Ematologia 24/4/2007 - Digilander

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Ematologia
Prof. Leone
24/4/2007
LE MALATTIE MIELOPROLIFERTIVE PHILADELPHIA NEGATIVE
Le malattie mieloproliferative sono un gruppo di malattie croniche, che si distinguono cioè dalla
leucemia acuta in quanto la forma cronica in generale è caratterizzata in ematologia oltre che
dall’andamento clinico più tenue, privo di una grossa sintomatologia, anche dal fatto che dal punto
di vista cellulare le malattie croniche conservano la capacità differenziativa (leucemia mieloide
cronica), mentre nelle malattie acute (leucemia mieloide acuta) tale capacità viene persa.
Perché parliamo di leucemia mieloide cronica? Perchè nelle malattie mieloproliferative croniche
rientrano quattro malattie: la leucemia mieloide cronica, la policitemia vera, la trombocitemia
primaria e la metaplasia mieloide agnogenica o mielofibrosi, quest’ultima di origine sconosciuta.
Quando si parla di metaplasia mieloide si vuole intendere che il tessuto mieloide (cioè il tessuto
mieloproliferativo) si trova in sedi diverse del midollo. Voi sapete che questo tessuto generalmente
si ritrova nel midollo osseo nella vita adulta mentre nella vita fetale viene a trovarsi inizialmente nel
sacco vitellino, poi nel fegato, nella milza e infine si trasferisce nel midollo osseo; il tessuto
mielopoietico è quindi per definizione il tessuto midollare osseo, anche se raramente aree di
emopoiesi anche nel soggetto normale si possono riscontrare per esempio nella milza. Si ha quindi
metaplasia mieloide quando tessuti come la milza o il fegato diventano sede di ematopoiesi, sia
riguardante la serie bianca che la serie rossa. La metaplasia mieloide è un fenomeno che si può
verificare oltre che per una malattia intrinseca del sistema emopoietico anche come forma
secondaria: in soggetti che abbiano anemie emolitiche con grande distruzione dei globuli rossi
potete avere delle zone di metaplasia mieloide che riguarda soprattutto la serie eritroide, oppure in
un soggetto con un tumore della prostata che ha localizzazioni midollari il midollo viene occupato
dalla metastasi prostatica e va incontro ad un processo fibrotico secondario a questa neoplasia,
potranno quindi esserci delle aree di metaplasia mieloide nella milza oppure nel fegato.
Questo gruppo di malattie presentano degli aspetti comuni, innanzi tutto sono malattie della cellula
che viene generalmente definita “staminale emopoietica”: questo è vero fino ad una certo punto,
bisogna vedere cosa si intende per staminale, perché se si intende la cellula che è in grado di
differenziarsi in tutte le serie e che è in grado di autoriprodursi in maniera indefinita questo
probabilmente può essere vero per la mieloide cronica, ma per esempio per le altre serie parlerei più
di malattie della cellula progenitrice mieloide, nel senso che nella policitemia vera, nella
trombocitemia e nella mielofibrosi spesso lo stipite linfoide non è interessato, mentre invece nella
leucemia mieloide cronica anche lo stipite linfoide è interessato, tanto che voi potete avere delle
crisi blastiche cosiddette di tipo linfoide.
La caratteristica comune di queste malattie sta nel fatto che non riguardano solo la serie che ha il
maggiore interessamento: per esempio la policitemia ha un interessamento maggiore della serie
eritroide però spesso ha anche una leucocitosi o una trombocitosi, così come la trombocitemia
spesso ha anche una leucocitosi.
Un marker di differenza fondamentale tra queste malattie è che la leucemia mieloide cronica ha il
cromosoma Philadelphia, cioè la traslocazione 9:22 (questo è il punto fondamentale perché allo
stato attuale delle nostre conoscenze la mieloide cronica è soltanto quella che ha la traslocazione
9:22 oppure il riarrangiamento BCR-ABL), noi invece in questa lezione ci interesseremo soprattutto
delle malattie mieloproliferative croniche definite Philadelphia negative, cioè quelle che escludono
la leucemia mieloide cronica; esistono però delle malattie, le cosiddette leucemie mieloidi croniche
di tipo spurio, che si presentano clinicamente come leucemie mieloidi croniche ma sono
citogenicamente Philadelphia negative (il 5%).
Le malattie mieloproliferative sono malattie clonali (con un test, una volta si faceva con l’analisi
della glucosio 6 fosfato deidrogenasi, G6PD, si può verificare la clonalità delle cellule) ma questo
non è sempre vero per le trombocitemie vere, in quanto non tutte sono clonali ma alcune sono
policlonali.
Tra queste malattie possono essere individuate quindi delle caratteristiche in comune ma anche dei
tratti distintivi: da una parte la leucemia mieloide cronica, sulla cui clonalità e sulla cui origine dalla
cellula staminale (che può darmi sia lo stipite linfoide che mieloide) non si discute, dall’altra parte
le malattie mieloproliferative croniche Philadelphia negative nelle quali generalmente lo stipite
linfoide non è compromesso.
Sorvolando sulla leucemia mieloide cronica, che è un capitolo a parte che verrà trattato dalla
professoressa Sica, ci soffermeremo sulla policitemia vera, sulla trombocitemia essenziale e sulla
mielofibrosi idiopatica, che sono malattie simili, perché tutte e tre (e questo è un dato in comune in
parte anche con la mieloide cronica) entrano in una fase che viene definita “spenta”, caratterizzata
da una fibrosi del midollo. La differenza, per fare un esempio, tra la mielofibrosi idiopatica e una
trombocitemia non è nel numero delle piastrine, ma nel fatto che nella mielofibrosi idiopatica alla
diagnosi un terzo del midollo è fibrotico (penso sottintenda che invece nella trombocitemia la
fibrosi del midollo è uno stadio che sopraggiunge successivamente e non interessa mai più del 30%
del midollo stesso).
La caratteristica delle malattie mieloproliferative è la splenomegalia, presente nel 98% dei pazienti
con mielofibrosi idiopatica, nel 50-60% dei pazienti con policitemia, nel 30-40% di quelli con
trombocitemia e anche nel paziente con leucemia mieloide cronica.
La policitemia vera è una malattia relativamente frequente, circa 1-2 casi ogni 100 000 l’anno,
frequenza che si avvicina a quella della mieloide cronica, 5 casi ogni 100 000 l’anno (mentre per la
leucemia mieloide acuta parliamo di 2-3 casi ogni 100 000 l’anno e per la linfatica acuta la
frequenza è circa 2 casi ogni 100 000 l’anno).
Mentre la leucemia mieloide cronica ha come marker citogenetico il cromosoma Philadelphia, un
marker comune alle malattie mieloproliferative croniche Philadelphia negative è la mutazione del
JAK2, una tirosinchinasi che porta all’ipersensibilità all’eritropoietina negli eritroblasti del paziente.
Questa mutazione, riscontrabile con un esame abbastanza semplice anche se di recente scoperta, è
presente in circa l’80% delle policitemie, dal 40 al 60% delle trombocitemie e circa nel 40% delle
mielofibrosi.
La sensibilità aumentata degli eritroblasti all’eritropoietina, dovuta a mutazione di JAK2, è la causa
che porta a un aumento del numero dei globuli rossi: quindi non c’è un aumento dell’eritropoietina,
se la si dosa in una policitemia è bassa. Se si trova l’eritropoietina alta si deve piuttosto pensare a
delle eritrocitosi secondarie: per esempio il caso classico sono i tumori del rene, nei quali ci sarà
una maggior produzione di eritropoietina che a un certo punto potrà dare poliglobulia, oppure io
posso avere una poliglobulia secondaria a insufficienza respiratoria.
Per essere più precisi, nella policitemia vera è presente la mutazione del nucleotide 1849 che
conduce alla sostituzione di un alanina con la fenilalanina nella posizione 617.
Parliamo della mortalità causata da queste malattie: negli Stati Uniti la mieloide cronica prima era
una malattia mortale nel giro di tre o quattro anni mentre attualmente con la terapie
antitirosinchinasiche sono stati fatti degli enormi progressi, perché si è visto che la mieloide
cronica, come dicevo prima, era dovuto al fatto che questa tirosinchinasi dava un vantaggio
proliferativo (in realtà prima non l’ha detto, ma il libro dice che la fusione BCR-ABL, secondaria
alla traslocazione 9:22, crea un gene ibrido che codifica per una fosfoproteina ad attività
tirosinchinasica che induce proliferazione cellulare), per cui bloccando questo enzima con alcuni
farmaci si sono ottenute addirittura delle remissioni molecolari, poiché riprende il sopravvento il
clone normale (tanto che se si sospende l’antitirosinchinasi la malattia riappare); quindi è una
malattia che viene bloccata ma non guarita.
Invece stabilire la mortalità dovuta a policitemia, trombocitemia e mielofibrosi è un po’ più
difficile. La mielofibrosi è una malattia sicuramente più grave della trombocitemia e della
policitemia: la policitemia è una malattia che generalmente va avanti per 10-15 anni, la
trombocitemia probabilmente va avanti ancora di più, la mielofibrosi è una malattia più grave
perché più facilmente porta all’esaurimento midollare e alla trasformazione leucemica.
I problemi che possono derivare da queste malattie sono: le complicanze tromboemorragiche;
l’evoluzione leucemica, rara nella trombocitemia e nella policitemia (questo probabilmente dipende
moltissimo dalla terapia) e più frequente nella mielofibrosi idiopatica; l’esaurirsi del midollo, con la
cosiddetta fase “spenta” che si accompagna a fibrosi midollare, evento che nella mielofibrosi è lo
stadio iniziale della malattia e che è frequente ma compare successivamente nella policitemia vera
e nella trombocitemia.
La mutazione di JAK2 è acquisita, per quale motivo compaia non si sa, ma si sa che interviene su
un altro gene che è lo STAT : stiamo parlando del sistema JAK/STAT, in cui io sinceramente non ci
voglio manco entrare (parole sue!per chi voglia ulteriori delucidazioni tratte dal libro: le JAK, o
Janus Kinase, sono una famiglia di proteine che, in risposta a stimoli citochinici, fosforilano le
STAT, trasduttori del segnale ed attivatori della trascrizione).
I sintomi del paziente con una malattia mieloproliferativa cronica sono:
- facile affaticabilità, perché il paziente si anemizza;
- perdita di peso;
- sconforto addominale a causa della splenomegalia;
- iperuricemia secondaria: l’iperproliferazione cellulare determina un aumento dell’acido urico che
andrà a depositarsi a livello articolare;
- possono esserci dei fenomeni di leucostasi e soprattutto nei trombocitotici si occludono i piccoli
vasi per cui ci può essere ronzio, problemi neurologici e perdita di coscienza;
- infarto splenico.
Ricordate che queste patologie non sono sempre sintomatiche, spesso il paziente sta bene e va a fare
un’emocromo per un semplice controllo, cosa frequente perché la sintomatologia inizialmente non è
mai eclatante.
Segni fisici sono:
- pallore;
- pletora;
- petecchie e /o ecchimosi;
- spleno/epatomegalia.
Le malattie mieloproliferative tendono ad esordire in trombosi particolari, quali le cosiddette
trombosi splancniche, oppure con trombosi dei seni venosi (entrambe rare), che quando si
verificano devono far pensare a malattie mieloproliferative anche se non sono le uniche malattie a
causarle: ad esempio anche una malattia rara come l’emoglobinuria parossistica notturna può
esordire con questi tipi di trombosi. Questo discorso stranamente non vale per la mieloide cronica.
Il segno più comune quindi sono le trombosi, tanto che spesso in questi pazienti viene usata
l’aspirina.
Studi di laboratorio:
- LAP: fosfatasi alcalina leucocitaria. Una volta era estremamente importante, adesso di
meno. La fosfatasi alcalina leucocitaria è importante perchè è sotto il controllo dei fattori di
crescita, quindi aumenta nelle malattie mieloproliferative croniche Phoiladelphia negative
(dove di fatto riscontriamo una maggiore sensibilità ai fattori di crescita, come detto) e
invece diminuisce nella leucemia mieloide cronica.
- PCR o FISH, importanti per differenziare sempre la leucemia mieloide cronica dalle
mieloproliferative Filadelfia negative.
- Massa eritrocitaria. Questo esame è importante per effettuare la diagnosi di poliglobulia o
policitemia perché la definizione di poliglobulia, come vedremo, non è un aumento dei
globuli rossi ma un aumento della massa sanguigna: i globuli rossi possono aumentare di
numero senza che aumenti la massa sanguigna. Perché? Se un individuo perde liquidi
sudando o non bevendo quando va a fare l’emocromo appare iperglobulico ma in effetti non
lo è, è solo diminuita la quota liquida; al contrario in gravidanza il sangue si diluisce, per cui
in una donna incinta viene considerato normale un valore attorno agli 11grammi di
emoglobina. Quindi teoricamente per stabilire un aumento della massa sanguigna noi non
dovremmo basarci solo sull’ematocrito, ma dovremmo fare questo esame, che però
generalmente si preferisce non fare poiché è un esame abbastanza indaginoso e che tra
l’altro utilizza il cromo51 e quindi metodi radioattivi. Quando viene effettivamente fatto
questo esame? E’ importante fare la massa sanguigna quando si hanno dei risultati al limite:
ad esempio in un paziente che ha 48 di ematocrito e 700 000 piastrine occorre distinguere se
si tratta di una iniziale policitemia vera o di una iniziale trombocitemia; quindi è un esame
importante per la diagnosi differenziale, perchè le diagnosi di malattia mieloproliferaiva
conica sono diagnosi di esclusione, che vanno fatte quando ho escluso tutte le cause
secondarie possibili.
Le diagnosi sono state molto semplificate dalla ricerca del JAK2 mutato: se io trovo una
paziente con una poliglobulia, oppure con una trombocitosi, oppure con splenomegalia e con il
JAK2 mutato saprò che non si tratta di una forma secondaria, che non ha il JAK2, anche se non
potrò fare diagnosi differenziale tra la varie mieloproliferative croniche.
Come abbiamo detto prima, nella policitemia vera il fattore preminente è l’incremento della
massa sanguigna, tale aumento è dovuto alla produzione incontrollata di globuli rossi a causa
dell’aumentata sensibilità all’eritropoietina, maggiore sensibilità dovuta a questo JAK2 che
interviene sul meccanismo JAK/STAT per cui in generale le cellule sono più sensibili alle
citochine (quindi all’eritropoietina ma anche al G-csf, fattore di crescita). Questa maggiore
sensibilità ai fattori di crescita fa si che la poliglobulia sia spesso accompagnata dall’aumento
dei globuli bianchi, generalmente da una neutrofilia, e dall’aumento delle piastrine.
Esistono anche delle policitemie un pò strane, che potremmo definire forme familiari.
Abbiamo già detto che queste malattie generalmente sono clonali, fatta eccezione per alcune
forme di trombocitemia che sono policlonali, però accanto al clone patologico spesso
sopravvive il clone normale.
Uno dei sistemi, prima che venisse scoperta l’alterazione del JAK2, per accertare la presenza di
una malattie mieloproliferativa latente, ad esempio in un soggetto con una trombosi sine causa o
con un numero di piastrine leggermente aumentate, era vedere se si sviluppassero delle colonie
eritroidi o megacariocitarie spontanee: se in gel di agarosio o metilcellulosa pongo del midollo
senza somministrazione di fattori di crescita non dovrebbe crescere nulla, se crescono queste
colonie ci sarà malattia mieloproliferativa.
Molte volte l’interazione tra globuli bianchi, neutrofili e piastrine può favorire la trombosi.
Un’altra cosa che collega le malattie mieloproliferative alle malattie emorragiche è il fatto che
molte volte questi pazienti, soprattutto quando raggiungono un numero di piastrine superiore al
milione, possono avere il cosiddetto Willebrand acquisito.
Per quanto riguarda la frequenza di queste malattie, la policitemia è più frequente negli uomini
mentre la trombocitemia nelle donne ed il picco di incidenza va dai 50 ai 70 anni.
Nella policitemia il punto fondamentale è la iperviscosità, perché il povero cuore è costretto a
pompare una massa sanguigna con aumentata viscosità, fatto che aumenta la possibilità di
scompenso e la possibilità di eventi ischemici periferici: uno dei segni della malattia quindi può
essere l’acrocianosi che spesso è risolta semplicemente da un po’ di aspirina. Un sintomo
fondamentale della policitemia è il prurito, altri sintomi sono: la sindrome di Budd-Chiari, cioè
la trombosi delle sovraepatiche, splenomegalia, ipertensione, infarto splenico.
Le malattie mieloproliferative croniche Philadelphia negative hanno una gravità molto minore
rispetto alla leucemia mieloide cronica, fino a poco fa considerata mortale nel giro di 3-4 anni
ma che adesso ha avuto un grosso miglioramento grazie alla terapia antitirosinchinasica.
Tra le malattie mieloproliferative croniche Philadelphia negative la più grave è la mielofibrosi
idiopatica, cui segue la policitemia e per ultima, e pertanto meno grave, la trombocitemia. La
mielofibrosi dà problemi più gravi, perché spesso il paziente arriva già anemizzato e perché c’è
una trasformazione leucemica relativamente alta, cosa che non accade spesso nella policitemia e
nella trombocitemia (nella quale succede nel 2% dei casi).
Vediamo adesso le malattie singolarmente.
LA POLICITEMIA VERA
La policitemia vera è una malattia proliferativa nella quale la massa sanguigna è aumentata.
Per misurare la massa sanguigna o prendo una proteina (per esempio l’albumina) o globuli rossi
marcati (ad esempio100 globuli), poi li rimetto in circolo e se invece di trovare in 100cc o in
50cc o in quello che vi pare la quantità di 100 globuli rossi marcati ne trovate facciamo conto 10
ciò significa che 100cc si è diluito in 10, in genere si diluisce in 50 o in 100: insomma dalla
diluizione che ha assorbito voi ricavate la massa, insomma questo è il concetto (ragazzi lo so
che non è molto comprensibile ma questa sono state le sue parole). Questo test va eseguito
quando voi avete dei dubbi, quando c’è un ematocrito di 51-52-53, non 20 di emoglobina e 55
di ematocrito.
Esistono dei criteri stabiliti dal WHO per stabilire che la policitemia sia primitiva, non dipenda
cioè dall’aumento dell’eritropoietina; tali criteri sono distinti in categoria A e categoria B.
CATEGORIA A:
- A1: massa sanguigna (o eritrocitaria) aumentata a 36ml/kg per gli uomini e 32ml/kg per le
donne.
- A2: la saturazione di ossigeno deve essere normale perché se è bassa penso che il soggetto
possa avere una eritrocitosi secondaria.
- A3: Presenza di splenomegalia, un cosiddetto sintomo maggiore.
CATEGORIA B:
- B1: la malattia spesso si accompagna a piastrinosi, con un numero di piastrine superiore a
400 000/μl.
- B2: leucocitosi, con un numero di globuli bianchi maggiore di 12 000/μl.
- B2: la fosfatasi alcalina leucocitaria è alta. Questo era un criterio molto importante in
passato e lo è ancora perchè nella leucemia mieloide cronica la fosfatasi alcalina leucocitaria
è bassa. Questa fosfatasi ovviamente è diversa dalla fosfatasi che si misura nei normali
esami di routine che voi vedete in reparto, cioè la fosfatasi alcalina plasmatici.
- B3: la vitamina B12. In genere è aumentata perché c’è una maggiore produzione della
vitamina che lega la B12 la quale è contenuta sulla superficie dei globuli bianchi che si
spogliano e quindi c’è un aumento di questa proteina
La diagnosi è quindi stabilita con la presenza dei criteri A1+A2 o con tutte e tre le A,
A1+A2+A3, o A1+A2+uno dei criteri B; quindi necessariamente occorre avere almeno due
criteri A.
La cosa fondamentale per distinguere la policitemia dalle altre forme di eritrocitosi è
l’eritropoietina: come vi dicevo prima nel policitemico l’eritropoietina è bassa, sotto i limiti
della norma, perché non ha bisogno di eritropoietina; se trovate alti livelli di eritropoietina
molto probabilmente sarà una forma secondaria, come accade in alcuni tumori (ci sono anche
dei tumori cerebrali, del cervelletto in particolare, molto rari, che causano un aumento di
eritropoietina).
Per la diagnosi si può anche eseguire un cariotipo che non permette però la distinzione della
policitemia vera, perchè la maggior parte della volte nella policitemia vera il cariotipo è
normale.
Nelle donne giovani si può fare il saggio clonale, quindi si possono fare determinate valutazioni
sull’XX: immaginando che i geni si distribuiscano in modo abbastanza bilanciato sulle due X,
se io trovo un determinato tipo di gene solo su un X dirò che la malattia è monoclonale, se lo
trovo bilanciato dirò che è policlonale; questo viene fatto in genere sui recettori di alcuni ormoni
steroidei ma si può fare anche con la G6PD. Questo bilanciamento è presente soprattutto nella
donne giovani perché con l’età sopraggiunge uno sbilanciamento fisiologico.
L’istologia e la morfologia del midollo osseo non sono esami diagnostici, ma sono importanti
soprattutto nella diagnosi differenziale tra mielofibrosi e trombocitemia per verificare
l’interessamento fibrotico del midollo. Nella policitemia che cosa vedo? Il prevalere di forme
eritroidi e forme megacariocitiche: ciò non è un segno specifico di policitemia ma qualche
indirizzo me lo può dare.
Esistono anche altri marker come per esempio l’mpl, che è il recettore della trombopoietina: i
pazienti con policitemia vera, trombocitopenia essenziale e mielofibrosi frequentemente hanno
bassa espressione di mpl nei megacariociti e nei progenitori emopoietici CD34+. Tutti questi
marker ulteriori, come mpl o prv1 in realtà non sono esaurienti al 100%, ciò vuol dire che il
JAK2 è sicuramente un marker più attendibile.
La causa della policitemia vera non è chiara, più del 90% dei pazienti con policitemia vera
mostra uno sbilanciamento del G6PD; ci possono essere delle anomalie citogenetiche che
aumentano col tempo, ma questo aumento spesso è dovuto alle terapie: come vi ho detto
bisogna stare attenti alle terapie, la policitemia vera può essere trattata semplicemente con
salassi per anni, e se voi la trattate in maniera molto aggressiva rischiate di aumentare il numero
di leucemie, quindi la chemioterapia va fatta solo quando non se ne può fare a meno.
Quando io mi sono laureato sembrava di aver trovato la soluzione alla policitemia vera con
l’uso del fosforo 32 (32P), solo che dopo 5-11 anni ci si è ritrovati con un altissimo numero di
trasformazioni in leucemia acuta, per cui il fosforo 32 è stato completamente abbandonato. Poi è
stata la volta del fibroburomato, con gli stessi risultati. Poi è stata l’epoca dell’oncocardite, che
adesso è il farmaco di scelta, poi non è andato più bene ed è stata l’epoca dell’interferone e
dell’anagrelide.
Tornando al punto di vista genetico nella policitemia ci sono a volte delle alterazioni
citogenetiche che quando compaiono sono sempre negative ed interessano il cromosoma 8, il
20, il 13 e il 17 (anche se molto spesso l’interessamento di quest’ultimo è secondario al
trattamento).
Le cellule sono normocromiche normocitiche, c’è in genere un aumento dei globuli bianchi, a
volte c’è una basofilia e spesso sono aumentate le piastrine, intorno a 400 000-800 000, nel qual
caso bisogna distinguere una policitemia con piastrinosi da una piastrinosi iniziata come tale e
che invece sta diventando policitemia (per fortuna molte volte le terapie sono uguali).
I test di coagulazione spesso sono alterati, ma per motivi molto banali: quando voi fate un
esame di coagulazione mettete il citrato, il citrato viene messo in proporzione col sangue, per
cui se voi avete un ematocrito di 70 metterete troppo citrato.
Nella piastrinosi c’è il problema del potassio, che può venire abnormemente alto perché il
sangue coagula e libera potassio dalle piastrine.
Un altro esame che può venire alterato è la glicemia: spesso chi ha una leucocitosi ha una
glicemia molto bassa, poiché i globuli bianchi consumano zucchero.
L’acido urico è alto, perché i globuli bianchi e le piastrine vengono distrutti, quindi è una
conseguenza dell’aumentata proliferazione.
Come vi dicevo prima l’aspirato midollare e la biopsia ossea non sono indispensabili per la
diagnosi ma sono importanti per verificare se uno ha una mielofibrosi idiopatica, perché nelle
mielofibrosi all’aspirato midollare c’è la cosiddetta “punctio sicca”, questo vale per la fibrosi
midollare, per la fibrosi mieloide e per la mielofibrosi linfoide. La punctio sicca non significa
che non c’è il midollo, ma significa che le cellule non escono e allora devo fare la biopsia ossea
per verificare la fibrosi, quindi la diagnosi di mielofibrosi può esser fatta esclusivamnete con la
biopsia ossea: per quanto riguarda la trombocitemia io devo escludere che ci sia una fibrosi del
midollo superiore al 30%.
La vitamina B12 aumenta perché è aumentata la transcobalaminaB, che lega la B12 e che si
trova sulla superficie dei globuli bianchi, e questo aumento riflette l’aumento dei globuli
bianchi.
Altro esame che si può eseguire per la diagnosi di policitemia è la misura dei progenitori
eritroidi, ma l’esame fondamentale in questo momento è la mutazione del JAK2.
La dissociazione della curva dell’emoglobina può essere importante perchè esistono dei pazienti
con eritrocitosi dovuta a una emoglobinopatia perché l’emoglobina dissocia male, ma ciò è raro.
Cosa si fa nei pazienti malati? La terapia più comune e più efficace è il salasso, allo scopo di
riportare l’ematocrito sotto 50 nell’uomo, sotto 46 nella donna. A forza di praticare il salasso il
paziente però va in carenza di ferro: questo è molto importante perché l’iposideremia,
soprattutto se accompagnata da anemia, mi stimola la produzione di piastrine (per cui se io ho
una piastrinosi la prima cosa da fare è escludere la presenza di sideropenia) e in un paziente con
policitemia io aumento questo rischio.
Le terapie usate utilizzano soprattutto il fosforo 32, cloranucil e oncocardite (con solo un 3-4%
di leucemia). Nella policitemia vera la leucemia secondaria è in gran parte dovuta alle terapie.
LA TROMBOCITEMIA
Che cos’è la trombocitemia???
La trombocitemia essenziale è una forma non reattiva, cronica, di un disordine
mieloproliferativo. Innanzi tutto la definiamo come forma non reattiva, mentre molto spesso le
trombocitosi sono reattive; vi ho detto che una delle cause più frequente di trombocitosi è la
sideropenia: ci sono qui molte ragazze che se vanno a fare le analisi sono sideropeniche, e
avranno le piastrine alte.
Generalmente la malattia è monoclonale, tuttavia recenti studi hanno dimostrato che alcuni
pazienti possono avere una malattia policlonale (questo vale solo per la trombocitemia); le
forme monoclonali sicuramente sono più gravi nel senso che danno più trombosi rispetto alle
forme policlonali.
Aspetto fondamentale della trombocitemia è l’aumento delle piastrine. Il problema della
trombocitemia è che può produrre sia emorragia che, più frequentemente, trombosi. La cosa
importante dal punto di vista clinico è che spesso si verificano trombosi anche se non ci sono le
piastrine tanto alte, mentre le emorragie sono più frequenti quando le piastrine sono molto
numerose, generalmente quando si ha un numero maggiore di 1 500 000; questo perché le
piastrine assorbono il fattore anti Willebrand, che serve per l’aggregazione piastrinica, che
quindi si abbassa.
La trombocitemia è relativamente più frequente della policitemia e l’evoluzione a leucemia è
dell’1-2% ed è legata alla terapia. La malattia è più frequente nelle donne che negli uomini e
l’età di insorgenza è intorno ai 60 anni.
La sintomatologia è spesso legata ai microaggregati piastrinici che possono dare vertigini,
disartria, giramenti di testa, mal di testa, sincopi.
Le trombosi, e questo vale sia per la trombocitemia che per la policitemia, possono essere sia di
tipo venoso che di tipo arterioso.
L’infarto del miocardio nel paziente trombocitemico e policitemico è molto più frequente,
quindi a differenza delle trombofilie familiari nelle quali praticamente si ha sempre la trombosi
venosa, nella trombocitemia e nella policitemia si ha una maggior frequenza di trombosi
arteriosa, ischemia cerebrale, cardiaca o polmonare.
Sono frequenti disturbi gastrointestinali; non vi scordate che il primo trial con l’aspirina venne
interrotto quando si usava non l’aspirina a 100mg ma a 500mg-1g, perchè aumentava le
emorragie gastriche dei pazienti . Soltanto quando grazie a nuovi studi si è dimostrato che
l’aspirina poteva essere utilizzata per l’effetto antiaggregante essa venne introdotta nelle
terapie.
Le gravidanze non vengono escluse in pazienti affette da trombocitemia, anzi in gravidanza la
trombocitemia migliora e se occorre fare farmaci il farmaco più adatto è sicuramente
l’interferone.
La splenomegalia, come vi dicevo prima, è presente nel 40/50% dei pazienti, mentre nella
mielofibrosi riguarda il 100% dei casi.
Esistono delle forme familiari che possono avere un’anomalia del recettore mpl.
All’esame del sangue riscontriamo leucocitosi e lieve basofilia.
Nel midollo osseo si riscontra iperplasia megacariocitica (spesso si trovano sia megacariociti
grandi che micromegacariociti) e fibrosi che non deve essere superiore al 30%.
Può esserci pseudoipercalliemia, l’ossigeno e la glicemia diminuiscono.
Può essere importante studiare anche la presenza di anomalie dei test della coagulazione (come i
test di proteina C e proteina S), questi test possono servire perchè la trombocitosi può essere
secondaria non solo alle anemie, come ho detto prima, ma anche alle neoplasie, specie in
neoplasie particolari come la neoplasia della pleura, a malattie particolari come l’artrite
reumatoide, o può riscontrarsi trombocitosi secondaria in donne con fibromatosi reattiva.
Il prof fa un piccolo inciso in cui dice che le slide che utilizza sono accessibili a tutti poiché
sono lezioni americane tratte da un sito che si chiama e-medicine.
La terapia si fa quando le piastrine superano un determinato numero, secondo alcuni 1 000 000,
per altri 1 500 000: se il paziente sta bene però anche in questi casi non si deve necessariamente
fare la terapia. La terapia va fatta però se il paziente ha una complicanza, ad esempio se ha
avuto una trombosi, perchè si è visto che pazienti trattati con l’oncocardite hanno una
complicanza trombotica più bassa.
L’anagrelide ha dato invece dei problemi di origine vascolare, nel senso che le trombosi e in
particolar modo quelle di tipo arterioso, anziché diminuire aumentano, pur diminuendo le
piastrine, tanto che i trial sono stati sospesi e l’anagrelide ha avuto l’approvazione solo in
seconda battuta.
Ci sono anche altri elementi, nel senso che una paziente con le piastrine alte sicuramente non
deve fumare, deve cercare di tenere il colesterolo basso e, in sostanza, eliminare gli altri fattori
di rischio di trombosi.
MIELOFIBROSI IDIOPATICA o METAPLASIA MIELOIDE AGNOGENICA
Nella mielofibrosi si ha una neoangiogenesi e ciò è dovuto al PGF-β, prodotto dalle piastrine. Il
PGF-β ha un effetto angiogenetico e ha anche un effetto fibrogenico.
Questo midollo fibrotico fa si che la sede di emopoiesi si trasferisca in altri sedi, come la milza
o il fegato; se si trasferisca pèrchè non ci sia più spazio nel midollo o perché vengano a mancare
delle proteine fondamentali è un problema in cui non voglio entrare.
Se la sede di emopoiesi si trasferisce in periferia qui troverete eritroblasti, cellule immature e
globuli rossi alterati, per cui la diagnosi può essere sospettata da un semplice striscio periferico;
inoltre ci sarà una metaplasia mieloide della milza, del fegato e a volte anche di altre sedi.
È una malattia molto rara, con un’incidenza di 1/100 000, ed è molto più grave della
trombocitemia e della policitemia. La sopravvivenza media è di 3-5 anni, con un range da 1 a 10
anni, ma ci sono casi di decesso a 1 anno dalla diagnosi. Praticamente la malattia può
corrispondere allo stadio finale di una trombocitemia e di una policitemia.
Un problema ulteriore è la leucemizzazione, con una probabilità del 20%.
La malattia è più comune nella razza bianca, in prevalenza colpisce gli ebrei, ed è più frequente
nei maschi. È una malattia dell’anziano, difatti solo il 20% dei soggetti affetti è sotto i 55 anni.
I pazienti generalmente sono asintomatici alla diagnosi, fatta eccezione per la splenomegalia,
presente nel 90% dei casi.
I sintomi sono: anemia, sanguinamenti, ipertensione portale, epatomegalia dovuta al fatto che il
fegato è sede di metaplasia mieloide.
Nel sangue periferico ci può essere poichilocitosi e possiamo trovare le cosiddette “emazie a
goccia”, che assomigliano un po’ a quelle che si riscontrano nella porpora trombotica
trombocitopenica, però in quest’ultima ci sono gli schistociti mentre qui ci sono le cosiddette
cellule a lacrima.
Ci possono essere trombocitosi e leucopenia.
Soprattutto quando il soggetto è molto splenomegalico, alcune volte si è costretti alla
splenectomia. In tutte queste malattie con la milza grossa generalmente la milza non va tolta,
perché se viene tolta le piastrine salgono a precipizio, allora l’unica indicazione alla
splenectomia nel soggetto con mielofibrosi è quando ha una spiccata piastrinopenia, il che
succede molto raramente, e la milza è enorme.
L’aspirato midollare rivela una punctio sicca, quindi occorre una biopsia che rivela un midollo
ipercellulare con aumento di megacariociti.
Fattori caratteristici sono una cellularità a zolle e una fibrosi reticolare
I megacariociti possono essere presenti in cluster e possono mostrare displasia.
DOTTORESSA ROSSI: CASI CLINICI
1° caso clinico
Donna, 50 anni. Arriva alla nostra osservazione circa 1 anno fa, indirizzata dal ginecologo
perché per intraprendere una terapia ormonale sostitutiva vengono fatti degli esami di routine
che mostrano una piastrinosi con 750 000 piastrine, emoglobina normale, globuli bianchi
normali, volume globulare normale. Condizioni generali ottime.
A questo punto la prima cosa che facciamo è escludere una piastrinosi secondaria, quindi
facciamo dosare la proteina C reattiva, la VES, l’assetto marziale e facciamo indagini di tipo
microbiologico semplice: un tampone faringeo, uno vaginale ed un’urinocoltura.
Chiediamo un’ecografia dell’addome alla ricerca di una splenomegalia non riscontrata alla
palpazione.
La paziente è una fumatrice e chiediamo un rx torace per escludere eventi flogistici in atto o
neoplasie.
Quello che vediamo quando la paziente ci porta gli esami in visita è una VES lievemente
aumentata, l’urinocoltura è positiva per E.Coli con una carica batterica nei limiti, l’ecografia è
nei limiti e il torace non ha nulla di patologico.
Proviamo a somministrare terapia antibiotica con ciprofloxacina, con l’idea che ci sia comunque
una componente reattiva in questa piastrinosi.
La signora torna a controllo con urinocoltura che si negativizza, la VES si normalizza e le
piastrine sono sicuramente diminuite ma ancora fuori range (650 000 piastrine).
A questo punto ci si pone il problema: come proseguire? La signora può eseguire il trattamento
ormonale per cui aveva inizialmente fatto gli esami?
Sconsigliamo cautelativamente alla paziente la terapia ormonale in considerazione del rischio
trombotico aumentato, in quanto sospettiamo una malattia mieloproliferativa.
Verifichiamo la mutazione di JAK2, quindi eseguiamo il prelievo di sangue e iniziamo una
terapia antiaggregante con cardioaspirina.
La mutazione è assente, eseguiamo allora controlli bi-trimestrali e la conta piastrinica non è mai
inferiore alle 600 000 piastrine.
Dopo una anno la piastrinosi è confermata e proponiamo alla paziente l’agoaspirato midollare
per verificare la presenza del BCR-ABL (marcatore molecolare della leucemia mieloide
cronica), facciamo la FISH per lo stesso motivo, l’esame citogenetico per escludere la presenza
del cromosoma Philadelphia e facciamo la biopsia osteo-midollare con lo scopo di vedere se
quello che si nasconde è una mielofibrosi nascente.
La ricerca della traslocazione risulta come atteso negativa. L’aspirato e la biopsia mostrano
megacariociti aumentati con una tendenza a formare gruppetti e c’è una mielofibrosi diffusa ma
che non riguarda assolutamente un terzo del midollo come accade nella mielofibrosi ideopatica,
che quindi escludiamo.
Le colonie eritroidi spontanee, che ci darebbero un’indicazione di policitemia vera, risultano
assenti.
Noi ovviamente a questo punto continuiamo a seguire la paziente con controlli periodici e
continuiamo la profilassi con cardioaspirina.
2° caso clinico
Uomo, 60anni, iperteso da tre anni con un’ipertensione mal controllata, quindi con valori
pressori non stabili.
Racconta all’anamnesi un attacco ischemico transitorio, con disartria e confusione mentale,
durato qualche minuto, senza segni evidenti alla risonanza magnetica; da quest’attacco
ischemico il soggetto ha smesso di fumare, però da 20 anni fumava 15 sigarette al giorno.
Il soggetto si presenta una sera in pronto soccorso per cefalea intensa e un senso di confusione
mentale; al pronto soccorso rilevano una pressione di 160/100, l’emocromo presenta una
poliglobulia con un ematocrito del 50%, volume globulare normale, globuli bianchi superiori
alla norma, assenza di piastrinosi.
Viene fatta una TAC cranio vista la sintomatologia che il paziente riferisce che però è negativa.
La pressione viene abbassata, viene prescritto un analgesico e il paziente viene inviato ad una
valutazione ematologica urgente.
Si presenta quindi in ambulatorio di ematologia per il problema della poliglobulia e ci reca in
visione gli emocromi precedenti: notiamo che l’ematocrito è sempre superiore al 50%, ma
questo è ricollegabile alla condizione di fumatore (i fumatori hanno fisiologicamente una
poliglobulia reattiva).
Il paziente continua però a lamentare cefalea, l’ematocrito della mattina stessa è 56%: facciamo
un’emogas analisi e la saturazione dell’ossigeno è buona. Il paziente, sintomatico, viene
sottoposto ad un primo salasso isovolemico: vuol dire che abbiamo tolto 250cc di sangue
introducendo 250cc di soluzione fisiologica.
Eseguiamo il dosaggio dell’eritropoietina, verifichiamo un’eventuale mutazione di JAK2,
facciamo il prelievo per la determinazione delle colonie eritroidi spontanee, chiediamo
un’ecografia dell’addome ma avevamo già il reperto obiettivo di una milza palpabile a 2cm
dall’arcata costale, chiediamo un rx torace, un ECG, chiediamo una determinazione della massa
eritrocitaria perché, essendo il paziente in terapia antiipertensiva con diuretici, vogliamo essere
sicuri che non ci fosse una riduzione del volume plasmatico.
I risultati ci mostrano una eritropoietina ai limiti inferiori della norma, una milza effettivamente
ingrossata con diametro di 15cm, tutto il resto non mostra particolari alterazioni e la mutazione
di JAK2 risulta assente.
La massa eritrocitaria risulta aumentata proporzionalmente ai chili di peso.
A questo punto eseguiamo un aspirato midollare che però ci dà una citogenetica senza
alterazioni. La biopsia ossea evidenzia una iperplasia eritroide con deplezione del ferro, perché
ovviamente viene consumato a causa della poliglobulia, e note di fibrosi.
Concludiamo quindi con una diagnosi di policitemia vera JAK2 negativa. Il paziente ha quindi
iniziato un programma di salassi periodici con frequenza all’inizio settimanale, attualmente
mensile, allo scopo di riportare l’ematocrito a valori normali
3° caso clinico
Un ragazzo di 21 anni nel 1999 viene ricoverato d’urgenza in chirurgia per dolore addominale e
vomito. L’emocromo mostra un’anemia microcitica, una modesta piastrinosi con 580 000
piastrine, globuli bianchi nella norma, parametri di funzionalità epatica lievemente alterati. Alla
TAC addome emerge una trombosi della vena sovraepatica destra che si accompagna ad estesa
trombosi della vena porta e della mesenterica superiore. L’ecografia del fegato mostra una
ipertrofia del lobo caudato e segni di un iniziale versamento.
Vista la trombosi in un sito definito inusuale e la giovane età il soggetto fa uno screening per
trombofilia, per escludere che abbia un difetto congenito: è tutto nei limiti ad eccezione di un
dosaggio di proteina C ai limiti inferiori della norma, probabilmente legato alla ridotta
funzionalità epatica.
Eseguiamo un test per le colonie eritroidi spontanee che risulta positivo, quindi sospettiamo una
malattia mieloproliferativa.
L’aspirato midollare presenta numerosissimi megacariociti in tutte le fasi maturative, la biopsia
ossea mostra un’iperplasia della serie megacariocitaria con cellule in gruppi, iperplasia della
serie eritroide, non ci sono segni di fibrosi, la citogenetica è normale. Al paziente viene praticato
un trattamento fibrinolitico per cercare di sciogliere il trombo presente e, usciti dalla situazione
acuta, il paziente viene messo in terapia anticoagulante orale.
La trombosi si risolve con parziale ricanalizzazione della vena porta e attivazione dei circoli
collaterali, ma permane la spleganomalia. Il paziente viene da noi per un follow-up annuale e i
controlli da fare riguardano le varici esofagee, dovute all’ipertensione portale, e la piastrinosi.
Per escludere una leucemia mieloide cronica il paziente fa un accertamento per BCR-ABL, che
però è negativo.
Negli anni la piastrinosi continua ad aumentare ed il paziente torna nel nostro centro nel 2006
spaventato da 1 100 000 piastrine: eseguiamo il test per verificare la mutazione del JAK2 che è
presente.
A questo punto dobbiamo decidere una terapia e la cosa migliore è trattare il paziente con
interferone; per il prof il farmaco migliore sarebbe l’ oncocardite perché riduce il rischio di
trombosi, ma la terapia migliore rimane comunque l’interferone, se tollerato.
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