Anno XI n.11 - 19 giugno 2015 18 www.corcom.it L'ITALIA CHE VUOLE CRESCERE Giovanni Iozzia Tassisti, architetti e notai: l’Italia che resiste (ma non alla crisi) L e resistenze all'innovazione non conoscono confini geografici, culturali e di censo. Le ragioni sono spesso valide e comprensibili ma la strategia è quasi sempre sbagliata, perché nasce da uno sguardo rivolto all'indietro. Dopo i tassisti, protagonisti dell'ormai famigerata battaglia anti Uber, tocca agli architetti che, attraverso una loro rappresentante in Parlamento nel partitino di Nichi Vendola, hanno dichiarato guerra a una startup, Cocontest, di cui rac- Il freno all'innovazione nasce da uno sguardo rivolto all'indietro contiamo la storia in questa pagina. Intanto le esagerate grida d'allarme di un'altra categoria di professionisti, i notai, stanno ancora bloccando l'attuazione di una delle norme contenute nella legge Investment Compact (24 marzo), che prevede la possibilità di creare una startup con la firma digitale su un atto costitutivo standard, che al Mise stanno ancora cercando di mettere a punto (all'8 giugno non se ne ha notizia). Prendersela con i notai o con i tassisti però è come sparare sulla croce rossa. Così come sarebbe inutile fare un nuovo mostro conservatore degli architetti. Quel che preoccupa è l’Italia che resiste, non alla crisi ma al cambiamento. Senza capire che così facendo dalla crisi non uscirà mai. ► P ro f essio n isti & digitale Cocontest e tutte quelle app che fanno infuriare gli architetti Maurizio Di Lucchio A desso il campo di battaglia è quello dei professionisti che si occupano della progettazione di interni. Casus belli, una startup. Non valutata miliardi come Uber, ma una nuova impresa italiana con soli tre anni di vita: Cocontest, fondata a Roma dai fratelli Federico e Filippo Schiano di Pepe e da Alessandro Rossi. Ha creato una piattaforma di crowdsourcing che fa incontrare clienti che vogliono ristrutturare la propria casa e architetti pronti a proporre progetti ad hoc. La formula è quella del contest. Nella prima fase, il committente lancia una sorta di gara d’appalto online specificando esigenze e gusti. A quel punto, i progettisti inviano una seri e di idee entro le quali il cliente sceglie quella che più lo soddisfa. Ma il meccanismo dell’asta, ai professionisti, non piace affatto. Lo scorso 12 maggio nove deputati di forze politiche trasversali (Pd, Sel, M5s, Fdi-An) hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi per verificare se Cocontest rispettasse le norme sulla libera professione degli architetti e sulla concorrenza. Si tratta della prima volta in cui qualcuno chiede conto in Parlamento dell’operato di una startup innovativa. La prima firmataria dell’atto, Serena Pellegrino (Sinistra ecologia e libertà), anche lei architetto, sostiene infatti che il servizio fornito dalla startup romana non rispetta le norme che regolano il rapporto tra clienti e progettisti e determina una «schiavizzazione dei professionisti» perché li induce a lavorare gratis dal momento che solo il progetto vincitore riceve un compenso. All’interrogazione in Aula si è aggiunta anche una denuncia all’Antitrust fatta dal Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori. «Innoveremo senza permesso», è stata la replica dei co-fondatori di Cocontest, che al momento si trovano a San Francisco per partecipare al programma di accelerazione di 500Startups. Forte di una community di 20 mila designer, la startup sottolinea che non solo non c’è nulla di illegale nella loro attività, ma che è anche uno strumento che permette ai designer di proporre più facilmente i loro lavori. A oggi gli architetti si sono scagliati solo contro Cocontest. Oltre alla piattaforma di crowdsourcing nel mirino dei professionisti potrebbero finire anche altri progetti di disintermediazione Ma a ben vedere, di piattaforme che offrono servizi simili ce ne sono varie. Finiranno tutte sotto accusa? La startup romana rivendica la propria legittimità: offriamo strumenti che permettono ai designer di proporre più facilmente i loro lavori ► Fo n di Invitalia, un nuovo player nell'arena dei venture capitalist Ora le startup italiane potranno far riferimento a un nuovo venture capitalist pubblico. Invitalia, Agenzia di proprietà del ministero dell'Economia incaricata di gestire tutti gli incentivi nazionali per favorire la nascita di nuove imprese e startup innovative, lancia un Fondo di venture capital. Attraverso questo Fondo è pronta a entrare nel capitale di 150 startup innovative con un investimento iniziale di 50 milioni provenienti dal Fondo per la Crescita Sostenibile del ministero dello Sviluppo. Conferma definitiva del lancio dell’iniziativa per giugno è stata data dall’Ad di Invitalia Domenico Arcuri. Il Fondo, che sarà gestito da Strategia Italia (divisione di Invitalia), entrerà nell’equity delle startup e vi resterà per un arco di tempo tra i 5 e i 7 anni, ma a una condizione: dovrà essere sempre presente almeno un altro investitore. Il Ceo Arcuri stima che l’investimento medio per startup sarà di circa 500mila euro, per un totale di circa 150 startup finanziate: “Un numero significativo – afferma – considerando la circolazione di venture capital in Italia”. Secondo gli Osservatori del Politecnico di Milano nel 2014 gli investimenti (sia da investitori istituzionali sia da business angel, family office e venture incubator) in startup hi-tech sono stati pari a 118 milioni di euro, in flessione del 9% rispetto al 2013. L'Ad di Invitalia, ente che tra le altre cose gestisce per conto del Mise Smart&Start, specifica che, nella ricerca delle società sulle quali investire, sarà posta particolare attenzione alle startup finanziate appunto attraverso gli incentivi di Smart & Start. Tuttavia il Fondo resta aperto a qualsiasi tipo di business innovativo. Infine non esclude sinergie con il Fondo Italiano di Investimento, fondo mobiliare chiuso riservato ad operatori qualificati e dedicato ad investimenti nel capitale di rischio delle pmi, che, dice Arcuri, “potrebbe già avere un dossier di realtà per noi potenzialmente attraenti”. Lu.Ma. Per esempio, Desall, startup incubata da H-Farm, a Roncade (Treviso), dal 2012 permette alle aziende di lanciare concorsi creativi di design industriale e di interni secondo la modalità del crowdsourcing. Formabilio, che ha dalla sua una community di oltre 100mila iscritti, è un portale che vende online gli oggetti prodotti da circa tremila tra artigiani, designer e piccole aziende manifatturiere italiane, che vengono coinvolti attraverso gare ad hoc. O ancora, Habitissimo, una società spagnola fondata nel 2009 in cui ogni utente può pubblicare gratis una richiesta di preventivo per ristrutturazioni e lavori di casa e ricevere progetti da un massimo di quattro professionisti o imprese del settore. L’azienda, attiva soprattutto in Spagna, Brasile, Portogallo, Argentina, Cile, Messico, Colombia, Turchia e, appunto, Italia, ha nel suo “database” oltre 270mila tra professionisti e imprese e mezzo milione di foto di progetti. Sebbene in modo diverso, ognuna di queste piattaforme utilizza il meccanismo del contest tanto sgradito agli architetti. Quindi tutti questi portali potrebbero finire nel mirino dei professionisti che si sentono “minacciati”. Se, invece, non fosse soltanto la formula della gara a indisporre, ma la semplice esistenza di spazi digitali in cui i clienti possano incontrare i designer con la logica del crowdsourcing, a quel punto anche l’ultima arrivata tra le piattaforme, Houzz, potrebbe creare qualche grattacapo. Si tratta di un portale online per la progettazione e ristrutturazione di interni che ha 30 milioni di utenti nel mondo e più di 700 mila professionisti del design. Dal 27 maggio è sbarcata anche in Italia con un sito in italiano che raccoglie già una community di 3.800 professionisti, 29 mila foto e oltre 100 mila utenti italiani che già utilizzavano la piattaforma americana. E alla platea già esistente, si aggiunge potenzialmente un’audience ancora più ampia fatta da chi ama il design made in Italy in tutto il mondo. Basterà una denuncia all’Antitrust per bloccare tutta questa innovazione?