L’economia nell’antichità La prima questione che si presenta nello studio del pensiero economico è il ritardo dello svilippo della scienza economica rispetto ad altre scienze sociali, di cui si trovano ampie e rigorose trattazioni già nella civiltà greca (scienza politica) e in quella romana (scienza giuridica). Il pensiero economico si sviluppa su tre filoni centrali: le entrate e le spese dello stato e il suo buon governo; la moneta e il capitale finanziario; l’economia delle unità di produzione e di consumo in relazione al mercato interno e a quello internazionale. Ora, il mondo greco non conobbe che unità politiche di dimensioni limitate e con scarsa strutturazione. Atene, alle cui finanze politiche Senofonte dedicò il primo saggio di scienza economica che si conosca, è un’eccezione che conferma la regola. E si tratta, comunque, di una piccola città, in cui la maggioranza della popolazione era composta di schiavi con i quali si entrava in relazione di dominio e non di mercato. Roma ebbe organizzazioni statuali ben strutturate, complesse e durevoli, ma che ricavavano i loro proventi dalla conquista bellica e dall’imposizione di tributi ai territori assoggettati. La principale forma di capitalismo era l’appalto dei tributi. Questa condizione imperialistica, mentre consentiva uno sviluppo del diritto, ai fini della conservazione e dell’ordinamento dei domini conquistati e dell’amministrazione delle loro ricchezze, non favoriva quello della scienza economica. Il mercato, anche internazionale, ebbe un considerevole sviluppo, tanto nel mondo greco che in quello romano: ma, poiché alla produzione si dedicavano solo gli schiavi, l’interesse del pensiero teorico per i problemi che vi erano connessi risultava scarso, come conveniva per questioni di dignità inferiore. D’altra parte, l’accumulazione di capitale per scopi produttivi era limitata: i capitalisti, grandi o piccoli, impiegavano il loro denaro soprattutto in prestiti usurari ai consumatori o ai contadini, nel periodo tra un raccolto e l’altro, o allo stato, per finanziare le attività militari, oppure prendevano in appalto la riscossione dei tributi statali (che spesso erano la base per quei prestiti). La moneta, tutta metallica, non era consapevolmente manovrata, ma spesso manipolata, per ottenere lucri occulti, mediante la ‘tosatura’ del suo contenuto aureo o argenteo. Sulle relazioni di scambio e di produzione prevalevano relazioni di potere e di rendita in un quadro economicamente conservatore. La base per un pensiero economico meno che frammentario (quale quello che si può rinvenire in certe regole, per lo più tecniche, sul buon governo agricolo, e in certe massime di carattere morale e giuridico sulla moneta, l’interesse e lo scambio) era quindi carente. - L’esperienza di Parmenide Diotima nel Simposio di Platone LO SPAZIO INESPLORATO PER UN’ECONOMIA DELLA BELLEZZA Viviamo in un mondo in cui sta crescendo la consapevolezza che la conoscenza non abita in recinti, ma in reti: la conoscenza è un sistema complesso che nasce, si propaga, si moltiplica e si trasforma in reti, e sono reti la nostra mente, il nostro corpo, la società, la cultura, la tecnologia, oltre al web. Sta crescendo nello stesso tempo la consapevolezza che sono i processi aperti e dinamici della conoscenza a creare le condizioni di prosperità, a moltiplicare le opportunità, a generare ricchezza. 1 L’economia della conoscenza, dei sistemi aperti e reticolari, può espandersi in nuovi spazi, oggi in gran parte neppure intravisti, ma richiede di essere guidata da nuovi valori, pensati a prescindere dai condizionamenti indotti da tecnologie oggi declinanti. Probabilmente si tratta “semplicemente” di renderci conto che la complessa transizione presente richiede, più che un “nuovo paradigma”, la rimozione del paradigma presente, almeno quella parte che separa etica e conoscenza, bellezza e valore economico, scienze umane e scienze naturali. Nel suo famoso discorso nel Simposio di Platone sul significato dell’Eros, Diotima ascende dai sentimenti personali ai significati universali, in un climax che rappresenta una delle più grandi testimonianze del pensiero umano intorno all’etica, e non solo. Il senso di un impegno orientato al bello, al miglioramento della vita in tutte le sue dimensioni, a più ampie prospettive future, basato sulla costruzione armonica di cose belle e ben fatte, di eventi, ambienti e relazioni ricche in cultura e in diversità, dovrebbe ispirare le economie del futuro. Questo significa: (1) il recupero della cultura come fattore chiave per l’economia del futuro, saldando nuovamente le scienze umane e le scienze naturali, dopo una separazione durata secoli; (2) la comprensione del ruolo dei processi cognitivi nel determinare le nostre convinzioni etiche ed estetiche, e viceversa, avvicinando la società ai risultati che le scienze cognitive raggiungono in sviluppi convergenti, in corso in molti campi; (3) la sperimentazione di nuovi modelli di lavoro in sistemi locali e globali, dalle imprese alle scuole, dal welfare alla vita urbana, dal rischio alla finanza; infine (4) l’orientamento di tutti gli agenti creativi della società verso visioni e prospettive nuove e coraggiose. Ripensare i territori come sistemi aperti, stelle polari con relazioni multiple ed estese, non ambiti delimitati da confini: questo il modello per una proposta adeguata a una rivoluzione spaziale, antropica, tecnologica, sociale, economica, molto più profonda e radicale di quella aperta dai viaggi oceanici, dal sistema copernicano o dalle successive rivoluzioni industriali. La grande metafora di questa rivoluzione è il passaggio dal modello della macchina al modello del vivente, in cui la diversità, la molteplicità di fattori ricombinabili è la condizione della vita. Studiare la biodiversità non è importante solo per trarne risorse ancora sconosciute, ma per comprendere gli equilibri dinamici. 2