Guida all’ascolto
Francesca Mulas
L’elisir d’amore: un filtro portentoso che assicura di possedere il cuore
della persona amata. Ma può la magia influire sui sentimenti degli uomini?
Intorno a questo interrogativo ruota la trama dell’opera di Gaetano Donizetti, che, con un titolo che promette magie sulla scena, ne compì subito
una nella storia del teatro. Sin dal giorno del suo battesimo, il 12 maggio
1832 presso il Teatro della Cannobiana a Milano, L’elisir incantò infatti
con la sua vivacità e inventiva e segnò una svolta decisiva nella carriera del
suo compositore, garantendogli la stima e l’ammirazione da parte della
stampa, nonché l’affetto incondizionato e duraturo del pubblico. L’opera,
tuttavia, ebbe una genesi particolare: l’impresario Alessandro Lanari commissionò a Donizetti un nuovo lavoro per rispondere al successo ottenuto
pochi mesi prima al Teatro Carcano da La sonnambula di Vincenzo Bellini.
Lanari si volle assicurare che Donizetti fosse equipaggiato con le stesse
armi del suo (presunto) rivale e gli affiancò nell’impresa il librettista Felice
Romani, collaboratore fisso di Bellini, che con Donizetti stesso aveva già
condiviso l’ottimo esordio di Anna Bolena e il modesto risultato di Ugo,
conte di Parigi. Il librettista e il compositore dovettero accettare però una
sfida: l’opera sarebbe dovuta essere pronta in soli tre mesi. Donizetti, notoriamente abituato a comporre con grande rapidità, portò a termine la
partitura in circa sei settimane (anche se una diffusa leggenda, messa in
circolazione dalla vedova di Romani, parla di una genesi di soli quattordici
giorni). Invece Felice Romani, visto il poco tempo a disposizione, corse ai
ripari scegliendo di rifarsi quasi parola per parola al libretto dal titolo Le
philtre, che lo scrittore Eugène Scribe aveva approntato l’anno precedente
per un compositore francese, Daniel Auber. Nacque così L’elisir d’amore,
che ebbe un tale successo da stupire lo stesso Donizetti. L’opera, forte di
trentadue repliche consecutive al Teatro della Cannobiana, conquistò presto numerose altre platee, anche all’estero, e tra il 1838 e il 1848 si impose
addirittura come la più eseguita d’Italia. Una bella rivincita per il compositore bergamasco, che nella vita aveva dovuto lottare non poco. Venne alla
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luce infatti nel 1797 da una famiglia molto povera che, per cercare di assicurargli un futuro, lo iscrisse, all’età di nove anni, alla Scuola Caritatevole
di Musica. Mentre proseguiva gli studi al Liceo Filarmonico di Bologna,
Donizetti scrisse la sua prima opera, Il Pigmalione, rappresentata postuma;
successivamente compose un gran numero di lavori seri e comici, andati in
scena in varie città d’Italia con un modesto gradimento. Fu solo con Anna
Bolena (1830) e con L’elisir d’amore (1832) che il suo genio fu pienamente
riconosciuto, nonostante alcuni insuccessi (come Marin Faliero, del 1835).
Mentre finalmente Donizetti poteva godere degli agi, della fama e della ricchezza che aveva sempre sognato (fra gli altri trionfi, Lucia di Lammermor
nel 1832, La fille du régiment, messa in scena a Parigi nel 1840, Linda di
Chamounix, rappresentata a Vienna nel 1841), la sfortuna si accanì su di
lui, e nel giro di pochi anni morirono entrambi i genitori, la moglie e due
figlie. Furono momenti di sconforto totale: ma la sorte non aveva smesso
di perseguitarlo. Gaetano Donizetti, oramai acclamato in tutta Europa, nel
1846 fu internato in manicomio a causa della pazzia generata dalla sifilide
(malattia che portò alla follia anche altri famosi compositori dell’epoca,
come Franz Schubert e Robert Schumann). Morì a Bergamo nel 1848,
senza aver più recuperato la ragione. I suoi capolavori continuarono però a
essere rappresentati in tutti i teatri mondiali, e in particolare L’elisir d’amore
è di sicuro la sua opera più amata dal pubblico, innamorato di questa favola di lacrime e risate corredata dall’immancabile lieto fine. Nella partitura
L’elisir d’amore è definito un «melodramma giocoso», ovvero un’opera che
contiene in sé sia gli elementi di commozione e coinvolgimento emotivo
del melodramma ‘patetico’ (diffuso in quel periodo soprattutto in Francia)
sia i tratti comici tipici dell’opera buffa di tradizione italiana. Si trattò
quindi di una sintesi nuova e importante, che introduceva nel mondo del
teatro nazionale una maggiore sensibilità letteraria e musicale per i protagonisti della vicenda, i quali non mostrano un comportamento stereotipato, ma agiscono secondo una propria personalità.
L’atto I dell’opera si svolge, in un’epoca non precisata, presso un villaggio di campagna nei Paesi Baschi. L’atmosfera contadina è resa attraverso il Preludio orchestrale; subito dopo il coro e Giannetta, una contadina
(soprano, la voce più acuta fra quelle femminili) intonano il canto «Bel
conforto al mietitore», nel quale i coloni esultano per la fine della giornata
lavorativa. In disparte, però, qualcuno non festeggia: è Nemorino (tenore,
la voce maschile più acuta), un giovane che si strugge d’amore per Adina,
donna colta e istruita, e si sente a lei inferiore (cavatina «Quanto è bella,
quanto è cara!»). Adina (soprano), sollecitata dal popolo, racconta (cavatina «Della crudel Isotta») la storia di Tristano e Isotta, che narra di come
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Tristano fece innamorare Isotta tramite un magico elisir. Improvvisamente
si sente un rullo di tamburo: arriva Belcore (baritono, la voce maschile
intermedia tra il tenore e il basso) sergente di guarnigione nel villaggio, in
cerca di soldati per il suo reggimento. Con fretta e sicurezza cerca di sedurre Adina e le propone subito il matrimonio (cavatina «Come Paride vezzoso»); la ragazza divertita sta al gioco. In un duetto con Nemorino della
scena successiva, però, Adina spiega al giovane di non essere intenzionata a
restare fedele a nessun uomo («Chiedi
all’aura lusinghiera»). Nel frattempo,
annunciato dal suono di una tromba,
arriva su un carro dorato il dottor Dulcamara (un basso, la voce maschile più
profonda), un finto taumaturgo che
narra alla folla i propri poteri («Udite,
udite, o rustici»). Affascinato da tanta
sapienza, Nemorino si fa avanti e chiede a Dulcamara se possieda il filtro
che potrebbe fargli conquistare Adina:
il truffatore gli rifila una bottiglia di
vino, aggiungendo che farà effetto solo
dopo ventiquattro ore, giusto il tempo a lui necessario per allontanarsi dal
villaggio. Nemorino comincia a bere e
subito dopo inizia a cantare e ballare,
ubriaco senza saperlo, ignorando volutamente Adina (duetto «Esulti pur
la barbara») che decide per ripicca di
sposare Belcore. Il sergente deve però
partire l’indomani e quindi le nozze
devono essere celebrate immediatamente; Nemorino, che sa di poter contare sull’effetto dell’elisir dopo ventiquattro ore, prega Adina di aspettare
un giorno, ma la giovane si avvia con Belcore, mentre il contadino si dispera tra le risa della folla (Quartetto finale).
Nel II atto i contadini festeggiano il matrimonio imminente (coro
«Cantiam, facciam brindisi»), mentre Dulcamara e Adina improvvisano
una barcarola dal titolo «Io son ricco e tu sei bella». All’arrivo del notaio
Il soprano Eugenia Tadolini nei panni di Adina al Teatro alla Scala nella prima metà
dell’Ottocento.
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che deve celebrare le nozze, tuttavia, la ragazza chiede di aspettare Nemorino, per sposarsi davanti a lui e così vendicarsi. Frattanto Nemorino si
dispera per il fallito effetto dell’elisir e per la mancanza di denaro, che gli
servirebbe per comperarne un’altra bottiglia. Belcore ha il rimedio da suggerirgli: diventare soldato guadagnando così venti scudi. Ma Giannetta va
in giro raccontando che uno zio di Nemorino è morto lasciandogli una ricca eredità (coro «Saria possibile»). Tutte le ragazze del paese circondano ora
di attenzioni Nemorino, il quale pensa che l’elisir inizi a fare effetto; quando Adina, ignara della nuova condizione economica del giovane, lo vede
così corteggiato e viene a sapere che, pur di avere il denaro per comprare il
filtro magico, si è arruolato, si commuove, vista di nascosto da Nemorino
(«Una furtiva lagrima»). Adina riacquista da Belcore il contratto e lo porta
a Nemorino invitandolo a rimanere nel villaggio, ma annuncia di non voler comunque stare con lui. È troppo: Nemorino decide di aggiungersi alla
guarnigione di Belcore. Adina a questo punto capisce che è il momento di
gettare la maschera. I due finalmente si dichiarano reciprocamente amore eterno, mentre Belcore accetta filosoficamente il fatto (recitativo «Alto!
Fronte!») e Dulcamara vanta il suo portentoso elisir responsabile della felice conclusione della vicenda (aria «Ei corregge ogni difetto»).
Il saggio è tratto dal programma di sala L’elisir d’amore, a cura dell’Ufficio Redazione del
Teatro Lirico di Cagliari, febbraio 2009.
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