Monetaristi-I - Università degli studi di Pavia

LA CONTRORIVOLUZIONE MONETARISTA
Il monetarismo ha rappresentato una scuola di pensiero radicalmente
opposta, sia nei postulati di base sia nelle conclusioni di politica economica, alla
New Economics. In effetti queste due scuole di pensiero contemporanee si sono
a lungo contese la supremazia ideologica e politica.
Il monetarismo deve il proprio nome al fatto di porsi in antitesi al
presupposto fiscalismo attribuito ai primi neokeynesiani e all’enfasi posta
sull’importanza fondamentale della moneta nel sistema economico. La scuola di
pensiero monetarista si identifica sostanzialmente con la posizione teorica del
suo leader, Milton Friedman.
Nell’attacco mosso dai monetaristi alle tesi della New Economics vengono
generalmente distinte due fasi:
 la prima ha per oggetto lo studio delle proprietà della AD ed è collocabile
nell’intervallo temporale compreso tra la metà degli anni ’50 e la fine degli
anni ’60;
 la seconda ha per oggetto lo studio delle caratteristiche della AS ed è
collocabile tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80.
PRIMA FASE
Nella prima fase della critica monetarista, l’oggetto del dibattito con i
neokeynesiani riguardava essenzialmente forma e caratteristiche della AD (e
quindi il modello IS-LM), nonché le proprietà dinamiche del sistema
macroeconomico.
1. Esistenza e stabilità dell’equilibrio. Il punto di partenza della teoria
monetarista è riconducibile alla riformulazione della Teoria quantitativa
della moneta, utilizzata da Friedman per ribaltare le prescrizioni di
politica economica dei neokeynesiani, con i quali pur condivide l’utilizzo
dello schema IS-LM. Le critiche di Friedman sono rivolte principalmente
alla Teoria Generale ad alle sue interpretazioni da parte di Hicks, Hansen
e Modigliani. In particolare, Friedman sostiene che le conclusioni di Keynes
sulla possibile esistenza teorica di un equilibrio di sottoccupazione sono
logicamente erronee. Se i prezzi sono perfettamente flessibili non può
persistere un equilibrio di sottoccupazione: shock della AD possono
provocare temporanei allontanamenti da Y*, ma i meccanismi automatici
riequilibratori evidenziati dalla teoria neoclassica sono in grado di
eliminare occasionali squilibri. Tali meccanismi non solo esistono, ma sono
anche potenti e rapidi. Con riferimento alla figura 1, qualora ci si trovi in
un temporaneo equilibrio keynesiano in cui Y<Y*, secondo le tesi
monetariste sul mercato del lavoro i salari e quindi i prezzi si riducono: la
1


domanda aggregata aumenta per i meccanismi di seguito esposti, per cui le
imprese sono indotte ad aumentare la produzione e quindi il reddito; si
assisterà dunque ad una diminuzione cumulativa di P e W fino al
raggiungimento di Y*. Gli effetti provocati da una variazione negativa nei
prezzi sono duplici:
da una parte aumenta l’offerta reale di moneta, per cui, come mostrato in
fig. 1, la LM si sposta verso destra (il cosiddetto “effetto Keynes”: il tasso
di interesse cala e quindi gli investimenti crescono);
dall’altra aumentano i saldi di cassa reali, e quindi la ricchezza, per cui la
IS si sposta verso destra (all’aumentare della ricchezza crescono i
consumi e quindi la domanda aggregata; l’effetto ricchezza sui consumi è in
generale denominato “effetto Pigou”; quando ci si limita, come per
Friedman, a considerare il particolare effetto ricchezza legato
all’incremento dell’offerta reale di moneta, si parla di “real balance
effect”).
Fig. 1. Pieno impiego e Real Balance Effect
IS’
i
IS
LM
LM’
Y*
Y
L’operare del real balance effect (reb) elimina il rischio di incorrere in una
eventuale trappola della liquidità, situazione in cui la LM risulta essere
completamente piatta, come mostra la fig. 2. Secondo Modigliani, in
effetti, l’esistenza di una trappola della liquidità avrebbe impedito al
sistema di libero mercato di ritornare automaticamente alla piena
occupazione. La considerazione del reb, invece, fa sì che, in seguito alla
2
deflazione, la IS continuerà a spostarsi verso destra fino al
raggiungimento del pieno impiego.
Dall’analisi macroeconomica risulta pertanto che non esistono difetti
fondamentali nel sistema di libero mercato, tali da generare una
disoccupazione persistente come risultato naturale del funzionamento del
sistema, almeno in una situazione in cui prezzi e salari sono pienamente
flessibili. Tale conclusione si presenta in perfetto accordo con il postulato
analitico fondamentale della scuola monetarista secondo cui la teoria
dell’equilibrio economico generale di Walras descrive correttamente la
natura dell’equilibrio di lungo periodo di un’economia di libero mercato: ogni
modello macroeconomico è un sottoinsieme del più completo modello di
equilibrio generale e non può mai essere in contraddizione con esso.
Vengono aprioristicamente accettate come vere le due proprietà
dell’analisi di equilibrio generale: ESISTENZA E STABILITA’. Non
soltanto nel sistema di libero mercato esiste una mano invisibile in grado di
conciliare le decisioni decentralizzate dei singoli agenti, ma la stessa mano
invisibile è continuamente al lavoro per assicurare un risultato di mercato
coerente e ottimale.
Fig. 2. Trappola della liquidità e real balance effect
IS’
i
IS’’
IS
LM
Y*
Y
2. Ruolo della moneta. Secondo Friedman la moneta ha caratteristiche
proprie ed è una delle tante possibili attività nelle quali i risparmiatori
possono detenere la loro ricchezza; essa quindi non è uno stretto sostituto
3
solamente delle attività finanziarie, ma è sostituto di qualsiasi attività
finanziaria o reale: gli individui decidono contemporaneamente come
allocare il proprio reddito tra consumo e risparmio e come investire la
propria ricchezza. Questa posizione si pone in netto contrasto con quanto
sostenuto da Keynes sul ruolo della moneta come scudo contro l’incertezza:
gli individui prima deciderebbero quanto consumare e quanto risparmiare e
poi sceglierebbero come allocare il risparmio tra moneta e titoli.
Le assunzioni monetariste circa le proprietà della moneta conducono ad
ipotizzare una bassa elasticità della scheda di domanda di liquidità ( Ld ) e,
conseguentemente, ad un LM piuttosto rigida. Inoltre, sebbene non vi siano
indicazioni precise al riguardo, vi è motivo di ritenere che la IS sia più piatta di
quanto ipotizzato dai keynesiani, in quanto si ritiene che gli investimenti siano
sensibili al tasso di interesse: una piccola riduzione del tasso di interesse
condurrà ad un ampio aumento degli investimenti, a motivo del fatto che le
imprese sostituiscono lavoro con capitale. Si ha così riprova della principale
assunzione monetarista sull’efficienza di un sistema di libero mercato: gli stimoli
di prezzo sono efficaci perché la domanda di ogni bene è elastica al suo prezzo.
Inoltre, con riferimento al consumo, e a differenza dei keynesiani, per i quali tale
componente della domanda aggregata dipende dal reddito corrente, secondo i
monetaristi il consumo dipende dal reddito permanente, costituito dal valore
attuale, al tasso di interesse corrente, di tutti i flussi di reddito previsti in
n
futuro. Avremo dunque C = C0 +cYp , dove Yp = 
e
Yt+k
k
k=0 (1+i)
. Data la definizione del
reddito permanente, il tasso di interesse finisce per influenzare anche le
decisioni di consumo.
In definitiva, quindi, secondo l’analisi monetarista, l’inclinazione relativa
delle curve IS-LM risulta rovesciata rispetto alle originarie indicazioni
neokeynesiane (fiscalismo). Ciò conduce a rilevanti conseguenze di politica
economica.

Eventuali fluttuazioni reali (spostamenti della IS) hanno scarsi
effetti sul reddito a causa della rigidità della LM, la quale determina
movimenti del tasso di interesse compensativi rispetto al disturbo
iniziale, come illustrato dalla figura 3. Ciò conduce anzitutto al
rafforzamento della convinzione del fatto che il settore privato
possieda al proprio interno elementi di stabilizzazione automatici che
rendono inutile l’intervento dello Stato. Risulta inoltre compromessa
l’efficacia della politica fiscale, strumento anticongiunturale favorito
dai fiscalisti keynesiani. In effetti come mostra ancora la fig. 3, il
crowding out connesso all’uso della politica fiscale è pressoché
completo. In realtà si verificano due distinti fenomeni di spiazzamento:
4
l’aumento della spesa pubblica produce infatti un aumento del tasso di
interesse che da una parte genera una caduta dell’investimento, e
dall’altra determina una riduzione della ricchezza finanziaria e quindi
dei consumi.
Fig. 3. Equilibrio IS-LM e crowding out
i
LM
IS’
IS
∆Y

Y
Eventuali fluttuazioni monetarie (spostamenti della LM) hanno
notevoli effetti sul reddito e sull’occupazione; tuttavia è importante
isolare correttamente le possibili fonti dell’instabilità finanziaria. In
effetti, a priori, shock monetari possono originare o da una variazione
della domanda di liquidità oppure da una variazione dell’offerta di
moneta. I due casi vanno analizzati ed affrontati separatamente.
1) Secondo Friedman gli shock alla domanda di moneta sono inesistenti
o irrilevanti, contrariamente alla tesi di Keynes secondo cui la
Ld sarebbe altamente instabile a causa della volatilità della
aspettative e, quindi, della preferenza per la liquidità. L’asserita
stabilità della Ld viene intesa dai monetaristi in due significati,
distinti, ma complementari: 1) si nega che si possano verificare
cambiamenti nelle aspettative tali da condurre a fluttuazioni
rilevanti della funzione Ld ; 2) pur considerando un limitato numero
di variabili, la Ld è ipotizzata stabile. In particolare, partendo dalla
formulazione generale della domanda di moneta (in cui per
5
semplicità si assume una elasticità unitaria rispetto al reddito
nominale (pY), abbiamo:
Ld  k(i, P, R, u, ω)pY
dove le nuove variabili introdotte hanno il seguente significato: u=
preferenze degli agenti, ω = rapporto tra capitale umano e capitale
non umano. I monetaristi asseriscono che la Ld è una funzione
stabile, sia nella formulazione generale sopra riportata, sia anche
qualora si consideri una serie più ristretta di variabili indipendenti,
riconducibili di fatto a i ed R, ovvero nella formulazione ristretta
Ld = k(i,R)pY . Se scostamenti di k dal suo valore medio sono piccoli e
casuali, lo stesso può dirsi per la velocità di circolazione della
moneta, essendo V=1/k. Poiché in equilibrio Ld = M, si ha anche
M=(1/V)pY, ovvero MV=pY: una velocità di circolazione della moneta
stabile implica un relazione stabile tra M e pY.
2) Esclusa la possibilità che il comportamento autonomo del settore
privato (fluttuazioni della Ld ) possa essere causa di instabilità
finanziaria, la conclusione che se ne deriva è che l’unica vera fonte
di instabilità di un sistema economico deve essere fatta risalire al
comportamento dell’offerta di moneta. Le variazioni di M s operate
dalle autorità monetarie hanno effetti rilevanti su Y non solo a
causa della pendenza relativa delle curve IS-LM, ma anche a causa
della natura più ampia del meccanismo di trasmissione degli impulsi
monetari, per cui bisogna considerare gli effetti di una variazione
dell’offerta di moneta sulla spesa non solo tramite il tasso di
interesse (effetto Keynes), ma anche attraverso i consumi (real
balance effect). In pratica, una variazione dell’offerta di moneta
determina un contemporaneo spostamento della LM e della IS.
Poiché la politica monetaria risulta particolarmente efficace
nell’influenzare il reddito, se ne potrebbe trarre l’implicazione che le autorità di
governo dovrebbero utilizzare la politica monetaria, invece della politica fiscale,
per operare il fine tuning dell’economia, suggerito dall’approccio neokeynesiano
alle politiche di stabilizzazione. Friedman nega tuttavia questa possibilità.
Anzitutto, il sistema di mercato possiede meccanismi riequilibratori automatici
forti e potenti che operano rapidamente in direzione stabilizzante. Inoltre il
funzionamento effettivo del sistema non è noto con certezza nel breve periodo.
Infine esistono ritardi di conoscenza e di operazione della politica monetaria,
lunghi e variabili, che impediscono di fatto una sua concreta e corretta
utilizzazione per scopi di controllo delle fluttuazioni della AD. Il fine tuning
ipotizzato dai keynesiani richiederebbe un bagaglio di conoscenze da parte della
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autorità più ampio di quello esistente. Diventa allora del tutto verosimile che una
politica monetaria disegnata in funzione anticiclica finisca per agire ex post in
maniera prociclica, cominciando a operare nella fase in cui il sistema ha già
reagito autonomamente agli shock esogeni (vedi fig. 4) e si sta riportando
rapidamente all’equilibrio naturale. Friedman conclude pertanto che la causa
primaria dell’instabilità deve essere ricercata nel comportamento del settore
pubblico rispetto alla creazione di moneta.
In definitiva, a differenza di quanto sostenuto dai neokeynesiani, per i
quali “l’economia di libero mercato ha bisogno di essere stabilizzata, può essere
stabilizzata e quindi deve esserlo”, per i monetaristi “non c’è necessità di
stabilizzare l’economia, non è possibile farlo e quindi non si deve farlo”, perché
con l’uso delle politiche di stabilizzazione sarebbe più probabile aumentare invece
di diminuire l’instabilità. Il suggerimento migliore per la gestione della politica
monetaria è dunque quello di sottrarre il controllo dell’offerta di moneta alla
Banca Centrale e attenersi alla regola del k%, ovvero alla regola secondo la quale
la quantità di moneta deve crescere annualmente ad un tasso percentuale k, pari
alla somma della crescita del reddito potenziale più un tasso di inflazione
ottimale (empiricamente prossimo a zero).
Fig. 4. Il ruolo prociclico della politica monetaria
Y
Dinamica del sistema in presenza
di intervento
Y*
Dinamica del sistema in assenza di
intervento
t
In seguito alle tesi di Friedman sorse un ampio dibattito sul
comportamento ottimale delle autorità di governo nei confronti della politica
7
economica, focalizzato intorno al tema dell’opportunità di adottare regole
precise o di seguire criteri di discrezionalità.
In particolare, secondo Friedman, la stabilità del sistema privato,
l’ignoranza del funzionamento effettivo del sistema da parte delle autorità,
l’esistenza di ritardi di operazione della politica economica ed anche la possibile
incompetenza o il condizionamento politico dei policy maker suggerivano
l’opportunità che la politica economica obbedisse a regole fisse, come quella del
k%. Per i keynesiani, invece, l’instabilità del settore privato, la competenza degli
economisti e la conoscenza del funzionamento del sistema e della struttura dei
ritardi deducibile dai modelli econometrici inducevano a ritenere possibile un fine
tuning dell’economia, ottenibile con comportamenti discrezionali.
Come già accennato, la critica di Friedman alle tesi dei neokeynesiani diede
origine ad un ampio e acceso dibattito teorico ed empirico. In particolare due
temi furono oggetto di approfondite analisi econometriche:
1) la stabilità relativa del moltiplicatore keynesiano e di quello monetario, ovvero
della velocità di circolazione della moneta;
2) l’elasticità di Ld rispetto ad i.
Nonostante il notevole numero di contributi, la verifica empirica non fu in grado
di dare una risposta univoca alle questioni oggetto di dibattito. I risultati
empirici sembravano comunque escludere la validità delle ipotesi estreme (non
era stabile né il moltiplicatore keynesiano, né quello monetario, e l’elasticità della
Ld era intermedia). L’unico risultato concreto del dibattito fu quindi quello di non
attribuire supporto empirico alle posizioni più estreme.
In effetti, verso la metà degli anni ’60 il dibattito sfociò in una specie di
compromesso caratterizzato dall’accettazione, da parte di entrambe le scuole, di
un “modello di consenso” in cui le curve IS-LM hanno una inclinazione intermedia
e tanto l’offerta di moneta quanto la spesa pubblica costituiscono strumenti di
politica economica utilizzabili dalle autorità. Tale modello di consenso IS-LM (che
rappresenta il lato della AD) veniva eventualmente integrato da una curva di
Phillips (lato della AS) per indicare come shock di vario tipo influenzavano la AD
e la AS. Rimanevano tuttavia tra le due scuole divergenze di carattere
prevalentemente empirico riguardanti:
 i valori effettivi di alcuni parametri strutturali e quindi l’inclinazione di
IS e LM;
 l’affidabilità, la forza e la rapidità dei meccanismi di stabilizzazione
automatici: secondo i keynesiani, l’intervento dello Stato era necessario
perché tali meccanismi automatici sono lenti; secondo i monetaristi,
invece, non bisognava intervenire perché tali meccanismi sono veloci e
potenti;
 la priorità tra gli obiettivi: secondo i keynesiani, l’obiettivo prioritario
era costituito dalla stabilizzazione del reddito, per cui si consigliavano
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politiche attive di intervento; secondo i monetaristi, invece, andava
attribuita priorità alla stabilizzazione dei prezzi, per cui si consigliavano
regole di comportamento passive, come la regola del k%.
Nel modello IS-LM di consenso, esiste sempre uno spiazzamento della spesa
pubblica ai danni di quella privata, seppure incompleto. Questa conclusione, alla
fine degli anni ’60, fu controbattuta da uno studio di due ricercatori
dell’Università di St. Louis, Andersen e Jordan, i quali ripresero il tema del
valore effettivo dei moltiplicatori (fiscali e monetari) nel modello di consenso e
del conseguente effetto di crowding out. In particolare, essi studiarono l’effetto
dell’offerta di moneta e della spesa pubblica sul reddito, stimando una equazione
in forma ridotta (seppure comunemente identificata come “modello di St. Louis”)
in cui il reddito Y viene spiegato dai valori correnti e ritardati di G ed M secondo
k
h
i=0
i=0
la relazione: Yt = μi Mt-i + γ iG t-i . Andersen e Jordan riscontrarono che,
mentre una variazione dell’offerta di moneta aveva effetti di impatto e ritardati
sempre positivi sul reddito, una variazione della spesa pubblica aveva effetti di
impatto positivi, ma effetti ritardati negativi tali per cui, in un certo intervallo di
tempo, gli interventi fiscali risultavano praticamente ininfluenti sul reddito.
Queste conclusioni sembravano confermare le iniziali affermazioni di
Friedman, provocando un ampio dibattito all’interno del quale si formulò una vera
e propria casistica delle situazioni in cui era possibile uno spiazzamento completo
da parte della spesa pubblica. Rispetto alla discussione precedente, l’elemento di
novità era costituito dalla necessità di definire correttamente l’orizzonte
temporale di riferimento dell’analisi e di conseguenza dalla necessità di tenere
conto degli effetti che variazioni nei flussi esercitano sugli stock. In particolare,
nel breve periodo si considerano solo i flussi, mentre nel medio periodo si
considerano flussi e stock, e nel lungo periodo si considera un equilibrio completo
di flussi e stock. Nella fase iniziale del dibattito sul crowding out tra monetaristi
e keynesiani ci si era limitati a considerare gli effetti della politica fiscale in un
orizzonte temporale di breve periodo in cui le variazioni degli stock erano
trascurate. Estendendo l’orizzonte temporale, occorreva tenere conto degli
effetti di mutamenti fiscali o monetari sulla ricchezza finanziaria degli individui
e quindi sulle loro decisioni di spesa o di portafoglio. Per fare ciò si doveva
introdurre esplicitamente nell’analisi il vincolo di bilancio del settore pubblico, al
fine di specificare correttamente le conseguenze di diverse modalità di
finanziamento di interventi di natura fiscale.
All’interno di tale dibattito veniva quindi ripreso il contributo di Blinder e
Solow, i quali avevano esplicitato il vincolo di bilancio dello Stato nella forma:
G -T +iB = ΔB+ ΔM
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in cui G rappresentava la spesa pubblica primaria; per semplicità si ipotizzava poi
l’esistenza di un titolo a brevissimo termine, rinnovato continuamente, sul quale
gli interessi pagati erano quindi pari a iB.
Il vincolo di bilancio sopra esplicitato rende evidente che un disavanzo
pubblico deve essere finanziato con l’emissione o di titoli o di moneta. Una
politica fiscale pura determina pertanto una variazione del saldo di bilancio
finanziata con titoli. I suoi effetti possono essere analizzati in un orizzonte di
breve, di medio e di lungo periodo, come nella trattazione seguente.
Fig. 5. Gli effetti di una politica fiscale pura in vari orizzonti temporali
LM’’’
i
LM’’
LM
E’’’
E’’
E’
IS’’’
E
IS’’
IS’
IS
Y
Y0


Breve periodo: la politica fiscale sposta la IS verso destra in IS’, cosicché
si passa dal punto di equilibrio E al nuovo punto E’. Nel breve periodo,
trascurando gli effetti ricchezza, si ottengono gli effetti tradizionali: il
crowding out è presente ma è incompleto.
Medio periodo: la politica fiscale, finanziata con emissione di titoli,
determina una variazione della ricchezza finanziaria, definita dalla solita
relazione R= (M+B)/P. L’aumento nella ricchezza genera un duplice effetto:
- una variazione nei consumi, con conseguente spostamento della IS a
destra fino a IS’’;
- una variazione della domanda di liquidità, con conseguente
spostamento della LM a sinistra fino a LM’’.
Il nuovo punto di equilibrio sarà quindi E’’, caratterizzato da proprietà non
univocamente definite: il tasso di interesse è sicuramente maggiore di
10

quello corrispondente all’equilibrio E’, ma la variazione del reddito può
essere positiva o negativa, a seconda della dimensione relativa dello
spostamento della IS e della LM, e quindi a seconda che
1 C
Ld 1
. Poiché l’effetto flusso dato dalla
sia maggiore o minore di
1 - c R
R k
variazione nella spesa pubblica si verifica una sola volta, mentre l’effetto
ricchezza si verifica finché ∆B>0, se l’effetto sulla domanda di moneta è
maggiore dell’effetto sulla spesa per consumi, ovvero se gli effetti
ricchezza sono “perversi”, il reddito continua a diminuire, per cui lo
spiazzamento finale è inevitabile. La conclusione di Andersen e Jordan
secondo cui vi sarebbe, nel lungo periodo, un crowding out totale si basa
quindi sulla convinzione che gli effetti ricchezza siano perversi.
Lungo periodo. Il processo di spostamento della IS a destra e della LM a
sinistra continua finché il bilancio non è tornato in pareggio. Si dovrebbe
così arrivare in E’’’. In tale punto il crowding out è ovviamente completo.
E’ appena il caso di osservare che, a differenza dell’analisi precedente, in
cui la spesa pubblica è finanziata con l’emissione di titoli, un incremento di spesa
pubblica finanziato con moneta avrebbe effetti certamente espansivi poiché
tanto la IS quanto la LM continuerebbero a spostarsi a destra, nella stessa
direzione.
Le conclusioni della scuola di St. Louis, sopra illustrate, sono tuttavia
soggette a limitazioni, che l’analisi neokeynesiana non mancò di sottolineare:
1.
se gli effetti ricchezza sono perversi, allora il sistema risulta
instabile; in effetti, a differenza di quanto sostenuto dai
monetaristi, il sistema non si arresterebbe nell’equilibrio E’’’ (punto
nel quale il bilancio sarebbe ancora in deficit, essendo la spesa
pubblica aumentata e la tassazione immutata), per cui le schede IS e
LM continuerebbero a spostarsi e il reddito a diminuire
continuamente. Tale dinamica divergente impone una forte
restrizione alla rilevanza del caso monetarista, proprio perché essa
si associa ad un’ipotesi di instabilità contraria alla logica della stessa
teoria, la quale assume che il settore privato sia sempre stabile.
2.
Se si analizza l’equilibrio completo di lungo periodo (G-T+iB=0)
si può dimostrare che, paradossalmente, una politica fiscale
finanziata con titoli è più espansiva di un’analoga politica finanziata
con variazioni nell’offerta di moneta, dato che la prima alternativa
genera un flusso addizionale di interessi che incrementa il reddito
disponibile degli individui, e quindi la loro domanda. In effetti
l’equilibrio di bilancio di lungo periodo, in cui si ipotizza la presenza
di imposte sul reddito, per cui G-T+iB=G-T0-ty+iB=0, implica che il
11
G-T0 +iB
. Come si
t
può facilmente constatare, un aumento di G finanziato con emissione
di titoli (cioè con un incremento di B), che a sua volta genera un
rialzo di i, determina una crescita del reddito nettamente superiore
a quella che si otterrebbe nel caso di un aumento di G finanziato con
moneta.
reddito di equilibrio sia dato dall’espressione: y=
La rilevanza degli effetti ricchezza, alla base del risultato di Andersen e
Jordan, è subordinata al fatto che i titoli pubblici siano considerati o meno parte
della ricchezza privata. Sulla base di un’ipotesi di ultrarazionalità individuale
(Barro, 1974), alcuni monetaristi hanno assunto la validità del Teorema di
Equivalenza ricardiana, per cui i titoli pubblici non fanno parte della ricchezza
privata; questo avverrebbe perché, al momento della loro emissione, gli individui
sconterebbero immediatamente le maggiori imposte che sarebbero introdotte in
futuro per il rimborso del debito. Se i titoli non sono ricchezza privata, però, gli
effetti della politica fiscale dovrebbero essere tendenzialmente nulli.
In particolare, nella prospettiva ricardiana, il consumo dell’individuo nel
presente non sarà funzione del solo reddito disponibile oggi (t0), bensì del
reddito disponibile lungo tutto il suo arco di vita. Per comprendere tale
affermazione nell’ambito di un modello semplificato, consideriamo un orizzonte di
vita biperiodale. Il reddito disponibile degli individui in un generico periodo t è
esprimibile con la seguente espressione:
Yd = Y + TR - T
dove TR sono i trasferimenti e T la tassazione corrente.
In t0 il reddito disponibile complessivo (cioè nell’intero ciclo vitale) dell’individuo
sarà dato da:
Yd
Y + TR1 -T1
.
Ytd = Y0d + 1 = Y0 + TR0 -T0 + 1
1 +i
1 +i
ovvero dal reddito disponibile nel periodo corrente e dal valore attualizzato del
reddito disponibile nel periodo futuro. Gli individui sono peraltro pienamente
consci del fatto che il settore pubblico è soggetto ad un il vincolo di bilancio
intertemporale, per cui un incremento dei trasferimenti (ad esempio per pensioni
e sussidi) praticato dal governo oggi (cioè in t0) comporterà in futuro (nel nostro
caso in t1) un incremento della tassazione T tale da uguagliare il valore della più
elevata spesa pubblica del periodo corrente, maggiorata degli interessi pagati sui
titoli emessi per finanziarla. Avremo quindi:
ΔT1  ΔTR0 (1  i)
Pertanto, se si ipotizza un incremento della spesa pubblica per trasferimenti nel
periodo presente ( ΔTR0 ), gli individui, scontando il fatto che in futuro dovranno
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pagare più tasse ( ΔT1 ) per il servizio del debito, e che il valore attuale di tale
onere è esattamente uguale al valore della maggior spesa corrente per
T
trasferimenti (essendo cioè TR0 = 1 ), non subiranno alcuna variazione del
(1+i)
reddito disponibile complessivo, per cui:
ΔYt d = 0
Di fronte all’invarianza del reddito disponibile, non si genererà alcuna variazione
del consumo privato. In particolare, rispetto al reddito corrente, peraltro
aumentato, si determinerà esclusivamente una variazione del risparmio pari a
quella della spesa pubblica. Se valgono le ipotesi di equivalenza ricardiana,
dunque, l’equilibrio del sistema rimane immutato perché non si spostano né la IS,
né la LM: l’aumento dei trasferimenti comporterebbe infatti un tendenziale
spostamento della IS verso destra, ma poiché gli individui aumentano in t 0 la
propria propensione al risparmio rispetto al reddito corrente, in modo tale da
poter pagare le maggiori imposte in t1, il consumo corrente cadrà rispetto al
reddito disponibile corrente; la IS resterà così invariata. In definitiva, nella
misura in cui la variazione del saldo di bilancio pubblico si traduce in una
variazione del risparmio corrente, la politica fiscale è assolutamente inefficace e
si genera un crowding out particolare, non più a scapito del consumo effettivo ma
di quello potenziale.
A fronte di queste conclusioni, i keynesiani avanzarono essenzialmente due
obiezioni:
1) L’invarianza della IS presuppone che l’incremento di spesa pubblica sia
dovuto, come ipotizzato in precedenza, ad un aumento della spesa per
trasferimenti; nel caso in cui invece si fosse in presenza di un incremento
della spesa pubblica per acquisto di beni e servizi, anche di fronte ad una
corrispondente anticipazione di tassazione futura, la IS si sposterebbe
comunque verso destra, come illustrato dal Teorema del bilancio in
pareggio.
2) L’ultrarazionalità ricardiana presuppone per la sua validità l’esistenza di
ipotesi assai difficili da realizzare: assenza di miopia individuale, altruismo,
mercati dei capitali perfetti e assenza di vincoli di liquidità, imposte non
distorsive, orizzonte temporale uguale per Governo e famiglie (o comunque
orizzonte infinito). Poiché tali ipotesi sono irrealistiche, il teorema
ricardiano non vale; i titoli pubblici sono quindi, almeno in parte, ricchezza
netta, e la politica fiscale è efficace, determinando comunque uno
spiazzamento, seppure incompleto.
Vale la pena di osservare, in conclusione di analisi, che il lungo dibattito tra
keynesiani e monetaristi sul crowding out, sin qui illustrato, ha implicitamente
13
adottato un pregiudizio di fondo keynesiano, secondo cui l’intersezione tra la IS
e la LM avverrebbe alla sinistra di Y*. In realtà il vero elemento discriminante
tra le due scuole, nel modello di consenso, è costituito non dalla forma o dalla
pendenza delle curve IS-LM, ma piuttosto dal livello di reddito al quale avviene la
loro intersezione. Se tale livello è Y*, allora il crowding out derivante dalla spesa
pubblica è inevitabile, senza necessità di fare riferimento né all’effetto
ricchezza, né al teorema di ultrarazionalità ricardiana. In effetti, se ci si trova
al reddito di pieno impiego, qualunque sia lo schema di riferimento adottato, la
spesa pubblica determina sempre uno spiazzamento completo, ed ogni incremento
dalla domanda aggregata provoca soltanto una variazione proporzionali dei prezzi.
Nello schema IS-LM, in cui l’intersezione tra le due curve avviene a Y*, infatti,
un aumento della spesa pubblica (con spostamento della IS a destra)
provocherebbe un iniziale incremento del reddito oltre il pieno impiego, che
darebbe luogo ad una variazione dei prezzi. Quest’ultima farebbe ridurre
l’offerta reale di moneta e quindi spostare verso sinistra la LM finché il reddito
non fosse tornato a Y*. Nella nuova posizione di equilibrio quindi il reddito
resterebbe immutato, mentre il tasso di interesse sarebbe più elevato, con un
crowding out completo, esattamente analogo a quello ipotizzato dal Punto di vista
del Tesoro.
Lo stesso risultato sarebbe ottenuto utilizzando lo schema AS-AD. In
effetti, verso la fine degli anni ’60, la critica monetarista alle posizioni
keynesiane muta, non riguardando più le caratteristiche della domanda
aggregata, e quindi la posizione e la pendenza relativa delle curve IS-LM, ma la
posizione e la forma della funzione di offerta aggregata. A tale seconda fase
della critica monetarista volgiamo ora la nostra attenzione.
Fig. 6. Il crowding out completo nell’ipotesi di pieno impiego
LM’
i
i1
i0
E’
LM
E
IS’
IS
Y*
14
Y