Relazione09_Lasessualitànellacoppia_profVegliaFabio

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DIOCESI DI
COMO
MINISTERO NUZIALE
SCUOLA DIOCESANA 2014-2015
FORMAZIONE
PASTORALE
Secondo Tempo – Como, 25-26 ottobre 2014
Relazione 9
La sessualità nella coppia
Prof. Fabio Veglia
PRIMA PARTE
Grazie dell'invito, come sempre gradito tantissimo.
Mettiamo insieme un po' dei nostri pensieri, dei nostri affetti e dei nostri corpi che abbiamo già
incontrato adesso in questo momento di attenzione olistica alla nostra persona, per costruire un breve
cammino nella giornata di oggi che sia però il segno di un grande cammino, quello che noi vorremmo
soprattutto accompagnare nel cammino delle nostre famiglie, dei nostri figli.
Mi sembra che questa scuola che voi state frequentando e che voi state costruendo insieme a chi vi
guida, sia soprattutto una scuola di testimonianza, che al di là delle parole che vi sapremo dire ci saranno le
nostre storie vive nella comunità. E questo è lo spirito con cui cercherei di parlare con voi e di lasciare
soprattutto tanto spazio a voi perché possiate raccontarvi.
È tanto difficile trovare le parole giuste per parlare di sessualità, ma dove mancano le parole ci sono i
nostri sguardi, ci sono le nostre mani, ci sono anche solo in nostri modi di porgerci agli altri. E quindi
cercheremo di navigare tra queste due dimensioni: quella più legata al formulare pensieri e quella più
legata invece a incarnarli.
C'è una frase che proveremo a percorrere, a usare, è una frase forte che diciamo a volte con un po' di
imbarazzo: fare l'amore. Eh, fare l'amore è una frase meravigliosa, perché vuol dire che questo amore
pensato, questo amore detto con le parole, a volte dichiarato, diventa finalmente un fatto, diventa
l'espressione della nostra vita. Spesso pensiamo ai nostri corpi nudi, a quello che fanno i nostri organi
genitali, sicuramente una parte molto godibile del fare l'amore, però in realtà il fare l'amore è anche ciò che
possiamo fare qui insieme, è ciò che possiamo fare con i nostri bambini, ciò che possiamo testimoniare
nelle nostre case, quando ci guardiamo con il desiderio di rendere il nostro sentire un gesto partecipato. E
questo è quindi un po' l'invito che io vi faccio, ognuno lo accoglierà come vorrà e anche nella dimensione,
nella quantità che sentirà opportuna, ma l'invito è a non partecipare solo con la testa, ma partecipare a
questa giornata con la nostra persona intera. E se possibile, oltre che metterci reciprocamente in ascolto,
anche scommettere un po' sul racconto, portare piccoli frammenti della nostra storia, tutte le parole che
diremo si trasformeranno e ci trasformeranno perché diventeranno la nostra presenza, la nostra presenza
reale, diciamo un po' come il lievito nella pasta, che tante volte è citato come metafora per dire che cosa
dobbiamo fare dentro le relazioni.
Bene, comincio io perché sono stato invitato a farlo, appena potete smontiamo la posizione ad aula e
costruiamo la posizione a cerchio.
Come atteggiamento io proverei ad utilizzare con voi quello della semplicità e spero che la semplicità
non sia mai confusa con la banalità o la superficialità, anzi direi che essere semplici è una conquista:
passiamo la vita a cercare la semplicità attraverso percorsi molto complicati e poi ogni tanto scopriamo che
basta tacere, che basta volgere lo sguardo, che basta aprire il cuore e c'è tutto quello che abbiamo cercato
in chissà quali e quante parole. Ma questa semplicità, però, cerchiamola insieme se no rischiamo di
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perderci quando andiamo incontro agli altri. Il primo a porsi questo problema sono io. Io sono stato invitato
prima di tutto, spero, come Fabio e spero di essere parte di questa comunità anche se sono sempre un po'
in transito, non abito a Como, ma sono molto, molto affezionato, il mio cuore è molto vicino alla vostra
realtà. E poi sono stato chiamato come studioso di questa materia, diciamo, come esperto. E quindi
cercherò di parlarvi principalmente come un amico anche però ricordando il mio mestiere, la mia
professione, che è fare lo psicologo e poi anche fare l'insegnante e un po' fare il terapeuta e quindi
prendermi cura delle persone che fanno fatica e fare il ricercatore, studiare le cose, cercare di capirle, di
capire un po' di più. E allora mi verrebbe da parlare difficile, da usare le parole degli scienziati, che si usano
negli articoli scientifici, che si usano nei congressi, ma non lo farò, o meglio, faremo le traduzioni, cercherò
di parlare come si parla in casa, perché è il luogo dove vorremmo testimoniare ciò che si impara in questa
scuola. E poi vi rassicurerò con qualche parola scientifica, per sire, sì, non è la fantasia di Fabio. Ma c'è
anche un po' di studio, un po' di ricerca, insomma qualche cosa abbiamo cercato di capirlo...
e vi invito a fare la stessa cosa perché a volte vi sembrerebbe di non poter dire perché vi mancano le
parole scientifiche perché forse solo alcuni di voi si occupa di medicina o di psicologia, o magari anche
nessuno, fate altre professioni, e potreste dire: - Come faccio a parlare di sessualità ai ragazzi che crescono,
agli amici? Come faccio a farlo diventare un discorso condiviso se mi mancano le parole? Ma non è vero!
Abbiamo tutte le parole che usiamo in casa e quindi tranquillamente privilegiamole. Sono le parole migliori,
sono le parole giuste. A volte si pensa che le parole giuste siano quelle scientifiche, ma non è vero, sono
quelle giuste per parlarsi tra scienziati e poi bisogna invece tradurle tra le persone. Questo è un ostacolo:
tutte le volte che parliamo di sesso diciamo: - Non so come lo dirò! Raccontiamolo, raccontiamolo e
pensiamo sempre a un bambino.
Del resto, essere chiamato come esperto mette molto in imbarazzo perché ricordo sempre le
bellissime parole di Gesù quando ringrazia suo Padre e c'è una nota, una nota molto bella perché ringrazia
con il suo corpo oltre che con le sue parole. La traduzione letterale sarebbe “trasalì di gioia”: è come
quando il nostro corpo ha un brivido di gioia; e dice: - Ti ringrazio Padre, perché hai tenuto nascoste queste
cose ai saggi e ai sapienti, cioè a quelli che hanno studiato, e le hai rivelate ai piccoli. Ecco questo è
misteriosissimo, però quando uno viene chiamato come esperto subito dice: - Sto facendo la cosa sbagliata!
Da saggio, da studioso non ho capito niente!
È vero. O non ho capito niente di quello che stavamo cercando. Quindi mettiamoci in questa
prospettiva: tra piccoli per parlare con i piccoli, e poi studiamo anche un po', così, perché ci è dato di dare il
nome a tutte le cose, come il mandato che c'è nella Genesi: vi consegno il mondo, voi studiatelo, cercate di
comprenderlo così lo ricreate una seconda volta, nominandolo. Questo è molto bello! Quando diamo un
nome a un bambino, quando gli insegniamo i nomi delle cose è come se venendo al mondo lui partecipasse
a rigenerarlo insieme. Ecco questo era l'atteggiamento che volevo raccomandarvi, che proverò a usare: da
piccoli che guardano il mondo, cercando di conoscerlo e poi si affidano a chi gli rivela la parte nascosta.
Ecco, questa è la prima cosa che volevo dirvi del sesso: che è un grande mistero. E noi vogliamo
parlare di un mistero, vogliamo vivere un mistero. Beh, ma tu lo studi da tanto... beh, sì facendo due conti,
sono 35 anni che faccio questo mestiere, un po' più di 40 che provo a studiare questo oggetto misterioso
che è la sessualità e quando per esempio faccio lezione all'università e introduco qualcuno dei miei corsi
che parla di sessualità umana dico: - Ragazzi, siamo nei guai! Tanto nei guai! Perché io devo parlare per un
anno di un oggetto che non conosco tanto bene.
Ma alla domanda che cos'è la sessualità? La mia risposta più onesta è: non lo so.
E allora come fai a dire che fai lo psicologo, il sessuologo... faccio quello che posso, faccio piccole cose.
Allora il mio suggerimento è proprio questo: un'umiltà che ci fa forti; l'umiltà di chi cerca, non l'umiltà di chi
ha trovato, e sa che deve continuare a cercare perché la persona umana è un mistero. Però è un mistero
meraviglioso, basta non subirlo e provare ad abitarlo. Se il mistero lo dobbiamo subire, ci schiaccia, ci
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opprime, diventa tutto buio, diventa tutto anche insopportabile. Ma se questo mistero noi lo abitiamo, lo
percorriamo, ce ne lasciamo permeare, lasciamo che sia dentro di noi e ci parli da dentro di noi e allora
siamo come i piccoli a cui sono rivelate le meraviglie di questo mistero. E un po' di questo mistero lo
conosciamo insieme, lo conosciamo nelle carezze, quando finalmente l'altro ci viene incontro ed è un
mistero che ci viene incontro e si svela, si fa conoscere nelle sue carezze e noi corriamo questo rischio di
mostrarci a lui.
Noi studiosi all'università non troviamo niente di tutto questo, perché siamo costretti a studiare atomi,
molecole, meccanismi, processi, movimenti che sono soltanto la parte che si vede, sono soltanto la
sembianza, il modo di apparire delle cose che vogliamo conoscere. Ma quando qualcuno ci invita e ci dice: Vieni! E io mi mostro in quelle carezze, noi troviamo ciò che nessuno scienziato sarà mai capace di
incontrare e di conoscere. Con questa umiltà, con questo essere piccoli, essere piccoli ma forti e anche
insistenti: noi vogliamo sapere, vogliamo la verità e anche oggi la cercheremo, un pochino insieme. Sembra
così un po' un paradosso: i forti son quelli che sanno... No! I forti son quelli che cercano. E cercano
consapevoli che la persona umana è un mistero anche perché forse è la testimonianza e la memoria,
l'immagine di un mistero più grande, di un mistero che però si vuole far raccontare. E questo è bello. È bello
perché noi abbiamo i racconti per abitare i misteri, più che le equazioni, le formule scientifiche... un po' ci
aiutano anche quelle.
Ecco, io sono costretto a stare con voi a metà strada, a sentirmi un po' studioso, un po' ricercatore, e
un po' piccolo che insieme a voi cammina e si fa prendere in braccio da chi il mistero lo conosce perché lo è.
Adesso però proviamo a fare la nostra parte. Deciso che è un mistero e che è bello che lo sia,
proviamo a parlarne. E viene la parte difficile, perché non riusciamo a parlare del mistero. Beh, io ve lo dico
male perché non so dirvelo meglio, perché noi quando siamo vicini a cose difficili usiamo dei trucchi, dei
trucchi non per imbrogliare, ma dei metodi, che ci permettono di fare qualcosa lo stesso, anche se è tanto
difficile. E allora dobbiamo scegliere i trucchi, i buoni trucchi che ci danno una mano per fare un discorso
altrimenti inarrivabile.
Io vi propongo un paio di trucchi e ve li propongo perché li possiate usare. In realtà sono gli stessi
trucchi che si usano nel metodo scientifico. Se li usiamo in casa ci aiutiamo a esplorare il mistero. Sappiamo
comunque che sono trucchi di buona qualità perché sono gli stessi che usano quelli che nei laboratori o nei
centri di calcolo provano a strappare dal mistero qualche notizia e avere un po' più di verità a disposizione.
Il primo trucco è tenere ciò che vogliamo conoscere sempre in movimento: quando lo fermiamo non
riusciamo più a capire di che si tratta. Questo movimento che questa mattina lo abbiamo chiamato
cammino, per esempio, è la porta principale per conoscere. Se siamo di fronte a un oggetto fermo è come
se siamo di fronte già alla morte, a qualcosa che ci ha congelati. La morte vista da questa parte perché la
morte invece potrebbe essere vista come il più grande dei movimenti. Però, noi sappiamo che la morte ci
ferma quaggiù. E allora se noi studiamo il sesso mettendolo negli schemi, nelle frasi che lo inchiodano e poi
lo fanno diventare magari solo più regole, allora noi non abbiamo più la dimensione viva della della nostra
personalità.
E dobbiamo domandarci: come faccio a tenerlo in movimento? Beh, allora, siccome parlare di sesso è
difficile, io parlerò di una carezza. Però vorrei che ci mettessimo d'accordo su cos'è carezza. Oggi carezza
sarà qualunque gesto minimo, impercettibile che abbia dentro di sé un'intenzione sessuale, che cerchi
l'altro, che avvicini l'altro o addirittura che cerchi me stesso, perché a volte i gesti sono diretti alla nostra
persona, ma con un'intenzione sessuale. Poi questa parola cercheremo di aprirla. Per adesso cerchiamo di
intuirla. Quindi la carezza di cui parleremo oggi è la carezza sessuale, non è la carezza che facciamo ai nostri
bambini, è la carezza che ci facciamo tra persone grandi o che si fanno tra di loro i bambini quando giocano
la loro sessualità. Questa carezza possiamo guardarla. Se la fermiamo non ci dice più nulla, è morta, ma se
la teniamo in movimento possiamo intuirne tre grandi movimenti.
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Il primo è il più semplice, il più intuitivo: nasce da uno stato interno, e questo stato interno lo
dobbiamo conoscere e ascoltare. E per ascoltarlo ogni tanto dobbiamo rallentare il cammino come
abbiamo fatto prima. Si dice fermarsi... fermarsi è pericoloso: rallentare. Rallentiamo e sentiamo cosa c'è
dentro di noi: da lì nasce la carezza. A volte vengono fuori delle carezze brutte: la gente sta così male
quando la tocchiamo, quando l'avviciniamo. Ma a volte noi siamo distratti e diciamo: - Ma perché? Ti ho
solo toccato, sei mia moglie, sei mio marito. Che ti prende?
E certo, ascoltati! Da dove nasce la tua carezza? Qual è il tuo stato interno? Sono arrabbiato e ti tocco.
Dammi uno spintone. Non farmi una carezza: è più chiaro. Dammi uno spintone e io non mi confondo.
Invece se tu mi tocchi e sei arrabbiato come quando invece mi vuoi bene: allora no, non ti capisco più.
Quindi prima di tutto: ascoltiamoci, rallentando e sentiamo che c'è uno stato interno. Qui c'è un mondo
intorno a noi. Ad esempio c'è lei che passa in casa, c'è lui che torna a casa. E questo mondo fa nascere
carezze, fa nascere voglia di carezze. Quindi, diciamo, una carezza nasce da uno stato interno e da ciò che ci
succede, da ciò che le persone per esempio ci fanno accadere, si fanno desiderare. Qui diventa
un'intenzione. E questa intenzione genera un movimento. E questo movimento che prima è soltanto nei
nostri neuroni si traduce in gesto. Ed è corpo: è sempre corpo una carezza, le carezze scorporate sono
strane. E questa carezza genera qualche cosa che prima non c'era. Cambia il mondo. Cambia il mondo
intorno a noi, a cascata: qualche volta cambia proprio il mondo. Se io accarezzo la mamma, cambio la vita
dei bambini, dei bambini che son già nati, non di quelli che voglio fare con te. Perché quando accarezzo la
mamma, la mamma sorride e porta quel sorriso al bambino e allora magari ha un po' più di pazienza, in
certi momenti, si ferma ad ascoltare perché si sente riconosciuta in quella carezza e così ha voglia di
riconoscere qualcun altro che magari sta facendo un capriccio, non mi viene subito voglia di chiudermi. E
poi questi bambini vanno a scuola e quando vanno a scuola che sono stati accarezzati così dalla mamma
che era stata accarezzata dal papà sono più attenti, perché si sentono più riconosciuti anche loro e hanno
più voglia di capire una cosa. Mi spiego? Allora questa carezza sessuale è generativa, non soltanto perché fa
bambini, ma perché continua a generare nel mondo un po' di riconoscimento, un po' di legame, un po' di
presenza, un po' di amore. Quindi quando noi diciamo che siamo generativi diciamo una cosa importante,
ma non soltanto perché facciamo incontrare un ovolo con uno spermatozoo, molte volte non lo facciamo,
molte volte sappiamo che non è il momento di farlo, molte volte non lo vogliamo fare, ma continuiamo a
essere generativi perché la nostra sessualità continua a generare cambiamenti nel mondo e, si spera, di
buona qualità. L'ho fatta un po' lunga... poi in realtà le carezze si vivono nella meraviglia dell'immediatezza,
ne parleremo tra poco. Mica facciamo tutti questi ragionamenti mentre facciamo le carezze. Però ogni
tanto le nostre carezze sono turbate e turbano. Allora è proprio il caso di rallentare e di dedicare un breve
spazio al pensiero. E possiamo domandarci: che cosa mi spinge a toccarti? Forse tu me l'hai fatto venire in
mente o forse qualcosa che c'è dentro di me?che forma sto dando a questa carezza? Qual è la mia
intenzione? Dove sto cercando di incontrarti? E poi, che cosa ha generato questa carezza? Sono i momenti
cosiddetti di riflessione, i momenti che si alternano continuamente nella nostra giornata ai momenti di
immediatezza. Immediatezza vuol dire che non sono mediati da altri processi della mente che sono un po'
più lenti e che richiedono un po' più di spazio. Ognuno ha i suoi momenti, ad esempio io che viaggio tanto
ho i miei momenti di riflessione in macchina, e va beh, son da solo, un po' di musica... e ripenso o immagino
ciò che starà per accadere. Altri momenti sono difficili perché son sempre insieme. Allora ogni tanto dico: Sentite ragazzi, fermiamoci un momento. Pensiamo a ciò che sta capitando. E ci prendiamo gli spazi per la
riflessione. A volte mia moglie mi dice: - Aspetta, adesso io prima ti devo parlare. E mi chiede uno spazio di
riflessione. Okay, si alternano agli spazi dell'immediatezza, dove semplicemente andiamo a tavola,
spezziamo il pane, versiamo il vino, e poi lo condividiamo, facciamo un po' di festa. Non pensiamo: adesso
cosa faccio? Dove metto le mani? Come bevo il vino? Mi spiego? Però poi invece ogni tanto rallentiamo, ci
pensiamo. Ecco, questo viene anche dalla scienza, dagli studi che facciamo. Però non penso che bisogna
essere scienziati per usarlo, è un modo semplice per dire: vivo in presa diretta, ogni tanto rallento, ogni
tanto mi creo spazio e vado a cercare notizie su che cosa ha generato la carezza? Come l'ho realizzata? Che
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cosa ha prodotto nel mondo? Magari si può fare, anche con i ragazzi. I ragazzi sono attenti e presi bene ogni
tanto si concedono i momenti di riflessione.
Però non basta. La carezza è generata anche da un altro movimento. Molto più grande. La chiamiamo
la storia della nostra vita. Tutto un movimento, tutto un cammino. È un fluire di eventi, di esperienze. E la
cosa meravigliosa, se ci pensate, è che quando ricevete una carezza, quando proponete una carezza, voi
non state proponendo solo quella carezza, voi state proponendo una storia intera perché soltanto voi
potete accarezzare così. La vostra mano è guidata da tutto ciò che avete attraversato nella vostra vita. Nella
mano c'è la fatica della giornata, ma c'è anche la fatica di crescere, c'è la fatica di lasciare andare qualcuno,
c'è la fatica di tenercelo accanto. Nella mano c'è tutto questo. Sì, adesso non è tutto srotolato come un
papiro, con tutto il testo scritto. È intero, ma la mano non si muoverebbe così, le dita non toccherebbero
così se dentro quelle dita non ci fosse la memoria della nostra storia, di quando eravamo bambini, di
quando eravamo in braccio a mamma, di quando abbiamo guardato il primo ragazzo, la prima ragazza, di
quando eravamo confusi, di quando poi ci siamo capiti, di quando abbiamo per la prima volta respirato il
respiro di un altro, perché aravamo così vicini con la bocca che ci faceva quasi impressione, eppure che
meraviglia respirare il respiro. E questo lo portiamo nelle carezze di oggi perché la nostra storia è scritta
dentro il nostro corpo, il nostro corpo che parla. E allora possiamo dire tranquillamente, anche la scienza ci
dà ragione se lo diciamo, che ogni carezza è unica e irripetibile e dunque è per sua natura preziosa. Le cose
preziose sono i pezzi unici. Lo sapete che il prezzo di qualcosa aumenta se non ce n'è. E se ce n'0è uno solo
al mondo, sembra impagabile, sembra non avere prezzo. E le nostre carezze sono impagabili. Difatti, l'unica
cosa che possiamo fare è regalarcele, perché se mettiamo un prezzo: io ti faccio una carezza, se tu... ma no,
ma costa così una carezza? Quello è il prezzo di una carezza? Io ci metto dentro tutta la mia vita dentro alla
mano e tu mi dici che vuoi in cambio...mi spiego? Infatti quando dobbiamo scambiare la carezze e le
dobbiamo pagare, diventiamo tristi. Mi ricordo una volta che dovevo spiegare a una delle mie figlie che
cosa ci faceva una ragazza mezza nuda sulla strada e non sapevo come dirglielo perché era piccola, e le ho
detto: - La ragazza vende i baci a dei ragazzi a cui nessuno glieli dà, non son capaci. E lei ha detto: - Oh! Ma
che triste! È triste, è triste vendere i baci ed è triste comperare i baci. Perché i baci sono preziosi e non
hanno prezzo e quindi fare un prezzo al bacio vuol dire sciuparlo. Quante volte prezioso l'abbiamo sentito
anche nella preghiera stamattina. Prezioso significa unico e irripetibile. Come te non c'è nessun altro al
mondo e non c'è una carezza così. Ma mi dite: una volta che ho conosciuto uno quelle carezze saranno
sempre le stesse. No! No perché è uscito di casa, ha passato una giornata e dentro la mano porta quella
giornata. Porta la paura, la fatica, la festa. E queste sono le carezze. Se le ascoltiamo raccontano molte
cose. E ogni tanto nella vita c'è così tanto dolore e c'è un dolore vissuto così tanto da soli, che ci ha fatto
così tanto disperare (ricordate che la disperazione è l'unica cosa che dobbiamo contrastare sempre perché
ci fa perdere), che anche nelle nostre carezze c'è traccia di quel dolore. Son carezze che bruciano sulla pelle,
che pesano. Ci viene voglia di rifiutarle, di tenerle lontane. È giusto. I nostri confini van sempre
salvaguardati. E poi ogni tanto diciamo: ma perché stai così? Ma che c'hai? Ma perché mi tocchi così male?
E proviamo, proviamo ad andare incontro all'altro, all'altro sbagliato, all'altro che soffre male, all'altro che
non ce la fa. E così, ogni tanto riusciamo a salvarci. No, perché pensiamo sempre a cose un po' esagerate.
Pensiamo a delle santità molto lontane. Ma quante volte un marito salva sua moglie? Quante volte una
moglie salva suo marito? Davvero, lo risana! Lo risana perché c'era solo più dolore, c'era solo più
disperazione. E rischiare una carezza così è davvero eroico. Però poi sentirsi accolti ripara le ferite. Sempre?
Magari! Tante volte non ce la facciamo. Però, sì, le storie hanno questa possibilità, hanno questo potere.
Hanno il potere di trasformare le carezze, non soltanto di farle uniche e irripetibili, ma persino di
trasformarle e di risanarci profondamente.
Terzo movimento. Più grande ancora. Il primo era il gesto che si costruisce qui ed ora, ne presente. Il
secondo movimento è la storia che lo contiene, che lo consente e che lo genera. C'è un'altra storia ancora,
una storia più grande: è la storia della vita, della vita dell'universo, quella che noi conosciamo e che forse
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appartiene a un progetto ancora più grande. Noi conosciamo questo e ogni tanto abbiamo così qualche
bagliore, qualche sprazzo che ci fa intuire che forse la storia dell'universo è ancora una parte della Storia,
una parte enorme, sconfinata, ma forse c'è ancora oltre, altro. Queste parole oltre, altro ci inquietano, ci
fanno paura, però è la nostra voglia di infinito che ce le fa formulare. Allora, noi adesso stiamo su questa
storia quella che studiano gli scienziati e forse è una meravigliosa metafora della Grande Storia che
probabilmente ha un inizio, forse avrà un termine, magari lontano, speriamo, che abbiamo ancora da fare
da queste parti... e vogliamo capirlo, lo vogliamo studiare, lo vogliamo raccontare. E ci sono tanti racconti.
Ci sono i racconti della scienza, i racconti della rivelazione, ci sono i racconti dell'antropologia, cioè di come
noi stessi abbiamo provato a raccontarcelo e poi abbiamo conservato: i miti, le leggende. Ognuno prova a
dare il suo taglio, ognuno a suo modo per dire noi siamo parte di una grande storia. Le nostre storie di vita,
le nostre storie personali sono inscritte dentro un movimento, il grande movimento della vita. Cosa ci dice
questo movimento? Ci dice che nella nostra carezza, oltre che la traccia di ciò che ci è accaduto da quando
siamo stati concepiti fino ad oggi, c'è anche la traccia scritta (adesso cerco di dirvi con quali lettere) di tutto
ciò che nel mondo è accaduto da quando è stato creato. Oh, possiamo usare la parola creazione, o in altri
linguaggi, stando al metodo della scienza, da quando ha incominciato ad esistere. Noi diciamo più volentieri
da quando è stato creato. Ma voi dite: come ci fa a essere traccia dentro una mano di tutta questa storia?
Beh, sì, c'è un sistema molto ingegnoso che si chiama codice genetico, è uno scritto molto complesso,
ricchissimo di notizie. Pensate è scritto con quattro lettere: queste quattro lettere, ricombinate tra di loro,
tengono dentro di sé tutto ciò che di meglio è stato fatto nella storia dell'universo. Non parla di codice
genetico, perché non si chiamava così, non c'era la conoscenza, non si sapeva che era una matassa,
costituita da una doppia elica, che abbiamo chiamato DNA, però guardate che se leggete la Genesi c'è già
scritto... quando Dio crea il mondo, intanto non lo fa tutto in una volta: perché? Perché Dio onnipotente
non può fare il mondo tutto in una volta, in un unico gesto creatore? Non lo sappiamo. Gli è piaciuto così,
direbbe Gesù parlando di suo Padre, gli è piaciuto così. E gli è piaciuto farlo un po' alla volta, a giornate. È
chiaro che le giornate sono delle metafore, però il senso di questa creazione che non è stata fatta, ma è
stata lanciata come progetto, e nel testo c'è man mano: vide che era cosa buona. E noi oggi diciamo: quindi
l'ha lasciata scritta nel codice genetico perché ognuno ne potesse usare per tutta la storia del mondo. Ecco,
noi abbiamo dentro queste cose buone, scritte nel nostro codice e poi tra l'altro tocca a noi realizzarle
perché sono soltanto lanciate, non sono già fatte, è chiesta la partecipazione, e questo è bello perché così
sappiamo anche cosa c'entriamo qua, se no saremmo buttati a fare una cosa di un altro. E invece, no, siamo
chiamati ad essere protagonisti, che non è poca cosa. La nostra sessualità è scritta qui dentro: ci sono tutte
le nostre cose buone e poi c'è una specie di magia. Sapete, la vita ha sempre avuto un suo problema da
risolvere che è continuare a riprodursi. E il sistema più antico per riprodurre la vita era farne copie, un po'
come una fotocopiatrice. Problema di questo sistema, tra l'altro già molto ingegnoso, è che venivano
sempre vite uguali o molto, molto simili, perché le uniche differenze nascevano dagli errori di copiatura.
Troppo poco. E allora cosa si fa? Viene la meraviglia. È come un giorno di questa creazione in cui viene una
folgorazione, una luce nuova ancora ed è: noi prendiamo tutte le notizie, tutte le cose buone che ci sono in
questo codice e dividiamole in due, sechiamole, dividiamole: secatus in latino vuol dire diviso ed è da
secatus che viene sesso. Il sesso noi diciamo che è un modo per unire, un modo per unire ciò che è stato
diviso. Ed è stato diviso per poterlo ricombinare in un incontro. Mezza notizia che cerca un'altra mezza
notizia per fare di nuovo una notizia intera. Ma qual è la meraviglia di questo secatus? È che tutta la
creazione è giocata sulle differenze, su ciò che è unico, speciale, irripetibile e dunque è giocata proprio sul
prezioso di cui parlavamo prima. Questo è stupefacente se ci pensiamo. Dentro quegli scrigni di tesori che
sono i nostri testicoli e le nostre ovaie accade proprio questo, accade la divisione, la divisione che genera il
desiderio irrefrenabile di incontrare un'altra metà, un altra metà di notizie, di buone notizie, per mettersi
finalmente di nuovo insieme e fare una cosa nuova, che non esisteva che è una vita nuova. Questo non vale
solo per gli umani, vale per tutta la biologia da quando è entrato questo sistema del sesso, dei gameti, cioè
di quelle cellule che portano solo metà di quello che servirà per poi ricombinarsi. È geniale, è un trucco.
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Questo è un trucco. I buoni trucchi della natura. E questo è il mistero che noi portiamo dentro.
Possibilmente molto aperti, a che cosa? A un bel rischio: con chi mi sto mescolando? Con chi metto le mie
notizie? Che cosa ne verrà fuori? Non ne parleremo oggi perché ci metteremo in un discorso da cui è
difficile uscire, il discorso dell'eugenetica, cioè del fare in modo che questi incontri producano solo ciò che
per noi è desiderabile e venga invece escluso ciò che per noi non è desiderabile. È un discorso
estremamente complesso perché da un lato vede il nostro desiderio di fare cose buone e dall'altro vede il
nostro bisogno di avere un controllo assoluto su qualcosa che non sappiamo controllare, è la nostra
difficoltà a fidarci. È la nostra difficoltà a rischiare, è la nostra difficoltà ad abitare il mistero. Noi lo vogliamo
tutto sotto controllo e quindi cosa tenere e cosa scartare diventa una domanda terribile, una domanda
abissale. Sapete, si ragiona in tanti modi diversi. La Chiesa porta un suo contributo molto importante non
tanto sul senso dell'operazione dal punto di vista biologico (ha anche dei buoni studiosi ma non
necessariamente i migliori) quanto dal senso di questa operazione. E io quindi oggi mi limiterò a
condividere con voi questa parte: il rischio, incontrare uno straniero, incontrare l'altro, il diverso vuol dire
rischiare e vuol dire mettersi in gioco, vuol dire mettersi in discussione. Questo è il sesso. Il sesso è un
rischio. Noi vogliamo sicurezza e qui invece ci viene chiesto di rischiare, di rischiare e di fidarci. Sapete dove
porta questo discorso, se mai dopo ne discutiamo. Che cosa è scritto in questo codice che noi dentro il
nostro corpo facciamo a metà in cellule speciali per farlo poi incontrare con altre metà. È scritto qualcosa di
molto antico che è ancora dentro di noi. Per dirvi questo, per raccontarvi questo terzo movimento devo
però condividere con voi una cosa sul cervello. Il cervello si può anche immaginare così. Immaginate che
questo sia il nostro cervello. Voi sapete che c'è dentro al cranio e si prolunga dentro la colonna vertebrale
dove corre il midollo spinale. Da quale entrano ed escono le diramazioni che vanno a tutto il nostro corpo.
Immaginate che questo sia il midollo spinale, qui ci sia la colonna vertebrale e qui la testa. Ecco, questo lo
chiamiamo il tronco dell'encefalo, la parte di midollo spinale che entra nella scatola cranica. Poi c'è una
parte che è il mio pollice che chiamiamo cervello limbico che è quello che ci fa provare le emozioni, ci fa
costruire i legami sociali e ci fa sentire consapevoli di noi stessi: sono tre meraviglie, sono i tre grandi doni
di questa novità della storia della vita. E poi tutto intorno c'è quella zona a ghirigori, l'avete vista
sicuramente nelle fotografie, nei disegni, che si chiama la corteccia nuova che avviluppa tutte le parti più
antiche. Io sono partito da ciò che c'era all'inizio, il tronco dell'encefalo, a ciò che poi è stato una grande
novità, il cervello limbico, le emozioni, i rapporti sociali e finalmente la novità l'ultima, proprio ciò che è
recentissimo, la corteccia nuova. Ognuna di queste parti “era cosa buona” ed è stata conservata. Mi dite:
prima parlavi del codice genetico ma il codice genetico è semplicemente un sistema di istruzioni per
costruire il nostro corpo e in questo caso il nostro cervello. Quindi chiuso dentro, oggi diremmo zippato
dentro il codice genetico c'è tutto ciò che serve per costruire il cervello e il cervello lo possiamo dividere in
queste tre parti. La più antica, quella che è il prolungamento del midollo spinale, una già piena di novità che
è questa in mezzo e poi la corteccia che lo avviluppa. Ci fan fare tre cose queste tre parti. La più antica ci
dice: riproduciti. A tutti, ci dice riproduciti. E poi ci dice: cerca di sopravvivere. E poi ci dice: per farlo meglio
cerca di adattarti più che puoi al contesto, a volte un po' avverso, ma cerca di costruirti sicurezza. Quindi,
diciamo, le indicazioni sono: riproduzione e sicurezza. E ci dice anche come farlo. La parte un po' più nuova
(...un po' più nuova vuol dire qualche milione di anni) ci dice: non farlo più da solo, mi raccomando, mai da
solo! Ti verrà bene soltanto se ti metti d'accodo con qualcheduno. E difatti questo testo antico sapiente
dice: dopo avere fatto Adamo (lì c'è un errore! In realtà la scienza ci dice che Dio avrebbe fatto Eva, non
Adamo, okay? E poi avrebbe dato un compagno a Eva, ma va bene, gli Ebrei non potevano ragionare così,
all'epoca non si poteva scrivere una cosa di questo genere... e quindi ci va bene che abbia fatto Adamo). E
comunque, Lui, nel racconto fa Adamo, poi lo guarda e dice: -Beh, mi assomiglia, è quello che volevo. Però
non è bene che sia solo, facciamogli una compagna. Questo è il cervello limbico raccontato in un altro
modo, con un altro racconto, “non è bene che sia solo”. Intanto facciamolo consapevole, questo è già una
meraviglia. Non è più soltanto bravo a riprodursi e bravo a difendersi dai pericoli come molte altre delle
bestie di cui ho popolato la Terra, questo lo facciamo consapevole. Sa che è Adamo, è mica roba da poco.
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Okay? Però da solo non regge, e allora lo facciamo consapevole e in compagnia. Però non qualcosa di
un'altra natura: presa da lui (sarebbe presa da lei, ma insomma) presa da lui e gli facciamo una compagna.
Ecco questa è l'altra notizia, che vide che era cosa buona, contenuta dentro il nostro cervello. E ci dà anche
un mucchio di suggerimenti poi, ci dice come provare a stare insieme perché in questo giardino pieno di
cose belle si è anche molto in imbarazzo: sì, ma adesso che facciamo? Stiamo nudi? Ci vestiamo?
Prepariamo cena? Ci divertiamo? Giochiamo? Facciamo festa? No? Son tutte cose da capire, ecco non è che
è accaduto proprio in quella giornata lì, ma in una lunga storia in cui gli umani hanno capito come abitare il
giardino. E avevano i loro buoni suggerimenti. Sono scritti dentro il nostro codice genetico che costruisce il
cervello che ci dice: prova così. Okay? Ce lo dice in modo semplice: quando un bambino piange, cerca di
consolarlo. Questo ci dice il nostro cervello limbico. Beh, funziona! Funziona da sempre. E ci dice, beh, oltre
che riprodurti, che questo lo devi fare, cerca di costruire un legame, cerca di metterti insieme a
qualcheduno e così sali di un gradino. Non è più soltanto un gesto per unire due gameti, ma è già un
progetto. La terza parte, tutta questa, la più grande tra l'altro, quella che occupa più spazio nella testa, a
che servirebbe? Ci dice: fai una terza cosa, dai un senso e un significato a ogni tua esperienza. Metti un
senso nelle tue carezze, se parliamo della sessualità. Continua a usarla per riprodurti, perché è cosa buona
portare avanti il progetto; non farlo da solo e non cercare un maschio o una femmina per accoppiarti,
costruisci un legame, fatelo insieme. E poi interrogatevi: che senso ha per voi tutto questo? E lì, grande
novità! Questa consapevolezza cresce fino a far scrivere a un grande poeta David Maria Turoldo un verso
terribile: l'uomo è il rischio di Dio. Perché mettiamo significato e ci è proprio data la libertà per farlo.
Questo è il nostro compito che poi sempre nel libro che stavamo raccontando, il libro della Genesi, è detto
in quel modo: “date un nome a tutto ciò che abita in questo giardino”. E così, che cos'è una carezza? Una
carezza è l'intenzione perché tu mi hai fatto venire il desiderio, una carezza è la mia storia, nella mano
metto me, ma nella mano che ti accarezza io sono testimone della storia dell'universo. In questa mano c'è
tutto questo. C'è il desiderio antico dite, di prenderti, c'è il desiderio di conoscerti, il desiderio di dare un
senso. E quindi in una mano è ritestimoniata la storia della vita. In questa testimonianza a volte c'è anche
una chiave di lettura, a volte le nostre carezze risultano un po' strane, non sempre ben riuscite. Perché a
volte che cosa manca? Non so come mai l'avete scritto stamattina, però manca questo: “farò per loro
un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo”. Un'alleanza, tra tutte
queste parti che erano tutte cosa buona e quest'alleanza sta dentro il nostro cervello. Gli scienziati la
chiamano integrazione. In realtà è un'alleanza. Le parti più arcaiche si alleano con quelle nuove e fanno di
noi una persona intera. Questa è l'alleanza. Ed è difficilissima questa alleanza perché continuiamo a violarla,
a scioglierla, a tradirla con i nostri gesti quotidiani. Le nostra carezze sono la meravigliosa espressione di
un'alleanza e qualche volta invece sono poveri frammenti diparti di noi che non stanno insieme. Per fortuna
c'è qualcuno che ci abbraccia lo stesso e dice: dai, vieni qua con i tuoi pezzi, vediamo se riusciamo a
rimontarli. Ma è saltata l'alleanza. Ma non solo l'alleanza tra di noi, ma dentro di noi che è la più
importante, l'alleanza tra tutte le parti del progetto che poi diventa una carezza intera che getta una
proposta e dice: - Dai, alleati con me così facciamo una carezza in due. Però questa interezza, questo
riprendere tutto ciò che è stato fatto in antico dentro di noi e che ci abita e ci descrive, che siamo alla fine,
è la miglior promessa che possiamo ricevere: ti faccio intero. Ti propongo di incontrarti con un'altra
persona intera. Sapete che quando è così non abbiamo più voglia di andare via? C'è quello che cercavamo,
cercavamo l'interezza.
Questi erano i tre movimenti che io avevo in mente, avevo in cuore di raccontarvi: il gesto, la vita che
lo ha generato e lo ha consentito e la storia della vita, il grande progetto che noi testimoniamo e portiamo
nella pelle in ogni carezza. È anche impegnativo! Non faccio più carezze con tutta questa roba! No, per
fortuna poi basta poco, basta farlo in modo semplice, basta farlo da piccoli perché tutte queste cose che io
vi ho detto lo so che poi confondono perché finiscono per essere le cose di quelli che hanno studiato che
non sembrano essere quelli destinati alla conoscenza vera. Quindi tutto questo è solo per dire, ogni tanto ci
aiuta un po', cerchiamo di tenerlo presente ma poi dobbiamo farci piccoli e tendere la mano e così dentro
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quella mano c'è poi tutto quello che abbiamo detto, ma non in modo complicato, solo in modo consapevole
che è ciò che è sufficiente.
Poi dico un'altra cosa e poi sto un po' zitto e voglio che ci parliamo un po' insieme. Dico solo più
un'altra cosa. Io ho parlato di due trucchi. Il primo trucco erano questi movimenti. C'è un altro trucco che ci
conviene usare. È un trucco triste, però io non so, ho cercato quarant'anni che son pochi e non ne ho
trovato uno migliore. Quando lo troverò, ben volentieri. Il trucco triste consiste in questo: quando ciò che
voglio conoscere è troppo complesso, è troppo difficile, provo a farlo in parti, provo a dividerlo, detto male,
provo a farlo a pezzi. Avete mai visto un bambino che smonta un giocattolo? Vuole sapere com'è, com'è
fatto, come funziona. Qual è il problema del giocattolo smontato? È che non lo sa rimontare. Ha trovato i
pezzi ma non ha trovato ciò che li teneva insieme, non ha trovato il progetto, non ha trovato la logica. E mi
guarda e dice: - E adesso? Allora ci vuole qualcheduno che sa come quei pezzi stanno insieme e prova a
rimontarglielo e poi non ci riesce lo stesso perché manca la vitina...eh, sapete quando dicono: adesso papà
me lo rimonta... lasciamo stare. Detto questo, noi prendiamo la sessualità e facciamo come i bambini con
un giocattolo. Voglio vedere come è fatta. E allora la smonto. Bravo! E poi quando metti i pezzi insieme
scopri che non era quello che volevi conoscere, ma solo un po'. Accontentiamoci di questo solo un po'.
Perché abbiamo da un lato i movimenti che ci riportano a qualcosa di molto prezioso che c'è dentro alle
carezze e dall'altro le loro componenti, le loro parti. Poi vedremo come fare a rimontarle. È arbitrario
decidere di cos'è fatta la sessualità. Arbitrario vuol dire che lo decidiamo noi. Voi dite: beh, basta chiederlo
agli scienziati. No, gli scienziati sono confusi, non lo sanno. Basta chiederlo alla rivelazione. Sì, ma la
rivelazione non è un manuale. Va letta, capita, ci vuole un mucchio di tempo a capirla e poi scopriamo che
andava capita in un altro modo. Non è così ovvio. Non è un testo che spiega è passo a passo ogni cosa. È un
testo che dà le chiavi di lettura, dà le linee ma non ci dice esattamente come stanno le cose. Ci dice:
cercatele. Ma anche perché ci sono delle letture un po' troppo testuali, voi sapete, sono poi quelle che ci
hanno anche un po' confusi, che ci hanno anche fatti sbagliare tanto. Proprio prendere la lettera
letteralmente non è una buona idea. Già il fatto che si parli per parabole o per metafore ci dice: non così,
cerca di cogliere il senso di quello che sto dicendo. Mi spiego? E allora, alla domanda: di cosa è fatta la
sessualità umana? Non ve lo dice la scienza, non ve lo dice la teologia; ve lo suggerisce la scienza, ve lo
suggerisce la teologia, ma certamente non vi dà l'algoritmo che lo definisce. Siamo daccapo. Tocca a noi
provarci e quindi ciò che innanzi io vi dico è un tentativo. Son sicuro che è sbagliato. E allora perché ci porti
cose sbagliate la domenica? Perché quelle giuste non le conosciamo ancora. Proviamo con quelle un po'
sbagliate che magari man mano ci permettono di capire meglio e di sbagliare meno. Basta usare un
metodo: quando le cose sono forse sbagliate, basta ricordarselo, così ci disponiamo a correggerle. Tutto
qua. E basta non farsi l'idea che quello che sappiamo sia già quelle giuste. Questo è terribile. Ci fa perdere.
Okay? Voi dite: ma anche per i cristiani? sì. Io sono solo un povero tentativo di cristiano e quindi non ho
certamente titolo per dire delle cose importanti o più giuste. Però mi metto insieme ai poveracci che
cercavano di capire quando hanno chiesto a Gesù che tra l'altro era già lì per lasciarci a cercare: e va bene,
adesso ci dici qual è la verità. Vi ricordate qual è la risposta? Io sono la verità. E sono la via. È una strada, un
cammino la verità. Okay? E poi la sintesi è che è una persona, non è un libro, un manuale, non è
un'enciclopedia, e quindi anche noi la verità, certo che ce l'abbiamo, ma non è tutta scritta, la dobbiamo
cercare seguendo un cammino. Questo solo perché si parla con cristiani che a me fanno un po' paura
perché ci dicono: no, noi lo sappiamo perché ci è stato detto. Cosa ti è stato detto? Se cerchiamo la verità
tutta, la verità tutta è il tuo maestro: seguilo. E allora direi, umili gli scienziati, umili i credenti che dicono
stiamo cercando. Per non farla lunga vi dico i pezzi che secondo me sono utili per parlare di sessualità. Il
primo ve l'ho già citato: la riproduzione. È indubbiamente una straordinaria forza che ci invita a riprodurci e
a portare avanti il progetto vita. Dubbi su questo non credo, lo sappiamo, abbiamo intuito, abbiamo capito
abbastanza come funziona ed è una parte della nostra sessualità. È l'unica? No, ovvio. Se no dovrebbe
essere vero che quando incontriamo la mamma o il papà diciamo: senti tesoro, questa sera forse vuoi
riprodurti con me? Lei/lui ci guarda e dice: ma hai bevuto stasera? Cosa vuol dire se voglio riprodurmi con
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te? Al massimo decidiamo di fare un altro bambino, ma non certamente di riprodurci. Ma per una ragione
molto semplice. Se mamma si ferma e dice: non è che riprodursi sia brutto, anzi “vide che era cosa buona”,
quindi sarà cosa buona. Il problema è che non ci basta. Per noi riprodurci è una parte, ma è troppo poco.
Difatti noi parliamo di procreazione non di riproduzione che se ci pensate sono molto la stessa cosa, dal
punto di vista dei fatti sempre un bimbo viene al mondo. Però sono tanto, tanto, tanto diverse. Noi
pensiamo che stiamo scrivendo una storia e che storia è quella del riprodursi? Difatti è improponibile. Non
possiamo dire: vuoi riprodurti con me. Tenete però in mente che ci sono dei luoghi dove, adesso la faccio
un po' semplice, la sostanza è questa, dove si può andare, suonare, farsi aprire e fare questa domanda:
qualcuno per caso, gentilmente ha lasciato dei gameti dato che io avrei bisogno di una mano per potermi
riprodurre, per poter fare un bambino? Perché non sappiamo neanche chi è. E questo ci mette di fronte di
nuovo a parte del mistero molto complesse da percorrere. Ma a noi non va bene, non ci basta riprodurci. E
allora cosa abbiamo in mente? Abbiamo in mente un'altra dimensione, un altro pezzo che è la dimensione
del piacere, poi ne parliamo, adesso vi cito solo i titoli. Il piacere, il gioco, la festa. Fare festa. E abbiamo
intuito che il corpo dell'altro è una grande occasione di festa. A volte si rovina un po' la festa perché non
tutto va bene, però il tentativo è far festa, è giocare. La togliamo questa dimensione? Io vi dico, per il
momento se possibile teniamola perché è la dimensione con cui veniamo al mondo. La nostra sessualità di
esprime così, giocando. Solo dopo diventerà così complessa, così articolata, così ricca di sfumature da
permetterci di fare i discorsi che stiamo facendo. Ma all'inizio ci è stato detto: senti, tu gioca e gioca anche
la tua sessualità e così imparerai le cose essenziali per fare da grande quelle meravigliose carezze di cui
volevamo parlare. E la voglia di giocare resta per tutta la vita, perché giocare forse è cosa buona? Far festa
forse è cosa buona? Forse è un modo per onorare il mistero dell'altro, il mistero della carezza? Forse sì, ma
ne parliamo perché su questo abbiamo un po' di problemi. Ma questa volta gli scienziati hanno pochi
problemi ad ammettere che ci sia una parte di gioco, di piacere, di festa. La tradizione cattolica si è un po'
ingarbugliata su questa faccenda del piacere... e va beh, insomma, non tutte le strade sono diritte e quindi
magari ci ragioniamo un po' se vogliamo essere testimoni bisognerebbe domandarsi se mutilare di una
parte la sessualità o se fare pace e fare amicizia con il piacere certamente pensato come piace pensarlo in
una visione che potrebbe essere una visione cristiana, ma non certo togliendo il piacere e non certo
togliendo il corpo che è il luogo del piacere dalla sessualità umana. Non è sufficiente. C'è una terza parte,
una terza dimensione che è la dimensione del legame. Ci mettiamo insieme? L'idea potrebbe essere: dai
giochiamo, facciamo un po' di sesso che è bello. Poi ci vien da dire: sì, ma non così a caso. Facciamolo noi
due. Quando dico facciamo sesso non pensate subito al coito e all'orgasmo, guardiamoci in quel modo
sessuale, mettiamoci le mani tra i capelli in quel modo sessuale, camminiamo per mano in quel modo
sessuale, perché così c'è un po' di spazio, se no si dice subito non va tanto bene incominciare dal sesso...
normalmente si comincia dal sesso, da che cosa, se no?difficile che si comincia dalla filosofia quando si
conosce un ragazzo, una ragazza, no, si comincia dal desiderio. Okay, allora l'idea è facciamo sesso ma non
così a caso, facciamolo insieme, tu diventi il mio compagno, io la mia compagna. Legame: questo potrebbe
essere un terzo pezzo della nostra sessualità. La voglia potentissima di riprodurci, che teniamo anche un po'
a bada; la voglia di giocare, nel corpo, cercando il piacere, la festa; e poi la voglia di unirci perché questo
gioco sia speciale: il legame. E poi verrebbe da dire ancora che forse non basta stare insieme, ma ci vuole
anche un significato per il nostro stare insieme. E allora possiamo mettere tra le dimensioni della sessualità
proprio questa dimensione: che la sessualità porta senso alla nostra vita e chiede senso dalle nostre vite. È
un luogo magnifico per giocarci il senso delle cose, il senso vuol dire la direzione, il senso vuol dire la
cornice dentro cui dipingiamo il quadro delle nostre azioni quotidiane, il senso vuol dire proprio il sentire
che è così, che è vero che è così oltre le parole e oltre i ragionamenti e gli algoritmi. E il senso è importante.
E una vita senza senso è una vita disperata. E dunque la sessualità genera senso e chiede senso,
quotidianamente. E forse verrebbe da dire che un senso però non basta per sé, in quel momento. È vero.
Forse un'altra dimensione è la storia. Si dice della gente: quei due hanno una storia, quei due hanno una
storia insieme. E la storia è il moltiplicarsi del senso, è lo srotolarsi del senso nelle direzioni che man mano
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scegliamo, a cui man mano aderiamo. E allora finalmente ci sarà l'altra dimensione, quella procreativa che
è: se abbiamo una storia, apriamola. Apriamola e chiamiamo qualcuno, qualcuno che venga nella nostra
storia ad abitarla: un bambino. Di solito noi diciamo che per fare un bambino ci vuole amore. Certo che ci
vuole amore, ci mancherebbe. Un assistente sociale aggiunge che ci vuole anche una casa, un letto,
qualcosa per dargli da mangiare, magari un bagno, eccetera, anche se nel mondo molti fanno i bambini con
amore, senza il bagno, però, insomma, qui visto che c'è è meglio. Ma dimentichiamo che per fare un
bambino ci vuole una storia. Se no questo bambino dove abita? Non può abitare tra quattro pareti, anche
se riscaldate, perché un bambino viene nella vita a muoversi (sempre il movimento di cui parlavamo prima)
e deve incrociare qualcuno che si sta muovendo che gli dice muoviti con noi: la storia. La storia è il massimo
del senso perché è il moltiplicatore del senso. E i bambini sono l'incarnazione di questa storia. Sono loro che
con il corpo chiamiamo e sono loro che nel corpo vengono ad abitarla. È un mistero sconvolgente, però
molto bello. Riassumo le dimensioni, i pezzi: riprodursi, giocare, costruire un legame, dare un significato,
costruirsi una storia e chiamare un bambino o fare un bambino. A casa diciamo fare sesso, stare insieme,
fare l'amore, avere una storia, fare un bambino. Sono le parole di casa per nominare queste parti. Sempre
tutte insieme... magari! In realtà no. E ci domanderemo come tenerle almeno in mente, perché non è vero
che tutte le volte facciamo un bambino però possiamo portarlo nella mente, possiamo portarlo dentro di
noi questo pensiero, questa disponibilità. Non è vero che tutte le volte esprimiamo il nostro amore. Voi
dite: se siamo sposati sì. Ma neanche un po'. Ci proviamo. Ma a volte non ci viene. Magari a volte e solo un
bel gioco. Qualche volta c'è tanto amore, però dai ragazzi, un po' leggeri, giochiamo perché se no tutto 'sto
amore uno diventa una roba che non ci sta più nella testa. Mi spiego? No? Ci sono quelli che ci mettono
tantissime cose belle e poi tutte queste cose belle diventano un peso che non si può neanche trascinare e
allora dici: dai, leggero, oggi giochiamo! Ti faccio divertire, ti faccio ridere, perché se no con tutto questo
amore non ne usciamo più. Non sto parlando male dell'amore, sto dicendo che deve prendere le forme per
stare tra di noi. Non dobbiamo sempre pensare, far sempre cose difficili. Dobbiamo proprio tradurre... e
allora tutto insieme? Tutte le dimensioni insieme? Il giocattolo intero? Ogni tanto, sono momenti
incredibili, di una meraviglia quasi inenarrabile e poi torniamo con i nostri pezzi un po' sparpagliati a
tentare il cammino di una coppia, di una famiglia. Allora questa è la premessa, il mio tentativo di dire:
guardate, non ci abbiamo capito molto, è un mistero, però è bello che sia un mistero. Per studiarlo
proviamo a fare due cose importanti: tenerlo in movimento, tre movimenti e dividerlo un po' per capirlo
meglio. Poi il tentativo è mettere tutto insieme e dentro una carezza tenere i tre movimenti e tutte le parti
che abbiamo nominato. Sono carezze incredibili. Vengono solo ogni tanto nella vita, però quando vengono,
meritano. Questo è un po' il senso del cammino, no? Se no avremmo già trovato tutto e invece... adesso io
mi fermo perché ho anche esagerato. Come tempi come siamo? Abbiamo una decina di minuti. Benissimo.
Allora, questi dieci minuti li usiamo tutti per voi. Siccome io ho detto tante cose e poi lo so che è anche
difficile continuare il discorso, adesso facciamo quello che ci faceva fare prima Annalisa. Lasciate perdere i
pensieri. È chiaro che mi avete ascoltato e avete pensato alle cose che dicevo. Via. Provate a interrogare i
vostri corpi. E provate a domandarvi come state dentro a questo modo che ho usato per parlarvi. Adesso io
vi chiedo, sì, di fare la fatica del farlo insieme questo discorso perché se no non viene fuori nulla dalla
giornata. E quindi del mettervi un po' in gioco, poco poco, quanto vi sentite e di partire non dai pensieri o
dai ragionamenti, ma da come state. Come state mentre io parlo così? Per dire come state non servono
lunghi discorsi, basta una parola che sia una metafora. Le uniche due parole che vi chiederei di non usare
perché sono troppo generiche sono “bene” e “male” perché non dicono molto... ci dicono della polarità.
Però qualunque altra parola che stia per “bene” oppure “mica tanto” o anche “male”. E soprattutto
diciamocelo, facciamolo girare che questo discorso regge solo se lo facciamo insieme, cioè se facciamo
comunità. A voi. Una parola, due parole, non tante di più per dire come state. Interrogate il corpo e non i
ragionamenti. Chi è che fa il primo regalo agli altri?
- Silvia: sentire parlare di carezze, vien voglia di farle le carezze. Se io tutti questi discorsi che abbiamo
sentito adesso, pensare alla sessualità e pensare alle carezze, dividere la sessualità in pezzi, su di me hanno
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un effetto positivo, di curiosità sui discorsi che verranno fatti dopo. La cosa bella è pensare a cosa produce
la sessualità, no? Abbiamo fatto l'esempio dei bambini, quindi pensare che il bambino sia l'incarnazione
della storia è bello, è positivo, mi fa stare... bene. Quindi DESIDERIO e CURIOSITÀ.
- Introspezione. Io sono andata a cercare in tutto quello che dicevi la mia esperienza personale e
cercavo di cogliere, quindi ho fatto un'analisi di alcuni pezzi della mia vita e ho trovato alcuni momenti, per
cui INTROSPEZIONE, GUARDASI DENTRO.
- Io dico la parola come sto rispetto a quanto hai detto: ALTALENANTE, SU E GIÙ.
- Io invece alle carezze, ho pensato a anni fa, nella gioventù era scorrere, divertirsi, senza carezze.
Dopo conoscendo lei, le ho conosciute le carezze. Ecco Renato, oltre alle sensazioni ci ha dato un
frammento della loro storia, quindi grazie anche per questa attenzione particolare.
- Per me tutto il tuo discorso è una CONFERMA.
- Io dico la parola: LEGGEREZZA, ma non intesa come superficialità, forse perché aspetto anche un
bambino e tutti i problemi, le preoccupazioni... una leggerezza intesa come TRANQUILLITÀ.
- Silvia: due cose. PIACEVOLEZZA nel sentire un discorso molto umile. Mi è piaciuto molto il metodo,
non so come chiamarlo, il modo di parlare. Dall'altra, però quando ci ha invitato ad ascoltarci dentro, ho
sentito anche un po' di, non so come chiamarlo, FASTIDIO, ma è un po' troppo, un po' troppa analisi, nel
senso che è un tema molto bello e vederlo così spezzettato mi sembra come togliergli un po' di bellezza.
Grazie Silvia, hai ragione perché io mi do fastidio da me mentre faccio le analisi. È uno dei problemi
della vita: presa intera ha un senso, smontata perde il profumo, il colore, l'immediatezza e per noi questa
potrebbe essere una sofferenza che restituiamo agli altri. Cioè noi facciamo questo lavoro sporco del
dividere, del sopportare le parti divise, per cercare poi di testimoniare di nuovo un gesto intero. Questa è
una fatica che speriamo possa servire, non lo so. Anche a me dà fastidio, hai ragione.
- Placido: a me viene in mente: STUPEFACENTE: come hai descritto la carezza mi fa venire in mente
questa cosa qua e nel sentirla ho ripercorso un po' l'evoluzione di questi trent'anni che siamo assieme.
L'evoluzione nel senso del nostro rapporto, del sentire, capire il nostro contatto, sentire, capire la nostra
carezza. Come è stata detta mi sono rivisto un po' tutto...
- Manolo: sintetizzo. La bellezza della complessità di un gesto così semplice.
- Claudia: la SERENITÀ ma con una parte di PESANTEZZA.
E su questa pesantezza cerchiamo di lavorare. Vediamo se riusciamo a renderla portabile.
- Marco: cogliendo alcune delle sottolineature, l'immagine forse condizionata dai figli, è quella del
deposito dei soldi di zio Paperone perché nel modo con cui Paperone custodisce gelosamente la storia, il
fatto che conosce a una a una tutte le sue monete, quindi queste carezze che in realtà noi conserviamo che
a volte sono anche malattie, diventano un qualcosa per cui si rischia di vivere solo per quelle o credendo di
vivere solo per quelle e nello stesso tempo sono magari anche la cosa più importante perché sono quella
sorta di cassaforte che teniamo lì e con cui custodiamo la nostra vita, quindi la cosa più importante la
mettiamo in un posto importante. Quando la cassaforte resta sempre chiusa vuole essere una cosa
impenetrabile a volte si rischia anche di fare un danno. Per cui tante immagini hanno suggerito questa
immagine che può essere anche un po' ridicola...
No è tutto meno che ridicola. Anzi genera un buon turbamento. Nelle parole che voi state dicendo,
prendendo dai vostri sentimenti, dai vostri corpi c'è una parte positiva e una parte di turbamento e anche
in questa immagine c'è una parte positiva e una parte di turbamento. La ricchezza ci è data, ma va spesa. E
questo è il grande rischio, in tanti modi diversi, non c'è solo un modo per spendere la sessualità. C'è il modo
dei genitori, c'è il modo dei consacrati, però va spesa. Tenuta nel forziere, no. Ricordate, è molto criticato
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quello che non spende il talento e non prova a metterlo, indipendentemente dai risultati prodotti. Noi
viviamo in un mondo basato sull'efficienza, e sull'efficacia. Invece sembra che sia molto più premiato il
mettersi in gioco nel progetto. Quindi un'immagine forte, inquietante che fa vedere come una ricchezza
può diventare una forma di egoismo.
- Claudia: a me viene in mente la parola CAMMINO perché in questo momento si inserisce in un
cammino che è partito tanti anni fa ma che continuerà e però anche il fatto di smontare, a me piace
smontare, lo vedo come un gioco che è piacevole per certi aspetti perché si va a scoprire e questo
momento aiuta a smontare ma dà anche degli strumenti per rimontare i pezzi. Quindi mi piace.
Almeno per provare a tenerli insieme...
- SERENITÀ e un GRANDE RESPIRO perché finalmente per parlarsi non servono le parole.
- Cesare: a me è piaciuto la descrizione della mano e il significato di tutti i gesti che hai descritto che
inconsciamente di fanno e non si pensa mai realmente a cosa portano.
- In questo , con la nostra veneranda età, il rammarico di aver perso qualcosa di importante, cioè di
non aver saputo valutare nella maniera corretta quel dono che ci siamo fatti.
Di rammarichi ce ne portiamo dietro, però servono per rilanciarci.
- Giuliano: ascoltare te e gli altri per ascoltarsi dopo, per analizzare dopo le cose dette. Ascoltare
magari delle cose su cui non si riflette normalmente. ASCOLTARE quindi è la parola.
SECONDA PARTE
Proviamo a esplorare le dimensioni per tenerle connesse alle nostre storie personali. C'è una parte di
lavoro che dobbiamo concordare, perché? Perché è vero che abbiamo una giornata, però i tempi di lavoro
alla fine sono contenuti e quindi tutto non riusciremmo a fare e quindi è giusto così perché è un cammino
che prosegue e quindi avrete poi molte altre occasioni per entrare nel merito di alcuni degli aspetti che oggi
troviamo, però dobbiamo decidere insieme che cosa mettere in primo piano e che cosa tenere un po' di più
sullo sfondo. Adesso io in questa oretta vi faccio ancora una parte di proposta, mi piacerebbe però che poi
nel pomeriggio, oltre ad avere più spazio per un intervento di tutti, ci siano magari delle richieste di punti, o
di temi, o di nodi da provare ad affrontare, non dico a sciogliere, ma magari ad affrontare in modo da stare
il più possibile ancorati alle vostre esigenze personali, familiari e pastorali quando vi mettete nella
prospettiva, insomma, di accompagnare gli altri in questo cammino. Penso per esempio a certi aspetti
pedagogici: come si può tradurre una riflessione condotta su di noi in un discorso proposto agli altri, ad
esempio a chi cresce, ad esempio ai bambini, ai ragazzi o ad altre coppie e quindi come costruire dei
momenti di incontro, di confronto, di riflessione che abbiano, insomma, delle linee guida disponibili e un
po' sperimentate. Quindi voi tenete questa mia domanda aperta nella vostra mente e cinque minuti prima
di pranzo o subito dopo pranzo io vi chiedo di fare un elenco di punti che vorreste approfondire, okay? In
questo modo faremo un po' di compromessi, come sempre nella vita, tutto non riusciremo a dire ma
cerchiamo almeno di dare delle priorità e di mettere un po' d'ordine nel nostro discorso.
Continuo, allora con una parte di proposta, ma dato che adesso avete aperto voi il discorso,
continuate interrompendomi. Quindi non lasciatemi finire tutta la mia descrizione, perché se mettete un
po' di vostre testimonianze, prende vita e diventa sicuramente più efficace. Quindi, da adesso in avanti,
alzate la mano, mi fermate e ne parliamo insieme. Immaginatevi messi a cerchio già, poi nel pomeriggio ci
mettiamo a cerchio, in modo che così ci riusciamo a vederci tutti in faccia.
Partiamo dal nostro cervello più arcaico. Succede in qualche storia che una donna scopre di essere
incinta e non lo voleva, non era questo il suo desiderio, in certi momenti della sua vita non era nemmeno
aperta al progetto, non soltanto non aveva deciso di fare un bambino ora, ma lo trova completamente
inattuale, fuori tempo, fuori luogo, fuori posto. Penso però a persone che sanno come si fanno i bambini
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perché hanno ragionevoli quote di conoscenze sulla loro sessualità e su qual è la via per concepire e anche
eventualmente su quali sono i metodi per non concepire un bambino quella volta lì. Insomma, ci sono
ragazze, donne, anche donne adulte che dicono: sono incinta, come mai? Beh, come mai... il motivo è
abbastanza semplice da spiegare, ma come mai non sta nel mio racconto. Proviamo a porlo come problema
nel piano che abbiamo costruito prima dell'intervallo. Estremizzo. Vi porto in una situazione molto difficile.
Qualcuno, e vi chiedo scusa, la conosce perché è una storia che ho già raccontato in altri incontri, ma la
dedichiamo adesso a chi si affaccia per la prima volta a questo modo di costruire il discorso questa
brevissima storia. È la storia di Carlotta, una ragazza di 17 anni, che viene in consultorio a chiedere aiuto
perché è incinta. Una ragazza molto piacevole e molto disperata. Io l'accolgo e decido immediatamente di
non parlare della sua gravidanza, ma di parlare un po' della sua vita. E le chiedo: ma raccontami un po' di
te, così ci conosciamo. E lei, molto piacevole, perché con poche pennellate disegna la sua vita. Ci sono
persone molto capaci, efficaci nel fare dei bozzetti, delle piccole scene che sono illuminanti della loro storia.
E così mi dice, raccontando liberamente, che è una brava ragazza e con fastidio si include nella categoria
delle brave ragazze, è polemica sull'essere una brava ragazza. Mi spiega cosa vuol dire perché le dico: cos'è
una brava ragazza? E lei mi dice che è brava a scuola, in realtà è anche modesta, che è una delle
caratteristiche, delle buone qualità di una brava ragazza: è la prima della classe, ma mi dice che è soltanto
brava. E poi fa molto volontariato, sta negli scout e poi anima i più piccoli in parrocchia e poi, visto che ha
anche il beneficio di poterlo fare, fa danza. E la cosa incredibile è che tutte queste cose che fa le vengono
molto bene. E quindi io sento anche un po' d'invidia perché quando una fa tutte queste cose e le riescono
anche bene... beata lei! Va beh, però è infastidita: non le piace essere così. Mi parla poi un po' di casa. Mi
dice che mamma è una professoressa di italiano alle medie e una mamma che le vuole molto bene, peccato
che non sono per niente sincronizzate perché quando lei ha voglia di parlare con sua mamma, mamma sta
facendo volontariato da qualche parte perché è tutta una famiglia presa dal sociale, è molto ben presa dal
sociale. E poi ogni tanto arriva a casa e dice: Carlotta, bisogna che noi ci parliamo. Io non ne ho voglia e
finiamo che non è mai il momento giusto per poterci confidare. Papà è un grande chirurgo, anche un
personaggio famoso, e lei ne parla con gli occhi pieni d'amore, proprio luce negli occhi di chi è innamorato,
non sessualmente. E lo liquida con una frase durissima: ah, mio padre, lui passa il tempo a salvare gli altri.
Che è vero, salva tante vite, ma non quella di sua figlia. Le chiedo del suo ragazzo che è più grande di lei, fa
ingegneria, e ne parla con gli occhi spenti. Le chiedo come mai è così triste quando parla del suo ragazzo.
Lei lo difende: non sono affatto triste, gli voglio bene, perché me lo chiedi. Insisto un po' e mi concede che è
un tipo un po' noioso. Questo è un po' il compromesso che facciamo sul suo ragazzo. A questo punto, le
dico una frase che potrebbe sembrare un po' da genitore, ma gliela dico con un grande affetto, che
contiene sicuramente una preoccupazione, quindi un valutare la situazione in cui lei si trova, ma nemmeno
l'ombra più remota di una condanna. Vi dico questo perché noi sentiamo dire continuamente: non
giudicare. Giusto! Ma poi: metti giudizio! Scusa, giudico o non giudico? Sono due richieste molto
importanti. E forse conviene dire: chi sei tu per condannare? Un'idea te la devi fare, magari la tieni aperta e
sei disposta a cambiare opinione, però non hai il potere di condannare, e quindi sicuramente non c'è ombra
di condanna in ciò che lei mi porta. Le dite: ma cosa avete combinato? E lei dice: è che il bambino non è
suo. E qui comincia a piangere e dice: non c'entra niente con me. Questa non è la mia storia. Non capisco
proprio cosa mi è successo. Ci facciamo un po' di coraggio, perché anche io sono disorientato da questa sua
affermazione e lei mi racconta che è in un periodo un po' difficile della sua vita ed è molto arrabbiata (lei
una una parola più diretta, dice: sono molto incazzata, con tutti anche con la vita.) e io dico: sì, benedetta,
perché? Molto meglio che a 45 anni quando con la stessa crisi rischi di smontare vita, famiglie, eccetera... ci
sono persone che tengono, tengono, tengono, poi si incazzano. Peccato che sono molto avanti nella vita e
fare gli adolescenti a una certa età è molto più complicato. Beh, quindi, racconta, cos'hai fatto? E lei: volevo
fare qualcosa di trasgressivo e allora sono andata in discoteca. E io anche un po' stupido: ma perché tu di
solito in discoteca non ci vai?Mi dice: sì, ci siamo andati. Insomma per farla breve hanno affittato la
discoteca con gli scout per fare una festa, si però quella non è la discoteca vera, insomma, sono i muri. E
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quindi non è tanto pratica di discoteche. E fa un errore grave. Decide di andare con una sua amica in
discoteca e la prende dal club delle brave ragazze, quindi due foche in discoteca che non capiscono niente
di cosa si fa e di come si usa una discoteca. Cosa fa Carlotta in discoteca? Sa che probabilmente non ci
tornerà, era la sua trasmissione, era un po' arrabbiata, e quindi fa pacchetto completo, sostanzialmente tre
cose: si ubriaca, si fa delle sostanze che girano quella sera e balla tutta la sera. La più innocua
apparentemente è ballare, ma tutte e tre le azioni che lei conduce le alterano la chimica cerebrale e creano
una forte disconnessione tra la parte dove Carlotta pensa, decide, valuta la situazione e la parte più antica
che invece le dice che ogni occasione per riprodursi è buona. Fintanto che questa parte è connessa a quella
antica che cerca la riproduzione, Carlotta non passa all'atto. Quando si disconnettono, ahimè, prevale la
parte più antica. E piangendo mi dice: è successo che un tipo mi si è piazzato davanti tutta la sera, non m'ha
mollato un momento, siamo usciti, abbiamo fatto sesso e sono rimasta incinta. Le dico: va bene, come si
chiama il tipo? E lei mi guarda e mi dice: non lo so, non ci siamo detti il nome. E questo ricorda una parte
del discorso precedente: dare un nome alle cose significa generarle nella propria coscienza, vuol dire farle
diventare reali e non soltanto oggetti nel mondo. Lei alla fine si è accoppiata con una sconosciuto ed è
rimasta incinta. Voi dite: che storia triste che stai raccontando. Non è solo triste, è una storia fortemente
dissociata, cioè non è parte della storia di Carlotta e lei lo dice: non c'entra niente con me. Va bene, ha
ragione. Perché ve ne sto parlando? C'è una ragione importante. Perché Carlotta sapeva tutto, ma lo
sapeva male. Lo sapeva in un modo inutilizzabile. Sapeva come si fanno i bambini, figuriamoci! Aveva la
casa piena di libri, a scuola le avevano spiegato tutto ciò che c'era da spiegare, ma non sapeva di avere un
tronco dell'encefalo, nessuno gliel'aveva mai fatto conoscere, nessuno gliel'aveva mai presentato. E non
sapeva come funziona il tronco dell'encefalo nelle persone umane. Segue le regole che seguono i serpenti.
Okay? Perché è una cosa buona, basta riconciliarli e generare l'alleanza con i significati. Ma se noi
stacchiamo i significati con la chimica dell'alcool, delle sostanze psicotrope e del movimento continuato, il
nostro cervello funziona come deve, fa la sua parte, mi spiego? E lei non lo sa. Perché lei è vittima di
un'educazione sessuale giocata sulla dicotomia cioè sul dividere in due e poi su una valutazione di queste
due parti: la parti alte sono quelle nobili, le parti basse, beh, ci sono, cerchiamo di usarle meglio che si può.
Eh, qui stiamo separando, stiamo rompendo l'alleanza, stiamo disturbando, distruggendo il progetto, okay?
Ciò che è fuori discussione è che le parti nuove devono governare le parti più antiche, ma parlarne male
non ha nessun senso. E non parlarne per non sentirsi in qualche modo viziati da queste parti è un vero
peccato. Per noi è un errore di omissione, non gliel'abbiamo fatto conoscere, e per Carlotta è una
separazione dentro che purtroppo in questo caso le ha generato questo dramma dell'essere incinta in un
momento della vita in cui è molto improbabile progettare un bambino. Lo so, è un po' fuori dalla nostra
cultura, però dovremmo, prima che rimanga incinta, chiamare Carlotta e dirle: dentro di te c'è la traccia di
una meraviglia che è la vita che nel mondo si è fatta spazio, poi è andata avanti nonostante tutte le
difficoltà che ha incontrato. Dentro di te c'è la capacità di difenderti dai pericoli e c'è la capacità di
riprodurti a qualunque costo, perché questa è la vita nella sua essenza originaria e ti abita. E tu sei questa
espressione della vita. Riconoscila. E poi parlane bene. Ma perché Carlotta ne parli bene noi dobbiamo
parlarne bene del tronco encefalico che noi oggi possiamo chiamare anche il serpente, la parte antica,
arcaica che abita dentro Carlotta. È la parte che ci fa fare un passo indietro se arriva un'ombra veloce che ci
sta per metterci sotto. Non è un ragionamento che ci salva e neanche un'emozione, quelli vengono dopo. È
un passo indietro: è il serpente che ci fa fare un salto indietro. E quando c'è un maschio della nostra specie,
una femmina della nostra specie disponibili all'accoppiamento, ci fa accoppiare con l'intenzione di provare
a riprodurci. Nella testa di Carlotta c'è che questo non va bene. Invece va benissimo, è soltanto fuori posto.
Non è integrato, non sta dentro all'alleanza. E allora potremmo provare a bene-dire la parte che l'ha messa
incinta e a dispiacerci del fatto che non stava dialogando con la parte che le avrebbe detto aspetta. Grazie,
alla forza che c'è in me, ma non deve adesso generare un bambino. Mi spiego? Questo non lo sappiamo
fare. Così sembra però ancora troppo poco. Faccio un passo avanti e questo potrebbe essere motivo di
turbamento, ma proviamo a vedere se riusciamo a condividerlo. Usciamo per un attimo dalla storia di
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Carlotta, poi se volete vi dico come è andata a finire. Immaginate di aver conosciuto un uomo, o una donna,
adesso lo faccio al maschile, ma capovolgete pure il discorso, di aver conosciuto un uomo che vi piace
molto e che vi sembra molto affidabile. Insomma, sostanzialmente una brava persona, anche affascinante
per come si esprime, per come si racconta, per l'esperienza che vi porta. Immaginate di innamorarvene e di
dire lo voglio accanto a me. Avete ogni tanto delle sensazioni un po' spiacevoli, perché vi sembra tanto
rigido sulle cose, però... l'uomo perfetto ho capito che c'è solo nelle favole, no? Quindi, è piacevole, è
simpatico, mi fa star bene, è molto intelligente, è affidabile, dai, superiamo un po' di difficoltà, se no
diventiamo delle principesse capricciose. E poi un giorno lo invitate e gli dite: avvicinati a me, che vuol dire
facciamo l'amore, magari anche tenendo in attesa alcuni segni del fare l'amore che volete poi usare per
dire questo è segno di una promessa. Per cui sono poi storie diverse, convenzioni diverse, credenze diverse,
però l'amore lo si fa da quando ci si ama, non da quando ci si sposa, mi spiego... per cui, tolti alcuni segni
che sono anche importanti e che volete tenere in attesa, gli dite: vieni da me, facciamo l'amore. E succede
una cosa strana: questa persona di cui vi siete innamorate vi dice: senti, però, io adesso sono un po' in
imbarazzo... dai, non ti preoccupare, è la prima volta... no, sono in imbarazzo perché io voglio sapere come
ti devo toccare... ma non ti preoccupare, fai come ti viene... ma guarda, io sono un tipo preciso, l'hai capito,
no? Avrei proprio bisogno di una serie di indicazioni: tu dimmi che carezze vuoi, io te le faccio! Poi mi dici
anche in quale ordine preferisci che io te le faccia e poi magari mi dai anche dei feedback per vedere se
vanno bene. E a questo punto non va più bene. E voi gli dite: senti fai una cosa, lascia perdere tutte queste
domande, tutti questi pensieri, tu prendimi e poi se qualcosa non va io te lo faccio sapere. Quindi, smetti di
ragionare, smetti di farti domande e segui l'istinto. Cosa gli state dicendo? Riconnettiti con il tronco
encefalico che ti dice subito come toccare una donna e poi io ti insegnerò a toccare me, ma mentre mi stai
toccando: non facciamo la lezione teorica, poi la parte applicativa, mi spiego? Perché così le carezze
diventano sciocche, prive di senso, prive di sapore. Vedete che state parlando bene del serpente? Se da una
carezza togli il tronco encefalico, togli la forza di un predatore che mi vuole e basta, non mi piace più
quando mi accarezzi. Se poi non ti accorgi che sto male, allora ti dirò io non si fa così con una donna, con
una ragazza, mi spiego? E pretenderò che tu questo predatore lo tenga ben connesso alla parte dove prendi
decisioni, dove dai significati, eccetera... ma se lo togli, io delle tue carezze non so più che farmene. Ecco
questo è un modo, ogni tanto con gli ossessivi gravi che sono un tipo di sofferenti che hanno bisogno di
ipercontrollo, di tenere tutto molto in ordine, perché se no vanno in ansia, gli viene quasi il panico, possono
succedere cose di questo genere, sono lì spaventati, rigidi, non sanno che fare e vi chiedono istruzioni. E voi
vi trovate a benedire il serpente, a parlarne bene, a dire guarda che è essenziale per la qualità di una
carezza. Ecco, questo manca a Carlotta. È per questo che Carlotta è incinta, perché altre ragazze che in
discoteca ci vanno, sanno qual è il rischio, vanno proprio per disconnettersi, però si proteggono prima. Mica
tutte ci riescono, però sanno qual è il problema. Lei, da totale inesperta, va in un posto ad alto rischio,
pensando di non avere problemi, perché tanto lei sta sempre su, nelle parti nobili, e in realtà se le
disconnette sono lì pronte ad agire. Non lo so, però, interroghiamoci... io faccio un po' di fatica ogni tanto,
beh, io ho più o meno sessant'anni, i prossimi che compio sono sessanta e quindi sono stato educato in un
modo un po' diverso da come vi sto parlando. Nel senso che a me il serpente è stato presentato molto
male, non è mai stato benedetto, cioè è sempre stato detto male. E qui un po' di fatica, ne abbiamo fatta,
l'ho fatta. Però non è tenendo separato ciò che c'è dentro di noi che si conduce un buon cammino. È
facendolo incontrare e facendolo dialogare. Domandatevi se vi viene bene di parlare così, domandiamocelo
insieme e facciamo emergere tutti i nostri dubbi, perché l'educazione sessuale parte dal corpo nelle sue
modalità più antiche, più arcaiche. E poi si ricongiunge alle cose belle, nuove, tipo il senso, il significato, la
relazione, eccetera... ma se escludete il corpo e le sue istanze primitive, avete già mutilato una parte di
sessualità, avete già sciupato una carezza e non vi capite più con le persone con cui state parlando. Come lo
vivete? Un po' più duro questo discorso? A beh, poi Carlotta ha convertito i suoi genitori. Cosa vuol dire che
li ha convertiti? Carlotta non ha detto neanche una parola ai suoi genitori, ma i suoi genitori hanno capito in
un attimo cosa stava succedendo: che loro non c'erano e che Carlotta era sola ed era sola anche mentre era
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arrabbiata e mentre ha fatto questa scelta pericolosa. E le hanno detto: non solo noi non ti condanniamo
ma ci rendiamo conto che abbiamo sbagliato. E non possiamo sostituirci a una tua decisione (anche se lei
era minorenne, qualche volta è un giudice del tribunale dei minori che prende una decisione per un minore,
quando ad esempio i genitori non sono disponibili, non ci sono, eccetera...). E le hanno detto: sarà difficile,
tu deciderai, ma sai che se vorrai tenere il bambino che è presto per avere, noi ci siamo., noi ci siamo e
saremo con te. E lei (è un caso rarissimo, perché quasi tutte le ragazze interrompono la gravidanza quando
succedono queste cose) e lei questa volta ha privilegiato il suo racconto, il senso di sé, e ha detto: io voglio
continuare ad essere me. E ha detto: provo, rischio perché so che ho voi vicini e ha portato avanti la sua
gravidanza, che è una scelta molto, molto, molto atipica rispetto a ciò che fa una diciassettenne e che
anche il mondo degli adulti consiglierebbe a una ragazza di 17 anni, parlo del mondo laico principalmente,
ma voi lo sapete, molti genitori cattolici in quella situazione condividono, magari con grande turbamento,
quella scelta. Invece loro si sono convertiti, hanno cambiato direzione, hanno cambiato la loro vita, hanno
ricominciato una messa in gioco, insomma. Ma questa era soltanto una parentesi per dirvi come era andata
a finire questa storia particolare, che mi aveva molto colpito. Per questo la racconto ancora.
Come state dentro al discorso sul serpente? Parliamone un attimo, prego.
- Io ho 35 anni e anche nella mia educazione il serpente è sempre stato condannato, non solo a 60.
Nella mia educazione, più che condannato, è stato spudoratamente negato e quindi implicitamente
condannato.
- Noi siamo più o meno coetanei, e nella mia e anche nella sua educazione perché le abbiamo
condivise, le nostra famiglie di origine sono molto similari, è stato veramente escluso, escluso, oltre che
condannato, anche escluso. Per cui questo ha condizionato tantissimo il nostro modo di vivere come
coppia. E con i nostri figli abbiamo cercato, cercato di compensare questa cosa. Il dialogo è stato molto,
molto difficile su questo punto e abbastanza limitato, anche se l'abbiamo affrontato comunque.
Nel mio caso non c'è niente di peggio che avere mamma e papà psicoterapeuti e magari anche che
scrivono i libri sulla sessualità, il peggio del peggio...
-Io sono Giancarlo. E prima volevo dire RABBIA come termine e queste due storie mi confermano la
rabbia perché il serpente non solo viene condannato, ma per la mia esperienza o non affrontato, o
affrontato nel modo sbagliato... cioè, l'esempio, la storia di Carlotta, mi ha un po' chiarito le cose che sono
state dette prima, però mi fa crescere ancora di più la rabbia perché in famiglia, ma anche nei luoghi in cui
vivo purtroppo non viene affrontato nel giusto modo, che non so quale sia.
Il giusto modo... possiamo condividere il dubbio... non so, ci stiamo provando...
- Io sono Luisa. Il serpente è stato condannato anche da parte, quando ero ragazza io,
assolutissimamente, non se ne parlavo. Però io non ci ho mai creduto. Cioè effettivamente io non ho mai
creduto a questa condanna, non ho mai creduto che Dio avesse creato l'uomo, uomo e donna e poi
condannasse tutto. È sempre stata una cosa a cui io non c'ho mai creduto. Per cui sono andata a libera
scelta, insomma. E con i figli abbiamo cercato di parlarne un pochino, insomma, non l'ho mai
completamente escluso, però non sono mai stata così completamente chiara. Cioè, una cosa un po' così.
Ma credo che parlarne sia la cosa essenziale, perché poi essere chiari vuol dire anche sapere delle cose
che non sappiamo e quindi lasciare anche degli spazi. L'importante è che forse chi cresce si senta
autorizzato ad esplorare certe parti di sé, a mettersi in contatto con queste parti e a sapere che non è solo
nel farlo perché questo è già di grande conforto nel crescere. Poi se ci dicono esattamente come fare, di
solito non va mai bene. E in effetti anche noi non abbiamo le idee così definitivamente chiare per dare
istruzioni così precise a chiunque. Quindi, l'importante è non sentirsi soli.
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- Mi chiamo Renato e volevo dire che tante volte il serpente si può anche dominare. Nel senso che se
non è annesso al controllo, anche ragionando con una carezza, pensando il bene lo puoi dominare.
È esattamente questo l'obiettivo. Dominare è la parola forte che viene quando c'è una specie di lotta
interiore e la lotta interiore penso che l'abbiamo conosciuta. E ci sono parti che si scontrano, e sono tutte
parti di noi. Quello che stiamo dicendo è che se c'è una parte che si scontra con un'altra, negare una delle
due parti è un errore fatale. In questo caso una gravidanza sbagliata in un momento sbagliato della vita,
mentre assumerle, e considerare che sono parti di noi, forse non di per sé sbagliate, ma da far dialogare
perché si incontrino e si integrino è la via. Come si fa esattamente, non l'abbiamo capito, però questa
sarebbe la via. Quindi il dominio è sulla lotta, e se no anche soltanto il governo, l'orientare, il conservare
dentro alla carezza la parte forte, proprio questo desiderio irrefrenabile è ricondurlo a una visione più
intera della nostra persona. Quello che tu dici, tra l'altro, credo sia un discorso di grande importanza, molto
al di là della sessualità. Uno dei giochi che è bello fare nella vita, in famiglia, a scuola, è nominare i
personaggi che descrivono la nostra storia. Non so se avete mai fatto caso, ognuno di noi è chiamato con
nomi diversi secondo le persone che lo chiamano. A me qualcuno mi chiama Fabio, qualcuno mi chiama
figlio mio, qualcuno mi chiama papà, qualcuno professore, qualcuno se è proprio di umore eccellente mi
chiama amore mio, insomma ci sono tutta una serie di nomi che in qualche modo mi chiamano sulla scena
pensando a me in un modo preciso. Io ho mia figlia più piccola che è simpaticissima e adesso ha 17 anni, ma
soprattutto quando era piccolina, ogni tanto mi guardava e diceva: ah, ha parlato il professore! Che voleva
dire: guarda che qui saresti papà che già, insomma, però... ti sopportiamo. Se devi fare il professore hai
sbagliato personaggio, hai messo in scena il tipo sbagliato. In modo molto puntuale mi faceva notare che
giochiamo parti diverse e fare la regia, scrivere un grande romanzo corale che è la nostra storia, la nostra
vita, è un'arte difficilissima. Ma se qualcuno ci prende di punta e dice: no, questa parte non c'è, questa
parte non è vera, questa parte la devi uccidere, ci fa sempre del male. Noi dovremmo sempre invitare a
tavola le parti di noi e soprattutto le parti più fragili, quella spaventata, quella arrabbiata, quella triste,
quella sfiduciata; dirle: siediti qui e parliamo, dentro, dentro di noi. Questo va molto al di là della sessualità,
ma è un buon modo per contrastare, dominare in certi momenti, ma soprattutto far dialogare e generare
armonia interiore. E con la sessualità c'è il riscontro immediato nella mano: quando io mi sono pacificato
con me stesso, le carezze sono meravigliose; quando invece mezza carezza dice una cosa e mezza carezza
ne dice un'altra si sta male.
- Marco: Devo dire che sentendo queste riflessioni, queste storie, ripensando alla mia vita personale
posso solo dire di aver avuto la fortuna di avere due genitori che da questo lato hanno saputo trasmettermi
quella serenità e quel senso di responsabilità che qualunque percorso all'interno della sessualità poteva
dare senza mai dirmi niente, ma testimoniandolo con la loro vita. E questo devo dire che mi ha lasciato, mi
ha fatto davvero crescere tanto e anche se all'esterno, nel mondo, anche diciamo nella parte cristiana c'è
sempre stato questo rifiuto, questo tabù della sessualità, io sapevo che quando mi guardavo indietro avevo
loro e mi bastava il loro sguardo.
Se ti potessero sentire, credo che sarebbero molto commossi perché è un bellissimo grazie che tu dici
ai tuoi genitori ed è, sì, quello che noi abbiamo in mente: poche parole, perché alla fine il serpente è a
tavola: se noi riusciamo a vedere come papà guarda mamma quando entra in casa (e anche mamma) noi
vediamo il serpente in azione, cioè, non è mica che ci ha pensato tanto: la guarda e la vuole. E poi vediamo
come diventa garbato il suo gesto, come diventa attento, rispettoso e come diventa privato. Questa è la
parte che possiamo condividere: che a papà mamma piace tanto e la desidera. Poi il resto del gioco è un
gioco che custodiamo nella nostra stanza, nelle nostre parole e così via. Questa è la testimonianza di cos'è
un serpente addomesticato, di come lo si tiene in casa e lo si fa funzionare. E non c'è bisogno di parlarne
sopra, anzi se ne parliamo i bambini ci dicono: che stai dicendo? Lascia perdere. Tu stai a vedere. E così
funziona.
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- Manolo: stiamo ponendo, come penso di aver capito, come una base per la sessualità, il fatto che
l'educazione che ci viene data o quello che noi vediamo nella nostra adolescenza o quello che ci viene
trasmesso o non trasmesso, perché molte volte il serpente viene nascosto oppure c'è il rischio che il
serpente venga trattato male, per un senso di preservare, perché poi il genitore fa quello, tenta di
preservare, noi arriviamo a una certa età che non sappiamo accarezzare e manca proprio quella base che ci
servirebbe per imparare. Il rischio è quello poi di trovarsi davanti ad altre persone con cui condividiamo che
non sanno accarezzare, per cui diventa tutto una sperimentazione. E nessuno ci dice poi se il modo con cui
ci stiamo accarezzando è quello corretto. Come fare in quei momenti?
Ecco, grazie perché tu apri il discorso successivo. La risposta che ci dà la natura e quindi forse
attraverso la natura, la traccia del pensiero che ha generato tutto ciò, è il gioco. Si impara giocando. Non c'è
un altro vero modo per imparare a mettere insieme queste parti, a farle crescere in modo armonico, a farle
dialogare. Se lo facciamo sul serio è sempre troppo presto o troppo tardi: siamo sempre fuori tempo e
siamo afflitti dal peso del risultato che dobbiamo ottenere. Se io devo farti una carezza che deve venire
bene, posso anche lasciar perdere, perché le carezze non vengono bene se le penso così. E se le ho giocate
e se attraverso il gioco ho saputo di me e poi ho saputo di te e poi abbiamo sbagliato, ci siamo confusi,
abbiamo frainteso, ma sempre rigiocando e riprovando, bon, alla fine nelle nostre mani c'è la saggezza e la
sapienza delle carezze, non c'è più bisogno di farci su dei pensieri. La strada è proprio il gioco. Ma lo
vediamo. Se avete avuto dei gatti lo sapete, anche dei cagnetti. Una gatta partorisce e ha un po' di gattini. E
questi gattini per un po' crescono e poi cominciano a fare la lotta e la mamma li sorveglia. E fa in modo che
quella lotta serva perché un giorno dovranno combattere davvero, ma anche che mentre giocano non si
facciano male. Infatti a un certo punto li soffia e li divide, lasciandoli fare ma sfruttando questa palestra
perché quando poi li lascerà davvero andare via per i tetti non siano troppo in pericolo. Ma le mamme
gatte ovviamente non vanno a scuola, non sanno dire le parole, non fanno questi ragionamenti, però hanno
dentro di sé, scritto in modo molto preciso che i loro gattini devono giocare per poi andare nel mondo a
fare le cose sul serio perché lì rischieranno la pelle. […]
questo i bambini sono disponibili ad ascoltarlo: giocate senza farvi male. Sbuffano, protestano, san
tutto loro, ma anche i gattini vorrebbero continuare a fare quello che gli garba, e beh, però adesso date
ascolto, date retta a me. Ma no, poi i bambini ci stanno perché oltre alla voglia di giocare, hanno un'altra
voglia che è più antica ancora del gioco perché sta qua sotto, che è la voglia di protezione e sicurezza. E
quindi hanno bisogno che qualcuno li contrasti, perché solo in questo modo si sentono sicuri abbastanza
per rischiare ed esplorare. Se nessuno gli dà dei confini, gli dà dei limiti, loro li valicano e poi sono
spaventati e confusi. Se invece stanno forzando, ma hanno braccia forti che li tengono, esplorano e
conservano il senso di sicurezza che deriva da chi li sta un po' limitando, da chi usa la prudenza. Lì in mezzo
crescono.
- Posso dire una cosa, sempre sulla rabbia? La cosa che mi fa rabbia è che alla fine di tutto questo
discorso, mentre dicevi del gioco, le regole..., io mi scrivevo dentro di me: chi le mette le regole del gioco?
Quali sono le regole del gioco? Come si fa a giocare? Qual è il gioco? E l'unica risposta che riesco a darmi è
avere ben presente quello schema che ci davi tu prima e la rabbia invece che mi esce fuori è quella che la
società, la mia esperienza, l'oratorio, tutte queste cose qui purtroppo si soffermano solo sul far festa. E se
non fai festa bene, poi ci sono delle conseguenze, quindi diventa una cosa negativa, mi spiego?
Io sono d'accordo, non posso dire a mia figlia: vai a provare. Cosa provi? È una battuta!
- Però è vero anche che se riesco a far ben presente questa scaletta, questo discorso che condivido
molto che ci hai fatto prima, allora sì che puoi dire: vai. Non andare agli scout, ho scoperto in questa...
scusate, so che ci sono alcuni scout... è questo che mi fa rabbia! Anche nella società, nella società in cui io
credo, alla fine è solo, solo, solo il far festa che esce fuori, in tutto.
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Sì hai ragione. Io lo terrei come un punto importante. Quanto tempo abbiamo, così mi regolo... un
quarto d'ora? Io lo terrei come un punto importante del pomeriggio. Dobbiamo intenderci bene su cos'è far
festa, in un contesto, in un mondo che ci propone di essere sempre e solo in festa, forse. Però siccome è un
discorso che vorrei trattare con un po' di cura, se non ti dispiace lo spostiamo a dopo pranzo perché è uno
dei punti che fanno bussola, perché quando ci siamo messi bene d'accordo come si usa il piacere, come si
usa la sofferenza per crescere, molte di queste questioni si affrontano, si sciolgono, si risolvono da sole.
Okay? In dieci minuti ho paura che ci venga male, che ci rimanga un po' stretto, quindi lo terrei in attesa,
facendo però un altro discorso, sempre sul gioco. Voglio però vedere se riusciamo a tenere lo sviluppo del
nostro ragionamento ben condiviso. Noi abbiamo parlati di riproduzione, abbiamo visto che c'è una grande
forza meravigliosa che sta dentro di noi e che va governata, in qualche occasione anche un po' dominata,
ma sostanzialmente governata. E che deve entrare in un dialogo con le altre parti di noi perché nelle nostre
carezze deve essercene traccia se no perdono sapore. Abbiamo visto che negarlo è negativo, pericoloso e
che parlarne male non porta da nessuna parte. Dopo però la domanda è: d'accordo, ma come si fa a
imparare a usare queste parti? E la mia risposta è stata: il gioco. E sul gioco ci siamo messi a discutere: che
giochi faccio fare? Io non faccio fare nessun gioco sessuale ai bambini, ci pensano loro. E dopo il pranzo ci
domanderemo eventualmente perché questo non può stare tra le nostre proposte?c'è una ragione precisa
per cui noi non possiamo fare la proposta, ma siccome richiede qualche altro pensiero, anche questo lo
teniamo per dopo pranzo. Del gioco però possiamo parlarne in questo modo: pensandolo come trasversale.
Attraversa tutta la nostra vita. Si gioca quando si viene al mondo, si gioca per tutta l'infanzia, per tutta
l'adolescenza, per tutta l'età adulta, si gioca da vecchi. Si cambia un po' modo di giocare. Sì, questo è vero, il
gioco si adatta alle fasi della vita. Ma sembra che il gioco sia una parte essenziale della nostra crescita
personale: chi non gioca muore. Che è un modo di dire anche un po' strano, ma i bambini che non giocano
muoiono davvero, nel senso che si interrompe lo sviluppo cerebrale. Si collassano dentro e muoiono. Non
c'è bisogno che abbiano i giocattoli per giocare, bastano anzi le cose che ci sono al mondo: i nostri corpi,
l'incontro con gli altri, eccetera... ma fuori dai giochi non c'è vita. E dunque, come abbiamo parlato bene del
serpente, dobbiamo parlar bene del gioco. Un gioco che contiene una miscela sapiente di piacere e di
capacità di soffrire. Però dobbiamo parlare bene del gioco. E i giochi subito li vediamo nella vita di un
bimbo. Gioca con il suo corpo e così costruisce la mappa del suo corpo nel cervello. E non è solo una mappa
topografica, è una mappa di sensazioni. E con quelle sensazioni saprà come sta, saprà cosa gli sta
accadendo, molto più che attraverso i pensieri e molto più rapidamente che attraverso i ragionamenti.
Senza quella mappa è in pericolo, non se la cava nel mondo, non se la cava nella vita. E in questa mappa
entra il sesso. Entra i sesso. E di questo dobbiamo dire grazie ad un grande studioso, Freud, che ha
reintrodotto nella cultura del mondo occidentale, chiamiamolo così anche se non sappiamo più bene cosa
vuol dire... insomma, nella cultura di questa zona in cui viviamo, l'idea che i bambini hanno una vita
sessuale. Non hanno solo un sesso, questo lo si sapeva, un sesso genetico e poi un fenotipo, cioè un modo
di costruire il corpo che corrisponde al sesso genetico. Ma hanno anche una vita sessuale attiva perché nei
giochi che fanno scoprono alcuni segnali che vengono da certe carezze che classificano come segnali diversi
e noi li chiameremmo segnali erotici e/o capaci di generare interesse sessuale e quindi erogeni, insomma le
zone dell'eros che sono tutte le zone ricoperte da un tessuto più sensibile della pelle che ricopre il resto del
nostro corpo e che si chiama mucosa. È così nella bocca, è così intorno all'ano, è così negli organi genitali
che sono le zone che poi lui ha individuato che sono particolarmente significative. Io poi non vado avanti
con la storia che ci ha raccontato Freud perché contiene un errore fatale, l'errore fatale che per spiegare la
sessualità dei bambini ha usato quella degli adulti. E qui ci siamo un po' persi. Okay, sapete che ha preso i
grandi miti delle relazioni tra adulti e li ha usati per trovare delle spiegazioni sui problemi eventuali dello
sviluppo sessuale dei bambini. E questo l'ha portato un po' fuori strada. Quindi abbandono il ragionamento
proposto da Freud, ma lo ringrazio a nome di tutti perché ha fatto questo grande gesto: ci ha ricordato che i
bambini hanno una sessualità e la giocano, e la giocano toccandosi. E toccandosi stanno bene e crescono. E
questo sì, è un dubbio che potremmo avere: e poi quando un bambino si tocca cosa sta facendo? Forse è
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meglio insegnargli a non farlo. No, qui, ecco, le poche conoscenze scientifiche che abbiamo direbbero il
contrario: sta facendo crescere il suo cervello, lo sta organizzando. Perché dobbiamo bloccarlo a metà?
Lasciamo che lo faccia. Poi scopriamo che deve imparare in tempi ragionevoli e comunque abbastanza
brevi, a farlo per conto proprio se no manda segnali sessuali che diventano complicati da sostenere, okay?
E quindi impara a privatizzare i suoi giochi. Qualche volta però, invece, impara ad usare questi giochi per
una ragione molto strana e noi dobbiamo essere attentissimi a questi giochi usati in modo diverso dal
solito. Impara ad usare il sesso per consolarsi. Perché quando uno si tocca prova piacere e quando si sta
male provare piacere attenua un po' la sofferenza. Ci sono dei servizi che si chiamano SERD che sono i
servizi per le dipendenze, dove vanno a chiedere aiuto le persone che non trovando altri sistemi per gestire
la loro sofferenza hanno provato col piacere, hanno provato a mettere quote di piacere aggiuntive per non
sentire il dolore. Dopo ne sono diventati dipendenti e non riescono più a togliersi da quel meccanismo
micidiale che tocca una parte del nostro cervello. E anche i bambini. Se si toccano perché sono tristi, perché
sono annoiati, perché sono spaventati, perché sono arrabbiati e non si possono arrabbiare perché non c'è
nessuno con cui possono arrabbiarsi, bene alla fine provano a consolarsi da sé. E snaturano le loro carezze,
perché le carezze sono fatte per farsi la mappa della sessualità e quindi, un giorno, per incontrare persone
con un corpo e una mano esperte almeno di se stessi, e così invece no, vengono snaturati perché sono dati
in prestito per gestire dolore, per gestire sofferenza. È come sciupare il cibo, l'alimentazione: ci sono
persone che mangiano per nutrirsi, altra che mangiano per condividere, altri che fanno una tavola di amici
ed è molto bello usare il cibo in tutte queste varianti. Ma chi di notte si butta dentro al corpo roba presa dal
frigorifero al buio per non vedersi e non farsi vedere, e ha quindi un attacco di bulimia, in realtà sta
sciupando l'alimentazione e la sta dando in prestito all'angoscia del vuoto che sente dentro di sé o della
paura o della rabbia che non riesce ad esprimere. Stessa cosa per il sesso che è un piacere a facile accesso.
Allora in quel caso dobbiamo essere attenti perché i bambini e come ci dicessero: ho capito, tu mi lasci in
pace ma stavolta invece dammi una mano, aiutami perché io sto usando il sesso per consolarmi invece sei
tu che dovresti consolarmi e così il sesso lo lasciamo in pace che serve per crescere. Mi spiego? E tu
consolami come sai fare, mi sollevi dalla paura, mi togli dalla solitudine, mi permetti di arrabbiarmi perché
io così imparo anche come si fa come i gattini e non mi devasti quando io mi arrabbio o faccio un capriccio,
eccetera... e vedrai che ho meno bisogno di usare le carezze per consolarmi da solo. Non ce lo dicono.
Dovremmo soltanto guardarli e leggerli. Ecco, questo è il primo tratto del cammino. Sapete, i grani
problemi legati alla masturbazione, io ho sempre usato la parola “i bambini si toccano con la mano”, però
toccarsi con la mano per procurarsi piacere vuol dire masturbarsi. Masturbazione deriva da manus: l'uso
della mano, rivolta al proprio corpo per procurarsi piacere. Non l'ho detto perché la frase sembrava più
forte, mentre “i bambini si toccano” sembra più normale, però i bambini si masturbano. Come guidare
questo percorso che stiamo tentando di mettere a disposizione anche della riflessione morale è che un
bambino quando si tocca non va corretto perché correggiamo un'intenzione che non ha e intercettiamo un
procedimento che è ancora utile per poi finalmente eventualmente smettere di toccarsi per toccare gli altri
e toccare gli altri dentro un rapporto ordinato e orientato alla costruzione dell'amore. Ma prima non è così:
c'è un equivoco, stiamo cercando di intercettare un meccanismo che esprime tutta un'altra esigenza dello
sviluppo sessuale, mi spiego? Su questo pian piano cercheremo di fare una cosa, ci siamo accordati sul fatto
che non è il sole che gira intorno alla terra, insomma è stato un po' complicato mettersi d'accordo, alla fine
ce l'abbiamo fatta e forse con cose più semplici riusciremo a mettersi d'accordo che se serve toccarsi per
crescere, va bene, ci si tocca. Ma qualche volta invece no, qualche volta è solo l'espressione di un grosso
disagio, di una grossa paura. E poi questo gioco è bello e continua. L'ideale sarebbe proprio che non fosse
più riferito a noi stessi, ma che fosse un gioco di apertura. E difatti i bambini lo fanno: vanno a vedere come
fanno pipì le bambine, come fan pipì i maschietti. Poi si incuriosiscono, si toccano, si annusano, si
assaggiano, vogliono capire. E mentre lo fanno scoprono che è pure carino. No, prima è conoscenza,
sembra un po' così una roba teoretica, poi in realtà diventa proprio che è bello toccarsi, no? E fanno i giochi
del dottore, quelli che noi non possiamo dire: ragazzi, dopo merenda si fa il gioco del dottore. Questo no
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perché ci arrestano, non ci sta, non si può fare perché vuol dire non riconoscere un confine della lor
persona, vuol dire andare nella loro sessualità e questo non possiamo farlo noi; noi la governiamo
dall'esterno. E sappiamo che forse sì, ma noi siamo presenti con discrezione e diamo tutte le istruzioni
perché i bambini, è terribile, fanno giochi violenti, dove violenza vuol dire violare il confine di un altro e
violare i confini di un altro mentre l'altro non è d'accordo. Sapeste che tragedie ci sono nelle camere dei
fratelli e delle sorelle che dormono insieme e che vivono insieme per spazi più o meno limitati, ma poi fa
anche bene non avere una stanza per ciascuno in certi momenti della vita, e poi nelle storie, quando
raccontano il loro dolore magari da grandi dicono: però io ero costretto a fare i giochi con mio fratello con
mia sorella e magari non era nemmeno il più grande, era il più piccolo che costringeva il più grande, perché
non dipende dalla forza fisica ma dalla capacità di manipolare l'altro è di costringerlo a fare ciò che
vogliamo e lì ci sono proprio delle ferite, che giocare fa benissimo perché fa crescere, anche giocare i giochi
del sesso fra coetanei va benissimo e fa crescere, ma mai violando i confini dell'altro. E la violazione dei
confini non la si insegna in modo specifico sulla sessualità, la si insegna in casa quotidianamente, perché le
nostre vite familiari sono spesso delle grosse violazioni di confini come se tutto fosse normale. Si entra, si
esce, dalle stanze, dalle vite; si entra nei corpi, si decide se uno ha caldo, se uno ha freddo, cosa deve
mangiare, mi spiego? E si fa anche con buon senso, niente da dire, ma come se i confini non ci fossero e i
nostri figli fossero senza pelle, mi spiego? Invece anche solo per abbracciare un bambino ci si avvicina e si
prova e vediamo cosa vuol fare lui, mi spiego? Se no sono io che mi abbraccio usando un bambino. No?
Diventa la mia bambola, non è più un bambino che incontro. Ecco tutto questo attento ridefinire i confini è
pratica quotidiana e allora i confini sessuali fanno parte degli ovvi confini: si chiede permesso. Non solo per
entrare. Si chiede permesso per avvicinarsi. Si chiede permesso per fare una cosa insieme. Okay? Questo
chiedersi permesso è una cosa molto importante e preserva dalle violenze che a volte purtroppo ci sono
nelle stanze, nelle stanze dove sembra che tutto vada bene, in fondo sono fratelli, eccetera... quindi noi
dobbiamo sorvegliare i giochi, ma soprattutto dobbiamo fare una cultura della non violenza dove violenza
non è arrivare con i coltelli, ma è trascurare l'altro e violare i suoi confini. Questo purtroppo non sempre
abita a casa nostra. E quindi anche la sessualità diventa prepotente. E a volte dalla prepotenza rischia di
diventare una ferita nella memoria e nel corpo dell'altro. Credo che sia ora di andare a pranzo... no?: dieci
minuti. In dieci minuti riesco a dire ancora una cosa. Allora, la cosa che possiamo dire... sono un po'
preoccupato se dirvela o no... perché poi va per storto il pranzo... però... questa è una roba brutta... okay,
facciamoci forza. Vi dico una cosa divertente e una meno. Partiamo da quella divertente. I bambini devono
privatizzare i loro comportamenti e lo fanno regolarmente su molti aspetti della loro vita. Prendete ad
esempio la cacca. La cacca è un argomento molto pubblico quando vengono al mondo, perché se la fanno
vuol dire che funzionano. Poi dopo, stranamente, la chiameremo la cacchina bella del mio amore, che di
solito fa schifo, ma in questa relazione diventa speciale. Poi finalmente si autonomizza un po' e diventa il
vasetto, che fa la cacca nel vasino. Mantiene una quota pubblica perché poi sapete, di solito capita a metà
di un film: “ho finito!” quell'urlo nella sera che più o meno abita le nostre case e vuol dire che uno molla il
film, va, lo tira su, fa un po' di coccole, va bene, eccetera... poi però arriva il momento in cui non chiamano
più. I genitori ansiosi hanno paura che siano morti e invece soltanto stanno autonomizzando. E c'è questo
dialogo un po' starno dove uno dice: ma hai fatto la cacca? Sì. Ma non hai chiamato... perché? No, perché
sono anni che chiami... beh poi alla fine si risolve così. Poi dopo ricordiamoci che ritornano un passo
indietro perché si sono persi dei momenti anche di contatto, ma alla fine si stabilizza anche questo. Fino al
giorno in cui voi entrate in bagno per prendere un detersivo, qualcosa... e vi guarda come per dire: ma non
si bussa in questa casa? Il confine successivo. Per cui vedete che un bambino ha una sua logica interna non
proprio da tabella, nel senso che esce di qualche mese rispetto alle tabelle, e dice: okay, adesso faccio da
me. Fuori dalla mia intimità fuori dalla mia intimità. Se sta male si rifà fare di tutto perché dice: no ne ho
bisogno di nuovo. Dice: no, vieni pure vicino, ho bisogno di te. Sono molto precisi. Qualche volta,
all'improvviso usano il sesso come se non avessero conosciuto il senso del privato. E dopo aver già imparato
a fare per conto proprio vi buttano addosso segnali sessuali. Per esempio si toccano, si toccano in pubblico,
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si toccano a scuola, si fanno vedere nudi quando non c'entra nulla essere nudi, eccetera... e mentre lo
fanno sono molto turbati. Di solito le parole non vanno tanto lontano. Io vi voglio far confrontare tre
sguardi: il bimbo che si tocca e cresce nella sua sessualità ha uno sguardo furbo e divertito e sta bene. Il
bimbo che si consola ha uno sguardo svogliato, venato di tristezza è come se facesse fatica a toccarsi
perché deve. Ma quest'altro bimbo, quest'altra bimba mentre all'improvviso mostrano di nuovo la loro
sessualità hanno uno sguardo perso, è come se fossero in trance, come se fossero disconnessi e lo sono.
Sono in uno stato dissociativo di coscienza. E quando fanno questi gesti fortemente sessuati che avevano
abbandonato, che non erano più pubblici e lo fanno in questo stato mentale riconoscibile dal loro sguardo,
purtroppo ci stanno dicendo che qualcuno li sta abusando sessualmente. È vero sempre? No, non è vero
sempre, ma è molto, molto probabile. E siccome non attraversano il bosco come Cappuccetto Rosso,
purtroppo chi li sta abusando è una persona di famiglia o un buon vicino di casa o una delle persone che si
prendono cura di loro. E due volte facciamo fatica a riconoscerlo, ad accettarlo. Ma quando un bambino
usa la sessualità in un modo esibito, buttandocela addosso ed ha lo sguardo perso, il segno fisico è di un
trauma grave in corso, questa volta sulla sua sessualità. Purtroppo li salviamo solo noi, non li salvano gli
psicologi i bambini. Gli psicologi dopo intervengono e vi aiutano, ma è in casa che vedete questi sguardi,
oppure gli insegnanti. È a scuola che vedete questi sguardi, questi comportamenti, improvvisi che tra l'altro
di solito sono connessi a uno sciame di altri segnali che però presi da soli non sono leggibili: son bambini più
irritabili, son bambini che non si concentrano, che vanno male a scuola mentre prima andavano bene, non
riescono più a interagire con gli altri come facevano prima, ma prima vuol dire la settimana prima, non anni
prima. È un irrompere nella loro vita di questa esperienza traumatica. A volte si fanno delle ipotesi molto
strane perché si rifiuta l'idea che qualcuno di così vicino a noi possa essere il mostro che gira intorno ai
nostri figli e li possa violare nel modo più grave. Quindi un bambino che si tocca a volte ci dice anche
questo. In realtà non sa che ce lo sta dicendo, ma se noi abbiamo lo sguardo attento ed esercitato, almeno
chiediamo subito un parere. Siccome è difficile decidere magari tra papà e mamma: ma gli starà
succedendo qualcosa di brutto? Verrà abusato? Prendete queste notizie e portatele. Me lo ricordo perché è
stato forse il mio momento più terribile, una nonna di una sessantina d'anni che piangeva tanto e diceva: è
successa una cosa terribile, forse ne sono responsabile io e mi ha raccontato un abuso. Mi ha detto che
c'era la sua nipotina a casa che era stata una settimana con la mamma ed era stata una settimana in giro
con il nuovo fidanzato della mamma, che era alla terza storia. E allora lei ce l'aveva per un'altra settimana e
stava facendo il bagnetto e piangendo disperata dice: la mia nipotina mentre io le facevo le coccole, le
mettevo il borotalco, le facevo il solletico, ha sbarrato gli occhi si è aperta la patatina con le mani e ha
detto: nonna fammi la foto. Ecco, questo è il racconto di un abuso perché ci sono tre segni che la nonna ha
riconosciuto senza saperli leggere perché ha detto: credo di aver fatto io qualcosa che non va. Però ha
intuito che erano tre segni importantissimi che erano: lo stato dissociativo (aveva lo sguardo perso nel
vuoto), un segno di ipersessualità dentro una relazione intima, amorevole, che non aveva mai perso i
confini della sessualità e poi una frase che una bambina non riesce a inventare a 4 anni perché dice al
massimo: qualcuno mi tocca per allontanarlo, se ha capito che è un suo diritto non essere molestata, mi
spiego? Ma non dice “fammi la foto” quindi faceva riferimento a una memoria che tra l'altro non sapeva di
ricordare, ma emergeva così dalle sue parole in modo immediato. Questa è una scena con i tre indicatori
clinici gravissimi che la nonna ha intuito e che ha portato chiedendo aiuto. Quindi il consiglio è: se vedete
questo terzo sguardo nei bimbi che crescono, con grande dolore perché c'è qualcuno che vi è vicino che va
rimesso in discussione, fate l'ipotesi, perché è l'unica ipotesi che salva i bambini. Non sono gli specialisti che
vedono gli sguardi ma sono le persone che vivono con loro e quindi in qualche modo teniamoli presenti.
Che cosa è successo a questi bambini? È successo che qualcheduno ha violato i loro confini. Per una
ragione. Perché i bambini mandano segnali sessuali a noi adulti, certo. Abbiamo mandato segnali sessuali
alla mamma, al papà. Ma c'è un sistema che la natura ha congegnato e che ci ha messo a disposizione
molto potente: i bambini mandano segnali sessuali pretendendo, senza saperlo, intuitivamente che di
ritorno non ci sia mai la nostra sessualità che si rivolge verso di loro, ma ci sia soltanto il prendersi cura. Io ti
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seduco, ti corteggio, ti mando i segnali e tu mi restituisci sempre, soltanto riconoscimento, apprezzamento,
tenerezza e cure. Okay? Ci siamo? Quando invece un adulto restituisce la sua sessualità a un bambino, lo
sta confondendo, lo sta facendo eccitare, e gli sta facendo provare un'angoscia terribile perché prova una
sensazione che non sa leggere, non sa sistemare da nessuna parte, né nel suo corpo, né nella relazione:
questo si chiama abuso sessuale. L'abuso sessuale è un mal funzionamento della relazione tra adulto e
bambino: il bambino manda segnali sessuali e l'adulto gli fa da contenimento sempre riconoscendolo,
apprezzandolo e volendogli bene. Quando non funziona, per ragioni che adesso non abbiamo tempo di
descrivere, ma perché è successo qualcosa di doloroso, qualcosa di brutto nella vita di chi abusa, allora i
bambini devono essere immediatamente protetti perché il confine è questo: la loro sessualità sì, la nostra
no. Mai la nostra verso di loro. Questo è il punto di confine. E non c'è bisogno di studiare. Basta sentirselo
nella pancia. Può farmi di tutto, fin quando non si attiva la mia sessualità lui sta bene. Ma appena il mio
sguardo si posa su di lui con un po' di sessualità, lui è già nella tragedia e sta immediatamente malissimo.
Per questo dobbiamo conoscerci, per fare da accompagnamento, per fare da educatori della sessualità
dobbiamo conoscere bene la nostra, dobbiamo sempre sapere in che posizione noi siamo e la posizione
giusta con un bambino è prendersi cura di lui, così facciamo da confine, molto semplice. Questi sono i tre
sguardi del gioco. Quindi abbiamo parlato di un gioco bellissimo che fa crescere e porta buone notizie
quando si rivolgerà verso gli altri: so di me, so cosa provo e adesso voglio provarlo con te; di un gioco triste,
per consolarsi; di un gioco che è il segnale della più grande violazione che si può fare a un bambino, la
violazione dei confini della sua sessualità e in questo caso subito correre ai ripari, subito, subito, subito. Ma
abbiamo visto che anche i giochi tra bambini possono essere violenti: lì non c'è l'abuso perché sono tra di
loro, però c'è la violenza sessuale tra i bambini: si costringono a fare cose che non vorrebbero e anche
questa è un'altra via da proteggere. Questa è la parte triste. La parte bella è che se poi tutto ci è andato
bene, noi abbiamo voglia di giocare per tutta la vita e quindi poi quando non siamo più bambini e l'ipofisi,
quella parte di cervello che ci dice: adesso cresci, diventa un uomo, diventa una donna, ci dice di provarci,
noi ci rivolgiamo con molto interesse verso le altre persone. E costruiamo una sessualità nuova. I bambini, e
chiudo, i bambini hanno ancora una cosa importante che Freud ha trattato malissimo perché l'ha chiamata
con delle parole brutte, lui l'ha chiamata sessualità perversa polimorfa che già dirlo sembra un po' una roba
schifosa. Ma sapete cos'è? Gli studi nuovi che abbiamo fatto ci fanno pensare questo: che un bambino fa
delle cose bellissime. Perché? Gioca, prova piacere, conosce il corpo, si innamora (vi ricordate quando vi
siete innamorati da bambini? Sono delle sensazioni fortissime!), costruisce dei piccoli legami che magari
non durano tanto, ma non so se avete mai provato a rifare la fila mentre vanno a mangiare all'asilo: se si
tenevano per mano si mettono a piangere, s'arrabbiano, dicono: questa è la mia bambina, questo è il mio
bambino. Hanno proprio i loro legami. I bambini fanno l'amore, fanno l'amore con noi. Ma siccome noi gli
abbiamo pulito la relazione e non restituiamo sessualità, finalmente sanno l'amore nel nostro corpo come
le parole non gli diranno mai. Non posso far sapere l'amore a un bambino dicendogli ti voglio bene, gli
piace, la voce è bella quando dico ti voglio bene, posso farglielo sapere solo facendolo con lui. E tra l'altro
non facendo l'amore a lui, facendo l'amore tra di noi perché un bambino è un soggetto d'amore, non è
l'oggetto del nostro amore. È proprio una persona già. Quindi è meraviglioso. Allora, giocano col corpo,
provano piacere, giocano col corpo dei bambini e provano piacere, si innamorano, costruiscono legami,
fanno l'amore non sessuale, fanno l'amore non ci mettono il sesso per fortuna, ma sapete cosa non può
fare il loro cervello? Mettere tutte queste cose assieme. Il loro cervello non può costruire la carezza da cui
noi siamo partiti, perché in quella carezza c'è tutto. Il cervello dei bambini è progettato invece per fare tanti
esperimenti in parallelo, senza ancora farli convergere in un'unica carezza perché la loro mente non la
reggerebbe, la loro capacità di stare in relazione sarebbe troppo poca per portare così tanto dentro una
carezza. E quindi sono in attesa, in attesa di integrare, di mettere insieme tutte queste parti. Sembra
disordinata, invece è solo un meraviglioso laboratorio per crescere. Un assaggio di un'esperienza, poi di
un'altra, poi di un'altra, mi faccio un po' di pratica, so già un po’ come è e poi un giorno rischierò di mettere
tutto in questa mano, in una carezza.
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