Il contenzioso medico - legale: Ostetricia - Ginecologia, una branca professionale ad alto rischio
Le richieste di risarcimento per casi di responsabilità professionale medica hanno avuto, negli ultimi anni,
un costante incremento ed una delle specializzazioni che maggiormente ne ha risentito, è rappresentata
dall’Ostetricia: il contenzioso giudiziario continua a dimostrare infatti che Ginecologia ed Ostetricia sia una
delle specialità più esposte alle aspettative di risultati perfetti e privi di complicanze e per tali aspettative
richiami di frequente problematiche medico legali di particolare complessità, nonché di difficile trattazione
giuridica.
I ginecologi possono aspettarsi di essere chiamati in causa da due a cinque volte nel corso della loro carriera
professionale e, visto che l’entità dei risarcimenti raggiunge cifre elevate, i sanitari condannati possono o
non avere sufficiente copertura assicurativa o perderla successivamente: come tale, il contenzioso ostetrico
comporta un’escalation continua dei costi assicurativi, interferisce con le scelte mediche e porta lo
specialista a “fuggire” nella medicina difensiva influenzando negativamente un’altrimenti soddisfacente
carriera professionale.
Le c.d. emergenze ostetriche, le patologie materne e fetali dovute ad anestesia e/o analgesie, i danni
neurologici del feto con la relativa diagnostica d’accertamento, la sepsi neonatale (batterica o virale)
costituiscono, infatti, argomenti di notevole interesse sotto il profilo assistenziale e scientifico, senza tuttavia
ricevere allo stato attuale compiuta ed univoca interpretazione nelle aule giudiziarie.
Ogni Ginecologo-Ostetrico, in quanto garante ovvero titolare dell’obbligo giuridico d’impedire l’evento (art.
40 c.p.), escludendo i casi di negligenza, imperizia ed imprudenza, ha, direttamente o indirettamente,
nozione delle possibili conseguenze dannose o pericolose relative all’espletamento della propria professione,
sia da un punto di vista materno che fetale (manovre improprie, ritardi, diagnosi errate e comportamenti
inadeguati che possono produrre danni molto gravi). Sempre più spesso, quindi, si ricorre al taglio cesareo
per sofferenza fetale quando si suppone compromesso il benessere feto-neonatale a causa di ipotetiche noxae
patogene.
I rischi maggiormente ricorrenti della branca ostetrico-ginecologica si possono distinguere in tre gruppi
principali:
• rischio di arrecare danno alla salute della gestante a causa di terapie o manovre inidonee o errate, sia
durante la gestazione che durante il parto;
• rischio di arrecare danno alla salute del nascituro, anche in questo caso a causa di imperizia, imprudenza o
negligenza durante la gestazione o al momento del parto;
• rischio di causare direttamente (attraverso la negligente esecuzione di un intervento di interruzione di
gravidanza) ovvero indirettamente (non rilevando e quindi non segnalando alla madre le malformazioni del
feto sì da impedirle di esercitare il diritto d’aborto) una nascita indesiderata.
Nello specifico, il contenzioso giudiziario in ambito ostetrico-ginecologico ha dimostrato come una
problematica medico-legale di particolare complessità e di difficile trattazione (sotto il profilo giuridico,
risarcitorio, psicologico) sia quella legata alle lesioni/malformazioni neonatali.
I neonati possono risultare affetti da un notevole numero di malformazioni e malattie congenite, ereditarie,
acquisite in gravidanza, sia intrinseche al feto che dovute a situazioni materne: ciò è scarsamente noto e
l’attenzione primaria è puntata a mortalità o lesione dovute all’evento parto. Tra le lesioni più denunciate ci
sono quelle cerebrali (sotto il termine di danno cerebrale si ricomprende un insieme di lesioni o anomalie tra
cui quella molto grave di paralisi cerebrale che, come è noto, oltre ai problemi neurologici comporta anche
alterazioni del controllo dei movimenti, danneggiamento del tono muscolare, spasticità, ecc.): il contenzioso
medico-legale in ambito ostetrico è infatti rappresentato soprattutto dalla nascita di neonati con
encefalopatia, condizione che spesso riflette un grave danno neurologico ed un significativo rischio di
sequele a lungo termine.
Ai giorni nostri la mortalità perinatale nei Paesi sviluppati è stimata intorno al 10% e l’incidenza di bambini
affetti da danno cerebrale (DCC) da parto va dal 2 al 5%: allo stato attuale, dunque, nonostante le migliori
cure in campo ostetrico-ginecologico, continuano a manifestarsi casi di severa asfissia fetale con morte o
gravi lesioni neurologiche, nell’ordine di almeno 2 casi ogni 1000 parti.
Da quando un ortopedico londinese (William Little, 1862) ricollegò una casistica di rigidità spastica ad
asfissia da parto, il convincimento del nesso di causalità tra evento parto e danno cerebrale connatale si è
sempre più affermato nell’opinione pubblica, tra neonatologi, pediatri, ostetrici, medici legali, periti e
soprattutto magistrati. Nelle aule di giustizia il binomio trauma da parto – danno cerebrale connatale ha
trovato sempre maggiori consensi.
I problemi insoluti sono ancora numerosi e il principale è rappresentato dalle modalità di controllo del
travaglio di parto allo scopo di cogliere eventuali segni di sofferenza fetale.
Per la diagnosi di sofferenza fetale, che può presentarsi in travaglio o al di fuori di esso, e com’è noto può
essere acuta o cronica, ci si avvale di parametri clinici e strumentali. La valutazione di tali parametri tuttavia
rimane soggettiva e spesso prescinde erroneamente dal contesto clinico generale.
Per numerosi anni l’Ostetricia ha proseguito nella ricerca di una metodica diagnostica idonea e valida a
tutelare nel parto la madre ed il feto, dagli anni ‘60 si sono succedute metodiche rivolte allo scopo di
controllare il benessere del feto in gravidanza, in travaglio, nel parto e proteggerlo dal c.d. “trauma da
parto”: in particolare, si è incrementato a tal fine l’utilizzo della cardiotocografia (CTG), metodica che ha
l’obiettivo di rilevare un'alterazione della frequenza cardiaca fetale riconoscendo tempestivamente una
condizione di ipossia e prevenirne la possibile evoluzione verso una situazione di acidosi metabolica e
conseguente morte fetale o un danno cerebrale del neonato.
Nel 1970, con l’introduzione della cardiotocografia nella pratica clinica, si pensava che l’incidenza di
paralisi cerebrale e di ritardo mentale si sarebbe ridotta almeno del 50% visto che la causa di tali condizioni
era sempre stata considerata l’asfissia alla nascita. Contrariamente a tali aspettative, i dati provenienti dalla
letteratura hanno evidenziato che, nonostante l’utilizzo della cardiotocografia, spesso ritenuta una prova
fondamentale nelle aule dei tribunali, non si è sostanzialmente modificata l’incidenza di complicanze
neurologiche neonatali: negli ultimi 20 anni importanti studi epidemiologici ed anatomo-patologici, ricerche
scientifiche e sperimentazioni hanno dimostrato che solo una piccola percentuale di casi di paralisi cerebrale
infantile (circa il 10%) è associato esclusivamente ad asfissia intrapartum e come invece nella maggioranza
dei casi (95% circa) il DCC sia indipendente dal parto (spontaneo o operativo). In altre parole, la
cardiotocografia permette di evitare molte morti in travaglio, consente di diagnosticare l’insorgenza
dell’ipossia fetale ma solo in rari casi permette di stabilire con certezza quell’insorgenza di asfissia grave e
prolungata tale da provocare il DCC.
Inoltre è emerso che anche raddoppiando, triplicando, quadruplicando l’incidenza dei tagli cesarei
(sottovalutando che anche il taglio cesareo comporta dei rischi), l’incidenza del DCC è diminuita di
pochissimo, talvolta però anche a scapito di altri rischi per la partoriente.
Sempre più spesso invece le pazienti ritengono che il danno cerebrale fetale possa essere prevenuto dal
monitoraggio intrapartum e da un cesareo d’urgenza. Ma si tratta di aspettative non realistiche. È possibile
che questo atteggiamento sia stato amplificato dal fatto che l’opinione pubblica, strabiliata dai progressi
della medicina, stenti ormai ad accettarne limiti ed insuccessi e abbia prodotto delle attese superiori ai dati
della realtà?
La paralisi cerebrale infantile è soggetta a rimanere un tema cruciale nell’ambito della responsabilità
professionale medica per il grave danno che comporta alla famiglia del neonato e, di conseguenza, per
l’elevato costo del risarcimento e delle spese legali. Il Center for Disease Control and Prevention ha
calcolato nel 2003 che ogni soggetto affetto da paralisi cerebrale necessiterà, durante la sua vita, di
9.210.000 dollari per cui è quasi inevitabile che i familiari ricorrano alla richiesta di un risarcimento in sede
civile.
L’accertamento della responsabilità del danno può essere complicato dalla difficoltà nell’individuare sia la
patogenesi del danno neurologico che il nesso di causa e dall’urgenza di assicurare un supporto economico
al bambino, rimanendo superficiale ed impreciso, basato su alcuni segni (poco prima descritti) di incerta
valenza che portano a sentenze “compassionevoli” con risarcimenti elevati e conseguentemente ad un
aumento del ricorso alla medicina difensiva con la fuga dei medici dalla sala parto.
Per ridurre questa tendenza si potrebbe ricorrere all’introduzione di un sistema no fault ovvero senza colpa
indennizzando i pazienti che hanno subito danni gravi dovuti ad eventi avversi inevitabili da errore medico.
Nella maggior parte dei casi la paralisi cerebrale si verifica infatti senza una colpa vera o comunque
difficilmente dimostrabile per cui, per questi casi in cui si può provare esclusivamente il danno ed il rapporto
di causa con il trattamento medico, senza insistere sul concetto di colpa, si potrebbe costituire un fondo
economico di previdenza a cui il paziente potrebbe accedere velocemente.
Il paziente lesionato verrebbe quindi indennizzato indipendentemente dall’accertamento della colpa del
medico.
Tale sistema avrebbe lo scopo, da un lato di ridurre il contenzioso, l’aumento dei premi assicurativi ed il
ricorso alla medicina difensiva, dall’altro di permettere di recuperare il rapporto di fiducia tra medico e
paziente, in modo tale da non dover più trovare annunci come quello pubblicato il 14 luglio del 2000 dal
Washington Post: “Vostro figlio va male a scuola? Potrebbe essere colpa dell’ostetrico che vi ha assistito
durante il parto. Per saperne di più, telefonate allo studio degli avvocati Baker & Smithson, dal Lunedì al
Venerdì dalle h 9 alle h 17. Ogni costo sarà a carico della Compagnia di Assicurazione del personale
medico e paramedico!”.
Non vi è dubbio che le evidenze scientifiche possano e debbano dunque rappresentare con maggior
chiarezza nelle aule giudiziarie i dati salienti presenti in letteratura nonché sovvertire dati di certezza
acquisiti dalla cultura giuridica corrente, in modo da non creare l’aspettativa di un parto sempre perfetto e
privo di complicazioni.
Francesca Milani