Poeti preneoterici e neoterici Lutazio Catulo Epigrammi Aufugit mi animus. Credo, ut solet, ad Theotimum devenit. Sic est: perfugium illud habet. Quid si non interdixem, ne illunc fugitivum mitteret ad se intro, sed magis eiceret? Ibimus quaesitum; verum, ne ipsi tenearmur, formido. Quid ago? Da, Venus, consilium! Il mio cuore è fuggito. Credo che, come al solito, sia andato da Teotímo. Sì, quello è il suo rifugio. E dire che gli avevo imposto di non far entrare quel fuggitivo, ma anzi di cacciarlo via! Andrò a cercarlo; ma ho paura di essere trattenuto io stesso. Che fare? O Venere, dammi un consiglio! (fr. 1 Morel) L’epigramma prende a modello l'epigramma 41 di Callimaco con l'immagine dell'animo che è fuggito dal giovinetto e lo scherzoso bando di non accogliere il fuggitivo. In confronto a Callimaco l'epigramma di Lutazio è ancor più artificioso; il periodo si fa più spezzettato per la ricerca della brevitas epigrammatica e ricorrono termini giuridici propri della mentalità romana. Constiteram exorientem, Auroram, forte salutans, cum subito a laeva Roscius exoritur. Pace mihi liceat, caelestes, dicere vestra: mortalis visus pulchrior esse deo. Mi ero fermato per salutare l'Aurora che sorgeva, quando all'improvviso sorge da sinistra Roscio. Mi sia lecito dirlo con vostra buona pace, o celesti: il mortale mi parve più bello della divinità. (fr. 2 Mor.) Più sobrio nella struttura, ma egualmente fondato su di una trovata madrigalistica, è l'altro epigramma di Lutazio Catulo, dove il giovane attore comico Roscio viene detto più bello della luce dell'Aurora e di un dio. Valerio Edituo Epigrammi Dicere cum conor curam tibi, Pamphila, cordis, quid mi abs te quaeram, verba labris abeunt, per pectus manat subito subido mihi sudor: sic tacitus, subidus, dum pudeo, pereo. Quando tento di dirti. o Panfila, la pena del mio cuore e che cosa io voglio da te, le parole mi muoiono sulle labbra; per il petto all'improvviso, acceso dal desiderio, sento scorrere il sudore; così, senza parole, acceso dal desiderio, mi vergogno, e intanto mi struggo. (fr. 1 Mor.) Più appassionato sembra questo epigramma di Valerio Edituo, il quale si ispira a Saffo, ma vi aggiunge dei giochi di parole e delle .allitterazioni. derivano sia dall'epigramma greco, sia dalla tradizione latina arcaica. Porcio Lìcino Epigrammi Custodes ovium tenerae propaginis, agnum, quaeritis ignem? Ite huc. Quaeritis? Ignis homo est. Si digito attigero, incendam silvam simul omnem; omne pecus flamma est, omnia qua video. O custodi degli agnelli, tenera prole delle pecore, cercate fuoco? Venite qui. Ne cercate? lo sono tutto fuoco. Se lo toccherò con un dito, incendierò di colpo tutto il bosco; tutto il gregge è fiamma, tutto ciò che vedo intorno. (fr. 6 Mor.) La metafora del fuoco d'amore, già sfruttata dall'epigramma alessandrino, viene ripresa anche da Porcio Licino, e trasportata artificiosamente in un ambiente pastorale Levio Sirenocirca (dagli Erotopaegnia) Nunc, Laertie belle, para ire Ithacam Ora, Laerziade mio bello, prepàrati a partire per Itaca. (fr. 20 Mor.) Un personaggio si rivolge a Ulisse con un tono poco riverente ... carme incerto (dagli Erotopaegnia) Te Andromacha per ludum manu lascivola ac tenellula capiti meo trepidans, libens, insolita plexit munera. Te Andromaca per gioco, con mano lascivetta e tenerella intrecciò, dono insolito per il mio capo, trepida e amorosa. (fr. 4 Mor.) Negli Erotopaegnia di Levio il sentimentalismo si fa lezioso e languido, valendosi dell'uso di diminutivi, come in questo frammento dove Ettore si rivolge a una corona donatagli da Andromaca. Protesilaudamia (dagli Erotopaegnia) aut nunc quaepiam alia te illo Asiatico ornatu affluens aut Sardiano aut Lydio fulgens decore et gratia pellicuit o (forse) ora qualche altra, col suo fastoso abbigliamento orientale di Sardi o della Lidia, splendente di bellezza e di grazia ti ha sedotto (fr. 18 Mor.) Nel Protesilaudamia, Laodamia, che non ha più notizie dello sposo, morto appena sbarcato a Troia, teme che sia rimasto affascinato da qualche elegante fanciulla asiatica. Mazio Mimiambi Iamiam albicascit Phoebus et recentatur commune lumen hominibus voluptatis Ecco che già Febo biancheggia e si rinnovella per gli uomini la luce comune del piacere; (fr. 9 Mor.) sinuque amicam refice frigidam caldo columbulatim labra conserens labris e rianima nel caldo tuo seno la fredda amante, intrecciando le labbra alle labbra, come fanno le colombelle. (fr. 12 Mor.) ═════════════════════════════════════════ Furio Bibaculo Epigrammi Catonis modo, Galle, Tusculanum tota creditor urbe venditabat. Mirati sumus unicum magistrum, summum grammaticum, optumum poetam omnes solvere posse quaestiones, unum difficile, expedire nomen. En cor Zenodoti, en iecur Cratetis! Si quis forte mei domum Catonis, depictas minio assulas et illos custodis videt hortulos Priapi, miratur quibus ille disciplinis tantam sit sapientiam assecutus, quem tres cauliculi, selibra farris, racemi duo tegula sub una ad summam prope nutriant senectam. Poco fa, o Gallo, per tutta la città il creditore metteva in vendita la villa Tusculana di Catone. Rimanemmo meravigliati come mai un maestro insuperabile, un sommo grammatico, un ottimo poeta, fosse capace di risolvere tutte le questioni, ma in una sola si dimostrasse incapace, nel liquidare i debiti (oppure “risolvere una questione relativa a un nome”). O ingegno di Zenodoto, o sentimento di Cratete. Se qualcuno per caso vede la casa del mio Catone, assicelle dipinte di rosso, e quel suo orticello con Priapo custode, si domanda con meraviglia a quale scuola egli abbia raggiunto tanta sapienza, lui che tre cavolucci, mezza libbra di farro e due grappoli d'uva sotto una sola tegola bastano a sostentare fin quasi all'estrema vecchiaia. Furio Bibaculo, amico e conterraneo di Valerio Catone, ci parla, in tono di amaro umorismo, delle sue vicende economiche poco felici. Annales belli Gallici Interea Oceani linquens Aurora cubile... Frattanto l'Aurora lasciando il giaciglio dell'Oceano... Ille gravi subito devictus volnere habenas misit equi lapsusque in humum defluxit et armis reddidit aeratis sonitum. Egli d’un tratto vinto dalla grave ferita abbandonò le briglie del cavallo e scivolando cadde a terra e con le bronzee armi fece grande frastuono. La caduta di un cavaliere in battaglia viene rappresentata con la ridondanza e la ricerca di effetti che sono proprie dell'epica latina arcaica, ma con una versificazione ed una metrica più sciolte e raffinate Varrone Atacino Argonautica Desierant latrare canes urbesque silebant: omnia noctis erant placida composta quiete. I cani avevano cessato di latrare e le città tacevano: tutto era avvolto nella placida quiete della notte. La versione varroniana delle Argonautiche di Apollonio Rodio, pur nella sua notevole fedeltà all'originale, dimostra raffinatezza di gusto e conserva un'eco della solennità enniana, come in questa bella descrizione della quiete notturna. Ephemeris … nubes ut vellera lanae constabunt. Tum liceat pelagi volucres tardaeque paludis cernere inexpletas studio certare lavandi et velut insolitum pennis infundere rorem; aut arguta lacus circumvolitavit hirundo et bos suspiciens caelum, mirabile visu, naribus aerium patulis decerpsit odorem; nec tenuis formica cavis non evehit ova. Come biocchi di lana le nubi si poseranno. Allora potrai vedere gli uccelli del mare e della pigra palude gareggiare fra di loro mai sazi nel desiderio di lavarsi e spruzzarsi le penne di rugiada, come fosse cosa insolita; o le rondini canore svolazzano intorno agli stagni, e il bue levando lo sguardo al cielo, mirabile a vedersi, coglie l'odore dell'aria con le ampie narici, e la piccola formica porta via le uova dalle buche. La sensibilità per l’osservazione dei fenomeni naturali sembra essere la dote poetica principale di Varrone Atacino, a giudicare anche dai frammenti che ci sono pervenuti dell'Ephemeris o Epimenides, un poemetto scientifico io cui notazioni sui segni del tempo derivano dai Fenomeni di Arato, ma arricchiscono l'originale del poeta ellenistico con maggiori particolari descrittivi, con una più accentuata capacità di cogliere la vita della natura e degli animali; su questa via procederà oltre Virgilio nelle Georgiche, che imiterà Varrone Atacino umanizzando e drammatizzando ulteriormente la vita del mondo animale. Elvio Cinna Epigrammi Magnus, quem metuunt omnes, digito caput uno scalpit. Quid credas hunc sibi velle? Virum. Il Grande, che tutti temono, si gratta il capo con un solo dito. Che cosa credi che egli voglia? Un maschio. La passione politica ispirò a Calvo pungenti epigrammi e carmi giambici, rivolti contro Pompeo, Cesare e i loro protetti. In un epigramma Pompeo viene accusato comicamente di perversione di costumi. Haec tibi Arateis multum invigilata lucernis carmina, quis ignes novimus aetherios, levis in aridulo malvae descripta libello Prusiaca vexi munera navicula. Questi versi, su cui molto vegliò la lucerna di Arato, da cui apprendemmo conoscere i fuochi del cielo, trascritti su levigati fogli di malva secca, io ti portai in dono su bitinica navicella. Da un viaggio in Bitinia, compiuto forse al seguito di. Pompeo, Cinna tornò conducendo con sé il poeta greco Partenio di Nicea, maestro e guida dei poetae novi nella poesia dotta e mitologica, ed insieme una preziosa copia dei Fenomeni di Arato, di cui fece dono ad un amico accompagnandoli con un epigramma che attesta il suo amore per la poesia molto elaborata e per le belle edizioni. Zmyrna Te matutinus flentem conspexit Eous et flentem paulo vidit post Hesperus idem. Te vide piangere Eoo, la stella del mattino, e poco dopo piangente ti vide la stessa stella, Espero. At scelus incesto Zmyrnae, crescebat in alvo. Ma la colpa cresceva nel grembo incestuoso di Smirna. I soli tre versi che ci sono pervenuti della Zmyrna mostrano ricerca di musicalità e di eleganza elegiaca, unite ad una intensa carica patetica. Mirra consuma tutto il giorno nel pianto; forse per il rimorso, dopo essere stata cacciata dal padre. L'allitterazione sottolinea l'inesorabile crescere del frutto della colpa nel grembo di Mirra. Licinio Calvo Quintilia Cum iam fulva cinis fuero ... Quando ormai sarò fulva cenere... Forsitan hoc etiam gaudeat ipsa cinis. Forse, di questo anche le stese ceneri provano gioia. Calvo effondeva sentimento dell'amore coniugale nelle elegie per la moglie prematuramente rapitagli dalla morte. Della Quintilia ci sono rimasti due brevi frammenti, che esprimono accorata malinconi; probabilmente è l'ombra stessa di Quintilia che parla al poeta. Io A virgo infelix, herbis pasceris amaris! O sventurata fanciulla, ti pascerai di erbe amare! Mens mea dira sibi praedicens omnia, vecors... La mia mente dissennata, pur presagendo tutti i mali... Sol quoque perpetuos meminit requiescere cursus. Anche il sole si ricorda di riposarsi dal suo continuo cammino. Accanto alla poesia di carattere personale, Calvo scrisse un epillio ispirato ai canoni della più raffinata poesia alessandrina, l’Io, che narrava l'infelice vicenda della fanciulla amata da Giove e trasformata in giovenca da Giunone, che la costrinse ad andare errando per tutto il mondo. I frammenti superstiti sono intensamente patetici: il poeta si rivolge alla fanciulla con accento di compassione; Io ripensa ai mali che presagiva le sarebbero accaduti; Io lamenta di dover andare errando senza tregua, mentre anche il Sole nella notte si riposa del suo continuo cammino.