che riproduciamo integralmente come allegato

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Newsletter medico-legale
Via G. Paisiello, 43 – 00198 Roma – Tel. 06/855631
a cura di Marco Bottazzi e Gabriele Norcia della Consulenza medico-legale Inca Cgil
Numero 4°/2011
Danno da trasfusione: epoca di conoscenza delle diverse patologie
In una recente sentenza del Tribunale di Catanzaro (che si riporta integralmente) in tema
di danno da trasfusione il giudice nel riconoscere la responsabilità civile del Ministero ha
ribadito che tale responsabilità
è configurabile solo per quelle infezioni sorte
successivamente al momento in cui la scienza medica ha raggiunto le necessarie
conoscenze in tema di metodiche per la diagnosi.
Il Tribunale indica in maniera precisa le epoche in cui si sono raggiunte dette conoscenze
e precisamente:

per l''epatite B successivamente al 1978,

per l'HIV successivamente al 1985,

ed infine per l'epatite C successivamente al 1988.
Per le infezioni verificatesi prima di quei momenti storici viene pertanto a mancare,
secondo i giudici di Catanzaro, il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e
l'evento lesivo, non essendo oltretutto ravvisabile l'elemento soggettivo della colpa, in
quanto il danno non era in quel momento prevedibile mancando la possibilità materiale di
rilevarne l'esistenza con appositi controlli.
Tribunale di Catanzaro – Sez. II, Sent. del 13.01.2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 16.6.2009, V.M. conveniva in giudizio il
Ministero della Salute, esponendo che il 24 febbraio 1976 era stato sottoposto a terapia
trasfusionale, a seguito di intervento chirurgico per rimozione di una ernia discale,
eseguito presso l'Ospedale San X. di Dio; che, in data 7 aprile 2005, a seguito di
accertamenti eseguiti presso l'Azienda ospedaliera Parma, gli veniva diagnosticata una
epatopatia cronica da HCV; che, con provvedimento del 28 giugno 2006, la Commissione
Medica Ospedaliera del Dipartimento di Medicina legale di Catanzaro, chiamata a
pronunciarsi al fine del riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio
1992 n. 210, aveva accertato l'esistenza del nesso di causalità tra la terapia trasfusionale
suddetta e la patologia diagnosticata; che sussisteva la responsabilità del Ministero
convenuto ai sensi dell'art. 2043 c.c. da ricollegare alla normativa dettata per i controlli su
plasma ed emoderivati a far data dal 1967 che, nel caso di specie, non era stata
osservata.
Chiedeva, pertanto, che venisse affermata la responsabilità del Ministero convenuto per i
fatti di cui in narrativa con conseguente condanna dello stesso al risarcimento dei danni,
sub specie di danno biologico, patrimoniale, morale ed esistenziale, da quantificarsi, oltre
interessi a tasso legale e rivalutazione monetaria.
Si costituiva in giudizio il Ministero convenuto, eccependo l'intervenuta prescrizione del
diritto al risarcimento del danno; l'insussistenza di alcuna responsabilità per difetto del
nesso di causalità e della colpa per omessa vigilanza, sottolineando che all'epoca della
contrazione dell'infezione da parte dell'attore il virus HCV non era stato ancora scoperto.
Chiedeva, pertanto, che, in via preliminare, fosse dichiarata l'intervenuta prescrizione
quinquennale del diritto; che, nel merito, la domanda attrice fosse rigettata, in quanto
infondata in fatto ed in diritto e, in ogni caso, dichiarare il divieto di cumulo tra la domanda
risarcitoria ed il diritto all'indennizzo ex art. 2 comma 3° L. 210/92, come modificata dalla
L. n. 238/97 e, quindi, procedere ad eventuale scomputo.
Instauratosi il contraddittorio ed espletati gli incombenti di rito, all'udienza del 13.1.2011,
sulle conclusioni rassegnate dalle parti, la causa veniva discussa oralmente e decisa ai
sensi dell'art. 281 sexies c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda deve essere respinta per le ragioni di seguito esposte.
In
via
preliminare
indipendentemente
va
dal
ritenuta
diritto
la
ammissibilità
all'indennizzo
della
riconosciuto
domanda
alla
attrice
risarcitoria
in
sede
amministrativa, in considerazione della diversa natura dei due emolumenti. Invero la
possibilità di cumulare le due diverse forme di tutela si fonda sulla considerazione che la
corresponsione della indennità non ha funzione risarcitoria, ma puramente assistenziale,
costituendo una misura economica solamente aggiuntiva, riconducibile alle prestazioni
poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale (cfr. Cass. sez. lav.
n. 17047/2003), mentre solo il risarcimento del danno rappresenta la possibilità di
ottenere la integrale restituzione compensativa del pregiudizio subito.
Sicché quando sussistono gli estremi di una responsabilità civile per colpa, il diritto
all'equo indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, come modificata dalla legge n.
238/1997, non esclude quello al risarcimento del danno.
In altri termini, il diritto al risarcimento del danno subito per effetto di emotrasfusioni, ai
sensi dell'art. 2043 c.c., è diverso dal diritto all'indennizzo ex L. 210/92, che l'attore ha
provveduto preventivamente a richiedere (Cass. S.U. 08/584). Ne consegue che la
richiesta di tale indennizzo non ha alcuna valenza interruttiva in ordine al diverso diritto
ad ottenere il risarcimento del danno per la presunta attività colposa della p.a. (Cass.,
05/10992).
Infondata è altresì l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento per come spiegata
dall'Avvocatura dello Stato.
La Suprema Corte a sezioni unite, con la sentenza n. 583/2008, ha affermato, quanto al
termine di prescrizione, che lo stesso è sempre quinquennale, non essendo configurabili i
reati di lesioni colpose plurime, di epidemia colposa o di omicidio colposo - per i quali i
termini prescrizionali sono di dieci anni - ma, al più, quando ne ricorrano i presupposti,
quello di lesione colpose che, pure, si prescrive in cinque anni.
Quindi, con riguardo alla dibattuta questione della individuazione del dies a quo per la
decorrenza della prescrizione, i giudici della nomofilachia hanno in primo luogo aderito a
quell'orientamento per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno
del soggetto che assuma di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o
colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell'art. 2947 comma 1, c.c., dal momento
in cui la malattia può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al fatto doloso o
colposo del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle
conoscenze scientifiche (cfr. Cass. n. 2645/2003; Cass. n. 12287/2004; Cass. n.
10493/2006) subito dopo affermando, circa la valenza da attribuire ai fini della decorrenza
della prescrizione al responso delle Commissioni mediche ospedaliere istituite presso
ospedali militari, che appare ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione
della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque avere avuto una
sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili
conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la
certificazione emessa dalle commissioni mediche.
Nel caso di specie, l'attore ha avuto contezza della infezione da HCV in data 7 aprile
2005 e la vocatio in ius è stata notificata il 16 giugno 2009, ovvero entro il termine
quinquennale di prescrizione.
Passando al merito, si osserva quanto segue.
In ordine alle pretese risarcitorie per danni derivanti da emotrasfusioni si sono di recente
pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno fatto chiarezza in
subjecta materia sgombrando il campo da dubbi interpretativi e dettando principi univoci
in ossequio alla funzione nomofilattica attribuitale (vedi, in particolare per il caso di
specie, Cass. S.U. n. 576 del 2008).
Ed invero, la Corte, già con la pronuncia n. 11609 del 2005, richiamata dalla sentenza n.
576, previa un'ampia disamina delle tematiche connesse alla responsabilità civile da
condotta omissiva colposa, confermava la sentenza della Corte d'appello che aveva
rigettato la domanda proposta dai ricorrenti nei confronti del Ministero della Sanità, volta
al risarcimento dei danni subiti per trasfusioni di sangue infetto che avevano provocato
loro il contagio dei virus HIV, HBC e HCV, affermando che la responsabilità civile del
Ministero è configurabile solo per quelle infezioni sorte successivamente al momento in
cui la scienza medica ha raggiunto le necessarie conoscenze sulle predette infezioni,
ovvero, quanto all'epatite B successivamente al 1978, quanto all'AIDS successivamente
al 1985, e quanto all'epatite C successivamente al 1988. Per le infezioni verificatesi prima
di quei momenti storici veniva pertanto a mancare il nesso causale tra la condotta
omissiva del Ministero e l'evento lesivo, non essendo oltretutto ravvisabile l'elemento
soggettivo della colpa, in quanto il danno non era in quel momento prevedibile mancando
la possibilità materiale di rilevarne l'esistenza con appositi controlli.
Infatti, sostiene la Corte di Cassazione, finché non erano conosciuti dalla scienza medica
i virus della HBV, HIV ed HCV, e, quindi i "test" di identificazione degli stessi, cioè,
rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, essendo l'evento infettivo causato da detti
virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati inverosimile, deve
ritenersi mancante il nesso causale fra la condotta omissiva del Ministero della Sanità
(tenuto in base alla normativa previgente a quelle date a compiti di autorizzazione,
direzione e sorveglianza sul settore dell'importazione del sangue e degli emoderivati) e
tale evento, giacché negli illeciti aquiliani colposi mediante omissione all'interno della
serie causale può darsi rilievo solo a quelli che, nel momento in cui si verifica l'omissione,
e non successivamente, non appaiono del tutto inverosimili, tenuto conto della norma
comportamentale che imponeva l'attività omessa.
Sul punto, la pronuncia a Sezioni Unite del gennaio 2008 n.576, nel confermare tale
impostazione, ha tuttavia specificato che: "... non sussistono tre eventi lesivi, come se si
trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè
la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale:
trasfusione con sangue infetto - contagio infettivo lesione dell'integrità.Pertanto già a
partire dalla data di conoscenza dell'epatite B sussiste la responsabilità del Ministero
anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi,
ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica
da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era
obbligato per legge. Non può, invece, ritenersi la responsabilità del Ministero a norma
dell'art. 1225 c.c., per cui il responsabile risponde anche dei danni imprevedibili. Infatti
tale norma attiene, secondo la condivisibile dottrina prevalente, non al nesso di causalità
materiale, ma a quella giuridica, relativa alla valutazione e determinazione dei danni" (v.
sentenza citata).
In altri termini, ciò che rileva, ai fini di un giudizio di non improbabilità dell'evento, è che
quest'ultimo fosse prevedibile, non da parte dell'agente, ma sulla base delle regole
statistiche e/o scientifiche all'epoca conosciute.
Il principio della regolarità causale diviene quindi la misura della relazione probabilistica
in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento ed evento
dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata,
mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale andrà
più propriamente ad iscriversi entro l'elemento soggettivo (la colpevolezza) dell'illecito.
La non prevedibilità dell'evento incide, infatti, non solo sull'accertamento del nesso
eziologico ma anche e soprattutto sull'elemento psicologico della colpa, che, nel caso di
evento dannoso non prevedibile, non può ritenersi sussistente in capo all'agente.
Pacifico è, del resto, che per il configurarsi del diritto al risarcimento del danno aquiliano
sia richiesta una condotta dell'agente caratterizzata, dal punto di vista soggettivo, in
termini di dolo o colpa: in assenza di un comportamento colpevole non potrà sorgere una
valida pretesa risarcitoria ex art. 2043 c.c..
Orbene, nel caso di specie, secondo l'esposizione dell'attrice le terapie trasfusionali sono
state effettuate nel 1976, id est in epoca anteriore al 1978, data in cui si è ritenuto che la
scienza medica abbia raggiunto le necessarie conoscenze sulla infezione da epatite B ed
alla quale, come precedentemente detto a seguito della pronuncia più volte menzionata
della Sezioni Unite, viene fatta risalire anche la conoscibilità del virus dell'HCV.
Ne consegue, sulla scorta delle argomentazioni esposte, che non integrandosi la
fattispecie tipica prevista dall'art. 2043 c.c., sia sotto il profilo della sussistenza del nesso
eziologico tra condotta omissiva ed evento, sia sotto il profilo del necessario elemento
psicologico, la domanda risarcitoria avanzata in questa sede debba essere rigettata,
restando assorbita ogni ulteriore questione.
Infine, per completezza, in ordine al giudizio espresso dalla Commissione medica
ospedaliera di Catanzaro nel provvedimento del 28 giugno 2006 (v. copia provvedimento
allegato al fascicolo attrice) riguardo all'esistenza del nesso causale tra la terapia
emotrasfusionale cui è stata sottoposta l'attrice e l'insorgere della patologia, si osserva,
conformemente a quanto affermato in merito dalla sentenza della Corte di Cassazione a
Sezioni Unite dell'11.1.2008 n. 577, che "i verbali della Commissione medico-ospedaliera
di cui all'art. 4 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 - istituita ai fini dell'indennizzo in
favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati - fanno piena prova,
ai sensi dell'art. 2700 cod. civ., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in
sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o,
comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenuti costituiscono
materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne
l'importanza ai fini della prova ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio
accertamento".
Nella fattispecie in esame, la valutazione positiva espressa dalla suindicata
Commissione, aderendo al principio giurisprudenziale sopra riportato, riveste unicamente
valore indiziario che, per quanto precedentemente esposto in ordine ai criteri di
accertamento della sussistenza del nesso eziologico non può in questa sede essere
apprezzato, essendo ontologicamente differente la natura dell'indennità prevista dalla
normativa del 1992, già riconosciuta all'attrice, e il risarcimento del danno aquiliano,
inerendo la prima ad una c.d. responsabilità da atto lecito e il secondo, invece, ad un
comportamento antigiuridico imputabile quanto meno a titolo di colpa.
In considerazione dell'attualità della giurisprudenza citata e dell'estrema delicatezza della
materia trattata, si ritengono sussistenti giusti motivi per la compensazione integrale delle
spese di lite.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa,
sulla domanda proposta da V.M. nei confronti del Ministero della Salute, così provvede:
rigetta la domanda;
compensa integralmente tra le parti le spese di lite;
Catanzaro, 13 gennaio 2011
Il
Giudice
Dott. Francesco Agnino
Tutta la documentazione citata può essere richiesta alla Consulenza MedicoLegale Nazionale via e-mail all’indirizzo [email protected], [email protected]
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