La comunicazione nell`era della società complessa

A
Simona Perfetti
La comunicazione
nell’era della società complessa
La formazione della persona
fra media generalisti e media digitali
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
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I edizione: ottobre 
Indice

Introduzione

Capitolo I
La comunicazione di massa. Tra storia e teorie
.. L’avvento dei media generalisti. Radio, cinema, televisione,  – .. Principali approcci teorici,  – .. Comunicazione,
conoscenza e socializzazione. Gli effetti a lungo termine,  –
.. La Media Education tra comunicazione e educazione, .

Capitolo II
Comunicazione e conoscenza nella società complessa
.. Dall’avvento dei new media ai media digitali. Come cambia
la comunicazione,  – .. L’avvento dei social network. Verso nuovi scenari formativi?,  – .. Comunicazione e società
complessa,  – .. La conoscenza al tempo del nomadismo, .

Capitolo III
Comunicazione, socializzazione e formazione
.. Verso una nuova socializzazione,  – .. Comunicazione e
nuovi scenari della formazione. Le prospettive della New Media
Education, .

Bibliografia e sitografia

Indice analitico

Introduzione
Nel  ho pubblicato Educazione che cambia. La formazione
nell’era della comunicazione. Il libro partiva da un interrogativo:
com’è e come sarà l’individuo postmoderno?
Tale interrogativo nasceva dalla riflessione sulla leggerezza
e precarietà del momento storico che avvolgeva la vita della
persona.
Alla scuola e alla famiglia, ritenute da sempre le agenzie
formative per eccellenza, si erano affiancati nella formazione e
nella socializzazione del soggetto, i media generalisti ritenuti
in grado di cogliere meglio la complessità di quel momento.
Il , il  e il  sono stati gli anni in cui hanno visto la
luce, rispettivamente, il cinematografo, la radio e la televisione.
Questi media, già dal loro esordio, si erano imposti come nuovi
modi di comunicare, nuovi contenitori di mode da seguire o di
modelli da imitare, nuovi momenti di aggregazione e, nello stesso tempo, avevano anche dato vita a nuove polemiche sul tipo
di effetti che il bombardamento di immagini e suoni e il contenuto da essi veicolato avrebbe potuto avere sulla formazione
della persona.
Umberto Eco usò le definizioni di “apocalittici” e “integrati” per intendere coloro i quali si schieravano, rispettivamente, contro e a favore l’influenza mediale. Il punto di partenza
della critica sollevata dagli apocalittici, stava nel termine “comunicazione di massa”, da loro interpretata come un tipo di
comunicazione adatta a un pubblico passivo, indifferenziato e,
perciò, bersaglio diretto degli effetti dei media. Gli integrati,
al contrario, ritenevano che la grande possibilità di accesso ai
. Cfr., U. E, Apocalittici e Integrati (), Bompiani, Milano .


Introduzione
media potesse assicurare un maggiore livello di conoscenza,
anche per i meno colti.
Gli studi sugli effetti dei media (dalla teoria dell’ago ipodermico a quella delle rappresentazioni sociali), al di là delle preoccupazioni degli effetti dei media sull’individuo, hanno spinto
anche a riflettere sul suo ruolo nel mondo mediatico, su come
i mezzi di comunicazione abbiano cambiato il suo universo
cognitivo, i suoi rapporti interpersonali e la sua formazione.
L’avvento dei nuovi media, e in particolare della rete, ha
moltiplicato gli interrogativi sull’eticità dei contenuti veicolati,
ha ridisegnato la mappa cognitiva del soggetto modificando i
suoi rapporti con lo spazio, il tempo e la memoria, ha ampliato
e modificato enormemente i modi di comunicare. Dopo più
di dieci anni di distanza da quelle considerazioni, la condizione
antropologica e culturale della persona oggi si è arricchita e
complicata nello stesso tempo grazie anche all’avvento e al
consolidarsi dei social media.
Nel corso del tempo si è passati dal modello broadcast che ha
caratterizzato i mass media, in cui la trasmissione del messaggio
avveniva in modo unidirezionale ed era rivolta a un pubblico
indefinito, a un modello intercast in cui si diventa produttori e
spettatori contemporaneamente.
L’avvento del web . ha portato alla valorizzazione della
dimensione sociale della rete, dimensione generata dalla partecipazione e dalla condivisione degli utenti che rivestono, ormai,
il doppio ruolo di fruitori e costruttori.
I giovani di oggi vivono in uno stato di connessione e questo
perché la rete sta diventando un vero e proprio ecosistema sociale,
una sorta di universo parallelo rispetto a quello reale.
In tal senso i social media si pongono come strumenti che
favoriscono la partecipazione attiva degli utenti, non hanno
particolari limiti di accesso e sono connessi gli uni agli altri.
Sono, infatti, definiti media sociali perché sono mezzi che si
. Cfr., G. B A, Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori
nella (Social) Network Society, FrancoAngeli, Milano .
Introduzione

fondano sulla condivisione e, pertanto, rispecchiano le pratiche
sociali.
L’avvento dei media digitali sta trasformando, in termini di
struttura e funzionalità, anche i media tradizionali. La portabilità, l’interattività e la generatività creano un approccio mentale
cognitivo nuovo rispetto al passato, che problematizza il ruolo
della scuola e della famiglia che oggi hanno a che fare con
la generazione multitasking, una generazione, cioè, in grado di
portare avanti molte attività contemporaneamente.
Il nostro è, dunque, il tempo dei cambiamenti radicali, cambiamenti nei pensieri, nei rapporti, e nella coscienza stessa
della persona. Perché, per il soggetto di oggi, i media sembrano
rappresentare un ambiente naturale per la formazione della
conoscenza e della coscienza?
L’universo dei vecchi e nuovi media è un universo leggero
e cangiante, fatto di suoni, colori, immagini con i quali oggi è
possibile anche interagire; così com’è leggero e cangiante l’attuale momento storico, attraversato dalle correnti del sensibile,
dell’effimero, del piacere vissuto “qui e ora”; è il momento storico dello spaesamento dell’individuo nel mondo, che si trova
a vivere questo attimo fuggente tra esilio e integrazione.
Michel Maffesoli sintetizza lo stato nomade dell’individuo
postmoderno nella figura dell’ebreo errante e in quella della
città di Venezia.
Il popolo ebraico, popolo privo di territorialità, si insedia nei
nuovi territori sempre in maniera provvisoria, con lo sguardo
teso altrove, verso una terra promessa. La dinamica di correlazione tra esilio e integrazione, tipica del vivere postmoderno
trova, così, nel modus vivendi dell’ebreo, un momento di chiara
esplicitazione. In tal senso, il ruolo della diaspora può essere
letto sotto due aspetti, quello del radicamento puntuale che essa
ha determinato, e quello del ruolo di traghettatore svolto dal
popolo ebraico.
. Cfr., M. M, Del nomadismo. Per una sociologia dell’erranza (),
FrancoAngeli, Milano .

Introduzione
Secondo il sociologo francese, i molteplici esili cui è stato
sottoposto questo popolo sono serviti, in parte, a fortificarne
lo spirito:
Non dissipando la propria energia in conquiste territoriali, non
sfiancandosi con l’imperialismo. . . intensificano la propria cultura.
Seppe adattarsi e radicarsi. Giusto quanto basta per non perdere la
propria specificità. Ma questi radicamenti puntuali gli permisero di
attingere dai paesi in cui si trovava, le forze necessarie per conservare
nello spirito il ricordo della città d’origine.
In questa prospettiva di mobilità, gli ebrei sanno farsi anche traghettatori poiché hanno molteplici contatti, parlano più
lingue, possono essere negoziatori, imprenditori, consiglieri e
possono servirsi dei radicamenti lontani di altri membri della
comunità.
Altro emblema dello stato di erranza postmoderna è la città di
Venezia. Per richiamare l’ambivalenza ermetica di Venezia, Maffesoli si rifà alla figura di Ermes, il dio viaggiatore, astuto, abile,
inafferrabile. Questa divinità dal piede alato, « un piede per posarsi sulla terra, e ali per allontanarsene, per fuggire quando l’istinto
dell’avventura diviene troppo forte per essere soddisfatto da ciò
che la routine quotidiana propone » , ben si accompagna alla maschera veneziana che inquieta ma, nello stesso tempo, sollecita
l’incontro. Come Ermes che rasenta il suolo ma non vi aderisce
rimandando all’erranza, così la maschera permette lo sfiorarsi
dell’incontro, ricordando, nello stesso tempo, « l’evanescenza di
tutte le cose » .
Nonostante la condizione esistenziale di precarietà della persona postmoderna e nonostante le nuove tecnologie abbiano infittito
e offerto nuovi sviluppi al suo universo cognitivo cambiando anche la comunicazione nei modi e, in parte, nei contenuti, sono
rimaste immutate le motivazioni profonde che hanno dato vita al
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ibidem.
Introduzione

dialogo e alla narrazione, cioè alle prime forme con cui l’individuo
ha costruito i suoi rapporti con gli altri e con il mondo.
Si dialoga per organizzare insieme agli altri il proprio mondo; si dialoga
per organizzare insieme agli altri il proprio habitat, si racconta per conferire senso a eventi, situazioni, persone che altrimenti si disperderebbero
in un universo dagli spazi e dai tempi indefiniti. La narrazione e il dialogo hanno ritmato da sempre l’esistenza umana e continuano a farlo
attraverso i media vecchi e nuovi. Il cinema, infatti, è il luogo in cui il
racconto (fiction) raggiunge il culmine della sua vocazione espressiva,
perché alla finzione della storia narrata si aggiunge quella derivante dall’uso di una tecnologia sempre più perfetta; mentre Internet permette il
dialogo su scala planetaria, un dialogo che si svolge “in una dimensione
intermedia tra oralità e scrittura” e che può rendere quest’ultimo medium un luogo di aggregazione che facilita l’acquisizione e la crescita
del sapere.
È vero che gli interrogativi che ottanta anni fa poneva la teoria
ipodermica sembrano essere rimasti immutati (il timore che la rete
possa farci ripiombare in un clima orwelliano), ma questo lasciare
sospese alcune risposte nasce, appunto, nel terreno della complessità che ha come naturale conseguenza la considerazione che non
può esistere una risposta univoca agli interrogativi del presente,
bensì una pluralità di punti di vista. Uno di questi potrebbe essere
il ricercare un giusto equilibrio tra l’attuale momento storico che
si nutre di presenteismo, del vivere “qui e ora” la fuggevolezza del
momento, di nomadismo, e una tradizione di pensiero che vede
nella formazione un momento fondamentale di riflessione sul soggetto il quale, per quanto viva questa condizione di crisi e leggerezza,
ha comunque bisogno di volgere lo sguardo verso la tradizione,
intesa nei termini accoglienti di sicurezza, di punti di riferimento
forti sui quali il soggetto stesso può tentare di costruire, anche
in un momento di forte spaesamento, un percorso di vita che
tenti di bilanciare l’insostenibile leggerezza della complessità, con la
maggiormente sostenibile solidità della tradizione.
. A. P G, Le sfide della comunicazione, Laterza, Roma–Bari
,p. XI.
Capitolo I
La comunicazione di massa
Tra storia e teorie
.. L’avvento dei media generalisti. Radio, cinema, televisione
Una delle questioni che oggi la cultura pedagogica contemporanea si pone, è quale rapporto instaurare tra sistema educativo
e sistema dei media dal momento che, la presenza sempre più
massiccia di nuove tecnologie della comunicazione nella vita
quotidiana, ha fatto registrare una vera e propria rivoluzione
sia nel campo della comunicazione sia nel panorama educativo, rivoluzione che inevitabilmente porta a riflettere sul ruolo
e l’incidenza che i media hanno sul processo formativo della
persona.
In passato gli studi sulla comunicazione sociale e sul potere
mediatico hanno riflettuto sulla questione secondo una prospettiva sociologica o di teoria politica; oggi, invece, la letteratura
critica sull’argomento ha spostato il focus dell’attenzione sul
ruolo dei processi educativi, dei processi scolastici e formativi
influenzati dai media.
Discutere dei problemi riguardanti la formazione della persona nell’ambiente dell’attuale e capillare diffusione dei media,
da quelli generalisti a quelli digitali, vuol dire affrontare il problema da una prospettiva più ampia, di storia totale, che si
realizza su più piani.
Sulla scia della tradizione delle Annales, la rivista nata in
Francia nel , che ha segnato una svolta radicale nel rin

La comunicazione nell’era della società complessa
novamento della ricerca storiografica, l’approccio agli attuali
problemi educativi deve vertere sul concetto di pluralismo e sul
complesso gioco di rimandi tra prospettive storiche, pedagogiche e sociali. Fondamentale, in quest’ottica, è la rielaborazione
della nozione di tempo: « occorre spezzare l’idea di un tempo
unico, omogeneo e lineare e costruire concetti operativi dei
diversi tempi di una società storica » .
In quest’ampia e articolata prospettiva di ricerca, analizzare la
storia dei media e delle principali teorie ed effetti delle comunicazioni di massa, può rappresentare l’incipit per tentare di cogliere
il senso più profondo di questa trasformazione epocale che la
persona ha vissuto e sta vivendo a livello formativo, sociale e
politico. D’altro canto, affrontare una storia per quanto breve
dei media generalisti più noti, quali cinema, radio e televisione,
costituisce sicuramente un’impresa difficile per la sua vasta portata. Ecco perché il senso ultimo che guiderà queste pagine, sarà
orientato a cogliere i mutamenti culturali e sociali che l’avvento
e il successivo sviluppo dei media hanno prodotto.
Il problema del presunto potere dei media, dei loro effetti sulla
persona, sulla cultura e sulla società è stato affrontato, sin dall’inizio,
con riferimento a due posizioni contrapposte: una a favore dei
mezzi di comunicazione di massa, e l’altra contro.
La prima posizione reputava la moderna società industriale “figlia del progresso”; la società era definita “di massa” perché la
maggior parte della popolazione aveva avuto la possibilità di accedervi abbandonando quelle posizioni periferiche nelle quali era
stata relegata. I mass media avevano contribuito, così, a sfumare
le barriere tra le diverse classi sociali, proponendo a tutti le stesse
opportunità d’intrattenimento e di evasione, le stesse sollecitazioni
culturali. I media, inoltre, favorendo la partecipazione sociale e politica, avevano partecipato anche a un’ampia riflessione sul concetto
di democrazia, creando un’opinione pubblica più consapevole.
. J. L G, La nuova storia, in J. L G (a cura di), La nuova storia (),
Mondadori, Milano , p. .
. Cfr., G. L, Il potere dei media, La Nuova Italia Scientifica, Roma , p. .
. La comunicazione di massa

Nel , Charles H. Cooley aveva osservato come i cambiamenti e lo sviluppo dei processi di comunicazione indotti dai
media, dagli inizi dell’Ottocento, avevano significato espansione della natura umana, del suo potere di esprimersi in totalità
sociali.
Tali mutamenti significano libertà, ampiezza di prospettive, possibilità infinite. La coscienza pubblica. . . si estende progressivamente con
quel reciproco scambio di suggerimenti e opinioni che la nuova situazione rende possibili, finché più ampie nazioni, e infine il mondo
intero, potranno essere compresi in un vivido insieme mentale.
Ancora, Robert Ezra Park, giornalista e poi professore di
sociologia all’Università di Chicago, al fine di descrivere la
nuova realtà sociale inaugurata dall’avvento dei media, utilizzò
la similitudine del villaggio:
La motivazione, conscia o inconscia, che spinge il giornalista, consiste nel voler riprodurre in città, per quanto è possibile, le condizioni
della vita del villaggio. Nel villaggio, ciascuno conosceva ogni altro. . . Il pettegolezzo e la pubblica opinione erano la fonte principale
del controllo sociale.
La seconda posizione vedeva la società e la cultura di massa
come conseguenza diretta di un processo degenerativo imputato da destra, all’avvento delle masse popolari sulla scena
politica e sociale e da sinistra, alla logica spietata dello sviluppo capitalistico. La società, in tale prospettiva, era vista come
una società dei consumi di massa. Il prodotto culturale, alla
stregua di ogni altra merce, era prodotto in serie e inserito sul
mercato secondo strategie di vendita rivolte a un pubblico ideologicamente omogeneo. Tale appiattimento culturale indotto
dai media costituiva una condizione necessaria per stimolare
nelle persone un’accettazione passiva dell’ideologia dominante
. E. K, P.F. L, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa,
cit. in Ivi, p. .
. Ivi, p. .

La comunicazione nell’era della società complessa
e degli stereotipi culturali . Forti sostenitori di quest’approccio apocalittico al problema degli effetti dei media, sono stati
i filosofi della Scuola di Francoforte. Horkheimer e Adorno
sostenevano, infatti, che:
a) Il pubblico di massa è vittima fatale (e senza, apparentemente,
nessuna possibilità di reazione significativa) dei processi di
manipolazione e sfruttamento che sono gli effetti “normali”
dei mass media, controllati da chi ha potere economico e/o
politico e si serve delle loro capacità deduttive per diffondere
e imporre le proprie posizioni e interessi;
b) l’efficacia di questi mezzi produce fenomeni di alienazione
e falsa coscienza, per cui si allentano i legami con le proprie
appartenenze di classe sociale: il risultato è che non si hanno
più chiare idee sui propri bisogni e interessi, finendo per
credere acriticamente a ciò che affermano i mass media;
c) i mass media esaltano il momento del disimpegno e dell’evasione, legittimando, così, indirettamente (non trattando a
fondo e imparzialmente le più serie tematiche sociali) i valori
e i comportamenti sociali su cui essi insistono fino a farli diventare (apparentemente) gli unici possibili e quelli cui rifarsi
e credere;
d) i grandi pubblici, anche in mancanza di altri punti di riferimento (come la Chiesa, i partiti politici, le associazioni, le
appartenenze comunitarie, ecc.) sono facilmente e fatalmente
vittime di strategie di propaganda (dalla politica ai consumi)
e di manipolazione del consenso.
Un altro elemento centrale di questa posizione apocalittica,
è stato la convinzione che i media potessero essere utilizzati
anche come strumento di propaganda, come ad esempio il
controllo e l’uso di giornali, radio e cinema nei regimi totalitari
europei.
Nell’Italia fascista una sorte analoga è toccata alla radio. Le
trasmissioni radiofoniche italiane sono iniziate ufficialmente
il  ottobre del , quando il regime fascista realizza l’URI
. Cfr., G. L, Il potere dei media, cit., p. .
. M. L, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza, Roma–Bari
, pp. –.
. La comunicazione di massa

(Unione Radiofonica Italiana). Il governo fascista inizialmente
sottovalutò le potenzialità della radio, lasciando che la programmazione della neonata radiofonia italiana spaziasse tra musica,
bollettini a uso dei naviganti e trasmissioni per bambini . Questa fase sperimentale della radiofonia si chiuse ufficialmente nel
novembre del , con la trasformazione dell’URI in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e con la conseguente
ristrutturazione della programmazione. Il regime fascista, comprese le potenzialità della radio come “fabbrica del consenso”,
creò l’Ente Radio Rurale nel  le cui finalità furono, appunto, quelle di educare la nuova generazione, fin dall’infanzia,
secondo i dettami della dottrina fascista.
Nel  il controllo diretto sui programmi radiofonici passò
al Ministero della Stampa e della Propaganda, due anni dopo
rinominato Ministero per la Cultura popolare. In questa determinata situazione storica, la radio doveva porsi come un
elemento portante dell’unione nazionale, divulgando comportamenti ispirati al regime . In questa prospettiva storica, la
radio, in ragione della sua evidente capacità di penetrazione,
era più direttamente coinvolta in un’attività di propaganda esplicita mentre il cinema doveva proporre immagini della società
funzionali alla riproduzione del consenso.
Nell’Italia del dopoguerra l’attenzione si sposta sul mezzo
televisivo. In quel determinato contesto storico la Chiesa cattolica comprese sin dall’inizio l’importanza del mezzo televisivo,
e tale atteggiamento del mondo ecclesiastico rappresentò un
elemento significativo . Non fu, infatti, casuale nel  la stesura delle Norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive,
un documento riservato che, in pratica, uniformava la pro. Cfr., F. G, G. R, La radio. Origini e sviluppo, in M. M (a
cura di), Il mediaevo. Tv e industria culturale nell’Italia del XX secolo, Carocci, Roma
 p. .
. Cfr., F. M, Storia della radio e della televisione in Italia. Un secolo di
suoni e immagini, Marsilio, Venezia , p. .
. Cfr., M. S, Scenari della produzione dell’immaginario, in M. M
(a cura di), Il mediaevo. Tv e industria culturale nell’Italia del XX secolo, cit., p. .

La comunicazione nell’era della società complessa
grammazione televisiva ai criteri della morale cattolica. Per
l’osservazione di queste norme fu creato un complesso sistema
di Comitati al cui vertice vi era il Comitato Generale delle Trasmissioni di cui faceva parte Filiberto Guala, Amministratore
delegato della Rai. Il Comitato doveva svolgere la funzione di
individuare le indicazioni generali di realizzazione delle trasmissioni, visionare l’efficienza organizzativa e funzionale dei
vari settori responsabili della programmazione e analizzare le
criticità connesse al settore dei programmi .
Per quanto riguarda il “grande schermo”, la necessità di
avviare una riflessione di natura storica permette di mostrare
le trasformazioni, soprattutto linguistiche, che il cinema ha
subìto nel corso degli anni.
Le tecnologie della comunicazione in generale e nel caso
specifico il cinema, quando iniziano a crescere e a imporsi
nella vita quotidiana, maturano anche un’autonomia rispetto
alla tecnologia dalla quale provengono. Nel caso del cinema,
tale ricerca di autonomia, si è realizzata nei confronti della
fotografia e del teatro: « alla legge dell’attrazione subentra la
legge dell’autonomia espressiva » .
La storia del cinema ha inizio il  dicembre del , quando i fratelli Lumiére presentano al Gran Cafè di Parigi un breve
filmato a contenuto documentario. In questa prima fase, che
va dal  fino al secondo decennio del Novecento, il cinematografo è una sorta di spettacolo foraneo di tipo ambulante. I
luoghi delle prime proiezioni pubbliche erano le Esposizioni
Universali o le Fiere. I primi spettacoli cinematografici erano costituiti per lo più da brevi ricostruzioni storiche ; non esisteva
ancora lo sviluppo narrativo di una storia, ma semplicemente
la sommatoria di diversi frammenti di bobina tra loro giustapposti mentre l’inquadratura presentava immagini piatte e prive
. Cfr., F. M, Storia della radio e della televisione in Italia. Un secolo di
suoni e immagini, cit., p. .
. P. M, S. P, P.C. R, Cinema, pratiche formative,
educazione, Vita e Pensiero, Milano , p. .
. Cfr., M. L, Manuale di sociologia della comunicazione, cit., pp. –.
. La comunicazione di massa

di profondità. Il cinema delle origini, dunque, sembrava essere
nato con lo scopo di attrarre i propri spettatori, con l’obiettivo,
cioè, di essere sostanzialmente una macchina delle meraviglie .
Dal secondo decennio del Novecento si afferma il cinema
classico. Questa seconda fase della storia del cinema dura fino
agli anni Cinquanta e spesso si fa coincidere con l’affermarsi dell’industria cinematografica hollywoodiana. Con il consolidarsi
di quest’ultima, il cinema aumenta la sua popolarità diventando
una “fabbrica” di miti e luogo di suggestioni per l’immaginario
collettivo .
Il cinema classico, inoltre, si caratterizzerà per l’istituzionalizzazione della figura del regista, per il concetto di sviluppo narrativo (le singole inquadrature si presentano secondo
una successione logico–temporale), per l’avvento del sonoro.
Dalle didascalie si passerà all’utilizzo della voce narrante e a
quello dei dialoghi. In altri termini il cinema classico diventerà pienamente narrativo. Lo spettatore del cinema classico
non sarà più l’osservatore del cinema delle origini, ma parteciperà alle storie narrate; il cinema muta le proprie funzioni
sociali .
Per quanto riguarda il cinema italiano, la prima metà degli
anni Quaranta, è stata attraversata da ben definite correnti
cinematografiche. In quegli anni si sviluppa la corrente calligrafica, ossia quel genere di film caratterizzato da una sorta
di fuga dalle pressioni dell’ideologia per evadere nel mondo
dell’utopia.
La “fuga” dal presente ha un doppio aspetto: è da una parte il
sogno di una vita diversa (è, cioè, implicito antifascismo) ed è, dall’altra, il cauto rifugiarsi in una tana priva di luce e di aria, o in epoche lontane. . . o in ambienti raffinati. . . o nel turbine delle passioni
secondo la collaudata ricetta del verismo e del melodramma.
.
.
.
.
Ibidem.
Cfr., G. L, Il potere dei media, cit.
Cfr., M. L, Manuale di sociologia della comunicazione, cit.
F. D G, Lo sguardo inquieto. Storia del cinema italiano (–),

La comunicazione nell’era della società complessa
Per quanto riguarda il genere bellico–colossale, i film emblema possono essere considerati Scipione l’Africano di Carmine Gallone, Luciano Serra Pilota di Goffredo Alessandrini,
e i tre film di Augusto Genina: Squadrone bianco, L’assedio di
Alcazar e Bengasi. Le funzioni fondamentali di questa corrente cinematografica sono state quelle di sfidare, sul terreno
dell’industria, il cinema americano egemone e di riuscire
a sintetizzare l’universo ideologico della piccola borghesia
fascista in racconti che ricalcavano gli abituali schemi propagandistici di onestà e coraggio come attributi per l’eroe
positivo, e di crudeltà per il nemico che osteggia il trionfo
della verità.
Il genere guida del cinema dell’ultimo fascismo è quello
della commedia dei telefoni bianchi, spesso ispirata a pièce
teatrali ungheresi e perciò rinominata, secondo una più tarda
e suggestiva definizione, “commedia all’ungherese”. Le storie narrate in questo tipo di commedia ruotavano intorno al
problema dell’identità. In Darò un milione di Mario Camerini
da Zavattini del , un milionario recita la parte del povero
per ritrovare la bontà, in Rose scarlatte di Vittorio De Sica del
, un marito recita la parte di un misterioso ammiratore
della moglie. L’elemento importante che caratterizzerà queste
commedie, verterà sulla volontà di essere un altro, di vivere
una vita differente .
Per quanto riguarda il fenomeno del neorealismo, la critica
francese lo ha definito una “scuola”, altri ritengono sia un movimento o una convergenza casuale di alcuni cineasti intorno
a un generico progetto di rinnovamento; gli autori stessi e i
critici del neorealismo parlano, invece, di un vero e proprio
programma estetico–ideologico. In tal senso Di Giammatteo
osserva come un probabile filo rosso potrebbe essere costituito dal fatto che il neorealismo ruoti intorno al primato dello
sguardo, il rispettare i fatti e accettarli per quello che sono;
La Nuova Italia, Firenze , p. .
. Ivi, pp. –.