Le parole-chiave della Pedagogia Interculturale Temi e problemi

Le parole-chiave
della Pedagogia Interculturale
Temi e problemi nella società
multiculturale
volume a cura di M. Catarci & E. Macinai
Parte I
Cultura, società multiculturale
e pedagogia interculturale.
Un’introduzione ai concetti preliminari
• 10 parole chiave …
– diritti umani, integrazione, postcoloniale, razzismo,
etnocentrismo, dialogo, genere, infanzia, adolescenza,
minori stranieri non accompagnati.
– Tra idee & pregiudizi;
– pratiche, azioni e relazioni
– Trasversalità dell’approccio
• … e una premessa:
– Edward Burnett Tylor, «la cultura, o civiltà intesa nel suo
ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che
include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il
diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall’uomo quale membro di una società»
(E.B. Tylor, 1871).
Punti di avvio…
• Il multiculturalismo e il modello multiculturale
(Anni ‘80) vs l’universalismo.
• Alcuni principi epistemologici:
– La realtà – costituita dagli attori sociali e dalle loro
interpretazioni e descrizioni
– La verità – dipende dall’accordo intersoggettivo
all’interno di un gruppo
– La conoscenza – è intersoggettiva e si apre il dibattito
sulle scienze
– Il linguaggio – contribuisce a costruire il mondo, in
contatto con altri mondi (anche discordanti)
Al centro del pensiero
• Universalismo: visione etnocentrica del
mondo – “la cultura a cui si appartiene è
l’unica giusta e vera e andrebbe diffusa in tutti
i luoghi” (Portera, 2013, 30)
• Multiculturalismo: tracce di idealismo (il
mondo sempre in discussione) e di relativismo
culturale.
Il modello interculturale…
• Prende avvio nell’ambito della riflessione
pedagogica (fine anni ‘70 – Porcher, AbdallahPretceille e Consiglio d’Europa)
• Punto nevralgico: “l’apertura all’altro diviene
un elemento essenziale di ogni pratica
pedagogica” (Portera, 2012, 31)
Il modello interculturale…
• Pretceille definisce i tre assi fondamentali dell’
intercultura:
• 1. asse soggettività-intersoggettività: cultura in
movimento (confini porosi, portatori di culture).
• 2. asse identità-alterità: dialettica io-altro, considerare
l’importanza dell’altro non in opposizione ma
nell’interferenza con l’io. L’identità assume dinamicità
e pluralità, momento di incontro.
• 3. asse differenza-universalità: identità definita nella
dialettica io-altro e in relazione alla differenza (che può
creare timore, conflitto…ma attenzione all’indifferenza-universalismo). Relazione e interazione tra le
culture che esprimono lo stesso reale.
Il discorso pedagogico1 interculturale
• “…non s’inscrive dentro una visione culturalista o
deterministica, ma prende atto della complessità;
• supera l’incomunicabilità del relativismo
culturale;
• presuppone la dimensione culturale come parte
integrante di ogni riflessione e modalità
d’intervento;
• integra l’etnocentrismo come variabile costante;
• si riferisce sempre a un’azione, un intervento;
• considera criticamente i termini di etnia, cultura
nazione e identità”. (Portera, 2013, 37)
1Il
discorso pedagogico
• L’indagine sulla natura e sulle prerogative
dell’uomo costituisce il capitolo della Pedagogia
antropologia pedagogica. Le modalità teoretica
attraverso le quali il soggetto va trattato,
rispettando la sua natura e le sue prerogative,
costituiscono il capitolo della metodologia
educativa e l’individuazione dei fini
coessenziali al perfetto dispiegarsi dei poteri
umani costituisce quello della teleologia
pedagogica.
Aspetto
pragmatico
Alcune chiarificazioni…
• Educazione metaculturale: metacultura – una
cultura al di là della cultura o riflettere
teoricamente sulla cultura. “Ma non è possibile
educare senza tenere conto della realtà
culturale…” (Portera, 2012, 40)
• Transcultura: qualcosa che attraversa la cultura,
comune a tutti gli uomini. Riflessione
sull’educativo che trascende la particolarità e
individuazione di elementi universali. Il rischio
che si corre è di trascurare le sfumature…
Alcune chiarificazioni…
• Pedagogia multiculturale: rimanda alla
pluricultura e alle compresenze, differenze tra le
differenti culture e riconoscimento-rispetto
dell’altro. Il rischio che si corre è di definire le
culture in maniera rigida e statica (monolitica).
– “La pedagogia non può limitarsi a proporre degli
interventi a carattere prettamente descrittivo,
promuovendo una convivenza, più o meno pacifica, le
une accanto alle altre, tipo «condominio» di persone
diverse che, pur vivendo in un medesimo ambiente,
non hanno l’opportunità di dialogare, di interagire, di
influire le une sulle altre” (Portera, 2013, 42)
La pedagogia interculturale
• È una visione rivoluzionaria perché:
– Identità e cultura sono intesi in maniera dinamica;
– L’alterità, l’emigrazione, la vita in società complessa e
multiculturale diventano opportunità di arricchimento
– Si avviano possibilità di dialogo, confronto e
interazione – PREFISSO INTER – scambio.
– Società multiculturali ma interventi educativi
interculturali: al centro “la persona umana nella
propria interezza, a prescindere da nazionalità, lingua,
cultura o religione di appartenenza” (Portera, 2013, 43)
Gli aspetti rivoluzionari…
• INTER – scambio, interazione, messa in gioco tra le
culture (riconoscimento dei valori e della diversità)
• Dinamicità delle singole culture e delle identità,
riconoscimento delle risorse e delle opportunità
(crescita personale e sociale)
• Una nuova forma mentis alla base delle dinamiche
relazionali
• Multicultura della società in movimento per arrivare a
intercultura (dalla descrizione alla progettazione)
• Educazione o pedagogia interculturale (perché legate
all’azione. (Portera, 2013, 43-44)
Prospettive autentiche di educazione
interculturale
• Esigono che:
– “venga realizzata una efficace promozione del dialogo
e del confronto tra le culture per l’intera popolazione
scolastica e per tutti i livelli del processo di
insegnamento-apprendimento: nell’insegnamento, nei
curricoli, nella didattica, nelle discipline, nelle relazioni
e nella vita della classe. In questo senso, l’approccio
interculturale impone di non limitarsi a mere strategie
di integrazione dei soggetti stranieri, ma di assumere
la diversità come paradigma educativo, nonché come
occasione per valorizzare tutte le differenze” (Catarci
&Macinai, 2015, 9)
1. Diritti umani
Fondamento e orizzonte dell’educazione interculturale
Emiliano Macinai
• «Nella società democratica multiculturale,
l’educazione o è interculturale o non è affatto
educazione» (13)
• «L’interculturalità assume in questa prospettiva il
senso di un progetto pedagogico che chiama in
causa l’intera società, nelle sue agenzie e nelle
sue istituzioni, a partire da quelle educative,
poiché è nella dimensione della vita collettiva che
tali opportunità possono essere realizzate e
colte» (13)
Fondamenta
• La dignità umana si esprime attraverso condizioni di vita
che garantiscano all’uomo di potersi dire e riconoscere
come degno di essere vivo;
• Idiritti fondamentali che esprimono i bisogni elementari
dell’uomo sono i cosiddetti diritti di seconda generazione.
• Storicamente, vengono individuati per secondi rispetto alle
libertà civili; concretamente, sul piano esistenziale, li
precedono e sono primari rispetto a quelle.
– i diritti di prima generazione sono espressi nella forma di
libertà positive (libertà di: dire, pensare, agire),
– i diritti di seconda generazione sono espressi attraverso libertà
negative (libertà da: dal bisogno, dalla sofferenza, dalla paura,
dalla precarietà): diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute,
all’istruzione, al lavoro, alla protezione dallo sfruttamento e
dalla violenza. (14)
Fondamenta
• «Quando la traduzione di bisogni individuali in
diritti generali è capace di suscitare un moto
collettivo, allora l’idea dei diritti incontra un
consenso convinto perché alimentato non
tanto dalla razionalità e dal rigore di
un’argomentazione logica, bensì dal
sentimento e dall’empatia» (16)
Cfr. L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo,
Laterza, Roma-Bari 2010.
Fondamenta
Fondamenta
• «La domanda che il secolo XX ha dovuto
pertanto affrontare è : i diritti umani
fondamentali come possono essere chiamati
universali se sono storicamente relativi?
• E ancora: è possibile trovare un fondamento
saldo a un’idea che nella storia e nel presente
ha visto costantemente mutare il proprio
contenuto e il proprio significato?» (18)
• LA QUESTIONE APERTA DELL’UNIVERSALITÀ E
DELLA STORICITÀ
Dal fondamento alla realizzazione
• «L’orizzonte di diritti che il Novecento consegna al terzo
millennio è quello di un’umanità planetaria, ricca in
differenza culturale e tuttavia, o proprio in virtù di
questo, capace di individuare ragioni valide per la
costruzione del dialogo sopra una piattaforma
condivisa da cui orientare il destino della convivenza
nel mondo: i valori di giustizia e libertà, dignità e
autonomia, sicurezza e solidarietà si caricano di
significati ricchi e vari e diventano patrimonio umano
condiviso perché storicamente rinegoziato, aprendo a
prospettive future insperate per la realizzazione di un
sentimento cosmopolita di appartenenza alla specie
umana, che possa essere auspicabile per tutti, per
ciascuno e ovunque» (21)
L’evoluzione dei diritti umani nella
cultura occidentale
• TRE FASI FONDAMENTALI:
• «a) 1600-1700: è la fase originaria, in cui l’idea dei diritti umani si
esprime con continuità nella cultura illuministica, trovando
espressione nelle dichiarazioni del secolo XVIII – la fase filosofica
• dei diritti umani;
• b) 1800-1945: è la fase della concretizzazione, in cui l’idea dei diritti
umani passa dall’orizzonte filosofico delle idee a quello storico della
politica e si esprime in forma positiva dando corpo alle legislazioni
degli stati nazionali ottocenteschi in stretto dialogo con il processo
di consolidamento e modernizzazione degli stati-nazione – la fase
positiva dei diritti umani;
• c) 1945-oggi: è la fase ancora in atto caratterizzata da un duplice
processo di allargamento orizzontale e verticale dei diritti umani
che si esprime attraverso l’inclusione nel discorso dei soggetti
esclusi e la specificazione dei contenuti in relazione ai loro bisogni
particolari – la fase transculturale dei diritti umani.» (21-22)
L’evoluzione dei diritti umani nella
cultura occidentale
• n.b. 1948 – Dichiarazione universale sui diritti
umani
• http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/it
n.pdf (ITALIANO)
• http://www.un.og/en/documents/udhr/ (INGLESE)
• https://en.wikipedia.org/wiki/Enlargement_of_the_United_Nations
• http://www.un.org/en/sections/history/history-unitednations/index.html
• http://cdn2.genitoricrescono.com/wpcontent/uploads/documenti/dudu.pdf (UNA PROPOSTA…)
L’evoluzione dei diritti umani nella
cultura occidentale
• n.b. 1959 – Dichiarazione universale dei
diritti del fanciullo
• http://images.savethechildren.it/f/download/CRC/Co/Conv
enzione_1959.pdf
L’evoluzione dei diritti umani nella
cultura occidentale
• Diritti CULTURALI e questioni di linguaggio…
quale attualità e attualizzazione?
• «ampliare la comunità di quanti siano titolati
a partecipare al discorso, disporsi nella
condizione dell’ascolto e assumere l’impegno
di riconoscere il diritto di parola a chi è
portatore di altre tradizioni culturali
riguardanti tali principi» (26)
• n.b. Lo sguardo occidentale … e il cammino
interculturale
2. Integrazione
Una nozione multidimensionale e interazionista
Marco Catarci
• PROGETTARE L’INTEGRAZIONE
• «i “luoghi dell’integrazione” attivi nella società
– i servizi di accoglienza e inclusione sociale, le
istituzioni scolastiche, i servizi sociali, i luoghi
di formazione informale e di socializzazione,
gli spazi dell’iniziativa sociale ecc. –
rappresentano oggi un presidio cruciale nella
società, a difesa di una democrazia pluralista,
solidale e inclusiva.» (31)
Integrazione
Una nozione multidimensionale e interazionista
• PROGETTARE L’INTEGRAZIONE
• «i “luoghi dell’integrazione” attivi nella società
– i servizi di accoglienza e inclusione sociale, le
istituzioni scolastiche, i servizi sociali, i luoghi
di formazione informale e di socializzazione,
gli spazi dell’iniziativa sociale ecc. –
rappresentano oggi un presidio cruciale nella
società, a difesa di una democrazia pluralista,
solidale e inclusiva.» (31)
DIMENSIONI DELL’INTEGRAZIONE
• Tra condizioni materiali e riconoscimento di
culture/identità delle persone
• Pluralità & reti di servizi:
– «La questione dell’integrazione dei migranti
richiede di stabilire collegamenti e connessioni tra
servizi differenti per due motivi essenziali:
• il primo concerne il fatto che tale tema delinea una
responsabilità condivisa tra molteplici agenzie nella
società;
• il secondo riguarda il fatto che un lavoro di rete tra i
diversi servizi consente di offrire un approccio più
globale ai diversi bisogni della persona». (34)
STRATEGIE DI PROMOZIONE
DELL’INTEGRAZIONE SOCIALE
• «– la promozione, attraverso interventi di politiche sociali attive,
miranti a emancipare i soggetti dal bisogno ma anche
dall’assistenza, favorendo l’apprendimento della lingua, la
formazione professionale, l’avvio al lavoro e l’autonomia abitativa;
• – la partecipazione, chiamando gli utenti a svolgere un ruolo di
protagonisti, anche attraverso attività di mediazione e animazione,
raccordando le risposte degli utenti in direzione degli obiettivi del
percorso di integrazione;
• – i partenariati, mediante la costruzione di forme di rete per la
concertazione degli interventi e la progettualità condivisa tra attori
solidaristici, singoli cittadini, rappresentanze degli utenti e
istituzioni locali». (35)
•
Cfr. M. Ambrosini, Introduzione. Dopo i diritti umani: rifugiati e migranti forzati in un mondo
globale, in M. Ambrosini – C. Marchetti, Cittadini possibili. Un nuovo approccio all’accoglienza
e all’integrazione dei rifugiati, Franco Angeli, Milano 2008, p. 23.
Un’osservazione critica…
… o forse due …
• Numerose ricerche hanno messo in luce come a un’elevata qualità
delle persone immigrate corrisponda in Italia un basso posizionamento
nella gerarchia occupazionale. L’intrappolamento degli immigrati in
vere e proprie nicchie lavorative, in un mercato del lavoro già
fortemente segmentato, genera dispersione di capitale umano e
impoverimento del tessuto socio-economico generale. Il volume
affronta il problema della mobilità lavorativa degli immigrati attraverso
l’analisi di circa 850 curricula di lavoratori provenienti da paesi
stranieri, raccolti nell’area metropolitana romana. L’obiettivo è
verificare se i processi di inserimento e di mobilità avvengano in base
alle «dotazioni» individuali o se vi siano altri elementi in grado di
influire sulle chances occupazionali.
• I percorsi professionali, dal paese d’origine a quello d’arrivo, sono stati
messi in relazione con le principali variabili socio-anagrafiche quali il
sesso, l’età, l’area geografica di provenienza, l’istruzione, il possesso di
un titolo di formazione professionale, la conoscenza della lingua
italiana o di altre lingue straniere e il periodo di lavoro in Italia. Il
quadro che ne emerge, tra integrazione e subalternità, si mostra ricco
di sfumature. Fuori da una pura passività rispetto a forze sociali ed
economiche che li sovrastano, gli immigrati appaiono spesso in grado
di costruire percorsi alternativi a quelli rigidamente tracciati dalle
ferree regole della domanda.
Modelli di integrazione in EU 1
• MODELLO ASSIMILAZIONISTA (il caso francese)
• le forme di integrazione degli immigrati nella società vengono regolate dal
principio repubblicano di “eguaglianza” tra gli individui, che impone di
subordinare richieste di riconoscimento di diritti collettivi e trattamenti
differenziati nei confronti delle appartenenze culturali a criteri universali
riferibili alla cittadinanza francese, superando così specificità legate a
singole tradizioni, religioni, linguaggi.
• In questa prospettiva, il percorso di integrazione sociale dei nuovi arrivati
consiste essenzialmente nella progressiva acquisizione delle forme della
cittadinanza francese, con la piena e totale accettazione ad agire nella
sfera pubblica nel quadro di regole condivise.
• Una tale prospettiva si basa sul principio di laicità, per il quale nello spazio
pubblico vi è assenza di un’ideologia dominante a favore di
un’equidistanza tra le diverse posizioni culturali e religiose: si determina,
così, una forte separazione tra la dimensione pubblica, nella quale vige
l’eguaglianza tra i cittadini, e quella privata, nella quale ciascun cittadino
può conservare comportamenti e linguaggi culturalmente connotati. (40)
• n.b. A. Sayad – il concetto di DOPPIA ASSENZA
Modelli di integrazione in EU 2
• MODELLO PLURALISTA (il caso della Gran Bretagna)
• prevede che lo Stato svolga unicamente il ruolo di mediatore tra
gruppi culturali differenti, che stabiliscono accordi e contratti l’uno
con l’altro in modo da assicurare una convivenza efficace.
• In questa ottica, ai singoli gruppi culturali viene concessa una forte
autonomia, che si esplica nella possibilità di conservare un certo
grado di differenza, da manifestare anche nello spazio pubblico, nel
rispetto delle regole democratiche.
• La società britannica sia storicamente multiculturale e impiega
specifiche strategie per conservare una precisa differenziazione
sociale ed economica (41)
• n.b. J. Gundara – sottolinea che nel modello britannico i gruppi
culturali che non rispondono a specifici parametri di natura
linguistica e culturale vengono RESI SISTEMATICAMENTE “ALTRI”
Modelli di integrazione in EU 3
•
MODELLO DI “ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA PRECARIETÀ”(il caso della
Germania)
•
descrive una politica di immigrazione intesa esclusivamente come ricorso
sistematico all’importazione di manodopera straniera, sottolineando il carattere
temporaneo del fenomeno migratorio, con una particolare attenzione al controllo
di tale presenza anche per assicurare la sua flessibilità.
•
Soprattutto a partire dagli anni Settanta del Novecento, si sviluppa una doppia
strategia costituita da una politica di integrazione degli immigrati già presenti sul
territorio da molti anni e che hanno maturato diritti di soggiorno, di lavoro e di
ricongiungimento familiare, contemporaneamente a misure di agevolazione del
ritorno degli ultimi arrivati e di forte limitazione degli ingressi.
•
Una vera e propria svolta su tale questione, con la legge sulla cittadinanza del
1999, che introduce importanti elementi dello ius soli in un contesto
tradizionalmente regolamentato in base allo ius sanguinis. (42-43)
•
n.b. P. Kammerer – osserva che il non voler riconoscere il carattere permanente del
fenomeno migratorio in Germania trova ragione proprio nell’interesse a
garantirne il “controllo”, nonché un suo più conveniente utilizzo nel mercato del
lavoro.
E IL MODELLO ITALIANO?
• La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni
stranieri (2007)
•
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/intercultura-normativa
• individua il «modello di integrazione interculturale della scuola italiana» in
principi e linee di azione che fanno riferimento a «una modalità
organizzativa/tipo della scuola accogliente, integrativa e interculturale»
• una doppia ottica educativa, indirizzata non soltanto ai neo arrivati ma
anche agli autoctoni, il documento sottolinea che l’inclusione va
perseguita attraverso «la costruzione di forme di integrazione sociale
rispettose», all’interno di un contesto di apprendimento comune per
italiani e stranieri.
• Ne deriva una visione “interazionista” dell’integrazione, che si traduce
nell’acquisizione di competenze (ad esempio, quelle linguistiche), ma
anche nella possibilità di fruire di opportunità derivanti dalle relazioni,
dagli scambi con i pari e gli adulti, all’interno dell’istituzione scolastica e al
di fuori di essa. (45-46)
E IL MODELLO ITALIANO?
• La nozione di integrazione assume così anche
il connotato di “integrità” del Sé, che si
esprime attraverso la possibilità di ricomporre
la propria storia, lingua, appartenenza, in un
processo dinamico di cambiamento e di
confronto, che consenta a ciascuno di
svilupparsi a partire da ciò che è, senza, da
una parte, essere “ostaggio” delle proprie
origini culturali e, dall’altra, dover negare
riferimenti della propria identità o differenze
per essere accettato e accolto. (46)
E IL MODELLO ITALIANO?
• SEI INDICATORI DI INTEGRAZIONE NEL CONTESTO SCOLASTICO:
• – l’inserimento scolastico, in riferimento in modo particolare alla qualità
dei risultati scolastici, che rappresenta un riferimento essenziale per la
possibilità di proseguire gli studi con opportunità analoghe a quelle di
qualsiasi altro compagno italiano;
• – la competenza in italiano L2 (lingua seconda), funzionale a dare risposta
ad un’ampia gamma di bisogni, dalla comunicazione interpersonale allo
studio;
• – le relazioni fra pari in classe, vale a dire la possibilità di partecipare ai
momenti di interazione con i pari e alle attività collettive;
• – le relazioni in tempo extrascolastico e le modalità di aggregazione nella
città, con le occasioni di inserimento e di partecipazione in attività ludiche,
di aggregazione e sportive, di “abitare” consapevolmente il proprio
territorio;
• – il rapporto con la lingua e i riferimenti culturali d’origine, in riferimento
ai legami con la propria lingua (inclusa l’eventuale possibilità di un
contesto di plurilinguismo), nonché con le proprie origini e la propria
storia;
• – la motivazione, l’autostima, la fiducia nelle proprie possibilità, anzitutto
di progettare il proprio futuro.
•
Cfr. G. Bettinelli-G. Favaro-L. Luatti, Quaderno dell’integrazione degli allievi stranieri, 2011, pp. 2-4.
3. Etnocentrismo
Come confezionarsi un fantastico “noi”
Giuseppe Burgio
• L’etnocentrismo è un atteggiamento caratterizzato da:
– «a) una differenziazione qualitativa (non meramente
quantitativa) tra la cultura di appartenenza e quella degli altri
gruppi;
– b) una rivendicazione più o meno accentuata, esplicita e
convinta delle qualità autenticamente umane della propria
cultura;
– c) una classificazione-relegazione degli altri in un’unica
categoria, o in un numero molto ristretto di categorie, a cui non
si riconoscono gli attributi che caratterizzano la vera umanità»
(49)
•
Cfr. F. Remotti, “Etnocentrismo”, s.v. in Enciclopedia delle Scienze Sociali, vol. II,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1993, pp. 658-663, disponibile in
http://www.treccani.it/enciclopedia/etnocentrismo_(Enciclopedia_delle_scienze_s
ociali)/
Etnocentrismo
Come confezionarsi un fantastico “noi”
• «Il termine etnocentrismo, com’è noto, è
composto da tre elementi, tutti derivanti dal
greco antico:
– éthnos (popolo, nazione),
– kéntron (che attraverso il latino centrum è
diventato il nostro centro)
– e il suffisso -ismos, usato per costruire i termini
astratti.
Seguire queste tre anime etimologiche permetterà
di comprendere meglio questo atteggiamento
mentale.» (49)
éthnos (popolo, nazione)
• Etnia – identità/differenza – outgroup/ingroup
• La questione aperta delle multi-appartenenze:
– Come afferma Remotti, «i soggetti non coincidono
necessariamente ed esclusivamente con gruppi etnici. Se questa
è la situazione, si potrebbe pensare di riservare il termine
etnocentrismo agli atteggiamenti di rivendicazione/separazione
i cui attori siano gruppi etnici e di coniare altri termini in
relazione a soggetti differenti. Ma, a parte la difficoltà
d’inventare una serie di termini nuovi e plausibili (sessocentrismo? età-centrismo? religione-centrismo?), questa
soluzione in realtà elude quello che probabilmente si può
considerare il problema di fondo dell’etnocentrismo – ossia il
soggetto etnocentrista –».
– Soggetto e origine dell’etnocentrismo è insomma il fatto di
pensare non in termini di noi ma di noi altri: l’etnocentrismo è,
più precisamente, un “noicentrismo” (51-52)
kéntron
(che attraverso il latino centrum è diventato il nostro centro)
• Contrapposizione centro/periferia,
frontiere/confini, la narrazione della storia
– «L’etnocentrismo ha però storicamente avuto due
manifestazioni: la prima centrata sul concetto di
razza, la seconda imperniata sul concetto di cultura.
Se il razzismo nella sua forma classica inferiorizzava
quelli con un colore della pelle diverso dal nostro,
l’etnocentrismo esclude oggi l’Altro su una base
culturalista. Insomma, il termine etnia sembra aver
sostituito quello (ormai impresentabile) di razza e
l’etnocentrismo basato sul concetto di cultura appare
la faccia aggiornata del razzismo». (54)
-ismos, usato per costruire i termini astratti.
• Elemento di dottrina/comportamento, rigidità
ideologica/estremizzazione
• «L’etnocentrismo non sfugge a tale tendenza a
guardare alle differenze per identificarle (cioè per
definirle come identità a noi comprensibili) e quindi, in
ultima istanza, per abolirle. L’etnocentrismo non lascia,
infatti, sussistere le differenze così come sono, ma
vuole comprenderle (cioè capirle e inglobarle) come
differenze determinate a partire da ciò che è più
familiare: cioè a partire dal “noi”. E in questo senso è
apparentabile al razzismo, al sessismo,
all’eterosessismo, all’integrismo fisico, al giovanilismo,
allo specismo, e ad altri ismi.». (58)
L’INTERCULTURA COME PROPOSTA
• IL COSMOPOLITISMO CRITICO:
– «caratterizzato dall’adozione consapevole del relativismo
culturale, proclama necessaria una capacità di apertura
intellettuale ed emotiva verso le esperienze culturali altre,
un’abilità nell’orientarsi nelle diverse culture e di muoversi
con destrezza in vari sistemi di significati.
– Il relativismo culturale spinge infatti in direzione di una
pratica educativa che funzioni come un allenamento a
formae mentis molteplici, un apprendere a fare spazio –
dal punto di vista cognitivo e valoriale – alle culture altre,
anche a quelle che appaiono incommensurabilmente
aliene. Di conseguenza, il cosmopolitismo critico va inteso
come progetto – concettuale e pragmatico – aperto» (60)
L’INTERCULTURA COME PROPOSTA
• «Per concepire un’educazione non
etnocentrica abbiamo invece bisogno di
smettere di identificarci con la cittadinanza,
con la lingua, con il patrimonio culturale
nazionale, intesi come monoliti posti, come
cippi fondiari, ai confini di un “noi”
proprietario e inviolabile. Insomma, per
ostacolare la contrapposizione noi/altri serve
anche il concetto di ibridazione culturale (nella
sua complessa accezione)». (63)
La mente decentrata …
• In un'epoca che vede contrapporsi da un lato emergenti e
sempre crescenti fondamentalismi e dall'altro una società che
si fa sempre più complessa e multiculturale, diventa quanto
mai importante fare comprendere a un ampio pubblico il
problema della differenza che caratterizza il genere umano.
• Una differenza che ha profonde radici storiche e culturali e
che è il frutto delle risposte che i diversi gruppi umani hanno
saputo dare ai differenti habitat con cui si sono trovati a
convivere. L'uomo è un animale incompleto per natura e ha
saputo colmare questo suo vuoto con la cultura, anzi, con le
culture.
• E di questa differenza che il libro parla, rivolgendosi anche ai
lettori più giovani, per spiegare loro, attraverso esempi e
aneddoti motivi e ragioni che muovono gli individui a
comportamenti diversi, apparentemente strani, ma quasi
sempre coerenti. Il tutto mediante una serie di dialoghi e
racconti tra un antropologo e le sue due nipotine.
4. Razzismo
Prospettive pedagogiche per la decostruzione
Alessandro Vaccarelli
• Razzismo biologico classico e neorazzismo
– «il razzismo biologico si è intrecciato con la storia delle
esplorazioni geografiche e la conquista di mondi altri,
producendo le sue varianti schiaviste, segregazioniste,
coloniali. Ma si è espresso anche attraverso lo sterminio, il
genocidio dell’altro (esemplare il caso della Shoah) o con il
progetto eugenetico di perfezionamento razziale (razzismo
eugenetico)».
– «Sfuggente, ora visibile nettamente, ora nascosto,
implicito nelle convinzioni o esplicitato nell’azione sociale,
il razzismo continuerà con molta probabilità ad esprimersi,
a cambiare volto, a seconda delle condizioni sociali, degli
andamenti di un mondo globalizzato ormai in crisi, degli
schemi di comportamento ufficiale promossi e
incoraggiati.» (74)
Il Razzismo
• «Il razzismo, peraltro, richiede un’azione: sia
essa semplicemente legata allo scherno o alla
battuta apparentemente innocua, sia essa una
pratica politica segregativa, sia essa, ancora,
una pratica persecutoria e violenta, secondo
un continuum che ci permette di graduare e
distinguere le conseguenze, mai definitive, del
razzismo» (74)
5
Il Razzismo – radici storiche
• Il concetto di RAZZA per delimitare, dividere,
distinguere, classificare…
Il Razzismo – radici storiche
• Le teorie razziste si moltiplicano, sia entro il dibattito
culturale, che vede nell’Europa ottocentesca l’emergere di
figure come A. de Goubineau, sia entro il dibattito
scientifico.
• Nel suo Saggio sulla ineguaglianza delle razze umane,
propose una classificazione razziale in cui i gialli vengono
descritti come materialisti, abili negli affari e nel
commercio, i neri vengono paragonati a plebe sfrenata, con
scarsa intelligenza e governati dall’istinto, predisposti ad
essere sottomessi, i bianchi come razza per natura
superiore alle altre due, poiché razionali, virtuosi, amanti
della libertà, dell’onore, della spiritualità.
• La più forte preoccupazione di Gobineau era la
degenerazione della razza bianca attraverso il contatto con
le altre: la razza e la civiltà ariane, superiori a tutte le altre,
dovevano quindi impedire in ogni modo che ciò avvenisse,
che si evitasse ogni sorta di mescolanza. (78-79)
Il Razzismo – radici storiche
• La questione della superiorità e la giustificazione infantile (79-80)
Kipling
Lombroso
Testo di geografia per
scuole medie, 1934
Il Razzismo – radici storiche
• Attraverso la divulgazione… Il potere diventa
sapere e il sapere diventa potere anche grazie
all’alleanza e alla reciproca giustificazione tra
le scienze e la cultura.
Il Razzismo – la situazione attuale
• Dalla razza biologica alla cultura che
esclude/allontana/distingue – un fenomeno
sfuggente e mimetico
ImbaRAZZISMI e… Nuovi imbarazzismi
•
Premessa: l’autore del libro è nato in Togo e risiede in Italia dal 1974. Dopo essersi laureato in medicina
e chirurgia, lavora presso un ospedale e ha sposato un’italiana, e ha raccolto in più libri alcune situazioni
imbarazzanti alle quali ha assistito o di cui ha avuto testimonianza, tutte con un unico denominatore: il
pregiudizio verso l’uomo nero. Quando si scopre che l’uomo nero non è il classico vu cumprà ma un
medico o un ricercatore universitario…., nasce l’imbarazzismo.
– Mi scusi signora, i ragazzi sono fratello e sorella? – chiese una signora anziana a mia moglie, che
passeggiava con i nostri due figli
– Sì
– Oh! Ma come è stata brava signora ad adottarli insieme!
La famiglia di un’amica di Marzia – una donna molto, molto religiosa – vedeva spesso a messa un
giovane di colore in piedi in fondo alla chiesa. Era ormai dicembre e i genitori della sua amica pensarono
che sarebbe stato un gesto di cristiana carità invitare a pranzo quel ragazzo
qualche giorno prima di Natale. Vedendolo sempre solo, in disparte avevano capito
che si trattava di uno di quei ragazzi africani venuti a frequentare la loro prestigiosa
università e che quindi avrebbe sicuramente passato le feste di Natale pressoché solo.
Quando furono tutti seduti attorno al tavolo, gli chiesero da dove veniva e cosa faceva in Italia.
La risposta, semplice e senza ombra di rimprovero, fu:
– Sono l’ambasciatore della Guinea Bissau in Italia
L’amica di Marzia non riuscì a contare i minuti di imbarazzatissimo silenzio
che seguirono quella sconvolgente rivelazione
ImbaRAZZISMI e… Nuovi
imbarazzismi
• Le prime righe – "Bel negro, vuoi guadagnarti 500 lire?"
• Un giorno uscivo dal supermercato con mia moglie, che è un'italiana.
Avevamo fatto tanta spesa da riempire due carrelli. Dopo aver caricato il
tutto nel portabagagli della macchina, mia moglie mi spinse i due carrelli
da riportare per recuperare le due 500 lire.
M'incamminavo con i miei due carrelli, quando sentii dietro le spalle un
"ssst!" accompagnato da uno schioccare di dita. Mi girai e vidi un signore
sulla cinquantina farmi segno con l'indice di avvicinarmi, ed abbozzare il
gesto di spingere il suo carrello verso di me. Lo guardai con un'espressione
che mia moglie descrisse poi come carica di lampi e fulmini.
Comunque il mio sguardo doveva essere stato eloquente, perché lo vidi
trattenersi il suo carrello e portarselo per conto suo.
Senz'altro, visto il colore della mia pelle e il gesto d'affido dei carrelli da
parte della mia signora, il "sciur" aveva fatto la somma deduttiva: negro +
carrelli = povero extracomunitario che sbarca il lunario.
Tornando alla macchina, vidi la mia dolce metà, che conoscendo la mia
permalosità, si contorceva dalle risate. Mi misi poi a ridere anch'io.
Ora ogni volta che andiamo a fare la spesa, lei mi spinge, ammiccando, il
carrello con voce scherzosa: "Ehi bel negro, vuoi guadagnarti 500 lire?"
ImbaRAZZISMI e… Nuovi
imbarazzismi
Ribka si reco’ all’ASL per compilare le schede di iscrizione al servizio sanitario.
L’impiegata le chiese nome e cognome per trascriverli.
Ma giunta alla voce professione scrisse spontaneamente da sè “domestica”
– Perchè ha scritto domestica?
– Perchè che lavoro fai?
– Sono una scrittrice, attualmente ricercatrice presso la vostra università
– ..che sbadata…
Un’amica eritrea e un signore italiano erano ad aspettare entrambi l’autobus n. 25.
– Questo autobus e’ sempre in ritardo!
– E’ vero, meno male che oggi non piove
E per venti minuti andarono avanti a parlare del tempo e della scomparsa della mezza stagione, poi
lui s’informo:
– Lei parla italiano?
Lei rimase esterrefatta:
– Mi scusi signore, ma in che lingua abbiamo parlato fino adesso?
Quando portammo per la prima volta i nostri figli in africa a conoscere i nonni paterni, venivano
rincorsi e additati dagli altri bambini festosamente con le grida:
– Yovo (= bianchi)! Yovo! Yovo!
I miei pazientarono per i primi giorni ma, siccome la scena si ripeteva di continuo, dovetti spiegare il
significato del termine. Giunti a casa, esasperata, mia figlia mi chiese
– Papà, perchè in Italia mi chiamano negra e qui in Togo mi dicono Yovo?
Fonti: Imbarazzismi, di Kossi komla-Ebri – Edizioni dell’arco
La paura dell’altro
• «Tutti i sentimenti di ostilità e di paura che
accompagnano atteggiamenti e orientamenti
attigui ma distinti (etnocentrismo, xenofobia,
razzismo, ma anche sessismo, omofobia,
classismo) trovano come minimo comune
denominatore il pregiudizio, che non va inteso
solo e soltanto come opinione preconcetta, ma
anche, nella direzione degli studi condotti
soprattutto dalla psicologia sociale, come
costrutto sociale e cognitivo». (88)
Alcune strategie educative
• DECENTRARE, DECOSTRUIRE E LIBERARE
L’OPPRESSO (a lezione da P. FREIRE)
Alcune strategie educative
• DECENTRARE, DECOSTRUIRE E LIBERARE
L’OPPRESSO (a lezione da P. FREIRE – la pedagogia
degli oppressi))
Alcune strategie educative
• La vittima del razzismo è un chiaramente un oppresso.
Ma possiamo considerare oppresso anche l’oppressore:
non ci riferiamo tanto all’“imprenditore della paura”
che muove consapevolmente le argomentazioni e le
azioni razziste, suonando le corde della paura sociale e
manovrando gli strumenti del consenso e della
propaganda.
• Oppressa è anche la persona comune, che possiede
strumenti deboli per l’analisi sociale e per una visione
decentrata della realtà, vittima del condizionamento
sociale e del pregiudizio; essa si fa spesso oppressore
verso l’immigrato, il rifugiato, il rom, l’omosessuale.
(90)
Alcune strategie educative
• È su questa prospettiva che si rafforza l’idea che
l’educazione interculturale (nelle sue declinazioni
antirazziste e, naturalmente e costitutivamente, non
razziste) non possa prescindere dall’essere
un’educazione per tutti, soprattutto per quei soggetti
che si identificano con il gruppo sociale maggioritario:
l’integrazione, in questo senso, non può essere
promossa solo attraverso azioni mirate e circostanziate
sull’appartenente ad una minoranza, ma soprattutto, in
linea con la migliore tradizione di studi pedagogicointerculturali, esse vanno rivolte a chi si definisce
autoctono, “pienamente” cittadino ed esclusivo
portatore di quei diritti che vengono ancora oggi
troppo spesso considerati e vissuti come forme
privilegiate di cittadinanza nazionale. (90)
Quali razzismi?
Quarta di copertina
“Il razzismo è come la violenza o la menzogna.
Si può forse immaginare una società in cui non ci sia alcuna forma di violenza
e nessuno menta? Sarebbe una società ideale. Non esiste. Sapendo questo,
dobbiamo prepararci a smontare i meccanismi e le menzogne sui quali il razzismo si fonda.” Nella prima
edizione di questo fortunato volume (1998), che ha venduto oltre 300.000 copie, un grande scrittore
spiegava alla sua bambina di dieci anni che cos’è il razzismo, come nasce, perché è un fenomeno così
tristemente diffuso, dando vita a un dialogo capace di trascendere i confini dell’occasione intima e
famigliare e porsi come lezione di vita per tutti i lettori. Sono passati ormai più di dieci anni dal libro di
allora, ma il problema del razzismo non ha fatto che aggravarsi. Da una parte l’inasprirsi del
terrorismo islamico ha rafforzato un clima di sospetto sempre più forte, dall’altra l’aumento
dell’immigrazione ha progressivamente cambiato il paesaggio europeo, rendendolo sempre più
multiculturale. In questo nuovo contesto, il razzismo si è banalizzato: non fa più scandalo. Questo è il
fattore più grave che Ben Jelloun vede nei razzismi degli ultimi anni – e l’Italia non ne è esente, anzi.
Sono numerosissimi gli episodi di questo tipo che l’autore ricorda e commenta. Rivolgendosi con questa
nuova edizione anche agli adulti che educano i nostri figli, Ben Jelloun li invita dunque a stare all’erta: la
convivenza si impara, è un fatto di educazione, e se gli adulti dei prossimi anni non apprenderanno oggi,
da bambini, questa lezione, la vita sarà molto difficile per tutti. Perché il multiculturalismo non è più una
possibilità. È una realtà che nessuno potrà più cambiare.