La memoria. Processi, meccanismi e fattori dello

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Ciclo di vita
LA MEMORIA
PROCESSI, MECCANISMI E FATTORI DELLO SVILUPPO
Olimpia Pino
Ci sono, fra i ricordi di ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma
appena agli amici. Ce ne sono altre che neanche agli amici si raccontano,
ma appena a se stessi, e per di più sotto il suggello del segreto. Ce ne sono,
infine, altre ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare, e di tali
ricordi ogni uomo ammodo ne mette insieme parecchi.
Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
INTRODUZIONE
La memoria continua a rappresentare una delle aree più vitali della ricerca sperimentale e dello sviluppo perché è un’esperienza talmente familiare e universale
da abbracciare la maggior parte dei nostri comportamenti. Essa rappresenta l’identità personale, conserva l’esperienza e permette la cultura dei popoli. Questa
importante funzione non è stabile dalla nascita alla vecchiaia perché con lo sviluppo si impara a superare la sconfinata certezza che i bambini hanno nelle loro
possibilità e a vincere o sopportare i naturali difetti della memoria come la distrazione. Senza uno schema di classificazione che possa definire e delimitare il campo
d’interesse è però impossibile presentare una discussione efficace su qualunque
argomento connesso alla memoria. Lo schema di classificazione adottato in questo capitolo, che si basa sulle quattro distinzioni attualmente più comuni in letteratura, sembra fornire una ragionevole organizzazione di molti risultati disponibili. Nel corso del capitolo verranno, comunque, trattati altri temi che trascendono i paradigmi specifici o le prospettive teoriche, nel tentativo di aumentare la
generalità degli argomenti e delle soluzioni proposte. Il primo paragrafo esamina,
dal punto di vista teorico, i costrutti utilizzati per spiegare le differenze evolutive
nella memoria: i concetti di carenza di produzione, carenza di mediazione e carenza di utilizzazione. Il secondo paragrafo riguarda le problematiche connesse, da una
parte, alle strategie e alla base di conoscenza e, dall’altra, al dibattito sui procesPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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si strategici e su quelli automatici. Nei paragrafi successivi si affrontano alcuni
temi emergenti, come la metamemoria, la memoria autobiografica, le relazioni tra
emozioni e memoria e il campo della testimonianza oculare.
LO SVILUPPO DELLA MEMORIA: SPIEGAZIONI
DELLE DIFFERENZE EVOLUTIVE
Si possono innanzitutto distinguere processi e fenomeni di memoria che sono in
parte dipendenti dall’impegno e dallo sforzo evidente e consapevole: la memoria
che presuppone l’intenzione di ricordare è chiamata strategica, quella che si verifica senza un’intenzione almeno visibile da parte del soggetto è considerata automatica. La prima forma di memoria dipenderebbe dall’immagazzinamento di “risorse
cognitive” o di “energia mentale”; si pensa perciò che le differenze nei compiti di
memoria strategica siano dovute a un aumento correlato all’età nelle risorse, nella
capacità e nell’energia. La memoria automatica, non essendo soggetta a questi limiti di elaborazione, non dovrebbe evidenziare differenze in relazione all’età. Questa
distinzione, anche se dubbia, è attualmente molto popolare. Lo sviluppo della memoria strategica riguarda il grado crescente di controllo da parte dei processi di più
alto ordine e l’autonomia del controllo da parte dello stimolo; infatti la memoria
episodica emerge tardi nello sviluppo e le memorie precoci, sia in termini ontogenetici sia in termini filogenetici, sono in genere le ultime a danneggiarsi in casi di
deterioramento. La flessibilità sembra raggiungere il suo picco negli umani con l’evoluzione della corteccia, in particolare del lobo frontale; ciò permette una maggiore rilevanza al controllo volontario che implica l’apprendimento rispetto al controllo involontario organizzato a livello inferiore. Importante nella considerazione
dell’ontogenesi e della filogenesi e del loro legame con la consapevolezza è il fatto
che i comportamenti mediati corticalmente (come il linguaggio) non sono presenti nella prima infanzia ma vanno appresi. Essi sono altamente flessibili e prontamente modificabili accrescendo in tal modo l’adattabilità dell’organismo alle nuove
situazioni; essi inoltre mostrano un’ampia variabilità culturale. Abitualmente abbiamo grande consapevolezza di questi comportamenti; quelli mediati dai sistemi motori (come starnutire), invece, sono presenti precocemente, non sono influenzati dall’apprendimento, hanno una topografia rigidamente stereotipata e mostrano scarsa
variabilità culturale (Toates, 2006).
Una seconda distinzione è quella tra memoria episodica, memoria semantica o
generica e memoria procedurale. La memoria episodica gestisce la ritenzione di episodi o eventi specifici, sperimentati personalmente, come gli item di un esperimento.
La memoria semantica riguarda la conoscenza del mondo posseduta da un individuo, e include il significato delle parole o le abilità associate alla guida di un’auto
(in questo caso è chiamata memoria procedurale) e l’impatto cumulativo dell’istruzione scolastica e delle esperienze di vita. Secondo la definizione di Tulving
(1985) la memoria procedurale riflette un cambiamento in ciò che possiamo definire “elaborazione basata sullo stimolo” (Toates, 2006); per esempio una memoria
sottostante un’abilità motoria implica cambiamenti nei legami tra gli eventi sensoriali e l’output motorio: la memoria, cioè, ci dice che cosa dobbiamo fare. Al
contrario, la memoria episodica coinvolge processi di più alto ordine, mentre quelPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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la semantica si basa sulla rappresentazione: essa permette agli organismi di costruire modelli mentali del mondo, modelli da manipolare e su cui operare indipendentemente dal comportamento esteriore.
Tulving (1985) ha insistito molto sull’importanza della distinzione fra ricordare e
sapere, riservando il primo termine alle esperienze autonoetiche (cioè al ricordo di
esperienze personali). Anche se si può dimenticare un evento specifico, si può ugualmente sapere qualcosa a proposito di quell’evento: per esempio, se non ricordiamo
di aver cenato in un certo ristorante in un’occasione specifica, sappiamo comunque che cosa sia un ristorante, come funzioni e così via (memoria noetica, vedi
Tab. 24.1). Le memorie di più alto ordine coinvolgono le strutture del lobo temporale mediano (come l’ippocampo) e la corteccia prefrontale; negli umani sono
attività consapevoli. Mentre le memorie episodiche sono accessibili all’introspezione consapevole, le memorie abitudinarie sono basate sullo striato e si esprimono
in assenza di consapevolezza del loro contenuto. L’apprendimento motorio trova
posto ampiamente al di fuori della consapevolezza malgrado gli obiettivi e il risultato dell’azione siano disponibili alla coscienza.
Poiché il termine “semantica” ha una connotazione prevalentemente linguistica,
spesso si usa il termine di conoscenza “generica” o “base di conoscenza” per indicare la forma di memoria connessa alla conoscenza del mondo. Oggi, per spiegare
le differenze di sviluppo, si è orientati ad attribuire un ruolo maggiore alla forma
episodica piuttosto che a quella generica, anche se scindere operativamente le due
forme di memoria e ricreare in laboratorio situazioni sperimentali simili a quelle
della vita quotidiana è un compito abbastanza difficoltoso. Simile a questa distinzione è quella proposta da Perlmutter (1988), che distingue fra:
a) conoscenza epistemica (la conoscenza del mondo);
b) conoscenza operativa (l’insieme di procedure, abilità e strategie di memoria);
c) conoscenza metacognitiva (la conoscenza sul funzionamento del sistema di
memoria).
In questa classificazione la memoria semantica e quella episodica rientrerebbero nella conoscenza epistemica. I bambini molto piccoli avranno necessariamente prestazioni più scarse, rispetto ai soggetti più grandi, nei compiti di memoria
che dipendono dalla conoscenza epistemica e dalla conoscenza metacognitiva. La
memorizzazione è più facile se gli eventi possono essere in qualche modo correlati a esperienze personali; per esempio, gli eventi connessi a emozioni intense, come
Tabella 24.1 Relazione tra le forme di memoria e la consapevolezza (Tulving, 1985)
Sistemi di memoria
Consapevolezza
Episodica
Ø
Semantica
Ø
Procedurale
Autonoetica
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Noetica
Anoetica
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una vacanza particolarmente piacevole o un esame molto stressante, sono ricordati con più facilità perché assumono caratteristiche distintive. La probabilità di
ricordare, tuttavia, non dipende tanto dalla tipologia dell’emozione coinvolta
quanto, piuttosto, dalle strategie usate per il recupero. È anche vero, d’altro canto,
che alcuni ricordi possono sopravvenire automaticamente (da indizi contestuali
come un odore o un sapore, che assumono una funzione di stimolo elicitante condizionato).
Una terza distinzione, importante nella classificazione della memoria, è quella
tra memoria retrospettiva, che si riferisce al ricordo di cose ed eventi del passato, e
la memoria prospettica, che si riferisce all’intenzione di compiere determinate azioni nel futuro. Comunque, l’attenzione degli studiosi per le forme funzionali o quotidiane della memoria è un fatto relativamente recente, dato lo scarso rilievo assegnato dai modelli information-processing all’effetto delle variabili contestuali nello
sviluppo. Nell’uso comune, si pensa che non ricordare il titolo di un film o non
ricordare di fermarsi all’edicola ritornando a casa dal lavoro siano entrambi “insuccessi” di memoria. Tuttavia, anche se nelle due situazioni sono coinvolti processi
simili, sembra che la memoria prospettica richieda l’attivazione inconsapevole dell’attività pianificata da parte di suggerimenti temporali interni, che costituirebbero una sorta di “orologio psicologico” (ricordandoci di compiere l’azione nel momento prefissato) e, in misura minore, da strategie consapevoli esterne (come l’uso di
agende, post-it e così via). Al contrario, nella memoria retrospettiva la richiesta è
consapevole e risulta utile l’uso di cue esterni, come quando si tenta di ricordare
un’informazione acquisita in precedenza (per es., il nome di una persona in sua presenza o l’indirizzo di un ufficio).
La differenziazione proposta da Tulving (1985), tra ricordare e sapere, è stata
avanzata anche da altri ricercatori, che hanno delineato la quarta distinzione dello
schema di classificazione adottato in questa sede, ossia la distinzione fra memoria
implicita e memoria esplicita. Questi termini, comunque, spesso sono usati per indicare compiti, metodi di misurazione e ipotetiche forme di memoria non direttamente osservabili, in quanto sottostanti la prestazione. Tuttavia, si preferisce limitare le etichette alle sole procedure di indagine, denominando autobiografici, diretti, espliciti o intenzionali quei compiti le cui istruzioni si riferiscono a un episodio
della storia personale del soggetto e impliciti, indiretti o incidentali quelli che, anche
senza richiamare esplicitamente la storia del soggetto, ne sono in ogni caso influenzati, dato che richiedono la dimostrazione di una conoscenza (concettuale, percettiva, fattuale, procedurale o qualche forma di giudizio) precedente (Richardson-Klavehn e Bjork, 1988).
Le quattro dimensioni appena descritte (memoria strategica-automatica, episodica-generica, retrospettiva-prospettica ed esplicita-implicita), probabilmente, non sono
completamente ortogonali e, ovviamente, non esauriscono le dimensioni importanti del fenomeno: per esempio, la metamemoria e la memoria autobiografica non
trovano una chiara collocazione all’interno di queste dimensioni. La metamemoria, in un certo senso, può coprire tutti questi vari aspetti, giacché essa indica, in
genere, la conoscenza su processi e capacità di memoria; malgrado ciò, bisogna
notare che la competenza metamnemonica si sviluppa solo nella tarda infanzia e
che essa ha un ruolo maggiore nei processi strategici e minore in quelli automatici. La memoria autobiografica, che rappresenta un tema di ricerca emergente,
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può essere sovrapposta alla memoria episodica; tuttavia, essa è maggiormente caratterizzata in termini ecologici, con l’obiettivo di analizzare processi, meccanismi e
fattori che agiscono nel ricordo di eventi della vita quotidiana la cui complessità
è maggiore rispetto ai fenomeni artificiali di laboratorio. La memoria autobiografica assume, quindi, un’importanza particolare nel settore applicativo della psicologia, particolarmente quello della testimonianza; per questo motivo, è importante analizzarne lo sviluppo, l’organizzazione, le strategie (autoprodotte o suggeribili dall’esterno) utili per ricordare in maniera precisa un evento. Mentre a questi
argomenti saranno dedicate trattazioni a parte nel seguito del capitolo, il sistema
di classificazione qui proposto è comunque utile per illustrare due aspetti rilevanti della memoria infantile.
Il primo aspetto è che le varie forme di memoria, se veramente distinte, richiedono procedure diverse di indagine e, di conseguenza, sollevano problemi metodologici diversi: le procedure per indagare la memoria prospettica devono sicuramente
essere differenti da quelle usate per studiare la memoria retrospettiva come, anche
se in misura minore, saranno differenti le procedure adottate per studiare la memoria strategica e quella automatica. Inoltre, dato che sono enfatizzati aspetti diversi
della situazione, del materiale o del compito, anche i criteri per l’attribuzione dei
soggetti ai gruppi dovranno essere diversi: per esempio, nelle ricerche sulla memoria semantica è opportuno confrontare i gruppi di diversa età in base alle variabili connesse a questo aspetto della memoria (come l’abilità nell’uso del vocabolario), un confronto che diventa poco importante se gli studi vertono sulla memoria episodica.
Il secondo aspetto da considerare è che alcune forme di memoria hanno guadagnato maggiore interesse da parte degli studiosi rispetto ad altre. Questo è accaduto con la memoria strategica, quella episodica e quella retrospettiva. Solo da poco
tempo sono comparsi studi sulla memoria automatica, su quella generica e, attualmente, sono ancora rare le ricerche pubblicate sulla memoria prospettica con soggetti giovani o sulla memoria autobiografica.
Le strategie, dunque, hanno rivestito un ruolo centrale nell’analisi dello sviluppo della memoria. Nella maggior parte dei casi, i cambiamenti evolutivi nella
memoria sono stati considerati come il riflesso dell’uso, più o meno carente, di strategie. Lo sviluppo della memoria è stato inizialmente descritto sulla base di due
deficit: il deficit di mediazione, a causa del quale i bambini non sono in grado di
usare una strategia neanche quando è loro mostrata, e il deficit di produzione, a causa
del quale i bambini non riescono a usare spontaneamente una strategia anche se
migliorano le loro prestazioni se la strategia è loro insegnata. Di conseguenza, gli
anni Settanta e buona parte degli anni Ottanta del secolo scorso hanno assistito
al tentativo di esaminare i fattori in grado di: a) influenzare l’uso spontaneo della
strategia; b) migliorare la prestazione per mezzo di training; c) facilitare la generalizzazione di una strategia a nuovi contesti. A causa delle difficoltà metodologiche
insite nello studio dei bambini preverbali, l’attenzione dei ricercatori si è inizialmente rivolta a soggetti di età scolare e, in particolare, alla fascia d’età compresa
tra i 5 e i 7 anni, fascia che rappresenta, secondo molti, un passaggio cruciale nello
sviluppo di strategie.
L’egemonia teorica dello “sviluppo della memoria come sviluppo di strategie”
comincia a incrinarsi nella seconda metà degli anni Ottanta, via via che emergoPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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no nuovi dati e interpretazioni sullo sviluppo della memoria e delle strategie come,
per esempio, i cosiddetti precursori mnemonici, il ruolo dell’attivazione automatica delle relazioni nella memoria semantica e la mancanza di relazioni positive tra
uso di strategie e prestazione mnemonica. Più volte, infatti, era stato rilevato che
quando i bambini usavano una strategia, spontaneamente o in seguito a un training, la prestazione nel compito non migliorava. Questo fenomeno, denominato
deficit di utilizzazione, indica una fase di transizione nello sviluppo di strategie in cui
la strategia è prodotta spontaneamente ma non arreca alcun beneficio alla prestazione, o un beneficio minore rispetto ai soggetti più grandi, o persino una diminuzione nella prestazione.
Il concetto di carenza di utilizzazione, già presente da qualche tempo nella letteratura sperimentale, acquista maggiore significato alla fine degli anni Ottanta,
quando i ricercatori cominciano a chiedersi che senso abbia l’uso di una strategia
se non è di aiuto e a pensare che le strategie siano componenti di un processo che
include anche meccanismi automatici. Infatti, è proprio in quegli anni che, da una
parte, i tradizionali modelli human information processing sono sviluppati in un’ottica life span da autori come Weinert e Perlmutter (1988), i quali cercano di utilizzare un modello unitario per spiegare lo sviluppo e il declino della memoria anche
in una prospettiva genetico-costruttivista e, dall’altra, sono ampliati in maniera
sistematica gli studi naturalistici ed ecologici sulla memoria non intenzionale. Si
giunge, così, a considerare lo sviluppo della memoria come un processo di adattamento descrivibile in base a un modello interattivo che considera come fattori determinanti la prestazione mnemonica, il contesto ambientale, lo stato del soggetto, il
livello di sviluppo e le differenze individuali (Andreani Dentici, 1993; Perlmutter,
1988, p. 369).
STRATEGIE E BASE DI CONOSCENZA. CHE COSA CAMBIA
Le strategie sono definite abitualmente come quell’insieme di attività cognitive o
comportamentali, appropriate al compito sotto il controllo intenzionale e consapevole del soggetto, che si rivela utile per migliorare il ricordo.
Due sono, quindi, le caratteristiche critiche della definizione del concetto di strategia:
a) l’uso intenzionale;
b) l’effettivo aiuto prodotto da tale uso, cioè il miglioramento nel ricordo.
Secondo questa definizione, per analizzare le strategie bisogna esaminare il comportamento intenzionale e pianificato che coordina i mezzi ai fini; esistono, tuttavia, parecchie attività comportamentali efficaci per il ricordo che sono automatiche e non richiedono consapevolezza. In ogni caso la psicopatologia mostra
situazioni in cui questi processi sono distorti: per esempio, nel disturbo ossessivo-compulsivo, Wegner (1997) distingue un processo che opera intenzionalmente che è consapevole, impegnativo e non può essere interrotto, da un processo
ironico di monitoraggio che non è consapevole, non richiede sforzo e non può
essere interrotto.
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L’attivazione automatica della base di conoscenza
Generalmente, si ritiene che con lo sviluppo aumenti l’efficienza di elaborazione.
Ciò deriva essenzialmente da tre ordini di fattori: in primo luogo, l’abilità di codifica che influenza il grado di accessibilità di ogni concetto; in secondo luogo, l’organizzazione automatica degli stimoli, cioè la capacità di attivare o individuare prontamente specifiche relazioni tra gli eventi (che consente una maggiore velocità di
attivazione); infine, la facilità di utilizzo delle strategie mnesiche, cioè la possibilità
di adoperare volontariamente l’organizzazione come mezzo per migliorare il ricordo
(si veda Bjorklund, 1987).
L’organizzazione degli eventi-stimolo nell’infanzia si basa su tre classi di relazioni:
1. le relazioni associative, caratterizzate dal fatto che alcuni elementi spesso si presentano insieme;
2. le relazioni schematiche, caratterizzate dal fatto che gli elementi si collocano in successioni contigue di tipo causale o spazio-temporale;
3. le relazioni categoriali, caratterizzate dal fatto che alcuni elementi sono membri
della medesima categoria tassonomica.
Queste classi di relazioni compaiono in modo diverso al variare dell’età e influenzano la probabilità di riattivare un concetto che, anche in questo caso, dipende da
numerosi fattori come il contesto, il numero di connessioni associate al concetto,
la frequenza con cui quel concetto è stato attivato in passato, specialmente in quel
contesto. Le prime relazioni che emergono nello sviluppo si basano sull’appartenenza al medesimo script o alla stessa routine di eventi; in seguito, nell’età prescolare, i concetti tendono a stabilire relazioni orizzontali e, nell’età scolare, anche
relazioni gerarchiche verticali. Lo stabilirsi di relazioni gerarchiche rispecchia una
conoscenza diversa da quella che si manifesta precocemente, che è basata sull’esperienza diretta; la capacità di inserire i concetti in un sistema gerarchico mediato dal linguaggio determina, infatti, l’emergenza del sistema semantico.
I principali cambiamenti evolutivi nella memoria sono dovuti principalmente
alla facilità con cui queste forme organizzative sono attivate. I soggetti molto giovani, per esempio, adottano con maggiore frequenza le semplici associazioni tra gli
item e i raggruppamenti schematici rispetto a quelli tassonomici-categoriali. L’attività organizzativa è automatica nella misura in cui è mediata da connessioni, facilmente attivabili, tra contenuti noti. L’efficacia e la probabilità di usare una strategia dipendono, perciò, dal livello di conoscenza o familiarità con il materiale da
rievocare.
L’ORIGINE DELLE STRATEGIE, I PRECURSORI,
IL RUOLO DELLA METAMEMORIA
Il panorama teorico e di ricerca è profondamente cambiato negli ultimi venti anni:
mentre alcuni fattori sono stati accantonati, altri hanno guadagnato un interesse
sempre più crescente da parte dei ricercatori e hanno trovato spazio nella letteraPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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tura recente. Fra questi fattori, il concetto di contesto ambientale, scomponibile nel
contesto esterno all’organismo e nel contesto dell’organismo (quindi come stato del soggetto), è considerato particolarmente rilevante nell’indagine sullo sviluppo precoce della memoria ma anche per studiare l’invecchiamento e le differenze individuali collegabili a patologie biomediche. Dato che i fattori legati al contesto
ambientale, cioè alle caratteristiche di ciò che va ricordato (materiale) e delle
modalità di ricordo (compito sperimentale), e allo stato del soggetto influenzano
fortemente la prestazione mnemonica, i ricercatori sono diventati più sensibili alla
validità ecologica degli stimoli e delle procedure usati in laboratorio. Tuttavia, sono
stati considerati solo alcuni fattori legati allo stato fisico (per es., ritardo mentale
e demenze senili) mentre altri relativi, per esempio, agli stati emozionali (come
ansia e depressione) o al contesto sociale sono ancora trascurati.
Le origini delle strategie e i precursori
Attualmente, sono ancora scarse le conoscenze sulle origini delle strategie, particolarmente negli anni prescolari. Nonostante vi siano prove che in questi anni
alcune tecniche mnemoniche sono usate, mancano chiare correlazioni tra queste
capacità e il repertorio strategico successivo osservato negli anni delle scuole elementari; un’eccezione è la ricerca quasi longitudinale di Schneider e Sodian
(1991) che ha valutato un gruppo di soggetti a 4 e a 6 anni, allo scopo di ottenere informazioni sulla stabilità e predittività di alcune misure di memoria e metamemoria.
I costrutti di carenza di mediazione, produzione e utilizzazione sono ritenuti insufficienti per spiegare i comportamenti mnesici. Le strategie verbali, coinvolte nella
maggior parte delle indagini sperimentali, rappresentano senza dubbio un aiuto di
memoria “interno” applicabile a parecchie situazioni, ma non esauriscono certamente la gamma di comportamenti strategici di ricordo utilizzabile nella vita quotidiana: anche gli adulti, quando la situazione lo permette, usano aiuti “esterni” di
memoria (per es., collocare gli oggetti in determinate locazioni, prendere nota, chiedere a qualcun altro di ricordarci qualcosa).
L’uso di strategie esterne può rappresentare un precursore evolutivo all’uso di
strategie interne. I bambini molto piccoli usano spesso “segnali” o mediatori esterni che, successivamente, passano sotto il controllo verbale interno: per esempio,
quando imparano a contare, spesso indicano ogni oggetto sincronizzando questo
comportamento al conteggio verbale e, quando successivamente questa capacità si
automatizza, questa strategia è utilizzata solo per i compiti e le situazioni più difficili (Moderato e Pino, 1997).
La metamemoria
L’entusiasmo iniziale che salutò le prime intuizioni di Flavell (1971) sulla metamemoria si è tradotto in due distinte direzioni di ricerca. La prima tendeva a esaminare la relazione diretta della metamemoria con la memoria, partendo dal presupposto che il ricordo dei bambini fosse influenzato dalla loro conoscenza dei comPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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portamenti più appropriati alla soluzione di un problema di memoria. La seconda
direzione di ricerca, che esaminava le differenze evolutive nei contenuti della metamemoria, ha prodotto parecchie conoscenze su ciò che i bambini sanno della loro
memoria ma poche sul modo in cui questa conoscenza è utilizzata in varie situazioni. L’interesse per i legami tra metamemoria e memoria è stato stimolato dalla
speranza di spiegare tramite la metamemoria diverse anomalie riscontrate in letteratura, soprattutto per quanto riguarda i deficit di produzione: probabilmente, i bambini non usano le strategie loro suggerite perché non sanno quando e in quali situazioni quelle strategie sono appropriate.
Questo punto di vista ha accentuato l’uso di ricerche correlazionali e di training.
Questo primo metodo consiste nel sottoporre ai soggetti un questionario sulla conoscenza della memoria, quindi nel presentare un dato compito e nel valutare se la
prestazione è correlata alla consapevolezza metamnemonica del compito. Solo pochi
studi, però, hanno messo in luce le relazioni significative attese; inoltre, non sempre la consapevolezza degli effetti positivi di una strategia aveva come effetto il suo
uso. Gli studi con i training hanno raramente dimostrato che le strategie apprese
si mantengono nel tempo e si generalizzano ad altri compiti.
Un secondo metodo per analizzare la metamemoria consiste nell’esaminare i cambiamenti evolutivi nei contenuti della conoscenza metamnemonica: nella maggior
parte di queste ricerche, si richiede ai soggetti di riferire le loro conoscenze sugli
effetti di alcuni fattori sul ricordo. Queste conoscenze si riferiscono alla sensibilità,
cioè a una generica consapevolezza del bisogno di usare tecniche mnemoniche, e
alle variabili relative alla persona, alla strategia e al compito. Comunque, l’uso
esclusivo dei report verbali è considerato inadeguato ed è preferibile impiegare assessment multipli per la valutazione della metamemoria.
Le ricerche più attuali sull’argomento sono caratterizzate da una maggiore complessità teorica, da metodi basati sulla manipolazione della metamemoria, dall’uso
di un maggior numero di compiti e di strategie e da disegni mini-longitudinali.
Queste ricerche si basano sul modello di Borkowski, Johnson e Reid (1987), secondo i quali le componenti maggiori della metamemoria, nell’ordine in cui compaiono nel corso dello sviluppo, sono: a) la conoscenza specifica di strategie; b) la conoscenza relazionale di strategie; c) la conoscenza generale di strategie; d) le procedure di acquisizione della metamemoria.
Uno fra i problemi che destano maggiore perplessità nello sviluppo cognitivo
è quello della generalizzazione delle strategie. Le differenze individuali, nella loro
generalizzazione, sono spiegabili in base a due concetti interrelati: la conoscenza
della memoria e le “credenze” attributive. Man mano che i bambini riflettono sul
loro comportamento e sui loro meccanismi – in altri termini accumulano conoscenza specifica, relazionale e generale – cominciano a rendersi conto che l’uso
di strategie produce buone prestazioni e che il successo è correlato allo sforzo
impiegato.
Questo processo è coadiuvato dalle procedure di acquisizione della metamemoria, che consentono di colmare le lacune nella conoscenza specifica di strategie e
di attivare, monitorare e adattare le strategie in modo appropriato al compito di
generalizzazione. Sembra, infatti, che la conoscenza delle strategie irrilevanti, fornendo indicazioni su una serie di attributi essenziali, necessari alla comprensione
dell’utilità di una strategia nuova, ne aiuti l’acquisizione e il transfer.
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Un altro aspetto della metamemoria è il legame tra conoscenza generale delle
strategie, credenze attributive e transfer: dopo un training dettagliato ed esteso, i
soggetti che attribuiscono i propri successi allo sforzo sono più strategici, generalizzano in misura maggiore le strategie e aumentano il loro livello di conoscenza
metamnemonica rispetto ai soggetti che attribuiscono i risultati ottenuti a fattori
non controllabili come la propria abilità o le caratteristiche del compito.
Negli ultimi anni, alcuni ricercatori hanno tentato di ovviare a uno dei problemi metodologici più frequenti nell’ambito della metamemoria progettando piani di
ricerca veramente sperimentali, in cui la metamemoria è stata trattata come variabile indipendente. Questi studi rappresentano un passo avanti nella ricerca delle
connessioni causali tra memoria e metamemoria e costituiscono un valido tentativo di superare l’empasse metodologica in cui si erano arenate le precedenti ricerche correlazionali o con training.
È necessario, dunque, continuare a progettare ricerche veramente sperimentali
sempre più articolate, che formulino ipotesi sempre più specifiche sulla relazione
tra comportamento strategico, prestazione mnemonica e aspetti specifici della metamemoria.
LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA E LE RELAZIONI
TRA EMOZIONI E MEMORIA
Negli anni Novanta del XX secolo parecchi autori si sono occupati dello studio
naturalistico della memoria dando vita a un interessante settore di ricerca denominato everyday memory. Negli studi di everyday memory l’interesse verte sul significato personale che un individuo attribuisce agli eventi. Questo settore di ricerca
persegue un obiettivo abbastanza difficile, quello di spiegare la memoria quotidiana senza rinunciare del tutto ai vantaggi del metodo sperimentale ma evitandone
gli eccessi “di laboratorio” legati all’artificialità dei fenomeni, alla non generalizzabilità dei risultati alle situazioni reali e all’incapacità di fornire risposte agli interrogativi che il profano può rivolgere alla psicologia.
Differenziare la memoria autobiografica da quella episodica non è semplice: la
prima si riferisce al ricordo di eventi personali, unici, legati all’esistenza individuale,
la seconda a singoli eventi ugualmente connotati secondo la dimensione spaziotemporale. Probabilmente, la differenza maggiore tra le due forme consiste nell’approccio degli studiosi che se ne sono occupati: per i ricercatori di laboratorio, l’analisi della memoria episodica verte sul ricordo di eventi specifici escludendo il
significato personale attribuito dal soggetto, contrariamente a quanto accade per i
ricercatori orientati ecologicamente i quali, interessati alla valenza personale di un
evento, preferiscono l’accezione di memoria autobiografica. Interrogarsi sulle funzioni della memoria significa adottare una prospettiva evoluzionista dei processi
cognitivi, nei termini del valore di sopravvivenza conferito ai membri della specie
nell’ambiente di adattamento evolutivo.
Si individuano tre tipi di funzioni della memoria delle circostanze personali,
come appare nei ricordi-lampo: comunicative, psicodinamiche e direttive. La funzione di sopravvivenza che il ricordo-lampo svolgeva presumibilmente per i nostri
progenitori, come meccanismo automatico di registrazione delle circostanze conPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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La memoria. Processi, meccanismi e fattori dello sviluppo
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comitanti di un evento emozionale, che consentiva di anticiparne rapidamente la
ripetizione, viene meno quando l’evento non è vissuto direttamente ma tramite
mezzi di comunicazione indiretta. Tale funzione può essere sostituita da quella individuata da Neisser, che vede la memoria come un modo per costruire un concetto di sé significativo e coerente e per promuovere lo scambio sociale. Le funzioni comunicative riguardano la costruzione di regole di condivisione del ricordo,
poiché l’incidenza del ricordo episodico varia nei contesti conversazionali e dipende dalle convenzioni culturali e dal significato che assume come messaggio implicito; in ogni caso, grazie alla suscettibilità di essere raccontato, il ricordo autobiografico permette di imparare indirettamente dalle esperienze altrui e, in generale, di formare la personalità sulle narrazioni tradizionali, emblematiche del comportamento socialmente desiderabile o riprovevole entro la cultura di appartenenza
(Calamari, 1995). Le funzioni psicodinamiche si riferiscono all’importanza in psicoterapia della narrazione delle esperienze emozionali che ha effetti positivi e catartici o negativi. Le funzioni direttive riguardano la predizione degli eventi: abitualmente la conoscenza semantica e degli script serve ad anticipare gli eventi futuri
mentre nel caso degli eventi unici, distintivi, il ricordo degli episodi specifici che
contenevano uno stesso dettaglio ripetuto può attivare la risposta già emessa o
promuovere la consapevolezza della ripetizione e chiudere il ciclo mnestico producendo un cambiamento nello schema.
Tentare di ricostruire un evento passato è un’esperienza quotidiana. Ricordare
dove abbiamo posteggiato la macchina, l’occasione in cui abbiamo incontrato un
amico o la data di un viaggio, sono esempi che suggeriscono almeno tre aspetti
importanti della memoria autobiografica:
1. vi sono lacune di conoscenza che non sempre sono colmate anche ricorrendo a
strategie deduttive e inferenziali;
2. la memoria autobiografica non si può “sfogliare” come si fa con un album di fotografie, cioè l’organizzazione dei ricordi autobiografici non è lineare dal punto di
vista temporale (alcuni eventi sono facilmente databili, altri devono essere ricostruiti strategicamente);
3. l’apparente oblio di determinati episodi è superabile con l’aiuto di cue adeguati
(Roncato e Zucco, 1993, p. 247).
Di conseguenza, esistono problemi legati ai contenuti degli eventi, altri all’organizzazione dei ricordi autobiografici. Rispetto ai contenuti, alcuni eventi sono
ricordati con vividezza come se fossero rivissuti al momento attuale. Questi episodi spesso sono carichi di emozioni, ma questo non ne assicura il ricordo obiettivo:
al momento dell’esperienza è possibile che siano stati selezionati e codificati solo
alcuni particolari e non altri e, al momento del recupero, è possibile un insuccesso nel ricordo perché gli episodi tendono a confondersi e a interferire con altri fatti
simili. Ancora, è possibile che gli eventi siano ricostruiti più in base alla logica e
all’inferenza che alla memoria vera e propria: quando non ricordiamo, per esempio, dove abbiamo posteggiato l’auto cerchiamo di ricostruire l’orario in cui siamo
ritornati a casa, colleghiamo determinati accadimenti come il divieto di sosta settimanale e così via, operando una ricerca all’interno del contesto. Lo stesso può
avvenire quando riceviamo una domanda inaspettata come: “Dove ti trovavi il 28
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Ciclo di vita
luglio del 1993 alle 18.30?”; in questo caso, se la data non è distintivamente legata a un episodio particolare (per es., il compleanno di qualcuno), la memoria procederà per indizi autoprodotti che poco hanno a che fare con la localizzazione temporale dell’evento. Infatti, anche se l’organizzazione temporale di altri episodi che
fanno parte dello stesso contesto dell’evento target può aiutare a ricostruire un determinato evento, essa rappresenta un aspetto meno importante di altri come la salienza, la piacevolezza e il coinvolgimento emotivo. A proposito della datazione di
eventi autobiografici, Baddeley (1990) riporta i risultati di diversi studi, nei quali
i soggetti interrogati riferivano di aiutarsi con indizi sul tempo (“stava nevicando”),
sulle stagioni (“gli alberi stavano germogliando”) o con il riferimento a un evento
pubblico di grande risonanza (“l’eruzione del monte St. Helens”, un avvenimento
particolarmente importante per i soggetti della ricerca che abitavano nello Stato
di Washington), ma che, comunque, l’aiuto migliore era rappresentato da eventi
della loro vita che potevano datare facilmente (“il primo Natale dopo l’iscrizione
all’Università”).
Anche se questi meccanismi, in linea di principio, possono rivelarsi validi anche
per l’infanzia, secondo alcuni autori i bambini in tenera età non hanno esperienza
della memoria episodica e la loro capacità di apprendimento sembra riguardare in
misura maggiore conoscenze generali rispetto a esperienze specifiche. In secondo
luogo, secondo Lindsay e Johnson (1989) gli individui non discriminano accuratamente tra ricordi di eventi reali e ricordi di eventi immaginati: se un evento è
immaginato in modo particolarmente vivido, in seguito può essere difficile ricordare se si è verificato veramente oppure no. Il processo mediante il quale gli individui distinguono tra eventi reali ed eventi immaginati è il cosiddetto esame di realtà
(reality monitoring), cioè la capacità di distinguere il risultato dell’immaginazione da
ciò che, invece, è realmente percepito. In effetti, gli eventi reali sono qualitativamente differenti da quelli fantastici in quanto l’evento reale contiene informazioni
relative al contesto spazio-temporale (quando e dove) e alle caratteristiche sensoriali, mentre il prodotto della fantasia sembra più astratto e meno coerente.
Un altro processo che sembra influenzare la memoria autobiografica è la cosiddetta amnesia infantile, che rende relativamente inaccessibili i ricordi legati ai primi
anni di vita. Una possibile spiegazione chiama in causa il fatto che per i bambini
di età inferiore a cinque anni l’esperienza non è ancora formalizzabile in termini
di descrizione linguistica, riconducibile alla categorizzazione operata dalla descrizione linguistica, come accade invece per i soggetti più grandi e gli adulti; in altre
parole, i bambini preverbali hanno un vissuto che non può essere agganciato dai
meccanismi di recupero mnesico dell’adulto.
Un ulteriore fattore che sembra rivestire grande importanza nella rievocazione
di eventi autobiografici è l’efficacia degli stimoli di aiuto. In uno studio di Hudson
e Fivush (1987), per esempio, sono state misurate la rievocazione libera e quella
suggerita di una visita a un museo archeologico da parte di soggetti di 5 anni. La
visita era sicuramente un evento memorabile per i giovani partecipanti, anche perché questi erano stati invitati a scavare una buca dentro la quale erano state ritrovate alcune copie di reperti archeologici. La capacità di rievocare i dettagli da parte
dei soggetti, interrogati sulla visita al museo dopo sei settimane, un anno e sei anni
di tempo, diminuiva drasticamente dopo sei anni ma, nella situazione con gli aiuti,
raggiungeva l’87%.
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La memoria. Processi, meccanismi e fattori dello sviluppo
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Infine, nell’esame della memoria autobiografica, vanno tenuti in considerazione
tre importanti aspetti:
1. la possibilità di distorcere l’accaduto durante il ricordo, specialmente in rapporto
alla natura degli eventi da ricordare;
2. la quantità dei dettagli richiesta nelle testimonianze, spesso, è maggiore di quella considerata negli studi di laboratorio;
3. la testimonianza ha per oggetto un’esperienza appresa incidentalmente e non
intenzionalmente, e ciò può spiegare la vaghezza e l’imperfezione del ricordo.
In generale, la maggior parte delle reminiscenze autobiografiche sembra abbastanza attendibile se ci si limita a ricordare gli eventi generali; gli errori si verificano quando si tenta di ricostruire i particolari di una situazione partendo da una
base inadeguata che, di conseguenza, origina una serie di distorsioni dovute, per
esempio, a domande fuorvianti o a fattori emotivi e sociali.
Se la memoria ricostruisce qualcosa che è stato costruito la prima volta che è
stato percepito, la ricostruzione non è mai uguale alla costruzione, non è mai una
replica dell’esperienza originaria. Ma, allora, le teorie che danno rilievo agli schemi attivi al momento della codifica, che fornirebbero i suggerimenti per il recupero, spiegano solo l’accessibilità di tracce disponibili. La ricchezza della codifica sembra, quindi, influenzare semmai l’accessibilità; ma, allora, da che cosa dipende la
disponibilità? Se gli schemi cambiano al punto che l’individuo non produce più i
pezzi della costruzione percettiva originaria che consentirebbero l’accesso al passato, l’amnesia infantile e le altre forme di oblio possono essere pura questione di
recupero (Calamari, 1995). Si pongono così alcune domande. I ricordi originari
possono essere recuperati, come e perché? Che cosa determina il consolidamento
a lungo termine che garantisce la disponibilità di alcuni ricordi e non di altri? La
ripetizione o, piuttosto, l’intensità emotiva? Per i ricordi autobiografici avviene una
specie di selezione naturale, alcuni si consolidano così bene da resistere all’amnesia senile, al naufragio dell’autocoscienza in cui permangono isole di consapevolezza legate alle esperienze più significative di tutta una vita. Altri rimangono depositati finché un indizio percettivo non li riattiva casualmente e, in questo caso,
quanta fiducia si può accordare al recupero dei ricordi remoti rispetto al criterio
della corrispondenza con l’esperienza originaria?
Lo studio delle relazioni tra emozioni e memoria costituisce un importante settore di ricerca che si è sviluppato in modo più o meno indipendente da specifici
orientamenti teorici, anche se è stato fatto un ampio uso dei modelli a rete. Secondo questa prospettiva, le emozioni corrispondono a unità, o nodi, di una rete;
anche se le unità che rappresentano le emozioni possono essere interpretate come
stati di tipo innato, nel corso del tempo queste unità possono sviluppare connessioni con altre unità che, all’interno della rete, rappresentano eventi non connotati emotivamente. Contemporaneamente all’attivazione di un nodo relativo a uno
stato emotivo, l’attivazione si diffonde ad altri nodi; di conseguenza, un’esperienza emozionale può connotare in modo emotivo eventi e pensieri che hanno luogo
nello stesso momento. È per questo motivo, per esempio, che ci leghiamo affettivamente a determinati oggetti privi di valore e “sogniamo” ascoltando determinate canzoni. Questo modello delle emozioni implica che la possibilità di ricorPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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Ciclo di vita
dare un evento possa dipendere funzionalmente dal contesto, cioè dallo stato d’animo; quindi, il ricordo è facilitato se si verifica in una situazione simile a quella in cui l’evento originale ha avuto luogo (Benjafield, 1995), un meccanismo
comprensibile alla luce del concetto della specificità di codifica che regola la memoria episodica.
Lo stato d’animo può, allora, essere considerato un aspetto del contesto; di conseguenza, la coerenza degli stati d’animo nel momento dell’apprendimento e in
quello della rievocazione dovrebbe facilitare il ricordo. Infatti, il ricordo è favorito se l’umore nella fase di acquisizione è uguale a quello della fase di ricordo (effetto stato-dipendenza); in secondo luogo, è stato dimostrato che la memoria è facilitata se gli eventi da ricordare hanno una tonalità affettiva della stessa valenza
dell’umore di chi deve ricordare (effetto congruenza dell’umore). Un dibattito che
si è acceso è quello sull’interazione tra processi cognitivi e processi emotivi; una
possibile soluzione è che l’emozione sia coinvolta direttamente, cioè senza la cognizione, e indirettamente, ossia con l’implicazione della cognizione. I due processi
sono entrambi legati all’attività dell’amigdala, secondo una via indiretta input sensoriale Æ talamo Æ amigdala o una via diretta input sensoriale Æ talamo Æ corteccia Æ amigdala (LeDoux, 1989).
LA MEMORIA COSTRUISCE E RICOSTRUISCE
Gli studi pionieristici di Bartlett (1932) hanno spinto gli psicologi a riconoscere
che la memoria non è una riproduzione letterale del passato ma, piuttosto, dipende da processi costruttivi che qualche volta incorrono in errori, distorsioni e illusioni. Gli psicologi cognitivi contemporanei si sono occupati degli aspetti ricostruttivi della memoria, in particolare come risultato delle controversie riguardanti la suggestionabilità dei bambini e l’accuratezza delle memorie recuperate nel corso
della psicoterapia. I neuroscienziati cognitivi si sono progressivamente interessati ai
fenomeni che riguardano gli aspetti costruttivi del ricordo, come il falso riconoscimento e la confabulazione (Schacter, Norman e Koutstaal, 1998).
La nozione di memoria costruttiva cattura l’idea di una conoscenza che è ricavata tramite precedenti interazioni con il mondo esterno. “Costruire” una memoria è stato descritto come un processo governato da ciò che c’è inizialmente (l’esperienza originaria) e dalle sue relazioni con la situazione attuale (fatte di precedenti esperienze e memorie). Questo livello di astrazione, secondo Gero e Kannengiesser (2004), comporta l’azione di due processi in interazione l’uno con l’altro: un processo definito di push process (o data-driven), in cui la produzione di
una risposta interna è innescata dai dati sensoriali, e un secondo processo, definito di pull (o expectation-driven), in cui l’interpretazione deriva dai concetti attuali di un agente in cui i dati originali sono modificati per venire incontro alle
aspettative attuali. Così, si può usare l’idea di questi due processi per rappresentare l’interazione di un agente con l’ambiente esterno (tramite l’interpretazione)
e con il proprio ambiente interno (tramite la memoria costruttiva).
La Figura 24.1 descrive come si produce un’esperienza originale interpretando
qualcosa nel mondo esterno a un certo punto del tempo. I due processi rappresentano questa transizione dal mondo esterno al mondo interpretato. La costruPaolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione 4/e
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La memoria. Processi, meccanismi e fattori dello sviluppo
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Figura 24.1 Processi di interpretazione e di memoria costruttiva (Modificata da Gero e Kannengiesser, 2004).
zione di una memoria (M1) dell’esperienza originaria, a un certo punto del tempo,
è sempre prodotta dai due processi, ma ciò avviene all’interno del mondo interpretato. Il processo derivato dalle aspettative qui è controllato dalla situazione
presente. La Figura 24.1 non mostra solo come il processo di interpretazione
e quello di memoria costruttiva possano essere rappresentati, ma anche come
il risultato di uno dei due meccanismi possa influenzare il risultato dell’altro. Interazioni tra il mondo interpretato e mondo esterno possono avere un impatto
sulla costruzione di memorie nello stesso modo in cui le interazioni del mondo
interpretato con se stesso possono influenzare la costruzione (interpretazione) dei
concetti.
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Ciclo di vita
LA MEMORIA NELLA TESTIMONIANZA OCULARE
Molti fattori associati con la testimonianza riguardano la percezione e la memoria.
Generalmente, essi rientrano in due aree: i fattori relativi al testimone e i fattori
relativi all’evento. I primi includono le caratteristiche individuali come l’età, il
genere, le risposte individuali alle situazioni di stress, le aspettative e i pregiudizi.
Per quanto concerne l’età, si è visto che i bambini sono meno accurati e completi nei loro ricordi rispetto agli adulti: se devono ricordare determinati eventi senza
stimoli di suggerimento (domande) forniscono un minor numero di dettagli e, anche
in questo caso, presentano in genere una prestazione peggiore rispetto agli adulti
tranne quando gli eventi li interessano particolarmente. Tuttavia, quando si ristabilisce il contesto dell’evento originale, la loro prestazione può essere accurata quanto quella di un adulto. Gli anziani hanno prestazioni peggiori nel riconoscimento
di visi di persone estranee e ricordano un basso numero di dettagli; inoltre, come
i bambini, sono influenzati dalle informazioni post-evento.
La legge di Yerkes-Dodson (Yerkes e Dodson, 1908) descrive la relazione tra lo
stress/arousal e il ricordo di dettagli: un basso livello di stress (basso livello di arousal), genera una scarsa prestazione, mentre un moderato livello di stress tende a
facilitarla. Al contrario, un alto livello di stress deteriora la memoria.
Per quanto concerne i fattori relativi all’evento, è noto che un’esposizione più
lunga accresce l’accuratezza percettiva. Al contrario, un aspetto poco valutato è la
scarsa accuratezza nella stima della durata di un evento, la quale, abitualmente, è
considerata più lunga rispetto alla realtà.
Un altro fattore importante dell’evento in relazione alla memoria del testimone
oculare è la salienza dei dettagli. In situazioni di stress, come nel corso di un delitto, l’attenzione del testimone può essere sia focalizzata sia distratta da alcuni dettagli della situazione; per esempio, il testimone può essere attratto da un’arma puntata nella sua direzione e non prestare attenzione ad altri dettagli della scena del
crimine, come il viso dell’omicida o il suo abbigliamento. Questo fenomeno, chiamato messa a fuoco dell’arma, è stato esaminato sperimentalmente. Infine, anche la
violenza associata all’evento può influenzarne la percezione dei dettagli (Fruzzetti,
Toland, Teller e Loftus, 1992).
Nonostante la testimonianza sia stata abbastanza indagata empiricamente, questo fenomeno rimane, sotto diversi aspetti, scarsamente spiegato. La maggior parte
delle interpretazioni adottate si rifà alle teorie della dimenticanza (per es., le informazioni originali sono permanentemente cancellate da quelle successive o solo rese
inaccessibili?); tuttavia, benché sia certamente importante comprendere perché si
abbia dimenticanza come conseguenza degli effetti di suggestione, è anche importante capire come la suggestione possa ridurre l’accuratezza. Tradizionalmente, il ricordo è considerato manifestazione diretta di una rappresentazione mnesica; ciò è
senza dubbio vero per quanto concerne il fenomeno delle informazioni fuorvianti
che possono essere incorporate nella testimonianza e ciò, di conseguenza, può essere considerato evidenza dell’integrazione che avviene nella memoria. Molti fattori
possono alterare la ritenzione, specialmente quella riguardante i dettagli, portando
a una rappresentazione che è una ricostruzione differente dall’evento originale. Spesso accade che le informazioni post-evento siano assimilate in memoria producendo particolari aggiuntivi o, più semplicemente, portando alla trasformazione di un
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La memoria. Processi, meccanismi e fattori dello sviluppo
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particolare. Quando un individuo riproduce ripetutamente uno stesso ricordo si possono verificare curiosi fenomeni ricostruttivi: progressivamente il racconto diventa
più semplice, coerente e plausibile. Il meccanismo che soggiace all’influenza di queste informazioni è uno fra gli aspetti più controversi nell’ambito della testimonianza
oculare; è tuttavia accertato che le distorsioni sono maggiori quanto più è lungo il
periodo intercorrente tra l’evento originale e l’informazione erronea. Da questo
punto di vista, la prima deposizione è quella più attendibile mentre quelle successive sono più soggette a errori. Per questo motivo il metodo più accurato e completo è la combinazione della narrazione con domande specifiche. Un’altra tecnica efficace consiste nel ripristino del contesto ricreando, quanto più esattamente
possibile, la condizione originale e chiedendo di riferire sistematicamente tutti i
dettagli situazionali e personali dell’evento in esame, utilizzando anche una sequenza o prospettiva differente. Infatti, ciò che la prospettiva della memoria ricostruttiva non spiega sufficientemente è che l’ampiezza e il peso della distorsione sono
influenzati dal contesto di recupero (le istruzioni al momento del test, le risorse
attentive disponibili, le motivazioni e gli obiettivi di chi ricorda); lo stress e l’arousal al momento della rievocazione rappresentano un altro importante fattore,
per esempio è noto che l’emozione produce la cosiddetta “stato-dipendenza”. Di
conseguenza, gli errori testimoniali spesso riflettono l’effetto delle circostanze del
ricordo e non quello della traccia di memoria sottostante. Un caso particolarmente rilevante della testimonianza è costituito dall’identificazione di una persona, un
compito che è soggetto a svariati errori dovuti non solo alla conoscenza dell’indiziato, al numero di identificazioni e di presentazioni, al tipo di istruzioni fornite e
agli effetti di suggestione e di influenzamento (Wagenaar e Loftus, 1990), ma anche
all’attrattiva e alla distintività del viso dell’indiziato o all’autorità e alla pressione
di chi interroga.
LA RICERCA FUTURA
Le difficoltà nel costruire un modello di sviluppo della memoria che copra l’intero arco di vita e spieghi il cambiamento e la continuità appartengono anche al
piano metodologico. Nonostante sia ormai evidente che, se si vuol comprendere
veramente la memoria, non bisogna limitare le ricerche ai tradizionali soggetti degli
studi classici (studenti universitari), è ancora estremamente difficile condurre ricerche con prove equivalenti per le diverse età: come si può scegliere, per esempio,
una storia che abbia lo stesso interesse e la stessa difficoltà per un bambino, un
adulto e un anziano? E se si scelgono stimoli più semplici e più neutri (parole o
figure), in che misura questi sono rappresentativi delle esperienze certamente più
complesse della vita, in cui entrano in gioco forme multiple di controllo? In realtà,
“gli studiosi hanno finora scelto dei compromessi” (Andreani Dentici, 1993, p. 154).
Data l’estrema importanza del contesto esterno e interno all’organismo, la gamma
di condizioni sperimentali da valutare va, necessariamente, estesa. Uno dei temi
fondamentali che dominano la letteratura sulla memoria è il conflitto fra ricerca
di base e ricerca applicata; gli studiosi che provengono dalla tradizione della ricerca di base hanno la tendenza a credere che la soluzione ai problemi applicativi sia
quella di sviluppare in laboratorio leggi da applicare, successivamente, ai problemi
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Ciclo di vita
pratici. Tuttavia, la storia attuale delle relazioni tra scienza e tecnologia mostra che
i legami tra i due tipi di ricerca sono molto più vari e complessi di quanto abitualmente si creda; un esempio è dato dal campo della testimonianza oculare, dove
scarsi sono i risultati della ricerca di base che si sono concretizzati nella ricerca
applicata; infatti, parecchi sono gli studiosi che attualmente si impegnano nella
progettazione di paradigmi sperimentali su aspetti importanti delle situazioni reali
che inglobano la memoria e la testimonianza in ambiente legale. Probabilmente,
solo questi tentativi sperimentali permetteranno alla ricerca futura di giungere a
nuove intuizioni su processi, meccanismi e fattori della memoria e forniranno maggiori soluzioni ai problemi pratici del comportamento umano all’interno di modelli metodologici e concettuali differenti.
LETTURE CONSIGLIATE PER L’APPROFONDIMENTO
BADDELEY, A. (1992). La memoria umana. Teoria e pratica. Bologna: Il Mulino.
BADDELEY, A.D., WILSON, B.A. e WATTS, F.N. (1995). Handbook of memory disorders. New
York: John Wiley & Sons.
BENJAFIELD, J.G. (1995). Psicologia dei processi cognitivi. Bologna: Il Mulino, Prentice-Hall
International.
CALAMARI, E. (1995). I ricordi personali. Psicologia della memoria autobiografica. Pisa: Edizioni ETS.
FARGNOLI, A. e MORETTI, S. (2005). L’incredibile testimone. Torino: UTET Libreria.
MCGAUGH, J.L. (2003). Memory and emotion. Londra: Weidenfeld & Nicolson.
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