I fiori aurei dell’impero perduto
Lorenzo Canova
Un’elegia dipinta per un trionfo disperso nel tempo, un apparato celebrativo tracciato sull’acqua
per magnificare regni millenari ed effimeri, la memoria di antiche glorie dissolta nel flusso liquido
del divenire: Giancarlo Limoni ripercorre e interpreta i codici simbolici floreali celati nei capolavori
dedicati all’Imperatore Augusto e al suo Impero in un progetto pittorico sospeso tra leggerezza e
densità intellettuale. In queste opere, Giancarlo Limoni unisce la sua vocazione naturalistica che
lega la presenza incombente della materia pittorica, centrale nelle sue opere a olio, alla levità
trasparente e pulsante delle sue opere su carta, dove l’acquerello e la china creano fioriture e
vegetazioni subacquee di riflessi e di accensioni. Limoni, non a caso, si colloca all’interno della
grande linea artistica che ha trovato nella materia pittorica uno dei suoi elementi centrali, che
l’artista ha saputo far rifiorire nel fecondo contesto della pittura, non solo romana, degli anni
Ottanta. L’opera di Limoni è infatti da molti anni dedicata a un’indagine sul medium pittorico e sui
suoi rapporti culturali e metaforici con la storia, la letteratura e la filosofia, eleggendo la stessa
natura a soggetto privilegiato per una possibile interpretazione e ricomposizione del reale
attraverso il suo lavoro esegetico e costruttivo.
Per questo progetto, Limoni è disceso a ritroso alle origini della pittura occidentale, dialogando con
i grandi e magnifici cicli decorativi dell’arte dell’età augustea, dove la rappresentazione dei giardini,
dei fiori e delle piante aveva una precisa finalità simbolica che celebrava in chiave mitologica la Pax
Augusta, attraverso le allusioni al ritorno dell’età dell’oro di pace e di giustizia, dove tutto si
rasserena in un’edenica visione bucolica di armonia, ordine e serenità.
Il ritorno del regno di Saturno e il ritorno della Vergine Giustizia cantati nelle Egloghe di Virgilio
come annuncio di questa nuova era pacifica e fiorente sono riletti da Limoni come un viaggio
compiuto attraverso la pittura, per superare le vegetazioni ctonie di Plutone e di Persefone e per
giungere allo stadio alchemico dell’oro solare di Apollo, nume tutelare dei trionfi di Augusto e
divinità che con la sua luce rigenera l’intero mondo in una messe rigogliosa di fioriture. Come già in
passati cicli pittorici, Limoni si vede come un viandante alla ricerca, attraverso la sua arte, dell’Eden
smarrito che percorre mitologie, religioni e culture di tutto il mondo, nel rimpianto di un luogo che
l’umanità ha perduto conservandone però una reminiscenza che assume molte fattezze. Il pittore
ricostruisce la memoria di questa terra archetipica in una grande tessitura pittorica fatta di trame
liquide e di vegetazioni sospese tra acqua, cielo e terra, nella nostalgia di un hortus conclusus dove
le corrispondenze tra colori e profumi si animano di vibrazioni e armonie segrete, uno spazio
luminoso risvegliato dalla pulsazione vitale della pittura. Giancarlo Limoni ha realizzato così un vero
e proprio viridarium composto da fogli in cui il colore si addensa per tracciare le forme sfuggenti di
piante, di frutti e di fiori, componendo un giardino che si distende sulle pareti dello spazio
espositivo. Nel sua concezione colta e aperta della pittura, Limoni unisce allora continenti, visioni
ed epoche molto distanti tra loro, facendo dialogare l’arte romana con la pittura cinese, la Villa di
Livia e l’Ara Pacis con la materia di de Stäel e la sintesi icastica della calligrafia orientale, gli immensi
imperi di Roma e della Cina, in particolare grazie all’uso dell’acquerello nelle sue variazioni
cromatiche e nelle sue sfumature di solida leggerezza, una tecnica che Limoni privilegia come
forma di una privata meditazione attraverso la rapida e incerta esattezza della pittura. Il grande
viridarium di questa mostra rappresenta quindi un giardino dell’età dell’oro, il desiderio di Limoni
di divenire un pittore anonimo e immortale a cui è dato l’onore di dipingere le pareti delle
residenze imperiali, essere l’artefice perfetto e sconosciuto di un luogo ideale dove il potere si
confonde col mito e dove l’intera natura sembra essere stata disposta dagli dei per esaltare il
destino magnifico del monarca discendente dalla stessa dea Venere.
Limoni, tuttavia, è consapevole della perdita e della frattura irrimediabile che separa il nostro
tempo dall’età di Augusto, sa bene che di quei trionfi sono rimaste solo alcune, splendide, rovine,
ma su quelle rovine cerca di costruire un nuovo giardino e un nuovo edificio della pittura,
lavorando non tanto con l’occhio dell’archeologo, ma con lo sguardo di un incantatore che
ricompone e ridà vita a frammenti di tempo smarriti nel labirinto della memoria. Le vegetazioni e i
fiori di Limoni seguono difatti questa ricerca impossibile ma necessaria, compongono trame fatte
di echi e di rispecchiamenti, i colori si aprono come boccioli sulla carta, evocazioni di un sogno
millenario di felicità e di prosperità di cui troviamo il vago sentore in un’essenza o in un fruscio di
foglie che si agita nell’ombra. Le carte dipinte da Limoni compongono quindi la personale ricerca di
quell’età dell’oro perduta, fremono nel loro viaggio per accogliere lo spettatore in una trama
liquida di colore, una discesa a ritroso nella notte dei secoli dove i gigli, l’edera e le foglie risorgono
dal liquido denso e profondo di un oblio rischiarato da scarne e baluginanti reminiscenze
archetipe.
La pittura di Limoni sembra annullare dunque il tempo dei cronometri, dilatandosi nel flusso della
pittura e muovendosi a ritroso in una curva metafisica che riedifica pareti dipinte e frammenti di
intonaco istoriato, stucchi e marmi, in una corrente che cancella i secoli e fa risorgere la carne viva
delle immagini. Pertanto i pigmenti si immergono e si cristallizzano nelle acque della memoria per
dare forma a un nuovo giardino, a girali di acanto e iris che irradiano pulsazioni di violetto e di
azzurro, per ricomporre ancora una volta il monumento fragile di una natura ordinata dai canoni
allegorici innestati sulla vita feconda di un mondo codificato dall’utopia di un ordine proporzionale
e assoluto.
Le opere di Limoni alludono perciò a una continua rigenerazione, a una fioritura bloccata sulla
carta e resa eterna dal gesto dell’artista, il processo di rinnovamento si compie perennemente in
un ciclo circolare in cui le piante e i fiori ricrescono e sbocciano senza sosta fermate dall’azione
paziente della mano che dona loro una vita resuscitata nel rituale magico dell’opera d’arte. Così la
terra e il cielo si incontrano e nella loro unione il tempo trova la sua pienezza in una pioggia
feconda di colore, metafora della luce che rinasce e trionfa dopo la discesa nel regno dei morti e il
ritorno dall’Ade, terra abbrunata e sotterranea della melanconia e della putrefazione che l’artista
oltrepassa nella tessitura dei suoi acquerelli inscritta nello spazio della visione come un arcobaleno
intriso di una vibrazione cangiante, in un meriggio assolato e senza ombre dove l’età dell’oro ripete
eternamente il suo rituale in un intreccio vegetale di simboli sublimati e ravvivati dalla forza
creativa della pittura.