il pentagramma - La Voce del Popolo

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IX
il pentagramma
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6 • Mercoledì, 30 genn
Nel nome dell’anno verdiano, wagneriano e «prohiciano»
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
il Teatro di Fiume ha deciso di celebrare l’anno verdiano con tre titoli: “Macbeth”, andato in scena nel c.m.,
“Aida”, in coproduzione con il Teatro di Zagabria, e “Nabucco”, nell’ allestimento del 2003.
Oltre ad essere l’anno di Verdi, sarà un po’ come sempre, anche la stagione di Prohić, direttore dell’Opera, il
quale, come del resto tutti i registi moderni, rivendica il
“sacrosanto diritto” di reinterpretare, rileggere, rivisitare (stravolgere e sconvolgere, ecc.) le grandi partiture dei
Classici del teatro lirico. A proposito della sua regia per il
“Macbeth”, ha dichiarato che essa farebbe emergere i vari
strati di questo stratificato lavoro verdiano. Sarà. C’è però
da chiedersi da quale mai recondito e finora evidentemente
inesplorato “strato” spuntino per esempio le “čistačice inbigodinate”. Quel povero di spirito di Verdi aveva pensato originalmente a delle “streghe”, ma siccome le streghe e l’esoterismo non vanno più di moda (hai voglia se le fattucchiere, cartomanti, taroccare, “leggiscudelle” and company,
non fanno affari!), Ozry lo ha “corretto” e ci ha messo le
colf con le ramazze; giusto così... in omaggio ad una lettura
“sociomarxista”, da “dittatura del proletariato”. E mi piacerebbe anche sapere da quale “strato” di quella pastasfoglia di Nabucco, Prohić abbia fatto emergere la sua visione
cosmico-ufologico-ibernata-futuristica dalla quale saltano
fuori i marziani che tutti algidi, che più algidi non si può,
cantano “Va pensiero”.
Beh, ma dopotutto queste non sono che quisquiglie, no?
Cosa conteranno mai l’aderenza alle potenti suggestioni
della musica, del testo, dei suggerimenti dell’Autore, l’atmosfera implicita alle singole situazioni di fronte alle folgoranti e sfolgoranti “visioni” innovatrici del regista? Che
poi “innovano” tutti quanti a senso unico, coralmente. Una
noia da morire!
Giorgio Strehler a proposito di una sua regia verdiana
(Simon Boccanegra), aveva spiegato: “Mi sono mantenuto in una chiave onesta, senza stravaganze fin troppo facili,
poco sconvolgente esteriormente, accettando consapevolmente le convenzioni necessarie del melodramma. Sono
troppo musicista... per tentare operazioni estremamente ardite, che poi sono quasi sempre contro la musica”. Quando
si dice l’istinto dell’uomo di teatro.
Ecco, l’uomo di teatro. Si tratta ormai di una specie praticamente estinta. L’ultimo uomo di teatro a Fiume è stato
probilmente il grande Matačić. Musicista, direttore, regista,
erudita, linguista, compositore. Oppure Osvaldo Ramous. O
ancora Giovanni de Zaijtz, nell’Ottocento, con quel suo forte senso drammatico e quel meraviglioso istinto per la melodia, doti che gli furono riconosciute già a Milano e che lo
accomunano a Verdi.
L’uomo di teatro è un po’ come uno sciamano. Ha, oltre al mestiere, una veggenza e intuito – il famoso “fiuto” –
particolari, in base ai quali sa esattamente come “muoversi”, quali sono le cose che si possono o non si possono fare
in un certo momento; oppure come e perché vanno fatte.
Sa ottenere l’atmosfera giusta nel momento della creazione,
come anche nella scelta del repertorio. Sa leggere le aspettative e le esigenze del pubblico, ma è anche capace di entusiasmarlo e guidarlo per mano su sentieri nuovi. Piuttosto
che imporgli le mode del momento o la tirannide di questa
o quell’altra “geniale concezione” del solito regista “a la
page” (che di solito fa acqua da tutte le parti).
Il 2013 è anche l’anno wagneriano. Ahiahiahi! Come
ce la caveremo? Riusciremo a racimolare un concerto di
ouverture e arie d’opera del grande operista romantico tedesco, o faremo finta di niente? Questo è il problema! Per
quanto Fiume si sia meritata la fama di città belcantistica e verdiana, sul palcoscenico del suo teatro è nondimeno passato anche il repertorio francese e, appunto, quello
– esigentissimo – di Richard Wagner. Proprio così! I maestri cantori, Il vascello fantasma, Tristano e Isotta, Parsifal, e Lohengrin furono i cinque(!) titoli ai quali i fiumani di fine Ottocento e inizio Novecento ebbero il privilegio
di assistere. E certamente non furono esecuzioni da poco,
dal momento che la peraltro viziata critica dell’epoca parla
di spettacoli paragonabili in tutto a quelli degli altri e maggiori teatri europei, menzionando in particolare la bravura
dell’orchestra. Altro che provincia!
Certo che oggi come oggi, pensare ad uno spettacolo di
Wagner a Fiume è una chimera. Non solo perché non abbiamo i soldini della metropoli, ma pure perché nel ristrutturare e restaurare il Teatro, i “furboni” hanno tagliato
una fetta del golfo mistico (la fossa orchestrale) a favore
della scena girevole. E nel “golfino mistico” rimasto, l’orchestrona wagneriana non ci sta proprio! Così addio Wagner, per “saecula saeculorum”! Ma dopotutto, considerato
l’attuale momento storico (di portata epocale) riusciremo a
sopravvivere (?) anche senza la cavalcata delle valchirie.
Parsimoniosamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 30 gennaio 2013
MUSICOTERAPIA A colloquio con Barbara Brezac Benigar, specialista in musicoter
I poteri terapeutici della musica
di Helena Labus Bačić
L
a musica e il suo effetto
sullo stato d’animo delle persone sono fatti ben
noti e confermati nell’ambito
di numerosi studi. Vari generi e
stili di musica hanno il potere di
rilassarci, di caricarci di energia, di farci ballare, mentre certi hanno addirittura la capacità
di provocare in noi emozioni inquietanti e renderci aggressivi.
Nell’ambito di studi scientifici
La musica ci influenza e ci maè stato provato che la musica innipola più di quanto noi stessi penfluisce sul battito cardiaco, sulla
siamo. Quando parliamo di musipressione sanguigna, sulla respica, ci riferiamo alla partitura e alla
razione, sul livello di determinati
composizione, e non ai testi. La
ormoni, in particolar modo quelmusica influisce sul corpo umano
lo dello stress, e sulle endorfine.
in modo molto potente.
La musica aiuta a lenire il dolore cronico e migliora l’umore. Lo
ha dimostrato uno studio sul tema
legato soprattutto a patologie quali l’osteoartrite e l’artrite reumatoide. La musica lenisce il dolore dopo un intervento chirurgico,
permettendo di ridurre la somministrazione di antidolorifici, e viene utilizzata anche per malati di
tumore terminali in quanto in grado di controllare il dolore e di favorire il benessere fisico e il rilassamento, probabilmente grazie a
un maggiore rilascio di endorfine
indotto dall’attività musicale.
La musica è stata utilizzata
inoltre nelle sale parto. Le madri
che ne hanno beneficiato hanno
richiesto una somministrazione
ridotta di farmaci anti-dolorifici
durante il travaglio, perché la musica ha indotto la visualizzazione
di immagini positive e il rilassamento, favorendo la dilatazione
della cervice e il posizionamento
corretto del bambino.
È stato dimostrato, inoltre, che
l’attività musicale è in grado di ridurre oggettivamente il livello di
stress, anche dal punto di vista
biochimico, riducendo i marker
infiammatori e migliorando l’attivazione delle cellule “natural killer” del sistema immunitario.
D’altro canto, alcuni studi, generalmente di stampo religioso,
hanno tentato di confermare l’effetto negativo e distruttivo di determinata musica rock sulla psiche e sulla personalità dell’uomo,
anche se nessuno di questi effetti è
ziali talenti nascosti sui quali si può
stato scientificamente provato.
ulteriormente. Definisco la
Terapia creativa lavorare
mia attività ‘terapia creativa’ e queCi siamo rivolti a Barbara sta si basa principalmente sulla muBrezac Benigar, specialista in sicoterapia, alla quale poi si aggiunmusicoterapia, arteterapia, psico- gono anche l’arteterapia (pittura e
terapia e riabilitazione, per capi- disegno), la danza e il movimento,
re in che modo quest’arte influi- nonché la recitazione, ovvero il psisca sul benessere della persona, codramma musicale. Attraverso tutsia nel campo della psicoterapia, te queste attività tento di capire le
sia nella quotidianità. La nostra affinità della persona, sia si tratti di
interlocutrice, oltre a occuparsi di un bambino che di un adulto. Con
terapia in seno al Centro per au- i bambini mi occupo principalmentismo di Fiume, porta avanti pure te di riabilitazione, mentre con gli
uno studio privato di musicotera- adulti svolgo spesso sedute di psipia nell’ambito della quale fa uso coterapia. D’altro canto, posso dire
della musica e dell’arte visiva nel che di questa terapia può beneficialavoro con i pazienti, ottenendo re chiunque e molto spesso accolgo
degli ottimi risultati.
pure i miei amici, bisognosi di relax
“Nel mio studio mi occupo sia e benessere”.
“Dal punto di vista della riabilidi riabilitazione che di psicoterapia, il che vuol dire che il mio la- tazione – prosegue la nostra intervoro consiste in un approccio in- locutrice –, la musicoterapia, o medividuale verso ciascun paziente, glio, la terapia creativa, permette di
nell’ambito del quale cerco di oc- migliorare il funzionamento della
cuparmi della persona, non della persona dal punto di vista cognitivo
diagnosi, evitando quindi di eti- (intellettuale), delle capacità motochettare il soggetto – esordisce rie, dello sviluppo emotivo e sociaBrezac Benigar –. Cerco, pertan- le, ma soprattutto nella sfera della
to, di entrare nel mondo emoti- comunicazione. Quest’ultimo è parvo del paziente, di capire even- ticolarmente evidente nei bambini e
tualmente i traumi che ha vissuto, negli adulti affetti da disturbi legati
tentando di far riaffiorare poten- all’autismo. La musica aiuta queste
Ma sarà tutto vero?
I pro e i contro
della musica
Alterazioni mentali
È stato chiaramente dimostrato che la mente umana può essere controllata e alterata dalla
musica. Innumerevoli studi medici e scientifici hanno determi-
La musica influisce sul battito
cardiaco, la pressione sanguigna,
la respirazione, il livello di alcuni
ormoni, in particolare quello dello
stress, e le endorfine
nato i fortissimi effetti della musica sulla fisiologia e sull’anatomia umana. La musica può essere
usata per abbassare la pressione
del sangue, per curare le malattie mentali, la depressione, i ritardi mentali, l’insonnia e molte altre cose... All’ospedale St.
Agnes di Baltimora è stata usata
la musica in un’unità di cura intensiva: “Mezz’ora di musica riuscì a produrre lo stesso effetto che
dieci milligrammi di Valium”. Il
dott. Oliver Sacks spiega: “La
base neurologica delle reazioni
alla musica è robusta e può persino sopravvivere a lesioni di entrambi gli emisferi”. Alla domanda: “La musica può influire sul
corpo umano”?, la ricerca moderna dà una chiara risposta affermativa. Non c’è quasi neanche una
sola funzione del corpo che non
possa subire influenze dai toni
musicali. “Le radici dei nervi uditivi sono diffusi ampiamente nel
corpo e hanno maggiori connessioni che gli altri nervi. La ricerca
ha mostrato come la musica influisca sulla digestione, le secrezioni
interne, la circolazione, la nutri-
zione e la respirazione. È stato dimostrato che perfino la rete neurale del cervello abbia sensibilità
ai principi armonici”.
La musica non è
neutrale
Non si può certo affermare
che la musica sia neutrale. Neil
Postman (1931-2003), docente di arti e scienze comunicative
all’Università di New York e rispettato critico, educatore, sociologo e teorico della comunicazione, che ha scritto più di quindici libri, affermava con chiarezza
cristallina nel suo libro “Amusig
Ourselves to Death”: “Sostenere
che la tecnologia (la musica) sia
neutrale [...] è stupidità bell’e buona”. Il dott. Max Schoen scrive in
“The Psychology of Music”: “La
musica è fra gli stimolanti più potenti che vi siano per i nostri sensi.
Le prove mediche, psichiatriche, e
altre, in favore della non neutralità della musica, sono così schiaccianti che francamente mi sorprende chiunque seriamente voglia dire
altrimenti”. (fonte: Internet)
La musicoterapia, o meglio,
la terapia creativa, migliora
il funzionamento della persona
dal punto di vista cognitivo, delle
capacità motorie, dello sviluppo
emotivo e sociale, ma soprattutto
nella sfera della comunicazione
persone ad aprirsi e migliora le loro
capacità di comunicazione”.
Quali disturbi può alleviare la
musicoterapia?
“Quelli dovuti all’autismo, alla
sindrome di Asperger, allo sviluppo
rallentato del linguaggio, alla disabilità intellettiva evolutiva (ritardo
mentale), alla sindrome ADHD (deficit di attenzione e iperattività, una
diagnosi sempre più frequente tra i
bambini), allo sviluppo rallentato di
determinate capacità o ad esempio
il disturbo pervasivo dello sviluppo,
paure e fobie. Insomma, uno spettro
molto ampio che la musica può curare o almeno alleviare”.
È un campo approvato dalla
medicina tradizionale o esso rientra nella sfera della medicina alternativa?
“La musicoterapia non rientra
nel campo della medicina tradizionale, in quanto è una combinazione tra psicoterapia e riabilitazione.
Nel mio percorso formativo ho conseguito il titolo di professore riabilitatore, dopodiché ho ottenuto un
master in arteterapia. La musicoterapia trova posto tra psicologia
e medicina e ricopre un’area che
da noi è ancora sottosviluppata. In
Croazia, infatti, non esiste effetti-
vamente un corso di laurea in musicoterapia. Facendo pratica ho notato che la musicoterapia porta più
velocemente a risultati positivi che
non la psicoterapia classica, poiché
non include la comunicazione verbale, ma è proprio la musica il mezzo che viene utilizzato durante la seduta per ottenere un certo risultato.
La dinamica e struttura delle sedute
varia a seconda del soggetto. Quindi, non viene pianificata in anticipo.
Nel corso di un’ora, il cliente può
cantare, suonare, ascoltare musica
riprodotta su cd, oppure suonata o
cantata da me. Gli strumenti a disposizione sono il pianoforte, il metallofono e altri strumenti, oppure
altri aggeggi come ad esempio tubi
metallici in grado di produrre dei
suoni. Ogni persona ha il bisogno
di esprimersi con dei suoni e con la
musica, che nasce in maniera naturale nell’uomo. Lo stesso vale per il
movimento e la danza”.
Quanto sono misurabili i risultati ottenuti durante le sedute?
Ci sono test che confermano l’efficacia della musicoterapia?
“Certo. Dal momento che porto avanti uno studio privato, ho più
libertà nello svolgere i programmi. Occasionalmente realizzo del-
le ricerche scientifiche che mi permettono di rilevare risultati precisi
raggiunti durante la terapia. Ogni
programma che applico nel corso
delle sedute deve essere vagliato e
deve portare a risultati concreti”.
Qualche esempio concreto?
“Ho avuto modo di lavorare
con una bambina affetta da sindrome di West. La mia ricerca sul
suo caso è durata due anni al termine dei quali mi sono resa conto
che la terapia aveva portato a degli ottimi risultati. Prima di venire da me, la bambina soffriva quotidianamente di attacchi epilettici, anche più volte al giorno. Era
completamente passiva, sia dal
punto di vista cognitivo che motorio. Non parlava, non camminava
e aveva lo sguardo vago. Gradualmente, col procedere della terapia,
le cose sono migliorate da tutti i
punti di vista, nonostante la medicina tradizionale avesse fornito
alcune previsioni non troppo ottimistiche sul miglioramento delle
sue condizioni. Sono molto contenta di aver ottenuto risultati soddisfacenti con tutti i miei clienti.
Nessuno è mai uscito da qui senza
aver dimostrato un qualche segno
di miglioramento”.
musica 3
Mercoledì, 30 gennaio 2013
apia, arteterapia, psicoterapia e riabilitazione
migliorano la qualità di vita
Che opinione ha di certi studi, a nostro avviso piuttosto tendenziosi, secondo i quali la musica rock e l’heavy metal contribuirebbero a potenziare nell’individuo comportamenti aggressivi e
autodistruttivi?
“Essendo credente, posso commentare queste affermazioni anche
dal punto di vista della fede. Sono
d’accordo con l’affermazione che
determinata musica offre messaggi subliminali, e la stessa cosa vale
per certi film. Se parliamo di heavy metal, dipende dalle canzoni che
sono state oggetti di questi studi. Se
avevano come tema l’autodistruzione, se erano testi satanistici o qualcosa di simile, le cose sono chiare e
i commenti superflui. D’altro canto,
è certo che la musica è universale
e deve avere un impatto sull’ascoltatore, qualunque esso sia. Ciascun
tipo di musica avrà un impatto diverso su persone diverse.
Personalmente ritengo non abbia alcun senso considerare un certo
tipo di musica e sostenere che questa abbia un effetto identico su tutti.
Ritengo sciocche certe tesi secondo le quali la musica in scala minore debba a tutti i costi provocare
malinconia e tristezza nella persona. Insomma, la musica influisce in
maniera diversa su persone diverse
e l’unica cosa certa è che essa ha indubbiamente il potere di provocare
un certo effetto su ciascuno di noi.
Per quanto riguarda i sentimenti aggressivi e distruttivi che certe musiche possono eventualmente provocare, sono convinta che qui non si
tratti altro che di necessità non soddisfatte e di incapacità di esprime-
re ciò che si ha dentro. Quindi, essenzialmente di mancanza di comunicazione che poi si traduce in violenza”.
E dell’affermazione secondo
la quale la musica di Mozart abbia un effetto positivo sull’intelligenza dell’individuo e possa potenziare la concentrazione?
“Non credo che Mozart abbia
composto la propria musica pensando alle persone del XXI secolo. La musica lenta può avere un
effetto tranquilizzante sulla persona, ma non avrà invece nessun
effetto su un individuo distratto
o aggressivo. Non si può semplicemente riprodurre musica lenta
e dolce secondo i gusti personali
del terapeuta e credere che questa
avrà lo stesso effetto sulla persona.
Le cose non funzionano così. Bisogna innanzitutto capire lo stato
d’animo dell’individuo e scegliere
un tipo di musica che corrisponda
a questo stato d’animo, procedendo quindi con la riduzione del volume di ascolto e del carattere della musica fino a giungere a quella
di tipo tranquilla. Quindi, non esistono ricette che definiscano quale musica ascoltare per determina-
ti stati d’animo. Tutto dipende dai
gusti e dalle preferenze”.
A parte il fatto che ogni persona reagisce in maniera individuale a un tipo di musica, esistono generi musicali ai quali i suoi clienti
rispondono meglio che ad altri?
“Non proprio. Nelle sessioni
faccio uso di qualsiasi tipo di musica, anche quella che creo da sola.
Io come terapeuta devo saper intuire la personalità del cliente e capire al più presto quale tipo di musica
sortirà gli effetti desiderati. Se decido di usare musica registrata, scelgo
in prevalenza musica strumentale o
cantata senza testo. Le parole possono, infatti, distrarre il cliente”.
Presumo che sulla scelta della
musica influiscano pure il gusto e
le preferenze del cliente?
“Assolutamente. Molte persone
provano irritazione ascoltando musica lenta”.
Come si rilassa alla fine di una
giornata lavorativa?
“La prima cosa che faccio quando entro in auto è spegnere la radio. Dopo esser stata tutto il giorno
‘immersa’ in musica e suoni di ogni
tipo, a fine giornata ho bisogno di assoluto silenzio”.
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Mercoledì, 30 gennaio 2013
MUSICA E FANTASIA I miti di Don Chisciotte, Don Giovanni e Till Eulenspiegel nei
Richard Strauss e la genialità visionaria t
R
ichard Georg Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) è stato un compositore e direttore d’orchestra tedesco del periodo tardoromantico. Noto soprattutto per i suoi poemi sinfonici e le sue opere liriche, Richard Strauss non era
imparentato con gli Strauss viennesi, famosi compositori di valzer.
Volendo riassumere lo stile di Strauss notiamo che esso è molto vario e
svincolato storicisticamente e quindi privo di un senso di evoluzione nel linguaggio che muta anche in maniera drastica e netta da una composizione
all’altra. Abbiamo una prima fase in cui troviamo un legame col romanticismo tedesco di Schubert, Schumann e Brahms in cui compose la “Burleske für Klavier und Orchester”, in re minore. Una seconda fase, quella più
lungimirante, è quella influenzata da Ritter, Liszt e Wagner, in cui Strauss
compone i poemi sinfonici, per poi sfiorare quasi il primo espressionismo e
la politonalità del primo Schönberg con “Elektra”, l’opera di Strauss più innovativa tra tutte le sue composizioni. L’ultima fase (il periodo di “La donna
senz’ombra” (“Die Frau ohne Schatten”)) vede invece un brusco ritorno al
passato in cui Strauss si orienta verso un neoclassicismo manieristico e tonale ispirato alla musica del ‘700 rivista in chiave ironica, alternato a fasi politonali più moderne rappresentate dai due cicli di lieder del 1918 e concluse
con le “Metamorfosi per 23 solisti d’archi” (1946) composte come commento alla catastrofe bellica.
Nel 1948 Strauss completò il suo ultimo lavoro maggiore, “Vier letzte
Lieder”, per voce femminile e orchestra (inizialmente per pianoforte) (rappresentata nel 1950), che rappresenta di certo la sua opera vocale più nota.
Questi Lieder non erano stati concepiti come ciclo. La sua ultima composizione completa fu un ulteriore Lied, “Malven”, terminato il 23 novembre. La
partitura venne scoperta solo nel 1982 nel lascito di Maria Jeritza. “Malven”
venne eseguito per la prima volta nel 1985 da Kiri Te Kanawa e inciso nel
1990 con i “Vier letzte Lieder”. L’ultima composizione dell’artista, “Besinnung”, su testo di Hermann Hesse, per coro misto e orchestra rimase a livello di frammento.
Il personaggio di Till Eulensp
del più estroso tra tutti i poemi sin
una di quelle figure che furono assu
nario popolare prima e dalla lettera
d un’identità nazionale, al tempo
mania: una sorta di Faust in veste
lento inventore di burle, in fuga p
so attraverso paesi e città. Strauss
Composizioni
I poemi sinfonici: “Macbeth” (1888/90), “Don Giovanni” (Don Juan)
(1888), “Morte e trasfigurazione” (Tod und Verklärung) (1889), “I tiri burloni di Till Eulenspiegel” (Till Eulenspiegels lustige Streiche) (1895), “Così
parlò Zaratustra” (Also sprach Zarathustra) (1896), “Don Chisciotte” (Don
Quixote) (1897), “Vita d’eroe” (Ein Heldenleben) (1898), “Sinfonia domestica” (1903) e “Sinfonia delle Alpi” (Eine Alpensinfonie) (1915).
Opere liriche: “Salome” (1905), “Elektra” (1909), “Il cavaliere della
rosa” (Der Rosenkavalier) (1911), “Arianna a Nasso” (1912/16), “La donna senz’ombra” (Die Frau ohne Schatten) (1919), “Die ägyptische Helena”
(1928), “Arabella” (1933), “La donna silenziosa” (Die schweigsame Frau)
(1935), “Il giorno della pace” (Friedenstag) (1938), “Daphne” (1938).
Rutilanti pros
Variazioni sull’inganno, da Cervantes a Strauss
Il mondo di Don Chisciotte risuona di molteplici strumenti: trombe,
clarini, arpe, ciaramelle, corni, buccine, tamburi, ribeche, zamorane e
perfino gli albogues, che sono, come
spiega Don Chisciotte a Sancio, “dei
piattini metallici come quelli dei
candelieri d’ottone, che battendoli
gli uni con gli altri dalla parte vuota
e cava danno un suono che, sebbene non sia molto gradevole e armonioso, non dispiace, perché s’accorda con la rusticità della cornamusa e
del tamburello”.
Non c’è musico che non sia degno dell’attenzione di Don Chisciotte. L’incontro con il Cavaliere degli
Specchi avviene al suono di una viola, con cui l’altro cavaliere errante accompagna il canto della propria infelicità amorosa. Tanta finezza d’orecchio non è sorprendente, dal momento
che Don Chisciotte stesso è un musico. Ospite nel palazzo del Duca, Don
Chisciotte rimane sconvolto dalla serenata di Altisidora, che cantando un
romance si dichiara vinta dall’amore
per il cavaliere errante. Commosso
dalla voce della donzella, ma deciso a
rimanere fedele a Dulcinea, Don Chisciotte chiede uno strumento, per consolare l’infelice. Non è sprovveduto,
nell’arte musicale: “Don Chisciotte
trovò nella camera una viola; la provò, aprì la finestra della grata e sentì che c’era gente in giardino; e dopo
aver percorso con le dita i tasti della
viola e averla accordata il meglio che
seppe fare, sputò, spurgò, quindi con
una voce abbastanza rauca, ma intonata cantò il seguente romance, da lui
stesso composto quel giorno”.
La musica, a sua volta, ha ripagato con altrettanto amore il Quijo-
te. Tra le molteplici versioni musicali dell’illustre personaggio, il poema
sinfonico di Richard Strauss costituisce forse il massimo capolavoro.
La forma scelta dall’autore per tradurre il mondo di Don Chisciotte nel
linguaggio musicale è una delle più
semplici e antiche, il tema con variazioni. Sarebbe più esatto dire i temi,
perché intrecciato a quello di Don
Chisciotte, incarnato dal violoncello
solista, sta il tema di Sancio Panza, la
cui straordinaria figura comica è impersonata da una viola solista. L’intuizione di Strauss sembra felicissima, perché l’idea di variazione coglie perfettamente il nucleo poetico
dell’opera di Cervantes, che indaga
le molteplici forme in cui l’inganno e
il disinganno si manifestano nel corso
della nostra vita. L’immaginazione di
Strauss conferisce a ciascuna variazione un paesaggio sonoro particolare, immerso nella luce fantastica della vicenda vissuta da Don Chisciotte.
La musica di Strauss s’immedesima
in Don Chisciotte, raccontando quel
che vede e sente il personaggio. Il
gregge di montoni, per esempio, diventa un cozzare incoerente d’intervalli, un’armonia deforme come le
membra dei giganti che hanno preso il loro posto. La musica di Dulcinea del Toboso corrisponde all’amore cavalleresco di Don Chisciotte,
non alla rozza bellezza della contadina Aldonza. Il vento, creato con una
macchina apposita in orchestra, soffia sull’anima sconvolta del cavaliere, non sui mulini della Mancha.
Il poema si chiude con una scena assente nel libro, ma tipica della
visione romantica di Don Chisciotte,
e pazienza per la filologia violata. La
meditazione notturna dell’eroe tragicomico, prima della fine, è una pagina toccante e profonda. Don Chisciotte ha sempre lottato con le sue
illusioni, ma ora, di fronte alla morte,
vede la scena spoglia del teatro della vita. La sua maschera rimane inerte, appoggiata al tavolino, e a noi non
resta che ammirarla, con infinita nostalgia. (fonte: Sergio Sablich)
Con il folgorante “Don Juan”
(Don Giovanni), composto tra il
1887 e il 1888 da un musicista appena ventiquattrenne, ed eseguito
per la prima volta sotto la sua stessa
direzione al Teatro di corte di Weimar l’11 novembre 1889, si avviava
la serie dei sette poemi sinfonici (o,
come il compositore stesso preferiva, Poemi sonori, “Tondichtungen”)
che per circa dieci anni avrebbero assorbito quasi tutte le sue energie creative, insieme con la stesura
originaria della prima opera teatrale, “Guntram”: dopo “Don Giovanni” sarebbero venuti “Morte e trasfigurazione” (1888-89), “Macbeth”
(1890, ma già realizzato in una prima versione nell’86), “Till Eulenspiegel” (1895), “Cosi parlò Zarathustra” (1896), “Don Chisciotte”
(1897), “Una vita d’eroe” (1898).
Quindi, dopo un certo rallentamento dell’attività compositiva coincidente con gli impegni direttoriali a
Berlino, e colmato quasi esclusivamente da una notevole produzione
liederistica, si sarebbe aperta l’epoca delle grandi opere teatrali: le recidive sinfoniche sarebbero state
scarse, e non sempre tali da ritrovare la felicità dei capolavori della
gioventù.
Il ciclo dei grandi poemi sinfonici di Richard Strauss, dunque, si offre all’attenzione come un’esperienza profondamente unitaria e ben definita anche cronologicamente. Basta
un’occhiata ai titoli di questi lavori per cogliere immediatamente la
convinzione estetica che vi è sottesa: ossia quella che l’atto compositivo sia anzitutto fatto poetico, poesia
per sonos anziché per verba. In una
lettera al direttore d’orchestra Hans
von Bülow, giusto nell’agosto 1888,
Strauss scriveva: “Se si vuol creare
un’opera artistica unitaria per sfondo e costruzione complessiva, e se si
vuole che essa agisca in senso plastico sull’ascoltatore, bisogna che ciò
che l’autore intende dire appaia anche plasticamente agli occhi del suo
spirito. Ciò è possibile quando esista
lo stimolo di un’idea poetica, indipendentemente dal fatto che essa sia
sica
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poemi sinfonici del Maestro bavarese
ramutata in apoteosi timbrica e narrativa
Gli estrosi e fiabeschi tiri burloni di uno dei personaggi storici
piegel, protagonista
nfonici di Strauss, è
unte dall’immnagiatura poi a simbolo
della vecchia Gerdi monello, turboperpetua da sé stesse ne innamorò as-
sistendo nel 1889 a Weimar a una rappresentazione
dell’opera “Eulenspiegel” di Cyrill Kistler. A colpirlo furono soprattutto i lati umoristici e scanzonati del
personaggio, l’ironia beffuda sottesa allo spirito di rivolta contro la saccenteria dei benpensanti. Quella figura, tanto radicata nella solidità della storia quanto
sospesa nella leggerezza della fantasia, gli parve adatta a costituire il soggetto di un lavoro teatrale; il progetto si arenò, per risorgere sei anni dopo come programma non per un’opera bensì per un poema sinfonico. Completato il 6 maggio 1595, “Till Eulenspiegel
lustige Streiche” (I tiri burloni di Till Eulenspiegel)
venne eseguito per la prima volta ai concerti Gürzenich di Colonia il 5 novembre dello stesso anno, sotto
la direzione di Franz Wüllner.
Per quanto l’autore in una lettera al direttore della
prima esecuzione negasse l’esistenza di un programma, invitando gli ascoltatori a cavarsela da soli, le peripezie di Till sono illustrate con una descrizione vivida, ancora una volta quasi plasticamente, perfino nei
dettagli più bizzarri (come quando nell’episodio della
predica di Till si spiega che “il controfagotto nel registro grave rappresenta il dito grosso di un piede”).
L’opera è articolata in cinque episodi, evocanti altrettante avventure del protagonista, preceduti da un’introduzione e seguiti da un epilogo. La forma del ron-
dò, esplicitamente menzionata nel sottotitolo in capo
alla partitura insieme con il riferimento a un’antica
melodia burlesca, parve a Strauss la più adatta a rappresentare il vagabondare di Till. Ciò gli consentiva
di far tornare il tema principale dopo ogni strofa, prima di ogni nuova avventura, e di svolgere i controtemi nelle parti di collegamento: un espediente strategico del tutto connaturato all’argomento, ma soprattutto
garante di un principio quasi classico di unità.
Nelle prime battute dell’introduzione i commentatori hanno visto tradotto in suoni il tradizionale esordio delle favole, “C’era una volta...”: ne è emblema
l’antica melodia burlesca di cui parla il sottotitolo,
affidata ai violini. Alla sesta misura il corno presenta il tema principale, quello di Till: scattante, spavaldo, audace nelle sue provocazioni ma anche beffardo
nel suo precipitare a rotta di collo verso l’abisso. E il
racconto comincia. Sono cinque momenti di gloriosa
incoscienza, trattati con la più incantevole bonomia,
spingendo all’estremo la polifonia orchestrale in un
gioco di colori, di ritmi, di intrecci, di variazioni figurate. Ecco Till che irrompe sulla piazza del mercato
creando un’irrimediabile confusione, tra sinistri strepiti e risa sbellicate; che si traveste da frate per fare al
colto e all’inclita una predica blasfema; che corteggia
una ragazza fingendosi perdutamente innamorato, sal-
vo poi offendersi del suo rifiuto; che incontra cinque
luminari della scienza (musicalmente personificati da
tre fagotti, clarinetto basso e controfagotto), disputando con loro dei massimi sistemi, prima imbrogliandoli e poi dandosela allegramente a gambe. Finalmente sazio di burle, Till riflette sul suo destino, mentre
cresce in lui l’indignazione per quel canagliume che
è l’umanità (pretesto per un episodio meditativo che
riespone il materiale tematico in una nuova combinazione, di tono quasi elegiaco). Davanti a lui si delinea
un futuro nero: inevitabile che “filistei, professori e
sapienti” ne esigano l’arresto, il giudizio, la condanna.
Alla sentenza di morte pronunciata dai tromboni con
un salto discendente di settima maggiore egli risponde
fischiettando spensieratamente il suo tema. Solo sulla forca un grido acutissimo, strozzato, rivelerà la sua
fragilità umana, destinata a finire come tutti, burloni e
non, nel nulla.
Ma Till Eulenspiegel è un personaggio fiabesco,
e come tale immortale. L’epilogo torna a evocarne
la figura con immensa dolcezza, quasi con gratitudine, trasfigurando il suo tema sul placido cantabile del
“C’era una volta...” dell’introduzione. Poi un ultimo
sberleffo ne annuncia radiosamente l’ascesa liberatrice verso l’empireo dove, anche privato del corpo, lo
spirito è vita. (fonte: Sergio Sablich)
spettive sonore e intuizioni fantastiche per il Don Juan
o meno aggiunta all’opera come programma”.
Poco più tardi, nel gennaio ‘89:
“La nostra arte è espressione, e
un’opera musicale che sia priva di
un vero contenuto poetico da esprimere (un contenuto, naturalmente,
tale da non potersi in realtà rappresentare altro che con i suoni, ma
che possa essere suggerito con le
parole; solo suggerito, però) a mio
parere è tutto, fuorché musica”.
Concetti abbastanza chiari: l’idea
poetica è assunta come “stimolo”,
il programma è qualcosa che le parole possono suggerire (e soltanto
suggerire).
Nel pieno di un vigoroso fervore
compositivo, naturalmente orientato
verso l’orchestra da molteplici esperienze professionali, Strauss scrisse
la sua prima grande partitura sinfonica scegliendo un tema che come po-
chi altri era suscettibile di accogliere
ed esprimere le istanze di un esuberante vitalismo: l’eros, l’istinto elementare del possesso e della sopravvivenza incarnato nel mito eterno di
Don Giovanni. La fonte fu trovata
nel poema “Don Juan” di Nikolaus
Lenau (1802-50): a meglio chiarire
il proprio intendimento, il musicista
ne riportò sulla partitura tre citazioni, relative la prima all’inesausta ansia di piacere del protagonista, la seconda al desiderio sempre nuovo e
sempre diverso di fronte a ogni donna, la terza alla “calma dopo la tempesta”, quando ogni desiderio prende apparenza di morte. Tutto ciò trovò traduzione sonora in un impianto
formale libero, vagamente ricollegabile alla sonata e al rondò, percorso
da un’invenzione tematica straordinariamente fertile, unita alle arditezze di un’armonia post-wagneria-
Strauss era noto soprattutto per i suoi poemi sinfonici e le opere liriche
na e affidata a un ordito strumentale
smagliante. Motivi, armonia, timbro,
ogni parametro della costruzione assume un inumdiato valore gestuale
(giusta quell’esigenza di evidenza
“plastica” di cui parlava Strauss): dal
primo tema, figura musicale del protagonista che apre “Don Juan” con
slancio irresistibile, a tutti i motivi
secondari che via via si succedono
a disegnare i diversi aspetti dell’ideale femminile, a quello, veramente
memorabile, che i corni, introducendo l’episodio conclusivo del poema,
stagliano contro il teso tremolo de-
gli archi. Le rutilanti prospettive sonore e le intuizioni fantastiche della
composizione richiedono a orchestra
e direttore impavido virtuosismo; né
questo è l’ultimo dei motivi della sua
perenne presa sul pubblico. Proprio
per il suo essere la prima grande pagina di una grande esperienza “Don
Juan” sembra, rispetto alle successive prove di Strauss, proporsi come
un’ideale epigrafe ribadita dalle parole di Lenau: “Avanti, dunque, verso nuovi trionfi, finché nei polsi robusti batta gioventù”. (fonte: Sergio
Sablich)
Le peculiarità
di un genere
romantico
Il poema sinfonico è una
composizione musicale per orchestra, solitamente in un solo
movimento, di ampio respiro
e che sviluppa musicalmente
un’idea poetica, ispirata alle
più svariate occasioni extramusicali: un’opera letteraria in
versi (“Les préludes” di Franz
Liszt) o in prosa (“Don Chisciotte” di Richard Strauss),
un’opera figurativa o filosofica (“Così parlò Zarathustra”
di Richard Strauss), un omaggio a luoghi o occasioni particolari (“I pini di Roma”, “Le
fontane di Roma”, “Feste romane” di Ottorino Respighi),
ma anche una puramente libera intuizione del compositore
(“Una saga” di Jean Sibelius).
È in sintesi un particolare tipo
di composizione orchestrale
suddiviso (“Così parlò Zarathustra” di Strauss) o no (“Les
Preludes” di Liszt) in movimenti e spesso figurativamente molto chiaro: sono evidenti le immagini che il compositore vuole suggerire, attraverso il cambio di registro, di
timbro e di intensità sonora.
È una derivazione diretta della musica a programma che
fu una delle forme predilette dai musicisti romantici, ad
esempio Hector Berlioz nella sua “Sinfonia fantastica” e
nell’”Aroldo in Italia”.
Tra i musicisti che più svilupparono questo tipo di composizione si devono citare tra
gli altri: Liszt (che ne coniò il
termine), Čajkovskij, Richard
Strauss, Smetana, Sibelius e
Respighi.
Smetana in particolare compose “La mia patria”
(1874-1879), opera in cui
confluiscono ben sei poemi
sinfonici.
6 musica
Mercoledì, 30 gennaio 2013
INTERVISTA Chiacchierata con Spartaco Črnjarić, leggenda del jazz quarnerino
«Non smetterò mai di suonare»
di Marin Rogić
L
a prima volta che sentii parlare di Spartaco Črnjarić
(classe 1949) fu all’incirca
sette o otto anni fa. Appena compiuti i 20 anni presi in mano una
chitarra con l’intento di diventare un chitarrista, poi l’intento fu
presto abbandonato (mancanza di
talento, direi), ma questa è un’altra storia sicuramente meno interessante di quella che ha vissuto il personaggio che vi presentiamo nelle prossime righe. Parlando
con il mio maestro dell’epoca, lo
sentii nominare il chitarrista Spartaco Črnjarić, un matematico laureato in fisica, eccellente informatico, che suonava un ottimo jazz.
Mi rimase maggiormente impresso quest’ultimo dato. Poi, tre o
quattro anni fa, un mio conoscente mi suggerì di andare a seguire
un concerto al “Jazz Tunel”, luogo di culto fiumano, mecca per gli
amanti della musica di John Coltrane, che attualmente, col cambio
di gestione, ha cambiato genere
musicale, oggi più di stampo commerciale. Quella sera vidi Spartaco Črnjarić per la prima volta. Con
lui sul palco, alcuni dei migliori musicisti fiumani tra cui il sassofonista Denis Razumović Razz.
Fu una serata molto intensa, i migliori jazzisti del capoluogo quarnerino diedero il loro meglio e io,
da quel momento, mi interessai al
personaggio. Con una carriera che
dura da più di quarant’anni, Spartaco Črnjarić figura tra i più noti
musicisti del Quarnero, ha suonato in centinaia di concerti, partecipato a tutti i più importanti festival
jazz della Croazia, collaborato con
i più grandi musicisti dell’ex Jugoslavia e non solo. Autodidatta dal
punto di vista musicale, laureato in
matematica e fisica (ha lavorato al
cantiere navale “3. maj”), il primo
incontro con la musica lo ha avuto grazie alla RAI (Radiotelevisione italiana) dei primi anni ‘60.
Lo abbiamo incontrato per farci
raccontare la sua storia, iniziata
con un violino e una chitarra proprio in quell’epoca quando fondò
(nel 1969) il gruppo “Grejs”, allora molto popolare, con il quale
ha accompagnato i concerti di Ivo
Robić, Kićo Slabinac e altri.
Collaborazioni
importanti
Intorno al 1976 entra a fare
parte della famosa band “Bonaca”.
In seguito collaborerà con vari altri
gruppi e con alcuni dei musicisti
più affermati del Paese, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando nel
2001 incomincia a suonare e collaborare con le più conosciute jazz
band quarnerine: “Black River
Quartet”, “Liburnia Jazz Union”,
“Denis Razz Quartet”, “Passion
Play Group”, “TT Swingers. Nel
2009 fonda il complesso “Spart
Jazz”. Da anni partecipa puntualmente al Liburnia Jazz Festival di
Elvis Stanić, è vincitore di numerosi premi tra i quali il prestigioso
“Fender” (nel 2009). All’età di 63
anni sembra un giovanotto che non
vede l’ora di essere invitato a suonare, non importa dove, l’importante è provarne l’ebbrezza. Quando gli si chiede che cosa lo stimoli
a continuare con tanto entusiasmo,
risponde “vado dove mi chiama la
musica, il jazz è come una droga,
si fa fatica a smettere”.
Con la musica leggera italiana, che abbondava alla RAI dei
primi anni ‘60, ha avuto il suo
primo incontro con la musica. Che
ricordi ha di quel periodo? Come
ha iniziato?
“La musica è stata sempre presente nella mia vita, anche quando
ero molto piccolo. Quando arrivò la
televisione, nel ’59, io come la maggior parte dei fiumani, passavo buona parte del tempo a seguire i programmi della tv italiana. Sono cresciuto nel rione di Montegrappa,
quasi tutti parlavamo il fiumano e
quindi era naturale seguire la RAI,
che a quel tempo presentava dell’ottima musica, da Louis Armstrong a
Franco Cerri, fino alla cantante regina dello stile bossanova, Astrud Gilberto. Rimasi affascinato dalle grandi orchestre sinfoniche, così iniziai a
suonare il violino. Sempre in quegli
anni, mi trasferii con la mia famiglia
a Jušići e lì, per la prima volta, presi in mano una chitarra. Con un mio
amico italiano di Mestre, che aveva
dei parenti proprio a Jušići e che veniva qui ogni estate, suonavamo tutte le mattine. Così, con il passare degli anni, mi appasionai sempre di più
alla chitarra e nel 1964 incominciai
a suonare con la mia prima band in
giro per la Regione. Preferivo suonare che fare altro”.
Com’era la scena musicale fiumana di quegli anni? Quali possibilità avevano i giovani musicisti?
“La maggior parte della scena
era formata da orchestre che suonavano un repertorio classico. Intorno
al 1963-64 cominciarono a formarsi
le prime soft rock band, come i “Sonori”, gli “Uragani”, e altri gruppi.
Nel ’69 formai la mia prima band
seria, i “Grejs”. Noi giovani suonavamo molto in giro per i cosiddetti
‘plesnjaci’ (balli per giovani molto
in voga all’epoca, nda), e posso dire
che eravamo molto richiesti”.
Come vede oggi il jazz a Fiume?
“Oggi la qualità è molto più
alta che all’epoca. I giovani hanno la possibilità di andare a studiare all’estero, Austria e Italia in primis, in accademie e conservatori che danno loro una formazione
musicale eccellente. Ai nostri tempi
era inimmaginabile. Oggigiorno ci
sono molti bravi musicisti e questo
aumenta la concorrenza e di conse-
guenza la qualità della musica. Purtroppo, a differenza di quando incominiciavo io, gli spazi dove potersi
esibire oggi sono sempre più scarsi.
I balli per giovani non esistono più,
i locali che propongono musica non
commerciale tendono a chiudere.
Per fortuna è attiva una scena jazz
composta da giovani e meno giovani, consapevoli delle proprie qualità, che si impegnano a mantenere
viva e ad ampliare la corrente jazz
in Regione”.
Un laureato in fisica e matematica, senza un giorno di scuola o accademia musicale, diventa
un importante e stimato jazzista.
Come è riuscito a unire la logica
con la creatività?
“La logica stimola la creatività.
Sono molto simili. La logica, la matematica e la musica sono profondamente unite, soprattutto per quanto
riguarda il jazz. Il jazz è un genere
musicale creativo che ti impone di
lavorare entro determinati schemi e
questi schemi hanno regole ben precise che devono essere seguite, altrimenti si rischierebbe il caos. È una
musica che implica a fare scelte veloci. A volte, in pochi secondi devi
riuscire a passare da uno schema
all’altro senza perdere il filo conduttore, ed è proprio la logica a tenere
unito questo filo. Anche se può sembrare strano, la logica, la creatività e
la musica sono profondamente legate tra loro”.
Lei è stato uno degli ospiti più
attesi dell’ultima edizione del festival “Jazz Time”, al quale si è
esibito con il suo gruppo “Spart
Jazz”. Dopo quarant’anni di carriera, avverte ancora quell’ansia e
quell’emozione prima di salire sul
palco, oppure è diventata ormai
una routine?
“Sempre. Prima di un concerto
c’è sempre un po’ di paura, di emozione, anche perché sento l’obbligo e la responsabilità di dovere soddisfare coloro che sono venuti ad
ascoltarmi. Al Jazz Time ho partecipato con i migliori musicisti fiumani
e quindi è stato abbastanza facile entrare nel ruolo”.
Proprio durante il “Jazz Time”
ha presentato il suo primo album
di stampo jazz dal titolo “Nekoli-
ko riječi” (Qualche parola). Come
mai ha atteso così tanto?
“Per una questione di tempo.
Ho lavorato al cantiere ‘3. maj’ fino
all’anno scorso in qualità di responsabile del settore informatico. Un lavoro che mi ha tenuto molto occupato. Da quando sono in pensione ho
avuto il tempo di concentrarmi e dedicarmi al CD, ho aggiunto dei testi,
alcuni li ha scritti la cantante Astrid
Kuljanić e in maniera spontanea è
nato l’album ‘Nekoliko riječi’”.
Ci sono stati periodi nella sua
carriera in cui ha pensato di abbandonare la musica?
“C’è stato un periodo, dal 1995
al 2000, quando andai a lavorare in
Italia e abbandonai, o meglio dire,
dedicai meno tempo alla musica, anche se avevo sempre la chitarra con
me”.
Domanda inversa. Ha mai
pensato di abbandonare il lavoro
al “3. maj” per dedicarsi completamente alla musica?
“È successo anche questo. Sarei
dovuto andare però all’estero e le
possibilità di farlo erano poche. Poi
c’è la mia famiglia: una persona fa
fatica a mollare tutto per incominciare daccapo. Io ho sempre tentato
di conciliare il lavoro e la musica, di
tenerli uniti. Da quando sono in pensione è più facile”.
Dopo 40 anni in scena, c’è un
concerto che ricorda con maggior
piacere, una collaborazione che le
è rimasta particolarmente impressa?
“Ci sono tanti bei ricordi. Per
dieci anni ho partecipato al Liburnia
Jazz Festival, al quale hanno suonato i più grandi jazzisti contemporanei a livello mondiale. Ho fatto parte
del ‘Denis Razz Quartet’ con i quali abbiamo fatto da apripista al concerto degli statunitensi ‘Steps Ahead’ (gruppo jazz, tra i più importanti a livello mondiale, nda). Ricordo
con piacere l’esperienza con l’orchestra di Pepi Forenbaher, con la quale ho fatto un mini tour. Ci sono stati poi tanti altri bei momenti di musica che mi rimarranno impressi per
sempre”.
Secondo una leggenda metropolitana, tra i jazzisti circolerebbe
tanta invidia, gli spazi sono pochi
e i musicisti sempre più numerosi.
Cosa dice a proposito?
“Lo pensa la gente che sta fuori
da questo mondo. Io ho suonato veramente con tutti, cambiato decine
di band. Quando non posso suonare
a un concerto chiamo qualcun altro
a sostituirmi e viceversa. Le persone
che vivono soltanto di jazz, devono
essere sempre attive e sempre pronte
a suonare”.
Che cos’è per lei la musica?
Una professione, una passione, un
hobby?
“Devo dire innanzitutto che la
amo, soprattutto il jazz. Onestamente parlando, per me è sempre stata una soddisfazione avere la chitarra in mano, grazie ad
essa sono riuscito a studiare e a
diventare economicamente indipendente. Per 20 anni ho accompagnato Duško Jeličić nella band
“Bonaca”e posso dire tranquillamente che è stato grazie alla musica che sono riuscito a costruire
una casa per me e per la mia famiglia. Quindi, oltre a rappresentare una grande soddisfazione personale e un arrichimento culturale,
c’è stata nel tempo anche la parte
economica. Oggi, purtroppo, per i
giovani musicisti non è così”.
Che cosa la stimola a fare ancora musica con tanto entusiasmo,
dopo così tanto tempo?
“Io sono un dei pochi ‘rimasti’ della mia generazione e continuo su questa strada. In me non
è venuta mai a mancare la voglia,
l’entusiasmo di continuare. A proposito, all’ultima edizione del Jazz
Time sono venuti ad ascoltarmi i
miei vecchi compagni del gruppo
“Grejs”, nessuno di loro suona più
e si sono meravigliati del mio entusiasmo e di come mi dedichi ancora alla musica con tanta passione.
Di recente mi sono anche comprato un nuova chitarra e quindi me la
vedo buona: davanti a me ci sono
ancora tante notti insonni, tanti altri concerti. Un nuovo inizio.
Come diceva un pianista famoso:
‘Se vuoi suonare il jazz, lo suonerai per sempre e sarai sempre insoddisfatto perché non finirai mai
di imparare. Quindi non smetterai
mai’. Per me è una certezza”.
musica 7
Mercoledì, 30 gennaio 2013
DONNE IN MUSICA Fu tra le musiciste più apprezzate del suo tempo
La luminosa parabola di Laura Sirmen
a cura di Clio Rostand
I
personaggi di musiciste e
compositrici donne, sebbene piuttosto rare, a partire
dal Duecento, hanno disseminato la storia della musica attraverso i secoli con grande discrezione, rimanendo, spesso,
ingiustamente nell’ombra. Di
estrazione aristocratica e borghese – dunque appartenenti a
uno status sociale che permetteva loro di apprendere, spesso
con i migliori maestri del loro
tempo, l’arte della musica – si
mostrarono esecutrici strumentali, vocali e compositrici poliedriche, tanto da suscitare la
vivace ammirazione dei massimi Maestri della musica della loro epoca. Il Settecento poi
vide una fioritura notevole e ad
esso appartiene pure la compositrice, violinista, cantante lirica, clavicembalista e violoncellista italiana Maddalena (Madelena) Laura Sirmen (oppure
Syrmen) nata Lombardini (Venezia, 9 dicembre 1745 – Venezia, 18 maggio 1818).
Sangue blu
Nacque da una famiglia aristocratica caduta in miseria e nel
1753, all’età di otto anni, iniziò i
suoi studi, presso uno degli orfanotrofi veneziani, l’Ospedale dei
Mendicanti, nel quale fece l’intero percorso formativo musicale. Nel 1759, cominciò a prendere lezioni dal grande Maestro
delle Nazioni, Giuseppe Tartini,
il quale le inviò il 5 marzo 1760
una famosa lettera nella quale descriveva i principi basilari
del proprio metodo didattico: un
documento sulla tecnica violinistica che ebbe enorme successo
durante tutto il XIX secolo e ancora oggi studiato dagli specialisti del violinismo settecentesco.
Inoltre, la Sirmen studiò composizione con Ferdinando Bertoni,
maestro del coro dell’Ospedale
e con tutta probabilità anche con
Tartini.
Matrimonio
e libertà
Composizioni
- 6 quartetti per archi
- 6 trii per 2 violini e violoncello obbligato, op. 1
- 6 concerti per violino e
orchestra, op. 3
- 6 duetti/sonate per 2 violini, op. 4
- Sonata il la magg. per
violino e basso continuo
- Trio in si magg. per 2 violini e violoncello obbligato
modo che la liberasse, trovandole
al tempo stesso un contratto presso
la corte di Dresda, ma il suo tentativo non andò a buon fine. L’anno successivo si sposò con il violinista e compositore Lodovico Sirmen (1738-1812).
Nel 1768 la coppia iniziò un
lungo viaggio che li porterà a riscuotere grandi successi attraverso l’Europa. Suonarono a Torino e
diverse volte ai Concert Spirituel a
Parigi, dove nel 1769 pubblicarono
sei quartetti per archi: anche se il
frontespizio reca la dicitura “Composta Da Lodovico, E Madelena
Laura Syrmen”, stilisticamente tali
composizioni sono interamente attribuibili a lei.
La celebre signora
L’unico motivo per cui una
ragazza poteva lasciare l’OspeLombardini
dale era il matrimonio. Tartini,
Nel gennaio del 1771, la Sirche aveva preso a cuore il talento della giovanissima Mad- men fu a Londra, dove venne andalena, nel 1766 si adoperò per nunciata come “the celebrated Mrs
combinare un matrimonio di co- Lombardini Sirmen”; riscosse nu-
Considerazioni sull’artista
La Sirmen, una delle numerose e celebri allieve della scuola di Tartini, fu in vita molto ammirata
soprattutto come violinista. Uguale successo non lo
raggiunse, invece, come cantante lirica, così come
testimonia Charles Burney relativamente al suo
soggiorno londinese:
“La musica della Sirmen fu ampiamente diffusa, conosciuta e apprezzata nella sua epoca: i suoi
concerti risultano essere stati ripresi in varie città
europee, tra cui Stoccolma nel 1774 e a Salisburgo nel 1778. Essa contribuì a traghettare le forme
strumentali dal barocco al classicismo. In questo
senso, sono interessanti alcuni esperimenti, come
merosi consensi come violinista
per due stagioni consecutive, suonando in varie serie di concerti e
teatri, mentre nella seconda fu attiva con ugual successo come cantante. Sempre nella capitale inglese nel 1772-3 diede alle stampe i
l’alternanza di movimenti ritmici diversi all’interno del Rondò finale dei suoi trii e quartetti, che
si presentano in gran parte costituiti da due movimenti. Anche i concerti per violino presentano un
momento importante della transizione stilistica tra
il linguaggio tartiniano e quello classico di Mozart
e Haydn; il primo movimento è generalmente in
forma sonata, il secondo in tempo binario e il terzo e ultimo movimento segue il modello del rondò. Tuttavia, negli anni ‘80 del secolo, già il suo
stile era considerato alquanto sorpassato, ancorato
com’era alla tradizione compositiva italiana della
metà del ‘700.
suoi sei concerti per violino Opera
3. Dopo il soggiorno inglese, suonò e cantò in diverse città italiane, nuovamente a Parigi, a Dresda e nel 1783 a San Pietroburgo.
Nel 1785 apparve nuovamente ai
Concert Spirituel, dove tuttavia i
suoi concerti per violino furono
criticati per il loro stile ormai fuori moda. Declinando la sua carriera, la Sirmen si stabilì definitivamente a Ravenna e nella città natale, dove trascorse il resto della
sua vita.
8 musica
Mercoledì, 30 gennaio 2013
VOCI STORICHE Gli splendori vocali di un grande personaggio dell’arte lirica
Fedora Barbieri, protagonista assoluta
U
na delle voci storiche
della lirica che non verranno mai scordate è
quella di Fedora Barbieri (Trieste, 4 giugno 1920 – Firenze, 5
marzo 2003), mezzosoprano e
contralto italiano tra i maggiori della seconda metà del Novecento. Cominciò giovanissima a
studiare canto sotto la guida di
Luigi Toffolo. Dopo pochissimi
mesi vinse una borsa di studio
indetta dal Teatro Lirico di Firenze, passando quindi a studiare
alla scuola del Maggio musicale
fiorentino sotto la guida di Giulia Testra. Esordì il 4 novembre
1940 come Fidalma ne “Il matrimonio segreto” di Domenico
Cimarosa al Teatro comunale di
Firenze, con immediato e caloroso successo. Nel 1941 interpreta il
ruolo di Dariola nella prima assoluta del “Don Juan de Manara” di
Franco Alfano al Maggio musicale
fiorentino. Partecipa alle riesumazioni del Maggio musicale fiorentino, cantando ne “Il ritorno di Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi (Firenze 1942) nell’Orfeo, pure
di Monteverdi, (Cremona 1942) e
nel “Flaminio” di Giovanni Battista Pergolesi (Siena 1943). Si tratta di opere per l’epoca sconosciute, che le danno larga fama. Canta
all’estero per la prima volta in Polonia nel 1941. Alla Scala debutta
nel 1942, con la Nona sinfonia di
Ludwig van Beethoven diretta da
Victor De Sabata; si esibisce rego-
QUIZ
1. Come si intitola l’opera di
Giuseppe Verdi, con la cui prima
rappresentazione è stato inaugurato, il 24 ottobre 1871 a Cairo
(sotto la direzione del Maestro
stesso), il del Canale di Suez?
a) Macbeth
b) Aida
c) Falstaff
zioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi?
a) La Traviata
b) Macbeth
c) Nabucco
7. L’oratorio “La passione
secondo Matteo“ è la composizione di Johann Sebastian Bach
più...
2. Chi è l’autore e l’interprete
a) celebre
della canzone “Skyfall“, scritta
b) complessa
per l’omonimo film, ultimo della
c) lunga
serie su James Bond?
a) Adele
8. È uno dei brani più celebri
b) Caro Emerald
e maggiormente eseguiti del XX
c) Lily Allen
secolo, scritto nel 1971 dall’exBeatle John Lennon, che venne
riproposta da numerosi musicisti, tra cui anche Madonna, Elton
John, Stevie Wonder, Joan Baez,
Diana Ross... Si tratta di:
a) Woman
b) Imagine
c) Give peace a chance
9. Nadia Boulanger (18873. Nel 2013 si celebra il bicentenario della nascita di quali
due grandi dell’opera?
a) Vincenzo Bellini e Gioachino Rossini
b) Ruggero Leoncavallo e
Giacomo Puccini
c) Giuseppe Verdi e Richard
Wagner
4. Si intitola “Smile” il famoso brano, divenuto un classico nell’esecuzione di Nat King
Cole nel 1954 e ripreso negli
anni successivi da numerosi musicisti, che fu scritto originariamente nel 1936 come composizione strumentale da...
a) Clint Eastwood
b) Charlie Chaplin
c) Robert Altman
1979) fu una compositrice, direttrice d’orchestra e insegnante francese, che istruì numerosi
protagonisti della scena musicale
del XX secolo, tra cui Aaron Copland, Philip Glass, Astor Piazzolla e altri. Fu la prima donna a
dirigere le maggiori orchestre degli Stati Uniti e d’Europa, con le
quali eseguì alcune prime internazionali, tra cui rientrano pure
composizioni di Copland e...
5. La Bank of England ha
a) Arnold Schönberg
pubblicato di recente una lista di
b) Sergej Prokofjev
150 personaggi britannici di cui
c) Igor Stravinski
uno andrà a sostituire il grande
naturalista Charles Darwin sulla
10. Il famoso attore inglebanconota da dieci sterline. Nel- se Dudley Moore (1935-2002),
la lista, compilata in base ai sug- noto soprattutto per i film di
gerimenti dei cittadini del Regno grande successo “10“ e “Arthur“,
Unito, figura pure il leggendario è stato pure un ottimo musicista,
frontman dei Rolling Stones...
sia nell’ambito della musica cola) Ian Gillan
ta, sia nell’ambito del jazz. Moob) Mick Jagger
re suonava il...
c) Robert Plant
a) pianoforte
b) violino
6. Come si intitola l’opera
c) clarinetto
con la quale il Teatro Nazionale
Croato “Ivan de Zajc“ ha inaugurato recentemente le celebra-
larmente nel massimo teatro lirico
a partire dal 1945.
Debutta al Metropolitan Opera
di New York nel 1949, dove torna
assiduamente nel 1950-’54, 1956-’57 e 1967-’68. Interpreta il ruolo
della principessa di Eboli nel “Don
Carlos” di Giuseppe Verdi nella
stessa data in cui Rudolf Bing assume la sovrintendenza del teatro.
Approda al Covent Garden di Londra nel 1950 in tournée con la Scala, cantando come Mistress Quic-
Repertorio
Aida (Amneris), Il trovatore (Azucena), Don Carlos
(Eboli), Un ballo in maschera
(Ulrica), Falstaff (Mrs. Quickly), e ancora, Carmen, Ulrica, Eboli...
kly nel “Falstaff” di Giuseppe Verdi e nel “Requiem” dello stesso
autore. Tornerà al Covent Garden
nel 1957-’58 e nel 1964. Nel 1970
interpreta il ruolo della Moglie
nella prima assoluta de “L’idiota”
di Luciano Chailly all’Opera di
Roma, portando il suo repertorio a
un totale di 109 ruoli.
Grande Azucena
ed Amneris
Voce di bellissimo timbro, interprete esuberante e intensa nei
ruoli drammatici (Azucena ne “Il
trovatore”, Amneris nell’”Aida”
tra gli altri), per tempo preferì staccarsi dai ruoli di seduttrice, in cui
pure eccelleva (“Carmen” di Georges Bizet, Dalila in “Sansone e
Dalila” di Saint-Saëns) per privilegiare i ruoli di carattere, primo fra
tutti quello di Quickly nel Falstaff
di Verdi, del quale è considerata
interprete ineguagliata. Per contro, fu capace di maestosa compostezza nelle interpretazioni sei-settecentesche, tra cui si segnala un
“Orfeo ed Euridice” di Christoph
Willibald Gluck, cantato alla Scala sotto la guida di Wilhelm Furtwängler. È stata compagna ideale di Maria Callas in molte recite e incisioni discografiche. Nella
lunghissima fase finale di carriera
(protratta fin oltre i 70 anni di età)
non disdegnò ruoli di comprimariato in produzioni di altissimo livello: l’Ostessa del “Boris Godunov”
alla Scala, Berta in un “Barbiere di
Siviglia” discografico (con Milnes,
Sills), Mamma Lucia nella versione filmata da Franco Zeffirelli di
“Cavalleria rusticana”, addirittura
Giovanna nel “Rigoletto” filmato
da J. P.Ponnelle, al fianco di Luciano Pavarotti.
Anno IX/ n. 66 del 30 gennaio 2013
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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edizione: MUSICA [email protected]
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Collaboratori: Helena Labus Bačić, Marin Rogić, Clio Rostand e Patrizia Venucci
Merdžo / Foto: Ivor Hreljanović e Goran Žiković
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