26. Domenico Pellizzi, la volta del Teatro Municipale e il ritratto di

Filippo Silvestro
Filippo Silvestro
Domenico Pellizzi,
la volta del Teatro Municipale
e il ritratto di Andrea Maffei
Premessa
Questo saggio nasce innanzitutto per mettere in evidenza i dipinti di
Domenico Pellizzi nella volta del Teatro Municipale a Reggio Emilia
e il ritratto di Andrea Maffei effigiato nel riquadro la Tragedia. Durante
l’esecuzione dell’opera, 1857, Andrea Maffei era vivente, e morirà nel 1885.
Tutti gli altri personaggi raffigurati da Pellizzi erano già “storicizzati”,.E’
questa una curiosa particolarità che collega Reggio Emilia e il nostro Teatro
Municipale con il Risorgimento Italiano, tramite Andrea Maffei e sua
moglie Clara, l’organizzatrice del famoso salotto milanese.
I personaggi descritti nella volta sono: nel riquadro del Melodramma,
Metastasio, Pergolesi e Bellini; nel riquadro della Commedia: Goldoni,
Nota e Cecchi; nel riquadro della Coreografia: Viganò e Gioia; infine nel
riquadro della Tragedia: Alfieri, Monti ed Andrea Maffei.
Con l’immagine del Maffei, la volta del Teatro Municipale, entra a tutti gli
effetti, come un’opera del nostro Risorgimento.
Per il Pellizzi ho stilato l’elenco delle sue opere e della vita mentre per il
Maffei (Molino di Ledro 19 aprile 1798-Milano 27 novembre 1885), data
la complessità del personaggio, ho inserito la voce relativa del Dizionario
Biografico degli Italiani scritta da Marta Marri Tonelli.
Ho rintracciato i ritratti del Maffei ad opera di Carlo Bellosio, Giuseppe
Bertini e Michele Gordigiani. ed ho riprodotto anche il ritratto della moglie
Clara Maffei, opera di Francesco Hayez. Il salotto milanese della Maffei
è stato al centro del Risorgimento Italiano con ospiti illustri: Honorè de
Balzac, Giuseppe Verdi, Francesco Hayez, Stendhal, tra i più importanti.
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Domenico Pellizzi
In Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia ho ritrovato una poesia di Maffei
dedicata al matrimonio tra il segretario comunale Carlo Ferrari e Carolina
Curti. Interessante poi una lettera, da Firenze, di Maffei in risposta a Naborre
Campanini che gli aveva inviato sonetti per un responso critico.
La Vita
Domenico Pellizzi nasce a Vezzano sul Crostolo in provincia di Reggio
Emilia il 30 aprile 1818 da Ippolito e Rosa Fontana.
Studia alla Scuola di Belle Arti di Reggio sotto gli insegnamenti di Prospero
Minghetti, dimostrandosi, assieme ad Alfonso Chierici, tra i migliori allievi
nel campo della figura.
In questo periodo esegue copie di famosi quadri come La Vergine col
Bambino dal Francia, una Madonna da Cima da Conegliano e La Madonna
della Seggiola da Raffaello.
Merita un “Premio di seconda classe” il 26 agosto 1834 con attestato a firma
del conte Francesco Sormani Moretti.
Nel 1837 è iscritto all’Accademia di Parma, come il registro testimonia,:
“Al n.35 Pelizzi Domenico, di anni 20, provenienza Reggio e di Ippolito,
negoziante, con domicilio in Borgo Torto n.40, iscritto dal 21 novembre
1837” in Ruolo degli alunni, 1837-1856 - Disegno.
Sempre all’Accademia in Disegno e Pittura, in Scuola e alunni 1839-1860
si evince che alla Scuola di Disegno, Pelizzi Domenico, nel 1837 è definitito
con “attitudine buonissima”.
Nel 1838: “Diligente,moralità ottima,attitudine buonissima”.
Nel 1839-1840 nel dipartimento Pitture, nella Relazione dell’andamento
delle scuole è definito con “ottimi costumi, studioso, buonissima attitudine”.
Infine nel 1840-1841, sempre nella Scuola di Pittura, ha l’ennesima ottima
valutazione “buona condotta,attivo,molta attitudine”.
L’Accademia di Parma è stata una palestra per molti artisti di quel
periodo:hanno frequentato corsi tutti gli scultori del Teatro Municipale,
Giovanni Chierici, Antonio Ilarioli, Attilio Rabaglia, Paolo Aleotti e quel
Matteo Rusca che ritroviamo vicino a Girolamo Magnani per le decorazioni,
soprattutto esterne del Teatro.
Gli insegnanti dell’Accademia sono, tra gli altri, Tommaso Bandini,
grande scultore ed autore della statua dedicata al Petrarca nel Tempietto di
Selvapiana, nel comune di Canossa in provincia di Reggio Emilia; Paolo
Toschi grande incisore e direttore della stessa Accademia di Parma. Infine
ricordiamo Giambattista Borghesi autore del sipario e della volta del Teatro
Regio di Parma, così come a Reggio, il Pellizzi.
Nel 1841 esegue un ritratto ad acquerello che ben figura all’Accademia
Atestina di Modena.
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Filippo Silvestro
Sono da ascrivere a quegli anni le tempere alla Vasca Corbelli a Rivalta dal
titolo La leggenda di Saffo.
Al ritorno a Reggio esegue un quadro di sua invenzione, I buoni fanciulli,
che invia alla Esposizione triennale dell’Accademia Atestina di Modena e
che viene acquistato dalla Società d’incoraggiamento per gli Artisti dello
Stato Estense.
Il dipinto è riprodotto, con una stampa, nell’Albo dell’Esposizione triennale
di Modena.
Nel 1848 partecipa ai moti risorgimentali e all’arrivo degli Austriaci è
costretto a rifugiarsi a La Spezia e a Firenze.
Nel 1849 risiede a Firenze dove rimane per quasi un anno e conosce, avendo
come maestro, Giuseppe Bezzuoli, famoso pittore e direttore dell’Accademia.
Bezzuoli è stato anche insegnante del pittore brescellese Carlo Zatti e del
grande Giovanni Fattori.
Al maestro fiorentino, Domenico Pellizzi, mostra i dipinti della Natività
di Maria e Consolare gli afflitti, ricevendone elogi, come lo stesso autore
testimonia in uno scritto.
Alla fine del 1849 giunge a Roma dove incontra gli amici reggiani, il
paesaggista Alessandro Prampolini e Alfonso Chierici.
Chierici a Roma dipinge I profanatori del tempio che influenza Pellizzi visto
che su ordinazione di Giambattista Venturi di Reggio, lo stesso, dipinge La
strage degli innocenti, importante quadro che oggi si trova ai Civici Musei
di Reggio e che richiama il tema compositivo dell’opera di Alfonso Chierici.
Con questa opera il pittore reggiano merita un premio speciale dal duca
Francesco V giunto a Roma per visitare gli studi degli artisti del ducato.
A favore di Pellizzi si esprimono il direttore dell’Atestina Adeodato Malatesta
e l’amico reggiano Luigi Sani che scrive di lui sul giornale modenese La
Ghirlandina.
A Roma esegue un Noli me tangere che, assieme ad una S. Anna, viene
esposto a Modena.
La pala d’altare S. Anna è ora nella chiesa di Gazzata vicino a San Martino
in Rio.
A Roma esegue, tra il 1853 ed il 1854, una Consolatrice quadro acquistato
dal reggiano conte Antonio Mezzani Pratonieri ed il ritratto dell’amico pittore
Alessandro Prampolini.
Ritorna a Reggio e dipinge per la chiesa di Santa Teresa la pala di S. Andrea
d’Avellino e un S. Filippo condotto in cielo da un Angelo per la chiesa
omonima.
Per la parrocchiale di Massenzatico esegue S. Antonio e San Mauro e i ritratti
di monsignor Emilio Cugini, del professore Giuseppe Parmeggiani, del poeta
Agostino Cagnoli e di Agostino Paradisi.
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Domenico Pellizzi
Esegue per la chiesa di S.Tommaso della Fossa di Novellara una pala d’altare
dedicata a San Eurosia con la Beata Vergine.
Scrive Enrico Manzini: “Nel 1854 morto il Prof. Minghetti, fu Pellizzi, da
S.A.R. Francesco V°, con rescritto 14 Febbraio, nominato a succedergli
nell’insegnamento della figura nelle Scuole di Belle Arti in Reggio, e nel
1859, con decreto del Governatore delle Provincie Modenesi del 21 Luglio
fu nominato Aggiunto al Direttore delle stesse scuole di Belle Arti, Professore
di pittura e Segretario”.
LA GRANDE IMPRESA PITTORICA
DEL TEATRO MUNICIPALE
DI REGGIO EMILIA
Nel 1854 viene istituita la fabbrica del nuovo teatro di Reggio ad opera
dell’architetto Cesare Costa nato a Pievepelago in provincia di Modena che
vince il concorso battendo il famoso architetto reggiano Pietro Marchelli.
Vengono mobilitati: Girolamo Magnani di Fidenza per le decorazioni interne
ed esterne; il pittore Giuseppe Ugolini e per altre decorazioni Pasquale
Zambini.
Per le statue interne ed esterne partecipano gli scultori Paolo Aleotti,
Prudenzio Piccioli, Antonio Ilarioli, Attilio Rabaglia, Giovanni Chierici e
Ilario Bedotti.
Per la descrizione delle statue è convocato il letterato Bernardino Catellani.
I sipari sono opera di Alfonso Chierici e Giovanni Fontanesi.
La volta, infine, è opera di Domenico Pellizzi con quattro grandi medaglioni
e quattro piccoli riparti.
La prima medaglia, vicino all’entrata, è dedicata al Melodramma, alla Musica
ed alla Poesia con la raffigurazione di Metastasio, Pergolesi e Bellini.
La seconda medaglia, a sinistra dell’entrata, è dedicata alla Commedia con
raffigurati Carlo Goldoni, Alberto Nota, seguace del veneziano e Giovanni
Maria Cecchi.
La terza medaglia, a destra dell’entrata, è incentrata sulla Tragedia con la
rappresentazione di Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti ed Andrea Maffei.
La quarta medaglia, vicina al palcoscenico è dedicata alla Coreografia con
il grande Salvatore Viganò e Gaetano Gioia, altro ballerino e coreografo.
Il compenso per questa opera sarà di lire seimilacinquecento mentre Alfonso
Chierici, per il sipario, percepisce L.15000; Girolamo Magnani per le
decorazioni L.13.000 e Giovanni Fontanesi, per il comodino, lire tremila.
Nel 1856 Domenico Pellizzi dipinge per la chiesa di San Francesco a Reggio
una pala d’altare dedicata al santo omonimo, S.Francesco che resuscita un
annegato, quadro che rimane incompiuto e che sarà terminato dal brescellese
Giuseppe Amadei.
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Filippo Silvestro
Per la stessa chiesa disegna un Ostensorio.
Nel 1858 si sposa con Carolina Rossi Deodati nella chiesa di San Nicolò.
Esegue un San Gaetano per i frati cappuccini di Pavullo (Modena).
Nel 1864 restaura quadri per la chiesa di San Prospero.
Nel 1866 dipinge due pale d’altare per la chiesa di Villa Gazzata nei pressi
di San Martino in Rio commissionate dal parroco Don Fortunato Chiesi.
Una è intitolata l’Adorazione della B.V. del Rosario compiuta da S. Antonio da
Padova e l’altra S. Antonio Abate, S. Antonio da Padova e S. Vincenzo Ferreri.
Nel 1868 restaura numerosi quadri nella Basilica della Ghiara: l’Annunciazione
del Tiarini, il San Giorgio di Ludovico Carracci, i pennacchi del Bonone ed
altre importanti opere del Santuario reggiano.
Partecipa anche alla vita pubblica con l’incarico in consiglio provinciale per
la zona di Correggio e viene eletto in consiglio comunale per il comune natio
di Vezzano sul Crostolo nelle liste liberali.
Ha ancora altri numerosi incarichi e prestigiose nomine come essere socio
onorario dell’Accademia di Belle Arti a Bologna.
Raffigura,in un ritratto di fantasia, Francesco IV, ora di proprietà
dell’Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia.
Bellissimi sono il suo Autoritratto ed il ritratto dell’amico pittore Alessandro
Prampolini ora ai Civici Musei di Reggio Emilia.
Vi sono ancora numerose opere, inedite, disegni e bozzetti in collezioni
private, all’Istituto d’Arte “Gaetano Chierici” e nei Musei Civici di Reggio
Emilia che potrebbero mettere in risalto le capacità, ancora per certi versi
non ancora evidenziate, di Domenico Pellizzi.
Muore il 4 maggio 1875 all’età di 56 anni lasciando quattro figli ed una
vedova di 44 anni.
E’ sepolto nel cimitero monumentale di Reggio Emilia.
UNA SINGOLARE SCOPERTA:
RITROVATI I PUTTI DELLA VOLTA DEL TEATRO MUNICIPALE
Dopo il rinvenimento dei cartoni preparatori di Domenico Pellizzi avvenuto,
per puro caso, nel sottotetto del Teatro Municipale, che qui evidenzio con il
riquadro della Tragedia e con il particolare dei ritratti del Monti e di Andrea
Maffe. Pochi mesi dopo ho ritrovato i disegni preparatori dei “Putti” della
volta del Municipale.
Come testimonia un articolo del Resto del Carlino Reggio (30-7-2006) :
“Trovate al Chierici prove di affreschi”, ho rintracciato, dimenticati in un
armadio dell’ Istituto Chierici di Reggio Emilia, i quattro cartoni preparatori
rappresentanti i putti che si incastonano tra i riquadri principali della volta,
opera di Domenico Pellizzi.
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Domenico Pellizzi
Bibliografia:
Accademia di Belle Arti di Parma, Ruolo degli alunni, Disegno(1837-1856)
AP, Relazione e giudizio sugli alunni, Disegno e Pittura, anni 1837-1841
E. Manzini, Memorie storiche dei reggiani più illustri, Reggio Emilia 1878.
R. Marmiroli, Il Teatro Municipale di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1951.
U. Bellocchi, Il Teatro Municipale di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1962.
A. M. Parmeggiani, G. Degani, Il Teatro Municipale di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1972.
R. Finzi, Domenico Pellizzi-pittore (1818-1874), Bollettino storico reggiano, anno VI, marzo
1973.
S. Romagnoli, E. Garbero (a cura), I Teatri a Reggio Emilia,Vol. I-II, Firenze 1980
M.G.Montessori,M. Panini Fiorenti, Cesare Costa, Ingegnere-Architetto, Opere 1826-1876,
Modena 1989.
M .Mussini (a cura), La Galleria Antonio Fontanesi nei Musei Civici di Reggio Emilia,1998
F. Silvestro, Vita e opera degli scultori del Municipale in Immagini di pietra, Reggio Emilia
1999.
S.Ciroldi, S.Maria della Fossa, Fabbrico 2000
F. Silvestro, Trovate al Chierici prove di affreschi, Carlino Reggio 30 luglio 2006
F. Silvestro, Appunti per un saggio su Domenico Pellizzi. Reggio Storia 2007 n. 117 pag. 2-5
F. Silvestro, Pellizzi a Roma, altri inediti del pittore reggiano. Reggio Storia 2008 n. 118
pag. 66-68
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Filippo Silvestro
ANDREA MAFFEI
MAFFEI, Andrea. - Nacque il 19 apr. 1798 a Molina di Ledro, in Trentino,
da Filippo, nobile del Sacro Romano Impero nativo di Cles, e da Maddalena
Brocchetti, vedova Colò. Seguendo i trasferimenti del padre, magistrato,
visse i suoi primi anni tra Riva del Garda, Trento e l’Alto Adige. Dal 1811
al 1814 fu a Bologna, dove ebbe come maestro di letteratura P. Costa.
Determinante per le sue future scelte letterarie fu il trasferimento per due
anni circa a Monaco di Baviera presso uno zio paterno, l’abate Giuseppe
Maffei, professore di italiano presso il locale Liceo reale. Il soggiorno a
Monaco, vitalissimo centro culturale, consentì al M. di acquisire padronanza
della lingua e di maturare profondo interesse per il romanticismo tedesco.
Anche negli anni seguenti, dopo il rientro in Italia, ebbe la possibilità, grazie
ai frequenti soggiorni in Germania, di mantenere una conoscenza diretta
degli eventi letterari e artistici d’Oltralpe e ciò gli permise di affrontare con
sicurezza e senza prevenzioni il suo sempre più deciso ruolo di divulgatore
dei capolavori delle “letterature settentrionali”. Nel 1818 il M. esordì come
traduttore pubblicando a Milano gli Idilli di S. Gessner: la versione - dedicata
a V. Monti - che volgeva in armoniosi endecasillabi la prosa di Gessner, fu
lodata senza eccezioni dalla critica ed ebbe numerosissime ristampe.
Conseguita nel 1820 la laurea in giurisprudenza a Pavia, il M., impiegato
nei primi gradi della burocrazia governativa, fu per tre anni a Verona
dove, frequentando il salotto di A. da Schio Serego Alighieri, visitato
con assiduità anche da Monti, ebbe occasione di fare la conoscenza di I.
Pindemonte e B. Lorenzi, ma anche di entrare in contatto con i letterati
bresciani G. Nicolini e C. Ugoni, rappresentanti di correnti liberali e di
una critica aperta a sollecitazioni di respiro europeo. Passato a Venezia
nel marzo 1823 stabilì durature amicizie con L. Carrer, A. Mustoxidi e
A. Papadopoli. Non aveva tuttavia interrotto i rapporti con Monti, che lo
convinse a intraprendere la versione di un autore tra i suoi prediletti, F.G.
Klopstock, e in particolare del poema Messias, nonché ad associare i loro
nomi nella traduzione della Tunisiade di L. Pyrker. Quando il M. ottenne,
nel 1825, stabile trasferimento presso il tribunale d’appello di Milano, restò
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Domenico Pellizzi
affettuosamente vicino a Monti fino ai suoi ultimi giorni di vita: alla sua
morte, nel 1828, fu incaricato dall’Accademia dei Filodrammatici, di cui
era socio onorario, di scrivere il testo della “scena lirica” cantata da Giuditta
Pasta in occasione dello scoprimento del busto del poeta.
Intanto il M. aveva iniziato la versione dell’intera opera drammatica di F.
Schiller, impegno cui si sarebbe dedicato sistematicamente per circa un
ventennio, contribuendo a far conoscere all’Italia un autore la cui opera,
proprio per la mancanza quasi completa di traduzioni, era praticamente
sconosciuta, nonostante gli entusiasmi per lui manifestati da madame de
Staël e dagli scrittori del Conciliatore. L’uscita alle stampe nel 1827 del
dramma La sposa di Messina, introdotto da un ampio saggio critico di F.
Ambrosoli, fu recepita perciò come un vero e proprio evento letterario,
e la versione, anche per il fatto, allora assai raro, di rifarsi direttamente
all’originale tedesco, ottenne un coro unanime di consensi critici e una
notevole eco anche oltre i confini del Lombardo-Veneto. Il successo
conseguito dalla prima versione schilleriana si ripeté con le successive:
la Maria Stuarda, La vergine d’Orléans, il Guglielmo Tell, tutte stampate
dall’editore Lampato di Milano. I successivi drammi, a partire, nel 1842,
dal Don Carlos (elogiato da C. Cattaneo nel Politecnico), furono invece
pubblicati dall’editore Pirola, che ottenne dal M., facendogli “ponti d’oro”
(Berengo, p. 328), anche i diritti delle precedenti tragedie già edite.
Il Teatro completo di Schiller nella versione del M. godette per decenni di
enorme fortuna e fu riproposto editorialmente, in modo quasi esclusivo,
praticamente fino alla metà del Novecento, come testimonia del resto L.
Mazzucchetti quando afferma, nel suo Schiller in Italia, che “la storia delle
traduzioni schilleriane si compendia presto nel nome acclamato di Andrea
Maffei” (p. 159).
La metodologia utilizzata dal traduttore nella trasposizione italiana dei
drammi di Schiller influì in modo determinante sul loro successo. Conscio
che lingue dalle strutture diverse ed espressione di una diversa civiltà non
possono tradursi “alla lettera”, specie in poesia, il M. - che reputava il
tradurre una vera e propria arte, volta a ottenere esiti autonomamente validi
sul piano letterario - mirava soprattutto all’efficacia comunicativa delle sue
versioni e alla loro attitudine a essere recepite a più livelli. Non a caso le
opere drammatiche da lui tradotte - e quelle schilleriane in particolare, si
imposero immediatamente nei repertori delle maggiori compagnie teatrali
- servirono da soggetto per molti melodrammi e ispirarono tutta una serie
di dipinti.
Collateralmente all’impegno sui drammi schilleriani il M. aveva iniziato
a occuparsi, come traduttore, di due autori la cui fama stava dilagando
nell’Europa del romanticismo, T. Moore e G. Byron. Anche la scelta dei
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Filippo Silvestro
due poeti inglesi e la sollecita traduzione dei loro testi più emblematici
dimostra l’ampia convergenza tra gli interessi del letterato e le richieste
degli utenti e conferma il suo ruolo di mediatore culturale, capace di favorire
l’assimilazione dei nuovi temi e delle nuove idee
in tutti gli ambiti della produzione culturale.
Ebbe la precedenza Moore: dopo Gli amori degli angeli (1835) vennero
i Canti orientali (1836), Il paradiso e la Peri (1837), La luce dell’harem
(1839), pubblicati in prima edizione a Milano. Seguì la versione de Gli
adoratori del fuoco (Verona 1859). Di Byron uscirono alle stampe, sempre
a Milano, il Caino (salutato da una entusiastica recensione di E. Visconti
Venosta nel Crepuscolo), le novelle in versi Parisina e Il prigioniero di
Chillon, il mistero Cielo e Terra. Successiva invece la pubblicazione, a
Firenze, degli altri drammi teatrali e delle restanti opere.
Il ruolo di animatore e coordinatore della cultura assunto dal M. nel
fervido clima della Milano prequarantottesca ebbe come principale
centro d’irradiazione il salotto aperto in casa propria nel 1834, allo scopo
di attenuare la solitudine della moglie (Clara dei conti Carrara Spinelli,
sposata nel 1832) affranta per la morte, a soli nove mesi, dell’unica figlia. Il
salotto Maffei, passato alla storia come il più noto e cosmopolita tra i salotti
di cultura dell’Ottocento italiano, fu infatti, per la qualità e varietà delle sue
frequentazioni, un crogiolo di esperienze di respiro internazionale, anche
perché il suo potere attrattivo era tale che ogni illustre ospite straniero,
soggiornando in città, non poteva mancare di visitarlo (basti fare i nomi di
H. de Balzac, E. Scribe, A. Dumas padre e, tra i musicisti, di F. Liszt e S.
Thalberg).
Nel marzo 1842, subito dopo lo strepitoso successo alla Scala del Nabucco,
il M. introdusse nel suo salotto e presentò alla moglie G. Verdi, che presto
divenne uno degli ospiti più assidui e affezionati di casa Maffei. Per parte
sua il M. concorse, da quel momento, a orientarne le scelte e a plasmarne
le inclinazioni. Non a caso Schiller, Byron, W. Shakespeare, Z. Werner, F.
Grillparzer entrarono via via nel vaglio delle scelte del musicista, e certo
non è fortuito che la presenza, in particolare, di Schiller sia “un filo sotteso
a tutto l’arco creativo verdiano” (Cisotti, p. 158). Il M., oltre a scrivere il
testo di alcune romanze da camera verdiane (Il tramonto, Ad una stella,
Brindisi, Milano 1845), divenne una presenza costante, seppur discreta, a
fianco del musicista, cui spesso fornì gli abbozzi o le trame sceneggiate dei
drammi, coadiuvandolo anche nei problemi relativi alla messa in scena delle
opere. La grande familiarità esistente tra i due uomini è testimoniata dal
fatto che Verdi fu, nel giugno 1846, fra i testimoni dell’atto di separazione
legale tra il M. e la moglie Clara, ormai legata sentimentalmente a uno
dei frequentatori del salotto, il giovane critico C. Tenca. Vicini ai coniugi,
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Domenico Pellizzi
nella circostanza, altri due cari amici del M., che erano stati tra i letterati
fondatori del salotto: G. Carcano, come secondo testimone, e T. Grossi che
redasse l’atto di separazione in veste di notaio. Nel luglio seguente il M. e
Verdi trascorsero insieme un periodo di cura a Recoaro, dove maturarono
i progetti per il Macbeth e I masnadieri, melodramma quest’ultimo per cui
il letterato, che aveva appena dato alle stampe la versione dell’omonimo
dramma di Schiller, si lasciò convincere a scrivere il libretto. Nel 1847 il
M. fu ancora con Verdi a Firenze dove, oltre a occuparsi della revisione
completa del libretto del Macbeth (che infatti, pur essendo stato affidato
al librettista F.M. Piave, fu pubblicato anonimo), era impegnato a curare,
presso l’editore Le Monnier, i 5 volumi delle Prose e poesie di Vincenzo
Monti.
A Firenze il M., fin dal 1840, quando aveva visitato per la prima volta la
Toscana con l’amico I. Cabianca, aveva intrecciato cordiali rapporti, specie
epistolari, con G.B. Niccolini, G. Capponi, G. Montanelli, G. Giusti e altri
letterati, facendo spesso da tramite tra il mondo culturale toscano e quello
lombardo. Altra città frequentata con assiduità era Genova, dove teneva
come punto di riferimento la villetta del marchese G.C. Di Negro, noto
ritrovo di letterati e artisti di tendenze liberali. Ivi era entrato in confidenza
con gli scrittori A. Crocco, L. Costa e in particolare con M.S. Prasca, del
quale curò tra l’altro la pubblicazione del romanzo Roberto che, apparso
anonimo nel 1842 a Milano, gli fu in seguito erroneamente attribuito.
Durante le Cinque giornate del ‘48 il M. aderì e dette il suo concreto apporto
al generale entusiasmo rivoluzionario (nel 1885 gli furono infatti conferiti
quale combattente un diploma e una medaglia commemorativa). Fu anche
incaricato dal governo provvisorio di scrivere un Inno popolare per la
solenne benedizione delle bandiere. Il clima di delusione e di inquietudine
che caratterizzò, dopo l’armistizio, l’ambiente milanese traspare nella
chiara allegoria politica sottesa al dipinto La meditazione (L’Italia nel 1848)
commissionato all’amico F. Hayez dal M., che dedicò alcune composizioni
in versi, manifestamente politiche, ad altre opere di artisti a lui vicini, come
per esempio alla statua La desolazione di V. Vela.
Le relazioni con rappresentanti delle arti figurative rivestono grande rilievo
nella multiforme presenza del M. all’interno delle dinamiche culturali del
suo tempo. Sempre incline al reciproco scambio di tematiche tra le varie
arti, secondo la funzione sociale loro demandata dal romanticismo, egli
seppe intrecciare uno stimolante dialogo con numerosi artisti, i quali, non
solo mediarono per suo tramite ispirazioni tematiche, ma gli furono debitori
di precise consulenze iconografiche e non raramente di consacrazione
critica e promozione sul mercato. Allo stesso modo in cui, come traduttore,
aveva avuto un ruolo basilare nel divulgare tempestivamente le opere più
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Filippo Silvestro
significative della produzione letteraria d’Oltralpe, così, in altro ambito,
“lo sguardo lungimirante di Maffei portò la cultura figurativa italiana [(] a
misurarsi in un raggio più vasto, al di là dei confini nazionali” (Mazzocca,
2004, p. 33).
Nel 1851 il M. decise di tornare nel natio Trentino; affittata un’abitazione a
Riva del Garda, vi fece trasferire i mobili della casa
milanese e la sua cospicua collezione d’arte. A Riva era entrato in cordiali
rapporti con la famiglia de Lutti, che da allora in poi divenne il suo più
stabile riferimento affettivo. Per molti anni, quasi fosse il nume tutelare
del salotto de Lutti, si dedicò con passione a orientare e sostenere le doti
musicali del giovane Vincenzo e quelle letterarie della sorella Francesca,
figli dei suoi ospiti.
In Trentino il M. poté applicarsi con più assiduità a una produzione poetica
personale prima relegata, dato l’impegno prevalente di traduttore, in ambito
secondario. Fermo sostenitore della lezione di equilibrio dei classici, egli
fu particolarmente polemico, specie in età matura, nei confronti dei nuovi
indirizzi di gusto, soprattutto del realismo più esasperato. In effetti i suoi
versi, sempre “ben periodati e cadenzati e sonanti” (Croce, p. 154), sono
caratterizzati da uno stile controllato e da una costante eleganza formale.
Si tratta comunque di una produzione piuttosto eterogenea, sviluppatasi
in epoche e con intendimenti diversi. Frequenti le composizioni nate con
propositi celebrativi o d’occasione, oppure, ancor più spesso, indirizzate
a servire da parafrasi poetica a opere d’arte, ovvero a farsi ispiratrici delle
stesse (con un affiorare, qui più che altrove, di suggestioni prettamente
romantiche). Queste le principali raccolte di versi: Dal Benaco (Milano
1854); Versi editi ed inediti (Firenze 1858); Arti, affetti, fantasie (ibid.
1864); Poesie scelte edite e inedite (ibid. 1869); Liriche (con una sezione di
Poesie patrie, ibid. 1878); Liriche varie (Milano 1883); Affetti (ibid. 1885).
Dopo il distacco da Milano il M. riprese anche l’attività di traduttore. Portata
a termine la versione del Paradiso perduto di J. Milton (Torino 1857), accolta
con molto favore dalla critica (fu lodata, tra gli altri, da C. Tenca, F. Romani
e T. Massarani), decise di affrontare le romanze di Schiller e quelle di J.W.
Goethe (Gemme straniere, Firenze 1860). Seguì la traduzione del poemetto
goethiano Arminio e Dorotea (Milano 1864), le cui numerose riedizioni
contribuirono alla fortuna del testo, fino ad allora scarsamente noto.
Il M. si concentrò poi sull’impegnativa traduzione del Faust la cui prima
edizione (1866) comprendeva, in appendice, anche alcune scene del
Secondo Faust, sul quale egli lavorò intensamente nei due anni seguenti,
nel tentativo di “vestire italianamente e in verso ciò che i tedeschi medesimi
non credono si possa fare”, come scriveva al suo editore. La versione del
Secondo Faust (1869) fu però investita dalla velenosa stroncatura di V.
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Domenico Pellizzi
Imbriani il quale, dopo averne notomizzato verso per verso una sola scena,
concludeva infine affermando che “la bella fama del Maffei l’è usurpata”
(Imbriani, p. 340). L’Ifigenia in Tauride (1874) e le Elegie romane (1875)
chiusero il ciclo delle versioni goethiane del Maffei.
Tutte le versioni dei testi goethiani apparvero pubblicate, nella prima
edizione e in gran parte delle successive ristampe, dall’editore F. Le
Monnier di Firenze con cui il M. aveva instaurato fin dagli anni Quaranta
una fruttuosa collaborazione. Divenuto il suo principale consulente
letterario, egli ne indirizzò per molti anni la linea editoriale e si valse della
sua estesa rete di relazioni per intrecciare rapporti e scambi con altre regioni,
per favorire la diffusione su larga scala dei volumi stampati, e anche per
procurare favorevoli contratti di pubblicazione a numerosi scrittori (tra gli
altri a Cabianca, A. Gazzoletti, P. Maspero, G. Visconti Venosta, G. Zanella,
C. Varese, come rivelano i carteggi) e far emergere giovani talenti.
A Firenze, divenuta sua città d’elezione, il M. (nominato, nel 1880,
cittadino onorario) soggiornò sempre più a lungo. Aperto, malgrado l’età
avanzata, alle varie iniziative in campo culturale ed editoriale, contribuì tra
l’altro attivamente al nuovo giornalismo letterario con collaborazioni alla
Nuova Antologia e al Fanfulla della domenica. Mentre si moltiplicavano
le cariche e gli attestati di benemerenza pubblici e privati, spesso veniva
pure delegato da varie città a presenziare a cerimonie ufficiali. Dovunque
elogiato quale incontrastato principe dei poeti-traduttori, egli non aveva
smesso tuttavia di impegnarsi su altri testi stranieri. Tra gli autori tedeschi
di rilievo affrontati in età ormai tarda sono da ricordare anche H. Heine e
Grillparzer, traducendo del primo, ed è significativo, le uniche due opere
teatrali, ovvero le tragedie Ratcliff (Milano 1875) e Almansor (Milano
1876), mentre del secondo, quasi ignoto nella penisola, dette alle stampe
l’Avola (Milano 1877) e la Medea (Firenze 1879). Piuttosto episodico, e
legato prevalentemente all’interesse per Schiller e alla collaborazione con
Verdi, l’impegno del M. su Shakespeare, dal momento che alla versione di
tutto il teatro shakespeariano si era accinto, proprio su suo incoraggiamento,
il fraterno amico G. Carcano. Si noti peraltro che il Macbeth e probabilmente
anche l’Otello, furono tradotti in italiano dal M. non dall’originale inglese
ma dalla libera traduzione fattane da Schiller per il teatro di Weimar.
Anche altre versioni risultano legate a circostanze contingenti: richiesta
espressamente dal celebre compositore J. Meyerbeer fu per esempio
quella del dramma Struensee, di cui era autore il fratello M. Beer, morto
prematuramente, e che uscì nel 1863 presso Ricordi corredata della musica
dello stesso Meyerbeer. Sempre Ricordi patrocinò la traduzione delle Odi
di Anacreonte (s.d., ma 1873) che attrasse singolarmente il M. in quanto
doveva essere corredata da
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Filippo Silvestro
preziose incisioni e brani musicali, attuando un’ideale osmosi fra “le tre
arti sorelle”. La scelta di tradurre l’Excelsior di H.W. Longfellow (Firenze
1870) aveva risposto invece solo al desiderio di compiacere la moglie Clara,
con la quale aveva riallacciato affettuosi rapporti dopo che era accorsa a
Firenze nella primavera del 1869 per assisterlo durante una grave malattia.
Furono legate generalmente a occasioni o a richieste specifiche anche le
versioni da Poeti inglesi e francesi, poi riuniti in compendio (Firenze 1870,
fra cui L. Davidson, V. Hugo, A. de Lamartine, F. Ponsard), nonché J.B.
Legouvé (Un ricordo di Daniele Manin, Firenze 1877).
L’eclettismo che sembra caratterizzare, vista nel suo complesso, la produzione
del poeta-traduttore (ma si tenga conto che essa copre, temporalmente, un
arco di quasi settant’anni) ha suscitato, dopo la sua morte, l’amplificarsi
graduale di perplessità critiche che sono andate focalizzandosi, spesso
in modo indiscriminato, sui limiti delle sue versioni: la scarsa fedeltà
agli originali, l’eccesso di armonia, la tendenza a uniformare sotto uno
stesso stile tutti gli autori tradotti. L’associarsi di giudizi condizionati da
presupposti di tipo ideologico, basati sul presunto conservatorismo politico
del M. (quando non, addirittura, sul suo “austriacantismo”) ha finito per
incollare saldamente al personaggio il profilo di poeta disimpegnato, di
letterato rigidamente classicista, di divulgatore poco fedele, confinandolo
nell’indeterminato limbo dei mediocri rimatori dell’Ottocento e cancellando
del tutto la specificità del suo ruolo.
Una reale verifica critica sul M. è stata avviata solo in anni abbastanza recenti.
Una serie di approfondimenti, confluiti nella importante mostra del 1987
(Riva del Garda e Milano), hanno permesso di identificare le diverse facce
della sua presenza culturale e soprattutto di mettere a fuoco, secondo quanto
suggerito per primo da L. Baldacci, la portata e i riflessi del suo operare nel
quadro della cultura italiana dell’Ottocento. D’altra parte l’intensificarsi,
in ambito specialistico, di studi orientati all’analisi del processo traduttivo
in una dimensione storico-culturale, ha evidenziato la limitatezza di criteri
valutativi che, operando un processo di totale decontestualizzazione, mirino
soltanto a verificare la conformità della traduzione all’originale. Tale pratica
infatti risulta del tutto sterile se applicata alle traduzioni del M. che avevano
come finalità primaria la capacità di mediazione con le esigenze e i gusti di
un’epoca ed erano destinate a interagire a livello pluridisciplinare.
Il 16 marzo 1879, auspice B. Cairoli, il M. venne nominato da Umberto
I senatore del Regno. Ma la soddisfazione per i “meriti invero eminenti”
attribuiti alla sua operosità letteraria non poteva fargli dimenticare che la
sua terra natale rimaneva sotto dominio austriaco. Già nel 1866 era stata
appunto l’amarezza per la mancata annessione del Trentino al nuovo Regno
d’Italia a indurlo a chiedere, facendo valere le antiche origini veronesi della
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Domenico Pellizzi
famiglia, la cittadinanza italiana (era infatti stato incluso per decreto regio
nei registri della cittadinanza di Venezia). Proprio per questo aveva reagito
con addolorata indignazione ad alcune strumentali polemiche volte, nel
1873, a mettere in dubbio i suoi sentimenti italiani. Gli ultimi anni del M.
furono anche rattristati dalla morte di tanti vecchi amici e in particolare,
nel 1878, dalla perdita della sua allieva prediletta, Francesca de Lutti.
Ciò non gli impedì tuttavia di mantenere viva l’esigenza di una eredità
culturale da trasmettere. Fitti carteggi, in buona parte inediti, testimoniano
il sostegno affettuoso e nello stesso tempo concreto dato a tanti giovani: il
commediografo A. Torelli, la poetessa Maria Alinda Bonacci Brunamonti,
il giornalista G. Piccini, e ancora E. Checchi che per almeno un ventennio
gli fu particolarmente vicino. Strettamente collegate al M. sono peraltro
anche le primissime composizioni di P. Mascagni, che per il libretto del
Ratcliff, portato però sulle scene solo nel 1894, si affiderà alla versione del
M. assunta nella sua integrità.
Sempre in movimento da una città all’altra, sebbene più che ottantenne, il
M. continuò anche a dedicarsi a nuove traduzioni: del Demetrius, dramma
incompiuto di Schiller, e delle novelle in versi di Byron Lara (1882),
Mazeppa (1883), Giaurro (1884), pubblicate a Milano dal giovane e
intraprendente editore E. Hoepli.
Il M. morì a Milano il 27 nov. 1885.
Fu assistito da A. Verga, suo medico e amico, in una stanza dell’albergo
Bella Venezia dove da quasi un trentennio era solito alloggiare durante i
soggiorni nella città. Dopo le esequie solenni la salma venne traslata a Riva
del Garda per essere tumulata nella cappella della villa de Lutti.
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2007)
di Marta Marri Tonelli
BIBLIOGRAFIA
R. Barbiera, Il salotto della Contessa Maffei e la Società milanese (1834-1836), Milano 1895
AA.VV, L’Ottocento di Andrea Maffei, Museo Civico Riva del Garda giugno-agosto 1987
AA. VV, Il Secolo dell’Impero, Principi, artisti e borghesi tra 1815 e 1915, MART Rovereto
2004
D. Pizzagalli, L’amica, Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento, Milano 2004
M. Marri Tonelli, Maffei Andrea in Dizionario Biografico degli Italiani, Milano 2007
Il presente saggio è stato oggetto di due conferenze, una in Deputazione di Storia Patria,
l’altra ai Musei Civici.
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Filippo Silvestro
D. Pellizzi, La volta della sala grande del Teatro Municipale
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Domenico Pellizzi
D. Pellizzi, Il Melodramma
D. Pellizzi, La Commedia
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Filippo Silvestro
D. Pellizzi, La Tragedia
D. Pellizzi, La Tragedia, bozzetto, olio su tela, collezione privata
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Domenico Pellizzi
D. Pellizzi, La Tragedia,
disegno, cartone preparatorio
D. Pellizzi, La Tragedia,
particolare con A. Maffei e V. Monti
D. Pellizzi, La Coreografia, particolare
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Filippo Silvestro
Carlo Bellosio, Ritratto di Andrea Maffei, in divisa da consigliere provinciale, olio su tela
cm. 99x79, ca.1830, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
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Domenico Pellizzi
Giuseppe Bertini, Ritratto del cavalier Andrea Maffei, olio su tela cm.90x69, 1850, Milano,
Museo Poldi Pezzoli
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Filippo Silvestro
Francesco Hayez, Ritratto di Clara Maffei, olio su tela cm.68x58, 1845, Riva del Garda,
Museo Civico
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Domenico Pellizzi
Michele Gordigiani, Ritratto di Andrea Maffei, olio su tela cm. 135x108 -1868, Riva del
Garda, Museo Civico
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Filippo Silvestro
Sonetto di A. Maffei dedicato a Carolina Curti e al Dott. Carlo Ferrari, dicembre 1858, in
occasione del loro matrimonio, Reggio Emilia Biblioteca A. Panizzi
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Domenico Pellizzi
Lettera di A. Maffei, a N. Campanini, Firenze 1877, Reggio Emilia Biblioteca A. Panizzi
Oltre a Domenico Pellizzi hanno ritratto Andrea Maffei:
Carlo Bellosio (Milano 1801-Bellagio 1849), studia all’Accademia di Brera
sotto gli insegnamenti di Palagio Palagi. A Milano decora parecchie chiese
per poi trasferirsi a Torino ed insieme al suo maestro Palagi affrescare palazzi
sabaudi tra cui Racconigi.
Giuseppe Bertini (Milano 1825-1898), docente e direttore dell’Accademia
di Belle Arti di Brera, dirige anche il Museo Poldi Pezzoli, sempre a Milano.
Michele Gordigiani (Firenze 1935-1909), è allievo di Luigi Mussini e
frequenta, a Firenze, il Caffè Michelangelo, assieme ai Macchiaioli.
E’ ritrattista ufficiale della Casa Savoia.
Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882) grande esponente della
stagione romantica, autore di quadri significativi per l’Unità d’Italia, come
il Bacio e la Malinconia. Ritrae la moglie Clara Maffei.
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