Un Futuro per la Sicilia Premessa La Sicilia è una regione che concorre con il suo sviluppo allo sviluppo del paese. Il PD, che è un partito a struttura federativa, intende proporre un programma per la Sicilia che tenga conto della specificità dei bisogni e delle potenzialità che questo territorio esprime, pur nel rispetto delle scelte strategiche contenute nel programma nazionale del partito. La speranza nutrita oggi da molti siciliani è che la nuova stagione elettorale, con i dibattiti ed i confronti da essa innescati, affronti tre idee guida: a) il rifiuto di ogni forma di collusione, convivenza, tolleranza rispetto alla mafia; b) la lotta al clientelismo come pratica che blocca la democrazia, demotiva nella ricerca del merito, abbassa la qualità delle relazioni e del capitale umano; c) la questione del “riconoscimento” della Sicilia. Proviamo ad illustrare successivamente l’importanza di un dialogo a tutto campo su queste tre linee guida. Più elementi (dalla progressiva disgregazione dell’organizzazione mafiosa al nuovo atteggiamento verso la criminalità organizzata assunto da soggetti autorevoli del mondo produttivo) hanno fatto capire che per sottrarsi alla mafia è necessario opporvisi fermamente e apertamente. Questa nuova consapevolezza deve riverberarsi sulla politica, sulle pratiche sociali, sul governo stesso della cosa pubblica per mettere al bando perversi schemi di voto di scambio. Rifiutare il clientelismo significa recuperare degenerazioni strutturali della politica. La politica priva di idee e considerata sporca nell’immaginario collettivo, si riduce ad una distribuzione di premi tra i fedeli che portano un cospicuo pacchetto di voti. Tutto ciò crea élites inamovibili e diffuse forme di 1 corruzione. Finalmente i politici sono consapevoli che in Sicilia il clientelismo è dannoso al pari della mafia. Veniamo ora al “riconoscimento”, un tema che è al centro del programma elettorale del Partito Democratico. La Sicilia “riconosciuta” come terra di sottosviluppo e di mafia, ha dovuto fare i conti con ritardi antichi, ma non c’è dubbio che sono state le disfunzioni dell’amministrazione regionale che hanno prodotto nuovi guasti o hanno aggravato quelli tradizionali. È necessario invertire radicalmente questa tendenza, rivedendo altrettanto radicalmente le modalità di intervento dell’istituzione regionale. L’amministrazione regionale deve saper garantire diritti, equità, servizi, sviluppo ai cittadini siciliani. Riconoscimento significa capacità della Sicilia di guardare e giudicare l’Italia e non solo di essere guardata e giudicata. La centralità della Sicilia dipende dalla sua capacità di divenire la prima regione di incontro dell’est, lo snodo di una “nuova via della seta”. A questo contesto vanno riferiti i progetti che riguardano le infrastrutture di collegamento di cui la Sicilia e l’area mediterranea necessitano. La Sicilia ha bisogno di riformismo Proponiamo l'idea forte di un riformismo rigoroso e radicalmente in contrasto con un sistema politico e partitico che fin qui ha trovato fondamento nel “clientelismo capillare” Un riformismo che si alimenta con il largo movimento partecipativo delle primarie nazionali e regionali e che si realizza a partire da immediate modifiche di comportamento di un nuovo governo regionale: non più assessorati dove quasi tutte le funzioni sono svolte da mega uffici di gabinetto in cui sono rappresentate tutte le aree di “potere” del momento, ma assessori capaci, con un ufficio di gabinetto costituito da non più di 3-4 persone ed il cui obiettivo primo sia quello di “far funzionare gli uffici”. La nuova questione meridionale poi è la questione mediterranea. Il Mediterraneo, infatti, acquista un’oggettiva centralità in un ordine geopolitico che dà a questa macroregione grandi opportunità di crescita. Lo sviluppo impetuoso registrato in questi anni dall’economia di alcuni paesi asiatici può 2 aprire una nuova “via della seta” che utilizzi il bacino del Mediterraneo come naturale porta di accesso ai grandi mercati europei. Si tratta di una prospettiva in relazione alla quale la Sicilia deve adeguatamente attrezzarsi, cercando di creare nuove opportunità di sviluppo per se stessa e per i paesi della sponda sud con cui deve saper interagire. Bisogna fermare il declino della Sicilia, ripristinandone l’immagine agli occhi della comunità nazionale ed internazionale, fare rinascere la speranza nella società siciliana e soprattutto in quelle fasce deboli di essa fatte prevalentemente da donne, da giovani, da “nuovi cittadini” che vengono a vivere qui da noi per lavorare onestamente e contribuire al progresso siciliano. La Sicilia è molto lontana dagli obiettivi dell’Unione europea stabiliti nel Duemila con l´intento di «trasformare l´Europa nell’economia più competitiva e dinamica del mondo». Prendendo, ad esempio, l’occupazione, i parametri prevedono che entro il 2010 il tasso di occupazione arrivi al 70 per cento, ma la Sicilia è oggi appena al 44 per cento, fanalino di coda tra le altre regioni italiane, ed è terzultima per tasso di occupazione femminile: Lisbona prevede un tasso del 60 per cento, l´Isola si ferma appena al 28,2 (i dati sono dell’Istat). Per quanto riguarda l’innovazione, il rapporto tra il Pil (prodotto interno lordo) e la spesa in ricerca e sviluppo deve essere del 3 per cento, mentre la Sicilia si ferma allo 0,9. Con un’evidente carenza, che va recuperata, di innovazioni per la ricerca. Questi dati evidenziano, senza ombra di dubbio, l’azione fallimentare del governo regionale, che non ha saputo sfruttare al meglio i cospicui finanziamenti dell’Unione europea. Una programmazione sbagliata e condotta secondo logiche distributive e clientelari, ha fatto sì che la Regione, per progetti concessi in modo irregolare, rischia di restituire ingenti somme. Il ruolo delle donne e dei giovani Occorre riprendere il treno europeo e dirigersi con determinazione verso il raggiungimento dei parametri di Lisbona. A tal fine, risulterà fondamentale 3 puntare sulle donne e sulle nuove generazioni, riconoscendo loro un ruolo cruciale per lo sviluppo economico e sociale. Per quanto riguarda le donne, è ormai un assunto consolidato tra gli economisti che i paesi caratterizzati da una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, come l’Italia, sono quelli che otterrebbero dall’aumento dell’occupazione femminile un maggior vantaggio in termini di crescita del Prodotto interno lordo. Perché questo accada, occorre pianificare una strategia che agisca, da un lato, con una terapia “shock” per l’occupazione femminile (si veda a proposito l’esperienza scandinava) e dall’altro creando un sistema di welfare adeguato ai nuovi bisogni della società. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, occorrono politiche di sostegno diretto alla domanda di lavoro femminile, politiche e servizi per la conciliazione del lavoro di cura e del lavoro esterno alla famiglia, politiche d’incentivazione all’imprenditoria femminile. Tutte forme che concorrono trasversalmente all’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le proposte fin qui descritte non riguardano solo le donne, ma toccano anche la questione giovanile. E’ pacifico, infatti, che il potenziamento dei servizi alla famiglia e l’istituzione di ammortizzatori sociali ad hoc per ovviare alla discontinuità lavorativa costituiscono ottimi strumenti affinché i giovani riescano a conciliare nel migliore dei modi la precarietà occupazionale con la costruzione del proprio futuro, in particolare con la costruzione di una famiglia. Il lavoro e il merito In una regione in cui i concorsi pubblici sono scomparsi, in cui le assunzioni vengono fatte solo per conoscenza, in forme precarie e per accontentare le frotte clientelari, non c’è posto per il merito. L’intelligenza viene premiata solo se accompagnata da raccomandazione: nel resto dei casi (e sono la maggioranza), l’unica alternativa è la fuga. La lotta al precariato, poi, non può non basarsi sulla consapevolezza che alla base della scelta di allargare l’area del precariato c’è un preciso calcolo politico, quello di alimentare all’infinito le aspettative di chi, essendo senza 4 lavoro, accetta anche un non lavoro nell’attesa di essere prima o poi assunto in via definitiva. Accade quindi che chi produce lavoro precario si proponga poi come benefattore dei precari, impegnandosi ad assumerli ad ondate, magari alla vigilia di una consultazione elettorale, per poi dar vita a nuovo precariato. Insomma, le assunzioni per chiamata diretta producono inevitabilmente lavoro precario, mortificano il diritto al lavoro e creano una vasta area di lavoratori sfruttati dalla pubblica amministrazione, destinati ad alimentare il voto di scambio. Questa forma di “svalutazione” del diritto al lavoro è frutto diretto della mancanza di trasparenza all’interno dell’amministrazione pubblica. A tutto ciò si deve reagire predisponendo mezzi legislativi adeguati e istituendo organi di controllo indipendenti che agiscano con efficienza sulle zone d’ombra della macchina amministrativa. L’indifferenza verso i diritti prodotta dalla cultura del favore e del clientelismo genera spreco di risorse, scoraggia la competizione non stimolando le capacità individuali, e mortifica il merito; essa crea una larga base di consenso intorno al reticolo di illegalità che deprime lo sviluppo, l’identità e la dignità. Il diritto al lavoro va garantito attraverso lo sviluppo, ed eliminando gli ostacoli di ordine politico e burocratico che si frappongono alla sua attuazione. Particolare attenzione va dedicata in questa direzione al diffondersi, nelle amministrazioni pubbliche e negli enti a partecipazione pubblica, di forme di reclutamento dei lavoratori e di assegnazione in appalto di lavori e servizi al di fuori di ogni seria procedura concorsuale. Da un lato, le assegnazioni dei lavori pubblici e servizi attraverso società costituite dalla mano pubblica e da privati (società che spesso nascono più per privilegiare uno o più imprenditori, che per servire al meglio l’interesse pubblico), dall’altro, le assunzioni attraverso procedure che non garantiscono alcuna selezione o attraverso la concessione di lavori e servizi a cooperative e società di intermediazioni che dovrebbero far realizzare al soggetto appaltante importanti economie gestionali, rappresentano null’altro che il prodotto di un 5 uso spregiudicato della discrezionalità amministrativa, che oggettivamente tende a negare il diritto al lavoro ai più bisognosi ed ai più capaci. La pubblica amministrazione quando ritiene di non poter ricorrere a complicate operazioni di selezione attraverso procedure concorsuali, è bene che si doti di elenchi di idonei (redatti sulla base ovviamente di rigorose selezioni per titoli e per merito, anche affidate ad apposite società specializzate) per acquisire il personale di cui abbisogna; a questi elenchi si dovrebbe attingere, dando ad essi una validità non superiore al triennio. Sempre a criteri obiettivi bisogna fare ricorso per gli incarichi professionali e per le consulenze, rivolgendosi agli ordini professionali perché compilino liste di professionisti disponibili, all’interno delle quali almeno un terzo dei posti sia riservato a giovani laureati da meno di dieci anni. Solo così si potrà scoraggiare la pratica delle consulenze di volta in volta inventate per esigenze magari inesistenti. Un fenomeno questo che ha molto a che fare con gli incontenibili costi della politica, essendo divenute queste consulenze le nuove tangenti a disposizione del sistema politico. Politica e amministrazione Particolarmente rilevante, in questo senso, è la questione del rapporto fra sfera politica e sfera amministrativa, come anche quella del rapporto fra i vari livelli e organi amministrativi. Risulta necessario instaurare circoli virtuosi fra regole e pratiche, finalizzati, ad esempio, ad una riduzione della presenza e del peso della politica nella pubblica amministrazione e nella società civile, e di una sua netta separazione rispetto alla sfera dell' amministrazione. Mettere al riparo la sfera amministrativa dai condizionamenti esercitati dalla politica, dal potere economico, dal potere mafioso, significa garantire all’amministrazione la neutralità e l’efficienza necessarie per consentire a tutti i cittadini l’accesso ai diritti, per regolare il mercato in modo limpido, per assicurare il diritto al lavoro e la giusta progressione nella carriera ai più capaci e meritevoli, per rompere quel cerchio di complicità e quel clima di opacità che 6 si creano intorno alle amministrazioni pubbliche e attraverso i quali prosperano i poteri criminali e la corruzione. A tal fine si dovrà subito rivisitare l’iter del “procedimento amministrativo” a tutti i livelli, determinandone con certezza i tempi della sua conclusione, attuando nel contempo la figura del Responsabile del procedimento, agganciata ad un sistema premiante in caso di accertata efficienza, e per converso prevedendo un concreto sistema sanzionatorio in caso contrario, garantendo la sua trasparenza e rivitalizzando su ogni procedura un sistema serio di controllo su organi, procedure ed atti in ogni fase e su ogni livello. Non si tratta di collocare le amministrazioni fuori dal doveroso potere di indirizzo della politica, così come vogliono giustizialisti e strateghi dell’antipolitica, ma di evitare una politica onnivora, che tende a gestire le amministrazioni pubbliche imponendo sistematiche lottizzazioni, anche delle posizioni burocratiche più modeste, e affermando il primato del patto che lega la burocrazia a potentati politici sulla stessa legge. Gli scandali della sanità, divenuto il piatto ricco dell’amministrazione regionale, dimostrano come il controllo di tipo “politico”, esercitato dall’alta dirigenza su tutte le strutture della sanità, anche quelle che hanno una prevalente valenza tecnica (quante volte abbiamo sentito dire ad alti, ed altissimi, dirigenti che i concorsi erano bloccati perché non si era raggiunto ancora l’accordo politico!), abbia determinato, a causa di massicce ruberie, di concorsi truccati, danni gravissimi alla salute dei siciliani. Questo stato di cose va stroncato attraverso misure esemplari, che finalmente sottraggono alla sfera politica decisioni che vanno rimesse ad una discrezionalità di natura assolutamente tecnica. Tutto ciò non possibile realizzare, sarà certo se le regole del “governo spartitorio” anche in futuro dovessero coinvolgere le opposizioni, e quindi nessun controllo politico su malversazioni e inefficienze potrà essere realizzato. E’ giusto poi osservare, sempre in materia di assunzioni, che un contributo importante al ridimensionamento del fenomeno dei reclutamenti senza concorso, soprattutto nei periodi elettorali, può venire dalle possibili forme di gestione di alcuni 7 servizi pubblici da parte di associazioni di utenti, di associazioni no-profit, sulla base di una compiuta realizzazione di quel principio delle sussidiarietà orizzontale entrato finalmente nella Costituzione. Rifuggendo dalla ossessione regolativa consistente nel credere che basti fornire nuove norme formali per determinare mutamenti radicali, riteniamo preferibile puntare anche su criteri e metodi condivisi che favoriscano una buona prassi. Le regole, infatti, se adottate facendo astrazione dalle pratiche attuative, sono involucri vuoti. C’è da dire che le pratiche clientelari possono essere scoraggiate dall’affermarsi di un sistema di controlli che tenga conto dei risultati prodotti dalla pubblica amministrazione a fronte dell’assegnazione ad essa di risorse trasferite dallo Stato o acquisite attraverso il prelievo fiscale. La cultura della valutazione costituisce il limite più efficace ad una gestione clientelare delle risorse, perché essa fornisce parametri validi per valutare la correttezza dei comportamenti amministrativi, al di là della regolarità formale del procedimento amministrativo attraverso il quale viene attuata la decisione politica. Una vera svolta politica presuppone mutamenti e asimmetrie che riguardano, dal lato della società civile, la sfera dei comportamenti dei vari agenti sociali, e dunque dei valori e dei modelli culturali che li devono orientare e, dal lato della società politica, la sfera dei comportamenti del ceto politico e della classe dirigente e dei principi etico-politici che guidano le loro azioni. Particolarmente importante risulta, pertanto, l'introduzione di un codice etico per i partiti politici ed in genere per tutto il personale politico. Innovazione e politiche educative. L’investimento in capitale umano Un'altra necessità risulta essere quella di attivare processi di innovazione in tutte le articolazioni sociali, amministrative e politiche della nostra regione. Come sempre avviene nei processi innovativi, anche allo scopo di superare radicate resistenze e routine, ciò richiederà, per quanto di competenza della regione, un apposito apprendimento, e quindi un investimento sulle risorse umane, specie quelle più qualificate. 8 Il tema delle risorse rimane da qualificare al meglio è legato alle politiche del lavoro da un duplice punto di vista. A poco vale puntare ad una formazione di alto profilo, o addirittura eccellente se non si tutela il diritto al lavoro e i diritti sul lavoro, privilegiando il merito, inteso come requisito fondamentale per poter accedere ai vertici delle strutture produttive pubbliche e private. A poco poi vale battersi per una migliore qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, lungo tutto il percorso formativo, se non si prevedono meccanismi di “richiamo” e di educazione permanente, tali da consentire in un’economia della conoscenza di fronteggiare la rapida obsolescenza dei saperi. E’, quello della formazione permanente, un terreno su cui scuola primaria, secondaria, università e mondo del lavoro sono chiamati ad incontrarsi ed a programmare insieme. Le politiche educative devono costituire il cuore di una moderna politica riformista, come insegnano gli ottimi risultati prodotti in questo campo dai governi Blair, e l’attenzione dedicata ad essa, nel corso delle primarie americane, dai due principali candidati del partito democratico. Bisogna innanzitutto colmare i gravi ritardi che il sistema scolastico siciliano presenta quanto a dotazione di strutture, anche a causa di sprechi reiterati nel tempo (si pensi a certi corsi di formazione professionale). Le politiche educative vanno promosse non solo attraverso la scuola, ma anche in età prescolare, utilizzando, ove possibile, la famiglia (e naturalmente istituendo provvidenze che consentono ai genitori di attendere ai compiti educativi per più tempo e con maggiore efficacia), e, una volta assolto l’obbligo scolastico, durante tutta la vita lavorativa. Sviluppare capacità cognitive, nella società della conoscenza, significa prevenire i fenomeni di emarginazione prodotti dalle nuove sfide tecnologiche. Una società giusta però non si deve occupare solo di incrementare le capacità cognitive dei normodotati, ma deve consentire pari opportunità di accesso al sapere e al benessere alle fasce a rischio di dispersione scolastica e anche a coloro che sono diversamente abili, tenuto conto del fatto che solo 9 l’accesso al lavoro, e non le diverse forme di assistenza, per quanto generose, può evitare la emarginazione del diverso. I democratici in questo campo, in Sicilia, devono impegnarsi a fare molto di più di quanto hanno fatto coloro che difendono solo a parole la famiglia e la centralità della persona umana. Per un programma di governo Su queste basi abbiamo ritenuto utile stilare in forma sintetica alcune tesi, che riguardano quelli che dovrebbero essere i punti essenziali del programma da presentare alle prossime elezioni regionali per un futuro di sviluppo, modernizzazione e civiltà. Il programma di un partito di governo che si presenta come alternativo al centro-destra non può essere un programma tutto permeato da aspirazioni palingenetiche, che demonizza l’avversario considerandolo irreversibilmente in errore, e che si propone di fare sempre il contrario di ciò che fa chi sta al governo. Né può essere un programma basato, anziché sulle buone ragioni che producono la raccolta di un consenso consapevole, sulla denigrazione, sull’insulto, o sulla speranza di incidenti di percorso (di natura giudiziaria) in cui dovesse incorrere l’avversario per una scorretta gestione della cosa pubblica (fermo restando che una certa modalità di gestione della cosa pubblica, contro la quale ci battiamo, tende anche a generare atti illeciti, che giustamente richiamano l’attenzione della magistratura). Se si è certi di esprimere una identità politica diversa, per le cose che si dicono o che si hanno in animo di fare, è giusto che questa identità si esprima nel corso della legislatura attraverso le iniziative che si assumono nelle istituzioni (soprattutto presentando proposte alternative a quelle del governo, quando si è all’opposizione), nonché attraverso la capacità di formare e di indirizzare un’ opinione pubblica giustamente esigente. In un regime dell’alternanza ben regolato, tuttavia, il compito di uno schieramento progressista, in possesso di una solida cultura di governo, non può essere quello di smontare per principio tutte le scelte fatte dallo schieramento che lo ha preceduto. L’alternanza consente il rinnovamento degli indirizzi di governo e anche del costume politico. Ma una discontinuità per 10 principio degli indirizzi di governo può produrre costi insostenibili per la pubblica amministrazione, stressata dall’accavallarsi di riforme inevitabilmente non attuate, perché spesso esse richiedono un tempo più lungo di quello della durata di una legislatura. Il gradualismo nella realizzazione di riforme strutturali e l’esigenza di raccogliere un largo consenso parlamentare nell’approvazione di leggi che riguardano le regole del gioco o principi fondamentali per una serena convivenza civile impongono a dei riformatori convinti questo senso della misura. Di discontinuità in ogni caso c’è bisogno non solo con riferimento alle culture di governo, ma anche riferimento alla dislocazione degli apparati regionali nel territorio. Una Regione che decentra alcune sue strutture (assessorati ed enti) in alcune province realizza non solo un assetto dei poteri meno palermocentrico, consentendo un miglior rapporto tra cittadini e strutture regionali, ma rompe anche la unitarietà di un potere burocratico, garantito da “cabine di regia” immobili nel tempo, e poco disponibili a rinunciare a privilegi e compromissioni che hanno determinato sprechi, inefficienze e fatti di corruzione. Le tesi che si avanzano in questo documento non richiedono, nella maggior parte dei casi, risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle europee, nazionali e regionali attualmente disponibili. Richiedono però un loro diverso uso, per massimizzarne efficacia ed efficienza in termini produttivi e sociali. Le tesi qui contenute vanno certo in controtendenza rispetto ad abitudini consolidate, sfidano sentimenti di rassegnazione da sempre interpretati come “coscienza civile” di una Sicilia irredimibile, puntano a valorizzare la Sicilia del cambiamento fatta da cittadini onesti che rischiano sfidando la mafia, da giovani che vogliono essere costruttori del loro futuro, da uomini e donne che pure hanno creduto di poter ricevere vantaggi infiniti da un sistema di potere che ha degradato i diritti a favori e che adesso invece vogliono battersi per costruire un’altra Sicilia. Quella del partito democratico non è una scommessa impossibile, perchè si può cambiare la Sicilia. Così come non è scommessa impossibile quella di 11 vincere le elezioni correndo da soli a livello nazionale, per dimostrare che anche in politica i patti vanno rispettati e ciò che si promette agli elettori si deve mantenere. Lo sviluppo che vogliamo Bisogna anzitutto invertire la tendenza ad identificare il progresso della Sicilia con la capacità delle classi di governo di acquisire risorse da spendere comunque a prescinder da precisi obbiettivi di sviluppo. Va scoraggiata cioè la politica della spesa per la spesa. Un programma politico per l'economia siciliana deve costruirsi poggiando su giudizi di valore fondanti. Stabiliti i pilastri sui quali poggiare, esso deve esprimere precise e comprensibili scelte di obiettivi per orientare un' azione di governo ovvero una forma di opposizione. Infine deve predeterminare soggetti da coinvolgere, risorse da utilizzare, tempi di esecuzione. Una volta disegnata questa sorta di architettura di base, il lavoro di chi progetta il futuro continua. Forum tematici e territoriali potranno via via suggerire elaborazioni più articolate e raffinate con riferimento a singole criticità, settori, realtà urbane. Cosi come risulterà utile una rivisitazione di materiali di conoscenza già prodotti. Un terzo livello, operativamente contemporaneo ai primi due già descritti, implica un avanzare comune del programma per l'economia con altre opzioni proprie di un programma politico di più ampio respiro anche con riferimento alle regole grazie alle quali si pensa di individuare attori, ruoli, organi dirigenti cui affidare la responsabilità della comunicazione del programma e della sua esecuzione. Complessivamente si dovrebbe passare da una fase di primo contributo alla riflessione sui caratteri del nuovo partito e della sua missione politica, ad una fase di più puntuale conoscenza delle dinamiche positive e negative dell' 12 economia siciliana, per giungere infine ad una fase finale di comunicazione utile a verificare il consenso che si aggrega intorno alle idee proposte. I giudizi di valore fondanti potrebbero essere costituiti: a) dal parallelismo tra rafforzamento della legalità e dispiegarsi dello sviluppo; b) dall'affermazione di un’idea di sviluppo eco-sostenibile che tenga conto della pianificazione strategica ad oggi in atto in vaste aree del territorio; c) da una netta distinzione tra politiche di assistenza e solidarietà, da un lato, e politiche attive del lavoro, dall’altro. d) dal rifiuto di ogni filosofia ispirata a pretese risarcitorie o riparazioniste; e) dalla presa di coscienza della necessità di una strategia di risanamento del bilancio; f) dal ridisegno dell’utilizzazione dei fondi europei con un approccio diretto più alla loro qualità che al semplice monitoraggio delle percentuali di spesa. g) dalla consapevolezza che tra i prerequisiti di un processo di sviluppo per la Sicilia oltre all'azzeramento del pedaggio imposto dalla presenza della criminalità organizzata siano assolutamente necessarie una riforma della burocrazia regionale ed un serio piano di infrastrutture che annulli il pesante costo costituito dalla perifericità. Il lavoro diventa il riferimento unico e insostituibile di ogni scelta programmata e insieme alle politiche per la povertà e il disagio sociale ispira un nuovo disegno del welfare regionale. Quando si parla di riforma del welfare è giusto ricordare che questa non va letta solo come insieme di misure per ridurre la spesa sociale, ma come una strategia per renderla più equa ed efficiente. In questo senso spinge un declino economico del paese che se da un lato impone di affrontare il problema del deficit pubblico, dall’altro però impone una riorganizzazione della spesa tesa a garantire un miglioramento delle condizioni di vita dei meno abbienti. Si tratta di privilegiare un approccio ai problemi posti dal nuovo welfare, tenendo conto del fatto che in questo paese gli operai ancora ci sono, che sono più poveri di prima, e che sono anche meno 13 tutelati sul piano delle garanzie che dovrebbero assisterli nei luoghi di lavoro, e che accanto agli operai c’è un ceto medio oggi particolarmente in difficoltà e che talvolta finisce per essere coinvolto in fenomeni di nuova povertà. Un sistema di welfare regionale non può ignorare i ceti medi, spesso fuori da reti clientelari o di protezione. L’autonomia “diversa” alla quale guardiamo è una autonomia che non si basa su quotidiane rivendicazioni tese ad ottenere maggiori risorse, destinate a questa o a quella grande opera, ma su un progetto di sviluppo per la cui realizzazione si devono mobilitare in modo sinergico i diversi livelli di governo, così come si conviene ad un paese che sollecita un ripensamento dello Stato, proprio al fine di realizzare un vero federalismo cooperativo. La Sicilia è una regione che deve perseguire il proprio sviluppo chiedendo pari opportunità e non trattamenti preferenziali. Lo sviluppo della Sicilia serve all’intero sistema paese, soprattutto se essa sarà messa nelle condizioni di operare nel Mediterraneo per creare sviluppo, così come ha saputo fare il Triveneto rispetto alle regioni mitteleuropee. Le vie dello sviluppo e dell' occupazione potrebbero essere almeno cinque: a) l'economia e culturali del turismo, collegata alla valorizzazione dei beni ambientali ed alla creazione di una filiera agro-alimentare di approvvigionamento, tale da esaltare il moltiplicatore della spesa turistica, e quindi l'occupazione; b) l'economia dell'energia alternativa, viste le risorse che la Sicilia in questo senso può mettere in campo (mare, sole, vento); c) l'economia della ricerca attraverso la costituzione di circoli virtuosi tra Università, centri di studio, imprese sostenendo innovazione e accesso al credito per le piccole e medie imprese; anche accelerando l’inizio delle attività del Politecnico Mediterraneo. Occorre incoraggiare una rete delle Università siciliane e valorizzare il loro impegno in atto per creare relazioni culturali stabili con le Università del Mediterraneo, con primo obiettivo la cultura della pace. d) l'economia dei sistemi di trasporto (porti, aeroporti, snodi ferroviari, autostrade e connesse aree industriali di trasformazione), tenendo presente la 14 posizione centrale della Sicilia nel Mediterraneo e il trend in crescita dei flussi commerciali Asia-Europa; in assenza di investimenti del genere la Sicilia sarebbe (come già avviene) messa da parte negli itinerari dei nuovi flussi commerciali, a favore di altri paesi più lungimiranti di noi; e) economia agricola, dei territori rurali e delle isole minori, che vanno valorizzate ancor di più, attuando i vari strumenti di programmazione in atto (DUPIM, APQ, PIT, Distretti) e creando un apposito dipartimento regionale per le isole minori. Circa il 6% dei redditi, all’incirca, provenienti dalle attività produttive scaturisce dal settore agricolo, spesso rappresentato come un settore bisognoso di interventi assistenziali, e non come settore vitale nell’ambito di nuove politiche dello sviluppo. Si tratta di sostenere i processi di trasformazione legati alle grandi dinamiche mercantili, ma anche di intervenire sulle grandi organizzazioni del mercato attraverso misure di regolazione che consentano ai piccoli produttori, anche se non organizzati in cooperative, di poter sopravvivere. La filiera agroalimentare può essere riorganizzata attraverso interventi che collegano i processi di trasformazione ai processi di mercato. Pensiamo ad una “Agenzia pubblica dello sviluppo agricolo” che difenda le produzioni capaci di trovare adeguati spazi di mercato, senza assumere le forme organizzative del carrozzone (l’ESA insegna). Ma pensiamo anche a strumenti più semplici di collegamento tra produttori e consumatori come i mercati contadini. Tutti questi obiettivi sono conseguibili sapendo coinvolgere anche la piccola impresa e l’artigianato, nonché il mondo della cooperazione. Queste vie di sviluppo dovrebbero ispirare la spesa dei fondi europei 2007-13 evitando sprechi e dispersioni improduttive. Tutte e quattro le vie citate lasciano intravedere un aumento dell'occupazione sia intellettuale che manuale. E' necessario coinvolgere: a) il mondo produttivo siciliano, considerata la disponibilità manifestata in questo senso dalle organizzazioni imprenditoriali protagoniste di una 15 coraggiosa rivolta contro il pizzo, che via via si va estendendo ad altri settori della società civile, convinti che più legalità vuol dire più sviluppo; b) investitori esterni, previa realizzazione di tutte le condizioni che rendono il territorio sicuro e accogliente sul piano delle infrastrutture essenziali; c) il ceto intellettuale dell'isola ed i giovani in formazione (gif), ai quali va proposto un modello di crescita basato sulla valorizzazione del merito, sull’incoraggiamento del rischio di impresa, sull’incremento di capacità creative. Nei prossimi anni, sulla base di questo abbozzo di programma, potrebbe drasticamente diminuire la fuga dei cervelli dalla Sicilia. E' certo nella natura della globalizzazione la libera circolazione dei cervelli. Quel che non deve accadere più in Sicilia, però, è: a) la fuga dei cervelli senza un progetto di ritorno; b) la fuga dei cervelli determinata solo dalla sfiducia; c) la fuga dei cervelli non bilanciata da un contemporaneo flusso di arrivo dall'estero di altri cervelli. Le misure finora adottate dallo Stato per fare rientrare i ricercatori italiani che operano con grande successo all’ estero hanno avuto poco successo. A ciò ha contribuito una certa chiusura corporativa del mondo accademico (la ricerca in Sicilia si fa quasi esclusivamente nelle università), poco disposto ad accettare in pianta stabile chi è andato a lavorare all’estero per poter far bene ricerca. E’ molto difficile, tenuto conto di ciò, proporre ad un ricercatore che ha trovato all’estero risorse e prestigio di tornare in Italia per ricominciare da zero e magari per lavorare come precario. La Regione in questo campo potrebbe destinare risorse aggiuntive a quelle rese disponibili dallo Stato. Si tratta di acquisire esperienze professionali di notevole livello, conseguite sulla base delle risorse finanziare messe a disposizione dai governi stranieri, per consentire a ricercatori siciliani di potere lavorare per lo sviluppo della Sicilia. Va tenuto nel debito conto poi il fatto che il numero di laureati che in Italia trova lavoro nell’impresa costituisce, nell’ambito complessivo del numero di coloro che trovano una prima occupazione, una minoranza davvero esigua, considerata la percentuale media dei laureati neoassunti in Europa. Ebbene, il 16 numero di laureati che trovano lavoro in Sicilia, nel settore privato, rispetto al numero complessivo dei nuovi occupati, è al disotto della metà della media nazionale. Si tratta di una dato assolutamente comprensibile se si considera che le nostre sono imprese piccole e medie. E tuttavia, si potrebbe incentivare la creazione di vere e proprie agenzie di laureati che assistano le piccole imprese che non possono permettersi l’assunzione di dipendenti qualificati. Si tratta di organizzare i singoli laureati perché possano svolgere in questa forma cooperativa attività di consulenza alle imprese. Innovazione per garantire la crescita La politica dell’innovazione costituisce la base di una politica dello sviluppo che non può non essere fondata su una diffusione dei saperi e su una straordinaria attenzione rivolta alla valorizzazione della persona umana. Elenchiamo alcuni obiettivi da raggiungere: a) Promuovere una stabile ed efficace innovazione di processo (investimenti in tecnologie, modelli organizzativi, strategie di marketing) e di prodotto (produzioni a più alto valore aggiunto) nei settori strategici e in quelli attualmente meno competitivi. b) Promuovere gli investimenti (anche esterni) in ricerca e gli spin-off produttivi e tecnologici in settori ad alta potenzialità strategica, quali il mercato dell'energia e del risparmio energetico, della tutela dell'ambiente e dell'ICT (Information & Communication Technology). c) Migliorare i servizi alle imprese, ad esempio: intervento pubblico non finanziario per favorire l'impianto di una rete WI- max; sostegno ai consorzi ASI e/o ai distretti industriali in percorsi innovativi e strategici, riducendo al contempo l'ingerenza politica nella loro gestione. Promuovere lo sviluppo dei servizi pubblici e delle public utilities. 17 d) Realizzare interventi infrastrutturali con priorità per le opere che comportino l'adozione e il più rapido trasferimento di nuove tecnologie. Ed indichiamo gli strumenti ritenuti necessari per il raggiungimento degli obiettivi: a) Chiarezza istituzionale nelle politiche di bilancio con l'attivazione di strumenti che impediscano l'utilizzazione dei fondi strutturali per spese ordinarie,o peggio per ripianare deficit ordinari di bilancio derivanti da cattiva politica e da inefficiente pubblica amministrazione. Alla netta separazione tra spesa ordinaria - e politiche di risanamento e di ordinario buon governo della regione - e spesa per lo sviluppo, che utilizza i fondi strutturali europei, deve corrispondere la costruzione di sistemi istituzionali adeguati. b) Il governo regionale - che è per regole europee l'Autorità di gestione, ma che dei Fondi Strutturali ha l’obbligo di attivare il partenariato istituzionale, politico e sociale con cui costruire la programmazione, le modalità di gestione e il controllo – occorre che s’impegni a perseguire con i Fondi strutturali sia la via alta dello sviluppo, a misura della strategia di Lisbona, sia la complementare via diffusa dello sviluppo, volta a potenziare l'ordinario e basilare sistema produttivo, fatto di microimprese e di produzioni tradizionali e che sostanzia lo sviluppo locale possibile. c) Strumenti finanziari Credito d'imposta su investimenti in R&S; prestito d'onore e altre forme "leggere" di incentivazione su base regionale; incentivi di premialità solo su progetti d'eccellenza mediograndi. Vendita della quota regionale di partecipazione in Capitalia e destinazione del ricavato alla promozione e al sostegno del sistema produttivo. Processo di progressiva integrazione tra Irfis, Ircac e Crias. Ricorso alle risorse della Fondazione Banco di Sicilia a fini di promozione sociale. 18 Il rinnovamento delle istituzioni La riforma dello Statuto è stato un obbiettivo prioritario delle ultime legislature dell’ARS. Il dibattito su questi temi non ha però coinvolto l’opinione pubblica siciliana, alla quale si indirizzano messaggi forvianti come quello secondo cui le patologie prodotte dall’autonomia sono solo colpa dello Stato che ha negato poteri e risorse e giammai delle classi dirigenti locali che i poteri esistenti non hanno usato correttamente, dissipando risorse destinate allo sviluppo per alimentare clientele. E’ necessario riformare lo statuto siciliano implementando la collegialità delle scelte di governo. Ad oggi, la legge assegna al presidente della Regione un debole ruolo di coordinamento all’interno della Giunta. Ogni assessorato rappresenta una sorta di piccolo-grande feudo. Ciascun assessore ha la possibilità di seguire l’indirizzo politico e amministrativo che reputa più opportuno per sé e per il suo elettorato di riferimento. In tal modo, non c’è una vera e propria politica di governo, ma un miscuglio eterogeneo di politiche assessoriali. Con il risultato che i fini ultimi lasciano il posto alla ricerca di consenso del singolo. Le debolezze dello Statuto non giustificano le azioni dei componenti del governo regionale, ma in qualche modo favoriscono le peggiori prassi della mala politica. Lo Statuto deve essere, al contrario, uno degli strumenti con cui risolvere i deficit del nostro sistema democratico, in linea con il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. La riforma dello statuto insomma ha un senso se si è in grado di ripensare l’autonomia speciale, considerato che obiettivo condiviso dai due schieramenti, è quello di cambiare la forma di stato. In questo contesto, tuttavia, la specialità dello statuto come principio di regime non pare sottoponibile a revisione costituzionale. Pare prioritario, poi, completare la riforma della forma di governo attraverso un vero e proprio statuto dell’opposizione, che dia un ruolo costituzionale al capo dell’opposizione ed al suo shadow cabinet, nonché prevedere nuove forme di controllo politico, attraverso le indagini conoscitive e le commissioni di inchiesta. 19 Altri obiettivi: a) Attribuire alla regione un ruolo di Ente di regolazione e programmazione, lasciando il più possibile agli Enti locali l'amministrazione. b) Ridurre i "costi della politica" finalizzando anzitutto i contributi pubblici alla realizzazione di attività e servizi destinati alla partecipazione dei cittadini. c) Ridisegnare la struttura regionale in relazione alle sue effettive funzioni ed a criteri di efficienza e trasparenza. d) Realizzare forme di democrazia deliberativa attraverso l'utilizzo sistematico di tecniche di consultazione e ascolto dei cittadini. In questo contesto va disciplinato il referendum con modalità di accesso facilitate. Strumenti politico-istituzionali: a) Revisione della ripartizione delle competenze tra le varie branche dell'amministrazione regionale (snellimento; accorpamento; eliminazione delle duplicazioni; abbattimento delle strutture "politiche" e di sottogoverno; necessità di verifiche delle competenze; strutture di valutazione effettivamente indipendenti). b) Revisione della normativa regionale in tema di pubblico impiego regionale, omologandola allo standard delle altre regioni. c) Selezione della responsabilità dirigenza per i su risultati base di meritocratica; gestione, rilevati attivazione da di strutture di valutazione indipendenti; superamento dello spoil system nelle forme attuali, considerate le attitudini dell’alta burocrazia al trasformismo politico. Riaggiustamento strutturale della contabilità regionale e rientro programmato del debito; certificazione esterna; revisione dei meccanismi di spesa. Agenzie per l'attuazione delle misure, per l'informazione e l'indirizzo collegate a reti italiane ed europee. d) Riforma dei servizi pubblici locali (cittadini utenti e non clienti, garanzie specifiche sulla proprietà pubblica delle infrastrutture, carte dei diritti e 20 non dei servizi o dei divieti) . L’auspicabile realizzazione di efficaci forme di sussidiarietà orizzontale. e) Riduzione dei costi delle strutture elettive e degli uffici connessi. Innovazione e Welfare - Lavoro e formazione La riforma del Welfare non può essere dettata dall’esigenza di comprimere la spesa sociale, ma dall’intento di renderla più efficace, riducendo le forme di assistenza ai più deboli, e ampliando la gamma dei servizi che consentono pari opportunità. La riorganizzazione della spesa destinata al welfare, dovrebbe essere finalizzata ai seguenti obbiettivi: a) Uscire dalla logica del precariato pubblico (LSD, ASU etc.). b) Riprogettare il sistema formativo per qualificare l'offerta di lavoro in funzione della domanda di mercato. c) Prevedere un sostegno al reddito temporaneo, non compensativo (tranne casi specifici), condizionato ad un'effettiva ricerca del lavoro da parte dei beneficiari e revocato in caso di rifiuto di opportunità lavorative. d) Sviluppare la cultura dell'accoglienza e della solidarietà. Strumenti politico-istituzionali Legislazione sociale relativa al minimo vitale, senza sensibili incrementi di spesa complessiva e ricorrendo alle risorse di capitoli esistenti. Incremento del sostegno alle persone e alle famiglie sotto forma di servizi sociali diretti. Strutture e interventi per l'accoglienza e l'accompagnamento dei flussi migratori e per l'integrazione degli immigrati. Federalismo fiscale La riforma federalista dello Stato ha il suo centro motore nel federalismo fiscale. Si tratta di rompere l’assetto più che secolare della finanza centralizzata, e di responsabilizzare adeguatamente i livelli di governo locale abilitati al prelievo fiscale e alla redistribuzione della ricchezza. 21 Nonostante le incertezze che gravano sul futuro del nostro sistema politico, con riferimento in particolare agli obbiettivi che dovrebbero caratterizzare le riforme istituzionali e al metodo per realizzarle, una cosa pare certa. La riforma federalista si farà ed il cuore di essa sarà il federalismo fiscale. Il processo federalista infatti non vive solo di massicci trasferimenti di competenze dal centro alla periferia e di una diversa configurazione dei due rami del Parlamento, ma anche di diversi criteri di approvvigionamento delle risorse e di allocazione delle stesse. Non si tratta, cioè, solo di trasferire risorse insieme a poteri, ma di rinnovare la stessa filosofia del sistema impositivo, nel momento in cui il territorio regionale diventa il baricentro della governance, con riferimento a servizi e prestazioni fondamentali garantite ai cittadini. Insomma, non possiamo attuare il federalismo fiscale senza riconsiderare lo stesso rapporto tra politica ed economia, senza mettere in discussione l’idea secondo cui i servizi erogati dallo Stato debbono essere finanziati necessariamente attraverso il debito pubblico, e non dai contribuenti. Occorrono riforme incisive per raggiungere questi risultati. E la più importante è quella che dovrebbe portarci ad accettare un regime secondo il quale non si tassa tutto il reddito prodotto. Ciò comporta la necessità di spendere di meno, ma anche di spendere meglio e di sapere meglio scegliere i beneficiari delle prestazioni pubbliche. La via maestra in questo senso è quella che porta a garantire l ’ assistenza e la previdenza di base a quelli che sono effettivamente bisognosi; agli altri bisogna consentire l’accesso ai servizi, prodotti con meccanismi di mercato e pagati dalle famiglie, aiutate però dallo Stato attraverso un articolato sistema di deduzioni fiscali. La solidarietà tra aree povere e aree ricche del Paese è questione che riguarda lo stesso patto costituzionale: e ciò comporta che i trasferimenti in funzione perequativa non possono che essere fatti dall’ alto, e con finalità di riequilibrio territoriale (penso alla infrastrutturazione dei territori meno sviluppati e ad investimenti diretti a promuovere lo sviluppo economico). Ma c’è un’altra questione che riguarda gli aiuti che Stato e Regioni devono dare a territori con minori capacità fiscali per abitante. Si tratta di un dovere di perequazione che 22 discende dall’ art. 3, 2° comma, della Costituzione. Ci sono, infatti, livelli essenziali dei diritti civili e sociali che vanno garantiti in tutto il Paese e non solo dallo Stato, ma dalla Repubblica. Ma gli aiuti da Regione a Regione, cioè i soldi riscossi nei territori di una Regione che vanno destinati ad altra Regione, daranno prevedibilmente luogo a conflitti. Le Regioni, infatti, devono adempiere ad un vero e proprio dovere di perequazione. Naturalmente, questo dovere di perequazione non deve in alcun modo essere interpretato in una chiave assistenzialistica: ne va della legittimità stessa del processo devolutivo. Le Regioni che "danno" hanno il diritto, oltre che il dovere, di controllare come vengono spesi i loro soldi. Del resto, pur non essendoci l’ obbligo di particolari destinazioni, le Regioni non possono essere del tutto deresponsabilizzate rispetto all’ uso delle risorse. In questo contesto la riforma del welfare costituisce un elemento decisivo per capire in che modo il federalismo fiscale saprà difendere le importanti conquiste realizzate dallo stato sociale Ma la riforma del welfare costituisce un elemento importante per coinvolgere maggiormente la società nella selezione degli strumenti attraverso cui lo stato sociale si esprime, nonché nella gestione di servizi che gli stessi utenti possono gestire in modo efficace. Un federalismo fiscale basato sul principio di sussidiarietà impone, infatti, una riforma del welfare che non riguardi solo la quantità della spesa sociale impiegata per garantire i diritti di cittadinanza, ma anche la qualità della stessa, in relazione anche ai soggetti gestori dei servizi. E’ necessario, insomma, stabilire un nuovo patto tra Stato e cittadini che dia al cittadino libertà di scelta quando si tratta di usare servizi che il mercato offre impiegando bonus dati dallo Stato, oppure - è questa un’ altra opzione - di provvedere da sé, cioè in modo diretto, magari associandosi ad altri cittadini utenti, a garantirsi certi servizi, essendo ovviamente sostenuto finanziariamente dal soggetto titolare dell’ imposizione fiscale. C’è anche una terza opzione: defiscalizzare quelle quote di reddito necessarie a provvedere ad interessi vitali che come tali non si possono considerare ricchezza tassabile. In tutti i casi, comunque, siamo di fronte ad una razionalizzazione, e non ad 23 una compressione dei diritti sociali. Si tratta di una razionalizzazione dei diritti sociali che richiede non solo una diversa organizzazione dei livelli di governo abilitati a provvedere ai servizi sociali, ma anche il riconoscimento direttamente ai cittadini, alle famiglie, all'associazionismo no profit, della capacità di provvedere alla produzione dei servizi di rilevante interesse sociale, di sostituirsi allo Stato nel campo della assistenza sociale. In questo senso, ormai da anni, si sono prodotte esperienze che vanno valorizzate. Si tratta di comprendere quindi la reale portata del principio costituzionale di sussidiarietà, soprattutto con riferimento alla sussidiarietà orizzontale, che costituisce il reale elemento di novità all’ interno dell’ art. 118, e ciò non solo perché tale forma di sussidiarietà consente significative economie sul piano della gestione, ma perché consente un diverso approccio dello Stato ai bisogni dei cittadini che fruiscono delle prestazioni. Il cittadino in tal modo diventerà il punto di riferimento esclusivo dell’ intero sistema dei servizi; finalmente peseranno meno gli interessi e i condizionamenti esercitati dagli addetti ai servizi, più o meno sindacalizzati. Si potrà così correggere quel modello burocratico impositivo tipico di una finanza centralizzata per dare più spazio ai diritti di cittadinanza, oltre che per tagliare tante spese inutili. In questa ottica, il nuovo art. 118 (ancora privo di strumenti operativi) e leggi come quella del 5 per mille, consentono ai cittadini di esercitare più efficaci controlli sullo spending power. Si tratta di un riferimento costituzionale che può avere importanti sviluppi attraverso i servizi autogestiti dai cittadini, ma soprattutto attraverso un sistema di detrazioni fiscali che consenta al cittadino di detrarre alcune spese a cui provvede in proprio, non fruendo dei servizi pubblici. Dove esistono tradizioni di un privato sociale, questa forma di sussidiarietà orizzontale funziona certo meglio. Nel futuro, insomma, avremo un welfare sempre più plurale. L’ideale in questo campo è che si sappiano individuare modelli di tipo pubblicistico di lotta alle nuove forme di esclusione sociale e modelli di tipo societario. Il buono scuola, il buono pasto, se sostenuti da un serio controllo dell’ente erogatore, possono dare risultati straordinari. 24 La riforma del welfare, insomma, mette in moto rapporti tra stato e cittadino tradizionalmente organizzati sulla base di questo schema: lo stato provvede al benessere dei cittadini sapendo leggere paternalisticamente propensioni e disagi sociali e il cittadino “suddito” riceve limitandosi solo a protestare nel momento in cui la prestazione sociale pare inadeguata. Riformare questo stato di cose è un’operazione complessa. Tale complessità della riforma non sembra presente nei “manifesti” federalisti che di tanto in tanto vengono sventolati al Nord come al Sud. La Lega pare non capire che il federalismo è fatto per unire e non per dividere, di fronte ad una crisi dello Stato nazionale che dipende da fattori geopolitici, nonché dalla crisi dei sistemi tradizionali di welfare, troppo costosi ed inefficienti. Se il federalismo è fatto per unire, i doveri di solidarietà nazionale devono essere ancora più garantiti attraverso efficaci sistemi di perequazione. Si tratta di un approccio a questi problemi peraltro privilegiato dalla riforma del Titolo V. Al Sud, viceversa, si chiedono più risorse trasferite e meno fisco, ma raramente si pone l’accento sulla necessità di un sistema più efficace nei controlli sullo spending power, controlli che, ferma restando la libertà di destinare le risorse secondo gli obiettivi politici che si perseguono in loco, consenta di verificare quali risultati abbiano prodotto quelle risorse in termini di tutela dell’ interesse pubblico. La demagogia è il principale nemico di una politica di sviluppo capace di soppiantare una economia di mera sussistenza. Demagogica pare poi l'invocazione della “fiscalità di vantaggio” . Questa può realizzarsi in modo convincente ad una condizione, quella di avere più reddito da distribuire. Il federalismo fiscale, comunque organizzato, deve rispondere ad un’ esigenza fondamentale, quella di raccogliere nel territorio, attraverso l’imposizione fiscale, le risorse destinate al funzionamento dell’ amministrazione regionale e dei servizi centrali e le risorse – si potrebbe dire il grosso delle risorse – da trasferire ai soggetti responsabili delle prestazioni destinate ai cittadini. Si tratta di ribaltare radicalmente la filosofia stessa del rapporto centro-periferia, da questo punto di vista. Finora le Regioni hanno assorbito la gran parte delle 25 risorse dello Stato, e solo quel che rimaneva è stato destinato alla distribuzione agli enti locali. La Regione, con il federalismo fiscale, conquista l ’ indipendenza fiscale, che significa maggiore responsabilità nella raccolta del gettito fiscale, e maggiore responsabilità nella spesa di esso. Si tratta di superare – è bene ripeterlo - la dissociazione tra responsabilità impositiva e responsabilità di spesa, e quindi di garantire un reale governo dei conti pubblici. Il modello di federalismo fiscale nella visione del centro-destra suscita allarme perché corre il rischio di determinare diverse tipologie di cittadinanza tra le regioni ricche e le regioni povere. Il Partito Democratico siciliano si impegna a sostenere un federalismo fiscale cooperativo rispettoso dei contenuti costituzionali. Innovazioni per una Regolazione più semplice, meno onerosa ed effettivamente rispettata Una cultura della valutazione come quella che si auspica ha bisogno di efficaci strumenti in grado di misurare i risultati prodotti dai processi decisionali, ma anche di autorità neutrali in grado di operare al riparo da ogni ingerenza della classe politica e dal sistema economico. La chiarezza e l’applicabilità delle regole è poi fondamentale per evitare che nel nome della discrezionalità amministrativa si consumino grandi e piccoli abusi Obiettivi: a) Miglioramento della qualità della regolazione, così da mantenere o adottare soltanto norme indispensabili, efficaci e il meno possibile onerose per i cittadini e per le imprese. b) Superamento della "legalità debole" anche allo scopo di eliminare attività sommerse, prassi illegali, occasioni di condizionamento e arricchimento illecito da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso, distorsioni della concorrenza a danno di imprenditori regolari, comportamenti contrari al senso civico diffusi presso la cittadinanza. 26 Strumenti: a) Recepimento delle indicazioni Ocse, semplificazione, testi unici, analisi tecnico-normativa e legislative drafting, razionalizzazione e snellimento delle procedure di adozione di atti normativi, divieto di legislazione omnibus e particolaristica, vincoli alla redazione dei testi normativi e alla loro emendabilità durante l'iter di approvazione, analisi di fattibilità, analisi ex ante di impatto della regolazione, clausole per la valutazione ex post del raggiungimento degli obiettivi, monitoraggio e revisione dello stock normativo esistente, diffusione delle migliori prassi di altre regioni. b) Soppressione delle norme inutili. Effettiva e omogenea applicazione delle norme vigenti, sia da parte delle uffici dell'amministrazione regionale (quando questa ne ha competenza diretta, come ad esempio in settori quali ambiente o lavoro), sia, dove è possibile, attraverso la vigilanza e l'attivazione di sanzioni di secondo livello sugli enti locali responsabili, secondo le indicazioni Ocse. Per una nuova etica della politica Una nuova etica della politica può nascere da una reale condivisione dei valori su cui si regge una ordinata convivenza. La politica a tal fine deve svolgere non solo un ruolo di orientamento sociale, evitando ogni forma di confusione tra interessi pubblici e privati, ma una nuova scia etica deve fondersi anche su una diffusione della cultura politica, attraverso l’azione “pedagogica” svolta dai partiti. Obbiettivi : Bisogna uniformarsi ad un codice etico per politici, amministratori, dirigenti. Il Partito Democratico condanna nettamente il voto di scambio, considerato che il voto di scambio annulla ogni forma di libertà politica, costituendo un formidabile veicolo della cultura dell’illegalità. Il Partito Democratico siciliano 27 richiama il principio stabilito dallo Statuto nazionale sulle regole da adottare sotto il profilo etico per la scelta delle candidature. Bisogna riformare l’istituto del difensore civico divenuta una vera e propria carica di sottogoverno. Bisogna poi attuare una chiara legislazione sul conflitto di interessi (sanità, turismo, trasporti, lavori pubblici, informazione, professioni, formazione, ricerca, consulenza, attività produttive, etc. etc.) Una nuova etica politica si potrà affermare se le battaglie per la legalità e gli strumenti usati per garantirla, non verranno utilizzati impropriamente dal conflitto politico, esprimendo esse valori condivisi. Ogni processo di trasformazione sociale rischia di impantanarsi se si ripropone il tema della mafia come esercizio violento del potere e dell’antimafia come astratta professione (nei termini in cui lo poneva Leonardo Sciascia) avulsa da una coerente azione politica. La contrapposizione tra mafia e antimafia così intesa rischia di non fare emergere in tutta la sua portata quella zona intermedia che non si identifica né nell’una né nell’altra, e che può essere recuperata ad una cultura “attiva” della legalità attraverso una politica dello sviluppo, che sappia superare tanto le resistenze e le minacce delle mafia, quanto i vecchi e nuovi conservatorismi, per consentire reale opportunità ai capaci e meritevoli. Il continuismo degli indirizzi di governo e delle politiche di redistribuzione della ricchezza non consentirà mai il progresso della Sicilia, così come non lo consentirà lo scetticismo, troppo spesso intriso dei “valori” del giustizialismo, di chi ritiene la Sicilia irredimibile, e quindi le risorse che ad essa arrivano inevitabilmente destinate ad alimentare il malaffare politico e i traffici mafiosi Il manifesto programmatico fin qui elaborato serve da cornice per individuare interventi necessari da subito, progetti da elaborare su obiettivi di medio periodo su cui però occorre lavorare in da primo giorno di governo. 28 Sulla base di un ipotesi e dello stabilizzarsi di prerequisiti vincolanti ad un’azione di sviluppo e crescita. L’ipotesi è che si può far diventare la Sicilia più ricca per tutti nel rispetto della legalità e rifiutando il paradigma dell’irreversibilità, grazie anche ad un riconoscimento che ci proviene da una riconquistata autorevolezza in alternativa a pratiche risarcitorie spesso manifestate con forme meschine di comportamento. I prerequisiti sono: Affermazione della legalità (diritti presi sul serio) e lotta senza se e senza ma alla mafia; Risanamento del bilancio regionale attraverso razionalizzazione e tagli di spesa, soppressione di enti inutili, concertazione e conoscenze Efficienza burocratica misurata anche attraverso l’introduzione di benchmark e la realizzazione di opportune reti telematiche; Controllo di gestione trasparente dei trasferimenti e riforma del sistema di controlli; Affermazione e difesa delle pari opportunità: Valorizzazione contribuiscono di ad occasioni, affermare risorse, la Sicilia soggettualità come macro che regione proiettata sul mediterraneo. Veniamo adesso al “che fare” nei primi cento giorni: 1. rielaborare un piano per la sanità 2. rielaborare un piano per lo smaltimento dei rifiuti 3. Elaborare un piano energetico 4. elaborare un piano di priorità per la realizzazione di infrastrutture (acqua, porti, ferrovie strade) 5. elaborare un piano di welfare state che recuperi disagio ed esclusione Il tutto nel contesto di un’immediata riformulazione del POR regionale. 29 Vanno considerati interventi urgenti da fare subito 6. elaborazione di un progetto che metta a sistema politiche industriali europee,azionali e regionali 7. elaborazione di un progetto per l’accesso al credito (vendita quote Capitalia, concentrazione tra Irfis, Ircac e Crias) 8. elaborazione di un progetto sistema per le politiche educative, la formazione, il culto dello studio, il rapporto tra Università e territorio; 9. elaborazione di un progetto per trasformare l’integrazione culturale in un valore aggiunto e fonte di occupazione; Temi cui riservare attenzione con lo sguardo al breve-medio periodo 10. un progetto per l’economia ambientale (sole, vento, mare e montagna) e per l’agricoltura e rilancio della cooperazione giovanile 11. un progetto per il made in Sicily e la promozione delle eccellenze; 12. un progetto per il turismo che ne regoli la promozione, ne suggerisca scelte ed aree di intervento, ne fornisca il collegamento con l’agricoltura e l’economia delle conoscenza Esistono copiosi materiali di conoscenza da recuperare sui punti elencati, energie intellettuali da mettere al lavoro, modelli esterni sui quali confrontarsi. Una Sicilia al lavoro per il lavoro c’è già. Come testimoniano i generosi e qualificati apporti offerti, in gran numero, alla stesura del programma, che verranno pubblicati come appendice di esso. 30