Dipendenze da Tecnologie e da Personal Device

UNIVERSITA’ TELEMATICA INTERNAZIONALE
UNINETTUNO
Facoltà di Psicologia
Corso di Laurea in Discipline Psicosociali
ELABORATO FINALE
in Psicotecnlogie e processi formativi
Titolo:
Dipendenze da Tecnologie e da Personal Device
Relatore: Prof.ssa Maria Amata Garito
Tutor: Dott. Alessandro Caforio
Candidato:
Roberto Puttini
Matr. 1862HHHCLDIPSI
Anno accademico 2015/2016
Ringrazio i miei genitori che mi hanno sostenuto lungo tutto il tragitto e
mi hanno dato la spinta per andare avanti.
I
Introduzione……………………………………………………………………………..3
Cap. 1 - Epidemiologia e teorie dell'uso di internet……………………………………..5
1. Dati Istat sull'uso di internet……………………………………………..5
2. Teorie psicologiche sul web 2.0………………………………………….6
1. Psicotecnologie………………………………………………………7
2. Aspetti attrattivi della rete…….……………………………………..8
3. Uso patologico di internet……………………………………………9
4. Modello ACE: Accessibilità, Controllo, Eccitazione………………10
5. Altri modelli cognitivo-comportamentali…………………………..11
6. Trance dissociativa da video-terminale…………………………….12
7. Psicopatologia web-mediata………………………………………..13
Cap. 2 - Dipendenze da psicotecnologie……………………………………………….16
1. Le nuove dipendenze comportamentali……………………………..….16
2. Internet addiction……………………………………………………….17
3. Cybersex addiction……………………………………………………..21
4. Online compulsive gambling…………………………………………...24
5. Online shopping addiction……………………………………………...26
6. Information overload addiction ………………………………………..27
7. Terapie e interventi di prevenzione……………………………………..29
Cap.3 - Conseguenze dell'utilizzo dei personal device………………………………...33
1. Impatto dell'utilizzo dei personal device sulla vita quotidiana…............33
2. Dipendenza da telefonino………………………………………………37
3. Dipendenza da videogiochi ……………………………………………42
Conclusione…………………………………………………………………………….45
Bibliografia………………………………………………………………………….…46
2
Introduzione
Circa il 40% della società mondiale è in rete (Kuss et al., 2014). Alla luce del crescente
uso di internet, si è resa necessaria la comprensione delle dinamiche psicosociologiche e
delle conseguenze nell'uso delle tecnologie. In generale, il lavoro di tesi intende
indagare i contributi teorici circa l'uso del web e i fenomeni legati all'uso patologico dei
nuovi media, sia nell'età dello sviluppo che nell'età adulta.
Il lavoro si struttura in tre sezioni. La prima sezione descrive i dati epidemiologici e le
spiegazioni teoriche dell’uso di internet. Per quanto riguarda l’epidemiologia dell’uso
del web, ci si è avvalsi dei dati provenienti da ricerche ISTAT (Cittadini e Nuove
Tecnologie, 2014), da cui emerge un’importante gap generazionale tra gli utenti, che,
come descritto nelle sezioni successive della tesi, spiega i differenti correlati
comportamentali e motivazionali legati all’uso del web. Per quanto riguarda la sezione
sulle teorie psicologiche contemporanee (e.g., Anderson e Rainie, 2012; Cantelmi e
Talli, 2007; Martucci, 2011), sono stati considerati gli aspetti neurobiologici, cognitivi
(Cantelmi e Talli, 2007; Davis, 2001; Young, 2000) e compulsivi (Cagnoni e Nardone,
2002) dell'uso delle nuove tecnologie. La seconda parte approfondisce la definizione di
alcuni concetti chiave (Psicotecnologie, Uso patologico di internet), individuando gli
aspetti attrattivi della rete e i rischi psicopatologici del suo utilizzo (Psicopatologia webmediata), descrivendo i modelli cognitivo-comportamentali e psicodinamici di
spiegazione dell’uso del web.
La seconda sezione approfondisce le principali forme di uso patologico di internet (e.g.,
Kuss e Lopez-Fernandez, 2016) e le dipendenze da tecnologie, che con la quinta
edizione del DSM (APA, 2013) sono formalmente riconosciute come forme di
dipendenza senza sostanza. Si approfondiscono quindi le aree di sovrapposizione
sintomatologica tra le dipendenze da sostanze e le dipendenze comportamentali,
sottolineando i fenomeni comuni ad entrambe (tolleranza, astinenza, conflitto e ricaduta;
Griffiths, 1998). Il contributo, nello specifico, considera l'internet addiction disorder
(Goldberg, 1995), il cybersex addiction disorder (Delmonico e Griffin, 2010), il
compulsive gambling online (e.g., Haefeli et al., 2011), il compulsive online shopping
3
(e.g., Rose e Dhandayudham, 2014) e l'information overload addiction (Misra e Stokols,
2011). Inoltre, sono state prese in considerazione le principali forme di intervento e
prevenzione all'uso patologico di internet, con specifico riferimento agli interventi
cognitivo-comportamentali (Davis, 2001).
Infine, la terza sezione approfondisce alcuni fenomeni legati all'utilizzo quotidiano dei
personal device. Si analizza, nello specifico, quale impatto psicologico abbiano i
personal device sulla vita psicologica quotidiana, e quale ruolo abbiano gli smartphone,
con
le
relative
applicazioni
e
funzioni.
In
riferimento
alle
conseguenze
psicopatologiche, si considerano la dipendenza da telefonino (e.g., Goswami et al.,
2015; Ruorong, 2014) e la dipendenza da videogiochi on- e off-line, mediata dall’uso
dei telefoni cellulari (e.g., Kaptsis et al., 2016; Kiràly et al., 2014; Kuss e Griffiths,
2012).
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Capitolo 1
Epidemiologia e teorie dell'uso di internet
1. Dati Istat sull'uso di internet
Lo studio ISTAT “Cittadini e Nuove Tecnologie” (2014) mostra che l'uso di
internet nelle famiglie italiane è aumentato di circa il 4% rispetto al 2013: nello
specifico, il 64% delle famiglie possiede una connessione a internet. Come
immaginabile, le famiglie tecnologicamente più equipaggiate sono quelle in cui almeno
uno dei membri ha meno di 18 anni (circa il 90% possiede un pc con accesso a internet)
e quelle meno equipaggiate sono quelle di soli membri sopra i 65 anni (solo il 16%
dispone di una connessione internet). Per quanto riguarda le famiglie con figli
minorenni, oltre la metà dei membri familiari con almeno 3 anni di età (54.7%) usa il
pc, e più della metà dei membri di almeno 6 anni (57.3%) ha accesso a Internet.
Malgrado le percentuali di uso molto alte, oltre la metà delle famiglie italiane dichiara
di non usare Internet perchè non sa farlo (55.1%). Considerando le skills tecnologiche,
poco più del 80% degli intervistati dichiara di saper effettuare semplici operazioni di
copiatura o rimozione di file, cartelle, o parti di documento e solo il 67% circa è in
grado di spostare file da un dispositivo tecnologico all'altro. Le percentuali si abbassano
quando si considerano capacità più complesse, come connettere e installare periferiche
(57.3%), applicare formule aritmetiche in un foglio di calcolo (52.2%), comprimere un
file (49.2%) e preparare presentazioni con software specifici (37.4%).
Per quanto riguarda le skills tecnologiche specifiche per l'uso di internet le
percentuali salgono sensibilmente: il 95.6% degli italiani sa usare un motore di ricerca e
poco più circa il 82% usa e-mail e allegati. Oltre la metà degli intervistati è in grado di
usare chat e forum di discussione (60.5%) e scaricare file da siti (55%). Le percentuali
scendono in caso di abilità più complesse, come telefonare via internet (48.8%), caricare
file su siti (45%), usare sistemi peer to peer per scambiare file (17.8%) e creare una
5
pagina web (14.3%). In generale, gli uomini e gli utenti web tra i 15 e i 24 anni sono le
categorie più skilled.
L'uso di internet nei minori di 18 anni sembra essere fortemente influenzato
dall'uso che i genitori fanno del web, soprattutto quando i figli hanno tra 6 e i 14 anni.
Nelle famiglie in cui i genitori non usano internet, il 80% dei bambini tra i 6 e i 10 anni
e il 40% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni non usano internet. Al contrario, se entrambi i
genitori usano il web, le percentuali di bambini che non usano internet scendono al
40.4% per i bambini tra i 6 e i 10 anni e al 6.7% per i ragazzi tra gli 11 e i 14.
Come immaginabile, Internet risulta essere uno strumento fondamentale per
l'interazione e la comunicazione: 8 utenti su 10 usano il web per comunicare tramite
mail, chat, social network o telefonate online.
Complessivamente, il quadro che emerge dai dati ISTAT mostra la presenza di
gap generazionali e di genere, nel primo caso in riferimento sia al possesso/accesso alle
nuove tecnologie che alle abilità, nel secondo caso soprattutto in riferimento alle abilità
tecnologiche avanzate.
2. Teorie psicologiche sul web 2.0
La diffusione delle reti telematiche ha influenzato profondamente gli stili di vita, i
modi di comunicare e di percepire le relazioni interpersonali. Internet e le tecnologie ad
esso correlate hanno conseguenze sia positive (in termini di risorse e opportunità) che
negative (in termini di rischi e problematiche) per la vita psichica. Ad esempio, sebbene
gli utenti abbiano la possibilità di accedere a un'enorme quantità di informazioni su
persone, organizzazioni e attività con estrema velocità e facilità, e di prendere parte ai
network sociali e professionali su cui ottengono informazioni altrettanto facilmente,
seguire molte attività, interagire con molte persone, e accumulare molte informazioni
aumenta il carico psicologico e comportamentale giornaliero (Misra & Stokols, 2012).
Ancora, le nuove tecnologie estendono lo spazio sociale attraverso uno spazio virtuale,
che abbatte il concetto di distanza, le regole con cui solitamente si gestiscono la
vicinanza e la lontananza relazionale e si comunica con gli altri (Tonioni, 2013). Il
sistema tecnologico attuale, infatti, sta assumendo le caratteristiche di un vero e proprio
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“posto nel mondo” (Tonioni, 2013, p.68), in cui poter entrare, parzialmente privi della
propria dimensione fisica, e vivere come se si fosse in uno spazio reale, alle spese delle
potenzialità comunicative della sensorialità. Oltre alla dimensione spaziale, anche quella
temporale risulta modificata attraverso l'uso delle tecnologie. Il tempo speso online è
insieme lineare e circolare: nel primo caso ci si riferisce al tempo speso su Internet per
cercare informazioni e svolgere altre attività che implichino l'uso della coscienza e del
pensiero logico; nel secondo caso ci si riferisce al tempo speso per le relazioni e le
emozioni, come chattare, usare social network o ascoltare una canzone, vale a dire per
tutte le attività che non richiedono concentrazione, ma, piuttosto, assorbono, dissociano,
fanno perdere il senso del tempo (Tonioni, 2013). Ecco che Internet modifica i tempi di
apprendimento, di fruizione dei contenuti, di esecuzione di alcune operazioni (si pensi
all'home banking e al multitasking), e abbrevia i tempi della comunicazione, che diventa
breve, essenziale, priva di introduzioni e descrizioni. Ognuno di questi cambiamenti ha
generato enormi vantaggi per la vita personale, scolastica e lavorativa. Malgrado ciò,
l'onnipresenza del web nella quotidianità e la conseguente possibilità di essere sempre
online a “fare qualcosa” hanno ridotto drasticamente il tempo del riposo, della noia, del
relax, in cui poter esercitare il pensiero insaturo, creativo e generatore di senso (Tonioni,
2013).
2.1 Psicotecnologie
L'insieme delle tecnologie contemporanee, dalla televisione alla realtà virtuale,
hanno qualità “psicologiche”, nel senso che fungono da estensori delle capacità
cognitive umane (pensiero, linguaggio, comunicazione, intelligenza; La Barbera &
Cannizzaro, 2008): sono definibili, per questo motivo, psicotecnologie (De Kerckhove,
1995). Proprio in virtù di questa dimensione “psicologica”, vivere lo spazio virtuale
richiede la costruzione di un'identità digitale, che, in casi estremi, può diventare una
vera e propria personalità alternativa, e affatto virtuale. Lo scopo dell'identità virtuale è
la personalizzazione del cyberspazio, che dovrebbe avvenire in virtù delle appartenenze,
le preferenze, le peculiarità della propria vita offline. Quando all'identità digitale
subentra la personalità alternativa, si “sposta” anche il senso di appartenenza, dalla
7
comunità reale (il proprio contesto sociale offline) a quella virtuale (Tonioni, 2013). Il
modo con cui si interagisce, ci si emoziona e si comunica online, per quanto mediato da
un'interfaccia virtuale, rimane molto simile alle interazioni, alle emozioni e alle
comunicazioni offline. Nardone e Cagnoni (2002) invitano a considerare il senso di
delusione per un mancato appuntamento dal vivo o per una mancata chat già fissata:
l'emozione e le sensazioni ad essa correlate non sono diverse a seconda del contesto in
cui sarebbe dovuto avvenire l'incontro mancato. A partire da questa “veridicità”
dell'esperienza emotiva e relazionale online, è importante fare una considerazione circa
le conseguenze relazionali sperimentabili sul web. La relazione online è spesso
appagante, o persino più appagante, della relazione nella vita quotidiana, soprattutto
quando l'utente ha difficoltà emotive e/o relazionali (e.g., Lee, 2009). Del resto, è
evidente il rischio che l'interazione online possa sostituire del tutto l'incontro con l'altro
nel mondo reale. Ciò è particolarmente vero per i cosiddetti “nativi digitali”, che in
Italia corrispondono ai ragazzi nati alla fine degli anni '90 e che si caratterizzano per
essere totalmente immersi nella realtà virtuale, fino a considerarla un'estensione della
propria sfera sociale (Ferri, 2011).
2.2 Aspetti attrattivi della rete
Malgrado le generazioni più giovani siano più facilmente predisposte all'uso del
web, poiché sono a stretto contatto con le nuove tecnologie già dalle primissime fasi
dello sviluppo, tutti gli utenti possono essere “affascinati” dalla rete. Nardone e Cagnoni
(2002) individuano alcune motivazioni dell'attrattiva esercitata dal web anche su utenti
alle prime armi:
è estremamente socializzante: una delle operazioni più semplici nel mondo
virtuale è entrare in contatto con gli altri, in modo diverso dal solito;
la comunicazione online è informale e non presenta le caratteristiche che di
solito inibiscono le persone nell'interazione faccia a faccia;
il controllo delle impressioni dell'altro è facilitata dall'anonimato, dalle diverse
modalità di presentazione di sé messe a disposizione dalla rete e dalle conseguenti
idealizzazioni;
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la possibilità di osservare l'altro, senza interagire, ma diventando testimoni delle
idee, sentimenti e interazioni degli altri utenti.
Ad oggi, il dibattito psicologico circa la pericolosità o meno dell'uso di Internet a
fini comunicativi e sociali è ancora aperto. Secondo la teoria del disimpegno
(Henderson, Zimbardo e Graham, 2002), Internet facilita la comunicazione, ma alle
spese del coinvolgimento nelle relazioni quotidiane. Al contrario, secondo la teoria della
stimolazione (Valkenburg e Peter, 2007) costituisce una risorsa di arricchimento sociorelazionale. L'arricchimento può essere duplice: secondo l'ipotesi rich-get-richer, gli
strumenti di comunicazione messi a disposizione dal web incrementano le competenze
sociali degli utenti che hanno già alti livelli di funzionamento sociale; secondo l'ipotesi
della social compensation, gli stessi strumenti virtuali possono aiutare soggetti con
scarse risorse sociali a migliorare il proprio adattamento.
2.3 Uso patologico di Internet
È evidente che la ricerca circa gli effetti dell'uso di Internet sul funzionamento e
sull'adattamento psicologico richieda ulteriori approfondimenti, che differenzino le
conseguenze del web a seconda delle caratteristiche demografiche, personali e culturali
degli utenti. Malgrado ciò, la letteratura è concorde nel differenziare l'uso sano dall'uso
patologico di Internet (Davis, 2001).
Secondo Davis (2001), l'utilizzo sano di Internet prevede l'impiego del web per
scopi definiti, perseguiti in un lasso di tempo ragionevole considerate le condizioni
dell'utente, e il riconoscimento da parte dell'utente della differenza tra la comunicazione
reale e quella mediata da pc, senza che egli assuma una personalità o un'identità diversa.
L'utilizzo patologico (Pathological Internet Use, PIU), invece, può essere generalizzato
o specifico. L'utilizzo generalizzato riguarda un sovrautilizzo del web ed è associato alla
perdita di tempo online, senza un obiettivo preciso. È una forma disfunzionale spesso
associata al contesto sociale dell'individuo, caratterizzato da isolamento o assenza di
supporto. L'uso patologico specifico è invece tipico di coloro che sviluppano
comportamenti disfunzionali nei confronti di specifiche funzioni e attività online (ad es.,
gioco d'azzardo, shopping, informazioni, ecc.): secondo Davis (2001) queste forme di
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dipendenza sono specifiche per il contenuto, e non per la modalità con cui viene
perseguito l'oggetto, perciò esisterebbero a prescindere dall'uso del web. Come sarà
descritto in seguito (si veda il capitolo 2), il DSM 5 (2013) evidenzia, invece, la
specificità dell'uso patologico di Internet, anche in riferimento ad attività particolari, pur
non considerandolo una diagnosi vera e propria. Il contributo teorico di Davis (2001) è
la prima teoria cognitivo-comportamentale sull'uso disfunzionale del web. Secondo
l'autore infatti il PIU è dovuto alla presenza di pensieri disfunzionali automatici, del tipo
'Vado bene solo su Internet' o 'L'unico posto in cui mi rispettano è Internet'. In generale,
si tratta di pensieri distorti e generalizzati, in cui si attribuiscono caratteristiche positive
al web e negative a se stessi. Dal punto di vista formale, i pensieri automatici sono di tre
tipi (Beck, 1967; Davis, 2001): generalizzazioni (un pensiero relativo all'esito negativo
di un evento specifico è generalizzato come legge universale), catastrofizzazioni
(convinzione che ogni azione, evento o situazione personali avrà esito negativo e
totalizzante), tutto-o-nulla (pensiero dicotomico). A queste cause prossimali, se ne
aggiungono almeno due distali: la psicopatologia pregressa e l'uso stesso di Internet, o
di specifiche tecnologie reperibili online, che fungono da catalizzatori (Davis, 2001).
2.4 Modello ACE: Accessibilità, Controllo, Eccitazione
Alcuni anni prima della pubblicazione del modello di Davis (2001), la Young
(1998a) proponeva un modello dei fattori facilitanti l'uso patologico di Internet, il
modello ACE: Accessibility, Control, Excitement. Il fattore Accessibilità si riferisce alla
facilità di accesso ai servizi e alle funzioni di Internet, in modo da gratificare in tempi
molto brevi diversi tipi di bisogni; il fattore Controllo si riferisce alla percezione di
avere molto controllo su ciò che accade e ciò che si può realizzare mediante le attività
online; il fattore Eccitazione si riferisce alla grande quantità di stimoli e di emozioni
messi a disposizione sul web, che aumentano i livelli di coinvolgimento cognitivo ed
emotivo dell'utente. Il modello della Young è stato successivamente applicato anche a
10
componenti più specifiche dell'uso patologico del web, come il cybersesso (Young,
Griffin-Shelley, Cooper, O'mara, Buchanan, 2000). In generale, l'autrice (Young, 1998b)
sostiene che il fattore discriminante tra l'uso sano e l'uso patologico del web non siano
tanto la durata e le finalità della connessione, come affermato da Davis (2001), quanto
le conseguenze a livello del funzionamento personale, sociale e lavorativo dell'utente.
Chi utilizza Internet in modo eccessivo e disfunzionale subisce problemi di diverso tipo:
relazionale, in termini di riduzione del tempo dedicato ai propri cari, alle mansioni
familiari, alla sostituzione delle relazioni offline con quelle online; lavorativo/scolastico,
in termini di bassa attenzione e bassa performance nei contesti lavorativi e rispetto agli
impegni scolastici; rispetto alla salute, in termini di problemi fisici (alterazione del ciclo
sonno-veglia, irregolarità dei pasti, mal di schiena, problemi agli occhi, alle
articolazioni delle mani e mal di testa); e finanziari, quando le attività perseguite
dall'utente prevedano l'uso di risorse monetarie, come acquisto di contenuti, gioco
d'azzardo o shopping e aste online.
2.5 Altri modelli cognitivo-comportamentali
Un altro modello cognitivo-comportamentale più recente è il modello di Douglas
e colleghi (Douglas, Mills, Niang, Stepchenkova, Byun, Ruffini et al., 2008), secondo
cui è possibile isolare tre tipi di fattori interagenti che determinano l'uso patologico di
Internet: antecedenti, che comprendono aspetti legati al web (vivere in un ambiente
ricco di interfacce che consentono l'accesso al web, essere utenti esperti) e alla vita
personale (non sentirsi compresi o integrati nel contesto sociale di riferimento, avere
poca stima di sé); motivazionali (definiti push factors), che riguardano la sensazione di
rilassamento e riduzione dello stress associata all'uso del web); di attrazione (definiti
pull factors), che riguardano il facile accesso ad attività attrattive ed eccitanti, a
informazioni e a interazioni sociali una volta in rete. Secondo gli autori gli antecedenti e
le caratteristiche personali che predispongono alla psicopatologia influenzano i fattori
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motivazionali, che a loro volta sono legati agli effetti negativi dell'uso patologico del
web. I fattori di attrazione interverrebbero invece sulla relazione tra gli aspetti
motivazionali e le conseguenze negative.
2.6 Trance dissociativa da videoterminale
In generale, i modelli cognitivi e comportamentali dell'uso patologico del web
individuano nella dipendenza (della quale si tratterà estensivamente nel cap. 2) l'esito
più frequente della disfunzione. A questa visione se ne può affiancare un'altra, di natura
più psicodinamica, secondo cui una possibile conseguenza psicopatologica dell'uso del
web è la Trance dissociativa da videoterminale (Caretti, 2000; 2001). Secondo Caretti
(2000; 2001) l'uso eccessivo delle nuove tecnologie può portare a una forma di
dissociazione, con relativa alterazione dello stato di coscienza, depersonalizzazione e
perdita del senso di sé. L'esperienza vissuta dal soggetto online sarebbe quindi simile al
sogno, ed è assimilabile all'esperienza onirica proprio per la perdita del controllo sulle
attività, sullo scorrere del tempo e delle situazioni esterne alla realtà virtuale, e su di sé.
Ovviamente, pur essendo proposta come una diagnosi a sé stante, la trance involontaria
prodotta dall'uso di strumenti tecnologici è associata alla dipendenza o comunque all'uso
eccessivo e patologico di Internet (Cantelmi & Grifo, 2002). Cantelmi e Grifo (2002)
propongono un modello che integra le due diagnosi, descrivendo gli esiti patologici
dell'uso eccessivo di Internet secondo tre livelli evolutivi: la dipendenza, la regressione
e la dissociazione. Il livello di dipendenza è caratterizzato da: ipercoinvolgimento
ritualistico con il pc e le applicazioni/funzioni; relazione ossessivo-compulsiva con la
realtà virtuale; tendenza a “sognare ad occhi aperti” in risposta a situazioni e relazioni
appartenenti al mondo offline; vergogna (consapevole o meno) come emozione
prevalente rispetto all'idea di sé; tendenze fobiche rispetto alla vita sociale. Il livello di
regressione è caratterizzato dalla tendenza al ritiro come meccanismo di difesa: il
soggetto in questo stadio evolutivo, infatti, presenta ritiro fantastico nel mondo online,
sia rispetto alle relazioni sociali, attraverso la costruzione di relazioni immaginarie, che
compensano un mondo oggettuale povero, sia rispetto ad eventi stressanti nella vita
quotidiana. Infine, il livello dissociativo è caratterizzato da labilità dei confini dell'Io,
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dispersione del Sè, e diffusione dell'identità, con conseguente depersonalizzazione, la
quale, a seconda del livello di gravità, può andare da un senso di estraniamento e
distacco egodistonico a una vera e propria perdita del contatto con se stessi.
2.7 Psicopatologia web-mediata
Più recentemente, Tonioni (2013) ha ripreso il tema della dissociazione in
relazione all'uso patologico di Internet, presentando i meccanismi dissociativi come il
ponte nel gap generazionale degli utenti del web. Come descritto dalle indagini ISTAT
(si veda il par. 1.1.), bambini, adolescenti e adulti utilizzano internet in misura diversa e
con diverse finalità. Malgrado questo, Tonioni (2013) sottolinea come entrambi tendano
a distaccarsi dalla realtà e perdere il senso del tempo in seguito a prolungate ore di
connessione. Uno dei principali vantaggi del lavoro dell'autore è l'aver individuato una
serie di associazioni tra la dissociazione dovuta alle tecnologie e la cosiddetta
“psicopatologia web-mediata” (Tonioni, 2013, p. 141), ovvero l'insieme delle alterazioni
cognitive manifestate dagli utenti in seguito all'uso eccessivo del web. Alcuni studi (ad
es., Small, Moody, Siddarth, & Bookheimer, 2009) hanno mostrato che l'uso delle
nuove tecnologie aumenta l'attività neurale di alcune aree della corteccia correlate ai
processi decisionali e al ragionamento. In generale, qualsiasi tipo di strumento usato per
analizzare, creare e manipolare le informazioni interagisce con i circuiti neurali, in virtù
della neuroplasticità cerebrale, vale a dire la capacità del cervello di modificare
connessioni, circuiti e livelli di attività a seconda dei processi di adattamento
all'ambiente che mettiamo in atto quotidianamente (Carr, 2011). Ad oggi, la ricerca ha
individuato cinque funzioni psicologiche le cui attività sono influenzate dall'uso delle
nuove tecnologie: percezione, attenzione, memoria, pensiero e istintualità. Per quanto
riguarda la percezione, è evidente che il web costituisca una continua fonte di
stimolazione sensoriale, soprattutto dal punto di vista visivo e uditivo, a scapito dei
sistemi sensoriali chimici (gusto e olfatto) e del tatto. In particolare, l'uso di videogiochi
online sembrerebbe aumentare la percezione visiva e le relative capacità attentive
(Green e Bavelier, 2003; 2006), sviluppando nei bambini e negli adolescenti abilità di
elaborazione visiva tipiche dell'età adulta (Dye, Green e Bavelier, 2009). E' necessario,
13
però, tener conto che tutti gli studi sono basati su compiti percettivi al pc: i giocatori
mostrano abilità maggiori in ambienti virtuali, ma non nella vita offline (Richardson,
Powers & Bousquet, 2011). Per quanto riguarda l'attenzione, la struttura e le
caratteristiche di Internet offrono molte occasioni di distrazione: ad esempio, nel leggere
una pagina web non si crea la sensazione di assorbimento tipica della lettura di un libro,
data dalla concentrazione continua, ma un assorbimento differente, dato dalla
distrazione continua (Tonioni, 2013). La lettura, infatti, è più veloce e ha un andamento
“saltatorio” (Tapscott, 2008), con un tipico schema di lettura F, in cui le persone
leggono le prime due-tre righe di testo per intero, e poi prestano attenzione solo alla
parte sinistra dello schermo, scegliendo le righe da leggere in modo causale (Tonioni,
2013). Gli effetti dell'uso del web sull'attenzione interessano anche le abilità di
multitasking, cioè la capacità di dividere le risorse attentive tra compiti digitali
contemporanei. È stato dimostrato che il multitasking aumenta con l'aumentare dell'uso
delle nuove tecnologie, benché a spese dell'efficacia dell'apprendimento e delle effettive
capacità di concentrazione (Ophir, Nass e Wagner, 2009). Per quanto riguarda la
memoria, è stato dimostrato che il web riduce le capacità di memoria a lungo termine,
ostacolando la formazione dei ricordi, e grava, invece, sulla memoria di lavoro (Carr,
2011). Anche le attività di pensiero e ragionamento sono fortemente influenzate dalle
attività sul web. L'uso delle nuove tecnologie interrompe il pensiero lineare (la capacità
di proseguire da un'argomentazione all'altra secondo una sequenza logica), riduce il
pensiero inconscio (ovvero l'elaborazione non volontaria delle informazioni) e il
pensiero critico, riduce le possibilità immaginative, fornendo contenuti già
predeterminati e aumenta il pensiero paranoide in soggetti già predisposti a
interpretazioni non realistiche della relazione con l'altro (Bos, Dijksterhuis e Van
Baaren, 2008; De Stefano e LeFevre, 2007; Tonioni, 2013). Infine, Internet influenza
l'istintualità, fornendo a persone inibite nella vita offline uno spazio in cui mostrare più
apertamente istinti aggressivi e sessuali, aumentando i livelli di disinibizione
comportamentale e riducendo la capacità di percepire i propri bisogni interni (Wallace,
2000).
Come riportato da Tonioni (2013), nel corso degli ultimi anni le denominazioni
delle patologie legate all'uso eccessivo di internet sono state diverse: Internet addiction
disorder (Goldberg, 1996), Internet Dependency (Scherer, 1997), Cyber addiction
14
(Orzack e Orzack, 1999), Uso compulsivo del computer (Black et al., 1999), Uso
patologico di Internet (Davis, 2001), Uso problematico di internet (Caplan, 2003),
Unregulated internet usage (LaRose, Lin e Eastin, 2003). Le diverse denominazioni
dipendono fondamentalmente dalle diverse descrizioni del disturbo e dallo scarto tra i
sintomi e le comorbilità riportate dai pazienti e il riconoscimento da parte della
comunità scientifica di una denominazione comune, a partire dalla quale individuare un
fenomeno psicologico e sociale in rapida espansione. La stessa Associazione
Psichiatrica Americana (APA) non ha inserito una diagnosi ufficiale nella quinta
edizione del DSM 5 (Diagnostic Statistics Manual of Mental Disorders; APA, 2013),
pur considerando l'impatto di Internet sulla vita quotidiana e le potenziali conseguenze
psicopatologiche. La diagnosi di Dipendenza da Internet è in qualche modo considerata
nella Sezione III del DSM 5 sotto la denominazione “Internet Gaming Disorders”
(Dipendenza da giochi in rete), in quanto si ritiene che la maggior parte della letteratura
attuale stia enucleando un gruppo di sintomi prevalentemente riferiti al gioco online e
tipici della popolazione di giovani adulti asiatici (APA, 2013). La Sezione III del
Manuale contiene una serie di proposte diagnostiche, rispetto alla quali si incoraggia la
comunità scientifica a proseguire con le ricerche e la definizione della sintomatologia,
in modo da definire più chiaramente se sia possibile formulare una vera e propria
diagnosi.
Malgrado l'assenza di una definizione univoca e di una serie di criteri diagnostici
universalmente riconosciuti, la dipendenza da Internet e gli altri quadri patologici ad
essa correlabili, almeno da un punto di vista fenomenologico, rimangono un fenomeno
psicosociale di estrema rilevanza. Per questo motivo, il capitolo successivo
approfondisce le caratteristiche della dipendenza da Internet e dei fenomeni associati,
gli aspetti in comune con la dipendenza da sostanze e le possibili forme di intervento ad
oggi individuate dalla comunità scientifica.
15
Capitolo 2
Dipendenze da psicotecnologie
2.1.
Le nuove dipendenze comportamentali
Definire il confine tra un comportamento normale e uno che indica dipendenza
comportamentale non è sempre semplice (Cantelmi, Lambiase, 2010), malgrado ciò, è
possibile individuare alcuni aspetti in comune tra la dipendenza comportamentale e la
dipendenza da sostanze, che consentono di individuare le forme di comportamento
patologico con maggiore precisione. Secondo Cantelmi e Lambiase (2010) sono cinque
le caratteristiche distintive del comportamento di dipendenza: fantasie ossessive circa il
comportamento dipendente, fallimento nel tentativo di controllare i comportamenti
dipendenti, ricerca reiterata e ricorsiva dei comportamenti dipendenti nonostante le
conseguenze negative, conseguenze negative collegate ai comportamenti dipendenti,
craving. È interessante notare come queste caratteristiche siano identiche ai criteri per
diagnosticare le dipendenze da sostanze nel DSM-5 (APA, 2013). Oltre queste
caratteristiche, gli autori ne individuano altre, che non devono necessariamente essere
presenti ai fini della diagnosi di dipendenza, ma sono spesso associate alle dipendenze
comportamentali, e forniscono molte informazioni circa la gravità del comportamento:
la centralità (l'importanza eccessiva attribuita dal soggetto al comportamento
dipendente); la pervasività (la presenza del comportamento dipendente in tutti gli ambiti
di vita del soggetto); la presenza di comportamenti autodistruttivi o rischiosi; la
dipendenza fisica (presenza di sintomi di astinenza o di tolleranza); la segretezza
(spesso i propri comportamenti dipendenti sono tenuti nascosti, per evitare il giudizio o
l'intervento degli altri); la negazione delle conseguenze negative dovute al
comportamento dipendente; la contraddizione dei propri principi e dei propri valori in
funzione del raggiungimento del comportamento dipendente.
Considerata la pervasività dell'utilizzo delle nuove tecnologie nella vita quotidiana, l'uso
stesso di Internet, ma anche alcune specifiche attività effettuabili online, assumono
spesso le caratteristiche di dipendenza descritte da Cantelmi e Lambiase, come
16
affermato da Griffith, che nel 1997 riconduce alcune caratteristiche delle dipendenze
tecnologiche all'insieme dei sintomi tipici delle dipendenze comportamentali:
pervasività, alterazioni del tono dell’umore legati all'uso delle tecnologie, tolleranza,
astinenza, conflitto con le persone care a causa della dipendenza da tecnologie, tendenza
a ricominciare l'attività dopo averla interrotta. Nell'ambito delle dipendenze
tecnologiche, la dipendenza da internet e da alcune delle attività ad esso correlato hanno
ricevuto particolare attenzione in ambito psicologico.
2.2.
Internet addiction
Il primo autore ad occuparsi della dipendenza comportamentale in relazione a
Internet (Internet Addiction Disorder, IAD) fu Goldberg (1995), il quale individuò
alcuni sintomi specifici della dipendenza:

Bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere
soddisfazione;

Marcata riduzione d’interesse per altre attività che non siano Internet
(centralità);

Sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso di Internet, di sintomi
d'astinenza, come agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi
su cosa accade online;

Necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più
prolungati rispetto all’intenzione iniziale (tolleranza);

Impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet;

Dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate al web;

Continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici,
sociali, lavorativi o psicologici provocati dal web.
Malgrado la definizione di comportamenti e sintomi specifici operata da
Goldberg risalga ormai a 20 anni fa, il dibattito intorno all'effettiva natura della
dipendenza da Internet è ancora aperto. Secondo alcuni autori parlare di disturbo da
dipendenza da internet, o comunque di conseguenze negative e patologiche legate
17
all'uso del web è pericoloso dal punto di vista sociale, oltre che confusionale ai fini della
diagnosi. Anche per la dipendenza da internet, infatti, c'è una difficoltà di distinzione tra
l'uso normale, l'uso eccessivo e la dipendenza dal comportamento d'uso del web (La
Barbera, Cannizzaro, 2008). Secondo altri autori, le conseguenze negative dovute
all'uso di Internet sono reali e misurabili. Ad esempio, Brenner, ritiene che conseguenze
come l'incapacità di gestire il
proprio tempo, la perdita del ritmo sonno-veglia e
l'alterazione dello stimolo della fame siano delle conseguenze fisiologiche di un uso
eccessivo del PC; la Young (1996), invece, confrontando soggetti dipendenti e non
dipendenti da Internet rispetto alle conseguenze dell'uso del web, ha sottolineato che chi
non è dipendente dalla rete non riporta conseguenze negative o alterazioni della vita
quotidiana, sotto alcun punto di vista, mentre chi usa il web in modo dipendente
presenta alterazioni nei comportamenti, nella socialità, nella capacità cognitive. Un
aspetto che, infatti, secondo la Young distingue in modo molto chiaro chi usa
eccessivamente internet da chi è dipendente dalla rete sono proprio le conseguenze:
secondo la Young non è possibile utilizzare il criteri dell'eccessivo tempo speso online
come caratteristica principale della dipendenza dal web, in quanto non tutte le persone
che usano eccessivamente internet riportano conseguenze negative. Queste conseguenze
sono state classificate dalla Young in quattro categorie: 1) l'ambito relazionale e
familiare
(diminuizione
del
tempo
da
dedicare
alle
persone
significative;
allontanamento dalla vita relazionale offline; trascuratezza nelle amicizie e nei rapporti
familiari; problemi coniugali, spesso dovuti all'instaurarsi di relazioni online); 2)
l'ambito lavorativo e scolastico (poca attenzione a questioni lavorative e scolastiche;
eccessiva stanchezza dovuta ai collegamenti notturni e quindi alle ridotte ore di sonno;
basso rendimento); 3) l'ambito della salute (disturbi del sonno, irregolarità dei pasti,
scarsa cura del corpo, mal di schiena, stanchezza agli occhi, mal di testa, sindrome del
Tunnel Carpale); 4) l'ambito finanziario (soprattutto in caso di online shopping
addiction o gambling online, oppure dell'uso di siti che richiedono un accesso a
pagamento).
Tra gli autori che sostengono la possibilità di definire caratteristiche e criteri diagnostici
della dipendenza da Internet, inoltre, Block (2008) definisce lo IAD come un disturbo
compulsivo-impulsivo, e gli riconosce tutti gli aspetti individuati da Goldberg.
18
Anche la Young (1996) ha individuato, oltre alle conseguenze nella vita quotidiana del
dipendente, alcuni aspetti che ne caratterizzano la condotta, e completano la descrizione
effettuata da Goldberg. Secondo l'autrice, una persona dipendente da Internet dovrebbe
presentare almeno quattro dei seguenti comportamenti o caratteristiche, nel corso
dell'ultimo anno:

Essere mentalmente assorbito da Internet

Avvertire il bisogno di utilizzare Internet sempre più a lungo per sentirsi
soddisfatto

Essere incapace di controllare il proprio utilizzo della rete

Sentirsi inquieto o irritabile mentre si tenta di ridurre o interrompere l'utilizzo di
Internet

Utilizzare Internet come mezzo per fuggire dai problemi o per alleviare il senso
di abbandono, impotenza, colpa, ansia o depressione

Mentire ai familiari o agli amici per nascondere il proprio grado di interesse per
la rete

Avere messo a repentaglio o aver rischiato di perdere una relazione significativa,
il lavoro o opportunità di studio o di lavoro a causa di Internet

Tornare in rete anche dopo aver speso grandi somme di denaro per i
collegamenti

Mettere in atto delle forme di ritiro dalla realtà sociale offline, con stati
depressivi o ansiosi mentre si è a contatto con gli altri

Rimanere collegati più a lungo di quanto si era programmato all'inizio.
Lo studio delle conseguenze patologiche della dipendenza dal web ha portato
anche all'individuazione di altri disturbi, spesso associati allo IAD, come conseguenze o
antecedenti della dipendenza: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo da uso di
sostanze, disturbi di personalità, quadri misti con intense componenti di ansia
relazionale e condotte di evitamento sociale (La Barbera, 2001). In base alla presenza o
all'assenza di distubi in compresenza con lo IAD, Cantelmi e colleghi (2000)
distinguono due tipi di “retomani”, con e senza patologia pregressa. La differenza
fondamentale sarebbe nel significato assunto dall'uso della rete: mentre nel caso di
pazienti con altri disturbi che diventano dipendenti da Internet, il significato dell'uso di
19
internet dipende anche dall'altra patologia presentata, nel caso dei soggetti con sola
dipendenza da Internet, sono le stesse caratteristiche di Internet a innescare la patologia,
che, secondo gli autori, è legata soprattutto a una sensazione di onnipotenza data dalla
mole di informazioni e attività che si possono condurre online.
Oltre ai disturbi psicologici in comorbilità, sono state individuate caratteristiche
di personalità tipiche del dipendente da Internet, come alta novelty seeking e alta
sensation seeking (Cloninger, 1987), ovvero alti livelli di ricerca continua di situazioni
nuove e di stimoli emotivi e sensoriali forti, associati a comportamenti rischiosi,
finalizzati a superare sensazioni di vuoto e noia; forte senso di vuoto e solitudine; tratti
ossessivo-compulsivi; tendenza al ritiro e all'inibizione sociale; difficoltà affettive, come
instabilità emotiva e basso controllo delle emozioni; locus of control interno, ovvero
convinzione di potersi “immergere” nella rete pur mantenendo un controllo totale su di
essa (La Barbera, Cannizzaro, 2008). Altri aspetti, che non riguardano la personalità
dell'utente web, ma piuttosto il suo contesto psicosociale, e sono associati al rischio di
sviluppare IAD sono: alti livelli di informatizzazione (per via di percorsi di formazione
o del lavoro svolto), lo svolgere lavori notturni o in luoghi geograficamente isolati, la
presenza di situazioni ambientali sfavorevoli (ad es., burnout,
solitudine,
disoccupazione, problemi con il partner) (La Barbera, Cannizzaro, 2008).
Molte
delle
caratteristiche
descritte
sono
comuni
alle
dipendenze
comportamentali derivanti dall'uso di Internet, ma specifiche per determinate attività o
finalità. L'insieme di queste dipendente è stato definito da Cantelmi, Talli, Del Miglio e
D'Andrea (2000) Internet Related Psychopathology (IRP), e comprende:
 Cybersex Addiction
 Online Compulsive Gambling
 Online Shopping Addiction
 Information Overload Addiction
I paragrafi successivi descriveranno nello specifico le caratteristiche di queste
quattro patologie derivanti dalla dipendenza dal web.
20
2.3.
Cybersex addiction
La spinta sessuale costituisce una pulsione fondamentale nella vita umana:
l'associazione tra questa spinta e l'uso del web è spesso giustificata dalla facilità con cui,
per alcune tipologie di persone, Internet fornisce occasioni di soddisfare e gratificare la
pulsione stessa (Tonioni, 2013). La dipendenza da comportamenti sessuali online
interessa le cosiddette Online Sexual Activities (Doring, 2009), ovvero l'insieme delle
attività sessuali e delle relative applicazioni realizzate e fruite su Internet, come la
ricerca di informazioni sul sesso e la sessualità (per fini preventivi, conoscitivi e/o
educativi), la ricerca di partner sessuali, l'uso di materiale pornografico, l'acquisto di
materiale erotico dai sexy shop. Nello specifico, la cybersex addiction interessa il
cybersex, ovvero l'uso di Internet, da parte di due o più persone, al fine di ottenere
piacere e/o gratificazione sessuale. Le modalità di scambio possono andare dallo
scambio di mail, alla videochat, allo scambio di filmati. Rientra nella categoria del
cybersesso anche il cyberporn, ovvero la fruizione solitaria di materiale sessuale online
(Tonioni, 2013). Copper (e colleghi, 1999) hanno studiato le tipologie di utenti web
interssati al cybersesso, individuandone tre:
1. i recreational user: sono gli utenti “ricreativi”, che ricercano e utilizzano questo
tipo di materiale sono occasionalmente o per curiosità;
2. i sexual-compulsive user: sono gli utenti compulsivi, che non possono fare a
meno di utilizzare il web in questo modo, e spesso presentano comportamenti
sessuali patologici anche offline;
3. gli at-risk user: sono utenti che rischiano di diventare dipendenti dal cybersesso.
Alcuni anni dopo, queste tre tipologie sono state ricondotte a 2 categorie più generiche
(Carnes et al., 2001):
1. i ricreativi, caratterizzati dall’assenza di compulsioni e di problemi nel'area
relazione e/o sessuale della vita offline;
2. i problematici, caratterizzati da uso compulsivo, e difficoltà relazionali e/o
sessuali, manifestate prima dell'uso di Internet a fini sessuali, o in seguito ad
esso.
21
Allo scopo di spiegare cosa spinga gli utenti web ad impegnarsi in attività
sessuali online, la Young nel 2000 ha proposto un adeguamento del modello ACE alla
dipendenza dal cybersesso. Mentre il modello originario spiegava la generica
dipendenza dal web come dovuta all'Accessibilità al web stesso, al Controllo percepito
dall'utente mentre naviga e all'Eccitazione data dall'attività online, il modello applicato
al cybersex presenta tre nuovi fattori:
1. L’anonimato (Anonimity): è possibile ingaggiarsi in attività sessuali online
usando un nickname, un avatar, o comunque senza mostrare il proprio volto –
questo mantiene una certa segretezza del comportamento di dipendenza e
aumenta la disinibizione;
2. La convenienza (Convenience): è possibile contattare diversi tipi di partner, o di
svolgere online diversi tipi di attività sessuale, anche in contemporanea;
3. La fuga (Escape): attraverso la rete, è possibile fuggire dalla vita di tutti i giorni
e dai suoi problemi o difficoltà, relazionali e non.
Carnes e colleghi (2001) individuano altri due aspetti: l'isolamento e la fantasia.
Secondo gli autori i due aspetti sono fortemente legati tra loro: stare lontani dal mondo
offline, infatti, permette di mettere in atto qualsiasi tipo di fantasia, sia rispetto al
presentarsi all'altro descrivendosi come si preferisce ( e quindi “fingendo” di essere
qualcun altro anche con se stessi), sia rispetto all'attività sessuale in sé e per sé (pur non
dovendo affrontare i rischi delle attività sessuali offline, come le malattie sessualmente
trasmissibili o sensazioni di vergogna o inadeguatezza).
Quando le attività sessuali praticate su internet diventano compulsive e sfuggono
al controllo del soggetto, al punto di determinare conseguenze negative nella sua vita, si
parla di dipendenza da cybersesso (Tonioni, 2013). Questa dipendenza può interessare il
solo materiale pornografico online, fruito in solitudine (porno-dipendenza), o attività
sessuali online, legate alla ricerca di relazioni virtuali (dipendenza da sesso online)
(Ferree, 2003). Dal punto di vista psicologico, la distinzione tra la dipendenza solitaria e
quella “condivisa” nella ricerca di una relazione online è fondamentale: mentre nel
primo caso l'altro rimane solo nella fantasia, nel senso che può essere immaginato come
si preferisce, nel secondo il contesto è interattivo, l'altro è effettivamente esistente
22
dall'altra parte dello schermo, e interagisce in qualche modo con l'utente, e con le sue
fantasie. Inoltre, mentre nel primo caso la soddisfazione della pulsione sessuale è
immediata, nel secondo richiede una forma di “mediazione” con l'altro, e quindi la
gratificazione è differita.
Ad oggi, non si ha a disposizione una lista di veri e propri criteri che descrivano
la dipendenza da sesso online. Tonioni (2013) fornisce però una lista degli aspetti che ad
oggi sembrano condivisi dalla maggior parte degli studi sulla cybersex addiction:

l’incapacità di evitare il comportamento sessuale online nonostante si conoscano
le conseguenze negative che ha sulla propria vita, a livello sociale (aumento dei
problemi relazionali e dell'isolamento), scolastico e lavorativo (peggioramento
delle prestazioni);

il tempo che dedicato alle attività sessuali online, che solitamente cresce nel
tempo, riducendo il coinvolgimento del soggetto nella vita offline;

l’intensità dei comportamenti;

il significato e il ruolo attribuiti al comportamento sessuale nella vita della
persona (sia online che offline): spesso gli utenti dipendenti dal cybersesso
tolgono importanza e tempo alle relazioni sessuali offline, con ripercussioni non
solo sullo stato delle proprie relazioni sentimentali, ma anche sulla salute
psicosessuale;

l’eventuale presenza di disturbi preesistenti e concomitanti, quali disturbi
d’ansia,
disturbi
dell’umore,
disturbo
ossessivo-compulsivo,
disturbo
narcisistico di personalità, deficit dell’attenzione e dipendenza da alcol.
Schwartz e Southern (2000) hanno riportato che spesso questi utenti hanno una
storia di abuso sessuale.
Un altro elemento fondamentale nella comprensione del comportamento di dipendenza
dal cybersesso è il genere del dipendente: sono state descritte svariate differenze nel tipo
di comportamento sessuale agito nel corso di cybersex addiction a seconda che l'utente
sia uomo o donna. In generale, questo tipo di dipendenza è più comune nel sesso
maschile, che sceglie più frequente il cyberporn rispetto al cybersex, diversamente dalle
donne (Ferree, 2003; Tonioni, 2013).
23
2.4.
Online compulsive gambling
Nell'ultima edizione del DSM, la American Psychological Association (APA,
2013) ha riconosciuto il gambling online come unica dipendenza da comportamento
online definita da criteri e caratteristiche chiari. Nello specifico, secondo il DSM 5 il
disturbo da gioco su Internet è una modalità di eccessivo e prolungato gioco su Internet
che risulta in un insieme di sintomi cognitivi e comportamentali, tra cui la progressiva
perdita di controllo sul gioco, la tolleranza e i sintomi di astinenza analoghi ai sintomi
presenti nei disturbi da uso di sostanze.
Il gioco d'azzardo patologico indica generalmente una forma di dipendenza
comportamentale, in cui il soggetto dovrebbe essere caratterizzato da almeno cinque dei
dieci aspetti indicati dal DSM (APA, 2000):
1. È eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (per es. il soggetto è
continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o
pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per procurarsi
denaro con cui giocare).
2. Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo
stato di eccitazione desiderato.
3. Ha ripetutamente tentato di ridurre, controllare o interrompere il gioco
d’azzardo, ma senza successo.
4. È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco
d’azzardo.
5. Gioca d’azzardo per sfuggire problemi o per alleviare un umore disforico (per
es. sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione).
6. Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora
(rincorrendo le proprie perdite).
7. Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare
l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo.
8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione
indebita per finanziare il gioco d’azzardo.
24
9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure
opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo.
10. Fa affidamento sugli altri per reperire il denaro per alleviare una situazione
economica disperata causata dal gioco (una “operazione di salvataggio”).
Il gioco d'azzardo patologico è associato ad altri disturbi, come il disturbo
depressivo maggiore, quello bipolare, i disturbi di personalità, i disturbi d’ansia, i
disturbi correlati a sostanze, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi da deficit
dell’attenzione (Whelan et al., 2010), alessitimia (Toneatto et al., 2009) e ideazione
suicidiaria o tentativo di suicidio (Balestrieri et al., 2007).
A seconda delle motivazioni, dell'intensità e delle caratteristiche del gicoo
d'azzardo, si possono distinguere quattro categorie di giocatori (Tonioni, 2013):
1. il giocatore sociale, che gioca per divertirsi o per rilassarsi, riesce a controllare la
propria attività di gioco, e non ha conseguenze nella propria vita relazionale o
scolastica/lavorativa a causa del gioco d'azzardo;
2. il giocatore problematico, che usa il gioco come mezzo attraverso cui
raggiungere un certo stato di eccitazione, ed è pronto ad usare qualsiasi mezzo,
anche illegale, pur di mettersi nelle condizioni di giocare
3. il giocatore patologico “leggero”, che presenta una malattia psichiatrica, di cui il
gioco d'azzardo diventa un sintomo
4. il giocatore dipendente, che ha sviluppato una vera e propria dipendenza nei
confronti del gioco, che a sua volta può presentarsi in comorbidità con altri
disturbi.
Nel gioco d’azzardo online tutte le caratteristiche descritte finora si combinano
con altri aspetti, tipici del contesto online: si tratta perciò di una dipendenza da attività
di gioco di vario tipo, disponibili a distanza, attraverso strumenti tecnologici. Anche nel
caso del gambling online valgono le osservazioni fatte in precedenza a proposito di altre
forme di dipendenza comportamentale online, circa la possibilità di evasione dai
problemi e dalle difficoltà quotidiane, l'assenza di relazione nel corso delle attività
online, l'ingente dispendio di tempo passato online a giocare (Tonioni, 2013).
25
Diversamente rispetto al gioco d'azzardo offline, quello online è disponibile a tutti, a
qualsiasi ora del giorno, in qualsiasi luogo. Griffiths (2003) ha riassunto le
caratteristiche peculiari del gambling online in tre aspetti: l’anonimato del giocatore
(anonymity), la prossimità del gioco (proximity), ovvero la possibilità di poter giocare
in qualsiasi luogo, e l’illusione di controllo (sense of control). Di fatto, queste tre
caratteristiche aumentano la probabilità che il giocatore incorra non solo in una forma di
dipendenza comportamentale, ma anche in problemi finannziari, in modo più semplice e
veloce rispetto al gambling offline. Inoltre, diversamente rispetto ai giochi offline, quelli
online sono immediati, non hanno momenti di attesa o di incertezza (ad esempio,
aspettare che le carte siano mischiate o distribuite), e
sono giochi anonimi,
decontestualizzati e ad alta soglia d'accesso (non ci sono effettivi impedimenti
anagrafici) (Croce, 2001). Il gioco d'azzardo online si differenzia da quello offline anche
per il tipo di disturbi concomitanti: nel caso del gambling online infatti si tratta di
disturbo di personalità dipendente, evitante e ossessivo-compulsiva, mentre i disturbi
borderline, narcisistico, antisociale e istrionico sono più frequenti in giocatori offline.
Inoltre, i gamblers online presentano delle distorsioni cognitive specifiche, quali
pensieri ossessivi, pensieri prevalenti, superstizioni e comportamenti rituali.
2.5.
Online shopping addiction
La dipendenza da shopping online fa capo a una più generale categoria di
comportamento d'acquisto disregolato (Rose e Dhandayudham, 2014), che comprende
tre comportamenti d'acquisto: impulsivo, compulsivo, e dipendente. In tutti e tre i casi
si tratta di comportamenti associati a un meccanismo di ricompensa, come in tutte le
dipendenze comportamentali, legato a una sensazione di piacere, alla riduzione di stress
o ansia o alla riduzione di generiche sensazioni spiacevoli e negative (ad esempio, un
senso di ridotta autostima), durante o dopo l'acquisto, L'acquisto compulsivo offline è
spesso associato ad altri disturbi, quali disturbi dell'umore, disturbi alimentari, disturbo
ossessivo-compulsivo, dipendenza da sostanze e disturbi di personalità (Lejoyeux &
Weinstein, 2010).
26
Ad oggi, le ricerche circa i comportamenti di dipendenza da shopping online
sono molto poco frequenti, e non fanno capo a riferimenti teorici comuni. Secondo Rose
e Dhandayudham (2014), la dipendenza da shopping online sarebbe riconducibile a una
serie di caratteristiche, di cui alcune rientrano nelle categorie e nei fenomeni appena
descritti e altre appartengono allo specifico contesto online. Nello specifico, al primo
gruppo appartengono il genere femminile, i bassi livelli di autostima (che risultano
“mitigati” dal comportamento stesso di acquisto), i bassi livelli di autoregolazione del
comportamento e delle emozioni (manifestati in tutti i comportamenti compulsivi e/o di
dipendenza), un generico stato affettivo negativo (associato tanto al meccanismo di
ricompensa messo in atto nei comportamenti di dipendenza quanto all'uso patologico di
Internet); al secondo gruppo appartengono il divertimento (associato non solo al
meccanismo di ricompensa tipico delle dipendenze comportamentali, ma anche alle
sensazioni di piacere legate all'uso del web), l'anonimato (diversamente dallo shopping
nella vita reale, che prevede necessariamente l'interazione con gli altri) e l'alta
stimolazione cognitiva (data dalla quantità di prodotti tra cui scegliere, e che aumenta lo
stato di eccitazione psicofisica dell'utente).
2.6.
Information overload addiction
Il termine Information Overload indica il sovraccarico cognitivo da eccesso di
informazioni sul web. Per sovraccarico cognitivo si intende sia l'effetto che l'enorme
quantità di informazioni a cui si può accedere sul web ha sulle abilità percettive e
cognitive, sia l'effetto “emotivo” della ricerca e del ritrovamento delle informazioni che
si stavano cercando, sotto forma di entusiasmo. La Young (2000) parla dell'information
overload come di un fast food informativo, in cui si possono ottenere informazioni
velocemente, ma si rischia di rimanere “appesantiti” dalla loro quantità. Di fatto, la
sensazione più frequente quando si entra a contatto con la mole di informazioni
disponibili online è la sopraffazione, ed è legata principalmente al fatto che la velocità
con cui le informazioni sono percepite è troppo alta perchè possano essere processate o
utilizzate in modo efficace. È, di fatto, una forma di stress psicologico, dovuta alla
sensazione di non riuscire a fronteggiare gli stimoli con cui si entra a contatto.
27
Ovviamente, esistono forme di information overload dovute a contesti offline, ma
l'ambiente web costituisce di per sé un fattore di rischio.
Nello specifico, l'information overload online è dovuto all'insieme delle
transazioni di informazioni e comunicazioni mediate dalle tecnologie (Misra e Stokols,
2011). Esempi di queste transizioni sono le e-mail, i messaggi, i documenti allegati, le
informazioni cercate online, le comunicazioni sui forum, e così via. Lo “stress” consiste
nella necessità di gestire, organizzare e conservare in qualche modo queste informazioni
per poterle utilizzare o quanto meno comprendere. La gestione, l'organizzazione e la
conservazione delle informazioni richiede una certa esperienza nel portare a termine una
serie di operazioni, come ad esempio aggiornare i software dei dispositivi tecnologici
utilizzati o sincronizzare diversi indirizzi mail o profili sui social network in modo da
potervi accedere da qualsiasi dispositivo, in qualsiasi momento. Una comune
conseguenza dell'effetto dell'information overload è la dimenticanza: chi soffre di stress
da sovraccarico cognitivo spesso dimentica di rispondere a comunicazioni importanti
perchè esse vanno “perse” nel flusso di informazioni generale o nelle azioni di
multitasking che una tale mole di stimoli richiede.
L'information overload diventa una dipendenza quando la ricerca di
informazioni online assume le caratteristiche di un comportamento compulsivo,
diventando sempre più pervasivo, tanto che il soggetto spende sempre più tempo
cercando informazioni e organizzando i dati provenienti dal web.
Misra e Stokols (2011) hanno condotto una ricerca sugli effetti dell'information
overload sulla salute fisica e psicologica, mostrando che non solo chi era in information
overload percepiva livelli di stress più alti, ma anche la sua salute fisica era peggiore, a
prescindere da età, genere e presenza o meno di eventi di vita stressanti negli ultimi sei
mesi. Inoltre, questi soggetti riportavano di passare meno tempo in attività
contemplative, come la riflessione su se stessi,. Gli effetti negativi dell'information
overload risultavano mitigati solo in soggetti con alti livelli di sensation seeking, in
quanto essi sembrano più in grado di gestire percettivamente e cognitivamente le
informazioni provenienti dal web (ma anche lo stress in generale).
Complessivamente, la ricerca mostra che alti livelli di information overload dovuti
all'uso del web può influenzare la salute fisica e psicologica degli utenti, sia in
28
riferimento alle capacità cognitive e di concentrazione, sia rispetto allo stato di
benessere generale.
2.7.
Terapie e interventi di prevenzione
La quantità di diagnosi, fenomeni e problematiche provenienti dallo studio
dell'uso patologico del web è in continuo aumento. Come è stato descritto, la maggior
parte delle dipendenze tecnologiche non gode, ad oggi, di una descrizione ufficiale e
condivisa, né di criteri che ne consentano una facile individuazione. Malgrado ciò, in
tutti i casi gli utenti che si ingaggiano ripetutamente e pervasivamente in attività online
mostrano conseguenze negative per il benessere psicologico, ma anche per la vita
sociale, scolastica e lavorativa. Diventa quindi di fondamentale importanza individuare
delle strategie di intervento efficaci, allo scopo di ridurre l'incidenza di questi
comportamenti.
In linea di massima, gli interventi a disposizione per la dipendenza da web sono
gli stessi utilizzati nel trattamento della dipendenza da sostanza o comportamentale. In
generale, si possono individuare quattro tipi di intervento: il gruppo di autoaiuto, i
Dodici passi, il couseling terapeutico, la psicoterapia individuale. La formula del gruppo
di autoaiuto è molto comune negli Stati Uniti, dove sono presenti forme di associazione
a fini terapeutici in cui si organizzano incontri di gruppo sia online che offline. Il
percorso dei Dodici Passi mutua dal programma per dipendenti da sostanze alcoliche i
principi e le modalità di fronteggiamento della dipendenza da web. Il counseling
terapeutico è una forma di intervento finalizzata ad aiutare il soggetto a comprendere
quali siano le motivazioni che spingono all'uso massiccio e pervasivo di internet, allo
scopo di comprendere il proprio comprotamento e motivare al cambiamento. La
psicoterapia individuale è la forma di intervento più indicata ed efficace nel caso di
comorbilità tra la dipendenza da web e altre patologie pregresse, soprattutto allo scopo
di comprendere quale ruolo e significato assuma internet nel contesto del disturbo
precedente. A queste quattro tecniche se ne può aggiungere una quinta, le strategie di
disintossicazione, che nascono appositamente per rispondere alla dipendenza da
internet, e fanno capo a modelli terapeutici di tipo cognitivo-comportamentale.
29
Tra le forme di intervento psicologico, il modello cognitivo-comportamentale
risulta uno dei modelli più efficaci nel trattamento della dipendenza da internet,
soprattutto se prendiamo come riferimento i modelli cognitivo-comportamentali di
spiegazione dell'uso patologico di internet. Le tecniche cognitivo-comportamentali,
infatti, consentono di rispondere ad alcuni sintomi peculiari della dipendenza, come
l'insieme di ossessioni e compulsioni legate all'uso dei dispositivi tecnologici.
Una tecnica di intervento che fa capo a questo modello terapeutico ed è stata
esplicitamente ideata per rispondere alla dipendenza da Internet è quella creata dalla
Young (2004; 2007), la quale si pone come obiettivo finale della terapia non la totale
sospensione dell'uso di Internet (che non sarebbe possibile né realistico, considerato il
ruolo del web nella vita quotidiana), ma il suo uso ordinato e controllato, finalizzato a
obiettivi specifici e limitato nel tempo. I mezzi principali della terapia sarebbero quindi
una serie di strategie e tecniche di riformulazione dell'uso di internet, più
l'individuazione con il paziente di attività alternative che gli consentano di recuperare il
piacere della vita offline. La durata dell'intervento è solitamente di 3 mesi, o comunque
di 12 sessioni di terapia, configurandosi come una tecnica particolarmente breve, seppur
efficace.
Complessivamente, le tecniche più comuni usate nella terapia per la
dipendenza da Internet sono: gli esercizi comportamentali, le prove comportamentali, la
desensibilizzazione, le tecniche di rilassamento, di self-management, e il training di
abilità sociali.
Le prime fasi della terapia richiedono una vera e propria analisi
comportamentale dell'insieme delle azioni che il soggetto mette in atto in relazione a
internet: in questa fase si chiede al soggetto di definire in tutti gli aspetti il
comportamento di dipendenza, pur tenendo conto di possibili omissioni o alterazioni
consapevoli nelle descrizioni. Oggetto delle descrizioni sono solitamente la durata della
connessione, la sua frequenza settimanale e giornaliera, i momenti della giornata in cui
ci si connette, il luogo in cui si usa il computer, le attività svolte online (in termini di
frequenza, durata, ecc...), l'importanza relativa di ogni attività svolta, gli aspetti positivi
e negativi di ogni attività. A questi aspetti “descrittivi”, se ne aggiungono altri, legati
alle credenze che il soggetto ha rispetto al proprio comportamento di dipendenza. Ad
esempio, si chiede al soggetto quale percezioni abbia del proprio problema, quali effetti
30
crede che esso abbia sulla sua vita quotidiana, quali sono le cose che vorrebbe fare una
volta risolta la dipendenza, e che ora non può fare e per quale motivo si sia rivolto al
terapeuta proprio in quel momento della sua vita. Le ultime due domande sono
particolarmente importanti, in quanto forniscono informazioni circa la motivazione che
spinge l'individuo a cambiare, o quanto meno a cercare di farlo, e circa eventuali
pressioni sociali ricevute ai fini dell'abbandono del comportamento di dipendenza.
Inoltre, si raccolgono informazioni circa l'emersione del comportamento di dipendenza,
per comprendere se ci siano stati eventi scatenanti, e circa elementi o altre
attività/sintomi che secondo il soggetto possono rinforzare il comportamento di uso
patologico del web, come la presenza di altre persone, o l'uso di sostanze.
Dopo questa prima fase di raccolta delle informazioni, si procede con gli interventi
comportamentali. Inizialmente, non si pongono limiti al paziente per l'utilizzo di
internet: man mano che si procede con le sedute, gli si prescrive di ridurre il numero di
ore settimanali trascorse online, spesso individuando fasce orarie o giorni della
settimana specifici durante i quali è consentito o meno utilizzare il web.
La definizione di orari e giorni specifici dà al paziente la possibilità di sentirsi padrone
dell'uso del web, e non viceversa, come spesso accade in chi si rende conto di essere in
una condizione di dipendenza. Un'altra strategia comportamentale spesso utilizzata è la
pratica dell'opposto: è una forma di differimento della gratificazione legata all'uso del
web. Una volta ottenute informazioni circa le abitudini d'uso di internet, si propone al
soggetto di sostituire la navigazione online con un'altra attività, dopo la quale sarà
possibile connettersi. Un'ulteriore tecnica sono le carte promemoria: si chiede al
paziente di scrivere cinque problemi legati all'uso patologico di internet e cinque
vantaggi che otterrebbe se cambiasse il proprio modo di usarlo. Gli si chiede poi di
portare sempre con sé le carte, per ricordarsi cosa sta cercando di evitare e cosa invece
desidererebbe raggiungere attraverso l'intervento. Inoltre, si insegna ai pazienti,
soprattutto in caso di dipendenze da specifiche attività online, di attivare i filtri per
bambini, che bloccano l'accesso a siti specifici (come siti a contenuto sessuale, o siti di
gioco d'azzardo). Un'ulteriore strategia è la sostituzione dei comportamenti di
dipendenza con altre attività che il paziente trova piacevoli.
Il percorso di riduzione dei comportamenti patologici e di sostituzione non è sempre in
discesa: molto spesso i pazienti mostrano reazioni depressive o instabilità emotiva. Per
31
evitare
che ciò accada, si può lavorare sulle risorse del paziente, ad esempio
sottolineando le caratteristiche di forza della sua personalità e spingendolo ad
impegnarsi in attività che gli permettano di esprimerle e coltivarle.
L'altra “dimensione” della terapia proposta dalla Young (2007) è di tipo
cognitivo: si dà molta importanza alle distorsioni cognitive presentate dal paziente,
soprattutto in relazione a pensieri e credenze negative dovute all'astinenza dall'uso del
web. La registrazione delle credenze è associata alla registrazione di stati d'animo ed
emozioni nel corso della giornata, e soprattutto in concomitanza con l'uso del web. Si
verifica quindi quali siano le sensazioni, le emozioni e le cognizioni che accompagnano
il soggetto prima, durante e dopo la connessione.
32
Capitolo 3
Conseguenze dell'utilizzo dei personal device
3.1.
Impatto dell'utilizzo dei personal device sulla vita quotidiana
Le nuove tecnologie hanno un impatto sempre maggiore sulla vita degli
individui. Ad esempio, in uno studio su 1.600 manager e professionisti, Leslie Perlow
(2012) ha mostrato che il 70% dei lavoratori controlla il telefonino nel giro di 1 ora dal
risveglio, il 56% lo fa anche un’ora prima di andare a dormire, il 48% nel weekend, il
51% durante le vacanze e il 44% afferma di esperire sensazioni di ansia incontrollabile
se perde il telefono e non può rimpiazzarlo in tempi brevi. Oltre ai professionisti e ai
manager, un’altra fascia di utenza molto sensibile all’utilizzo dello smartphone sono gli
adolescenti. In una recentissima ricerca del Telefono Azzurro in occasione del Safer
Internet Day, intitolata “Tempo del web. Adolescenti e genitori online” (2016) emerge
che Il 17% dei ragazzi intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e
social, 1 su 4 (25%) è sempre online, quasi 1 su 2 (45%) si connette più volte al giorno,
1 su 5 (21%) è afflitto da vamping, ovvero si sveglia durante la notte per controllare i
messaggi arrivati sul proprio cellulare. Infine, quasi 4 su 5 adolescenti (78%) chattano
continuamente su WhatsApp.
Un aspetto critico del continuo utilizzo dello smartphone durante la vita
quotidiana è la sensazione di ansia e agitazione associata all’impossibilità di accedere al
proprio dispositivo. Lo dimostra un recente studio di Clayton e colleghi (2015), secondo
cui allontanarsi dal proprio smartphone ridurrebbe il proprio livello di benessere
psicofisico. Gli autori analizzavano infatti quali effetti determinasse l’impossibilità a
rispondere al telefono, a livello del sé, delle capacità cognitive, dell’ansia e di alcuni
indicatori fisiologici. Lo studio prevedeva la partecipazione di 40 soggetti ad alcuni
compiti cognitivi: nel corso dei test, veniva fatto squillare il cellulare del partecipante,
che al momento non poteva rispondere. Analizzando gli effetti di questa
sovrapposizione di compiti (completare il test cognitivo vs. rispondere al telefono), i
ricercatori hanno visto che gli individui mostravano battito cardiaco più veloce,
33
pressione più alta, maggiore senso di fastidio e minori capacità cognitive quando non
potevano rispondere al telefono, rispetto a quando potevano completare il test senza
preoccuparsi dello smartphone.
A cosa sono dovuti fenomeni di questo tipo? Una prima valutazione riguarda
l’accessibilità (economica e sociale) delle nuove tecnologie: gli smartphone sono
accessibili a tutte le fasce d’età, a prescindere dallo status socioeconomico. Inoltre,
l’insieme delle caratteristiche tecniche e delle applicazioni implementate li ha resi in
breve tempo uno strumento fondamentale a cui si affidano parte delle funzioni
psicologiche e sociali che prima della diffusione capillare dello smartphone erano
affidate alla relazione offline. Come per internet (con cui spesso è integrato), lo
smartphone consente di ridurre le distanze nel tempo e nello spazio, trasforma i ritmi e
la qualità delle relazioni quotidiane, alimenta il bisogno di sentirsi vicino all’altro, con
un consistente rischio di violare le libertà e gli spazi personali dell’altro.
Da un punto di vista psicologico, come riportato da Aoki e Downes (2003),
l’attaccamento al proprio smartphone potrebbe risultare dalla multifunzionalità dei
dispositivi tecnologici personali, che consentono non solo di accedere facilmente a
molte informazioni, ma anche di interagire con gli altri e di sentirsi “al sicuro”. Un’altra
possibilità (Przybylski et al., 2013) è la “Fear of Missing Out” (FoMo, in italiano la
paura di perdersi qualcosa), secondo cui le persone tendono ad provare paura,
preoccupazione e ansia quando corrono il rischio di non essere a conoscenza o a
contatto con eventi, esperienze e conversazioni che interessano la propria cerchia
sociale.
Dal punto di vista psicologico, infatti, il telefonino ricopre almeno tre funzioni
psicosociali, con un notevole impatto nella vita personale (anche lavorativa/scolastica) e
relazionale: 1) regolare la distanza nella comunicazione e nella relazione in generale; 2)
gestire la solitudine e l’isolamento; 3) soddisfare il bisogno di controllo della realtà.
Per quanto riguarda la prima funzione, la regolazione della distanza relazionale, è ormai
percezione comune che l’uso del telefonino consenta, allo stesso tempo, di catalizzare e
filtrare le relazioni sociali. È la cosiddetta oralità scritta (Pozzi e Toscani, 2008), una
forma di comunicazione che assume in sé la riflessione, tipica della comunicazione
scritta, e l’immediatezza della comunicazione orale.
34
Se da un lato lo smartphone è un mezzo con cui entrare facilmente a contatto con l’altro,
dall’altro l’utilizzo di applicazioni che utilizzano prevalentemente messaggi di testo, o
messaggi audio “differiti” (come Whatsapp o Telegram) consentono di ridurre l’impatto
emotivo della comunicazione, di gestire la paura del rifiuto, o l’insicurezza relazionale.
Spesso il tipo di utilizzo che si fa dello smartphone dipende dall’età e dalla posizione
relazionale che si ricopre: ad esempio, mentre i genitori trovano nel telefonino un mezzo
“affidabile” di comunicazione potenzialmente costante con i propri figli, gli adolescenti
lo usano spesso come mezzo dietro cui nascondere le proprie paure relazionali nel
confronto con i pari (Carlini e Cozzolino, 2002). Sebbene l’uso moderato dello
smartphone per gestire le relazioni costituisca una strategia spesso funzionale al
mantenimento delle relazioni sociali e alla difesa dai propri timori di incontrare l’altro,
un rischio sostanziale della comunicazione telefonica è la pervasività. Quando lo
smartphone diventa l’unico mezzo di comunicazione e relazione, la comunicazione
mediata dalla tecnologia diventa l’unica forma di comunicazione reale, fino a sostituire
del tutto la relazione offline, a discapito delle abilità sociali ed emotive e dell’autenticità
della proprie relazioni. L’oralità scritta, infatti, è fatta di un linguaggio sintetico, ridotto
e sommario, che rischia di pendere il sopravvento nelle funzioni cognitive ed emotive,
soprattutto in individui in età evolutiva.
Un altro forte rischio riguarda la percezione di sé e dell’altro, e la sua alterazione
in conseguenza dell’uso massiccio delle tecnologie. Privilegiare la relazione mediata da
smartphone implica il rischio di idealizzare il destinatario della comunicazione, in virtù
di meccanismi di proiezione dei propri desideri sulla comunicazione scritta e mediata
dal telefono; allo stesso modo, è possibile gestire le impressioni dell’altro rispetto alla
propria personalità, ai propri pregi e difetti, modulando attentamente tempi, modi e
contenuti della comunicazione mediata da smartphone (Di Gregorio, 2003). Il terzo
rischio associato a questa funzione è l’assenza di un incontro fisico tra chi comunica: in
questo modo, le relazioni finiscono per rimanere nella sfera mentale ed emotiva,
tralasciando al funzione del corpo, come limite e mezzo della relazione con l’altro.
Infine, la catalizzazione delle relazioni mediate da smartphone nasconde un
ultimo rischio: il distacco emotivo improvviso e repentino, mediato dal blocco o
dall’eliminazione di un contatto sul telefonino o dalla cancellazione di un’applicazione,
a discapito sia della relazione in generale che dell’insieme di riflessioni e considerazioni
35
su se stessi e sull’altro che caratterizzano, invece, la relazione faccia a faccia (Di
Gregorio, 2003).
La seconda funzione psicologica espletata dallo smartphone è la gestione della
solitudine e dell’isolamento relazionale, tanto da costituire un vero e proprio
antidepressivo o ansiolitico tecnologico. Simbolicamente, il telefonino rappresenta la
presenza dell’altro, anche se in realtà l’altro non è fisicamente presente nella propria
quotidianità. Allo stesso modo, spegnere il cellulare assume simbolicamente una
funzione di allontanamento dalle relazioni, ma anche una potente riduzione delle proprie
abilità relazionali (Di Gregorio, 2003; Guerreschi, 2005). Considerati studi come quello
di Aoki e Downes (2003), Clayton e colleghi (2015) e Przybylski e colleghi (2013), è
evidente che il cellulare contribuisca al mantenimento della condizione di benessere
degli utenti e alla soddisfazione di alcuni bisogni relazionali. È quindi possibile
rintracciare un investimento affettivo, un attaccamento al telefonino, che dà l’illusione
di essere costantemente connessi e in relazione con l’altro, e impedisce di comprendere
e sperimentare, significare ed elaborare sentimenti di mancanza, distacco relazionale,
lutto. Questo tipo di funzionamento è particolarmente rischioso per gli adolescenti, che
affrontano una fase della vita centrale per la costruzione delle abilità relazionali
confondendo costantemente la realtà relazionale pubblica e condivisa (social network)
con quella privata e intima (Guerreschi, 2005). Come indicato da Erikson (1994), la
distinzione tra le due sfere è fondamentale per la strutturazione dell’identità
psicosociale.
La terza e ultima funzione è il controllo della realtà: l’insieme di applicazioni
disponibili sui cellulari dà l’illusione di essere onnipresenti, di poter controllare le
attività proprie e altrui. Anche in questo caso, i rischi associati a questa funzione sono
più consistenti nel caso di individui in età adolescenziale, a causa della possibilità che i
ragazzi apprendano a gestire le relazioni solo attraverso un medium tecnologico: questa
modalità relazionale riduce sia la capacità di rinviare la soddisfazione dei bisogni (saper
gestire la lontananza e il distacco relazionale), sia il potenziale creativo e di coping
(fantasia, immagine interiore dell’altro) che si sviluppa nell’attesa che l’altro risponda
alla propria richiesta di relazione (Guerreschi, 2005).
36
Come descritto, i soggetti più a rischio di sviluppare comportamenti
disfunzionali o di mostrare traiettorie di sviluppo atipico sono gli adolescenti e i giovani
adulti. Nel 2007, Torrecillas ha svolto una ricerca sul campo con giovani adulti tra i 18 e
i 25 anni, mostrando che i soggetti maggiormente a rischio presentano bassi livelli di
autostima e alti livelli di problemi relazionali e sociali, che ritrovano nell’uso dello
smartphone una forte stimolazione cognitiva ed emotiva, e considerano le altre attività
ricreative fonte di noia. Alla fascia di età tra l’adolescenza e la giovane età adulta si
aggiunge il rischio dei bambini nella primissima infanzia. Nel 2012, la casa di software
e antivirus AVG, ha realizzato una ricerca tra i suoi utenti a proposito dell’utilizzo di
tablet e smartphone in bambini sotto i 6 anni presenti in famiglia. Oltre il 50% degli
utenti ha riportato che bambini tra 2 e 5 anni in famiglia sapeva utilizzare il tablet per
giocare a un videogame di livello base. Ad un’età così ridotta, il rischio non sta tanto
nella capacità di approcciarsi a smartphone e tablet in modo efficace, quanto nelle
conseguenze fisiche e psicologiche originate dall’uso massiccio della nuova
tecnologica, Tra le conseguenze fisiche si può considerare, ad esempio, un consistente
affaticamento della vista o uno sviluppo non corretto del linguaggio, mentre tra le
conseguenze psicologiche è doveroso considerare il rischio di confusione, in bambini
molto piccoli, tra la realtà virtuale e quella offline, e il relativo isolamento sociale e
psicologico che ne deriva.
3.2.
Dipendenza da telefonino
La dipendenza da telefonino è detta Nomophobia (No-mobile phobia) e indica la
paura patologica, l’ansia o il discomfort provenienti dall’impossibilità di stare a contatto
con un mezzo tecnologico (King et al., 2013). È quindi connessa alla paura di non
essere informati su ciò che accade nella propria sfera sociale (più o meno allargata) e al
timore di non essere costantemente rintracciabili. Con gradi differenti, la dipendenza da
telefonino può interessare la maggior parte della società: Di Gregorio (2003), infatti, la
considera una dipendenza che si autoalimenta a partire dalle abitudini quotidiane. Lo ha
dimostrato una ricerca del Codacons del 2001, che ha verificato gli effetti
dell’allontanamento dal cellulare sulla salute fisica e psichica degli utenti. La ricerca è
37
stata effettuata su 300 volontari (150 uomini e 150 donne), di età compresa tra i 20 e i
60 anni, residenti in diverse località italiane. I partecipanti hanno acconsentito ad
privarsi del cellulare per 15 giorni. Dalle osservazioni dei comportamenti dei volontari,
riferite da persone a loro vicine (parenti, amici, fidanzati), è emerso che oltre il 70% di
loro ha modificato il proprio comportamento in funzione dell’assenza del telefonino. Di
questi, il 35% ha mostrato tic nervosi, come mettersi continuamente le mani in tasca,
guardare spesso l’orologio, cercare il telefonino ogni volta che si sentiva uno squillo. Il
75% dei partecipanti che ha mostrato tic di natura nervosa era costituito da liberi
professionisti e studenti, mentre il restante 25% era formato da dipendenti, pubblici o
privati. Il 15% del campione originario ha mostrato eccessiva irascibilità, perdeva le
staffe con più facilità, alzava la spesso la voce, litigava più spesso con persone care. Il
restante 10% ha mostrato una sintomatologia depressiva. Inoltre, 48 soggetti hanno
mostrato un’alterazione dei ritmi biologici ed emotivi consueti, mostrando tristezza,
noia, apatia, rifiuto riduzione del desiderio sessuale e della fame. In tutti i casi, i
cambiamenti evidenziati dalle persone vicine ai volontari erano considerati
significativamente diversi rispetto a prima dell’inizio della ricerca. È interessante notare
che i dati riportati dal Codacons presentano una netta tendenza di genere: il 70% dei
soggetti con difficoltà comportamentali in seguito alla separazione dal telefonino,
infatti, è di sesso maschile. Questo dato è coerente con alcune ricerche successive (e.g.,
Abbot, 2004), che mostrano come il fenomeno sia associato al genere maschile. Anche
in altri Paesi sono state condotte ricerche sul tema. In uno studio del 2008, l’ente di
ricerca britannico YouGov, in collaborazione con Post Office Telecom, ha analizzato la
dipendenza da telefonino in ragazzi tra i 18 e i 29 anni: dalla ricerca emerge che sei
ragazzi su dieci utilizzano il telefono anche quando sono a letto, e che il 53% di loro
presenta stati d’ansia quando ha la batteria scarica, il credito insufficiente o ha poca
copertura di rete. Anche in questo caso, è emersa una prevalenza maschile dell’ansia
dovuta alla possibile astinenza dall’utilizzo dello smartphone: circa il 58% dei
partecipanti con sintomi di dipendenza era di sesso maschile.
Come nel caso di altre dipendenze comportamentali, anche individui dipendenti
da nomofobia presentano tolleranza nei confronti dell’oggetto di dipendenza, cercando
di utilizzare il telefono sempre di più e per una gamma sempre più ampia di azioni e
funzioni, o non spegnendo mai il telefono, neanche nelle ore notturne; astinenza, come
38
mostrato, ad esempio, dalla ricerca del Codacons; abuso, come indicato, ad esempio,
dalla crescente sensazione di necessità associata al portare e usare lo smartphone anche
in luoghi in cui non è appropriato. Inoltre, Greenfield e Davis (2002) hanno mostrato
che la dipendenza da telefonino risponde anche alle caratteristiche biologiche tipiche
delle sindromi da dipendenza. Nello specifico, gli autori hanno studiato il livello di
produzione di dopamina (il neurotrasmettitore che regola la sensazione di piacere,
modulando l’attività del circuito di ricompensa) in utenti adulti, mostrando che ogni
volta che arriva una notifica sul telefono, i livelli di dopamina si alzano. In altre parole,
alla ricezione di una notifica, gli utenti mostrano una sensazione, biologicamente
mediata, di novità e sorpresa. La dopamina è anche il neurotrasmettitore che media il
meccanismo di dipendenza: il ciclo dopaminergico media quindi la costante sensazione
di ricerca di una nuova notifica, e i comportamenti di costante controllo delle
applicazioni e dei social network presenti sul cellulare (Greenfield e Davis, 2002).
Da un punto di vista generale, è difficile definire la dipendenza da telefonino dal
punto di vista quantitativo, soprattutto se si considera la quantità di attività e funzioni
che mettono a disposizione gli smartphone attualmente disponibili sul mercato.
Malgrado ciò, nel 2013, Karla Klein Murdock ha studiato la relazione tra la quantità di
sms inviati dal telefonino e alcuni indicatori di benessere psicofisico, come la qualità del
sonno, la gestione dello stress e i livelli di ansia. I partecipanti alla ricerca erano studenti
universitari: tra di loro, gli studenti che riportavano di inviare un’alta quantità di
messaggi riportavano livelli di disturbi del sonno più alti rispetto ai pari con livelli di
utilizzo del telefonino più bassi. I disturbi del sonno riportati erano di diverso tipo,
come problemi nell’addormentarsi, minore durata e qualità del sonno e maggiore
stanchezza durante il giorno. Inoltre, analizzando la relazione tra invio di messaggi e
benessere emotivo, Murdock ha mostrato che il numero di sms inviati correlava con la
povertà del riposo, la difficoltà nel gestire lo stress quotidiano, e l’ansia, soprattutto in
riferimento alla sensazione di essere obbligati a rispondere ai messaggi arrivati sul
telefono, anche di notte.
Di fatti, è possibile considerare alcuni sottotipi di dipendenza da smartphone: la
dipendenza da SMS, che ad oggi comprende anche la dipendenza da tutte le
applicazioni per smartphone che hanno come funzione principale la comunicazione
39
testuale, come Whatsapp e Telegram; i dipendenti dal nuovo modello, che, con un
comportamento simile a quello degli shopper compulsivi, acquistano continuamente
materiale tecnologico, mostrando una netta preferenza per modelli sempre nuovi di
smartphone – l’acquisto, in questo caso, ha una media di un nuovo telefono ogni cinque
mesi, e dipende dalla classe socio-economica di appartenenza; l’esibizionismo da
cellulare, propria di chi sceglie accuratamente il telefono sulla base di caratteristiche
estetiche, lo tiene spesso in mano e lo fa squillare a lungo prima di rispondere, sebbene
possa farlo in tempi più brevi; i game players, che considerano il proprio smartphone
una vera e propria console, ponendosi record di gioco sempre più avanzati; la sindrome
da cellulare acceso, propria di coloro che temono che il telefono possa spegnersi o che
sia spento, che hanno più batterie di scorta, e lasciano il telefono acceso anche di notte.
È evidente che spesso la dipendenza dal telefonino possa associarsi ad altre
dipendenze, di natura secondaria, come lo shopping compulsivo, la dipendenza affettiva
e la videomania. Queste ultime possono essere considerate conseguenza della
dipendenza da smartphone, soprattutto quando si manifestano in relazione all’utilizzo
della telefonia: ad esempio, acquistando compulsivamente telefonini, accessori e offerte
telefoniche, usando il telefono per controllare le persone con cui si hanno relazioni
strette, o per essere continuamente in contatto con loro, o usando il telefono come
mezzo per abusare di videogiochi o altre applicazioni.
Il fenomeno della nomofobia è quindi riconosciuto non solo dal punto di vista
psicosociale, ma anche clinico. Un gruppo di ricerca italiano (Bragazzi e Del Puente,
2014), infatti, aveva avanzato la proposta di inserire la dipendenza da telefonino nel
DSM 5 (APA, 2014), individuando nella nomofobia una sindrome caratterizzata da
ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un
telefono cellulare o un computer”, caratterizzata dai seguenti sintomi:
Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso;
Avere uno o più dispositivi;
Portare sempre un caricabatterie con sé per evitare che il cellulare si scarichi;
Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono
cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere
utilizzato a causa della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c’è
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mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto possibile, i luoghi e le
situazioni in cui è vietato l’uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti,
teatri e aeroporti);
Mantenere sempre il credito;
Dare a familiari e amici un numero alternativo di contatto e portando sempre con sé una
carta telefonica prepagata per effettuare chiamate di emergenza se il cellulare dovesse
rompersi o perdersi o, ancora, se venisse rubato;
Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate;
Controllare costantemente il livello di batteria del dispositivo per assicurarsi che non si
possa scaricare per eventuali operazioni importanti;
Mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno);
Dormire con cellulare o tablet a letto;
Utilizzare lo smartphone in posti poco pertinenti.
È interessare notare che gli autori stessi sottolineano che nessuno dei sintomi
riportati è un indicatore patologico assoluto, ma possono diventarlo se associati alla
paura sproporzionata di non riuscire a rimanere in contatto con la rete. In particolare,
Bragazzi e Del Puente (2014) pongono come importante campanello d’allarme il
riferimento
di
effetti
fisici
secondari
all’allontanamento
dal
telefonino,
o
all’impossibilità di usarlo, come ad esempio sintomi simili all’attacco di panico
(mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore
toracico, nausea).
Considerati i correlati biologici, le somiglianze con sintomi e caratteristiche
delle altre dipendenze comportamentali e i rischi correlati al funzionamento psicologico,
la nomofobia può essere considerata una vera e propria forma di dipendenza e, come
tale, necessita dell’individuazione di forme di trattamento efficaci. Se si considera la
nomofobia alla stregua dello IAD, allora il trattamento può essere considerato uniforme
con quello proposta per la dipendenza da internet. È quindi consigliato un trattamento
psicoterapeutico, che tenga conto non solo dei sintomi e della loro gestione o
eliminazione, ma anche delle motivazioni che spingono l’individuo a rifugiarsi in forme
di dipendenza in generale, e nella dipendenza da telefonino 8e ciò che rappresenta) nello
specifico.
41
3.3.
Dipendenza da videogiochi
Una delle motivazioni che spesso spinge gli utenti di smartphone ad utilizzare
sempre di più il proprio telefonino sono i videogiochi. Come riportato brevemente in
precedenza, l’utilizzo dello smartphone come vera e propria console è un
comportamento frequente nei soggetti, spesso adolescenti, che dipendono dai
videogames.
Un comportamento spesso riportato dagli utilizzatori di videogiochi è
l’eccessivo utilizzo dell’applicazione per un certo periodo, salvo poi perdere interesse
per gli scopi e gli obiettivi del gioco in questione. A partire dall’osservazione di questo
genere di fenomeni, alcuni autori (ad es., King et al., 2012) hanno ipotizzato che l’uso
eccessivo dei videogame non fosse un vero e proprio disturbo, ma, piuttosto, un modo,
adattivo, di analizzare e familiarizzare con stimoli nuovi e poco conosciuti, come
l’ultima applicazione lanciata sul mercato. Recentemente King e colleghi (2012) hanno
analizzato questo fenomeno in uno studio longitudinale su un campione di 393 giovani
adulti. La ricerca prevedeva tre tempi: si chiedeva ai partecipanti di compilare online un
questionario all’inizio della ricerca, dopo 6 mesi e dopo 18 mesi. Dei 393 partecipanti
iniziali, hanno compilato tutti i questionari richiesti nel corso dei 18 mesi 117 soggetti.
Il protocollo somministrato riguardava i dati sociodemografici e di utilizzo delle nuove
tecnologie per motivi di gioco, i livelli di depressione e ansia, i livelli di stress. Infine, si
chiedeva ai soggetti di classificarsi come giocatore problematico o come giocatore
“normale”, salvo poi verificare, sulla base di opportuni criteri, se le auto-classificazioni
fossero corrette. Trentasette utenti si sono definiti giocatori problematici e ottanta
giocatori normali: in tutti i casi, gli autori hanno considerato le autodiagnosi corrette,
dopo aver analizzato le abitudini d’uso e i rischi clinici connessi. Tutti i partecipanti, a
prescindere dalla categoria di appartenenza, mostrarono un calo significativo del
problema di dipendenza dal gioco nel corso dei 18 mesi, sa dal punto di vista
comportamentale che sintomatologico.
Malgrado questi dati, è bene considerare e
distinguere le situazioni al limite della dipendenza o francamente dipendenti, vale a dire
tutte quelle condizioni di utilizzo in cui gli utenti soffrono una riduzione del
funzionamento personale, sociale e lavorativo a causa dell’uso massiccio di videogiochi.
42
Allo scopo di distinguere condizioni patologiche di uso dei videogame,
Lemmens e colleghi (2009) hanno individuato sette sintomi di dipendenza, simili, come
per la dipendenza da telefonino, ai sintomi di altre dipendenze, comportamentali e non. I
sette sintomi sono:
 Salienza del comportamento di dipendenza: i videogame diventano l’attività più
importante e rilevante nel corso della giornata, fino a occupare costantemente
pensieri, sentimenti e comportamenti dell’utente, generandogli preoccupazione
(area cognitiva), desiderio (area emotiva) e uso eccessivo degli strumenti
tecnologici (area comportamentale).
1. Tolleranza nei confronti del comportamento di dipendenza: l’utente aumenta
gradualmente il tempo giornaliero allocato per il gioco virtuale. Inoltre, l’utente
ha la percezione che il tempo per giocare non sia mai abbastanza.
2. Bassa regolazione dell’umore: i videogiochi costituiscono, per l’utente, non solo
una fonte di euforia, ma anche un mezzo attraverso cui regolare le proprie
tristezze e il proprio stress, trovando evasione e distrazione dagli impegni
quotidiani.
3. Ritiro sociale: una conseguenza del ritiro dalla vita “offline” sono gli effetti
fisici e psicologici dovuti all’improvvisa interruzione o sospensione dell’uso dei
videogiochi, solitamente caratterizzati da agitazione, irritabilità e senso di
oppressione.
4. Ricaduta: è un comportamento tipico dei soggetti dipendenti, che ritornano su
schemi d’azione che comprendono la dipendenza dopo aver controllato o
eliminato per un periodo il comportamento patologico, in questo caso di gioco.
5. Conflitto: ci si riferisce, in questo caos, ai conflitti relazionali dovuti al gioco
eccessivo (ad esempio, i problemi disciplinari tra genitori e figli videogame
addicted, o problemi a lavoro per utenti dipendenti di età più avanzata)
6. Problemi: conseguenze negative nella vita privata, familiare, lavorativa o
scolastica in seguito e a causa della dipendenza da videogiochi e da telefonino.
Un esempio stringente del modo con cui i giochi “da smartphone” possano
influenzare in modo pervasivo la vita degli utenti è Pokemon Go, videogioco della
Nintendo, lanciato nell’estate 2016. Pokemon Go è un videogame di nuova generazione:
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non solo è ottimizzato per smartphone, ma sfrutta anche la cosiddetta realtà aumentata.
Per quanto riguarda la “portabilità”, è evidente che un gioco che funziona pienamente (e
soltanto) sullo smartphone, diventa onnipresente, accompagna l’utente sempre e
ovunque. Per quanto riguarda la realtà aumentata, ci si riferisce a un totale spostamento
del campo di gioco: non si gioca più in scenari virtuali, in due dimensioni, attraverso lo
schermo – al contrario, lo schermo diventa un mezzo con cui ricercare nella realtà vera
qualcosa di virtuale (un pokemon), con cui poter interagire come se fosse reale. Ma non
solo: su alcuni smartphone (di piattaforma Android), l’applicazione può interrompere
l’attività che stai svolgendo per avvisarti che c’è un Pokemon nelle vicinanze. Il
fenomeno è diventato in poco tempo virale, con ricerche di massa in luoghi molto
famosi (come il Central Park di New York, a luglio) per cercare creature rare da
catturare, incidenti stradali dovuti all’uso dell’applicazione e situazioni poco rispettose
di luoghi e contesti veri, come ospedali, campi di concentramento, stazioni di polizie,
cimiteri, in cui gli utenti entravano per cercare il proprio Pokemon di elezione. Come
riportato dal blog dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, uno degli aspetti più
preoccupanti della realtà aumentata, al di là delle manifestazioni grottesche e smodate di
alcuni giocatori, è la totale assenza di realtà: mentre la realtà virtuale, come mostrato nei
capitoli precedenti di questo lavoro, pur avendo sostanziali differenze, limitazioni e
risorse rispetto alla realtà vera, rimane un luogo ben definito, con caratteristiche
strutturali e funzionali proprie, la realtà aumentata è una condizione a metà tra un
mondo e l’altro, non pienamente virtuale e certamente non reale, del quale è necessario
studiare effetti e conseguenze.
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Conclusioni
Questo lavoro di tesi si proponeva di indagare i contributi teorici circa l'uso del
web e i fenomeni legati all'uso patologico dei nuovi media, sia nell'età dello sviluppo
che nell'età adulta, con particolare riferimento alle dipendenze comportamentali derivate
dall’uso di Internet e dei personal device. Come mostrato ampiamente nella trattazione,
il gap generazionale, evidenziato anche dai dati statistici a nostra disposizione,
sottolinea come i rischi (psicosociali e clinici) associati alle psicotecnologie siano
diversi a seconda dell’età dell’utente, in termini sia di possesso e accesso alle nuove
tecnologie, che di significati attribuiti al web e alle sue funzioni.
Tra i fenomeni psicosociali legati all’uso delle tecnologie, un fenomeno di
particolare interesse è la dipendenza comportamentale. Com’è stato descritto, non è
possibile, ad oggi, definire dei criteri diagnostici condivisi, soprattutto se si considerano
non solo le forme generiche di dipendenza dal web (Uso patologico di internet e Internet
addiction disorder), ma anche le sindromi specifiche che derivano dall’uso patologico di
alcune funzioni o attività tecnologicamente mediate (cybersex, shopping, telefonino,
gioco d’azzardo, videogiochi). Malgrado l'assenza di una definizione univoca e di una
serie di criteri diagnostici universalmente riconosciuti, la dipendenza da Internet e gli
altri quadri patologici ad essa correlabili, almeno da un punto di vista fenomenologico,
rimangono un fenomeno psicosociale di estrema rilevanza, che richiede una propria
sistematizzazione in termini diagnostici e di intervento.
Complessivamente, la tesi descrive l’uso di Internet e la dipendenza Internetcorrelata, evidenziandone l’impatto nella vita quotidiana, gli elementi di rischio
psicopatologico, e gli eventuali esiti nelle forme di dipendenza comportamentale. Si
evidenzia, in generale, una necessità non solo di approfondire la ricerca e lo studio delle
definizioni e dei quadri psicologici associati alle dipendenze, ma anche l’impatto,
positivo o negativo, che questi possono avere sulla vita quotidiana degli utenti, tenendo
conto delle differenze attribuibili ad alcune caratteristiche personali, come genere, età e
personalità.
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