 

Direttori
Riccardo D B
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Nicola G
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Comitato scientifico
Maurizio C
Università degli Studi di Salerno
Giuseppe D’A
Università degli Studi di Foggia
Rosario D
ISPF–CNR Napoli
Maurizio M
Università degli Studi della Basilicata
Christian M
Humboldt Universität zu Berlin
Renato P
Università degli Studi di Milano
Nicola R
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
 
Tra Ottocento e Novecento si verifica una serie di straordinarie trasformazioni nelle sintassi filosofiche. A partire dall’“eresia” marxista,
passando per l’“ultimativa” ridefinizione nietzschiana, la filosofia
cerca nuovi orizzonti e nuovi ambiti di interesse. La filosofia neocriticista in tutte le sue varianti, declinazioni ed evoluzioni, rappresenta,
da questo punto di vista, una delle risposte più ricche di significato e
di ulteriori sviluppi per la filosofia continentale, entrata in una profonda crisi epistemologica e, più generalmente, di “senso”. La collana
“Krínein” vuole allora provare a indagare questo spazio culturale,
senza particolari limitazioni e senza negarsi interferenze e diacronie
storico–concettuali. Tutto ciò, fondando la propria principale risorsa,
oltre che sull’interesse specifico degli Autori trattati, il più delle volte
con traduzioni inedite in italiano, sul lavoro intenso e pregnante di
una schiera di giovani ricercatori.
Questo volume è parzialmente finanziato con fondi di ricerca dipartimentali  –
Dipartimento di Studi umanistici – Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Nichilismo vs. Cosmopolitismo
Una storia finita?
a cura di
Mattia Papa
Rossella Saccoia
Prefazione di
Riccardo De Biase
Contributi di
Teresa Caporale
Chiara Cappiello
Diletta Ciociano
Dario Cositore
Marta D’Allocco
Ivana D’Avanzo
Alessandro De Cesaris
Denise Loprieno
Luca Lo Sapio
Mattia Papa
Antonello Petrillo
Rossella Saccoia
Teresa Sequino
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 
Indice

Prefazione
Riccardo De Biase

Breve critica della teoria dei valori e del nichilismo. Il punto
di vista del neomarxismo
Dario Cositore

Heidegger e Cassirer e Davos. La lotta per la filosofia
Rossella Saccoia

(R)esistenza ed economia. Rilke, Sombart e l’ordoliberalismo tedesco del primo Novecento
Antonello Petrillo

Da Descartes a Platone. Paul Natorp e il problema della
metafisica
Alessandro De Cesaris

Croce e de Martino tra crisi e storia
Chiara Cappiello

Il dramma dell’individuo. Max Weber e la destinazione
della storia nell’epoca del nichilismo compiuto
Mattia Papa

Politeismo dei valori e nichilismo della volontà. Max Weber e l’etica protestante
Marta D’Allocco

Il neokantismo in quanto cosmopolitismo. Heinrich Rickert e la filosofia dei valori
Ivana D’Avanzo

Indice


Il neokantismo in quanto cosmopolitismo. Hermann Cohen e la “religiosità” del filosofare
Teresa Sequino

Eugenetica nazista e nichilismo. Lineamenti per una riflessione critica
Luca Lo Sapio

Max Stirner: un precursore del nichilismo?
Teresa Caporale

Il nihil come fondamento dell’humanitas
Denise Loprieno

Per salvare la libertà. Un’idea di uomo in Escape from
Freedom
Diletta Ciociano

Postfazione
L’Asilo – comunità di lavoratori e lavoratrici dell’arte della
cultura e dello spettacolo

Gli autori
Nichilismo vs. Cosmopolitismo
ISBN 978-88-548-9589-8
DOI 10.4399/97888548958981
pag. 9–16 (settembre 2016)
Prefazione
R D B
Un libro, quando è degno di siffatto nome, non è mai un libro. Esso
ha qualcosa del molteplice, del multiverso, è quasi sempre qualcosa
di apolide, non perché senza padri e madri, senza terra e senza patria,
ma perché, al contrario, è qualcosa con molti padri e molte madri,
troppe patrie e troppe terre, per fornirne opportuna e veritiera genealogia. Ricostruzione impossibile, risalimento vietato, il supporre
che esistano auctores indiscutibili e individuali, è ipotesi che sfiora
il fantastico, che irrora l’assurdo e affatica di più, se possibile, l’iperbolico Sisifo. «Dal primo Adamo che vide la notte/E il giorno e la
forma della sua mano,/ Favolarono gli uomini e fissarono/Su pietra
o su metallo o pergamena/Quanto cinge la terra o plasma il sogno» .
Un bisogno inestirpabile, un’inesauribile vocazione è quella che ha
spinto, spinge e spingerà gli uomini a chinarsi e a distendersi sul
manto piano del supporto scritturale, a digrignare, senza rumore, gli
occhi per testimoniare, controllare, verificare, inventare le incisioni
che chiamiamo scrittura. E se è poco discutibile — non foss’altro
che per meri motivi statistici (statistica rizomatica, incongrua, irrisalibile da intelletto umano) — che ogni cosa che resta su carta o su
qualsiasi altro supporto è affetta da multipaternità, meno scontata e
più difficile da definire è la plurifigliolanza, l’orizzonte di effetti che
la scrittura genera: «È perché è inaugurale, nel senso giovane della
parola che la scrittura è pericolosa e angosciosa. Essa non sa dove
va, nessuna saggezza la preserva da quella precipitazione essenziale
verso il senso che essa costituisce e che è anzitutto il suo avvenire» .
. J.L. B, Alessandria,  A.D., in I., Tutte le opere, a cura di D. Porzio, voll. I–II,
Mondadori, Milano, , ivi, vol. II, p. . Sul carattere impersonale non soltanto della
scrittura (viene ricordato qui il nostro Italo Calvino), ma di tutto «il nostro sapere e volere»,
conviene andare a leggere le interessanti riflessioni di B. W, Phänomenologie der
Aufmerksamkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main, , pp.  e sgg, ivi, p. .
. J. D, La scrittura e la differenza, con una Introduzione di G. Vattimo, traduzione di
G. Pozzi, Einaudi, Torino, , p. .


Prefazione
Fallimento? Inutile sfogo di inutili uomini? Ambiziose e pretenziose
Sinngebungen? E se pure fosse? Un uso pratico della libertà di immaginare e di donare senso in assenza di ogni perché, è già di per sé
movente sufficiente a star lì a raccogliere, compulsare, consultare e
sillabare. Questo libro, l’oggetto che ora il benevolo lettore ha tra le
mani, vuole “solo” questo, ma neppure niente di meno: spericolarsi
lungo i rivoli del senso, provare a «strappare ai fenomeni» qualcosa
del loro essere, «sia pure in modo frammentario e rudimentale» .
I.
Il “fenomeno” in questione nel presente libro, è un tratto del pensiero europeo e mondiale, un segmento di storia della cultura i cui
effetti sono ancora interi e in dinamica trasformazione sotto i nostri
occhi, e di cui non riusciamo ancora a pesare del tutto, neppure
approssimativamente, il senso e il significato. Troppo pochi sono
cinquanta–sessanta anni di distanza storica, per esaurire le molteplici
e drammatiche conseguenze per i giorni nostri, di quel secolo che va,
grossomodo, dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista
fino al termine della seconda guerra mondiale. Ho creduto, abbiamo
creduto che uno dei fili più interessanti che tengono unite le trame
di questo secolo poteva essere lo studio di questa polarità tra una
tendenza nichilistica e una cosmopolita della filosofia. «Molte cose bisogna distruggere, per edificare il nuovo ordine; ora sappiamo che la
Germania era una di quelle cose. Abbiamo dato più delle nostre vite,
abbiamo dato il destino del nostro amato paese» . La fervida e fertile
immaginazione di Borges dà la parola a un superstite delle ultime ore
del nazionalsocialismo tedesco, del Reich che doveva durare mille
anni e che si disintegrava, invece, con mostruosa e feroce rapidità.
Ecco, il fascino del nulla, e la sua sterilizzazione, è proprio ciò che
avevo intravisto nell’ipotesi di messa a fuoco di uno dei due corni
del problema.
Si libra ora [corsivo mio] sul mondo un’epoca implacabile. Fummo noi a
forgiarla, noi che ora siamo le sue vittime. Che importa che l’Inghilterra
sia il martello e noi l’incudine? Quel che importa è che domini la violenza,
. M. H, Essere e tempo, traduzione di P. Chiodi, Longanesi, Milano, , p. .
. Cfr. K. M, F. E, Manifesto del partito comunista, con una Introduzione e
traduzione di D. Losurdo, Laterza, Bari, .
. J.L. B, Deutsches Requiem, in I., Tutte le opere, cit., vol. I, p. .
Prefazione

non la servile viltà cristiana. Se la vittoria e l’ingiustizia e la felicità non sono
per la Germania, siano per altri popoli. Che il cielo esista, anche se il nostro
luogo è l’inferno.
L’irresistibile richiamo del nulla, lo svuotamento di senso di ogni
grano di azione, l’inarrestabile scarnificarsi della “tornitura” dell’essere, da noi stessa azionata : è esattamente il nostro tempo «appreso
con il pensiero» , la morte di Dio e la morte dell’uomo fatte carne,
fatte tempo, banalizzate nella quotidianità un po’ sciocca dei social
network (che comunque sono il sensorio di un’avvenuta metabolizzazione dell’incredibile): tutto ciò dà l’impressione di non esser
più neppure un’ipotesi metafisica, ma la realtà che “semplicemente”
esperiamo nei nostri dibattiti, nel disinteresse, nell’afflosciarsi delle
passioni. Ecco, il senso del nichilismo che si è tentato di discutere
a partire dalle sue radici, rappresenta una conditio humana (o già
post–umana? ) ancora da attraversare in tutta la sua pesantezza e
gravità.
Infatti le lingue rendono solerti le menti allorquando [. . . ] la mente percorre
in lungo e in largo il grande vocabolario della vita [corsivo mio] e inventa una
parola appropriata all’oggetto in questione, con la quale denominarlo.
. Ivi, pp. –.
. Cfr. F. N, La gaia scienza e Idilli di Messina, con una Nota introduttiva di G. Colli,
versione di F. Masini, Adelphi, Milano, , in part. pp. –.
. G.W.F. H, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma–Bari,
, p. .
. Cfr. M. F, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, , pp. –.
. A parte i “classici” M. S, La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di G. Cusinato,
FrancoAngeli, Milano, , e E. C, Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della
cultura umana, Armando, Roma, , c’è oramai una robustissima letteratura sugli scenari
futuri del “posto dell’uomo nel cosmo” (ammesso che l’uomo ancora vi sia); ci limitiamo qui
a segnalare soltanto E. M, Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario
metafisico, Il melangolo, Genova, ; A.V., Umano, post–umano: potere, sapere, etica nell’età
globale, a cura di M. Fimiani, V. Gessa e E. Pulcini, Editori Riuniti, Roma, ; S. R, Il
corpo e il post–umano, Meltemi, Roma, ; P. B, The Cyborg: corpo e corporeità nell’epoca
del post–umano, Cittadella, Assisi, . Mi fa infine piacere ricordare qui l’interessante lavoro
di L. L S, uno dei nostri validi contributori, dal titolo Potenziamento e destino dell’uomo.
Itinerari per una filosofia dell’enhancement, Il melangolo, Genova, , e la letteratura critica ivi
contenuta, spec. pp. –, –, , . Infine, anche (ma non soltanto) per la sincera amicizia
che ci lega, voglio ricordare il recentissimo libro di G. G, Oscurato. Fine dell’Umanesimo
e umano a–venire, Mimesis, Milano–Udine, .
. G. V, De costantia iurisprudentis, in I., De uno universi iuris principio et fine uno, in
Opere giuridiche, a cura di N. Badaloni, Sansoni, Firenze, , p. .

Prefazione
Era il “nostro” grande Gianbattista Vico che, in un Settecento
ancora da illuminarsi (almeno nell’Italia meridionale), sosteneva la
necessità, per le menti in formazione, di esprimersi, di godere della
propria favella, di generare cose chiamandole e battezzandole. La
fantasia, la capacità di “corpulentizzare” le idee mediante le lingue,
l’impatto positivamente “devastante” dello studio dei classici sulle
menti e sui cuori dei giovani e dei meno giovani, è uno degli aspetti
che più “modernamente” caratterizza il pensiero del grande napoletano. Cosa farcene di questi spunti atavici? Cose vecchie, inservibili
ai nostri giorni? Non tanto, se “appena” ottant’anni fa o poco più,
Ernst Cassirer poteva scrivere che idee e fatti, pensieri e cose
non [sono] due forze eterogenee, per non dire ostili, che si contrappongono
l’una all’altra; si presenta piuttosto ovunque una vitale azione reciproca tra
il mondo del pensiero e il mondo dell’azione, tra la costruzione delle idee e
la costruzione della realtà statuale e sociale.
Se Cassirer ha (aveva) ragione, immaginare la presenza della filosofia, e più in generale della cultura nel mondo significa attribuire
ad essa una precisa funzione; costruire indefinitamente e sempre
più, la convinzione “disperatamente” ambiziosa che non c’è «scuola
migliore [. . . ] per formare alla vita, che presentarle sempre la diversità di tante altre vite, opinioni e usanze, e farle assaggiare una
così continua varietà di forme della nostra natura» ; che la vita, se
ha un senso, è vuota, povera e mendace senza la cultura, senza la
grazia che questa indefettibilmente sa donare a chi sobriamente la
pratica. Vivere senza la continua animazione che ci dà il leggere, lo
scrivere, il riflettere, l’operare ben vedente, sarebbe come «spremere,
per così dire, a suon di muscoli l’essenza delle rose» . A mio avviso,
l’immagine dello scrittore nordamericano ben disegna ciò che un
uomo di cultura e un formatore di indole cosmopolita, non dovrebbe
mai fare: prosciugare, inaridire e così brutalizzare le potenzialità creative e magmatiche di coloro che gli stanno attorno. Ciò che invece
dovrebbe fare è in–seminare, dis–seminare, generare e rigenerare le
. E. C, L’idea di Costituzione repubblicana, a cura di R. Pettoello, Morcelliana,
Brescia, , p. .
. M.E.  M, Saggi, a cura di F. Garavini e A. Tournon, Bompiani, Milano, ,
p. .
. N. H, Frammenti del diario di un uomo solitario, “Il Sole  ORE”, Milano, p.
 (leg. mod.).
Prefazione

purtroppo spesso assopite anime dei giovani, ampliarne il più possibile i contorni “spirituali” e “locativi”; darne, insomma, sufficiente
perimetro da abbracciare, in linea di principio, l’intera costellazione della cultura dei nostri giorni, consapevoli della abnormità del
compito, ma pure “coraggiosi” di quel “coraggio” che ci impone il
senso di responsabilità che portiamo nei confronti delle generazioni
a venire. Formare–alla–vita, così sosteneva Montaigne: quale compito,
quale proposito più utile e “nobile” per chi fa — o ambisce a fare —
la nostra professione? E cosa c’è di più esaltante che sperimentare e
sperimentarsi, portando sotto l’occhio, si spera, vigile e attento, di
una quanto mai opportuna al giorno d’oggi, “cultura dell’ascolto”?
Una cultura, cioè, in grado di percepire i bisogni, le afflizioni e le
aspirazioni dei giovani? In condizione di dar loro quello che loro
cercano: fiducia, attenzione, cura? L’avventura tentata nelle stanze
de L’Asilo (a cui accennerò tra un attimo) e che in queste pagine è
condensata e oggettivata, vuole essere questo, e non altro: una prova,
un esperimento con la vita, e immagino che, al di là dei legittimi e
quanto mai opportuni rilievi e suggerimenti che verranno da chi avrà
piacere a trattenersi su queste pagine con spirito “sperimentante”,
non potrà non convenire che è tutto qui, che il nostro artigianato
filosofico non consiste molto di più che nell’«aiutare la gioventù a
parlare», a «far luce con la chiarezza dei concetti alla sua inconscia
opposizione e fare di questa una coscienza che sia conscia e che parli
ad alta voce» .
II.
Tutto cominciava nella tarda estate del . Io e il mio caro amico e
collega Rosario Diana, varcavamo, a quell’epoca per la prima volta, il
cancello dell’Ex Asilo Filangieri con la “complicità” di Maria Pia Valentini, rimanendo, almeno io, immediatamente convinti che quello
fosse un luogo ideale dove provare a “fare cultura” al di là e accanto
all’accademia. Abbiamo cominciato fin da subito a entrare nelle pratiche dell’Ex Asilo e a proporre idee e progetti che si sono oggettivati
in una serie di spettacoli, seminari e iniziative, di cui qui non è il
. F. N, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, con una Nota introduttiva di G.
Colli, Adelphi, Milano, , p.  (corsivo mio).

Prefazione
caso parlare in dettaglio . E poi, ecco un’altra data importante per
ricostruire la genealogia del presente volume: voglio ricordare il 
gennaio del , giorno in cui “convocai” una trentina di ragazze
e ragazzi tra studenti, dottori di ricerca e laureati in Filosofia, ad
ascoltare — ed eventualmente a partecipare — i dettagli dell’idea che
mi era venuta, quella appunto di fornire un’analisi storico–filosofica
di questa polarizzazione tra nichilismo e cosmopolitismo. Aderirono a quell’invito, relazionando all’Ex Asilo, ventisei ragazzi, che ho
piacere grande nel ricordare qui, insieme ai temi trattati.
Iniziammo il  di aprile del . La prima relazione fu affidata ad
Alessia Maccaro, che lesse un suo elaborato su Storia, politica ed ermeneutica del religioso tra Otto e Novecento: Barth, Cassirer e altri croce–via.
Il secondo appuntamento vide parlare il  di aprile Dario Cositore e
Denise Loprieno rispettivamente su Max Scheler e l’etica materiale dei
valori e su J. P. Sartre tra umanesimo e nichilismo. Il terzo incontro, del 
aprile, vide protagonisti Antonello Petrillo, che discusse una relazione
su R. . . esistenza e economia: Rilke, Sombart e l’ordoliberalismo tedesco
del primo ‘, e Lucia Raffaella Distico, che parlò di Martin Heidegger:
che cos’è la filosofia? L’ di maggio si tenne il quarto seminario: qui
discussero le loro tesi Valentina De Filippo, Emil Cioran: apolide, cosmopolita o reazionario? e Sara Capasso, Introduzione al tramonto d’Europa:
in margine a Oswald Spengler. Mattia Papa e Marta D’Allocco furono
gli autori delle due relazioni, entrambe mettenti a fuoco il pensiero
di Max Weber, che si tennero il  maggio. I titoli, rispettivamente:
Max Weber e la filosofia dei valori tra capitale e liberalismo e Politeismo dei
valori e nichilismo della volontà: Max Weber e L’etica protestante. Anche
il  maggio l’incontro ebbe solo un grande protagonista: Friedrich
Nietzsche. A parlarne furono Simona Ambrosio, Il “caso” Nietzsche I:
Genealogia della morale, e Roberta Guasco, Il “caso” Nietzsche II: Al di là
del bene e del male. L’ultimo giorno di maggio dedicato al seminario, il
, si espressero Enza De Lucia e Gaia Apolito: le loro comunicazioni
riguardarono, in ordine, Jünger: il lavoratore come espressione ‘oltreuma. In breve, e consapevole della necessaria stringatezza relegata a cose, invece, che ricordo
tutte con affetto e partecipazione, vorrei menzionare i quattro cicli del progetto “Disseminazioni” e i due “reading filosofici” dedicati il primo a John Cage il  marzo , l’altro
all’Orfeo ed Euridice di Gluck, l’ di maggio dello stesso anno. Per la teorizzazione del reading
come progetto di disseminazione filosofica, rimando con piacere al volume di R. D, La
forma–reading. Un possibile veicolo per la disseminazione dei saperi filosofici, con una Introduzione di
E. Cattanei, Mimesis, Milano–Udine, . Dirò qualche altra parola sul senso e significato del
nostro “stare” a L’Asilo al termine di queste note introduttive.
Prefazione

na’ dell’umano?, e La preistoria del dissidio: Marx e l’ideologia tedesca.
Giugno fu inaugurato il giorno  da Ivana D’Avanzo e Teresa Sequino:
entrambe discussero intorno a Il neokantismo in quanto cosmopolitismo.
A seguire, il  giugno, Rossella Saccoia su Heidegger, Cassirer e Davos: la lotta per la filosofia e Emma Napoleone su Oswald Spengler e il
tramonto dell’Occidente I proposero le loro idee e i loro commenti. Il
 giugno fu la volta di Edvige Di Ronza e di Alessandro De Cesaris.
I loro contributi si incentrarono su Carl Schmitt e su Da Descartes a
Platone: Paul Natorp e il problema della metafisica. Luca Lo Sapio parlò il
 giugno di Eugenetica nazista assieme a Teresa Caporale, che invece
relazionò intorno a Max Stirner. Il penultimo incontro, tenutosi il  di
luglio, vide al centro dell’attenzione Flavia Palazzi e Chiara Cappiello,
che discussero rispettivamente di Edmund Husserl e l’idea d’Europa e
di Perdita del centro: de Martino, Croce e la crisi del Novecento. Infine,
per l’ultimo incontro del  luglio, L’Asilo si aprì a ben tre relazioni:
Cosimo Palma parlò di Walter Benjamin: architettura, città, montaggio e
storia, Luisa Scuotto di Oswald Spengler e il tramonto dell’Occidente II e
Diletta Ciociano di Psicologia del nichilismo.
Dire di essere profondamente grato a tutti questi nomi, alle loro
parole e alle loro vite, è davvero poco. Con la loro presenza, la loro
intelligenza e il loro spirito, queste personalità vive e propositive,
tutte, hanno saputo animare e dinamicizzare ancora di più e meglio
di quanto già normalmente accade, le calde stanze de L’Asilo. E mi
fa molto piacere sottolineare che, così come ci si dovrebbe augurare
per ogni itinerario di ricerca degno di tal nome, le tematiche del
seminario si sono via via ampliate e sviluppate in modo creativo e,
allo stesso tempo, rigoroso. Tanto che, alla fine del ciclo di incontri,
siamo riemersi tutti con un’idea poco o tanto diversa da quella da cui
eravamo partiti. Di ciò ne abbiamo prove abbastanza consistenti, ma
se per caso ci fossimo sbagliati, niente di male: le idee stanno lì per
questo, per essere trasmesse e comunicate fino a che diventa difficile
distinguere di chi è questa e di chi quella (come se le idee potessero
avere una paternità netta e sempre assolutamente definibile. . . ).
Il libro che ha realizzato in modo concreto tutti questi spunti e
queste idee, fa ora mostra di sé nelle mani del lettore. Purtroppo,
per una svariata serie di motivi, molti di coloro che hanno voluto
esprimersi a parole e a concetti a L’Asilo, non hanno potuto o voluto
oggettivare su un supporto libresco i loro sforzi. Me ne dispiace
assai, e speriamo vivamente di poter presto preparare il campo per
un’ulteriore occasione di confronto e di dialogo. Dove?

Prefazione
III.
E qui veniamo davvero all’ultima parte di questa nota introduttiva.
Non abbiamo contezza, ovviamente, di ciò che potrà accadere di
rilevante nelle nostre vite, di ciò che da qui a qualche settimana o
mese o anno, segnerà le nostre esistenze, inciderà sulle nostre scelte
e decisioni. E però, questo libro, oltre a essere testimonianza di un
“pezzo” di storia passata, vuole aspirare ad essere pure un augurio e
una preparazione alla storia futura. Nulla potrebbe farci più piacere
che poter ripetere la medesima esperienza culturale, con altri temi e
con altre voci, negli stessi ambienti accoglienti e stimolanti de L’Asilo.
Ciò perché, ciò che si “fa” non è affatto indipendente da “dove” lo si
fa. Meglio detto: il “su–cosa” si discute, è da assumere in una doppia
accezione. La prima è l’argomento, il di–che di cui si tratta; l’altra è
propriamente il dove si discute, il fondamento sul quale le parole dei
dialoganti hanno modo di essere recepite, curate e disposte secondo
un non accidentale ordine, ordine che poi non è altro che parte
integrante ed essenziale dell’argomentazione, del di–che. È essenziale,
appunto, il come si discute, il cosa si discute, ma più fondamentale è il
dove, lì appunto “dove” la gente si incontra e parla. Questo ha bisogno
di essere il più possibile fisso, ha da essere fissato preliminarmente.
Ecco allora il senso del termine tedesco Ver–fassen, il “costituire”,
che, derivando dall’alto sassone pasto, mutato modernamente in
fest, proviene a sua volta dall’antico indiano pastyá–m. La cosa più
importante, per i nostri scopi, è che questo lemma viene espresso
con Wohnsitz , che in italiano è possibile rendere adeguatamente con
“dimora”, “luogo di residenza”, perché in questi termini nostrani
compare più o meno l’equivalente del setzen tedesco, il sitzen, il Wohn–
sitz, ossia lo stare fissi, il dimorare abitando (wohnen in tedesco) a
casa propria, il ri–siedere in un luogo conosciuto e condiviso. Noi,
a L’Asilo, abbiamo costituito qualcosa, abbiamo generato un flusso,
un piano, una traiettoria di spunti che si è propagata e si propagherà,
si spera, in ogni direzione che abbia a cura la cultura dell’abitare e
del cooperare.
. Cfr. J. P, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, voll. I–II, Francke, Bern–
München, , ivi, vol. I, p. .