"La Psicologia applicata all'Oncologia“ PROGRAMMA 7/11/2014 UNI3 del Monreale: - LA PSICONCOLOGIA. L'importanza dell'Intelligenza SocioEmotiva e di un buon livello di empatia per affrontare la malattia in maniera efficace e adeguata. - La Condivisione Sociale delle Emozioni: una modalità di Regolazione delle Emozioni utile al paziente e ai suoi familiari. - La Vergogna, emozione discriminante nella "Non Condivisione delle Emozioni", nella malattia come nella vita di tutti i giorni: un esempio emblematico nel terzo capitolo de "I sommersi e i Salvati" di Primo Levi. Per una definizione di Psiconcologia Possiamo definire con il nome di Psicologia Oncologica, la disciplina che si occupa, in maniera privilegiata e specifica, della vasta area delle variabili psicologiche connesse alla patologia neoplastica e in generale delle implicazioni psico-sociali dei tumori. Essa nasce e si impone, in funzione delle complesse problematiche psicologiche ed emozionali, che interessano la maggior parte dei pazienti affetti da cancro, nel porre attenzione a queste problematiche, riunisce e comprende in sé, tanto la metodologia che la teoresi della medicina (Oncologia) che della psicologia (Psicosomatica). La Psicologia oncologica, mostra dunque, essere il risultato ultimo di una convergenza tra la psicologia, che focalizza in particolare gli aspetti più soggettivi, espressi dal paziente neoplastico attraverso i suoi sintomi e la sua sofferenza e l’oncologia oncologia, che privilegia gli aspetti più oggettivi e tangibili dei medesimi sintomi, della medesima sofferenza La psicologia oncologica, affronta il problema della possibile relazione tra fattori psicologici ed emozionali, e la malattia neoplastica, e nel fare ciò tenta di rispondere alle seguenti tre domande: 1) Possono dei fattori psicologici giocare un ruolo nell'eziologia del cancro e quindi nella sua prevenzione? 2) I fattori psicologici intervengono nell'evoluzione clinica delle neoplasie ? 3) È possibile con degli interventi psicologici migliorare la qualità e la durata della vita dei pazienti oncologici ? L' oggetto della psicologia oncologica La psicologia oncologica si propone di promuovere la ricerca, di stimolare una maggiore comunicazione e alleanza fra medicina oncologica, psicologia e sociologia, e soprattutto, compito più arduo, tradurre in pratica, nel lavoro giornaliero di psicologi, medici, tecnici, assistenti sociali, infermieri e volontari le conoscenze acquisite. Il fine ultimo, della psicologia oncologica, è promuovere la salute, intesa in modo globale cioè psicofisico, del paziente, tramite un approccio multidisciplinare alla patologia neoplastica. Essa si rifà alla moderna concezione della malattia, il cui principio base è l'influenza reciproca tra psiche e soma. Quindi, non solo la patologia tumorale deve essere considerata in questa ottica globale, ma qualsiasi malattia. La psicologia oncologica è un passo fondamentale verso questa tendenza, un esempio importante di come la psicologia trovi la sua collocazione accanto alle scienze mediche, per una comprensione unitaria della persona affetta da una patologia. Come é fatta: il modello La psicologia oncologica nasce sulla base delle osservazioni riportate, da cui emerge la certezza di un esito costruttivo, di un approccio multidisciplinare. Esistono oggi due grandi linee di indirizzo teorico: 1) La prima si occupa della Ricerca. Essa indaga sulle componenti psicosomatiche del cancro con studi sulla influenza delle variabili psicologiche nella con-causa delle neoplasie, cerca cioè, di confermare l'ipotesi per cui certe caratteristiche psicologiche, in forza del legame mente-corpo, sarebbero dei fattori predisponenti l'insorgenza della malattia neoplastica. Sempre all'interno della ricerca in psicologia oncologica, ma in un altro ambito, vi è un'intensa attività per determinare le reazioni psicologiche del paziente in ogni fase della malattia. Tramite tali studi, si cerca di giungere all' approfondita conoscenza dei bisogni del malato neoplastico e delle dinamiche messe in atto, sia dal paziente, sia dall' ambiente sociale, in cui vive o viene a trovarsi per necessità imposte dalla malattia. 2) La seconda si occupa dell' aspetto assistenziale. Essa studia le varie modalità di approccio psicoterapeutico, psicometrico, e di assistenza, per aiutare il paziente neoplastico ad affrontare al meglio la malattia e per prevenire le sequele psicologiche quali la depressione e l'ansia. L' assistenza psicologica è di fatto importante sia per affrontare e gestire i numerosi eventi stressanti, a cui il paziente è sottoposto durante l'arco della malattia, sia per il possibile ruolo che fattori, di natura emozionale, possono avere sul decorso della malattia (Spiegel, 1994). Il malessere psicologico quindi, sia che si esprima sotto forma di ansia aperta e di aggressività, o in forma depressiva, con il rinchiudersi in se stessa della persona, esiste ed in più la sofferenza psicologica si può esprimere anche nel dolore fisico. Il DOLORE FISICO si trova con maggiore intensità soprattutto nello stadio terminale della malattia, e può facilmente divenire il fulcro attorno cui si muove la vita del paziente (Satta, 1989). La sua presenza, o la sua assenza, condiziona le sue attività ed il suo umore. Se da una parte il dolore induce uno stato di malessere psichico, dall'altra, come in un circolo vizioso, il dolore aumenta in presenza di paura, ansia e depressione. La malattia tumorale quindi, inquadrata nell'ottica della centralità dell' individuo, rivela come siano importanti i bisogni del malato. Essi si rivelano grandi, fondamentali, decisivi per gli esiti stessi dell'andamento clinico e terapeutico; troppo spesso poco compresi e poco accolti. Tutto ciò è riferito ad una più vasta cornice del problema che (parlando parlando delle trasformazioni del quadro di vita reale, familiare, professionale, e dell'assetto psicologico individuale, con l'aggiunta a volte, di gravi e profondi cambiamenti del quadro somatico) vanno a definire, profili clinici nuovi somatico e spesso incogniti, rispetto ai quali esiste ancora una inadeguata capacità, di individuazione e quindi, una ancora più marginale capacità di accoglimento e fronteggiamento L’utilizzo dell’Intelligenza Socio-Emotiva all’interno dei Programmi di Prevenzione o di Intervento clinico, hanno aumentato il grado di soddisfazione della propria vita in un periodo così drammatico e doloroso della vita propria o dei propri cari. Stimolare e promuovere l’Empatia migliora sensibilmente i rapporti intra e interpersonali del paziente. -Parlare -Confrontarsi -Capirsi -Immedesimarsi EMPATIA INTELLIGENZA SOCIO-EMOTIVA Le emozioni sorgono in risposta alla struttura di significato di una determinata situazione. Ne consegue che le emozioni vengono generate dai significati e dai valori che ognuno di noi attribuisce all’ evento. PER ATTRIBUIRE A UN EVENTO VALORE E SIGNIFICATO, è FONDAMENTALE CONOSCERE LE EMOZIONI E CERCARE DI IMMEDESIMARSI, EMPATICAMENTE, CON GLI ALTRI ATTORI COINVOLTI LO STESSO DARWIN DEDICO’ PARTE DELLA SUA VITA A STUDIARE LE EMOZIONI E L’IMPORTANZA CHE AVEVANO AVUTO IN NATURA PER LA SOPRAVVIVENZA DEGLI ESSERI VIVENTI. TESI DIMOSTRATA DALLA CONSTATAZIONE SCIENTIFICA CHE IN QUALSIASI PARTE DEL MONDO E CULTURA, ESISTONO ESPRESSIONI EMOTIVE UNIVERSALMENTE RICONOSCIUTE, Più ESAUSTIVE E IMMEDIATE DELLE PAROLE E DELLE AZIONI. Le emozioni di base LA CONDIVISIONE SOCIALE DELLE EMOZIONI - Regolazione degli Stati Emotigeni Intensi; - la Condivisione riduce il senso di impotenza, di solitudine, di angoscia, indirizzando queste pulsioni verso l’esterno. - Perché condividiamo le nostre emozioni? - Quali eventi condividiamo? - Quali eventi non condividiamo, e perché? - La NON condivisione, può provocare stati ansiosi e/o depressivi. CONDIVISIONE SOCIALE PRIMARIA da A a B CONDIVISIONE SOCIALE SECONDARIA da B a C CONDIVISIONE SOCIALE TERZIARIA da C a D MOLTI ESPERIMENTI VENIVANO SVOLTI già NEI PRIMI DECENNI DEL ‘900 DALLA SCUOLA Americana. IN USA SI STUDIAVANO I REDUCI DI GUERRA tornati dai conflitti in EUROPA tramite progetti finanziati direttamente dallo Stato. -ESISTEVANO DELLE EMOZIONI DISCRIMINANTI, PER LE QUALI NON SI CONDIVIDEVANO LE ESPERIENZE VISSUTE IN GUERRA: VERGOGNA, SENSO DI COLPA DEL SOPRAVVISSUTO, TRISTEZZA, PAURA, RIMORSO. Rimè cita una delle conclusioni ottenute dalle osservazioni interculturali di Archana Singh Manouxé sull'influenza della paura e della tristezza come deterrenti nella condivisione sociale delle emozioni (Archana Singh Manouxé, 1998 ). L’ autrice sostiene che “le esperienze emozionali legate alla vergogna vengono condivise meno delle altre o comunque meno spesso e a meno persone” (Archana Singh Manouxé, 1998 ). Ciò è stato osservato anche in casi di DPTS ( disturbo post traumatico da stress) sopraggiunto in seguito a traumi gravi quali stupro, violenze domestiche, trattamenti umilianti e degradanti nei quali la vittima riferiva di provare emozioni intense e negative quali la vergogna o il senso di colpa talmente intense da non condividere con nessuno l' esperienza vissuta. La vergogna e il senso di colpa vengono descritte bene da Primo Levi nel romanzo “I Sommersi e i Salvati” (Levi, 1986). L’ autore dedica alla Vergogna l' intero terzo Capitolo del suo romanzo : “I salvati, alienati, potevano arrivare anche al suicidio tanta era la vergogna per non essere morti anch'essi, per non aver fatto abbastanza contro il sistema nazista, quasi colpevoli di omissione di soccorso verso i compagni sommersi”. Per Levi il non voler condividere la propria esperienza degli anni di soprusi non era semplicemente la conseguenza dell'eccessiva intensità dell'esperienza dunque, ma l'eccessivo disagio emotivo caratterizzato dalla Vergogna e/o dal Senso di colpa che il suo ricordo suscitava. La sua indagine porta alla luce un sentimento paradossale: la «vergogna del sopravvivente», il senso di colpa del «salvato», il quale è portato a credere di essere rimasto vivo al posto di un altro, più debole, più sfortunato e più onesto di lui, al quale egli ha dunque sottratto qualcosa. Questo accade anche nei nuclei familiari o amicali dei pazienti oncologici. Il senso di colpa cresce e cambia in base agli attori coinvolti VERGOGNA e Desiderabilità Sociale. Per Luigi Anolli (Anolli, 2003), è naturale per ognuno di noi ( in quanto esseri sociali), voler essere accettati in un gruppo, essere oggetto di desiderio per gli altri, voler essere stimati e apprezzati, sapere di occupare una posizione rilevante e significativa nella loro mente. Nessuno vuole essere oggetto di derisione e vilipendio. E’in gioco la presentazione di sé agli altri. Si tratta di un'operazione strategica, poichè uno dei nostri scopi personali fondamentali è di aumentare la frequenza e il livello delle percezioni e delle valutazioni positive degli altri nei nostri riguardi. Quando invece, per una mancanza seria, PER QUESTIONI DI SALUTE, per una infrazione grave o per un'azione riprovevole veniamo a deteriorare la nostra immagine pubblica, diventiamo pervasi da un pesante senso di vergogna, e negli esperimenti è emerso che la vergogna e il senso di colpa sono direttamente implicati nei processi emozionali patologici, seguita da tristezza e dolore, caratteristiche emozioni dell’ansia e della depressione. LA SITUAZIONE DEI PAZIENTI ONCOLOGICI E’ SIMILMENTE EMOTIGENA: SPESSO CI SI VERGOGNA DI CHIEDERE AIUTO, SPESSO IL FISICO MARTORIATO DA TRATTAMENTI FARMACOLOGICI PROVOCA PROFONDO DISAGIO Esempio di Intervento in Reparto: “Progetto: aiutami a dirti Addio”. -Circle time -Cineforum -Gruppi di auto-aiuto www.psygoalicebandino.it [email protected]