la sua azione è finalizzata a promuovere nei partecipanti una adeguata consapevolezza rispetto alle proprie risorse e limiti; alle difficoltà reali, ai timori, alle speranze; a ciò che realisticamente è possibile apprendere all’interno del percorso di formazione e ciò che invece può essere acquisito in altri momenti. Per il tutor svolgere una funzione di rappresentazione dei confini può talvolta voler dire non accogliere le richieste che arrivano dai partecipanti: pur dando spazio e consentendo l’espressione dei bisogni, in modo da facilitare l’emergere della domanda, potrebbe essere utile rimandare la risposta ad altri momenti e luoghi, a volte anche frustrando desideri prevalentamente irrealistici. Altre volte, al contrario, il tutor deve cercare di sconfermare atteggiamenti di rinuncia e di impotenza difensivi, aiutando i partecipanti ad individuare oltre ai vincoli anche le risorse e le potenzialità per la realizzazione del lavoro di apprendimento. La tutorship diviene in questo modo una funzione di “filtro” per l’elaborazione e la restituzione delle ansie, delle paure, delle fantasie dei partecipanti, per consentire loro una relazione quanto più realistica possibile con l’oggetto di apprendimento. La funzione di rappresentazione e presidio dei confini istituzionali si collega, quando non si sovrappone, alla funzione di rappresentazione dell’istituzione apprendimento. Il tutor infatti può aiutare i partecipanti a riconoscere i confini reali, e a distinguerli da quelli soltanto fantasticati, attraverso un presidio attento delle dimensioni istituite e convenute. In particolare è utile che il tutor evidenzi e garantisca in modo costante la correttezza delle relazioni tra i ruoli istituiti, prestando attenzione in particolare ai livelli di formalità, informalità e confidenza delle relazioni. La distanza-vicinanza relazionale con i docenti, con il direttore o il project-leader del percorso, con il tutor, può essere per i partecipanti uno spazio da conquistare, un confine prima da riconoscere e poi eventualmente da modificare. Il percorso di apprendimento, come abbiamo detto, implica una modificazione dell’immagine di sé e del proprio ruolo. Può essere opportuno che vi sia inizialmente una relazione in cui il partecipante prevalentemente si percepisce, e di fatto lo è, come allievo all’interno di una rete di altri ruoli che si pongono nei suoi confronti con una 11 funzione di tecnici, esperti, maestri, facilitatori, … Al contrario, più ci si avvicina alla fine del percorso, più i partecipanti si percepiscono, e di fatto lo sono, come un po’ più “colleghi” e un po’ meno allievi nei confronti degli altri ruoli attivati nel percorso. Tuttavia se questa sensazione è già presente fin dall’inizio della relazione educativa, se cioè gli scambi e le relazioni tra il ruolo di allievo e il ruolo di esperto (o tecnico, o facilitatore) sono da subito “come se” allievo e docente fossero già colleghi, si falsifica la realtà, e implicitamente si comunica alle persone di avere già le capacità, le conoscenze e le caratteristiche professionali che invece non hanno e stanno acquisendo nel percorso formativo. Ciò non è valido in generale, poiché ci possono essere situazioni di apprendimento che seguono una logica prevalentemente consulenziale (formazione consulenza), e in questo caso il ruolo di docente ha maggiormente una funzione di facilitazione all’interno di un gruppo di persone già esperte. Tuttavia nella maggior parte dei percorsi di medio-lungo periodo, e soprattutto quando i partecipanti sono persone giovani che intraprendono un percorso di sviluppo professionale per loro significativo (Master, Corsi post-laurea, Corsi di specializzazione post-diploma, …) la situazione iniziale è di un reale sbilanciamento dei ruoli. In questo caso spesso i tentativi di riportare la relazione sullo stesso piano, di “accorciare le distanze”, sono movimenti difensivi, per certi versi delle resistenze, che i partecipanti mettono i atto seguendo dinamiche prevalentemente inconsce per trovare delle scorciatoie al lavoro spesso faticoso di trasformazione e acquisizione di un nuovo ruolo professionale. Anche lo spostamento dei confini relazionali è dunque uno spazio da conquistare, e il tutor deve garantire l’istituzione di modalità di relazioni tra ruoli corrette ed adeguate. E ciò a partire dalla correttezza e dall’adeguatezza con cui egli stesso gestisce il proprio ruolo. Per il tutor avere una adeguata “tenuta di ruolo”, mantenere una corretta “distanza istituzionale”, è spesso difficile, proprio perché in molti casi egli ha le stesse caratteristiche dei partecipanti (può avere più o meno la stessa età anagrafica, un’età professionale simile, un progetto professionale ancora molto in divenire, …) e quindi facilmente può identificarsi con i pensieri, le emozioni, i vissuti dei partecipanti. Inoltre è difficile perché spesso il tutor abita una “terra di nessuno”: non deve stare né troppo dalla parte dei partecipanti, altrimenti vi si identifica e confonde, perdendo la possibilità di mantenere una giusta “distanza consulenziale”, ma neanche eccedere dalla parte dello staff dei docenti, poiché deve essere vissuto dai partecipanti con una propria autonomia e come “parte terza” rispetto al loro ruolo e a quello dei docenti. Infine, come abbiamo già detto, il tutor rappresenta l’istituzione apprendimento e quindi più di altri ruoli è investito di dinamiche affettive, positive ma anche negative, che deve saper gestire spesso in autonomia. Per questi motivi un’interpretazione corretta del ruolo, soprattutto per ciò che attiene ai confini di ruolo, richiede al tutor una certa solidità, consapevolezza di sé, autonomia, e un investimento di attenzione particolare proprio sulle modalità relazionali che egli 12 utilizza con i docenti e con i partecipanti (formalità, informalità, confidenza, distanza, …). 7. IL TUTOR COME COORDINATORE ORGANIZZATIVO Al tutor tendenzialmente è affidata l’attività di coordinamento organizzativo. Tale funzione si riferisce al presidio degli aspetti di organizzazione delle risorse implicate nell’attività formativa d’aula. Da questo punto di vista il tutor è il “luogotenente” in aula del project leader, e in tal senso fa le veci del “padrone di casa”, assumendosene gli onori e gli oneri. Vediamo quali sono gli aspetti prevalentemente considerati. Il coordinamento e l’organizzazione riguardano innanzitutto lo staff docente: il tutor deve preoccuparsi che i docenti siano stati contattati e che le date, gli obiettivi, i contenuti, le modalità dell’intervento siano stati fissati in modo corretto. È opportuno, quando è possibile, che il tutor preveda un incontro preliminare con i docenti, in cui condividere e concordare il programma di dettaglio, ricevere con anticipo il materiale da utilizzare in aula, da fotocopiare o da inserire nel web (lucidi, dispense, bibliografia, ...). Allo stesso modo devono essere contattati e convocati i partecipanti, ai quali deve essere spedito con sufficiente anticipo eventuale materiale informativo (programma di massima, indicazioni logistiche, segnalazioni particolari, ...). Il tutor è responsabile degli aspetti logistici che vanno dall’adeguatezza del setting fisico (numero e adeguatezza delle aule, dei tavoli, delle sedie, buon isolamento acustico) all’adeguatezza delle attrezzature (pc, proiettore, lavagna luminosa, flip-chart, pennarelli, ...), all’adeguatezza e qualità del materiale didattico (dispense, lucidi, fotocopie, supporti esercitativi, ...). Al tutor solitamente è affidata la responsabilità di coordinare e gestire i momenti di apertura e chiusura del corso. L’apertura è particolarmente critica, in quanto è in questa fase che si stabilisce con i partecipanti il “contratto d’aula”. In questi momenti è opportuno che il tutor presenti ed espliciti gli obiettivi del corso e i contenuti specifici della giornata, i tempi e le modalità di gestione della didattica, gli aspetti organizzativi delle attività (tempi previsti per le unità di lavoro, coffee break, pausa pranzo, ora di chiusura, …). Nella fase di apertura solitamente il tutor presenta il docente secondo il ruolo e la discrezionalità prevista dall’intervento. Infine, nella fase di apertura il tutor solitamente si preoccupa di esplorare e socializzare le aspettative dei partecipanti, meglio se con modalità più creative del classico giro di tavolo. Il tutor coordina i diversi momenti didattici cercando di gestire secondo ritmi adeguati l’articolazione degli interventi teorici, delle esercitazioni, dei dispositivi di ricerca d’aula, di riflessione ed elaborazione. Spesso al tutor, soprattutto quando il docente è un tecnico, è affidata la responsabilità diretta dei momenti esercitativi. Altre volte svolge un ruolo di supporto e facilitazione coordinandosi con il docente. Al tutor, infine, è spesso affidata la responsabilità di coordinare le attività di valutazione, verifica e monitoraggio degli apprendimenti. In tal senso il ruolo del tutor 13 può oscillare tra un’attività di coordinamento in senso stretto (distribuzione e raccolta dei questionari di fine corso, elaborazione e tabulazione dei dati, stesura del report per il project leader o la committenza, …) e una vera e propria attività consulenziale, quando coordina i momenti di monitoraggio e valutazione facilitando nei partecipanti la riflessione, la ricognizione e la sistematizzazione degli apprendimenti maturati. 8. IL TUTOR NELLE ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il tutor nel suo ruolo di supporto, facilitazione e accompagnamento nei percorsi di apprendimento, ha anche l’obiettivo di monitorare costantemente l’andamento del corso e degli apprendimenti. La tutorship è in tal senso parte integrante del sistema di valutazione della formazione. L’attività del tutor nel monitoraggio e nella valutazione degli apprendimenti può essere più efficace se è chiara la finalità della valutazione, se viene specificato l’“oggetto” della valutazione, le persone coinvolte, e se gli strumenti sono scelti coerentemente con gli obiettivi, i soggetti e gli oggetti da valutare. Le finalità delle attività di monitoraggio e valutazione degli apprendimenti può rispondere ad una esigenza tendenzialmente di controllo e una più propriamente formativa. La prima finalità fa riferimento alla valutazione come ad una attività che serve a stabilire se il processo di formazione è stato condotto secondo criteri e modalità prestabilite, e se ha raggiunto i risultati attesi. In tal senso è necessario prevedere delle dimensioni e degli indicatori ad esse correlati (di qualità delle attività, di qualità del processo, dei risultati di apprendimento, …) e controllare se si sono raggiunti gli standard attesi. La seconda dimensione fa riferimento al processo di apprendimento a cui si dà luogo nel condurre l’attività di valutazione. In questo caso l’interesse è rivolto non tanto alla verifica della qualità attesa e dei risultati ottenuti, ma piuttosto all’istituzione di momenti di apprendimento proprio a partire dai momenti di valutazione. In questo senso i partecipanti, coinvolti dal tutor nel processo di valutazione, hanno la possibilità di apprendere dalla riflessione intenzionale e sistematica sull’esperienza formativa: la valutazione diviene così importante momento di elaborazione, presa di coscienza e sistematizzazione degli apprendimenti. L’attività di valutazione con finalità di apprendimento può essere condotta per mezzo di follow up di monitoraggio degli apprendimenti, in cui, attraverso momenti di autoeterovalutazione il tutor aiuta i partecipanti a ricostruire ed elaborare il loro percorso di apprendimento, sul versante dei contenuti e delle modalità di apprendimento utilizzate. Per ciò che riguarda i contenuti dell’apprendimento il lavoro di riflessione può avvenire a partire da domande esplorative del tipo: 14 - a che livello di completezza ritengo di aver acquisito ciascun argomento? - A che livello di profondità? - In che modo riesco a collegare questo argomento con gli altri argomenti del percorso formativo? - In che modo riesco a collegare questo argomento ad altre mie esperienze di studio, di formazione, di lavoro? - Che cosa ritengo di aver particolarmente acquisito e che cosa dovrei approfondire degli argomenti affrontati? In che modo potrei farlo? Per ciò che riguarda invece le modalità di apprendimento utilizzate la riflessione può essere avviata a partire dai seguenti spunti di analisi: - come potrei descrivere la mia partecipazione al percorso? Come sono state le mie relazioni con lo staff (docenti, testimoni, tutor, …)? Cosa posso dire in merito alle mie relazioni con gli altri partecipanti? Qual è stata la mia motivazione, l’interesse e le energie investite nella partecipazione al percorso nei diversi momenti in cui si è realizzato? - Quali sono le situazioni e le condizioni che mi aiutano, mi danno “energia”, mi coinvolgono maggiormente nei percorsi di apprendimento? - Quali invece le condizioni che mi “frenano”? - Quali modalità potrei cambiare per rendere più efficace la mia partecipazione al percorso di apprendimento? Questi momenti diventano dei veri e propri workshop di formazione, che facilitano l’attività di riflessione, di ricognizione, di elaborazione e di astrazione dell’esperienza di apprendimento maturata. Se è possibile integrare la finalità di apprendimento con la finalità cosiddetta di controllo parliamo allora di una dimensione formativa della valutazione, che arricchisce l’azione di verifica e la caratterizza come parte integrante del percorso di apprendimento. Oltre a chiarire la finalità dell’attività di monitoraggio e valutazione degli apprendimenti il tutor deve avere ben chiari quali sono gli oggetti della valutazione. Si profila così una possibile suddivisione dell’oggetto di valutazione: da un lato la valutazione del percorso di formazione, dall’altro la valutazione dei risultati in termini di acquisizione e sviluppo di nuove conoscenze, capacità e sensibilità. Questi due aspetti sono intrinsecamente legati e correlati: tanto più il percorso di apprendimento è stato progettato e realizzato secondo criteri di qualità, efficacia e adeguatezza tanto più è probabile che i risultati in termini di apprendimento siano buoni. Tuttavia tenerli distinti è utile poiché chiarisce sia lo scopo e l’utilità della valutazione sia, di conseguenza, il significato degli attori coinvolti. Distinguere gli oggetti di valutazione ci serve anche per rispondere in modo più accurato ad un quesito centrale: perché si valuta? Ovvero, qual è il senso e lo scopo di attivare un processo valutativo? 15 Per ciò che riguarda la valutazione del percorso di formazione il tutor può fare riferimento alla qualità del processo (in che modo è avvenuta la progettazione? come sono stati scelti i docenti? quali sono state le modalità di convocazione e gli aspetti organizzativi? quali sono le attività di monitoraggio e valutazione previste?), alla qualità e alla coerenza dei contenuti, delle metodologie, del setting (qual è il livello di preparazione dei docenti? qual è la qualità dei contenuti portati? del materiale presentato e distribuito? qual è la funzionalità dell’aula, della strumentazione tecnologica utilizzata?), alla soddisfazione e all’utilità percepita dai partecipanti. Anche all’interno dei processi di formazione il tutor può adottare una logica di “orientamento al cliente”, se ciò diventa un modo per aumentare il dialogo e lo scambio tra lo staff e i partecipanti. Tuttavia ciò è utile nella misura in cui il gradimento dei partecipanti non diventa l’unico elemento a cui affidare la valutazione del percorso: il “cliente” non ha sempre ragione anche se va sempre ascoltato. In merito invece alla valutazione dei risultati di apprendimento possono essere valide le seguenti indicazioni: - in che cosa sono cambiati i partecipanti al termine del percorso di formazione? - Quali sono le conoscenze acquisite? - Quali capacità hanno sviluppato all’interno del percorso? A quale livello? - Quanto il cambiamento conseguito è attribuibile alla partecipazione al percorso? - In che misura il percorso di apprendimento è stato efficace in rapporto alle finalità e agli obiettivi prefissati? Le modalità e gli strumenti che il tutor può utilizzare nell’attività di valutazione dipendono dall’oggetto (che cosa stiamo valutando?), dai soggetti (chi è che sta valutando?) e dallo scopo (qual è la finalità dell’attività di valutazione?). Ciò significa che in alcuni momenti egli può utilizzare modalità e strumenti di rilevazione tendenzialmente metrico-quantitativi, come ad esempio quando coinvolge i partecipanti nella valutazione del percorso, chiedendo loro di esprimersi sulla conduzione dell’attività formativa da parte dei docenti, sulla chiarezza espositiva, sulla coerenza, etc., con il fine di “controllare” la qualità percepita del corso. In altri momenti il tutor può invece utilizzare modalità e strumenti tendenzialmente clinico-qualitativi, come ad esempio quando insieme ai partecipanti egli avvia un percorso di autovalutazione rispetto agli apprendimenti maturati, alle resistenze, alle difficoltà nel trasferimento, al proprio modo di apprendere. In quest’ultimo caso siamo molto lontani da una logica di misurazione dei risultati: siamo piuttosto in una logica di aiuto e supporto consulenziale finalizzato a promuovere, attraverso la valutazione, un processo di apprendimento. 16 9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE I ruoli sono costrutti sociali che orientano le persone nello scambio e nella comunicazione all’interno delle relazioni sociali ed organizzative. La definizione dei ruoli aiuta a stabilire la legittimità delle aspettative verso coloro che occupano una certa posizione (sociale o organizzativa) e l’adeguatezza delle loro risposte finalizzate a soddisfare le richieste. Anche il tutor, in quanto ruolo, è un costrutto sociale, ovvero un artefatto antropologico, frutto della cultura, dei valori, delle abitudini, delle credenze, delle regole formali e informali presenti all’interno di una determinata comunità professionale. E come tutti gli artefatti antropologici è soggetto a mutamenti che dipendono dagli accadimenti e dalle trasformazioni sociali, culturali, psicologiche, tecnologiche. Le riflessioni intorno al ruolo del tutor qui presentate, alle sue principali funzioni, alle attività prevalenti sono maturate all’interno di una specifica cultura, di valori, di assunti di base, di consuetudini consulenziali e formative che chi scrive ha in questi anni fatto proprie5. È molto probabile che in ambiti differenti, presso culture organizzative diverse, siano altri gli aspetti ritenuti rilevanti per una corretta interpretazione del ruolo di tutor. Ad esempio la rilevanza delle dimensioni psicosociali, sottolineata nel presente contributo, potrebbe passare in second’ordine in percorsi di apprendimento ospitati all’interno di organizzazioni con cultura prevalentemente normativo-burocratica, o in percorsi con forti vincoli amministrativi e procedurali, in cui prevale la richiesta di ottemperanza alla norma e alle procedure. O in culture tecnicistiche, dove l’assunto di base, talvolta implicito, è che ciò che conta sono i contenuti, le tecniche, gli strumenti e i comportamenti efficaci. Come se ciò non riguardasse a pieno titolo i processi e le dinamiche psicosociali delle persone in apprendimento. Le riflessioni qui presentate fanno inoltre riferimento ad esperienze di formazione in presenza, o prevalentemente in presenza. Resta aperto il quesito se possano essere efficacemente applicate anche a percorsi di formazione a distanza, o meglio a percorsi di apprendimento web based. Il web forse è presente nei percorsi di formazione da troppo poco tempo per consentirci di trarre delle conclusioni soddisfacenti riguardo i suoi effetti sulle dinamiche dell’apprendimento. Per il momento le indicazioni e le proposte che presentano gli studiosi e i professionisti di web based learning si riferiscono alla possibilità di remotizzare alcune attività che tradizionalmente il tutor svolgeva in presenza e che ora, in parte, possono essere svolte a distanza, con buona probabilità di successo. Sono tali le attività di informazione, di invio di materiale didattico, di stimolo e facilitazione al dialogo e al confronto, di supporto e sostegno, di feedback, monitoraggio e valutazione. Meno studi, ricerche e indicazioni si trovano invece riguardo a quali nuove dinamiche (psicologiche, relazionali, sociali) siano prodotte 5 In particolare, per le riflessioni qui presentate, è significativa l’esperienza maturata all’interno di ISMO (Interventi e Studi Multidisciplinari nelle Organizzazioni) di Milano. 17 dall’interazione “virtuale”, in che modo influenzino l’attività di apprendimento, come possano essere gestite e presidiate. In ogni caso il tutor, sia all’interno di culture differenti, sia attraverso l’utilizzo di setting, modalità e tecnologie diverse difficilmente può prescindere dallo svolgere in modo consapevole, del tutto o solamente in parte, alcune fondamentali funzioni finalizzate a facilitare e supportare le persone nei loro percorsi di apprendimento. In tal senso il ruolo del tutor deve caratterizzarsi prevalentemente come ruolo consulenziale: il tutor deve cioè porsi al servizio del sistema di apprendimento per creare le condizioni psicologiche, sociali, organizzative più efficaci per la realizzazione delle finalità di apprendimento istituite. Da questo punto di vista egli sarà garante soprattutto dei processi di apprendimento, pur dovendo presidiare anche l’adeguatezza, la coerenza e la qualità dei contenuti6. In quanto consulente per l’apprendimento egli deve utilizzare modalità per quanto possibile non direttive, evitando così di sostituirsi alla persona nei momenti maggiormente critici, fonte spesso di crescita, maturazione e sviluppo7. Il tutor deve avere consapevolezza che nella maggior parte dei casi, soprattutto in percorsi di apprendimento a medio-lungo termine, rappresenta da un punto di vista simbolico e operativo l’istituzione apprendimento. Perciò la sua funzione non si limita soltanto ad aspetti di coordinamento organizzativo, comunque importanti anche per le valenze simboliche che la cura degli aspetti organizzativi spesso assume nella formazione. Egli interviene nelle dinamiche affettive, individuali e di gruppo, aiutandone il riconoscimento e l’elaborazione coerentemente alle finalità del percorso. Infine il tutor, in quanto “garante” del percorso deve costantemente monitorarne l’andamento, sia per controllare che il criteri convenuti e i risultati attesi siano coerenti alle aspettative, sia per aiutare i partecipanti a prendere maggiore consapevolezza dell’apprendimento maturato, attraverso un lavoro di autovalutazione, riflessione ed elaborazione. In questo modo è forse più probabile che i percorsi di apprendimento assumano per le persone un significato diverso, probabilmente più vicino al senso che insieme a loro è possibile costruire, a partire da ipotesi e progetti di sviluppo personale e professionale messi loro a disposizione. Il tutor può davvero essere di aiuto e supporto ai sistemi di formazione, e dare un contributo significativo non tanto per insegnare alle persone, ammesso che ciò sia mai possibile, quanto per creare le condizioni di apprendimento che consentano alle persone di imparare. 6 Nella formazione web based l’adeguatezza del contenuto è spesso correlata all’adeguatezza dell’editing del materiale di studio e riflessione fornito ai partecipanti. In questo caso un non corretto presidio dei contenuti e, in particolare, della forma con cui vengono presentati, può compromettere l’efficacia del percorso. 7 Anche qui, per certi aspetti può fare eccezione la formazione web based, dove può esservi la necessità di passare da una logica pull (in cui è il partecipante ad assumere l’iniziativa di chiedere, cercare, interrograsi, …) ad una logica push (dove l’iniziativa proviene da una fonte esterna, il docente o il tutor, e il partecipante è stimolato a rispondere). 18 19 Bibliografia Bellotto M., Trentini G., Culture organizzative e formazione, Franco Angeli, Milano, 1989. Benozzo A., Piccardo C., “Lettera a un tutor appena nato”, Adultità, n. 12, ottobre 2000 Biolghini D., Cengarle M. (a cura di), Net Learning, Etas, 2000. Bion W.R., Apprendere dall’esperienza, (ed or. Learning from experience), Armando Editore, Roma, 1972. Bruscaglioni M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1991. 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