Le migrazioni nel mondo contemporaneo Un paradosso della modernità Alla fine circolarono liberamente i capitali, le merci e le informazioni, ma non le persone di Carlo Felice Casula Circa due milioni d'anni fa, i nostri più lontani progenitori, partendo dall'Africa Orientale, erano giunti sulle coste atlantiche dell'Europa e su quelle asiatiche dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano. Già trentamila anni orsono, il nostro antenato prossimo, l'homo sapiens sapiens, dopo una lunghissima, ancora oscura, convivenza-competizione con gli altri ominidi, era ormai presente in tutti i continenti, Americhe e Australia comprese. Alle origini della nostra civiltà, nel neolitico, meno di dieci mila anni A.C., si ha la prima grande rivoluzione dell'umanità, quella agricola, che costituisce la premessa delle prime forme d'urbanesimo e d'organizzazione statuale. La popolazione del globo, valutabile in circa 5-10 milioni d'individui1, inizia a crescere, aldilà dei precedenti rigidi limiti imposti dalla dimensione del territorio, potendo contare sulle nuove e rinnovabili risorse alimentari derivanti dalla coltivazione della terra e dall'allevamento d'animali addomesticati e non più esclusivamente dalla caccia, dalla pesca e dalla raccolta d'erbe commestibili e di frutti selvatici. Sedentarizzazione e migrazione costituiscono due differenti, ma non contraddittorie conseguenze della rivoluzione neolitica. "le popolazioni del Neolitico emigrarono in cerca di terra coltivabile e così facendo diffusero la scoperta fondamentale dell'agricoltura. Le migrazioni furono determinate dal carattere poco stabile dell'agricoltura primitiva, basata sul ciclo trasferimento-insediamento-trasferimento, ma possono essere state causate dalla pressione demografica. (…) Lo sviluppo demografico che accompagnò e seguì la Rivoluzione 1 E. A. Wrigley, Demografia e storia, Il Saggiatore, Milano 1969 1 agricola si concretò di regola, almeno nelle prime fasi, in una moltiplicazione degli insediamenti, piuttosto che in un'espansione dell'unità d'insediamento"2. Echi di questa svolta epocale sono presenti in molti testi sumerici e nella Bibbia, in particolare nella Genesi. La storia dell'uomo e, per i cristiani, la storia della Salvezza, dopo il peccato originale, inizia proprio con Adamo "scacciato dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da dove era stato tratto"(Genesi 3,23) e prosegue con Caino, lavoratore del suolo, che dopo avere ucciso il fratello Abele, pastore di greggi, fugge prima "ramingo e fuggiasco sulla terra", essendo la sua colpa "troppo grande per ottenere il perdono", ma poi, avendo il Signore posto il divieto ad ucciderlo, pena il subire "la vendetta sette volte", "abitò nel paese di Nod ad oriente di Eden" e "divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio" (Genesi, 4, 1-14). Nello spazio temporale di quasi 10 mila anni che intercorrono tra la Rivoluzione agricola e la Rivoluzione industriale degli ultimi decenni del Settecento, da tutti gli storici riconnessa alla prima per gli effetti dirompenti e pervasivi che ne derivarono, nella storia di lunga durata del pianeta, per usare una categoria di Fernand Braudel, per quanto concerne la popolazione si stabilizza il cosiddetto equilibrio demografico dello stadio agricolo: alto tasso di natalità (3555 per mille); elevato tasso di mortalità (30-40 per mille) soggetto a periodici forti inasprimenti (fino a 150-500 per mille) per il ricorrente manifestarsi di carestie, epidemie, guerre. Si hanno, sempre nello stesso lunghissimo arco temporale, spostamenti di popolazione per migrazioni volontarie, esodi, invasioni, deportazioni. Nel nostro immaginario eurocentrico pensiamo in genere solo a quanto è avvenuto in Europa, nel Mediterraneo e, tutt'al più, nel Vicino Oriente: le colonie dei Fenici e dei Greci, la diaspora ebraica, le invasioni barbariche 2 C. M. Cipolla, The Economic History of Wordl Population, trad. it., Uomini, tecniche, economie, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 101-102. 2 ecc. Questi fenomeni, in realtà hanno riguardato l'intero pianeta. Rinvio sull'argomento alla sintesi del geografo francese Pierre George, Popolazione e popolamento3. Con la Rivoluzione industriale, sia pure non simultaneamente in ogni parte del globo, ma incominciando dall'Inghilterra e dall'Europa, tutto cambia e il vecchio equilibrio demografico si rompe irrimediabilmente, con una conseguente esplosione demografica. Il tasso di mortalità, a partire da quella infantile, si riduce drasticamente per le nuove grandi disponibilità alimentari, dovute alle crescenti rese agricole e alla messa a cultura di vastissime nuove aree nelle Americhe e in Australia, e per i progressi della medicina. Si allunga l'età media degli uomini e delle donne; epidemie e carestie tendono a scomparire: dei tre summenzionati agenti esterni riequilibratori dell'incremento di popolazione, solo la guerra in epoca contemporanea continua ad operare: nel Secolo breve4, per usare l'espressione fin troppo abusata, coniata da Eric Hobsbawm, 100 milioni di morti. Il dato è noto, anche se nella sua cifra precisa, controverso. Meno noto, ma inquietante, è, invece, il suo evolversi nel tempo. Nella Prima Guerra Mondiale per ogni vittima civile si contano 8 caduti tra i militari; il rapporto è alla pari già nel corso della Seconda Guerra Mondiale, mentre nelle guerre del tormentato fine secolo e, presumibilmente, anche nei nuovi terribili scenari degli esordi del Duemila, le vittime si contano ormai quasi esclusivamente tra i civili inermi e innocenti, sia nel caso degli attentati terroristici, sia in quello degli interventi militari chirurgici condotti con le armi intelligenti5. La tabella sull'evoluzione demografica mostra con l'incontestabile evidenza delle cifre, sia pure approssimate, come il numero degli uomini e delle donne del nostro pianeta non arrivi neppure a triplicarsi in 1800 anni, mentre solo negli ultimi 200 anni si è moltiplicato per 7, passando da 900 milioni ad oltre 6 miliardi. 3 P. George, Popolazione e popolamento, Il Saggiatore, Milano 1977. E. J. Hobsbawam, Age of Extremes. The Short Twenthieth Cewntury 1914-1991 (1994), traduz. it., Il secolo breve. 1914-1991: l'era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1995. 4 3 La tabella mostra altresì come, a partire dal 1750, con l'avvio della Rivoluzione industriale e per tutto l'Ottocento, mentre il Continente Africano, depauperato delle sue energie vitali dalla precedente tratta degli schiavi e dall'impatto del colonialismo, vive un lungo periodo di stasi demografica (da 100 a 120 milioni), e la stessa Asia ha un ritmo di crescita contenuto (da 480 a poco più di un miliardo), l'Europa, non solo triplica la propria popolazione (da 130 a 394 milioni), ma riempie di sé anche le Americhe, l'Oceania e, in misura molto minore, anche l'Africa mediterranea e Australe. L'andamento demografico sembra governato da una razionale filosofia della storia riassumibile nel trinomio, sviluppo-disponibilita alimentaricrescita della popolazione, che negli ultimi decenni del Novecento si è drammaticamente scisso.6 Tab. 1 EVOLUZIONE DEMOGRAFICA IN ETA' CONTEMPORANEA 1°d.C AFRICA AMERICA 1000 1500 1750 1900 1950 1975 2000 25 30 88 100 100 90 120 218 400 780 4 10 40 18 28 60 144 330 560 830 16 20 26 63 164 310 521 2 8 34 81 166 250 308 Am. Latina Am. Anglos. ASIA 1800 1850 190 180 230 480 590 740 1007 1390 2300 3680 EUROPA 40 39 70 130 180 278 394 550 670 726 OCEANIA 1 1 2 2 2 2 6 12 20 30 PIANETA 260 260 430 730 900 1170 1666 2500 3950 6056 Fonte: dati elaborati e approssimati da C. F. Casula 5 Per una stimolante riflessione al riguardo, forse, però, ormai datata, dopo gli attentati alle Twin Towers e al Pentagono, cfr. D. Pick, War Machine. The Rationalisation of Slaughter in the Modern Age (1993), trad. it., La guerra nella cultura contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1994. 4 La nuova forte e ininterrotta crescita demografica, la Rivoluzione industriale e la connessa profonda trasformazione dell'agricoltura, l'urbanesimo, la diffusione della ferrovia e delle navi a vapore, il pervasivo mutamento delle mentalità collettive, la nuova dinamica realtà economica, sociale e culturale, specialmente a partire dalla metà del XIX secolo, danno vita ha scritto Eric Hobsbawm nel volume Il trionfo della borghesia - "alla più grande migrazione di popoli nella storia".7 Le migrazioni sono innanzi tutto interne, nei singoli paesi: dalla montagna e dalla collina alla pianura dall'osso alla polpa, per usare un'espressione di Manlio Rossi Doria, dalle campagne alle città; dalle aree depresse a quelle sviluppate e industrializzate.8 Vi sono poi le migrazioni continentali, che quando concernono Stati confinanti (Italiani verso la Francia e la Svizzera; Polacchi verso la Germania; Messicani verso gli Stati Uniti; Cinesi verso la Manciuria per citare solo alcuni esempi in Continenti differenti) possono essere stagionali, anzi, nel Novecento, persino giornaliere, con il fenomeno del pendolarismo dei lavoratori frontalieri. Una peculiare migrazione continentale, nel Novecento, è costituito dal forzato o forzoso scambio di propri cittadini tra due Stati confinanti in conseguenza della ridefinizione delle rispettive frontiere a seguito di guerre e conflitti. Cito solo alcuni casi famosi: tra il 1920 e il 1922, 1.200.000 Greci abbandonarono la Turchia e 300.000 Turchi lasciarono la Grecia; nel secondo dopoguerra lo scambio riguardo Tedeschi e Polacchi in Europa e, in Asia, dopo il raggiungimento dell'indipendenza, Indiani e Pakistani. Un'altra peculiare migrazione, interna dal punto di vista statale, ma intercontinentale dal punto di vista geografico, in parte anch'essa forzata, è costituita dalla colonizzazione russa della Siberia, dagli Urali alle coste del Pacifico, che dall'inizio dell'Ottocento (ma la spinta era iniziata già nel 1500 con Ivan il Terribile) alla fine degli anni Trenta, coinvolge circa 14 6 7 M. Livi Bacci, Popolazione e alimentazione, Il Mulino, Bologna 1987. E. J. Hobsbawm, Il trionfo della borghesia 1848-1875, Laterza, Bari 1976, p.237. 5 milioni di persone. La frontiera della Russia si era spostata sempre più ad est. Alexis de Tocqueville in La Democrazia in America aveva colto e sottolineato l'indubbia analogia di questa colonizzazione interna-esterna con l'epopea fondativa americana della conquista del West. Il fenomeno più rilevante e sconvolgente, per le sue dimensioni quantitative, ma anche e soprattutto per le sue conseguenze, in partenza e in arrivo, sul terreno dell'economia, della geopolitica, persino della modificazione profonda delle culture, vale a dire, di quanto vi è di più duraturo e tenace nella vicenda delle società umane, è indubbiamente quello delle definitive migrazioni transoceaniche. Dal Vecchio Continente, che per tutto l'Ottocento e anche nel primo Novecento, continua ad avere una crescita demografica ben più alta della stessa Asia, quasi 60 milioni d'Europei emigrano, per non farvi più ritorno, se non in una percentuale molto bassa. Inglesi e Irlandesi (18 milioni), Scandinavi e Tedeschi all'inizio, poi Russi e Polacchi (molto spesso in realtà Ebrei), Italiani (10 milioni), ma anche Spagnoli e Portoghesi, Greci, in meno di un secolo, tra il 1840 e il 1930, occupano spazi enormi del pianeta, più vasti di ben dieci volte dell'intera superficie dell'Europa, divenendo protagonisti della più massiccia ridistribuzione demografica della storia umana. In Asia e in Africa, se si escludono le concentrazioni di Francesi e Italiani in Algeria e Tunisia e d'Inglesi e Boeri-Olandesi in Africa Australe, la presenza di emigrati europei è ridotta e, in ogni caso, strettamente connessa con le vicende del dominio coloniale. Sono, invece, il Continente Americano (al Nord, Stati Uniti e Canada, al Sud, Brasile e Argentina) e quell'Australiano che attraggono maggiormente gli emigrati europei, inserendoli in un circuito virtuoso di lavoro-reddito-consumo-risparmio e integrandoli in un difficile, ma rapido e fruttuoso, processo di melting pot. Eppure l'Australia, inizialmente, era stata solo una 8 A. Golini, Distribuzione della popolazione, migrazioni interne e urbanizzazione in Italia, Istituto di demografia, Roma 1974. 6 grande colonia all'aperto dove erano stati quasi deportati i poveri pericolosi 9che costituivano la base sociale della microcriminalità urbana e affollavano le prigioni inglesi. Da questo processo sono esclusi i nativi americani e australiani, che per tutto l'Ottocento sono percepiti come ostili e diversi, privati dei loro spazi, chiusi in riserve e, frequentemente, sottoposti a un vero e proprio sterminio. La vicenda più nota è quella degli Indiani del Nord America, soprattutto grazie al grande impatto, anche emotivo, che hanno avuto i film western a partire dagli anni Settanta, più rigorosi nelle ricostruzioni storiche e antropologiche: fra tutti, Soldato Blu di Ralph Nelson del 1970 (per molti aspetti anche un apologo della Guerra del Vietnam) e un Balla coi lupi di Kevin Kostner del 1990. E' una tragica vicenda, a lungo rimossa, parte integrante di quella realtà più vasta e complessa, che Domenico Losurdo, in un fortunato pamphlet, ha definito Il peccato originale del Novecento.10 Nell'Ottocento le migrazioni transoceaniche non percorsero solo l'Atlantico. Gli Indiani, emigrano verso il Sud Africa e l'Africa Orientale, costituendo un supporto indispensabile per il dominio coloniale inglese, ma anche dando vita a un'ampia comunità, che pur successivamente ingabbiata nel sistema dell'Apartheid, costruirà una forte autonoma identità. Gandhi, che soggiornò da immigrato in Sud Africa per 12 anni, a partire dal 1893, ne fu uno degli animatori e elaborò le linee di fondo della sua strategia della resistenza passiva e non violenta. I Cinesi, partendo prevalentemente dalle zone costiere, emigrano via mare, in condizioni spesso disumane, di cui costituisce un'efficace testimonianza letteraria il romanzo breve Tifone dello scrittore inglese-polacco Joseph Conrad, verso i paesi del Sud-Est Asiatico, gli arcipelaghi delle Filippine e dell'Indonesia, la Penisola Malacca. Costituiscono anch'essi delle floride comunità, con doti peculiari d'intraprendenza economica, anche per le grandi capacità 9 Obbligato il rinvio al volume che, pur in un ambito geografico differente, ha codificato la categoria: L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses (1958), trad. it., Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, Laterza, Roma-Bari 1976. 7 di risparmio delle solidali famiglie allargate. Suscitano diffidenza nelle autorità coloniali inglesi, francesi e olandesi, per la loro insofferenza nei confronti del loro dominio e la solidarietà con il nascente movimento nazionalista cinese. In forma ricorrente debbono fare i conti con risentimenti e ostilità diffusi nei paesi ospitanti per il loro ruolo dominante nei traffici e nei commerci. In parallelo con i Giapponesi, dopo che l'Impero del Sol Levante è stato costretto dalle cannoniere dell'ammiraglio statunitense Matthew C. Perry ad aprirsi ai commerci internazionali, dopo secoli di rigido isolamento, danno vita, attraverso il Pacifico, a un significativo flusso migratorio verso il Continente Australiano e le Americhe. Con la Cina gli Stati Uniti firmano addirittura, nel 1868, un trattato d'amicizia che prevede anche la reciproca libertà di immigrazione, a seguito del quale, negli anni Settanta, circa 100 mila Cinesi sbarcano sulle coste occidentali USA, concentrandosi prevalentemente nella California. Nei loro confronti, tuttavia, già nel 1882 scatta un provvedimento amministrativo di contingentamento, cui segue, dieci anni dopo, una legge approvata dal Congresso, che prevede per loro il divieto assoluto d'immigrazione. Successivamente, nel primo Novecento, su iniziativa dello Stato della California, il divieto di immigrazione, nonostante le perplessità del presidente Theodore Roosevelt, deciso sostenitore della libertà dei commerci, è esteso anche ai Giapponesi. Pierre Renouvin e Jean-Baptiste Duroselle, nel corposo capitolo dedicato ai movimenti migratori della loro nota Introduction à l'histoire des relations internationales11, hanno notato perspicuamente come l'orgoglioso Giappone, potenza in ascesa economica e militare, poco propenso, a differenza della Cina, a subire trattati e trattamenti ineguali, protestasse vivacemente per questa discriminazione che aveva indubbi connotati razzistici e ne facesse un 10 D. Losurdo, Il peccato originale del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1998. P. Renouvin et J. B. Duroselle, Introduction à l'histoire des relations internationales, Armand Colin, Parigi 1991, pp. 55-65. 11 8 uso propagandistico interno per diffondere l'ideologia della supremazia del Giappone in Asia e della sua politica d'espansione, di ricerca di un nipponico Lebensraum. Occorre ricordare che su imitazione degli Stati Uniti, anche il Canada, la Nuova Zelanda e l'Australia, in un breve arco di tempo successivo adottarono provvedimenti prima restrittivi e poi di completa chiusura nei confronti dell'immigrazione gialla, per timore che la popolazione bianca-europea potesse perdere nel tempo la predominanza. Negli Stati Uniti, negli anni del primo dopoguerra, connotati da una pesante ricaduta nella ricorrente tentazione isolazionistica, il Congresso approva, nel 1921, una legge federale contenente forti restrizioni sull'immigrazione anche dai paesi europei. Nel 1924 le norme, in una nuova legge, diventano ancora più rigide e si giunge ad una vera e propria chiusura, proprio nel momento in cui i flussi migratori, interrotti dalla lunga Grande Guerra, riprendevano il loro corso. La Commissione internazionale dell'emigrazione, sorta all'interno della Società delle Nazioni, invano, in più occasioni, critica questi provvedimenti, che come nella legislazione protezionistica di fine Ottocento, vengono ripresi anche da altri Stati, per imitazione e/o ritorsione. Gli Stati Uniti superano l'imbarazzo rifiutandosi di partecipare ai lavori della Commissione suddetta. L'era delle grandi migrazioni libere si può dire, a questo punto, conclusa e il bilancio è quanto mai positivo. Fernand Braudel, ad esempio, nella sua sintesi Il mondo attuale, ha non solo messo in conto l'apporto dato dalle grandi migrazioni libere dell'Ottocento e del primo Novecento al trionfo dell'economia di mercato e, ancor più, della modernizzazione, ma anche evidenziato come, grazie soprattutto ad esse, la civiltà europea (nel senso ampio e positivo del termine che ha il sostantivo francese civilisation) non concerne più solo i confini del piccolo Vecchio Continente12. Il giudizio di Duroselle e Renouvin è altrettanto positivo: "I movimenti migratori, nell'epoca della loro più grande ampiezza, non sono stati occasione di difficoltà internazionali, fin tanto 9 che si sono potute sviluppare liberamente; sono stati fonte di inquietudine e, talvolta, di conflitti, dopo il 1919, quando la politica degli Stati ha ristretto questa libertà"13. Prima di affrontare la drammatica realtà odierna delle migrazioni solo un breve cenno all'Italia, paese per oltre un secolo d'emigrazione e solo da alcuni decenni d'immigrazione, dopo che a partire dagli anni Settanta, il saldo tra espatriati e rimpatriati è diventato negativo. E' stato calcolato che tra il 1861 e il 1971 (i dati sono di fonte ISTAT, quindi certi e omogenei) si sono avuti, senza calcolare, ovviamente, i passaggi clandestini, oltre 30 milioni di attraversamenti del confine in uscita14. Tenendo conto che questi erano compiuti più volte dalle stesse persone (per fare una verifica è sufficiente collegarsi al sito www. ellisisland records) e che per molti espatriati l'emigrazione fu alla fine solo temporanea, specialmente nel caso di quella europea e postbellica, si giunge alla cifra di 11,7 milioni di emigrati definitivi. Più di ogni altro paese europeo, esclusa l'Irlanda, in Italia il movimento migratorio ha alterato il movimento naturale della popolazione (nati meno morti): nel censimento del 1971 solo 53,7 milioni di abitanti, invece di 65,4 milioni.15 Secondo le stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNPF), il numero dei migranti nel mondo, escludendo le migrazioni interne e non tenendo conto dei rifugiati, alla fine del Novecento, è compreso tra i 130 e i 150 milioni, corrispondente al 2,3 per cento della popolazione mondiale. L'Unione Europea accoglie circa 18 milioni d'immigrati e gli Stati Uniti poco meno di 25 milioni. 12 F. Braudel, Le monde actuel (1963), trad. it. Il mondo attuale, Einaudi, Torino1966. Si veda, in particolare il 2° volume, Le civiltà europee. 13 P. Renouvin et J. B. Duroselle, Introduction à l'histoire des relations internationales, cit., p. 65 (la traduzione è mia). 14 Un quadro d'insieme in Z. Ciuffoletti, M. Degl'Innocenti, L'emigrazione nella storia d'Italia 1868-1975, Vallecchi, Firenze 1978. 15 E. Sori, Demografia e movimenti di popolazione, in Guida all'Italia contemporanea, diretta da M. Firpo, N. Tranfaglia, P. G. Zunino, v. IV, Comportamenti sociali e cultura, Garzanti, Milano 1998. 10 Un fenomeno a sé stante, anche se spesso confuso con quello delle migrazioni, è costituito dai rifugiati e dai profughi interni-sfollati,(in francese e in inglese il termine è più appropriato: désplacées internes e Internally displaced people). I primi hanno una consolidata configurazione giuridica internazionale e anche una specifica tutela nell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR, nella sigla inglese, UNHCR). Il loro numero nell'ultimo decennio ha variato tra i 15 e i 20 milioni d'individui; i paesi d'origine più importanti, in ordine decrescente sono: Palestina, Afganistan, Iraq, Sierra Leone, Bosnia Erzegovina, Somalia, Sudan, Eritrea, Liberia e Croazia (si tratta della forte minoranza serba).16 I secondi, nello stesso periodo, sono stati ancora più numerosi e la loro consistenza è valutata intorno ai 20-30 milioni. La lista dei dieci paesi maggiormente interessati solo in parte corrisponde alla precedente: Sudan, Angola, Colombia, Iraq, Afganistan, Birmania, Turchia, Bosnia Erzegovina, Azerbaigian, Sri Lanka. Conflitti bellici con paesi confinanti, guerre civili e guerriglie, emergenze come siccità e carestie, sono all'origine di queste drammatiche, forzate migrazioni interne. La dissoluzione dell'Unione Sovietica, con il conseguimento dell'indipendenza da parte delle repubbliche europee e asiatiche che ne facevano prima parte, ha comportato, tra l'altro, in un colpo solo, agli inizi degli anni Novanta, che si creassero all'interno dell'ex impero sovietico ben 45 milioni di nuovi anomali stranieri. Circa 25 milioni di Russi negli Stati di nuova indipendenza, talvolta, come nel caso delle Repubbliche Baltiche, sono sottoposti a forme di discriminazione e limitazione dei diritti di cittadinanza. Si tratta, con tutta evidenza, di una realtà a parte all'interno del composito fenomeno delle migrazioni, che rinvia ai peculiari modi con cui si realizzò, a partire dalla fine del Settecento, l'espansione russa da Ovest verso Est, oltre gli Urali e fino al Pacifico, in forma quasi speculare rispetto alla conquista del West degli Stati Uniti. Rinvia, ovviamente, anche alla 11 politica delle nazionalità di Stalin, con trasferimenti, spesso forzosi, di minoranze nazionali, ritenute in blocco poco fedeli nei confronti dell'URSS. Il grosso dei flussi migratori parte dal Sud del mondo. Molto spesso, anche se il fenomeno è da noi poco conosciuto, dai paesi sottosviluppati si emigra, innanzi tutto, negli Stati limitrofi un po' meno poveri. Il fenomeno più significativo e discusso è, tuttavia, l'emigrazione dal Sud al Nord del pianeta, Europa Occidentale, Stati Uniti e Australia. Secondo stime dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE in italiano, OECD in inglese) e dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL in italiano, ILO in inglese), il numero degli emigrati, nonostante gli impedimenti e le restrizioni, è più che raddoppiato negli ultimi tre decenni del Novecento.17 La chiusura delle frontiere, a partire da quella blindata e superprotetta (ovviamente in arrivo, non in partenza) tra gli Stati Uniti e il Messico, sostanzialmente non si è rivelata efficace, di fronte alla globalizzazione dei mezzi di comunicazione, alla standardizzazione dei consumi e degli stili di vita, alle immense frustrazioni che derivano dagli squilibri demografici ed economici del pianeta. Per il vero la realtà a livello mondiale è complessa e contraddittoria: per fare solo un esempio, negli anni Settanta sono alcuni paesi del Medio-Oriente (Arabia Saudita, Emirati Arabi) o del Sud-Est Asiatico (Singapore, Malaysia) a richiedere e attrarre dall'estero lavoratori specializzati e personale subalterno. In Europa, invece, di fronte alla crisi economica e alla crescita della disoccupazione, per la rapida contrazione dei dipendenti nella grande industria causato dalla robotizzazione, ma anche dalla scelta strategica di molti gruppi imprenditoriali di dislocare parte della produzione in paesi dove il costo del lavoro era più basso (la Fiat in Brasile e Turchia), a migrare sono le industrie, non i lavoratori. 16 Cfr. A. R. Zolberg e P. Benda (a cura di), Global Migrants, Global Refugees: Problems and Solutions, Bergham 2000. Si rinvia al sito internet ufficiale, http/www.unhcr.org. 17 Per un accesso immediato a dati omogenei e recenti sul fenomeno delle migrazioni si rinvia ai due siti ufficiali dell'OECD e dell'ILO: http://www.oecd.org; http://www.ilo.org. 12 Negli ultimi decenni, tertio millennio adveniente, con l'affermarsi della globalizzazione, pur frammista a persistenti e riaffioranti localismi, si assiste ad un drammatico paradosso: nell'economia-mondo e nel villaggio globale la circolazione è libera e garantita, ampia e rapida per i capitali, le merci, le informazioni, è, invece, sottoposta a controlli e restrizioni, contingentata e, talvolta, anche impedita, per gli uomini e le donne, specie quando provengono dal Sud del mondo. La globalizzazione, tuttavia, ha accresciuto la diversificazione delle regioni d'origine, dei paesi d'arrivo e gli spazi degli spostamenti. Sono cambiati anche i profili socioprofessionali dei migranti: anche se i contadini senza terra e gli operai senza lavoro sono i più numerosi, nei flussi migratori sono ormai coinvolti anche lavoratori qualificati, compresi diplomati e laureati. E' il cosiddetto Brain Drain, esodo dei cervelli. Il caso più conosciuto è quello degli ingegneri indiani, che non solo hanno particolari competenze informatiche, ma sono anche anglofoni, ma, più in generale, la spinta ad emigrare cresce anche tra i ceti medi, insofferenti della qualità della vita e delle condizioni di lavoro nei propri Stati. Paesi emblematici al riguardo sono, in Asia, la Corea e Taiwan, dove il consolidato sviluppo economico ha drasticamente ridotto la propensione ad emigrare delle fasce più povere della popolazione. Quadri, clandestini e rifugiati costituiscono nel presente e nel prossimo futuro delle specifiche categorie di migranti in sicura espansione. Il fenomeno migratorio mondiale è frammentato e articolato in sottosistemi che dipendono sia dalle contiguità geografiche, sia da antichi legami coloniali e comunanze linguistiche. E' sufficiente al riguardo il rinvio al film Lamerica di Gianni Amelio del 1994 su quello che allora sembrava un vero e proprio esodo degli Albanesi verso le vicine Puglie. Di là dalla retorica non si può certo sostenere che alla mondializzazione della finanza, dell'informazione, del turismo, corrisponda una mondializzazione delle migrazioni. Nonostante la diffusa politica d'impedimenti e/o restrizioni per i cosiddetti immigrati extracomunitari, attuata, a partire dagli anni Settanta, anche in gran parte degli Stati 13 dell'Europa Occidentale, il flusso, anche legale, non si è certamente interrotto, perché, sulla base dei dettati costituzionali o degli impegni derivanti da accordi internazionali, in ogni caso vi sono gli ingressi per motivi di ricongiungimento familiare o di diritto d'asilo. In Francia, paese d'ampia e antica immigrazione, questo ha comportato per tutti gli anni Novanta, circa 100 mila nuovi arrivi all'anno. Chiusura delle frontiere e introduzione di normative più severe non sembrano avere efficacia nei confronti degli immigrati irregolari dal Sud del mondo (luoghi privilegiati di passaggio sono, in Europa, lo Stretto di Gibilterra, il Canale d'Otranto, ma anche l'Austria, in America, il Rio Grande e il deserto di Tijuana). Persino l'Australia, nonostante la sua condizione insulare e periferica, deve fare i conti con quest'emergenza, come dimostra la recente vicenda che ha indignato l'opinione pubblica internazionale, ma forse, non altrettanto quell'australiana, della nave norvegese carica di profughi afgani, cui le autorità di Canberra non hanno neppure concesso di entrare nelle proprie acque territoriali. Gli immigrati irregolari, che spesso investono nel loro cammino della speranza (per richiamare il titolo di un film famoso di Pietro Germi del 1950 di quando erano gli italiani a varcare illegalmente a piedi la frontiera) i risparmi personali e familiari, quando, addirittura non si indebitano, diventano clandestini senza permesso di soggiorno e senza tutela, a parte quella ricevuta dalle organizzazioni umanitarie, come quella benemerita, in Italia, della Caritas o della Comunità di Sant'Egidio. 18 Gli immigrati clandestini sono particolarmente esposti alla tentazione d'attività illegali, specie nel campo della microcriminalità, della prostituzione, dello spaccio di droghe. Occorre, tuttavia, non rimanere prigionieri dei diffusi e superficiali luoghi comuni al riguardo, derivanti anche dal fatto che quando si pubblicizzano i preoccupanti dati sul numero di denunce, condanne e arresti che li riguardano, non si evidenzia, quasi mai, che essi non possono essere comparati con l'intera popolazione del nostro paese, ma con i giovani italiani maschi in età tra i 18 e 30 anni. In questo caso, ha dimostrato uno statistico di valore, studioso della criminalità 18 Caritas di Roma, Immigrazione. Dossier statistico 2000, Anterem, Roma 2000. 14 dell'Università di Cagliari, Giuseppe Puggioni, non si hanno scarti significativi tra i tassi di delittuosità dei giovani italiani e dei giovani extracomunitari.19 In aggiunta agli immigrati regolari, gli immigrati clandestini, valutati, a livello mondiale, dal geografo francese Simon Gildas in ben 15-20 milioni di persone, costituiscono, invece, nella norma (statistica, non giuridica) un formidabile esercito salariale di riserva (per usare un termine e una categoria di Carlo Marx), che grazie alla sua estrema flessibilità, in termini di salari e di condizioni di lavoro, contribuisce non poco alla salvaguardia d'interi settori economici, nell'industria (metallurgia) e nelle costruzioni, nei servizi (lavori domestici e di cura delle persone), nell'agricoltura (specie nella stagione del raccolto), nell'allevamento. Un solo esempio emblematico: nelle stalle dell'opulenta Bassa Padana i bergamini locali (l'aristocrazia dei salariati agricoli di un tempo) sono stati sostituiti da Indiani Sikh e persino nei miseri pascoli della Sardegna, oltre che nell'Abruzzo, le pecore cominciano ad essere governate da pastori macedoni. Per concludere una precisazione, un'osservazione e un giudizio di valore preso in prestito. La precisazione: in questa lezione non ho avuto modo di trattare una questione che m'interessa e mi attira molto culturalmente ed emotivamente, come insegnante, oltre che come studioso di storia sociale. E' quella della straordinaria esperienza umana vissuta dagli emigrati che divenendo immigrati prendono coscienza della propria identità, talvolta, proprio mentre la mutano o rischiano di smarrirla in un nuovo contesto sociale e culturale, dove sono esposti a differenti e non indolori destini di meticciato, integrazione e multiculturalismo. L'osservazione: la libertà di muoversi e quindi anche di migrare è uno dei diritti fondamentali dell'uomo (art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese") più 19 G. Puggioni, Emigrazione e criminalità. L'influenza esercitata dalla composizione per età e sesso dei migranti sui tassi di criminalità, Cagliari 1979. 15 conculcato.20 Organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative limitano i danni. Non mancano certo gli argomenti e i riscontri anche statistici per sostenere la tesi che le politiche repressive, oltre a mettere in discussione un diritto fondamentale, sono inefficaci e, spesso, controproducenti, spingendo i clandestini nell'illegalità, consegnandoli già in partenza nelle mani di trafficanti senza scrupoli. Ne consegue che sono imprescindibili e urgenti impegni massicci nella lotta contro la povertà, per la riduzione delle diseguaglianze, per la sottrazione di spazi e consensi delle organizzazioni criminali, la messa in campo di nuovi modi e strumenti per regolare e accompagnare le migrazioni reciprocamente benefiche. Il giudizio di valore preso in prestito: si tratta di una riflessione perspicua del filosofo francese Paul Ricoeur contenuta nell'introduzione ad uno stimolante recente volume a più voci, pubblicato in Francia per conto dell'Académie universelle des cultures, il cui titolo suggestivo è Migrations et errances. Scrive Ricoeur: "Pris à l'echelle mondiale de la globalisation, les phénomenes migratoires donnent à penser, selon qu'ils sont perçus sur les terres d'accueil comme immigration, avec tous les fantasmes qui s'y greffent, ou à l'invers comme émigration, de la part des exilés des temps modernes, avec ses cortéges de contraintes, de calculs et de rêves: une grande partie de la discussion publique est ainsi absorbée par ce phénomène à double entrée qui met à l'épreuve pour les uns la prétention à l'universalié attachée à leurs idéaux, pour les autres la préservation de leur identité particulière. Plus profondément, les migrations contemporaines renvoient au-delà de leur actualité brûlante, et au-delà même de leur épaisseur historique, à des trits relevant de la condition humaine en tant que telle, à savoir le sentiment fondamental d'exil, résultant du rapport contingent de chaque être vivant à son environnement, sur quoi se greffe un goût alterné pour l'établissement dans un habitat familier, et pour les déplacements et les voyages avec ou sans retour. A l'époque du passage de la vision d'un monde fini à celle d'un monde infini, qui fut aussi celle de la prise de conscience de la rotondité de la terre et des limites imposées à toute excursion hors de chez 20 L. Henkin, International Law. Cases and Materials, West Publishing Co, 3rd Ed., New York 1993, pp. 60116 soi, Pascal a pu apercevoir l'homme 'comme égaré dans ce recoin de l'univers sans savoir qui l'y a mis'. Si la leçon d'humilté ne doit pas tourner au désarroi, il faut qu'un grand dessein moral et politique s'en empare, par exemple celui de l'hospitalité, que Kant décrit comme un droit, celui d'être reçu en tout pays comme un ami et non comme un ennemi".21 608. 21 Academie universelle des cultures, Migrations et errances, prefazione di Elie Wiesel e introduzione di Paul Ricoeur, Grasset, Parigi 2000. 17