UNIVERSITA’ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO Facoltà di Psicologia Corso di Laurea in Discipline Psicosociali ELABORATO FINALE in Psicotecnlogie e processi formativi Titolo: Dipendenze da Tecnologie e da Personal Device Relatore: Prof.ssa Maria Amata Garito Tutor: Dott. Alessandro Caforio Candidato: Roberto Puttini Matr. 1862HHHCLDIPSI Anno accademico 2015/2016 Ringrazio i miei genitori che mi hanno sostenuto lungo tutto il tragitto e mi hanno dato la spinta per andare avanti. I Introduzione……………………………………………………………………………..3 Cap. 1 - Epidemiologia e teorie dell'uso di internet……………………………………..5 1. Dati Istat sull'uso di internet……………………………………………..5 2. Teorie psicologiche sul web 2.0………………………………………….6 1. Psicotecnologie………………………………………………………7 2. Aspetti attrattivi della rete…….……………………………………..8 3. Uso patologico di internet……………………………………………9 4. Modello ACE: Accessibilità, Controllo, Eccitazione………………10 5. Altri modelli cognitivo-comportamentali…………………………..11 6. Trance dissociativa da video-terminale…………………………….12 7. Psicopatologia web-mediata………………………………………..13 Cap. 2 - Dipendenze da psicotecnologie……………………………………………….16 1. Le nuove dipendenze comportamentali……………………………..….16 2. Internet addiction……………………………………………………….17 3. Cybersex addiction……………………………………………………..21 4. Online compulsive gambling…………………………………………...24 5. Online shopping addiction……………………………………………...26 6. Information overload addiction ………………………………………..27 7. Terapie e interventi di prevenzione……………………………………..29 Cap.3 - Conseguenze dell'utilizzo dei personal device………………………………...33 1. Impatto dell'utilizzo dei personal device sulla vita quotidiana…............33 2. Dipendenza da telefonino………………………………………………37 3. Dipendenza da videogiochi ……………………………………………42 Conclusione…………………………………………………………………………….45 Bibliografia………………………………………………………………………….…46 2 Introduzione Circa il 40% della società mondiale è in rete (Kuss et al., 2014). Alla luce del crescente uso di internet, si è resa necessaria la comprensione delle dinamiche psicosociologiche e delle conseguenze nell'uso delle tecnologie. In generale, il lavoro di tesi intende indagare i contributi teorici circa l'uso del web e i fenomeni legati all'uso patologico dei nuovi media, sia nell'età dello sviluppo che nell'età adulta. Il lavoro si struttura in tre sezioni. La prima sezione descrive i dati epidemiologici e le spiegazioni teoriche dell’uso di internet. Per quanto riguarda l’epidemiologia dell’uso del web, ci si è avvalsi dei dati provenienti da ricerche ISTAT (Cittadini e Nuove Tecnologie, 2014), da cui emerge un’importante gap generazionale tra gli utenti, che, come descritto nelle sezioni successive della tesi, spiega i differenti correlati comportamentali e motivazionali legati all’uso del web. Per quanto riguarda la sezione sulle teorie psicologiche contemporanee (e.g., Anderson e Rainie, 2012; Cantelmi e Talli, 2007; Martucci, 2011), sono stati considerati gli aspetti neurobiologici, cognitivi (Cantelmi e Talli, 2007; Davis, 2001; Young, 2000) e compulsivi (Cagnoni e Nardone, 2002) dell'uso delle nuove tecnologie. La seconda parte approfondisce la definizione di alcuni concetti chiave (Psicotecnologie, Uso patologico di internet), individuando gli aspetti attrattivi della rete e i rischi psicopatologici del suo utilizzo (Psicopatologia webmediata), descrivendo i modelli cognitivo-comportamentali e psicodinamici di spiegazione dell’uso del web. La seconda sezione approfondisce le principali forme di uso patologico di internet (e.g., Kuss e Lopez-Fernandez, 2016) e le dipendenze da tecnologie, che con la quinta edizione del DSM (APA, 2013) sono formalmente riconosciute come forme di dipendenza senza sostanza. Si approfondiscono quindi le aree di sovrapposizione sintomatologica tra le dipendenze da sostanze e le dipendenze comportamentali, sottolineando i fenomeni comuni ad entrambe (tolleranza, astinenza, conflitto e ricaduta; Griffiths, 1998). Il contributo, nello specifico, considera l'internet addiction disorder (Goldberg, 1995), il cybersex addiction disorder (Delmonico e Griffin, 2010), il compulsive gambling online (e.g., Haefeli et al., 2011), il compulsive online shopping 3 (e.g., Rose e Dhandayudham, 2014) e l'information overload addiction (Misra e Stokols, 2011). Inoltre, sono state prese in considerazione le principali forme di intervento e prevenzione all'uso patologico di internet, con specifico riferimento agli interventi cognitivo-comportamentali (Davis, 2001). Infine, la terza sezione approfondisce alcuni fenomeni legati all'utilizzo quotidiano dei personal device. Si analizza, nello specifico, quale impatto psicologico abbiano i personal device sulla vita psicologica quotidiana, e quale ruolo abbiano gli smartphone, con le relative applicazioni e funzioni. In riferimento alle conseguenze psicopatologiche, si considerano la dipendenza da telefonino (e.g., Goswami et al., 2015; Ruorong, 2014) e la dipendenza da videogiochi on- e off-line, mediata dall’uso dei telefoni cellulari (e.g., Kaptsis et al., 2016; Kiràly et al., 2014; Kuss e Griffiths, 2012). 4 Capitolo 1 Epidemiologia e teorie dell'uso di internet 1. Dati Istat sull'uso di internet Lo studio ISTAT “Cittadini e Nuove Tecnologie” (2014) mostra che l'uso di internet nelle famiglie italiane è aumentato di circa il 4% rispetto al 2013: nello specifico, il 64% delle famiglie possiede una connessione a internet. Come immaginabile, le famiglie tecnologicamente più equipaggiate sono quelle in cui almeno uno dei membri ha meno di 18 anni (circa il 90% possiede un pc con accesso a internet) e quelle meno equipaggiate sono quelle di soli membri sopra i 65 anni (solo il 16% dispone di una connessione internet). Per quanto riguarda le famiglie con figli minorenni, oltre la metà dei membri familiari con almeno 3 anni di età (54.7%) usa il pc, e più della metà dei membri di almeno 6 anni (57.3%) ha accesso a Internet. Malgrado le percentuali di uso molto alte, oltre la metà delle famiglie italiane dichiara di non usare Internet perchè non sa farlo (55.1%). Considerando le skills tecnologiche, poco più del 80% degli intervistati dichiara di saper effettuare semplici operazioni di copiatura o rimozione di file, cartelle, o parti di documento e solo il 67% circa è in grado di spostare file da un dispositivo tecnologico all'altro. Le percentuali si abbassano quando si considerano capacità più complesse, come connettere e installare periferiche (57.3%), applicare formule aritmetiche in un foglio di calcolo (52.2%), comprimere un file (49.2%) e preparare presentazioni con software specifici (37.4%). Per quanto riguarda le skills tecnologiche specifiche per l'uso di internet le percentuali salgono sensibilmente: il 95.6% degli italiani sa usare un motore di ricerca e poco più circa il 82% usa e-mail e allegati. Oltre la metà degli intervistati è in grado di usare chat e forum di discussione (60.5%) e scaricare file da siti (55%). Le percentuali scendono in caso di abilità più complesse, come telefonare via internet (48.8%), caricare file su siti (45%), usare sistemi peer to peer per scambiare file (17.8%) e creare una 5 pagina web (14.3%). In generale, gli uomini e gli utenti web tra i 15 e i 24 anni sono le categorie più skilled. L'uso di internet nei minori di 18 anni sembra essere fortemente influenzato dall'uso che i genitori fanno del web, soprattutto quando i figli hanno tra 6 e i 14 anni. Nelle famiglie in cui i genitori non usano internet, il 80% dei bambini tra i 6 e i 10 anni e il 40% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni non usano internet. Al contrario, se entrambi i genitori usano il web, le percentuali di bambini che non usano internet scendono al 40.4% per i bambini tra i 6 e i 10 anni e al 6.7% per i ragazzi tra gli 11 e i 14. Come immaginabile, Internet risulta essere uno strumento fondamentale per l'interazione e la comunicazione: 8 utenti su 10 usano il web per comunicare tramite mail, chat, social network o telefonate online. Complessivamente, il quadro che emerge dai dati ISTAT mostra la presenza di gap generazionali e di genere, nel primo caso in riferimento sia al possesso/accesso alle nuove tecnologie che alle abilità, nel secondo caso soprattutto in riferimento alle abilità tecnologiche avanzate. 2. Teorie psicologiche sul web 2.0 La diffusione delle reti telematiche ha influenzato profondamente gli stili di vita, i modi di comunicare e di percepire le relazioni interpersonali. Internet e le tecnologie ad esso correlate hanno conseguenze sia positive (in termini di risorse e opportunità) che negative (in termini di rischi e problematiche) per la vita psichica. Ad esempio, sebbene gli utenti abbiano la possibilità di accedere a un'enorme quantità di informazioni su persone, organizzazioni e attività con estrema velocità e facilità, e di prendere parte ai network sociali e professionali su cui ottengono informazioni altrettanto facilmente, seguire molte attività, interagire con molte persone, e accumulare molte informazioni aumenta il carico psicologico e comportamentale giornaliero (Misra & Stokols, 2012). Ancora, le nuove tecnologie estendono lo spazio sociale attraverso uno spazio virtuale, che abbatte il concetto di distanza, le regole con cui solitamente si gestiscono la vicinanza e la lontananza relazionale e si comunica con gli altri (Tonioni, 2013). Il sistema tecnologico attuale, infatti, sta assumendo le caratteristiche di un vero e proprio 6 “posto nel mondo” (Tonioni, 2013, p.68), in cui poter entrare, parzialmente privi della propria dimensione fisica, e vivere come se si fosse in uno spazio reale, alle spese delle potenzialità comunicative della sensorialità. Oltre alla dimensione spaziale, anche quella temporale risulta modificata attraverso l'uso delle tecnologie. Il tempo speso online è insieme lineare e circolare: nel primo caso ci si riferisce al tempo speso su Internet per cercare informazioni e svolgere altre attività che implichino l'uso della coscienza e del pensiero logico; nel secondo caso ci si riferisce al tempo speso per le relazioni e le emozioni, come chattare, usare social network o ascoltare una canzone, vale a dire per tutte le attività che non richiedono concentrazione, ma, piuttosto, assorbono, dissociano, fanno perdere il senso del tempo (Tonioni, 2013). Ecco che Internet modifica i tempi di apprendimento, di fruizione dei contenuti, di esecuzione di alcune operazioni (si pensi all'home banking e al multitasking), e abbrevia i tempi della comunicazione, che diventa breve, essenziale, priva di introduzioni e descrizioni. Ognuno di questi cambiamenti ha generato enormi vantaggi per la vita personale, scolastica e lavorativa. Malgrado ciò, l'onnipresenza del web nella quotidianità e la conseguente possibilità di essere sempre online a “fare qualcosa” hanno ridotto drasticamente il tempo del riposo, della noia, del relax, in cui poter esercitare il pensiero insaturo, creativo e generatore di senso (Tonioni, 2013). 2.1 Psicotecnologie L'insieme delle tecnologie contemporanee, dalla televisione alla realtà virtuale, hanno qualità “psicologiche”, nel senso che fungono da estensori delle capacità cognitive umane (pensiero, linguaggio, comunicazione, intelligenza; La Barbera & Cannizzaro, 2008): sono definibili, per questo motivo, psicotecnologie (De Kerckhove, 1995). Proprio in virtù di questa dimensione “psicologica”, vivere lo spazio virtuale richiede la costruzione di un'identità digitale, che, in casi estremi, può diventare una vera e propria personalità alternativa, e affatto virtuale. Lo scopo dell'identità virtuale è la personalizzazione del cyberspazio, che dovrebbe avvenire in virtù delle appartenenze, le preferenze, le peculiarità della propria vita offline. Quando all'identità digitale subentra la personalità alternativa, si “sposta” anche il senso di appartenenza, dalla 7 comunità reale (il proprio contesto sociale offline) a quella virtuale (Tonioni, 2013). Il modo con cui si interagisce, ci si emoziona e si comunica online, per quanto mediato da un'interfaccia virtuale, rimane molto simile alle interazioni, alle emozioni e alle comunicazioni offline. Nardone e Cagnoni (2002) invitano a considerare il senso di delusione per un mancato appuntamento dal vivo o per una mancata chat già fissata: l'emozione e le sensazioni ad essa correlate non sono diverse a seconda del contesto in cui sarebbe dovuto avvenire l'incontro mancato. A partire da questa “veridicità” dell'esperienza emotiva e relazionale online, è importante fare una considerazione circa le conseguenze relazionali sperimentabili sul web. La relazione online è spesso appagante, o persino più appagante, della relazione nella vita quotidiana, soprattutto quando l'utente ha difficoltà emotive e/o relazionali (e.g., Lee, 2009). Del resto, è evidente il rischio che l'interazione online possa sostituire del tutto l'incontro con l'altro nel mondo reale. Ciò è particolarmente vero per i cosiddetti “nativi digitali”, che in Italia corrispondono ai ragazzi nati alla fine degli anni '90 e che si caratterizzano per essere totalmente immersi nella realtà virtuale, fino a considerarla un'estensione della propria sfera sociale (Ferri, 2011). 2.2 Aspetti attrattivi della rete Malgrado le generazioni più giovani siano più facilmente predisposte all'uso del web, poiché sono a stretto contatto con le nuove tecnologie già dalle primissime fasi dello sviluppo, tutti gli utenti possono essere “affascinati” dalla rete. Nardone e Cagnoni (2002) individuano alcune motivazioni dell'attrattiva esercitata dal web anche su utenti alle prime armi: è estremamente socializzante: una delle operazioni più semplici nel mondo virtuale è entrare in contatto con gli altri, in modo diverso dal solito; la comunicazione online è informale e non presenta le caratteristiche che di solito inibiscono le persone nell'interazione faccia a faccia; il controllo delle impressioni dell'altro è facilitata dall'anonimato, dalle diverse modalità di presentazione di sé messe a disposizione dalla rete e dalle conseguenti idealizzazioni; 8 la possibilità di osservare l'altro, senza interagire, ma diventando testimoni delle idee, sentimenti e interazioni degli altri utenti. Ad oggi, il dibattito psicologico circa la pericolosità o meno dell'uso di Internet a fini comunicativi e sociali è ancora aperto. Secondo la teoria del disimpegno (Henderson, Zimbardo e Graham, 2002), Internet facilita la comunicazione, ma alle spese del coinvolgimento nelle relazioni quotidiane. Al contrario, secondo la teoria della stimolazione (Valkenburg e Peter, 2007) costituisce una risorsa di arricchimento sociorelazionale. L'arricchimento può essere duplice: secondo l'ipotesi rich-get-richer, gli strumenti di comunicazione messi a disposizione dal web incrementano le competenze sociali degli utenti che hanno già alti livelli di funzionamento sociale; secondo l'ipotesi della social compensation, gli stessi strumenti virtuali possono aiutare soggetti con scarse risorse sociali a migliorare il proprio adattamento. 2.3 Uso patologico di Internet È evidente che la ricerca circa gli effetti dell'uso di Internet sul funzionamento e sull'adattamento psicologico richieda ulteriori approfondimenti, che differenzino le conseguenze del web a seconda delle caratteristiche demografiche, personali e culturali degli utenti. Malgrado ciò, la letteratura è concorde nel differenziare l'uso sano dall'uso patologico di Internet (Davis, 2001). Secondo Davis (2001), l'utilizzo sano di Internet prevede l'impiego del web per scopi definiti, perseguiti in un lasso di tempo ragionevole considerate le condizioni dell'utente, e il riconoscimento da parte dell'utente della differenza tra la comunicazione reale e quella mediata da pc, senza che egli assuma una personalità o un'identità diversa. L'utilizzo patologico (Pathological Internet Use, PIU), invece, può essere generalizzato o specifico. L'utilizzo generalizzato riguarda un sovrautilizzo del web ed è associato alla perdita di tempo online, senza un obiettivo preciso. È una forma disfunzionale spesso associata al contesto sociale dell'individuo, caratterizzato da isolamento o assenza di supporto. L'uso patologico specifico è invece tipico di coloro che sviluppano comportamenti disfunzionali nei confronti di specifiche funzioni e attività online (ad es., gioco d'azzardo, shopping, informazioni, ecc.): secondo Davis (2001) queste forme di 9 dipendenza sono specifiche per il contenuto, e non per la modalità con cui viene perseguito l'oggetto, perciò esisterebbero a prescindere dall'uso del web. Come sarà descritto in seguito (si veda il capitolo 2), il DSM 5 (2013) evidenzia, invece, la specificità dell'uso patologico di Internet, anche in riferimento ad attività particolari, pur non considerandolo una diagnosi vera e propria. Il contributo teorico di Davis (2001) è la prima teoria cognitivo-comportamentale sull'uso disfunzionale del web. Secondo l'autore infatti il PIU è dovuto alla presenza di pensieri disfunzionali automatici, del tipo 'Vado bene solo su Internet' o 'L'unico posto in cui mi rispettano è Internet'. In generale, si tratta di pensieri distorti e generalizzati, in cui si attribuiscono caratteristiche positive al web e negative a se stessi. Dal punto di vista formale, i pensieri automatici sono di tre tipi (Beck, 1967; Davis, 2001): generalizzazioni (un pensiero relativo all'esito negativo di un evento specifico è generalizzato come legge universale), catastrofizzazioni (convinzione che ogni azione, evento o situazione personali avrà esito negativo e totalizzante), tutto-o-nulla (pensiero dicotomico). A queste cause prossimali, se ne aggiungono almeno due distali: la psicopatologia pregressa e l'uso stesso di Internet, o di specifiche tecnologie reperibili online, che fungono da catalizzatori (Davis, 2001). 2.4 Modello ACE: Accessibilità, Controllo, Eccitazione Alcuni anni prima della pubblicazione del modello di Davis (2001), la Young (1998a) proponeva un modello dei fattori facilitanti l'uso patologico di Internet, il modello ACE: Accessibility, Control, Excitement. Il fattore Accessibilità si riferisce alla facilità di accesso ai servizi e alle funzioni di Internet, in modo da gratificare in tempi molto brevi diversi tipi di bisogni; il fattore Controllo si riferisce alla percezione di avere molto controllo su ciò che accade e ciò che si può realizzare mediante le attività online; il fattore Eccitazione si riferisce alla grande quantità di stimoli e di emozioni messi a disposizione sul web, che aumentano i livelli di coinvolgimento cognitivo ed emotivo dell'utente. Il modello della Young è stato successivamente applicato anche a 10 componenti più specifiche dell'uso patologico del web, come il cybersesso (Young, Griffin-Shelley, Cooper, O'mara, Buchanan, 2000). In generale, l'autrice (Young, 1998b) sostiene che il fattore discriminante tra l'uso sano e l'uso patologico del web non siano tanto la durata e le finalità della connessione, come affermato da Davis (2001), quanto le conseguenze a livello del funzionamento personale, sociale e lavorativo dell'utente. Chi utilizza Internet in modo eccessivo e disfunzionale subisce problemi di diverso tipo: relazionale, in termini di riduzione del tempo dedicato ai propri cari, alle mansioni familiari, alla sostituzione delle relazioni offline con quelle online; lavorativo/scolastico, in termini di bassa attenzione e bassa performance nei contesti lavorativi e rispetto agli impegni scolastici; rispetto alla salute, in termini di problemi fisici (alterazione del ciclo sonno-veglia, irregolarità dei pasti, mal di schiena, problemi agli occhi, alle articolazioni delle mani e mal di testa); e finanziari, quando le attività perseguite dall'utente prevedano l'uso di risorse monetarie, come acquisto di contenuti, gioco d'azzardo o shopping e aste online. 2.5 Altri modelli cognitivo-comportamentali Un altro modello cognitivo-comportamentale più recente è il modello di Douglas e colleghi (Douglas, Mills, Niang, Stepchenkova, Byun, Ruffini et al., 2008), secondo cui è possibile isolare tre tipi di fattori interagenti che determinano l'uso patologico di Internet: antecedenti, che comprendono aspetti legati al web (vivere in un ambiente ricco di interfacce che consentono l'accesso al web, essere utenti esperti) e alla vita personale (non sentirsi compresi o integrati nel contesto sociale di riferimento, avere poca stima di sé); motivazionali (definiti push factors), che riguardano la sensazione di rilassamento e riduzione dello stress associata all'uso del web); di attrazione (definiti pull factors), che riguardano il facile accesso ad attività attrattive ed eccitanti, a informazioni e a interazioni sociali una volta in rete. Secondo gli autori gli antecedenti e le caratteristiche personali che predispongono alla psicopatologia influenzano i fattori 11 motivazionali, che a loro volta sono legati agli effetti negativi dell'uso patologico del web. I fattori di attrazione interverrebbero invece sulla relazione tra gli aspetti motivazionali e le conseguenze negative. 2.6 Trance dissociativa da videoterminale In generale, i modelli cognitivi e comportamentali dell'uso patologico del web individuano nella dipendenza (della quale si tratterà estensivamente nel cap. 2) l'esito più frequente della disfunzione. A questa visione se ne può affiancare un'altra, di natura più psicodinamica, secondo cui una possibile conseguenza psicopatologica dell'uso del web è la Trance dissociativa da videoterminale (Caretti, 2000; 2001). Secondo Caretti (2000; 2001) l'uso eccessivo delle nuove tecnologie può portare a una forma di dissociazione, con relativa alterazione dello stato di coscienza, depersonalizzazione e perdita del senso di sé. L'esperienza vissuta dal soggetto online sarebbe quindi simile al sogno, ed è assimilabile all'esperienza onirica proprio per la perdita del controllo sulle attività, sullo scorrere del tempo e delle situazioni esterne alla realtà virtuale, e su di sé. Ovviamente, pur essendo proposta come una diagnosi a sé stante, la trance involontaria prodotta dall'uso di strumenti tecnologici è associata alla dipendenza o comunque all'uso eccessivo e patologico di Internet (Cantelmi & Grifo, 2002). Cantelmi e Grifo (2002) propongono un modello che integra le due diagnosi, descrivendo gli esiti patologici dell'uso eccessivo di Internet secondo tre livelli evolutivi: la dipendenza, la regressione e la dissociazione. Il livello di dipendenza è caratterizzato da: ipercoinvolgimento ritualistico con il pc e le applicazioni/funzioni; relazione ossessivo-compulsiva con la realtà virtuale; tendenza a “sognare ad occhi aperti” in risposta a situazioni e relazioni appartenenti al mondo offline; vergogna (consapevole o meno) come emozione prevalente rispetto all'idea di sé; tendenze fobiche rispetto alla vita sociale. Il livello di regressione è caratterizzato dalla tendenza al ritiro come meccanismo di difesa: il soggetto in questo stadio evolutivo, infatti, presenta ritiro fantastico nel mondo online, sia rispetto alle relazioni sociali, attraverso la costruzione di relazioni immaginarie, che compensano un mondo oggettuale povero, sia rispetto ad eventi stressanti nella vita quotidiana. Infine, il livello dissociativo è caratterizzato da labilità dei confini dell'Io, 12 dispersione del Sè, e diffusione dell'identità, con conseguente depersonalizzazione, la quale, a seconda del livello di gravità, può andare da un senso di estraniamento e distacco egodistonico a una vera e propria perdita del contatto con se stessi. 2.7 Psicopatologia web-mediata Più recentemente, Tonioni (2013) ha ripreso il tema della dissociazione in relazione all'uso patologico di Internet, presentando i meccanismi dissociativi come il ponte nel gap generazionale degli utenti del web. Come descritto dalle indagini ISTAT (si veda il par. 1.1.), bambini, adolescenti e adulti utilizzano internet in misura diversa e con diverse finalità. Malgrado questo, Tonioni (2013) sottolinea come entrambi tendano a distaccarsi dalla realtà e perdere il senso del tempo in seguito a prolungate ore di connessione. Uno dei principali vantaggi del lavoro dell'autore è l'aver individuato una serie di associazioni tra la dissociazione dovuta alle tecnologie e la cosiddetta “psicopatologia web-mediata” (Tonioni, 2013, p. 141), ovvero l'insieme delle alterazioni cognitive manifestate dagli utenti in seguito all'uso eccessivo del web. Alcuni studi (ad es., Small, Moody, Siddarth, & Bookheimer, 2009) hanno mostrato che l'uso delle nuove tecnologie aumenta l'attività neurale di alcune aree della corteccia correlate ai processi decisionali e al ragionamento. In generale, qualsiasi tipo di strumento usato per analizzare, creare e manipolare le informazioni interagisce con i circuiti neurali, in virtù della neuroplasticità cerebrale, vale a dire la capacità del cervello di modificare connessioni, circuiti e livelli di attività a seconda dei processi di adattamento all'ambiente che mettiamo in atto quotidianamente (Carr, 2011). Ad oggi, la ricerca ha individuato cinque funzioni psicologiche le cui attività sono influenzate dall'uso delle nuove tecnologie: percezione, attenzione, memoria, pensiero e istintualità. Per quanto riguarda la percezione, è evidente che il web costituisca una continua fonte di stimolazione sensoriale, soprattutto dal punto di vista visivo e uditivo, a scapito dei sistemi sensoriali chimici (gusto e olfatto) e del tatto. In particolare, l'uso di videogiochi online sembrerebbe aumentare la percezione visiva e le relative capacità attentive (Green e Bavelier, 2003; 2006), sviluppando nei bambini e negli adolescenti abilità di elaborazione visiva tipiche dell'età adulta (Dye, Green e Bavelier, 2009). E' necessario, 13 però, tener conto che tutti gli studi sono basati su compiti percettivi al pc: i giocatori mostrano abilità maggiori in ambienti virtuali, ma non nella vita offline (Richardson, Powers & Bousquet, 2011). Per quanto riguarda l'attenzione, la struttura e le caratteristiche di Internet offrono molte occasioni di distrazione: ad esempio, nel leggere una pagina web non si crea la sensazione di assorbimento tipica della lettura di un libro, data dalla concentrazione continua, ma un assorbimento differente, dato dalla distrazione continua (Tonioni, 2013). La lettura, infatti, è più veloce e ha un andamento “saltatorio” (Tapscott, 2008), con un tipico schema di lettura F, in cui le persone leggono le prime due-tre righe di testo per intero, e poi prestano attenzione solo alla parte sinistra dello schermo, scegliendo le righe da leggere in modo causale (Tonioni, 2013). Gli effetti dell'uso del web sull'attenzione interessano anche le abilità di multitasking, cioè la capacità di dividere le risorse attentive tra compiti digitali contemporanei. È stato dimostrato che il multitasking aumenta con l'aumentare dell'uso delle nuove tecnologie, benché a spese dell'efficacia dell'apprendimento e delle effettive capacità di concentrazione (Ophir, Nass e Wagner, 2009). Per quanto riguarda la memoria, è stato dimostrato che il web riduce le capacità di memoria a lungo termine, ostacolando la formazione dei ricordi, e grava, invece, sulla memoria di lavoro (Carr, 2011). Anche le attività di pensiero e ragionamento sono fortemente influenzate dalle attività sul web. L'uso delle nuove tecnologie interrompe il pensiero lineare (la capacità di proseguire da un'argomentazione all'altra secondo una sequenza logica), riduce il pensiero inconscio (ovvero l'elaborazione non volontaria delle informazioni) e il pensiero critico, riduce le possibilità immaginative, fornendo contenuti già predeterminati e aumenta il pensiero paranoide in soggetti già predisposti a interpretazioni non realistiche della relazione con l'altro (Bos, Dijksterhuis e Van Baaren, 2008; De Stefano e LeFevre, 2007; Tonioni, 2013). Infine, Internet influenza l'istintualità, fornendo a persone inibite nella vita offline uno spazio in cui mostrare più apertamente istinti aggressivi e sessuali, aumentando i livelli di disinibizione comportamentale e riducendo la capacità di percepire i propri bisogni interni (Wallace, 2000). Come riportato da Tonioni (2013), nel corso degli ultimi anni le denominazioni delle patologie legate all'uso eccessivo di internet sono state diverse: Internet addiction disorder (Goldberg, 1996), Internet Dependency (Scherer, 1997), Cyber addiction 14 (Orzack e Orzack, 1999), Uso compulsivo del computer (Black et al., 1999), Uso patologico di Internet (Davis, 2001), Uso problematico di internet (Caplan, 2003), Unregulated internet usage (LaRose, Lin e Eastin, 2003). Le diverse denominazioni dipendono fondamentalmente dalle diverse descrizioni del disturbo e dallo scarto tra i sintomi e le comorbilità riportate dai pazienti e il riconoscimento da parte della comunità scientifica di una denominazione comune, a partire dalla quale individuare un fenomeno psicologico e sociale in rapida espansione. La stessa Associazione Psichiatrica Americana (APA) non ha inserito una diagnosi ufficiale nella quinta edizione del DSM 5 (Diagnostic Statistics Manual of Mental Disorders; APA, 2013), pur considerando l'impatto di Internet sulla vita quotidiana e le potenziali conseguenze psicopatologiche. La diagnosi di Dipendenza da Internet è in qualche modo considerata nella Sezione III del DSM 5 sotto la denominazione “Internet Gaming Disorders” (Dipendenza da giochi in rete), in quanto si ritiene che la maggior parte della letteratura attuale stia enucleando un gruppo di sintomi prevalentemente riferiti al gioco online e tipici della popolazione di giovani adulti asiatici (APA, 2013). La Sezione III del Manuale contiene una serie di proposte diagnostiche, rispetto alla quali si incoraggia la comunità scientifica a proseguire con le ricerche e la definizione della sintomatologia, in modo da definire più chiaramente se sia possibile formulare una vera e propria diagnosi. Malgrado l'assenza di una definizione univoca e di una serie di criteri diagnostici universalmente riconosciuti, la dipendenza da Internet e gli altri quadri patologici ad essa correlabili, almeno da un punto di vista fenomenologico, rimangono un fenomeno psicosociale di estrema rilevanza. Per questo motivo, il capitolo successivo approfondisce le caratteristiche della dipendenza da Internet e dei fenomeni associati, gli aspetti in comune con la dipendenza da sostanze e le possibili forme di intervento ad oggi individuate dalla comunità scientifica. 15 Capitolo 2 Dipendenze da psicotecnologie 2.1. Le nuove dipendenze comportamentali Definire il confine tra un comportamento normale e uno che indica dipendenza comportamentale non è sempre semplice (Cantelmi, Lambiase, 2010), malgrado ciò, è possibile individuare alcuni aspetti in comune tra la dipendenza comportamentale e la dipendenza da sostanze, che consentono di individuare le forme di comportamento patologico con maggiore precisione. Secondo Cantelmi e Lambiase (2010) sono cinque le caratteristiche distintive del comportamento di dipendenza: fantasie ossessive circa il comportamento dipendente, fallimento nel tentativo di controllare i comportamenti dipendenti, ricerca reiterata e ricorsiva dei comportamenti dipendenti nonostante le conseguenze negative, conseguenze negative collegate ai comportamenti dipendenti, craving. È interessante notare come queste caratteristiche siano identiche ai criteri per diagnosticare le dipendenze da sostanze nel DSM-5 (APA, 2013). Oltre queste caratteristiche, gli autori ne individuano altre, che non devono necessariamente essere presenti ai fini della diagnosi di dipendenza, ma sono spesso associate alle dipendenze comportamentali, e forniscono molte informazioni circa la gravità del comportamento: la centralità (l'importanza eccessiva attribuita dal soggetto al comportamento dipendente); la pervasività (la presenza del comportamento dipendente in tutti gli ambiti di vita del soggetto); la presenza di comportamenti autodistruttivi o rischiosi; la dipendenza fisica (presenza di sintomi di astinenza o di tolleranza); la segretezza (spesso i propri comportamenti dipendenti sono tenuti nascosti, per evitare il giudizio o l'intervento degli altri); la negazione delle conseguenze negative dovute al comportamento dipendente; la contraddizione dei propri principi e dei propri valori in funzione del raggiungimento del comportamento dipendente. Considerata la pervasività dell'utilizzo delle nuove tecnologie nella vita quotidiana, l'uso stesso di Internet, ma anche alcune specifiche attività effettuabili online, assumono spesso le caratteristiche di dipendenza descritte da Cantelmi e Lambiase, come 16 affermato da Griffith, che nel 1997 riconduce alcune caratteristiche delle dipendenze tecnologiche all'insieme dei sintomi tipici delle dipendenze comportamentali: pervasività, alterazioni del tono dell’umore legati all'uso delle tecnologie, tolleranza, astinenza, conflitto con le persone care a causa della dipendenza da tecnologie, tendenza a ricominciare l'attività dopo averla interrotta. Nell'ambito delle dipendenze tecnologiche, la dipendenza da internet e da alcune delle attività ad esso correlato hanno ricevuto particolare attenzione in ambito psicologico. 2.2. Internet addiction Il primo autore ad occuparsi della dipendenza comportamentale in relazione a Internet (Internet Addiction Disorder, IAD) fu Goldberg (1995), il quale individuò alcuni sintomi specifici della dipendenza: Bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione; Marcata riduzione d’interesse per altre attività che non siano Internet (centralità); Sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso di Internet, di sintomi d'astinenza, come agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade online; Necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale (tolleranza); Impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet; Dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate al web; Continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici provocati dal web. Malgrado la definizione di comportamenti e sintomi specifici operata da Goldberg risalga ormai a 20 anni fa, il dibattito intorno all'effettiva natura della dipendenza da Internet è ancora aperto. Secondo alcuni autori parlare di disturbo da dipendenza da internet, o comunque di conseguenze negative e patologiche legate 17 all'uso del web è pericoloso dal punto di vista sociale, oltre che confusionale ai fini della diagnosi. Anche per la dipendenza da internet, infatti, c'è una difficoltà di distinzione tra l'uso normale, l'uso eccessivo e la dipendenza dal comportamento d'uso del web (La Barbera, Cannizzaro, 2008). Secondo altri autori, le conseguenze negative dovute all'uso di Internet sono reali e misurabili. Ad esempio, Brenner, ritiene che conseguenze come l'incapacità di gestire il proprio tempo, la perdita del ritmo sonno-veglia e l'alterazione dello stimolo della fame siano delle conseguenze fisiologiche di un uso eccessivo del PC; la Young (1996), invece, confrontando soggetti dipendenti e non dipendenti da Internet rispetto alle conseguenze dell'uso del web, ha sottolineato che chi non è dipendente dalla rete non riporta conseguenze negative o alterazioni della vita quotidiana, sotto alcun punto di vista, mentre chi usa il web in modo dipendente presenta alterazioni nei comportamenti, nella socialità, nella capacità cognitive. Un aspetto che, infatti, secondo la Young distingue in modo molto chiaro chi usa eccessivamente internet da chi è dipendente dalla rete sono proprio le conseguenze: secondo la Young non è possibile utilizzare il criteri dell'eccessivo tempo speso online come caratteristica principale della dipendenza dal web, in quanto non tutte le persone che usano eccessivamente internet riportano conseguenze negative. Queste conseguenze sono state classificate dalla Young in quattro categorie: 1) l'ambito relazionale e familiare (diminuizione del tempo da dedicare alle persone significative; allontanamento dalla vita relazionale offline; trascuratezza nelle amicizie e nei rapporti familiari; problemi coniugali, spesso dovuti all'instaurarsi di relazioni online); 2) l'ambito lavorativo e scolastico (poca attenzione a questioni lavorative e scolastiche; eccessiva stanchezza dovuta ai collegamenti notturni e quindi alle ridotte ore di sonno; basso rendimento); 3) l'ambito della salute (disturbi del sonno, irregolarità dei pasti, scarsa cura del corpo, mal di schiena, stanchezza agli occhi, mal di testa, sindrome del Tunnel Carpale); 4) l'ambito finanziario (soprattutto in caso di online shopping addiction o gambling online, oppure dell'uso di siti che richiedono un accesso a pagamento). Tra gli autori che sostengono la possibilità di definire caratteristiche e criteri diagnostici della dipendenza da Internet, inoltre, Block (2008) definisce lo IAD come un disturbo compulsivo-impulsivo, e gli riconosce tutti gli aspetti individuati da Goldberg. 18 Anche la Young (1996) ha individuato, oltre alle conseguenze nella vita quotidiana del dipendente, alcuni aspetti che ne caratterizzano la condotta, e completano la descrizione effettuata da Goldberg. Secondo l'autrice, una persona dipendente da Internet dovrebbe presentare almeno quattro dei seguenti comportamenti o caratteristiche, nel corso dell'ultimo anno: Essere mentalmente assorbito da Internet Avvertire il bisogno di utilizzare Internet sempre più a lungo per sentirsi soddisfatto Essere incapace di controllare il proprio utilizzo della rete Sentirsi inquieto o irritabile mentre si tenta di ridurre o interrompere l'utilizzo di Internet Utilizzare Internet come mezzo per fuggire dai problemi o per alleviare il senso di abbandono, impotenza, colpa, ansia o depressione Mentire ai familiari o agli amici per nascondere il proprio grado di interesse per la rete Avere messo a repentaglio o aver rischiato di perdere una relazione significativa, il lavoro o opportunità di studio o di lavoro a causa di Internet Tornare in rete anche dopo aver speso grandi somme di denaro per i collegamenti Mettere in atto delle forme di ritiro dalla realtà sociale offline, con stati depressivi o ansiosi mentre si è a contatto con gli altri Rimanere collegati più a lungo di quanto si era programmato all'inizio. Lo studio delle conseguenze patologiche della dipendenza dal web ha portato anche all'individuazione di altri disturbi, spesso associati allo IAD, come conseguenze o antecedenti della dipendenza: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo da uso di sostanze, disturbi di personalità, quadri misti con intense componenti di ansia relazionale e condotte di evitamento sociale (La Barbera, 2001). In base alla presenza o all'assenza di distubi in compresenza con lo IAD, Cantelmi e colleghi (2000) distinguono due tipi di “retomani”, con e senza patologia pregressa. La differenza fondamentale sarebbe nel significato assunto dall'uso della rete: mentre nel caso di pazienti con altri disturbi che diventano dipendenti da Internet, il significato dell'uso di 19 internet dipende anche dall'altra patologia presentata, nel caso dei soggetti con sola dipendenza da Internet, sono le stesse caratteristiche di Internet a innescare la patologia, che, secondo gli autori, è legata soprattutto a una sensazione di onnipotenza data dalla mole di informazioni e attività che si possono condurre online. Oltre ai disturbi psicologici in comorbilità, sono state individuate caratteristiche di personalità tipiche del dipendente da Internet, come alta novelty seeking e alta sensation seeking (Cloninger, 1987), ovvero alti livelli di ricerca continua di situazioni nuove e di stimoli emotivi e sensoriali forti, associati a comportamenti rischiosi, finalizzati a superare sensazioni di vuoto e noia; forte senso di vuoto e solitudine; tratti ossessivo-compulsivi; tendenza al ritiro e all'inibizione sociale; difficoltà affettive, come instabilità emotiva e basso controllo delle emozioni; locus of control interno, ovvero convinzione di potersi “immergere” nella rete pur mantenendo un controllo totale su di essa (La Barbera, Cannizzaro, 2008). Altri aspetti, che non riguardano la personalità dell'utente web, ma piuttosto il suo contesto psicosociale, e sono associati al rischio di sviluppare IAD sono: alti livelli di informatizzazione (per via di percorsi di formazione o del lavoro svolto), lo svolgere lavori notturni o in luoghi geograficamente isolati, la presenza di situazioni ambientali sfavorevoli (ad es., burnout, solitudine, disoccupazione, problemi con il partner) (La Barbera, Cannizzaro, 2008). Molte delle caratteristiche descritte sono comuni alle dipendenze comportamentali derivanti dall'uso di Internet, ma specifiche per determinate attività o finalità. L'insieme di queste dipendente è stato definito da Cantelmi, Talli, Del Miglio e D'Andrea (2000) Internet Related Psychopathology (IRP), e comprende: Cybersex Addiction Online Compulsive Gambling Online Shopping Addiction Information Overload Addiction I paragrafi successivi descriveranno nello specifico le caratteristiche di queste quattro patologie derivanti dalla dipendenza dal web. 20 2.3. Cybersex addiction La spinta sessuale costituisce una pulsione fondamentale nella vita umana: l'associazione tra questa spinta e l'uso del web è spesso giustificata dalla facilità con cui, per alcune tipologie di persone, Internet fornisce occasioni di soddisfare e gratificare la pulsione stessa (Tonioni, 2013). La dipendenza da comportamenti sessuali online interessa le cosiddette Online Sexual Activities (Doring, 2009), ovvero l'insieme delle attività sessuali e delle relative applicazioni realizzate e fruite su Internet, come la ricerca di informazioni sul sesso e la sessualità (per fini preventivi, conoscitivi e/o educativi), la ricerca di partner sessuali, l'uso di materiale pornografico, l'acquisto di materiale erotico dai sexy shop. Nello specifico, la cybersex addiction interessa il cybersex, ovvero l'uso di Internet, da parte di due o più persone, al fine di ottenere piacere e/o gratificazione sessuale. Le modalità di scambio possono andare dallo scambio di mail, alla videochat, allo scambio di filmati. Rientra nella categoria del cybersesso anche il cyberporn, ovvero la fruizione solitaria di materiale sessuale online (Tonioni, 2013). Copper (e colleghi, 1999) hanno studiato le tipologie di utenti web interssati al cybersesso, individuandone tre: 1. i recreational user: sono gli utenti “ricreativi”, che ricercano e utilizzano questo tipo di materiale sono occasionalmente o per curiosità; 2. i sexual-compulsive user: sono gli utenti compulsivi, che non possono fare a meno di utilizzare il web in questo modo, e spesso presentano comportamenti sessuali patologici anche offline; 3. gli at-risk user: sono utenti che rischiano di diventare dipendenti dal cybersesso. Alcuni anni dopo, queste tre tipologie sono state ricondotte a 2 categorie più generiche (Carnes et al., 2001): 1. i ricreativi, caratterizzati dall’assenza di compulsioni e di problemi nel'area relazione e/o sessuale della vita offline; 2. i problematici, caratterizzati da uso compulsivo, e difficoltà relazionali e/o sessuali, manifestate prima dell'uso di Internet a fini sessuali, o in seguito ad esso. 21 Allo scopo di spiegare cosa spinga gli utenti web ad impegnarsi in attività sessuali online, la Young nel 2000 ha proposto un adeguamento del modello ACE alla dipendenza dal cybersesso. Mentre il modello originario spiegava la generica dipendenza dal web come dovuta all'Accessibilità al web stesso, al Controllo percepito dall'utente mentre naviga e all'Eccitazione data dall'attività online, il modello applicato al cybersex presenta tre nuovi fattori: 1. L’anonimato (Anonimity): è possibile ingaggiarsi in attività sessuali online usando un nickname, un avatar, o comunque senza mostrare il proprio volto – questo mantiene una certa segretezza del comportamento di dipendenza e aumenta la disinibizione; 2. La convenienza (Convenience): è possibile contattare diversi tipi di partner, o di svolgere online diversi tipi di attività sessuale, anche in contemporanea; 3. La fuga (Escape): attraverso la rete, è possibile fuggire dalla vita di tutti i giorni e dai suoi problemi o difficoltà, relazionali e non. Carnes e colleghi (2001) individuano altri due aspetti: l'isolamento e la fantasia. Secondo gli autori i due aspetti sono fortemente legati tra loro: stare lontani dal mondo offline, infatti, permette di mettere in atto qualsiasi tipo di fantasia, sia rispetto al presentarsi all'altro descrivendosi come si preferisce ( e quindi “fingendo” di essere qualcun altro anche con se stessi), sia rispetto all'attività sessuale in sé e per sé (pur non dovendo affrontare i rischi delle attività sessuali offline, come le malattie sessualmente trasmissibili o sensazioni di vergogna o inadeguatezza). Quando le attività sessuali praticate su internet diventano compulsive e sfuggono al controllo del soggetto, al punto di determinare conseguenze negative nella sua vita, si parla di dipendenza da cybersesso (Tonioni, 2013). Questa dipendenza può interessare il solo materiale pornografico online, fruito in solitudine (porno-dipendenza), o attività sessuali online, legate alla ricerca di relazioni virtuali (dipendenza da sesso online) (Ferree, 2003). Dal punto di vista psicologico, la distinzione tra la dipendenza solitaria e quella “condivisa” nella ricerca di una relazione online è fondamentale: mentre nel primo caso l'altro rimane solo nella fantasia, nel senso che può essere immaginato come si preferisce, nel secondo il contesto è interattivo, l'altro è effettivamente esistente 22 dall'altra parte dello schermo, e interagisce in qualche modo con l'utente, e con le sue fantasie. Inoltre, mentre nel primo caso la soddisfazione della pulsione sessuale è immediata, nel secondo richiede una forma di “mediazione” con l'altro, e quindi la gratificazione è differita. Ad oggi, non si ha a disposizione una lista di veri e propri criteri che descrivano la dipendenza da sesso online. Tonioni (2013) fornisce però una lista degli aspetti che ad oggi sembrano condivisi dalla maggior parte degli studi sulla cybersex addiction: l’incapacità di evitare il comportamento sessuale online nonostante si conoscano le conseguenze negative che ha sulla propria vita, a livello sociale (aumento dei problemi relazionali e dell'isolamento), scolastico e lavorativo (peggioramento delle prestazioni); il tempo che dedicato alle attività sessuali online, che solitamente cresce nel tempo, riducendo il coinvolgimento del soggetto nella vita offline; l’intensità dei comportamenti; il significato e il ruolo attribuiti al comportamento sessuale nella vita della persona (sia online che offline): spesso gli utenti dipendenti dal cybersesso tolgono importanza e tempo alle relazioni sessuali offline, con ripercussioni non solo sullo stato delle proprie relazioni sentimentali, ma anche sulla salute psicosessuale; l’eventuale presenza di disturbi preesistenti e concomitanti, quali disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo narcisistico di personalità, deficit dell’attenzione e dipendenza da alcol. Schwartz e Southern (2000) hanno riportato che spesso questi utenti hanno una storia di abuso sessuale. Un altro elemento fondamentale nella comprensione del comportamento di dipendenza dal cybersesso è il genere del dipendente: sono state descritte svariate differenze nel tipo di comportamento sessuale agito nel corso di cybersex addiction a seconda che l'utente sia uomo o donna. In generale, questo tipo di dipendenza è più comune nel sesso maschile, che sceglie più frequente il cyberporn rispetto al cybersex, diversamente dalle donne (Ferree, 2003; Tonioni, 2013). 23 2.4. Online compulsive gambling Nell'ultima edizione del DSM, la American Psychological Association (APA, 2013) ha riconosciuto il gambling online come unica dipendenza da comportamento online definita da criteri e caratteristiche chiari. Nello specifico, secondo il DSM 5 il disturbo da gioco su Internet è una modalità di eccessivo e prolungato gioco su Internet che risulta in un insieme di sintomi cognitivi e comportamentali, tra cui la progressiva perdita di controllo sul gioco, la tolleranza e i sintomi di astinenza analoghi ai sintomi presenti nei disturbi da uso di sostanze. Il gioco d'azzardo patologico indica generalmente una forma di dipendenza comportamentale, in cui il soggetto dovrebbe essere caratterizzato da almeno cinque dei dieci aspetti indicati dal DSM (APA, 2000): 1. È eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (per es. il soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per procurarsi denaro con cui giocare). 2. Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato. 3. Ha ripetutamente tentato di ridurre, controllare o interrompere il gioco d’azzardo, ma senza successo. 4. È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo. 5. Gioca d’azzardo per sfuggire problemi o per alleviare un umore disforico (per es. sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione). 6. Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite). 7. Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo. 8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo. 24 9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo. 10. Fa affidamento sugli altri per reperire il denaro per alleviare una situazione economica disperata causata dal gioco (una “operazione di salvataggio”). Il gioco d'azzardo patologico è associato ad altri disturbi, come il disturbo depressivo maggiore, quello bipolare, i disturbi di personalità, i disturbi d’ansia, i disturbi correlati a sostanze, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi da deficit dell’attenzione (Whelan et al., 2010), alessitimia (Toneatto et al., 2009) e ideazione suicidiaria o tentativo di suicidio (Balestrieri et al., 2007). A seconda delle motivazioni, dell'intensità e delle caratteristiche del gicoo d'azzardo, si possono distinguere quattro categorie di giocatori (Tonioni, 2013): 1. il giocatore sociale, che gioca per divertirsi o per rilassarsi, riesce a controllare la propria attività di gioco, e non ha conseguenze nella propria vita relazionale o scolastica/lavorativa a causa del gioco d'azzardo; 2. il giocatore problematico, che usa il gioco come mezzo attraverso cui raggiungere un certo stato di eccitazione, ed è pronto ad usare qualsiasi mezzo, anche illegale, pur di mettersi nelle condizioni di giocare 3. il giocatore patologico “leggero”, che presenta una malattia psichiatrica, di cui il gioco d'azzardo diventa un sintomo 4. il giocatore dipendente, che ha sviluppato una vera e propria dipendenza nei confronti del gioco, che a sua volta può presentarsi in comorbidità con altri disturbi. Nel gioco d’azzardo online tutte le caratteristiche descritte finora si combinano con altri aspetti, tipici del contesto online: si tratta perciò di una dipendenza da attività di gioco di vario tipo, disponibili a distanza, attraverso strumenti tecnologici. Anche nel caso del gambling online valgono le osservazioni fatte in precedenza a proposito di altre forme di dipendenza comportamentale online, circa la possibilità di evasione dai problemi e dalle difficoltà quotidiane, l'assenza di relazione nel corso delle attività online, l'ingente dispendio di tempo passato online a giocare (Tonioni, 2013). 25 Diversamente rispetto al gioco d'azzardo offline, quello online è disponibile a tutti, a qualsiasi ora del giorno, in qualsiasi luogo. Griffiths (2003) ha riassunto le caratteristiche peculiari del gambling online in tre aspetti: l’anonimato del giocatore (anonymity), la prossimità del gioco (proximity), ovvero la possibilità di poter giocare in qualsiasi luogo, e l’illusione di controllo (sense of control). Di fatto, queste tre caratteristiche aumentano la probabilità che il giocatore incorra non solo in una forma di dipendenza comportamentale, ma anche in problemi finannziari, in modo più semplice e veloce rispetto al gambling offline. Inoltre, diversamente rispetto ai giochi offline, quelli online sono immediati, non hanno momenti di attesa o di incertezza (ad esempio, aspettare che le carte siano mischiate o distribuite), e sono giochi anonimi, decontestualizzati e ad alta soglia d'accesso (non ci sono effettivi impedimenti anagrafici) (Croce, 2001). Il gioco d'azzardo online si differenzia da quello offline anche per il tipo di disturbi concomitanti: nel caso del gambling online infatti si tratta di disturbo di personalità dipendente, evitante e ossessivo-compulsiva, mentre i disturbi borderline, narcisistico, antisociale e istrionico sono più frequenti in giocatori offline. Inoltre, i gamblers online presentano delle distorsioni cognitive specifiche, quali pensieri ossessivi, pensieri prevalenti, superstizioni e comportamenti rituali. 2.5. Online shopping addiction La dipendenza da shopping online fa capo a una più generale categoria di comportamento d'acquisto disregolato (Rose e Dhandayudham, 2014), che comprende tre comportamenti d'acquisto: impulsivo, compulsivo, e dipendente. In tutti e tre i casi si tratta di comportamenti associati a un meccanismo di ricompensa, come in tutte le dipendenze comportamentali, legato a una sensazione di piacere, alla riduzione di stress o ansia o alla riduzione di generiche sensazioni spiacevoli e negative (ad esempio, un senso di ridotta autostima), durante o dopo l'acquisto, L'acquisto compulsivo offline è spesso associato ad altri disturbi, quali disturbi dell'umore, disturbi alimentari, disturbo ossessivo-compulsivo, dipendenza da sostanze e disturbi di personalità (Lejoyeux & Weinstein, 2010). 26 Ad oggi, le ricerche circa i comportamenti di dipendenza da shopping online sono molto poco frequenti, e non fanno capo a riferimenti teorici comuni. Secondo Rose e Dhandayudham (2014), la dipendenza da shopping online sarebbe riconducibile a una serie di caratteristiche, di cui alcune rientrano nelle categorie e nei fenomeni appena descritti e altre appartengono allo specifico contesto online. Nello specifico, al primo gruppo appartengono il genere femminile, i bassi livelli di autostima (che risultano “mitigati” dal comportamento stesso di acquisto), i bassi livelli di autoregolazione del comportamento e delle emozioni (manifestati in tutti i comportamenti compulsivi e/o di dipendenza), un generico stato affettivo negativo (associato tanto al meccanismo di ricompensa messo in atto nei comportamenti di dipendenza quanto all'uso patologico di Internet); al secondo gruppo appartengono il divertimento (associato non solo al meccanismo di ricompensa tipico delle dipendenze comportamentali, ma anche alle sensazioni di piacere legate all'uso del web), l'anonimato (diversamente dallo shopping nella vita reale, che prevede necessariamente l'interazione con gli altri) e l'alta stimolazione cognitiva (data dalla quantità di prodotti tra cui scegliere, e che aumenta lo stato di eccitazione psicofisica dell'utente). 2.6. Information overload addiction Il termine Information Overload indica il sovraccarico cognitivo da eccesso di informazioni sul web. Per sovraccarico cognitivo si intende sia l'effetto che l'enorme quantità di informazioni a cui si può accedere sul web ha sulle abilità percettive e cognitive, sia l'effetto “emotivo” della ricerca e del ritrovamento delle informazioni che si stavano cercando, sotto forma di entusiasmo. La Young (2000) parla dell'information overload come di un fast food informativo, in cui si possono ottenere informazioni velocemente, ma si rischia di rimanere “appesantiti” dalla loro quantità. Di fatto, la sensazione più frequente quando si entra a contatto con la mole di informazioni disponibili online è la sopraffazione, ed è legata principalmente al fatto che la velocità con cui le informazioni sono percepite è troppo alta perchè possano essere processate o utilizzate in modo efficace. È, di fatto, una forma di stress psicologico, dovuta alla sensazione di non riuscire a fronteggiare gli stimoli con cui si entra a contatto. 27 Ovviamente, esistono forme di information overload dovute a contesti offline, ma l'ambiente web costituisce di per sé un fattore di rischio. Nello specifico, l'information overload online è dovuto all'insieme delle transazioni di informazioni e comunicazioni mediate dalle tecnologie (Misra e Stokols, 2011). Esempi di queste transizioni sono le e-mail, i messaggi, i documenti allegati, le informazioni cercate online, le comunicazioni sui forum, e così via. Lo “stress” consiste nella necessità di gestire, organizzare e conservare in qualche modo queste informazioni per poterle utilizzare o quanto meno comprendere. La gestione, l'organizzazione e la conservazione delle informazioni richiede una certa esperienza nel portare a termine una serie di operazioni, come ad esempio aggiornare i software dei dispositivi tecnologici utilizzati o sincronizzare diversi indirizzi mail o profili sui social network in modo da potervi accedere da qualsiasi dispositivo, in qualsiasi momento. Una comune conseguenza dell'effetto dell'information overload è la dimenticanza: chi soffre di stress da sovraccarico cognitivo spesso dimentica di rispondere a comunicazioni importanti perchè esse vanno “perse” nel flusso di informazioni generale o nelle azioni di multitasking che una tale mole di stimoli richiede. L'information overload diventa una dipendenza quando la ricerca di informazioni online assume le caratteristiche di un comportamento compulsivo, diventando sempre più pervasivo, tanto che il soggetto spende sempre più tempo cercando informazioni e organizzando i dati provenienti dal web. Misra e Stokols (2011) hanno condotto una ricerca sugli effetti dell'information overload sulla salute fisica e psicologica, mostrando che non solo chi era in information overload percepiva livelli di stress più alti, ma anche la sua salute fisica era peggiore, a prescindere da età, genere e presenza o meno di eventi di vita stressanti negli ultimi sei mesi. Inoltre, questi soggetti riportavano di passare meno tempo in attività contemplative, come la riflessione su se stessi,. Gli effetti negativi dell'information overload risultavano mitigati solo in soggetti con alti livelli di sensation seeking, in quanto essi sembrano più in grado di gestire percettivamente e cognitivamente le informazioni provenienti dal web (ma anche lo stress in generale). Complessivamente, la ricerca mostra che alti livelli di information overload dovuti all'uso del web può influenzare la salute fisica e psicologica degli utenti, sia in 28 riferimento alle capacità cognitive e di concentrazione, sia rispetto allo stato di benessere generale. 2.7. Terapie e interventi di prevenzione La quantità di diagnosi, fenomeni e problematiche provenienti dallo studio dell'uso patologico del web è in continuo aumento. Come è stato descritto, la maggior parte delle dipendenze tecnologiche non gode, ad oggi, di una descrizione ufficiale e condivisa, né di criteri che ne consentano una facile individuazione. Malgrado ciò, in tutti i casi gli utenti che si ingaggiano ripetutamente e pervasivamente in attività online mostrano conseguenze negative per il benessere psicologico, ma anche per la vita sociale, scolastica e lavorativa. Diventa quindi di fondamentale importanza individuare delle strategie di intervento efficaci, allo scopo di ridurre l'incidenza di questi comportamenti. In linea di massima, gli interventi a disposizione per la dipendenza da web sono gli stessi utilizzati nel trattamento della dipendenza da sostanza o comportamentale. In generale, si possono individuare quattro tipi di intervento: il gruppo di autoaiuto, i Dodici passi, il couseling terapeutico, la psicoterapia individuale. La formula del gruppo di autoaiuto è molto comune negli Stati Uniti, dove sono presenti forme di associazione a fini terapeutici in cui si organizzano incontri di gruppo sia online che offline. Il percorso dei Dodici Passi mutua dal programma per dipendenti da sostanze alcoliche i principi e le modalità di fronteggiamento della dipendenza da web. Il counseling terapeutico è una forma di intervento finalizzata ad aiutare il soggetto a comprendere quali siano le motivazioni che spingono all'uso massiccio e pervasivo di internet, allo scopo di comprendere il proprio comprotamento e motivare al cambiamento. La psicoterapia individuale è la forma di intervento più indicata ed efficace nel caso di comorbilità tra la dipendenza da web e altre patologie pregresse, soprattutto allo scopo di comprendere quale ruolo e significato assuma internet nel contesto del disturbo precedente. A queste quattro tecniche se ne può aggiungere una quinta, le strategie di disintossicazione, che nascono appositamente per rispondere alla dipendenza da internet, e fanno capo a modelli terapeutici di tipo cognitivo-comportamentale. 29 Tra le forme di intervento psicologico, il modello cognitivo-comportamentale risulta uno dei modelli più efficaci nel trattamento della dipendenza da internet, soprattutto se prendiamo come riferimento i modelli cognitivo-comportamentali di spiegazione dell'uso patologico di internet. Le tecniche cognitivo-comportamentali, infatti, consentono di rispondere ad alcuni sintomi peculiari della dipendenza, come l'insieme di ossessioni e compulsioni legate all'uso dei dispositivi tecnologici. Una tecnica di intervento che fa capo a questo modello terapeutico ed è stata esplicitamente ideata per rispondere alla dipendenza da Internet è quella creata dalla Young (2004; 2007), la quale si pone come obiettivo finale della terapia non la totale sospensione dell'uso di Internet (che non sarebbe possibile né realistico, considerato il ruolo del web nella vita quotidiana), ma il suo uso ordinato e controllato, finalizzato a obiettivi specifici e limitato nel tempo. I mezzi principali della terapia sarebbero quindi una serie di strategie e tecniche di riformulazione dell'uso di internet, più l'individuazione con il paziente di attività alternative che gli consentano di recuperare il piacere della vita offline. La durata dell'intervento è solitamente di 3 mesi, o comunque di 12 sessioni di terapia, configurandosi come una tecnica particolarmente breve, seppur efficace. Complessivamente, le tecniche più comuni usate nella terapia per la dipendenza da Internet sono: gli esercizi comportamentali, le prove comportamentali, la desensibilizzazione, le tecniche di rilassamento, di self-management, e il training di abilità sociali. Le prime fasi della terapia richiedono una vera e propria analisi comportamentale dell'insieme delle azioni che il soggetto mette in atto in relazione a internet: in questa fase si chiede al soggetto di definire in tutti gli aspetti il comportamento di dipendenza, pur tenendo conto di possibili omissioni o alterazioni consapevoli nelle descrizioni. Oggetto delle descrizioni sono solitamente la durata della connessione, la sua frequenza settimanale e giornaliera, i momenti della giornata in cui ci si connette, il luogo in cui si usa il computer, le attività svolte online (in termini di frequenza, durata, ecc...), l'importanza relativa di ogni attività svolta, gli aspetti positivi e negativi di ogni attività. A questi aspetti “descrittivi”, se ne aggiungono altri, legati alle credenze che il soggetto ha rispetto al proprio comportamento di dipendenza. Ad esempio, si chiede al soggetto quale percezioni abbia del proprio problema, quali effetti 30 crede che esso abbia sulla sua vita quotidiana, quali sono le cose che vorrebbe fare una volta risolta la dipendenza, e che ora non può fare e per quale motivo si sia rivolto al terapeuta proprio in quel momento della sua vita. Le ultime due domande sono particolarmente importanti, in quanto forniscono informazioni circa la motivazione che spinge l'individuo a cambiare, o quanto meno a cercare di farlo, e circa eventuali pressioni sociali ricevute ai fini dell'abbandono del comportamento di dipendenza. Inoltre, si raccolgono informazioni circa l'emersione del comportamento di dipendenza, per comprendere se ci siano stati eventi scatenanti, e circa elementi o altre attività/sintomi che secondo il soggetto possono rinforzare il comportamento di uso patologico del web, come la presenza di altre persone, o l'uso di sostanze. Dopo questa prima fase di raccolta delle informazioni, si procede con gli interventi comportamentali. Inizialmente, non si pongono limiti al paziente per l'utilizzo di internet: man mano che si procede con le sedute, gli si prescrive di ridurre il numero di ore settimanali trascorse online, spesso individuando fasce orarie o giorni della settimana specifici durante i quali è consentito o meno utilizzare il web. La definizione di orari e giorni specifici dà al paziente la possibilità di sentirsi padrone dell'uso del web, e non viceversa, come spesso accade in chi si rende conto di essere in una condizione di dipendenza. Un'altra strategia comportamentale spesso utilizzata è la pratica dell'opposto: è una forma di differimento della gratificazione legata all'uso del web. Una volta ottenute informazioni circa le abitudini d'uso di internet, si propone al soggetto di sostituire la navigazione online con un'altra attività, dopo la quale sarà possibile connettersi. Un'ulteriore tecnica sono le carte promemoria: si chiede al paziente di scrivere cinque problemi legati all'uso patologico di internet e cinque vantaggi che otterrebbe se cambiasse il proprio modo di usarlo. Gli si chiede poi di portare sempre con sé le carte, per ricordarsi cosa sta cercando di evitare e cosa invece desidererebbe raggiungere attraverso l'intervento. Inoltre, si insegna ai pazienti, soprattutto in caso di dipendenze da specifiche attività online, di attivare i filtri per bambini, che bloccano l'accesso a siti specifici (come siti a contenuto sessuale, o siti di gioco d'azzardo). Un'ulteriore strategia è la sostituzione dei comportamenti di dipendenza con altre attività che il paziente trova piacevoli. Il percorso di riduzione dei comportamenti patologici e di sostituzione non è sempre in discesa: molto spesso i pazienti mostrano reazioni depressive o instabilità emotiva. Per 31 evitare che ciò accada, si può lavorare sulle risorse del paziente, ad esempio sottolineando le caratteristiche di forza della sua personalità e spingendolo ad impegnarsi in attività che gli permettano di esprimerle e coltivarle. L'altra “dimensione” della terapia proposta dalla Young (2007) è di tipo cognitivo: si dà molta importanza alle distorsioni cognitive presentate dal paziente, soprattutto in relazione a pensieri e credenze negative dovute all'astinenza dall'uso del web. La registrazione delle credenze è associata alla registrazione di stati d'animo ed emozioni nel corso della giornata, e soprattutto in concomitanza con l'uso del web. Si verifica quindi quali siano le sensazioni, le emozioni e le cognizioni che accompagnano il soggetto prima, durante e dopo la connessione. 32 Capitolo 3 Conseguenze dell'utilizzo dei personal device 3.1. Impatto dell'utilizzo dei personal device sulla vita quotidiana Le nuove tecnologie hanno un impatto sempre maggiore sulla vita degli individui. Ad esempio, in uno studio su 1.600 manager e professionisti, Leslie Perlow (2012) ha mostrato che il 70% dei lavoratori controlla il telefonino nel giro di 1 ora dal risveglio, il 56% lo fa anche un’ora prima di andare a dormire, il 48% nel weekend, il 51% durante le vacanze e il 44% afferma di esperire sensazioni di ansia incontrollabile se perde il telefono e non può rimpiazzarlo in tempi brevi. Oltre ai professionisti e ai manager, un’altra fascia di utenza molto sensibile all’utilizzo dello smartphone sono gli adolescenti. In una recentissima ricerca del Telefono Azzurro in occasione del Safer Internet Day, intitolata “Tempo del web. Adolescenti e genitori online” (2016) emerge che Il 17% dei ragazzi intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e social, 1 su 4 (25%) è sempre online, quasi 1 su 2 (45%) si connette più volte al giorno, 1 su 5 (21%) è afflitto da vamping, ovvero si sveglia durante la notte per controllare i messaggi arrivati sul proprio cellulare. Infine, quasi 4 su 5 adolescenti (78%) chattano continuamente su WhatsApp. Un aspetto critico del continuo utilizzo dello smartphone durante la vita quotidiana è la sensazione di ansia e agitazione associata all’impossibilità di accedere al proprio dispositivo. Lo dimostra un recente studio di Clayton e colleghi (2015), secondo cui allontanarsi dal proprio smartphone ridurrebbe il proprio livello di benessere psicofisico. Gli autori analizzavano infatti quali effetti determinasse l’impossibilità a rispondere al telefono, a livello del sé, delle capacità cognitive, dell’ansia e di alcuni indicatori fisiologici. Lo studio prevedeva la partecipazione di 40 soggetti ad alcuni compiti cognitivi: nel corso dei test, veniva fatto squillare il cellulare del partecipante, che al momento non poteva rispondere. Analizzando gli effetti di questa sovrapposizione di compiti (completare il test cognitivo vs. rispondere al telefono), i ricercatori hanno visto che gli individui mostravano battito cardiaco più veloce, 33 pressione più alta, maggiore senso di fastidio e minori capacità cognitive quando non potevano rispondere al telefono, rispetto a quando potevano completare il test senza preoccuparsi dello smartphone. A cosa sono dovuti fenomeni di questo tipo? Una prima valutazione riguarda l’accessibilità (economica e sociale) delle nuove tecnologie: gli smartphone sono accessibili a tutte le fasce d’età, a prescindere dallo status socioeconomico. Inoltre, l’insieme delle caratteristiche tecniche e delle applicazioni implementate li ha resi in breve tempo uno strumento fondamentale a cui si affidano parte delle funzioni psicologiche e sociali che prima della diffusione capillare dello smartphone erano affidate alla relazione offline. Come per internet (con cui spesso è integrato), lo smartphone consente di ridurre le distanze nel tempo e nello spazio, trasforma i ritmi e la qualità delle relazioni quotidiane, alimenta il bisogno di sentirsi vicino all’altro, con un consistente rischio di violare le libertà e gli spazi personali dell’altro. Da un punto di vista psicologico, come riportato da Aoki e Downes (2003), l’attaccamento al proprio smartphone potrebbe risultare dalla multifunzionalità dei dispositivi tecnologici personali, che consentono non solo di accedere facilmente a molte informazioni, ma anche di interagire con gli altri e di sentirsi “al sicuro”. Un’altra possibilità (Przybylski et al., 2013) è la “Fear of Missing Out” (FoMo, in italiano la paura di perdersi qualcosa), secondo cui le persone tendono ad provare paura, preoccupazione e ansia quando corrono il rischio di non essere a conoscenza o a contatto con eventi, esperienze e conversazioni che interessano la propria cerchia sociale. Dal punto di vista psicologico, infatti, il telefonino ricopre almeno tre funzioni psicosociali, con un notevole impatto nella vita personale (anche lavorativa/scolastica) e relazionale: 1) regolare la distanza nella comunicazione e nella relazione in generale; 2) gestire la solitudine e l’isolamento; 3) soddisfare il bisogno di controllo della realtà. Per quanto riguarda la prima funzione, la regolazione della distanza relazionale, è ormai percezione comune che l’uso del telefonino consenta, allo stesso tempo, di catalizzare e filtrare le relazioni sociali. È la cosiddetta oralità scritta (Pozzi e Toscani, 2008), una forma di comunicazione che assume in sé la riflessione, tipica della comunicazione scritta, e l’immediatezza della comunicazione orale. 34 Se da un lato lo smartphone è un mezzo con cui entrare facilmente a contatto con l’altro, dall’altro l’utilizzo di applicazioni che utilizzano prevalentemente messaggi di testo, o messaggi audio “differiti” (come Whatsapp o Telegram) consentono di ridurre l’impatto emotivo della comunicazione, di gestire la paura del rifiuto, o l’insicurezza relazionale. Spesso il tipo di utilizzo che si fa dello smartphone dipende dall’età e dalla posizione relazionale che si ricopre: ad esempio, mentre i genitori trovano nel telefonino un mezzo “affidabile” di comunicazione potenzialmente costante con i propri figli, gli adolescenti lo usano spesso come mezzo dietro cui nascondere le proprie paure relazionali nel confronto con i pari (Carlini e Cozzolino, 2002). Sebbene l’uso moderato dello smartphone per gestire le relazioni costituisca una strategia spesso funzionale al mantenimento delle relazioni sociali e alla difesa dai propri timori di incontrare l’altro, un rischio sostanziale della comunicazione telefonica è la pervasività. Quando lo smartphone diventa l’unico mezzo di comunicazione e relazione, la comunicazione mediata dalla tecnologia diventa l’unica forma di comunicazione reale, fino a sostituire del tutto la relazione offline, a discapito delle abilità sociali ed emotive e dell’autenticità della proprie relazioni. L’oralità scritta, infatti, è fatta di un linguaggio sintetico, ridotto e sommario, che rischia di pendere il sopravvento nelle funzioni cognitive ed emotive, soprattutto in individui in età evolutiva. Un altro forte rischio riguarda la percezione di sé e dell’altro, e la sua alterazione in conseguenza dell’uso massiccio delle tecnologie. Privilegiare la relazione mediata da smartphone implica il rischio di idealizzare il destinatario della comunicazione, in virtù di meccanismi di proiezione dei propri desideri sulla comunicazione scritta e mediata dal telefono; allo stesso modo, è possibile gestire le impressioni dell’altro rispetto alla propria personalità, ai propri pregi e difetti, modulando attentamente tempi, modi e contenuti della comunicazione mediata da smartphone (Di Gregorio, 2003). Il terzo rischio associato a questa funzione è l’assenza di un incontro fisico tra chi comunica: in questo modo, le relazioni finiscono per rimanere nella sfera mentale ed emotiva, tralasciando al funzione del corpo, come limite e mezzo della relazione con l’altro. Infine, la catalizzazione delle relazioni mediate da smartphone nasconde un ultimo rischio: il distacco emotivo improvviso e repentino, mediato dal blocco o dall’eliminazione di un contatto sul telefonino o dalla cancellazione di un’applicazione, a discapito sia della relazione in generale che dell’insieme di riflessioni e considerazioni 35 su se stessi e sull’altro che caratterizzano, invece, la relazione faccia a faccia (Di Gregorio, 2003). La seconda funzione psicologica espletata dallo smartphone è la gestione della solitudine e dell’isolamento relazionale, tanto da costituire un vero e proprio antidepressivo o ansiolitico tecnologico. Simbolicamente, il telefonino rappresenta la presenza dell’altro, anche se in realtà l’altro non è fisicamente presente nella propria quotidianità. Allo stesso modo, spegnere il cellulare assume simbolicamente una funzione di allontanamento dalle relazioni, ma anche una potente riduzione delle proprie abilità relazionali (Di Gregorio, 2003; Guerreschi, 2005). Considerati studi come quello di Aoki e Downes (2003), Clayton e colleghi (2015) e Przybylski e colleghi (2013), è evidente che il cellulare contribuisca al mantenimento della condizione di benessere degli utenti e alla soddisfazione di alcuni bisogni relazionali. È quindi possibile rintracciare un investimento affettivo, un attaccamento al telefonino, che dà l’illusione di essere costantemente connessi e in relazione con l’altro, e impedisce di comprendere e sperimentare, significare ed elaborare sentimenti di mancanza, distacco relazionale, lutto. Questo tipo di funzionamento è particolarmente rischioso per gli adolescenti, che affrontano una fase della vita centrale per la costruzione delle abilità relazionali confondendo costantemente la realtà relazionale pubblica e condivisa (social network) con quella privata e intima (Guerreschi, 2005). Come indicato da Erikson (1994), la distinzione tra le due sfere è fondamentale per la strutturazione dell’identità psicosociale. La terza e ultima funzione è il controllo della realtà: l’insieme di applicazioni disponibili sui cellulari dà l’illusione di essere onnipresenti, di poter controllare le attività proprie e altrui. Anche in questo caso, i rischi associati a questa funzione sono più consistenti nel caso di individui in età adolescenziale, a causa della possibilità che i ragazzi apprendano a gestire le relazioni solo attraverso un medium tecnologico: questa modalità relazionale riduce sia la capacità di rinviare la soddisfazione dei bisogni (saper gestire la lontananza e il distacco relazionale), sia il potenziale creativo e di coping (fantasia, immagine interiore dell’altro) che si sviluppa nell’attesa che l’altro risponda alla propria richiesta di relazione (Guerreschi, 2005). 36 Come descritto, i soggetti più a rischio di sviluppare comportamenti disfunzionali o di mostrare traiettorie di sviluppo atipico sono gli adolescenti e i giovani adulti. Nel 2007, Torrecillas ha svolto una ricerca sul campo con giovani adulti tra i 18 e i 25 anni, mostrando che i soggetti maggiormente a rischio presentano bassi livelli di autostima e alti livelli di problemi relazionali e sociali, che ritrovano nell’uso dello smartphone una forte stimolazione cognitiva ed emotiva, e considerano le altre attività ricreative fonte di noia. Alla fascia di età tra l’adolescenza e la giovane età adulta si aggiunge il rischio dei bambini nella primissima infanzia. Nel 2012, la casa di software e antivirus AVG, ha realizzato una ricerca tra i suoi utenti a proposito dell’utilizzo di tablet e smartphone in bambini sotto i 6 anni presenti in famiglia. Oltre il 50% degli utenti ha riportato che bambini tra 2 e 5 anni in famiglia sapeva utilizzare il tablet per giocare a un videogame di livello base. Ad un’età così ridotta, il rischio non sta tanto nella capacità di approcciarsi a smartphone e tablet in modo efficace, quanto nelle conseguenze fisiche e psicologiche originate dall’uso massiccio della nuova tecnologica, Tra le conseguenze fisiche si può considerare, ad esempio, un consistente affaticamento della vista o uno sviluppo non corretto del linguaggio, mentre tra le conseguenze psicologiche è doveroso considerare il rischio di confusione, in bambini molto piccoli, tra la realtà virtuale e quella offline, e il relativo isolamento sociale e psicologico che ne deriva. 3.2. Dipendenza da telefonino La dipendenza da telefonino è detta Nomophobia (No-mobile phobia) e indica la paura patologica, l’ansia o il discomfort provenienti dall’impossibilità di stare a contatto con un mezzo tecnologico (King et al., 2013). È quindi connessa alla paura di non essere informati su ciò che accade nella propria sfera sociale (più o meno allargata) e al timore di non essere costantemente rintracciabili. Con gradi differenti, la dipendenza da telefonino può interessare la maggior parte della società: Di Gregorio (2003), infatti, la considera una dipendenza che si autoalimenta a partire dalle abitudini quotidiane. Lo ha dimostrato una ricerca del Codacons del 2001, che ha verificato gli effetti dell’allontanamento dal cellulare sulla salute fisica e psichica degli utenti. La ricerca è 37 stata effettuata su 300 volontari (150 uomini e 150 donne), di età compresa tra i 20 e i 60 anni, residenti in diverse località italiane. I partecipanti hanno acconsentito ad privarsi del cellulare per 15 giorni. Dalle osservazioni dei comportamenti dei volontari, riferite da persone a loro vicine (parenti, amici, fidanzati), è emerso che oltre il 70% di loro ha modificato il proprio comportamento in funzione dell’assenza del telefonino. Di questi, il 35% ha mostrato tic nervosi, come mettersi continuamente le mani in tasca, guardare spesso l’orologio, cercare il telefonino ogni volta che si sentiva uno squillo. Il 75% dei partecipanti che ha mostrato tic di natura nervosa era costituito da liberi professionisti e studenti, mentre il restante 25% era formato da dipendenti, pubblici o privati. Il 15% del campione originario ha mostrato eccessiva irascibilità, perdeva le staffe con più facilità, alzava la spesso la voce, litigava più spesso con persone care. Il restante 10% ha mostrato una sintomatologia depressiva. Inoltre, 48 soggetti hanno mostrato un’alterazione dei ritmi biologici ed emotivi consueti, mostrando tristezza, noia, apatia, rifiuto riduzione del desiderio sessuale e della fame. In tutti i casi, i cambiamenti evidenziati dalle persone vicine ai volontari erano considerati significativamente diversi rispetto a prima dell’inizio della ricerca. È interessante notare che i dati riportati dal Codacons presentano una netta tendenza di genere: il 70% dei soggetti con difficoltà comportamentali in seguito alla separazione dal telefonino, infatti, è di sesso maschile. Questo dato è coerente con alcune ricerche successive (e.g., Abbot, 2004), che mostrano come il fenomeno sia associato al genere maschile. Anche in altri Paesi sono state condotte ricerche sul tema. In uno studio del 2008, l’ente di ricerca britannico YouGov, in collaborazione con Post Office Telecom, ha analizzato la dipendenza da telefonino in ragazzi tra i 18 e i 29 anni: dalla ricerca emerge che sei ragazzi su dieci utilizzano il telefono anche quando sono a letto, e che il 53% di loro presenta stati d’ansia quando ha la batteria scarica, il credito insufficiente o ha poca copertura di rete. Anche in questo caso, è emersa una prevalenza maschile dell’ansia dovuta alla possibile astinenza dall’utilizzo dello smartphone: circa il 58% dei partecipanti con sintomi di dipendenza era di sesso maschile. Come nel caso di altre dipendenze comportamentali, anche individui dipendenti da nomofobia presentano tolleranza nei confronti dell’oggetto di dipendenza, cercando di utilizzare il telefono sempre di più e per una gamma sempre più ampia di azioni e funzioni, o non spegnendo mai il telefono, neanche nelle ore notturne; astinenza, come 38 mostrato, ad esempio, dalla ricerca del Codacons; abuso, come indicato, ad esempio, dalla crescente sensazione di necessità associata al portare e usare lo smartphone anche in luoghi in cui non è appropriato. Inoltre, Greenfield e Davis (2002) hanno mostrato che la dipendenza da telefonino risponde anche alle caratteristiche biologiche tipiche delle sindromi da dipendenza. Nello specifico, gli autori hanno studiato il livello di produzione di dopamina (il neurotrasmettitore che regola la sensazione di piacere, modulando l’attività del circuito di ricompensa) in utenti adulti, mostrando che ogni volta che arriva una notifica sul telefono, i livelli di dopamina si alzano. In altre parole, alla ricezione di una notifica, gli utenti mostrano una sensazione, biologicamente mediata, di novità e sorpresa. La dopamina è anche il neurotrasmettitore che media il meccanismo di dipendenza: il ciclo dopaminergico media quindi la costante sensazione di ricerca di una nuova notifica, e i comportamenti di costante controllo delle applicazioni e dei social network presenti sul cellulare (Greenfield e Davis, 2002). Da un punto di vista generale, è difficile definire la dipendenza da telefonino dal punto di vista quantitativo, soprattutto se si considera la quantità di attività e funzioni che mettono a disposizione gli smartphone attualmente disponibili sul mercato. Malgrado ciò, nel 2013, Karla Klein Murdock ha studiato la relazione tra la quantità di sms inviati dal telefonino e alcuni indicatori di benessere psicofisico, come la qualità del sonno, la gestione dello stress e i livelli di ansia. I partecipanti alla ricerca erano studenti universitari: tra di loro, gli studenti che riportavano di inviare un’alta quantità di messaggi riportavano livelli di disturbi del sonno più alti rispetto ai pari con livelli di utilizzo del telefonino più bassi. I disturbi del sonno riportati erano di diverso tipo, come problemi nell’addormentarsi, minore durata e qualità del sonno e maggiore stanchezza durante il giorno. Inoltre, analizzando la relazione tra invio di messaggi e benessere emotivo, Murdock ha mostrato che il numero di sms inviati correlava con la povertà del riposo, la difficoltà nel gestire lo stress quotidiano, e l’ansia, soprattutto in riferimento alla sensazione di essere obbligati a rispondere ai messaggi arrivati sul telefono, anche di notte. Di fatti, è possibile considerare alcuni sottotipi di dipendenza da smartphone: la dipendenza da SMS, che ad oggi comprende anche la dipendenza da tutte le applicazioni per smartphone che hanno come funzione principale la comunicazione 39 testuale, come Whatsapp e Telegram; i dipendenti dal nuovo modello, che, con un comportamento simile a quello degli shopper compulsivi, acquistano continuamente materiale tecnologico, mostrando una netta preferenza per modelli sempre nuovi di smartphone – l’acquisto, in questo caso, ha una media di un nuovo telefono ogni cinque mesi, e dipende dalla classe socio-economica di appartenenza; l’esibizionismo da cellulare, propria di chi sceglie accuratamente il telefono sulla base di caratteristiche estetiche, lo tiene spesso in mano e lo fa squillare a lungo prima di rispondere, sebbene possa farlo in tempi più brevi; i game players, che considerano il proprio smartphone una vera e propria console, ponendosi record di gioco sempre più avanzati; la sindrome da cellulare acceso, propria di coloro che temono che il telefono possa spegnersi o che sia spento, che hanno più batterie di scorta, e lasciano il telefono acceso anche di notte. È evidente che spesso la dipendenza dal telefonino possa associarsi ad altre dipendenze, di natura secondaria, come lo shopping compulsivo, la dipendenza affettiva e la videomania. Queste ultime possono essere considerate conseguenza della dipendenza da smartphone, soprattutto quando si manifestano in relazione all’utilizzo della telefonia: ad esempio, acquistando compulsivamente telefonini, accessori e offerte telefoniche, usando il telefono per controllare le persone con cui si hanno relazioni strette, o per essere continuamente in contatto con loro, o usando il telefono come mezzo per abusare di videogiochi o altre applicazioni. Il fenomeno della nomofobia è quindi riconosciuto non solo dal punto di vista psicosociale, ma anche clinico. Un gruppo di ricerca italiano (Bragazzi e Del Puente, 2014), infatti, aveva avanzato la proposta di inserire la dipendenza da telefonino nel DSM 5 (APA, 2014), individuando nella nomofobia una sindrome caratterizzata da ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un telefono cellulare o un computer”, caratterizzata dai seguenti sintomi: Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso; Avere uno o più dispositivi; Portare sempre un caricabatterie con sé per evitare che il cellulare si scarichi; Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c’è 40 mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto possibile, i luoghi e le situazioni in cui è vietato l’uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e aeroporti); Mantenere sempre il credito; Dare a familiari e amici un numero alternativo di contatto e portando sempre con sé una carta telefonica prepagata per effettuare chiamate di emergenza se il cellulare dovesse rompersi o perdersi o, ancora, se venisse rubato; Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate; Controllare costantemente il livello di batteria del dispositivo per assicurarsi che non si possa scaricare per eventuali operazioni importanti; Mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno); Dormire con cellulare o tablet a letto; Utilizzare lo smartphone in posti poco pertinenti. È interessare notare che gli autori stessi sottolineano che nessuno dei sintomi riportati è un indicatore patologico assoluto, ma possono diventarlo se associati alla paura sproporzionata di non riuscire a rimanere in contatto con la rete. In particolare, Bragazzi e Del Puente (2014) pongono come importante campanello d’allarme il riferimento di effetti fisici secondari all’allontanamento dal telefonino, o all’impossibilità di usarlo, come ad esempio sintomi simili all’attacco di panico (mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea). Considerati i correlati biologici, le somiglianze con sintomi e caratteristiche delle altre dipendenze comportamentali e i rischi correlati al funzionamento psicologico, la nomofobia può essere considerata una vera e propria forma di dipendenza e, come tale, necessita dell’individuazione di forme di trattamento efficaci. Se si considera la nomofobia alla stregua dello IAD, allora il trattamento può essere considerato uniforme con quello proposta per la dipendenza da internet. È quindi consigliato un trattamento psicoterapeutico, che tenga conto non solo dei sintomi e della loro gestione o eliminazione, ma anche delle motivazioni che spingono l’individuo a rifugiarsi in forme di dipendenza in generale, e nella dipendenza da telefonino 8e ciò che rappresenta) nello specifico. 41 3.3. Dipendenza da videogiochi Una delle motivazioni che spesso spinge gli utenti di smartphone ad utilizzare sempre di più il proprio telefonino sono i videogiochi. Come riportato brevemente in precedenza, l’utilizzo dello smartphone come vera e propria console è un comportamento frequente nei soggetti, spesso adolescenti, che dipendono dai videogames. Un comportamento spesso riportato dagli utilizzatori di videogiochi è l’eccessivo utilizzo dell’applicazione per un certo periodo, salvo poi perdere interesse per gli scopi e gli obiettivi del gioco in questione. A partire dall’osservazione di questo genere di fenomeni, alcuni autori (ad es., King et al., 2012) hanno ipotizzato che l’uso eccessivo dei videogame non fosse un vero e proprio disturbo, ma, piuttosto, un modo, adattivo, di analizzare e familiarizzare con stimoli nuovi e poco conosciuti, come l’ultima applicazione lanciata sul mercato. Recentemente King e colleghi (2012) hanno analizzato questo fenomeno in uno studio longitudinale su un campione di 393 giovani adulti. La ricerca prevedeva tre tempi: si chiedeva ai partecipanti di compilare online un questionario all’inizio della ricerca, dopo 6 mesi e dopo 18 mesi. Dei 393 partecipanti iniziali, hanno compilato tutti i questionari richiesti nel corso dei 18 mesi 117 soggetti. Il protocollo somministrato riguardava i dati sociodemografici e di utilizzo delle nuove tecnologie per motivi di gioco, i livelli di depressione e ansia, i livelli di stress. Infine, si chiedeva ai soggetti di classificarsi come giocatore problematico o come giocatore “normale”, salvo poi verificare, sulla base di opportuni criteri, se le auto-classificazioni fossero corrette. Trentasette utenti si sono definiti giocatori problematici e ottanta giocatori normali: in tutti i casi, gli autori hanno considerato le autodiagnosi corrette, dopo aver analizzato le abitudini d’uso e i rischi clinici connessi. Tutti i partecipanti, a prescindere dalla categoria di appartenenza, mostrarono un calo significativo del problema di dipendenza dal gioco nel corso dei 18 mesi, sa dal punto di vista comportamentale che sintomatologico. Malgrado questi dati, è bene considerare e distinguere le situazioni al limite della dipendenza o francamente dipendenti, vale a dire tutte quelle condizioni di utilizzo in cui gli utenti soffrono una riduzione del funzionamento personale, sociale e lavorativo a causa dell’uso massiccio di videogiochi. 42 Allo scopo di distinguere condizioni patologiche di uso dei videogame, Lemmens e colleghi (2009) hanno individuato sette sintomi di dipendenza, simili, come per la dipendenza da telefonino, ai sintomi di altre dipendenze, comportamentali e non. I sette sintomi sono: Salienza del comportamento di dipendenza: i videogame diventano l’attività più importante e rilevante nel corso della giornata, fino a occupare costantemente pensieri, sentimenti e comportamenti dell’utente, generandogli preoccupazione (area cognitiva), desiderio (area emotiva) e uso eccessivo degli strumenti tecnologici (area comportamentale). 1. Tolleranza nei confronti del comportamento di dipendenza: l’utente aumenta gradualmente il tempo giornaliero allocato per il gioco virtuale. Inoltre, l’utente ha la percezione che il tempo per giocare non sia mai abbastanza. 2. Bassa regolazione dell’umore: i videogiochi costituiscono, per l’utente, non solo una fonte di euforia, ma anche un mezzo attraverso cui regolare le proprie tristezze e il proprio stress, trovando evasione e distrazione dagli impegni quotidiani. 3. Ritiro sociale: una conseguenza del ritiro dalla vita “offline” sono gli effetti fisici e psicologici dovuti all’improvvisa interruzione o sospensione dell’uso dei videogiochi, solitamente caratterizzati da agitazione, irritabilità e senso di oppressione. 4. Ricaduta: è un comportamento tipico dei soggetti dipendenti, che ritornano su schemi d’azione che comprendono la dipendenza dopo aver controllato o eliminato per un periodo il comportamento patologico, in questo caso di gioco. 5. Conflitto: ci si riferisce, in questo caos, ai conflitti relazionali dovuti al gioco eccessivo (ad esempio, i problemi disciplinari tra genitori e figli videogame addicted, o problemi a lavoro per utenti dipendenti di età più avanzata) 6. Problemi: conseguenze negative nella vita privata, familiare, lavorativa o scolastica in seguito e a causa della dipendenza da videogiochi e da telefonino. Un esempio stringente del modo con cui i giochi “da smartphone” possano influenzare in modo pervasivo la vita degli utenti è Pokemon Go, videogioco della Nintendo, lanciato nell’estate 2016. Pokemon Go è un videogame di nuova generazione: 43 non solo è ottimizzato per smartphone, ma sfrutta anche la cosiddetta realtà aumentata. Per quanto riguarda la “portabilità”, è evidente che un gioco che funziona pienamente (e soltanto) sullo smartphone, diventa onnipresente, accompagna l’utente sempre e ovunque. Per quanto riguarda la realtà aumentata, ci si riferisce a un totale spostamento del campo di gioco: non si gioca più in scenari virtuali, in due dimensioni, attraverso lo schermo – al contrario, lo schermo diventa un mezzo con cui ricercare nella realtà vera qualcosa di virtuale (un pokemon), con cui poter interagire come se fosse reale. Ma non solo: su alcuni smartphone (di piattaforma Android), l’applicazione può interrompere l’attività che stai svolgendo per avvisarti che c’è un Pokemon nelle vicinanze. Il fenomeno è diventato in poco tempo virale, con ricerche di massa in luoghi molto famosi (come il Central Park di New York, a luglio) per cercare creature rare da catturare, incidenti stradali dovuti all’uso dell’applicazione e situazioni poco rispettose di luoghi e contesti veri, come ospedali, campi di concentramento, stazioni di polizie, cimiteri, in cui gli utenti entravano per cercare il proprio Pokemon di elezione. Come riportato dal blog dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, uno degli aspetti più preoccupanti della realtà aumentata, al di là delle manifestazioni grottesche e smodate di alcuni giocatori, è la totale assenza di realtà: mentre la realtà virtuale, come mostrato nei capitoli precedenti di questo lavoro, pur avendo sostanziali differenze, limitazioni e risorse rispetto alla realtà vera, rimane un luogo ben definito, con caratteristiche strutturali e funzionali proprie, la realtà aumentata è una condizione a metà tra un mondo e l’altro, non pienamente virtuale e certamente non reale, del quale è necessario studiare effetti e conseguenze. 44 Conclusioni Questo lavoro di tesi si proponeva di indagare i contributi teorici circa l'uso del web e i fenomeni legati all'uso patologico dei nuovi media, sia nell'età dello sviluppo che nell'età adulta, con particolare riferimento alle dipendenze comportamentali derivate dall’uso di Internet e dei personal device. Come mostrato ampiamente nella trattazione, il gap generazionale, evidenziato anche dai dati statistici a nostra disposizione, sottolinea come i rischi (psicosociali e clinici) associati alle psicotecnologie siano diversi a seconda dell’età dell’utente, in termini sia di possesso e accesso alle nuove tecnologie, che di significati attribuiti al web e alle sue funzioni. Tra i fenomeni psicosociali legati all’uso delle tecnologie, un fenomeno di particolare interesse è la dipendenza comportamentale. Com’è stato descritto, non è possibile, ad oggi, definire dei criteri diagnostici condivisi, soprattutto se si considerano non solo le forme generiche di dipendenza dal web (Uso patologico di internet e Internet addiction disorder), ma anche le sindromi specifiche che derivano dall’uso patologico di alcune funzioni o attività tecnologicamente mediate (cybersex, shopping, telefonino, gioco d’azzardo, videogiochi). Malgrado l'assenza di una definizione univoca e di una serie di criteri diagnostici universalmente riconosciuti, la dipendenza da Internet e gli altri quadri patologici ad essa correlabili, almeno da un punto di vista fenomenologico, rimangono un fenomeno psicosociale di estrema rilevanza, che richiede una propria sistematizzazione in termini diagnostici e di intervento. Complessivamente, la tesi descrive l’uso di Internet e la dipendenza Internetcorrelata, evidenziandone l’impatto nella vita quotidiana, gli elementi di rischio psicopatologico, e gli eventuali esiti nelle forme di dipendenza comportamentale. Si evidenzia, in generale, una necessità non solo di approfondire la ricerca e lo studio delle definizioni e dei quadri psicologici associati alle dipendenze, ma anche l’impatto, positivo o negativo, che questi possono avere sulla vita quotidiana degli utenti, tenendo conto delle differenze attribuibili ad alcune caratteristiche personali, come genere, età e personalità. 45 Bibliografia American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). Washington: American Psychiatric Pub. Aoki, K., & Downes, E. J., (2003): An analysis of young peoples use of and attitudes toward cell phones. Telematics and Informatics, 20, 349–364. Beck, A. T. (1967). Depression: Clinical, experimental, and theoretical aspects. Philadelphia: University of Pennsylvania Press. Black, D. W., Belsare, G., & Schlosser, S. (1999). Clinical features, psychiatric comorbidity, and health-related quality of life in persons reporting compulsive computer use behavior. 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