del popolo ce vo /la .hr dit w.e ww musica An no IX il pentagramma 3 201 o i a • n. 6 6 • Mercoledì, 30 genn Nel nome dell’anno verdiano, wagneriano e «prohiciano» di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, il Teatro di Fiume ha deciso di celebrare l’anno verdiano con tre titoli: “Macbeth”, andato in scena nel c.m., “Aida”, in coproduzione con il Teatro di Zagabria, e “Nabucco”, nell’ allestimento del 2003. Oltre ad essere l’anno di Verdi, sarà un po’ come sempre, anche la stagione di Prohić, direttore dell’Opera, il quale, come del resto tutti i registi moderni, rivendica il “sacrosanto diritto” di reinterpretare, rileggere, rivisitare (stravolgere e sconvolgere, ecc.) le grandi partiture dei Classici del teatro lirico. A proposito della sua regia per il “Macbeth”, ha dichiarato che essa farebbe emergere i vari strati di questo stratificato lavoro verdiano. Sarà. C’è però da chiedersi da quale mai recondito e finora evidentemente inesplorato “strato” spuntino per esempio le “čistačice inbigodinate”. Quel povero di spirito di Verdi aveva pensato originalmente a delle “streghe”, ma siccome le streghe e l’esoterismo non vanno più di moda (hai voglia se le fattucchiere, cartomanti, taroccare, “leggiscudelle” and company, non fanno affari!), Ozry lo ha “corretto” e ci ha messo le colf con le ramazze; giusto così... in omaggio ad una lettura “sociomarxista”, da “dittatura del proletariato”. E mi piacerebbe anche sapere da quale “strato” di quella pastasfoglia di Nabucco, Prohić abbia fatto emergere la sua visione cosmico-ufologico-ibernata-futuristica dalla quale saltano fuori i marziani che tutti algidi, che più algidi non si può, cantano “Va pensiero”. Beh, ma dopotutto queste non sono che quisquiglie, no? Cosa conteranno mai l’aderenza alle potenti suggestioni della musica, del testo, dei suggerimenti dell’Autore, l’atmosfera implicita alle singole situazioni di fronte alle folgoranti e sfolgoranti “visioni” innovatrici del regista? Che poi “innovano” tutti quanti a senso unico, coralmente. Una noia da morire! Giorgio Strehler a proposito di una sua regia verdiana (Simon Boccanegra), aveva spiegato: “Mi sono mantenuto in una chiave onesta, senza stravaganze fin troppo facili, poco sconvolgente esteriormente, accettando consapevolmente le convenzioni necessarie del melodramma. Sono troppo musicista... per tentare operazioni estremamente ardite, che poi sono quasi sempre contro la musica”. Quando si dice l’istinto dell’uomo di teatro. Ecco, l’uomo di teatro. Si tratta ormai di una specie praticamente estinta. L’ultimo uomo di teatro a Fiume è stato probilmente il grande Matačić. Musicista, direttore, regista, erudita, linguista, compositore. Oppure Osvaldo Ramous. O ancora Giovanni de Zaijtz, nell’Ottocento, con quel suo forte senso drammatico e quel meraviglioso istinto per la melodia, doti che gli furono riconosciute già a Milano e che lo accomunano a Verdi. L’uomo di teatro è un po’ come uno sciamano. Ha, oltre al mestiere, una veggenza e intuito – il famoso “fiuto” – particolari, in base ai quali sa esattamente come “muoversi”, quali sono le cose che si possono o non si possono fare in un certo momento; oppure come e perché vanno fatte. Sa ottenere l’atmosfera giusta nel momento della creazione, come anche nella scelta del repertorio. Sa leggere le aspettative e le esigenze del pubblico, ma è anche capace di entusiasmarlo e guidarlo per mano su sentieri nuovi. Piuttosto che imporgli le mode del momento o la tirannide di questa o quell’altra “geniale concezione” del solito regista “a la page” (che di solito fa acqua da tutte le parti). Il 2013 è anche l’anno wagneriano. Ahiahiahi! Come ce la caveremo? Riusciremo a racimolare un concerto di ouverture e arie d’opera del grande operista romantico tedesco, o faremo finta di niente? Questo è il problema! Per quanto Fiume si sia meritata la fama di città belcantistica e verdiana, sul palcoscenico del suo teatro è nondimeno passato anche il repertorio francese e, appunto, quello – esigentissimo – di Richard Wagner. Proprio così! I maestri cantori, Il vascello fantasma, Tristano e Isotta, Parsifal, e Lohengrin furono i cinque(!) titoli ai quali i fiumani di fine Ottocento e inizio Novecento ebbero il privilegio di assistere. E certamente non furono esecuzioni da poco, dal momento che la peraltro viziata critica dell’epoca parla di spettacoli paragonabili in tutto a quelli degli altri e maggiori teatri europei, menzionando in particolare la bravura dell’orchestra. Altro che provincia! Certo che oggi come oggi, pensare ad uno spettacolo di Wagner a Fiume è una chimera. Non solo perché non abbiamo i soldini della metropoli, ma pure perché nel ristrutturare e restaurare il Teatro, i “furboni” hanno tagliato una fetta del golfo mistico (la fossa orchestrale) a favore della scena girevole. E nel “golfino mistico” rimasto, l’orchestrona wagneriana non ci sta proprio! Così addio Wagner, per “saecula saeculorum”! Ma dopotutto, considerato l’attuale momento storico (di portata epocale) riusciremo a sopravvivere (?) anche senza la cavalcata delle valchirie. Parsimoniosamente Vostra 2 musica Mercoledì, 30 gennaio 2013 MUSICOTERAPIA A colloquio con Barbara Brezac Benigar, specialista in musicoter I poteri terapeutici della musica di Helena Labus Bačić L a musica e il suo effetto sullo stato d’animo delle persone sono fatti ben noti e confermati nell’ambito di numerosi studi. Vari generi e stili di musica hanno il potere di rilassarci, di caricarci di energia, di farci ballare, mentre certi hanno addirittura la capacità di provocare in noi emozioni inquietanti e renderci aggressivi. Nell’ambito di studi scientifici La musica ci influenza e ci maè stato provato che la musica innipola più di quanto noi stessi penfluisce sul battito cardiaco, sulla siamo. Quando parliamo di musipressione sanguigna, sulla respica, ci riferiamo alla partitura e alla razione, sul livello di determinati composizione, e non ai testi. La ormoni, in particolar modo quelmusica influisce sul corpo umano lo dello stress, e sulle endorfine. in modo molto potente. La musica aiuta a lenire il dolore cronico e migliora l’umore. Lo ha dimostrato uno studio sul tema legato soprattutto a patologie quali l’osteoartrite e l’artrite reumatoide. La musica lenisce il dolore dopo un intervento chirurgico, permettendo di ridurre la somministrazione di antidolorifici, e viene utilizzata anche per malati di tumore terminali in quanto in grado di controllare il dolore e di favorire il benessere fisico e il rilassamento, probabilmente grazie a un maggiore rilascio di endorfine indotto dall’attività musicale. La musica è stata utilizzata inoltre nelle sale parto. Le madri che ne hanno beneficiato hanno richiesto una somministrazione ridotta di farmaci anti-dolorifici durante il travaglio, perché la musica ha indotto la visualizzazione di immagini positive e il rilassamento, favorendo la dilatazione della cervice e il posizionamento corretto del bambino. È stato dimostrato, inoltre, che l’attività musicale è in grado di ridurre oggettivamente il livello di stress, anche dal punto di vista biochimico, riducendo i marker infiammatori e migliorando l’attivazione delle cellule “natural killer” del sistema immunitario. D’altro canto, alcuni studi, generalmente di stampo religioso, hanno tentato di confermare l’effetto negativo e distruttivo di determinata musica rock sulla psiche e sulla personalità dell’uomo, anche se nessuno di questi effetti è ziali talenti nascosti sui quali si può stato scientificamente provato. ulteriormente. Definisco la Terapia creativa lavorare mia attività ‘terapia creativa’ e queCi siamo rivolti a Barbara sta si basa principalmente sulla muBrezac Benigar, specialista in sicoterapia, alla quale poi si aggiunmusicoterapia, arteterapia, psico- gono anche l’arteterapia (pittura e terapia e riabilitazione, per capi- disegno), la danza e il movimento, re in che modo quest’arte influi- nonché la recitazione, ovvero il psisca sul benessere della persona, codramma musicale. Attraverso tutsia nel campo della psicoterapia, te queste attività tento di capire le sia nella quotidianità. La nostra affinità della persona, sia si tratti di interlocutrice, oltre a occuparsi di un bambino che di un adulto. Con terapia in seno al Centro per au- i bambini mi occupo principalmentismo di Fiume, porta avanti pure te di riabilitazione, mentre con gli uno studio privato di musicotera- adulti svolgo spesso sedute di psipia nell’ambito della quale fa uso coterapia. D’altro canto, posso dire della musica e dell’arte visiva nel che di questa terapia può beneficialavoro con i pazienti, ottenendo re chiunque e molto spesso accolgo degli ottimi risultati. pure i miei amici, bisognosi di relax “Nel mio studio mi occupo sia e benessere”. “Dal punto di vista della riabilidi riabilitazione che di psicoterapia, il che vuol dire che il mio la- tazione – prosegue la nostra intervoro consiste in un approccio in- locutrice –, la musicoterapia, o medividuale verso ciascun paziente, glio, la terapia creativa, permette di nell’ambito del quale cerco di oc- migliorare il funzionamento della cuparmi della persona, non della persona dal punto di vista cognitivo diagnosi, evitando quindi di eti- (intellettuale), delle capacità motochettare il soggetto – esordisce rie, dello sviluppo emotivo e sociaBrezac Benigar –. Cerco, pertan- le, ma soprattutto nella sfera della to, di entrare nel mondo emoti- comunicazione. Quest’ultimo è parvo del paziente, di capire even- ticolarmente evidente nei bambini e tualmente i traumi che ha vissuto, negli adulti affetti da disturbi legati tentando di far riaffiorare poten- all’autismo. La musica aiuta queste Ma sarà tutto vero? I pro e i contro della musica Alterazioni mentali È stato chiaramente dimostrato che la mente umana può essere controllata e alterata dalla musica. Innumerevoli studi medici e scientifici hanno determi- La musica influisce sul battito cardiaco, la pressione sanguigna, la respirazione, il livello di alcuni ormoni, in particolare quello dello stress, e le endorfine nato i fortissimi effetti della musica sulla fisiologia e sull’anatomia umana. La musica può essere usata per abbassare la pressione del sangue, per curare le malattie mentali, la depressione, i ritardi mentali, l’insonnia e molte altre cose... All’ospedale St. Agnes di Baltimora è stata usata la musica in un’unità di cura intensiva: “Mezz’ora di musica riuscì a produrre lo stesso effetto che dieci milligrammi di Valium”. Il dott. Oliver Sacks spiega: “La base neurologica delle reazioni alla musica è robusta e può persino sopravvivere a lesioni di entrambi gli emisferi”. Alla domanda: “La musica può influire sul corpo umano”?, la ricerca moderna dà una chiara risposta affermativa. Non c’è quasi neanche una sola funzione del corpo che non possa subire influenze dai toni musicali. “Le radici dei nervi uditivi sono diffusi ampiamente nel corpo e hanno maggiori connessioni che gli altri nervi. La ricerca ha mostrato come la musica influisca sulla digestione, le secrezioni interne, la circolazione, la nutri- zione e la respirazione. È stato dimostrato che perfino la rete neurale del cervello abbia sensibilità ai principi armonici”. La musica non è neutrale Non si può certo affermare che la musica sia neutrale. Neil Postman (1931-2003), docente di arti e scienze comunicative all’Università di New York e rispettato critico, educatore, sociologo e teorico della comunicazione, che ha scritto più di quindici libri, affermava con chiarezza cristallina nel suo libro “Amusig Ourselves to Death”: “Sostenere che la tecnologia (la musica) sia neutrale [...] è stupidità bell’e buona”. Il dott. Max Schoen scrive in “The Psychology of Music”: “La musica è fra gli stimolanti più potenti che vi siano per i nostri sensi. Le prove mediche, psichiatriche, e altre, in favore della non neutralità della musica, sono così schiaccianti che francamente mi sorprende chiunque seriamente voglia dire altrimenti”. (fonte: Internet) La musicoterapia, o meglio, la terapia creativa, migliora il funzionamento della persona dal punto di vista cognitivo, delle capacità motorie, dello sviluppo emotivo e sociale, ma soprattutto nella sfera della comunicazione persone ad aprirsi e migliora le loro capacità di comunicazione”. Quali disturbi può alleviare la musicoterapia? “Quelli dovuti all’autismo, alla sindrome di Asperger, allo sviluppo rallentato del linguaggio, alla disabilità intellettiva evolutiva (ritardo mentale), alla sindrome ADHD (deficit di attenzione e iperattività, una diagnosi sempre più frequente tra i bambini), allo sviluppo rallentato di determinate capacità o ad esempio il disturbo pervasivo dello sviluppo, paure e fobie. Insomma, uno spettro molto ampio che la musica può curare o almeno alleviare”. È un campo approvato dalla medicina tradizionale o esso rientra nella sfera della medicina alternativa? “La musicoterapia non rientra nel campo della medicina tradizionale, in quanto è una combinazione tra psicoterapia e riabilitazione. Nel mio percorso formativo ho conseguito il titolo di professore riabilitatore, dopodiché ho ottenuto un master in arteterapia. La musicoterapia trova posto tra psicologia e medicina e ricopre un’area che da noi è ancora sottosviluppata. In Croazia, infatti, non esiste effetti- vamente un corso di laurea in musicoterapia. Facendo pratica ho notato che la musicoterapia porta più velocemente a risultati positivi che non la psicoterapia classica, poiché non include la comunicazione verbale, ma è proprio la musica il mezzo che viene utilizzato durante la seduta per ottenere un certo risultato. La dinamica e struttura delle sedute varia a seconda del soggetto. Quindi, non viene pianificata in anticipo. Nel corso di un’ora, il cliente può cantare, suonare, ascoltare musica riprodotta su cd, oppure suonata o cantata da me. Gli strumenti a disposizione sono il pianoforte, il metallofono e altri strumenti, oppure altri aggeggi come ad esempio tubi metallici in grado di produrre dei suoni. Ogni persona ha il bisogno di esprimersi con dei suoni e con la musica, che nasce in maniera naturale nell’uomo. Lo stesso vale per il movimento e la danza”. Quanto sono misurabili i risultati ottenuti durante le sedute? Ci sono test che confermano l’efficacia della musicoterapia? “Certo. Dal momento che porto avanti uno studio privato, ho più libertà nello svolgere i programmi. Occasionalmente realizzo del- le ricerche scientifiche che mi permettono di rilevare risultati precisi raggiunti durante la terapia. Ogni programma che applico nel corso delle sedute deve essere vagliato e deve portare a risultati concreti”. Qualche esempio concreto? “Ho avuto modo di lavorare con una bambina affetta da sindrome di West. La mia ricerca sul suo caso è durata due anni al termine dei quali mi sono resa conto che la terapia aveva portato a degli ottimi risultati. Prima di venire da me, la bambina soffriva quotidianamente di attacchi epilettici, anche più volte al giorno. Era completamente passiva, sia dal punto di vista cognitivo che motorio. Non parlava, non camminava e aveva lo sguardo vago. Gradualmente, col procedere della terapia, le cose sono migliorate da tutti i punti di vista, nonostante la medicina tradizionale avesse fornito alcune previsioni non troppo ottimistiche sul miglioramento delle sue condizioni. Sono molto contenta di aver ottenuto risultati soddisfacenti con tutti i miei clienti. Nessuno è mai uscito da qui senza aver dimostrato un qualche segno di miglioramento”. musica 3 Mercoledì, 30 gennaio 2013 apia, arteterapia, psicoterapia e riabilitazione migliorano la qualità di vita Che opinione ha di certi studi, a nostro avviso piuttosto tendenziosi, secondo i quali la musica rock e l’heavy metal contribuirebbero a potenziare nell’individuo comportamenti aggressivi e autodistruttivi? “Essendo credente, posso commentare queste affermazioni anche dal punto di vista della fede. Sono d’accordo con l’affermazione che determinata musica offre messaggi subliminali, e la stessa cosa vale per certi film. Se parliamo di heavy metal, dipende dalle canzoni che sono state oggetti di questi studi. Se avevano come tema l’autodistruzione, se erano testi satanistici o qualcosa di simile, le cose sono chiare e i commenti superflui. D’altro canto, è certo che la musica è universale e deve avere un impatto sull’ascoltatore, qualunque esso sia. Ciascun tipo di musica avrà un impatto diverso su persone diverse. Personalmente ritengo non abbia alcun senso considerare un certo tipo di musica e sostenere che questa abbia un effetto identico su tutti. Ritengo sciocche certe tesi secondo le quali la musica in scala minore debba a tutti i costi provocare malinconia e tristezza nella persona. Insomma, la musica influisce in maniera diversa su persone diverse e l’unica cosa certa è che essa ha indubbiamente il potere di provocare un certo effetto su ciascuno di noi. Per quanto riguarda i sentimenti aggressivi e distruttivi che certe musiche possono eventualmente provocare, sono convinta che qui non si tratti altro che di necessità non soddisfatte e di incapacità di esprime- re ciò che si ha dentro. Quindi, essenzialmente di mancanza di comunicazione che poi si traduce in violenza”. E dell’affermazione secondo la quale la musica di Mozart abbia un effetto positivo sull’intelligenza dell’individuo e possa potenziare la concentrazione? “Non credo che Mozart abbia composto la propria musica pensando alle persone del XXI secolo. La musica lenta può avere un effetto tranquilizzante sulla persona, ma non avrà invece nessun effetto su un individuo distratto o aggressivo. Non si può semplicemente riprodurre musica lenta e dolce secondo i gusti personali del terapeuta e credere che questa avrà lo stesso effetto sulla persona. Le cose non funzionano così. Bisogna innanzitutto capire lo stato d’animo dell’individuo e scegliere un tipo di musica che corrisponda a questo stato d’animo, procedendo quindi con la riduzione del volume di ascolto e del carattere della musica fino a giungere a quella di tipo tranquilla. Quindi, non esistono ricette che definiscano quale musica ascoltare per determina- ti stati d’animo. Tutto dipende dai gusti e dalle preferenze”. A parte il fatto che ogni persona reagisce in maniera individuale a un tipo di musica, esistono generi musicali ai quali i suoi clienti rispondono meglio che ad altri? “Non proprio. Nelle sessioni faccio uso di qualsiasi tipo di musica, anche quella che creo da sola. Io come terapeuta devo saper intuire la personalità del cliente e capire al più presto quale tipo di musica sortirà gli effetti desiderati. Se decido di usare musica registrata, scelgo in prevalenza musica strumentale o cantata senza testo. Le parole possono, infatti, distrarre il cliente”. Presumo che sulla scelta della musica influiscano pure il gusto e le preferenze del cliente? “Assolutamente. Molte persone provano irritazione ascoltando musica lenta”. Come si rilassa alla fine di una giornata lavorativa? “La prima cosa che faccio quando entro in auto è spegnere la radio. Dopo esser stata tutto il giorno ‘immersa’ in musica e suoni di ogni tipo, a fine giornata ho bisogno di assoluto silenzio”. 4 mus Mercoledì, 30 gennaio 2013 MUSICA E FANTASIA I miti di Don Chisciotte, Don Giovanni e Till Eulenspiegel nei Richard Strauss e la genialità visionaria t R ichard Georg Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) è stato un compositore e direttore d’orchestra tedesco del periodo tardoromantico. Noto soprattutto per i suoi poemi sinfonici e le sue opere liriche, Richard Strauss non era imparentato con gli Strauss viennesi, famosi compositori di valzer. Volendo riassumere lo stile di Strauss notiamo che esso è molto vario e svincolato storicisticamente e quindi privo di un senso di evoluzione nel linguaggio che muta anche in maniera drastica e netta da una composizione all’altra. Abbiamo una prima fase in cui troviamo un legame col romanticismo tedesco di Schubert, Schumann e Brahms in cui compose la “Burleske für Klavier und Orchester”, in re minore. Una seconda fase, quella più lungimirante, è quella influenzata da Ritter, Liszt e Wagner, in cui Strauss compone i poemi sinfonici, per poi sfiorare quasi il primo espressionismo e la politonalità del primo Schönberg con “Elektra”, l’opera di Strauss più innovativa tra tutte le sue composizioni. L’ultima fase (il periodo di “La donna senz’ombra” (“Die Frau ohne Schatten”)) vede invece un brusco ritorno al passato in cui Strauss si orienta verso un neoclassicismo manieristico e tonale ispirato alla musica del ‘700 rivista in chiave ironica, alternato a fasi politonali più moderne rappresentate dai due cicli di lieder del 1918 e concluse con le “Metamorfosi per 23 solisti d’archi” (1946) composte come commento alla catastrofe bellica. Nel 1948 Strauss completò il suo ultimo lavoro maggiore, “Vier letzte Lieder”, per voce femminile e orchestra (inizialmente per pianoforte) (rappresentata nel 1950), che rappresenta di certo la sua opera vocale più nota. Questi Lieder non erano stati concepiti come ciclo. La sua ultima composizione completa fu un ulteriore Lied, “Malven”, terminato il 23 novembre. La partitura venne scoperta solo nel 1982 nel lascito di Maria Jeritza. “Malven” venne eseguito per la prima volta nel 1985 da Kiri Te Kanawa e inciso nel 1990 con i “Vier letzte Lieder”. L’ultima composizione dell’artista, “Besinnung”, su testo di Hermann Hesse, per coro misto e orchestra rimase a livello di frammento. Il personaggio di Till Eulensp del più estroso tra tutti i poemi sin una di quelle figure che furono assu nario popolare prima e dalla lettera d un’identità nazionale, al tempo mania: una sorta di Faust in veste lento inventore di burle, in fuga p so attraverso paesi e città. Strauss Composizioni I poemi sinfonici: “Macbeth” (1888/90), “Don Giovanni” (Don Juan) (1888), “Morte e trasfigurazione” (Tod und Verklärung) (1889), “I tiri burloni di Till Eulenspiegel” (Till Eulenspiegels lustige Streiche) (1895), “Così parlò Zaratustra” (Also sprach Zarathustra) (1896), “Don Chisciotte” (Don Quixote) (1897), “Vita d’eroe” (Ein Heldenleben) (1898), “Sinfonia domestica” (1903) e “Sinfonia delle Alpi” (Eine Alpensinfonie) (1915). Opere liriche: “Salome” (1905), “Elektra” (1909), “Il cavaliere della rosa” (Der Rosenkavalier) (1911), “Arianna a Nasso” (1912/16), “La donna senz’ombra” (Die Frau ohne Schatten) (1919), “Die ägyptische Helena” (1928), “Arabella” (1933), “La donna silenziosa” (Die schweigsame Frau) (1935), “Il giorno della pace” (Friedenstag) (1938), “Daphne” (1938). Rutilanti pros Variazioni sull’inganno, da Cervantes a Strauss Il mondo di Don Chisciotte risuona di molteplici strumenti: trombe, clarini, arpe, ciaramelle, corni, buccine, tamburi, ribeche, zamorane e perfino gli albogues, che sono, come spiega Don Chisciotte a Sancio, “dei piattini metallici come quelli dei candelieri d’ottone, che battendoli gli uni con gli altri dalla parte vuota e cava danno un suono che, sebbene non sia molto gradevole e armonioso, non dispiace, perché s’accorda con la rusticità della cornamusa e del tamburello”. Non c’è musico che non sia degno dell’attenzione di Don Chisciotte. L’incontro con il Cavaliere degli Specchi avviene al suono di una viola, con cui l’altro cavaliere errante accompagna il canto della propria infelicità amorosa. Tanta finezza d’orecchio non è sorprendente, dal momento che Don Chisciotte stesso è un musico. Ospite nel palazzo del Duca, Don Chisciotte rimane sconvolto dalla serenata di Altisidora, che cantando un romance si dichiara vinta dall’amore per il cavaliere errante. Commosso dalla voce della donzella, ma deciso a rimanere fedele a Dulcinea, Don Chisciotte chiede uno strumento, per consolare l’infelice. Non è sprovveduto, nell’arte musicale: “Don Chisciotte trovò nella camera una viola; la provò, aprì la finestra della grata e sentì che c’era gente in giardino; e dopo aver percorso con le dita i tasti della viola e averla accordata il meglio che seppe fare, sputò, spurgò, quindi con una voce abbastanza rauca, ma intonata cantò il seguente romance, da lui stesso composto quel giorno”. La musica, a sua volta, ha ripagato con altrettanto amore il Quijo- te. Tra le molteplici versioni musicali dell’illustre personaggio, il poema sinfonico di Richard Strauss costituisce forse il massimo capolavoro. La forma scelta dall’autore per tradurre il mondo di Don Chisciotte nel linguaggio musicale è una delle più semplici e antiche, il tema con variazioni. Sarebbe più esatto dire i temi, perché intrecciato a quello di Don Chisciotte, incarnato dal violoncello solista, sta il tema di Sancio Panza, la cui straordinaria figura comica è impersonata da una viola solista. L’intuizione di Strauss sembra felicissima, perché l’idea di variazione coglie perfettamente il nucleo poetico dell’opera di Cervantes, che indaga le molteplici forme in cui l’inganno e il disinganno si manifestano nel corso della nostra vita. L’immaginazione di Strauss conferisce a ciascuna variazione un paesaggio sonoro particolare, immerso nella luce fantastica della vicenda vissuta da Don Chisciotte. La musica di Strauss s’immedesima in Don Chisciotte, raccontando quel che vede e sente il personaggio. Il gregge di montoni, per esempio, diventa un cozzare incoerente d’intervalli, un’armonia deforme come le membra dei giganti che hanno preso il loro posto. La musica di Dulcinea del Toboso corrisponde all’amore cavalleresco di Don Chisciotte, non alla rozza bellezza della contadina Aldonza. Il vento, creato con una macchina apposita in orchestra, soffia sull’anima sconvolta del cavaliere, non sui mulini della Mancha. Il poema si chiude con una scena assente nel libro, ma tipica della visione romantica di Don Chisciotte, e pazienza per la filologia violata. La meditazione notturna dell’eroe tragicomico, prima della fine, è una pagina toccante e profonda. Don Chisciotte ha sempre lottato con le sue illusioni, ma ora, di fronte alla morte, vede la scena spoglia del teatro della vita. La sua maschera rimane inerte, appoggiata al tavolino, e a noi non resta che ammirarla, con infinita nostalgia. (fonte: Sergio Sablich) Con il folgorante “Don Juan” (Don Giovanni), composto tra il 1887 e il 1888 da un musicista appena ventiquattrenne, ed eseguito per la prima volta sotto la sua stessa direzione al Teatro di corte di Weimar l’11 novembre 1889, si avviava la serie dei sette poemi sinfonici (o, come il compositore stesso preferiva, Poemi sonori, “Tondichtungen”) che per circa dieci anni avrebbero assorbito quasi tutte le sue energie creative, insieme con la stesura originaria della prima opera teatrale, “Guntram”: dopo “Don Giovanni” sarebbero venuti “Morte e trasfigurazione” (1888-89), “Macbeth” (1890, ma già realizzato in una prima versione nell’86), “Till Eulenspiegel” (1895), “Cosi parlò Zarathustra” (1896), “Don Chisciotte” (1897), “Una vita d’eroe” (1898). Quindi, dopo un certo rallentamento dell’attività compositiva coincidente con gli impegni direttoriali a Berlino, e colmato quasi esclusivamente da una notevole produzione liederistica, si sarebbe aperta l’epoca delle grandi opere teatrali: le recidive sinfoniche sarebbero state scarse, e non sempre tali da ritrovare la felicità dei capolavori della gioventù. Il ciclo dei grandi poemi sinfonici di Richard Strauss, dunque, si offre all’attenzione come un’esperienza profondamente unitaria e ben definita anche cronologicamente. Basta un’occhiata ai titoli di questi lavori per cogliere immediatamente la convinzione estetica che vi è sottesa: ossia quella che l’atto compositivo sia anzitutto fatto poetico, poesia per sonos anziché per verba. In una lettera al direttore d’orchestra Hans von Bülow, giusto nell’agosto 1888, Strauss scriveva: “Se si vuol creare un’opera artistica unitaria per sfondo e costruzione complessiva, e se si vuole che essa agisca in senso plastico sull’ascoltatore, bisogna che ciò che l’autore intende dire appaia anche plasticamente agli occhi del suo spirito. Ciò è possibile quando esista lo stimolo di un’idea poetica, indipendentemente dal fatto che essa sia sica Mercoledì, 30 gennaio 2013 5 poemi sinfonici del Maestro bavarese ramutata in apoteosi timbrica e narrativa Gli estrosi e fiabeschi tiri burloni di uno dei personaggi storici piegel, protagonista nfonici di Strauss, è unte dall’immnagiatura poi a simbolo della vecchia Gerdi monello, turboperpetua da sé stesse ne innamorò as- sistendo nel 1889 a Weimar a una rappresentazione dell’opera “Eulenspiegel” di Cyrill Kistler. A colpirlo furono soprattutto i lati umoristici e scanzonati del personaggio, l’ironia beffuda sottesa allo spirito di rivolta contro la saccenteria dei benpensanti. Quella figura, tanto radicata nella solidità della storia quanto sospesa nella leggerezza della fantasia, gli parve adatta a costituire il soggetto di un lavoro teatrale; il progetto si arenò, per risorgere sei anni dopo come programma non per un’opera bensì per un poema sinfonico. Completato il 6 maggio 1595, “Till Eulenspiegel lustige Streiche” (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) venne eseguito per la prima volta ai concerti Gürzenich di Colonia il 5 novembre dello stesso anno, sotto la direzione di Franz Wüllner. Per quanto l’autore in una lettera al direttore della prima esecuzione negasse l’esistenza di un programma, invitando gli ascoltatori a cavarsela da soli, le peripezie di Till sono illustrate con una descrizione vivida, ancora una volta quasi plasticamente, perfino nei dettagli più bizzarri (come quando nell’episodio della predica di Till si spiega che “il controfagotto nel registro grave rappresenta il dito grosso di un piede”). L’opera è articolata in cinque episodi, evocanti altrettante avventure del protagonista, preceduti da un’introduzione e seguiti da un epilogo. La forma del ron- dò, esplicitamente menzionata nel sottotitolo in capo alla partitura insieme con il riferimento a un’antica melodia burlesca, parve a Strauss la più adatta a rappresentare il vagabondare di Till. Ciò gli consentiva di far tornare il tema principale dopo ogni strofa, prima di ogni nuova avventura, e di svolgere i controtemi nelle parti di collegamento: un espediente strategico del tutto connaturato all’argomento, ma soprattutto garante di un principio quasi classico di unità. Nelle prime battute dell’introduzione i commentatori hanno visto tradotto in suoni il tradizionale esordio delle favole, “C’era una volta...”: ne è emblema l’antica melodia burlesca di cui parla il sottotitolo, affidata ai violini. Alla sesta misura il corno presenta il tema principale, quello di Till: scattante, spavaldo, audace nelle sue provocazioni ma anche beffardo nel suo precipitare a rotta di collo verso l’abisso. E il racconto comincia. Sono cinque momenti di gloriosa incoscienza, trattati con la più incantevole bonomia, spingendo all’estremo la polifonia orchestrale in un gioco di colori, di ritmi, di intrecci, di variazioni figurate. Ecco Till che irrompe sulla piazza del mercato creando un’irrimediabile confusione, tra sinistri strepiti e risa sbellicate; che si traveste da frate per fare al colto e all’inclita una predica blasfema; che corteggia una ragazza fingendosi perdutamente innamorato, sal- vo poi offendersi del suo rifiuto; che incontra cinque luminari della scienza (musicalmente personificati da tre fagotti, clarinetto basso e controfagotto), disputando con loro dei massimi sistemi, prima imbrogliandoli e poi dandosela allegramente a gambe. Finalmente sazio di burle, Till riflette sul suo destino, mentre cresce in lui l’indignazione per quel canagliume che è l’umanità (pretesto per un episodio meditativo che riespone il materiale tematico in una nuova combinazione, di tono quasi elegiaco). Davanti a lui si delinea un futuro nero: inevitabile che “filistei, professori e sapienti” ne esigano l’arresto, il giudizio, la condanna. Alla sentenza di morte pronunciata dai tromboni con un salto discendente di settima maggiore egli risponde fischiettando spensieratamente il suo tema. Solo sulla forca un grido acutissimo, strozzato, rivelerà la sua fragilità umana, destinata a finire come tutti, burloni e non, nel nulla. Ma Till Eulenspiegel è un personaggio fiabesco, e come tale immortale. L’epilogo torna a evocarne la figura con immensa dolcezza, quasi con gratitudine, trasfigurando il suo tema sul placido cantabile del “C’era una volta...” dell’introduzione. Poi un ultimo sberleffo ne annuncia radiosamente l’ascesa liberatrice verso l’empireo dove, anche privato del corpo, lo spirito è vita. (fonte: Sergio Sablich) spettive sonore e intuizioni fantastiche per il Don Juan o meno aggiunta all’opera come programma”. Poco più tardi, nel gennaio ‘89: “La nostra arte è espressione, e un’opera musicale che sia priva di un vero contenuto poetico da esprimere (un contenuto, naturalmente, tale da non potersi in realtà rappresentare altro che con i suoni, ma che possa essere suggerito con le parole; solo suggerito, però) a mio parere è tutto, fuorché musica”. Concetti abbastanza chiari: l’idea poetica è assunta come “stimolo”, il programma è qualcosa che le parole possono suggerire (e soltanto suggerire). Nel pieno di un vigoroso fervore compositivo, naturalmente orientato verso l’orchestra da molteplici esperienze professionali, Strauss scrisse la sua prima grande partitura sinfonica scegliendo un tema che come po- chi altri era suscettibile di accogliere ed esprimere le istanze di un esuberante vitalismo: l’eros, l’istinto elementare del possesso e della sopravvivenza incarnato nel mito eterno di Don Giovanni. La fonte fu trovata nel poema “Don Juan” di Nikolaus Lenau (1802-50): a meglio chiarire il proprio intendimento, il musicista ne riportò sulla partitura tre citazioni, relative la prima all’inesausta ansia di piacere del protagonista, la seconda al desiderio sempre nuovo e sempre diverso di fronte a ogni donna, la terza alla “calma dopo la tempesta”, quando ogni desiderio prende apparenza di morte. Tutto ciò trovò traduzione sonora in un impianto formale libero, vagamente ricollegabile alla sonata e al rondò, percorso da un’invenzione tematica straordinariamente fertile, unita alle arditezze di un’armonia post-wagneria- Strauss era noto soprattutto per i suoi poemi sinfonici e le opere liriche na e affidata a un ordito strumentale smagliante. Motivi, armonia, timbro, ogni parametro della costruzione assume un inumdiato valore gestuale (giusta quell’esigenza di evidenza “plastica” di cui parlava Strauss): dal primo tema, figura musicale del protagonista che apre “Don Juan” con slancio irresistibile, a tutti i motivi secondari che via via si succedono a disegnare i diversi aspetti dell’ideale femminile, a quello, veramente memorabile, che i corni, introducendo l’episodio conclusivo del poema, stagliano contro il teso tremolo de- gli archi. Le rutilanti prospettive sonore e le intuizioni fantastiche della composizione richiedono a orchestra e direttore impavido virtuosismo; né questo è l’ultimo dei motivi della sua perenne presa sul pubblico. Proprio per il suo essere la prima grande pagina di una grande esperienza “Don Juan” sembra, rispetto alle successive prove di Strauss, proporsi come un’ideale epigrafe ribadita dalle parole di Lenau: “Avanti, dunque, verso nuovi trionfi, finché nei polsi robusti batta gioventù”. (fonte: Sergio Sablich) Le peculiarità di un genere romantico Il poema sinfonico è una composizione musicale per orchestra, solitamente in un solo movimento, di ampio respiro e che sviluppa musicalmente un’idea poetica, ispirata alle più svariate occasioni extramusicali: un’opera letteraria in versi (“Les préludes” di Franz Liszt) o in prosa (“Don Chisciotte” di Richard Strauss), un’opera figurativa o filosofica (“Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss), un omaggio a luoghi o occasioni particolari (“I pini di Roma”, “Le fontane di Roma”, “Feste romane” di Ottorino Respighi), ma anche una puramente libera intuizione del compositore (“Una saga” di Jean Sibelius). È in sintesi un particolare tipo di composizione orchestrale suddiviso (“Così parlò Zarathustra” di Strauss) o no (“Les Preludes” di Liszt) in movimenti e spesso figurativamente molto chiaro: sono evidenti le immagini che il compositore vuole suggerire, attraverso il cambio di registro, di timbro e di intensità sonora. È una derivazione diretta della musica a programma che fu una delle forme predilette dai musicisti romantici, ad esempio Hector Berlioz nella sua “Sinfonia fantastica” e nell’”Aroldo in Italia”. Tra i musicisti che più svilupparono questo tipo di composizione si devono citare tra gli altri: Liszt (che ne coniò il termine), Čajkovskij, Richard Strauss, Smetana, Sibelius e Respighi. Smetana in particolare compose “La mia patria” (1874-1879), opera in cui confluiscono ben sei poemi sinfonici. 6 musica Mercoledì, 30 gennaio 2013 INTERVISTA Chiacchierata con Spartaco Črnjarić, leggenda del jazz quarnerino «Non smetterò mai di suonare» di Marin Rogić L a prima volta che sentii parlare di Spartaco Črnjarić (classe 1949) fu all’incirca sette o otto anni fa. Appena compiuti i 20 anni presi in mano una chitarra con l’intento di diventare un chitarrista, poi l’intento fu presto abbandonato (mancanza di talento, direi), ma questa è un’altra storia sicuramente meno interessante di quella che ha vissuto il personaggio che vi presentiamo nelle prossime righe. Parlando con il mio maestro dell’epoca, lo sentii nominare il chitarrista Spartaco Črnjarić, un matematico laureato in fisica, eccellente informatico, che suonava un ottimo jazz. Mi rimase maggiormente impresso quest’ultimo dato. Poi, tre o quattro anni fa, un mio conoscente mi suggerì di andare a seguire un concerto al “Jazz Tunel”, luogo di culto fiumano, mecca per gli amanti della musica di John Coltrane, che attualmente, col cambio di gestione, ha cambiato genere musicale, oggi più di stampo commerciale. Quella sera vidi Spartaco Črnjarić per la prima volta. Con lui sul palco, alcuni dei migliori musicisti fiumani tra cui il sassofonista Denis Razumović Razz. Fu una serata molto intensa, i migliori jazzisti del capoluogo quarnerino diedero il loro meglio e io, da quel momento, mi interessai al personaggio. Con una carriera che dura da più di quarant’anni, Spartaco Črnjarić figura tra i più noti musicisti del Quarnero, ha suonato in centinaia di concerti, partecipato a tutti i più importanti festival jazz della Croazia, collaborato con i più grandi musicisti dell’ex Jugoslavia e non solo. Autodidatta dal punto di vista musicale, laureato in matematica e fisica (ha lavorato al cantiere navale “3. maj”), il primo incontro con la musica lo ha avuto grazie alla RAI (Radiotelevisione italiana) dei primi anni ‘60. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia, iniziata con un violino e una chitarra proprio in quell’epoca quando fondò (nel 1969) il gruppo “Grejs”, allora molto popolare, con il quale ha accompagnato i concerti di Ivo Robić, Kićo Slabinac e altri. Collaborazioni importanti Intorno al 1976 entra a fare parte della famosa band “Bonaca”. In seguito collaborerà con vari altri gruppi e con alcuni dei musicisti più affermati del Paese, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando nel 2001 incomincia a suonare e collaborare con le più conosciute jazz band quarnerine: “Black River Quartet”, “Liburnia Jazz Union”, “Denis Razz Quartet”, “Passion Play Group”, “TT Swingers. Nel 2009 fonda il complesso “Spart Jazz”. Da anni partecipa puntualmente al Liburnia Jazz Festival di Elvis Stanić, è vincitore di numerosi premi tra i quali il prestigioso “Fender” (nel 2009). All’età di 63 anni sembra un giovanotto che non vede l’ora di essere invitato a suonare, non importa dove, l’importante è provarne l’ebbrezza. Quando gli si chiede che cosa lo stimoli a continuare con tanto entusiasmo, risponde “vado dove mi chiama la musica, il jazz è come una droga, si fa fatica a smettere”. Con la musica leggera italiana, che abbondava alla RAI dei primi anni ‘60, ha avuto il suo primo incontro con la musica. Che ricordi ha di quel periodo? Come ha iniziato? “La musica è stata sempre presente nella mia vita, anche quando ero molto piccolo. Quando arrivò la televisione, nel ’59, io come la maggior parte dei fiumani, passavo buona parte del tempo a seguire i programmi della tv italiana. Sono cresciuto nel rione di Montegrappa, quasi tutti parlavamo il fiumano e quindi era naturale seguire la RAI, che a quel tempo presentava dell’ottima musica, da Louis Armstrong a Franco Cerri, fino alla cantante regina dello stile bossanova, Astrud Gilberto. Rimasi affascinato dalle grandi orchestre sinfoniche, così iniziai a suonare il violino. Sempre in quegli anni, mi trasferii con la mia famiglia a Jušići e lì, per la prima volta, presi in mano una chitarra. Con un mio amico italiano di Mestre, che aveva dei parenti proprio a Jušići e che veniva qui ogni estate, suonavamo tutte le mattine. Così, con il passare degli anni, mi appasionai sempre di più alla chitarra e nel 1964 incominciai a suonare con la mia prima band in giro per la Regione. Preferivo suonare che fare altro”. Com’era la scena musicale fiumana di quegli anni? Quali possibilità avevano i giovani musicisti? “La maggior parte della scena era formata da orchestre che suonavano un repertorio classico. Intorno al 1963-64 cominciarono a formarsi le prime soft rock band, come i “Sonori”, gli “Uragani”, e altri gruppi. Nel ’69 formai la mia prima band seria, i “Grejs”. Noi giovani suonavamo molto in giro per i cosiddetti ‘plesnjaci’ (balli per giovani molto in voga all’epoca, nda), e posso dire che eravamo molto richiesti”. Come vede oggi il jazz a Fiume? “Oggi la qualità è molto più alta che all’epoca. I giovani hanno la possibilità di andare a studiare all’estero, Austria e Italia in primis, in accademie e conservatori che danno loro una formazione musicale eccellente. Ai nostri tempi era inimmaginabile. Oggigiorno ci sono molti bravi musicisti e questo aumenta la concorrenza e di conse- guenza la qualità della musica. Purtroppo, a differenza di quando incominiciavo io, gli spazi dove potersi esibire oggi sono sempre più scarsi. I balli per giovani non esistono più, i locali che propongono musica non commerciale tendono a chiudere. Per fortuna è attiva una scena jazz composta da giovani e meno giovani, consapevoli delle proprie qualità, che si impegnano a mantenere viva e ad ampliare la corrente jazz in Regione”. Un laureato in fisica e matematica, senza un giorno di scuola o accademia musicale, diventa un importante e stimato jazzista. Come è riuscito a unire la logica con la creatività? “La logica stimola la creatività. Sono molto simili. La logica, la matematica e la musica sono profondamente unite, soprattutto per quanto riguarda il jazz. Il jazz è un genere musicale creativo che ti impone di lavorare entro determinati schemi e questi schemi hanno regole ben precise che devono essere seguite, altrimenti si rischierebbe il caos. È una musica che implica a fare scelte veloci. A volte, in pochi secondi devi riuscire a passare da uno schema all’altro senza perdere il filo conduttore, ed è proprio la logica a tenere unito questo filo. Anche se può sembrare strano, la logica, la creatività e la musica sono profondamente legate tra loro”. Lei è stato uno degli ospiti più attesi dell’ultima edizione del festival “Jazz Time”, al quale si è esibito con il suo gruppo “Spart Jazz”. Dopo quarant’anni di carriera, avverte ancora quell’ansia e quell’emozione prima di salire sul palco, oppure è diventata ormai una routine? “Sempre. Prima di un concerto c’è sempre un po’ di paura, di emozione, anche perché sento l’obbligo e la responsabilità di dovere soddisfare coloro che sono venuti ad ascoltarmi. Al Jazz Time ho partecipato con i migliori musicisti fiumani e quindi è stato abbastanza facile entrare nel ruolo”. Proprio durante il “Jazz Time” ha presentato il suo primo album di stampo jazz dal titolo “Nekoli- ko riječi” (Qualche parola). Come mai ha atteso così tanto? “Per una questione di tempo. Ho lavorato al cantiere ‘3. maj’ fino all’anno scorso in qualità di responsabile del settore informatico. Un lavoro che mi ha tenuto molto occupato. Da quando sono in pensione ho avuto il tempo di concentrarmi e dedicarmi al CD, ho aggiunto dei testi, alcuni li ha scritti la cantante Astrid Kuljanić e in maniera spontanea è nato l’album ‘Nekoliko riječi’”. Ci sono stati periodi nella sua carriera in cui ha pensato di abbandonare la musica? “C’è stato un periodo, dal 1995 al 2000, quando andai a lavorare in Italia e abbandonai, o meglio dire, dedicai meno tempo alla musica, anche se avevo sempre la chitarra con me”. Domanda inversa. Ha mai pensato di abbandonare il lavoro al “3. maj” per dedicarsi completamente alla musica? “È successo anche questo. Sarei dovuto andare però all’estero e le possibilità di farlo erano poche. Poi c’è la mia famiglia: una persona fa fatica a mollare tutto per incominciare daccapo. Io ho sempre tentato di conciliare il lavoro e la musica, di tenerli uniti. Da quando sono in pensione è più facile”. Dopo 40 anni in scena, c’è un concerto che ricorda con maggior piacere, una collaborazione che le è rimasta particolarmente impressa? “Ci sono tanti bei ricordi. Per dieci anni ho partecipato al Liburnia Jazz Festival, al quale hanno suonato i più grandi jazzisti contemporanei a livello mondiale. Ho fatto parte del ‘Denis Razz Quartet’ con i quali abbiamo fatto da apripista al concerto degli statunitensi ‘Steps Ahead’ (gruppo jazz, tra i più importanti a livello mondiale, nda). Ricordo con piacere l’esperienza con l’orchestra di Pepi Forenbaher, con la quale ho fatto un mini tour. Ci sono stati poi tanti altri bei momenti di musica che mi rimarranno impressi per sempre”. Secondo una leggenda metropolitana, tra i jazzisti circolerebbe tanta invidia, gli spazi sono pochi e i musicisti sempre più numerosi. Cosa dice a proposito? “Lo pensa la gente che sta fuori da questo mondo. Io ho suonato veramente con tutti, cambiato decine di band. Quando non posso suonare a un concerto chiamo qualcun altro a sostituirmi e viceversa. Le persone che vivono soltanto di jazz, devono essere sempre attive e sempre pronte a suonare”. Che cos’è per lei la musica? Una professione, una passione, un hobby? “Devo dire innanzitutto che la amo, soprattutto il jazz. Onestamente parlando, per me è sempre stata una soddisfazione avere la chitarra in mano, grazie ad essa sono riuscito a studiare e a diventare economicamente indipendente. Per 20 anni ho accompagnato Duško Jeličić nella band “Bonaca”e posso dire tranquillamente che è stato grazie alla musica che sono riuscito a costruire una casa per me e per la mia famiglia. Quindi, oltre a rappresentare una grande soddisfazione personale e un arrichimento culturale, c’è stata nel tempo anche la parte economica. Oggi, purtroppo, per i giovani musicisti non è così”. Che cosa la stimola a fare ancora musica con tanto entusiasmo, dopo così tanto tempo? “Io sono un dei pochi ‘rimasti’ della mia generazione e continuo su questa strada. In me non è venuta mai a mancare la voglia, l’entusiasmo di continuare. A proposito, all’ultima edizione del Jazz Time sono venuti ad ascoltarmi i miei vecchi compagni del gruppo “Grejs”, nessuno di loro suona più e si sono meravigliati del mio entusiasmo e di come mi dedichi ancora alla musica con tanta passione. Di recente mi sono anche comprato un nuova chitarra e quindi me la vedo buona: davanti a me ci sono ancora tante notti insonni, tanti altri concerti. Un nuovo inizio. Come diceva un pianista famoso: ‘Se vuoi suonare il jazz, lo suonerai per sempre e sarai sempre insoddisfatto perché non finirai mai di imparare. Quindi non smetterai mai’. Per me è una certezza”. musica 7 Mercoledì, 30 gennaio 2013 DONNE IN MUSICA Fu tra le musiciste più apprezzate del suo tempo La luminosa parabola di Laura Sirmen a cura di Clio Rostand I personaggi di musiciste e compositrici donne, sebbene piuttosto rare, a partire dal Duecento, hanno disseminato la storia della musica attraverso i secoli con grande discrezione, rimanendo, spesso, ingiustamente nell’ombra. Di estrazione aristocratica e borghese – dunque appartenenti a uno status sociale che permetteva loro di apprendere, spesso con i migliori maestri del loro tempo, l’arte della musica – si mostrarono esecutrici strumentali, vocali e compositrici poliedriche, tanto da suscitare la vivace ammirazione dei massimi Maestri della musica della loro epoca. Il Settecento poi vide una fioritura notevole e ad esso appartiene pure la compositrice, violinista, cantante lirica, clavicembalista e violoncellista italiana Maddalena (Madelena) Laura Sirmen (oppure Syrmen) nata Lombardini (Venezia, 9 dicembre 1745 – Venezia, 18 maggio 1818). Sangue blu Nacque da una famiglia aristocratica caduta in miseria e nel 1753, all’età di otto anni, iniziò i suoi studi, presso uno degli orfanotrofi veneziani, l’Ospedale dei Mendicanti, nel quale fece l’intero percorso formativo musicale. Nel 1759, cominciò a prendere lezioni dal grande Maestro delle Nazioni, Giuseppe Tartini, il quale le inviò il 5 marzo 1760 una famosa lettera nella quale descriveva i principi basilari del proprio metodo didattico: un documento sulla tecnica violinistica che ebbe enorme successo durante tutto il XIX secolo e ancora oggi studiato dagli specialisti del violinismo settecentesco. Inoltre, la Sirmen studiò composizione con Ferdinando Bertoni, maestro del coro dell’Ospedale e con tutta probabilità anche con Tartini. Matrimonio e libertà Composizioni - 6 quartetti per archi - 6 trii per 2 violini e violoncello obbligato, op. 1 - 6 concerti per violino e orchestra, op. 3 - 6 duetti/sonate per 2 violini, op. 4 - Sonata il la magg. per violino e basso continuo - Trio in si magg. per 2 violini e violoncello obbligato modo che la liberasse, trovandole al tempo stesso un contratto presso la corte di Dresda, ma il suo tentativo non andò a buon fine. L’anno successivo si sposò con il violinista e compositore Lodovico Sirmen (1738-1812). Nel 1768 la coppia iniziò un lungo viaggio che li porterà a riscuotere grandi successi attraverso l’Europa. Suonarono a Torino e diverse volte ai Concert Spirituel a Parigi, dove nel 1769 pubblicarono sei quartetti per archi: anche se il frontespizio reca la dicitura “Composta Da Lodovico, E Madelena Laura Syrmen”, stilisticamente tali composizioni sono interamente attribuibili a lei. La celebre signora L’unico motivo per cui una ragazza poteva lasciare l’OspeLombardini dale era il matrimonio. Tartini, Nel gennaio del 1771, la Sirche aveva preso a cuore il talento della giovanissima Mad- men fu a Londra, dove venne andalena, nel 1766 si adoperò per nunciata come “the celebrated Mrs combinare un matrimonio di co- Lombardini Sirmen”; riscosse nu- Considerazioni sull’artista La Sirmen, una delle numerose e celebri allieve della scuola di Tartini, fu in vita molto ammirata soprattutto come violinista. Uguale successo non lo raggiunse, invece, come cantante lirica, così come testimonia Charles Burney relativamente al suo soggiorno londinese: “La musica della Sirmen fu ampiamente diffusa, conosciuta e apprezzata nella sua epoca: i suoi concerti risultano essere stati ripresi in varie città europee, tra cui Stoccolma nel 1774 e a Salisburgo nel 1778. Essa contribuì a traghettare le forme strumentali dal barocco al classicismo. In questo senso, sono interessanti alcuni esperimenti, come merosi consensi come violinista per due stagioni consecutive, suonando in varie serie di concerti e teatri, mentre nella seconda fu attiva con ugual successo come cantante. Sempre nella capitale inglese nel 1772-3 diede alle stampe i l’alternanza di movimenti ritmici diversi all’interno del Rondò finale dei suoi trii e quartetti, che si presentano in gran parte costituiti da due movimenti. Anche i concerti per violino presentano un momento importante della transizione stilistica tra il linguaggio tartiniano e quello classico di Mozart e Haydn; il primo movimento è generalmente in forma sonata, il secondo in tempo binario e il terzo e ultimo movimento segue il modello del rondò. Tuttavia, negli anni ‘80 del secolo, già il suo stile era considerato alquanto sorpassato, ancorato com’era alla tradizione compositiva italiana della metà del ‘700. suoi sei concerti per violino Opera 3. Dopo il soggiorno inglese, suonò e cantò in diverse città italiane, nuovamente a Parigi, a Dresda e nel 1783 a San Pietroburgo. Nel 1785 apparve nuovamente ai Concert Spirituel, dove tuttavia i suoi concerti per violino furono criticati per il loro stile ormai fuori moda. Declinando la sua carriera, la Sirmen si stabilì definitivamente a Ravenna e nella città natale, dove trascorse il resto della sua vita. 8 musica Mercoledì, 30 gennaio 2013 VOCI STORICHE Gli splendori vocali di un grande personaggio dell’arte lirica Fedora Barbieri, protagonista assoluta U na delle voci storiche della lirica che non verranno mai scordate è quella di Fedora Barbieri (Trieste, 4 giugno 1920 – Firenze, 5 marzo 2003), mezzosoprano e contralto italiano tra i maggiori della seconda metà del Novecento. Cominciò giovanissima a studiare canto sotto la guida di Luigi Toffolo. Dopo pochissimi mesi vinse una borsa di studio indetta dal Teatro Lirico di Firenze, passando quindi a studiare alla scuola del Maggio musicale fiorentino sotto la guida di Giulia Testra. Esordì il 4 novembre 1940 come Fidalma ne “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa al Teatro comunale di Firenze, con immediato e caloroso successo. Nel 1941 interpreta il ruolo di Dariola nella prima assoluta del “Don Juan de Manara” di Franco Alfano al Maggio musicale fiorentino. Partecipa alle riesumazioni del Maggio musicale fiorentino, cantando ne “Il ritorno di Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi (Firenze 1942) nell’Orfeo, pure di Monteverdi, (Cremona 1942) e nel “Flaminio” di Giovanni Battista Pergolesi (Siena 1943). Si tratta di opere per l’epoca sconosciute, che le danno larga fama. Canta all’estero per la prima volta in Polonia nel 1941. Alla Scala debutta nel 1942, con la Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven diretta da Victor De Sabata; si esibisce rego- QUIZ 1. Come si intitola l’opera di Giuseppe Verdi, con la cui prima rappresentazione è stato inaugurato, il 24 ottobre 1871 a Cairo (sotto la direzione del Maestro stesso), il del Canale di Suez? a) Macbeth b) Aida c) Falstaff zioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi? a) La Traviata b) Macbeth c) Nabucco 7. L’oratorio “La passione secondo Matteo“ è la composizione di Johann Sebastian Bach più... 2. Chi è l’autore e l’interprete a) celebre della canzone “Skyfall“, scritta b) complessa per l’omonimo film, ultimo della c) lunga serie su James Bond? a) Adele 8. È uno dei brani più celebri b) Caro Emerald e maggiormente eseguiti del XX c) Lily Allen secolo, scritto nel 1971 dall’exBeatle John Lennon, che venne riproposta da numerosi musicisti, tra cui anche Madonna, Elton John, Stevie Wonder, Joan Baez, Diana Ross... Si tratta di: a) Woman b) Imagine c) Give peace a chance 9. Nadia Boulanger (18873. Nel 2013 si celebra il bicentenario della nascita di quali due grandi dell’opera? a) Vincenzo Bellini e Gioachino Rossini b) Ruggero Leoncavallo e Giacomo Puccini c) Giuseppe Verdi e Richard Wagner 4. Si intitola “Smile” il famoso brano, divenuto un classico nell’esecuzione di Nat King Cole nel 1954 e ripreso negli anni successivi da numerosi musicisti, che fu scritto originariamente nel 1936 come composizione strumentale da... a) Clint Eastwood b) Charlie Chaplin c) Robert Altman 1979) fu una compositrice, direttrice d’orchestra e insegnante francese, che istruì numerosi protagonisti della scena musicale del XX secolo, tra cui Aaron Copland, Philip Glass, Astor Piazzolla e altri. Fu la prima donna a dirigere le maggiori orchestre degli Stati Uniti e d’Europa, con le quali eseguì alcune prime internazionali, tra cui rientrano pure composizioni di Copland e... 5. La Bank of England ha a) Arnold Schönberg pubblicato di recente una lista di b) Sergej Prokofjev 150 personaggi britannici di cui c) Igor Stravinski uno andrà a sostituire il grande naturalista Charles Darwin sulla 10. Il famoso attore inglebanconota da dieci sterline. Nel- se Dudley Moore (1935-2002), la lista, compilata in base ai sug- noto soprattutto per i film di gerimenti dei cittadini del Regno grande successo “10“ e “Arthur“, Unito, figura pure il leggendario è stato pure un ottimo musicista, frontman dei Rolling Stones... sia nell’ambito della musica cola) Ian Gillan ta, sia nell’ambito del jazz. Moob) Mick Jagger re suonava il... c) Robert Plant a) pianoforte b) violino 6. Come si intitola l’opera c) clarinetto con la quale il Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc“ ha inaugurato recentemente le celebra- larmente nel massimo teatro lirico a partire dal 1945. Debutta al Metropolitan Opera di New York nel 1949, dove torna assiduamente nel 1950-’54, 1956-’57 e 1967-’68. Interpreta il ruolo della principessa di Eboli nel “Don Carlos” di Giuseppe Verdi nella stessa data in cui Rudolf Bing assume la sovrintendenza del teatro. Approda al Covent Garden di Londra nel 1950 in tournée con la Scala, cantando come Mistress Quic- Repertorio Aida (Amneris), Il trovatore (Azucena), Don Carlos (Eboli), Un ballo in maschera (Ulrica), Falstaff (Mrs. Quickly), e ancora, Carmen, Ulrica, Eboli... kly nel “Falstaff” di Giuseppe Verdi e nel “Requiem” dello stesso autore. Tornerà al Covent Garden nel 1957-’58 e nel 1964. Nel 1970 interpreta il ruolo della Moglie nella prima assoluta de “L’idiota” di Luciano Chailly all’Opera di Roma, portando il suo repertorio a un totale di 109 ruoli. Grande Azucena ed Amneris Voce di bellissimo timbro, interprete esuberante e intensa nei ruoli drammatici (Azucena ne “Il trovatore”, Amneris nell’”Aida” tra gli altri), per tempo preferì staccarsi dai ruoli di seduttrice, in cui pure eccelleva (“Carmen” di Georges Bizet, Dalila in “Sansone e Dalila” di Saint-Saëns) per privilegiare i ruoli di carattere, primo fra tutti quello di Quickly nel Falstaff di Verdi, del quale è considerata interprete ineguagliata. Per contro, fu capace di maestosa compostezza nelle interpretazioni sei-settecentesche, tra cui si segnala un “Orfeo ed Euridice” di Christoph Willibald Gluck, cantato alla Scala sotto la guida di Wilhelm Furtwängler. È stata compagna ideale di Maria Callas in molte recite e incisioni discografiche. Nella lunghissima fase finale di carriera (protratta fin oltre i 70 anni di età) non disdegnò ruoli di comprimariato in produzioni di altissimo livello: l’Ostessa del “Boris Godunov” alla Scala, Berta in un “Barbiere di Siviglia” discografico (con Milnes, Sills), Mamma Lucia nella versione filmata da Franco Zeffirelli di “Cavalleria rusticana”, addirittura Giovanna nel “Rigoletto” filmato da J. P.Ponnelle, al fianco di Luciano Pavarotti. Anno IX/ n. 66 del 30 gennaio 2013 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Ivana Precetti Božičević / Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Helena Labus Bačić, Marin Rogić, Clio Rostand e Patrizia Venucci Merdžo / Foto: Ivor Hreljanović e Goran Žiković Soluzioni: 1. b), 2. a), 3. c), 4. b), 5. b), 6. b), 7. c), 8. b), 9. c), 10. a)