Madre di Dio Madre nostra - Beata Vergine delle Grazie

MARIA, MADRE DI DIO E MADRE NOSTRA
“Questo predica la dottrina della fede ritenuta più sicura e questo troviamo che abbiano ritenuto i santi Padri: non
dubitarono di chia-mare genitrice di Dio la santa vergine [θεοτόκον…τήν άγίαν παρθένον], non nel senso che la
natura del Verbo e la sua divinità abbiano preso principio dell’essere dalla santa Vergine, ma nel senso che il Verbo
si dice nato secondo la carne, avendo tratto da lei il santo corpo perfezionato dall’anima razionale al quale era unito
secondo l’ipostasi” (1). La definizione del Concilio ecume-nico III di Efeso (431) (2) (3) (4) rappresenta il
punto di arrivo di un cammino di riflessione secolare della Chiesa primitiva a partire dai testi
neotestamentari e il punto di partenza di tutta la mariologia suc-cessiva.
Il termine “Θεοτόκος” è il titolo fondamentale della Vergine Maria: da esso e dall’asserzione di Cirillo
di Alessandria (5) –fatta propria dal Concilio- nascono l’ulteriore riflessione mariologica e anche nuove
definizione dogmatiche(6). Il titolo è presente nella prima preghiera mariana d’Oriente, l’antifona nota
sotto il titolo di Sub tuum praesidium: “Sotto la protezione della tua misericordia ci rifugiamo, “Θεοτόκος”.
Non respingere le domande [che ti rivolgiamo] nella difficoltà, ma salvaci dal pericolo, [tu] sola casta e benedetta”
(7)
. La dottrina –fatta risalire da tutti i padri preniceni a testi biblici- è già espressa nel simbolo nicenocostantipolitano(8) ed esprime la preoccupazione di tutti i vescovi, teologi, Padri della Chiesa, di
difendere la fede nel Cristo pienamente Uomo e pienamente Dio dalle eresie che la inficiano fin dagli
anni della comunità aposto-lica(9). La maternità verginale di Maria “viene caricata di significato
soteriologico [per noi uomini e per la nostra salvezza…],
(1) Dalla II Lettera di Cirillo di Alessandria “De Incarnatione”, approvata dal Concilio di Efeso nella prima
sessione. Cfr. Denzinger, Enchiridion simbolorum, n. 111a (DS 111a), ed. Herder 1952. La dottrina è riaffermata
nel primo degli anatematismi di Cirillo: “Si quis non confitetur Deum esse veraciter Emmanuel et propterea Dei
Genitricem sanctam virginem (peperit enim secundum carnem factum Dei Verbum) anatema sit” (DS 113)
(2) “La decisione era presa; tuttavia rimase in molti vescovi una spiacevole sensazione. Dal punto di vista
mariologico, la situazione era stata chiarita, ma dal punto di vista cristologico c’era ancora da fare” (G. Soll, Storia
dei dogmi mariani, Las Roma, 1981, p. 162).
(3) “La precisione teologica di questo testo esclude ogni falsa comprensione del titolo di genitrice di Dio,
implicante una qualunque dipendenza o subordinazione del divino all’umano ed esprime con forza il valore
personale del titolo di madre di Dio: esso non sta a dire che Maria è genitrice della divinità, ma che è la Madre del
Verbo incarnato. La piena e vera umanità di Gesù, unita all’ipostasi divina, è generata dalla Vergine, che perciò è
genitrice del Figlio eterno fatto carne. Questo rigore teologico non deve oscurare i limiti delle affermazioni di
Cirillo [riprese dal Concilio di Efeso (ndr)]: il rilievo soteriologico resta piuttosto in ombra; la maternità di Maria è
colta più nel suo aspetto ontologico, che nella sua rilevanza storica, lo Spirito Santo non è mai espressamente
nominato” (Bruno Forte, Maria , la donna icona del Mistero, EP, Milano 1988)
(4) “Uno dei problemi fondamentali inerenti la dottrina cristologica di Efeso… è la questione terminologica. Nei
vari documenti la ter-minologia è rimasta ancora fluida e imprecisa… questo linguaggio ancora equivoco
determinò non solo l’opposizione di Nestorio ma anche il successivo errore monofisita” (Salvatore Meo, Madre di
Dio. Dogma, storia e teologia, in Nuovo dizionario di mariologia (NDM), a cura di Stefano De Fiores e Salvatore
Meo, EP, Milano 1985) p. 816)
(5) “Questo documento cirilliano è il testo più profondo e importante sia dal punto di vista teologico che dogmatico
riguardante la cristologia di Efeso e la dottrina sulla “Madre di Dio”. Esso è pervaso da profonda riflessione
teologica, stilato con logica stringente e riassume il fior fiore della dottrina cristologica neonicena, anche se la
terminologia non è ancora sicura” (cfr. S. Meo, op. cit., NDM, p. 817)
(6) “La solenne definizione dell’assunzione di Maria –proclamata da Papa Pio XII il 1 novembre 1950- sviluppa
una dottrina basata sulla divina maternità di Maria” (cfr. S. Meo, op. cit., in NDM, p. 812)
(7) cfr. René Laurentin, La Vergine Maria. Mariologia post-conciliare, EP, Roma 1971, p, 95. La preghiera è
contenuta nel papiro n. 470 della John Rylands Library di Manchester. Studi recenti la fanno risalire all’inizio del
IV secolo; con alcuni riferimenti al III secolo. Vari commentatori vi scorgono influssi della devozione popolare
egiziana alla gran madre degli dei del pantheon egiziano, Iside.
(8) “Crediamo in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, luce
da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale tutte le cose sono
state create; il quale per noi uomini e per la no-stra salvezza discese dal cielo e si è fatto uomo da Spirito Santo e
da Maria Vergine [σαρκωθέντα έκ…Μαρίας τής παρθένου]” in DS 86.
(9) I tentativi ereticali si muovevano nelle due direzioni, che si toccano nella fede in Cristo: da una parte –in
ambiente giudaico (ebioniti) e poi in ambiente ellenistico (adozionisti)- si tendeva a accentuare la dimensione
umana di Gesù, vanificandone la divinità; dall’altra, negli ambienti gnostici, giudaici (docetismo) o ellenisti, si
svuotava la umanità di Cristo, presentandolo come una forma di Rivelatore (Demiurgo) non toccato dalla materia.
Le due posizioni trovano successori in Prassea, Paolo di Samosata e Ario (cfr. B. Forte, op. cit., p. 110-112)
teologico contro le eresie esplicitamente nominate nel canone del Concilio di Costantinopoli, perché viene ad
evidenziare la verità cristologica dell’essere Cristo vero Dio e vero uomo”(10). Titolo e dottrina si sviluppano
nei campi biblico, teologico, omiletico, liturgico, devozionale, come testimoniato anche dalla sintesi,
proposta dal proemio del cap. VIII della Lumen Gentium:
“Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, “quando venne la pienezza
dei tempi, mandò il suo Figliolo, fatto da donna… affinché ricevessimo l’adozione in figlioli” (Gal 4,4-5). “Egli per
noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si incarnò per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine”
(simbolo niceno-cost.). Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato ed è continuato nella Chiesa, che il Signore
ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, che aderiscono a Cristo Capo e sono in comunione con tutti i
suoi santi, devono pure venerare la memoria “innanzi tutto della gloriosa sempre Vergine Maria, Madre di Dio e
del Signore nostro Gesù Cristo” (Canone romano, Comunicantes)(11).
Il testo del Concilio Vaticano II introduce anche l’altro aspetto della maternità di Maria: Maria, Madre
del Cristo Capo, è anche madre del Corpo di Cristo, di coloro che credono nel Figlio e sono a lui uniti
dalla fede e dall’amore trinitario. Essa è il centro della nuova umanità dei redenti, come testimonia
questo commento di O. Clement:
“Il Verbo si è incarnato perché lo Spirito possa discendere con tutta la sua forza e perché possa apparire l’umanità
deificata dei pneumatofori, i portatori dello Spirito; ora questa umanità, l’Apocalisse la simbolizza nella donna
vestita di sole (Apoc 12,1) ed è una donna –la “Θεοτόκος”, colei che ha generato Dio,- che ne è il cuore e il
modello. Nicola Cabasilas diceva che Dio ha creato l’umanità allo scopo di trovare una madre(12). E Pavel
Evdokimov scriveva: “Il mondo comincia in Adamo-uomo e si compie in Eva-“Θεοτόκος” (13).
La nostra breve sintesi e riflessione tenterà di ripercorrere il cammino del dogma mariano –quasi universalmente condiviso(14)- soffermandoci sugli aspetti fondamentali della duplice maternità di Maria.
1. FONTI BIBLICHE
a. La testimonianza di Paolo
Appartiene all’apostolo Paolo la più antica testimonianza biblica riguardante la maternità di Maria.
Nel noto testo di Galati(15) la menzione della Vergine è soltanto incidentale, indiretta, in un testo che
ha al suo centro come argomento primario l’incarnazione di Cristo. Il linguaggio dell’apostolo è intonato al modo con cui Dio ha voluto venire incontro all’uomo. Per soccorrerci e renderci suoi figli, “Dio
si cala dentro i fatti della nostra storia… e i tempi del disegno divino attingono a pienezza quando il Padre invia il
suo Figlio al mon-do… Nella sua persona, in ciò che Egli fece e disse “nei giorni della sua carne” (Eb, 5,7)
abbiamo la stagione matura della redenzione che il Padre voleva donarci”(16). “La pienezza dei tempi allora non è il
centro cronologico della storia ma il suo centro escatologico, il va(10) B. Forte, op. cit., p. 113
(11) Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, Cap. VIII. “La beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo
e della Chiesa, ed. Dehoniane 1967, n. 52
(12) “Che cosa ti offriremo, o Cristo? Tu sei per noi apparso, uomo, sulla terra! Ciascuna delle creature da te
fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli, l’inno, i cieli, la stella; i Magi, i doni; i pastori, lo stupore; la terra,
la grotta; il deserto, la mangiatoia: ma noi ti offriamo la Madre Vergine!” (cfr. Vespero della Natività secondo la
carne del Signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, in Anthologhion di tutto l’anno, ed. Lipa, Roma 1999, vol. I,
p. 1155)
(13) cfr. Olivier Clément, Il volto interiore, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, a cura della
Comunità di Bose, ed. Mondatori, Milano 2000, p, 1227
(14) “Quando parliamo di Maria come Θεοτόκος ci troviamo di fronte ad un largo consenso –nella ricerca
ecumenica-, ma anche a delle difficoltà che non dobbiamo tacere… Lutero, Calvino e Zwingli non hanno avuto
difficoltà ad accettare il termine Θεοτόκος e lo hanno rigorosamente usato in riferimento a Cristo e alla
giustificazione per fede, che costituiva il perno della discussione teologica al XVI secolo… Il termine Θεοτόκος ci
spiega il vere homo. Cristo non è una creazione dal nulla. Nato da Maria non è altro che il Figlio di Dio, generato
dal Padre prima di tutti i secoli. Il termine Θεοτόκος spiega che il figlio di Maria e il Figlio eterno del Padre sono
identici. Occorre mantenerlo per salvaguardare, contro Nestorio, l’unità della persona: Figlio di Dio e Figlio
dell’uomo. Fin qui il consenso. Tuttavia è necessario precisare, da parte protestante, che il miracolo di Natale
dipende solo dalla grazia di Dio… e non si può usare –dice Barth- il titolo Θεοτόκος indipendentemente dal
discorso cristologico. Per cui la mariologia è un ramo parassitario della riflessio-ne teologica da tagliare…” (cfr.
Renzo Bertalot, Maria, Madre di Dio, nel pensiero protestante, in Maria nella comunità ecumenica, ed.
Monfortane, Roma 1982, p. 49-54)
(15) “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna (γενόµενον έκ γυναικός), nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-6)
(16) cfr. A. Serra, Bibbia, in NDM, op. cit., p. 233.
lore ultimativo , definitivo per ogni tempo, il cuore del mistero rispetto a cui tutto si misura e si rischiara nella sua
vera consistenza in ogni tempo”(17). La maternità divina di Maria è collocata al centro del progetto di
salvezza, del piano redentivo di Dio. “Per venire a questo mondo Dio ha scelto la mediazione di una donna.
Egli ha voluto avere una madre come tutti noi… egli nasce come un figlio dell’uomo. La veracità dell’incarnazione
è qui garantita dalle frasi nato da donna e nato sotto la legge”(18).
Nato da donna è molto simile alla frase “generato da donna”, varie volte citata in testi biblici ed
extrabiblici(19). Essa pone l’accento sulla fragilità della creatura umana, la sua bassezza e anche ciò
che ha di impuro(20): Paolo utilizza questa espressione per evidenziare l’umiliazione, la κένοσις (svuotamento), cui si è sottoposto Gesù facendosi uomo(21). Questo svuotamento è la via obbligata per
l’esodo pasquale di Cristo , “la svolta della storia, il nuovo inizio del mondo, che si compie già con l’invio del
Figlio: il riferi-mento sobrio alla donna –da cui nasce- sottolinea la vera appartenenza di Cristo all’umile mondo
degli uomini, segnato dall’attesa, e colloca la donna nel posto più vicino al compimento escatologico, come la
creatura più prossima al cuore del mistero, al centro esca-tologico della storia”(22). La semplice frase di Paolo
rivela molto: colloca la maternità divina di Maria al centro vitale della storia umana e al cuore del
mistero di salvezza. E ricorda il canto della Vergine e la sua umiltà: il nato sotto la legge, Colui, che
si è fatto Servo, riscatta ed eleva ogni uomo alla statura e pienezza di figlio adottivo di Dio. Da
notare che l’umiliazione di Cristo e l’umiltà della Vergine non sono virtù morali: sono stati
dell’essere, scelte di vita essenziali, senza le quali non è possibile lasciare agire Dio nella propria vita
e nella storia.
b. La testimonianza di Marco
Il vangelo di Marco offre due testimonianze sulla madre di Gesù(23), molto discusse e variamente interpretate dalle varie Chiese cristiane(24). Gesù con la nota frase: “Chi compie la volontà del Padre è mio
fratello, sorella e madre”(25) ricorda uno dei principi fondamentali della sua vita e della sequela
cristiana: abbandonare le logiche umane per accettare la logica di Dio, l’obbedienza alla sua volontà,
cardine fondamentale della vita di Cristo(26). Sembra una frase molto dura rivolta a Maria, un richiamo
a superare la naturale sollecitudine materna per avvicinarsi alla perfetta immagine di discepolato,
che Maria rivestirà all’interno della comunità primitiva. Anche la madre del Signore compie un
progressivo cammino di fede(27), modello del cammino che anche la Chiesa tutta è chiamata a fare(28).
“La madre, nell’umiltà e nella fatica così autenticamente umane del suo pellegrinaggio interiore, risalta già come
figura esemplare del discepolo… il testo di Marco lungi dal costituire un dato anti-mariologico, proverebbe quindi
una particolare autorità morale rico-nosciuta alla Vergine”(29). Si potrebbe vedere in questo testo –con una
lettura al positivo- un esempio della maternità escatologica di Maria: ella è madre –nella fede- di tutti
i fratelli del suo Figlio, come lo è
(17) cfr. B. Forte, op. cit., p. 47
(18) cfr. A. Serra, Madre di Dio, in NDM, p. 807
(19) La frase è citata nel libro di Giobbe (11,2-12; 14,1; 15,14; 25,4) in Mt 11,11; in Lc 7,28 e nei testi di Qumràn
(cfr. A. Serra, Madre di Dio, in NDM, p. 807)
(20) “L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta ed avvizzisce, fugge
come l’ombra e mai si ferma” (Gb 14,1)
(21) “Abbiate gli stessi pensieri di Gesù Cristo, il quale pur essendo di natura divina , … svuotò (έκένωσεν) se
stesso” (cfr. Fil 2,5-11). Questa rinuncia volontaria di Cristo diventa –assieme all’obbedienza al Padre- la ragione
principale della redenzione e della sua risurrezione. La stessa rinuncia e obbedienza è proposta da Paolo a tutti i
cristiani, come via alla salvezza.
(22) cfr. B. Forte, op. cit., p. 48-49
(23) Mc 3,31-35; Mc 6,1-6
(24) Vari esegeti recenti vi leggono –riprendendo posizione dell’antichità- la presenza di fratelli carnali di Gesù
(con una lettura testuale letterale) e quindi la negazione della verginità in e post partum di Maria. Inoltre alcuni
pongono l’accento su una incredulità della Vergine e del suo difficile cammino di fede (cfr. Salvatore Perrella,
Maria Vergine e Madre, EP, Milano 2003, p. 145-173)
(25) Mc 3,35
(26) cfr. Lc 2,49: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”; Lc
22,42: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà”; Gv 4,34: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha
mandato”; Gv 14,31: “Io faccio le cose che il Padre mi ha comandato”; 1Gv 2,17: “Chi fa la volontà di Dio rimane
in eterno”.
(27) “Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il
Figlio…” (LG 58)
(28) “La Chiesa, mentre persegue la gloria di Cristo, diventa più simile alla sua eccelsa Figura, progredendo
continuamente nella fede, nella speranza e nella carità e in ogni cosa cercando e seguendo la divina volontà” (LG
65)
(29) cfr. B. Forte, op. cit., p. 51
diventata –dopo averlo generato nella carne- del Figlio, raggiungendo la perfezione del discepolato.
c. La testimonianza di Matteo
I cosiddetti vangeli dell’infanzia matteani(30) contengono vari riferimenti alla Vergine Maria e al suo
ruolo nella nascita e nell’infanzia di Gesù.
Troviamo il primo riferimento nell’iniziale genealogia di Gesù, che si conclude con il versetto:
“Giacob-be generò Giuseppe, lo sposo di Maria, che generò Gesù chiamato Cristo”(31). Attraverso il simbolismo
del sette, Matteo vuole annunciare che la nascita di Gesù da Maria –cambiando lo schema
generazionale fino allora seguito- è il culmine-compimento della storia umana: con Maria inizia una
nuova creazione, un nuovo tempo quello messianico.
Nel racconto seguente dell’annuncio a Giuseppe, Matteo evidenzia alcuni elementi per dimostrare agli
ebrei -cui era rivolto il suo vangelo- che Gesù è il compimento delle promesse antiche fatte a Israele:
(32)
è figlio di David, essendo figlio di Giuseppe della casa di David
e l’Emmanuele;
(33)
è generato per opera dello Spirito Santo, senza concorso di uomo
;
il compito del figlio –generato da Maria (viene usato il verbo τίκτω che indica l’azione femminile e
materna del partorire, da cui assieme al prefisso divino il termine “Θεοτόκος”)- è quello di “salvare il
suo popolo” e per questo Giuseppe lo chiamerà Gesù (=Dio salva), come indicato dall’angelo(34). Nell’Antico Testamento il suo popolo è riferito solo al popolo proprio di Javhé, con cui Egli ha stretto
alleanza. Ora il figlio di Maria –come messia preannunciato(35)- riceve il suo popolo –composto da tutta
l’umanità- che gli è affidato da Javhé.
Salvare il popolo dai suoi peccati: è normale concezione al tempo di Gesù, che solo Dio può salvare dai peccati(36). La liberazione dal male è un’azione propria di Dio: se Gesù può compierla è perché è
Dio, Figlio di Dio. L’evangelista afferma qui la divinità del figlio di Maria.
Maria è la madre vergine [(Matteo usa il termine παρθένος (fanciulla vergine) che traduce l’ebraico
almah (giovane donna)] della profezia isaiana(37), che preannuncia la nascita di Ezechia –l’Emmanuelealla casa di David, in un momento di profonda angoscia e paura della fine della dinastia, dovuta all’invasione assira. Qui Matteo vi legge una indicazione profetica della nascita verginale del Verbo e
individua in Gesù l’Emmanuele nuovo, il Cristo Risorto che promette ai discepoli nell’apparizione
pasquale: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”(38). “L’Emmanuele Cristo è il risorto, che
ha rivelato la sua divinità nel mistero pasquale. Per Matteo non c’è dubbio che il nascituro da Maria sia di natura
assolutamente unica: è un Essere divino!”(39).
Altri elementi pasquali (il Messia diventa Signore-Re dopo la risurrezione –per i sinottici- o sulla croce per Giovanni) sono:
l’adorazione dei magi davanti al nuovo Re, forse in braccio a Maria, presentata come la ghebirah
(la regina-madre veterotestamentaria che presenta al Re le suppliche del popolo(40)). L’esegesi moderna fonda qui la rilettura pasquale dei “vangeli dell’infanzia”(41) e il titolo di Maria come “Madre di Mi(30) Mt 1-2
(31) Mt 1,16
(32) Mt 1,20
(33) Mt 1,18; 1,20
(34) Mt 1,21
(35) cfr. Mi 5,1 citato da Mt 2,6
(36) cfr: Mc 2,7: “Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Cfr. Gv 3,2: “Sappiamo che tu sei un maestro
venuto da Dio. Nessuno può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui”.
(37) Is 7,14
(38) Mt 28,20. La formula verbale al futuro è la ripresa e l’allargamento al tempo che verrà della formula di
rivelazione divina Io-sono, utilizzata da Javhé nell’Antico testamento a partire dalla teofania del roveto ardente (Es
3,14) e la ripresa della promessa di Javhé a Mosé, nello stesso contesto: “Io sarò con te. Da questo capiranno che
io ti ho mandato” (Es 3,12). Questi rilievi evidenziano la dipendenza dei racconti dell’infanzia matteani dalla la
Pasqua di Cristo e dall’esodo ebraico.
(39) cfr. A. Serra, Madre di Dio, in NDM, p. 808
(40) “Si pensi a Betsabea , che allo sposo David si rivolge in ginocchio come al “re, mio signore” (1 Re 1,15-21),
ma che dal figlio Salomone, prostrato davanti a lei si sente dire: “Chiedi, mia madre, non ti respingerò” (1 Re 2,1220)” (cfr. B. Forte, op. cit., p. 61)
(41) “Siamo di fronte ad una densa rilettura pasquale, che confessa Gesù come messia e salvatore universale e
colloca accanto a lui sua madre con accenti, che riflettono la percezione di fede della sua straordinaria vicinanza al
Figlio… la prossimità di Maria alla missione di Colui, che -figlio suo- sarà confessato Signore e Cristo, Figlio di
Dio” (cfr. B. Forte, op. cit., p. 61)
sericordia”(42). Maria è doppiamente Madre a Pasqua: madre del Figlio, che offre al Padre per la nostra salvezza(43), e madre dei fratelli del Figlio, affidati alla sua materna protezione e che la ricevono
come un bene spirituale vitale, che ogni discepolo colloca all’interno della sua relazione con il Signore, che lo ama(44).
La ripetizione dell’esodo ebraico da parte di Cristo, accompagnato da Giuseppe e Maria nella fuga
in Egitto, con il compimento della profezia di Osea: “Dall’Egitto ho chiamato mio Figlio”(45), e il
riconoscimen-to di Gesù come nuovo popolo di Israele [il Cristo pasquale è “il luogo in cui si
riuniscono tutti i figli di Dio dispersi” (Gv 11,52)(46). Cristo è la vite mistica in cui sono uniti vitalmente come tralci- tutti i credenti in lui(47)].
Sintetizzando, Matteo trasporta la maternità divina di Maria nell’ambito del mistero pasquale e la unisce strettamente alla sua maternità universale verso i fratelli del Figlio e alla maternità in ordine alla
grazia.
d. La testimonianza di Luca
Anche in Luca i racconti dell’infanzia(48) rappresentano il contributo più originale riguardante la madre
di Gesù con la nota aggiunta di Atti(49).
I racconti che ci interessano da vicino sono essenzialmente quattro: l’annunciazione, la visitazione, la
(42) Il Concilio Vaticano II riprende queste immagini matteane per affermare la maternità spirituale di Maria verso
i credenti nel Figlio risorto:
* “Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo morente in
croce, [Maria] cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e
l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo fu a noi madre nell’ordine della
grazia” (LG 61)
* “… assunta in cielo non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua
ad ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora
pellegrinanti e posti in mezzo agli affanni, finché non siano condotti alla patria beata” (LG 62)
(43) “Maria è la Vergine offerente… L’unione della madre con il Figlio nell’opera della redenzione raggiunge il
culmine sul calvario, ove Cristo “offrì se stesso quale vittima immacolata a Dio” (Eb 9,14) e dove Maria stette
sotto la croce, (Gv 19,25), “soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al
sacrificio di lui, armoniosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata” (LG 58) e offrendola
anch’ella all’eterno Padre (Pio XII, Mystici corporis, 35)” (cfr. Paolo VI, Marialis cultus, n. 46)
(44) “Giovanni, il discepolo amato da Cristo, simbolo di tutti i discepoli, la prende tra le proprie cose: i beni,
l’eredità, che gli proviene dal fatto di essere amato da Gesù, in comunione con Lui. I beni sono la sua fede nel
Maestro, l’ambiente vitale in cui ha situato la sua esi-stenza. In questo ambiente vitale, Giovanni accoglie Maria
come propria Madre” (Aristide Serra, Contributi dell’antica letteratura giu-daica…, ed. Marianum, p. 426)
(45) “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 11,1). Gesù è il nuovo
popolo giovinetto, che il Padre ama (la rivelazione dell’amore paterno verso Gesù nella voce teofanica durante il
battesimo al Giordano: “Tu sei il figlio di me, l’amato, in te mi sono compiaciuto” (cfr. Lc 3,22)
(46) “Solo a partire dalla morte glorificante di Gesù, potrà compiersi l’unificazione dei credenti e il “luogo”, dove Gesù li
riunirà, è l’unità stessa del Padre e del Figlio, è la Persona di Gesù, che forma una cosa sola con il Padre (Gv 10,30). Questo è
il termine di approdo verso cui Gesù è incamminato… Ma solo dalla sua passione gloriosa diverrà manifesta l’unità sostanziale
di Gesù con il Padre e, in pari tempo, la comunione definitiva che lui e il Padre vorranno stabilire con gli uomini: “In quel
giorno conoscerete che io sono nel Padre, voi in me e io in voi” (Gv 14,20). Nell’Ora di Cristo, ebrei e gentili diverranno un
solo gregge e un solo pastore, quando Gesù donerà la sua vita per le pecorelle e la riprenderà con la risurrezione: innalzato da
terra, Cristo attirerà tutti a sé (A. Serra, op. cit., p. 376)
(47) L’immagine di Gesù-vite e dei discepoli tralci di Giovanni 15, 1ss ci dice l’unione vitale che si stabilisce tra
Cristo e i discepoli: il tralcio-discepolo non può fruttificare se non rimane nella vite-Cristo; se uno rimane in Cristo
e Cristo in lui, porterà molto frutto (Gv 15,5). Ma per rimanere in Gesù bisogna che le sue parole rimangano nei
discepoli (Gv 15,7). I discepoli vengono mondati dalla Parola di Gesù; custodendola e portandola a compimento
essi “generano Cristo in sé” (cfr. A.Serra, op. cit., p. 253-254). È evidente qui il riferi-mento all’icona di Maria –
madre incinta della Parola di Dio- che custodisce e lascia compiere in sé la Parola, annunciata dall’angelo. Maria
è icona del discepolo che genera Cristo in sé.
Sempre l’immagine della vite ci dice che l’unione del nuovo popolo di credenti in Cristo è attuata dal dinamismo
dell’unità tra il Padre e il Figlio, che li spinge alla “loro crescita verso la coesione reciproca. Come tralci nella
vite, essi si alimentano della linfa (l’amore trinitario. ndr)che scorre nella vite, Cristo” (cfr. A.Serra, op. cit., p. 283)
(48) cfr. Lc 1-2
(49) “[Gli Undici] erano assidui e concordi nella preghiera con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e ai
fratelli di Lui” (At 1,14)
nascita, e il racconto della presentazione al tempio(50).
1. Il racconto dell’annunciazione –costruito secondo uno schema letterario di alleanza, di vocazione
e di annuncio(51)- introduce il tema di Maria “tenda della nuova alleanza”(52) e del legame unico e particolare tra lo Spirito Santo e Maria(53). Nel parallelismo tra i due testi emergono i seguenti accoppiamenti: Spirito Santo-Nube; Maria-Tenda del convegno/Dimora; Santo/Figlio di Dio-Gloria di Dio. L’azione dello Spirito è sempre quella di “coprire con la sua ombra”, discendere in Maria con la sua essenza profonda (ricordiamo l’ossimoro della Nube luminosa per indicare la realtà inconoscibile di Dio
che si manifesta tuttavia al mondo); il generare di Maria è in rapporto con il riempimento della Dimora da parte della Gloria di Dio. Abbiamo qui una serie di importanti significati che entreranno nella
Tradizione e diventeranno la fonte delle varie espressioni dei simboli di fede e dei concili ecumenici:
Maria è la nuova Dimora di Dio e il figlio –che lei partorirà- sarà colmato di Dio, cioè sarà Dio, Figlio
del Padre. I titoli Santo e Figlio di Dio, devono essere intesi in senso pieno(54). Maria diventa il Santo
dei Santi del nuovo tempio, un santuario vivente: “La presenza divina che essa aveva imparato a venerare
solo nel Santo dei Santi, ora l’angelo Gabriele le insegna che deve ormai adorarla in se stessa”(55).
2. Dal racconto della visitazione emerge l’immagine di Maria, Madre di Dio, come arca della nuova
alleanza. Il racconto sembra costruito sul modello della pericope di 2 Sam 6,1-11, che narra il trasferimento dell’arca da parte di David a Sion. Vi sono molti elementi in comune:
* la fretta di Maria e di David(56).
* le manifestazioni di gioia di David –che danza davanti all’arca- e il balzare di gioia di Giovanni nel
grembo di Elisabetta al saluto di Maria(57). Il verbo saltare con gioia (ςκιρτάω) –utilizzato anche nei LXX
esprime l’esultanza davanti al Signore che libera(58). Luca usa lo stesso verbo per il gaudio messianico
(50) cfr. Lc 1,26-38; Lc 1,39-45; Lc 2,1-14; Lc 2,22-38
(51) cfr. B. Forte, op. cit., p. 68
(52) Per A. Serra vi sono forti affinità tra Lc 1,35 ed Es. 40,34-35:
Es 40
Lc 1
v. 35 a Lo Spirito Santo
v.34 Allora la Nube
scenderà (έπελεύσεται)
coprì (έκάλυπσεν)
a
su di te
la Tenda del convegno…
Mosè non poté entrarvi
v. 35 b su te stenderà la sua ombra (έπισκιάσει
v. 35 perché sostava su di essa (έπεσκίασεν)
la potenza dell’Altissimo
a
la Nube
v. 35 c Per questo colui che nascerà
e riempiva la Dimora
sarà chiamato Santo, Figlio di Dio.
la Gloria del Signore.
v. 35
b
Le corrispondenze tra i due testi sarebbero le seguenti:
LUCA
ESODO
Lo Spirito Santo, che è la Potenza dell’Altissimo,
La Nube (simbolo della Presenza di Dio)
scende-copre con la sua ombra
copre-adombra
Maria.
la Tenda del convegno.
Perciò il grembo di lei
Perciò la Dimora
darà vita
è riempita
a Uno che sarà chiamato Santo – Figlio di Dio
dalla Gloria di Dio.
(cfr. A. Serra, Madre di Dio, in NDM, p. 809)
(53) Per la ricchissima problematica sul rapporto privilegiato tra la Madre di Dio e lo Spirito Santo –che fa dire a
certi studiosi del Novecento (L. Boff, P. Evdokimov, M. Bulgakov, M. Kolbe) che Maria è quasi una ipostasi dello
Spirito Santo- rimando alla voce di Angelo Amato, Spirito Santo, in NDM, p.1337-1362
(54) cfr. A. Serra, Madre di Dio, in NDM, p. 809
(55) cfr. S. Lyonnet, Il racconto dell’annunciazione e la maternità divina della Madonna, in La Scuola cattolica, n.
82 (Venegono 1954), p. 411-446
(56) 2 Sam 6,2; Lc 1,39
(57) 2 Sam 6,14; Lc 1,41
(58) cfr. sal 113, 4.6 “I monti saltellarono come arieti… davanti al Signore”, Ml 3,20: “Per voi cultori del mio
Nome sorgerà il Sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete saltellanti come vitelli dalla stalla” (evidente qui
il richiamo a Cristo Sole-di-giustizia di Lc 1,78); Sap. 19,9: “Come agnelli esultanti, cantavano inni al Signore che
li aveva liberati”.
delle beatitudini: “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno… a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in
quel giorno ed esul-tate, perché ecco la vostra ricompensa è grande nei cieli”(59).
* Sia David con il popolo sia Elisabetta prorompono in grida di gioia(60). È la gioia di fronte alla presenza reale di Dio: “Elisabetta, colpita dal saluto di Maria, sentendo sussultare il bambino nel suo seno, riempita di
Spirito Santo, si trova improvvisamente in presenza dello stesso Javhé; ella fa risuonare davanti a Maria –che porta
il Figlio di Dio- l’acclamazione gioiosa, che è rendimento di grazie e di lode a Dio solo. Essa ha visto in Maria
colei che porta la santa Presenza e non può trattenere il grande grido di estasi, che caratterizza l’apparizione
dell’arca, luogo della presenza del Signore”(61).
* la presenza dell’arca in casa di Obed-Edom e la presenza di Maria(62) in casa di Zaccaria sono motivo
di benedizione: Maria già qui è preannunciata come madre di grazie, perché Madre della Grazia?
* il santo timore(63) –che pervade David e Elisabetta alla presenza dell’arca del Signore e di Maria- ci
dice la divinità del Figlio di Maria: egli è lo stesso Dio, davanti al quale trema David, e Maria è la nuova arca.
* la madre del mio Signore(64): ritroviamo l’atmosfera pasquale di Matteo. Elisabetta riconosce Maria
come la madre del Re-Messia e il titolo lucano di Signore anticipa sempre il tempo della risurrezione.
Il Figlio di Maria è il re-messia, il Risorto pienamente Dio(65).
3. Il racconto della nascita evidenzia altri elementi della maternità divina di Maria:
* diede alla luce il suo figlio primogenito(66): è una espressione che indica semplicemente il primo nato
senza supporre nascite successive(67).
* lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia(68): è interessante il commento di Giovanni Vannucci,
che –esaminando questo elemento assieme alla etimologia del nome Bethlehem- introduce un collegamento tra la maternità divina di Maria e l’eucarestia. Maria per Vannucci è la Madre del Pane di vita:
“La Vergine Madre depose il Figlio nella sporta per il cibo dei pastori e anche questo è un segno di riconoscimento
del nuovo uomo, la cui novità si rivelerà nell’essere pane e vino per la fame e la sete dei cuori degli umili, dei
pastori”(69). Gesù, pane di vita, na-sce nella “casa del pane” (beth= casa; lehem= pane) e sembra il
compimento della profezia sottesa al piccolo, splendido racconto di Rut.
* Maria serbava tutte le parole (ρήµατα) meditandole nel suo cuore(70): è una frase che racchiude tutti
i racconti lucani che seguono la nascita di Gesù e ne diventa la chiave interpretativa. Maria, che ha
donato la carne dell’umanità al Verbo eterno, inizia il lungo cammino per generare in sé –come dice
Agostino- Cristo nella fede. Maria , Vergine-Madre, diventa modello del discepolo, uditore profondo e
non superficiale della Parola(71). In questo suo essere modello di ascoltatore e concretizzatore della
Parola, la maternità di Maria –che genera Cristo nel cuore- diventa modello del discepolo chiamato a
diventare Cristo, a generare in sé Cristo, come dice Paolo(72). “A Maria non è risparmiata la fatica di
credere; ma espressione del vero Israele obbediente alle sorprese di Dio, Maria persevererà nella fede fino alla fine.
Maria appare come la donna ebrea pia e osservante della Legge, che si trova a vivere in prima persona del
compimento inaudito delle promesse a Israele nel Figlio
(59) Lc 6,22-23
(60) 2 Sam 6,15; Lc1,42. Il verbo greco –utilizzato dai LXX e da Luca- ανεφωνέω è usato esclusivamente per le
acclamazioni liturgiche, specie quelle che accompagnano il trasporto dell’arca dell’alleanza (cfr. 1 Cr 15, 28; 2Cr
5,13)
(61) cfr. Max Thurian, Maria, Madre del Signore, immagine della Chiesa, ed. Morcelliana, Brescia 1980, 57-69,
citato in A. Serra, Maria Madre del Signore, in NDM, p. 811
(62) 2 Sam 6,10-11; Lc 1,40
(63) 2 Sam 6,9; Lc 1,43
(64) Lc 1,43
(65) A. Serra, Maria Madre del Signore, in NDM, p. 811
(66) Lc 2,6
(67) cfr. B. Forte, op. cit., p. 79
(68) Lc 2,7
(69) cfr. Giovanni Vannucci, La vita senza fine, ed. CENS, Milano 91, P. 27
(70) Lc 2,19 e 2,51
(71) cfr. B. Forte, op. cit., p. 80. Da tenere presente il rapporto particolare di Maria con la Parola: nell’annuncio
accetta che si compia in lei la Parola (ρήµα) –quindi di diventare madre di Cristo- e nella profezia di Simeone sarà
la Parola (ρήµα), sotto l’immagine della spada (in greco ροµφαία: che significa letteralmente parola che rivela) a
provare e rivelare il cuore di Maria, rivelandola madre di Cristo nella pienezza della fede.
(72) “Vivo, però non più io, ma vive in me Cristo” (Gal 2,20); “Di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia
formato Cristo in voi” (Gal 4,19)
suo Gesù e che partecipa a questi eventi con tutta la verità di un cammino di fede non facile, segnato dal confronto
con la Parola di Dio risuonata in lui… in tutti questi racconti emerge la sua figura di modello di fede nella rilettura
pasquale della Chiesa nascente”(73).
4. La testimonianza di Luca su Maria è illuminata dalla luce della Pasqua: in Maria e in Cristo si compie
la promessa antica e si inizia la nuova alleanza; la Madre di Dio è la terra pura dell’avvento di Dio fra
noi(74), tenda ed arca della nuova alleanza. In lei si compie anticipatamente la Pasqua e risuona la
buona novella. Essa è modello e madre del credente(75).
e. La testimonianza di Giovanni
Non vi sono racconti della nascita di Cristo in Giovanni, ma alcuni testi possono essere significativi per
il nostro assunto, soprattutto per i commenti esegetici, che attuano la cosiddetta lectio difficilior.
1. Il parto verginale in Gv 1,13(76)
De la Potterie –nel suo accurato studio- sottolinea un elemento:
* dai sangui: rifacendosi all’Antico Testamento e ai testi rabbinici, ove è presente questa parola al
plurale con il significato di sangue versato dalla donna durante il parto, il biblista afferma che “la frase
negativa di Giovanni significa che la nascita di Gesù, contrariamente al solito, è avvenuta senza effusione di
sangue… Maria, nel partorire Gesù, rimase incontaminata e integra nella sua persona fisica, evento che permette ai
credenti di riconoscere Gesù come vero Figlio di Dio… la missione di Maria prende il suo vero significato; in
questa prospettiva, concezione e parto verginale della madre di Gesù hanno un senso anzitutto cristologico”(77).
2. Le nozze di Cana(78)
La nota anticipazione pasquale(79) del segno di Cana –con sullo sfondo il simbolismo del Sinai e dello
sposalizio tra Dio e il suo popolo(80)- vede l’azione di Maria –la madre attenta ai bisogni dei poveri
sposi- come la provocazione del segno del vino nuovo da parte di Gesù. Secondo Serra(81), Maria
assume a Cana il ruolo di mediazione che fu di Mosé, stando tra Gesù e i servi. E come Israele si diceva
pronto ad eseguire e ascoltare quanto diceva il Signore sul Sinai(82), Maria dispone i servi delle nozze
escatologiche –i discepoli- a fare quanto avrebbe detto il Figlio, Parola di Dio. Sembra riproporsi qui la
rilettura della maternità spirituale di Maria, icona del discepolo perfetto, che attraverso l’ascoltoattuazione della Parola, genera in sé Cristo. L’essere mediatrice tra Dio e gli uomini più che alla mediazione di grazie, è legata alla mediazione della Parola: Maria –colei che ha ascoltato e generato
nella carne la Parola- diventa colei che insegna ai discepoli ad ascoltare e generare in sé la Parola.
(73) cfr. B. Forte, op. cit., p. 84-85. la rilettura pasquale degli eventi di Luca è particolarmente evidente nel
racconto dello smarrimento di Gesù nel tempio (Lc 2,41-50), con vari elementi: i tre giorni dello smarrimento; il
ritrovamento nel tempio; la rivelazione dell’opera di Gesù (fare le cose del Padre mio), lo smarrimento di Maria e
Giuseppe, anticipatore dello smarrimento e perdita dei discepoli.
(74) “La Vergine Madre è terra devoluta totalmente alle energie dello Spirito. Essa diviene Madre del Verbo
attraverso l’ascolto della Parola eterna. La Parola in lei prese la carne umana e con la Parola in lei si rese attiva
l’essenza di ogni vita e tutti i viventi –nell’Incarnazione- diventano suoi figli. Nella liturgia orientale la terra è
spesso il simbolo della Madre di Dio. Maria, come la terra, è degna di generare la vita per il dono totale di se stessa
alla Parola-germe. L’azione generatrice della terra, la maternità che permette l’ininterrotta catena di nascite, diventa
in Maria maternità divina. In questo senso Maria è al vertice del mondo creato, il compimento di tutto il suo
destino, la realizzazione di tutta la sua speranza. La terra non è soltanto chiamata a generare le creature, è
chiamata a gene-rare Dio portando in se stessa la possibilità dell’Incarnazione divina. Così può venir compresa la
santità della terra e per questo suo essere oggetto d’amore e si può commettere peccato contro di essa e si può
domandarle perdono” (L.A. Zander, Dostojevskij, Parigi, 1946, p.69-70) in G. Vannucci, Verso la luce, ed. CENS,
Milano 1984, p.22-24
(75) cfr. B. Forte, op. cit., p. 86-87
(76) Proponiamo la lettura al singolare proposta da vari codici e usata da Ignazio d’Antiochia, Ambrogio, Agostino,
Vetus latina e altri. Tra i moderni De la Potterie, Serra, Brown. “A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di
diventare figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome, il quale non dai sangui, né da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio è stato generato” (cfr. S. Perrella, op. cit., 102)
(77) cfr. S. Perrella, op. cit., 103-104
(78) Gv 2,1-11
(79) La formula del terzo giorno introduttiva dell’intervento di Dio è ampiamente testimoniata nell’Antico
Testamento: il terzo giorno Dio apparirà sul Sinai (Es 19,11); il terzo giorno Dio guarirà e farà rinascere il
popolo ( Os 6,2). Nel Nuovo Testamento il terzo giorno nei vangeli e in Paolo indica la risurrezione.
(80) cfr. Os 2,16-25; Ger 2,1-2; Ez 16; Is 50,1; Cantico e sal 45
(81) A. Serra, Contributi dell’antica letteratura giudaica…, p. 216-226
(82) Deut 5,5.27
Interessante il commento di G. Vannucci, che anticipa a Cana l’icona di Maria, madre della misericordia(83). “Maria –nella prospettiva giovannea- è colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa e orienta alla
fede in Lui … se nella densità del simbolo, Gesù è lo Sposo del nuovo popolo di Dio, Maria appare come la figura
sponsale della donna, la Vergine Israele, la Chiesa Vergine e Madre, nel patto nuziale che è la nuova ed eterna
alleanza”(84).
3. Maria sotto la croce(85)
Questa è la fonte riconosciuta da recenti esegeti(86) del rapporto Maria-Chiesa e della maternità spirituale di Maria. Qui la presenza di Maria assume vari significati:
* è l’immagine della nuova Sion, madre di “tutti i figli di Dio dispersi riuniti in unità (συναγάγη είς
έν)(87) da Cristo con la sua morte. “Al posto di Sion, Madre, subentra ora Maria Madre. Essendo Madre di
Gesù, è dichiarata da Lui Madre del discepolo amato. La maternità di Maria è la maturazione escatologica della
maternità di Dio. Al posto di Gerusa-lemme, Madre dei dispersi radunati da Jahvè entro le sue mura e nel Tempio,
subentra Maria, Madre dei dispersi figli di Dio, radunati da Gesù nel tempio della Nuova Alleanza, costruito
dall’unione del Padre con il Figlio. Nell’economia del Patto Nuovo, sancito nell’Ora di Cristo, Maria diventa
Madre della Chiesa”(88).
* poiché è Madre di Gesù, diviene Madre dei discepoli: “la sua maternità rispetto a Gesù è il fondamento
della sua maternità nei confronti del discepolo. Abbiamo visto che per Giovanni la Persona di Gesù è il mistico
Tempio, ove sono radunati i dispersi figli di Dio: Maria in quanto Madre, è Colei che lo ha rivestito di carne umana
entro il suo grembo. Perciò è Madre anche di coloro che vengono adunati entro il Cristo-Tempio, da lei generato
secondo la carne”(89).
* la maternità spirituale di Maria verso i discepoli è affermata da Giovanni, ma non approfondita. Maria diviene modello di vita per i suoi nuovi figli(90). Sotto la Croce Maria diviene nuovamente madre:
genera in sé –nella fede provata dalla Parola che si compie nell’Ora- il Cristo, raggiungendo la piena
statura di Lui come discepola(91); genera nel dolore- lei che ha dato carne al Figlio di Dio senza versamento di sangue e dolore- i fratelli di Gesù, generati dal Sangue del figlio versato sulla Croce(92).
4. La donna vestita di sole (Apoc 12,1)
Gli esegeti contemporanei danno una lettura ecclesiologica della “donna vestita di sole”; ma alcuni
salvano un riferimento a Maria perché la donna di Apocalisse 12 è la Madre del Re-Messia(93).
In brevissima sintesi, per Giovanni come “Serva del Signore” Maria è chiamata a collaborare all’opera
della salvezza (intesa come riunificazione di tutti i figli dispersi nell’Unità dell’Amore del Padre e del
Figlio) con titoli e prerogative di Madre, “lei che sotto la croce è la madre. Sembra quasi che questo sia il suo
nome proprio. Ella è semplicemente la madre”(94).
f. sintesi finale
La testimonianza neotestamentaria su Maria, Θεοτόκος, è sobria, ma estremamente densa. Nell’approfondimento pasquale della sua figura, dai racconti dell’infanzia fino all’Apocalisse, ella appare nella
singolarità della sua duplice maternità, segnata dal rapporto con Figlio (cristologia), con la Trinità
(pneumatologia e teologia), con Israele e con la Chiesa (ecclesiologia). In lei si incrociano antico e
(83) “La Vergine-Madre non può che segnalare la mancanza del vino, la mancanza della Vita. Addita l’attesa di
una nuova ebbrezza da parte di forme esauste; solo la Parola divina, che si incarna, può compiere quest’opera.
“Niente c’è fra me e te, o Donna. Tu sei la matrice che attende la fecondazione, tu sei la misericordia che trepida e
si dona quando la vita vien meno. Io sono la Vita fecondante, tu attendi ed accogli: dal nostro incontro nasce una
più ardente vita” (G. Vannucci, op. cit., p. 23)
(84) B. Forte, op. cit., p. 93
(85) Gv 19,25-27
(86) cfr. I. de la Potterie, Le témoin qui demeure: le disciple che Jesus amait, in Biblica 67 (1986) p. 343-359; B.
Forte, op. cit., p. 94-98; A. Serra, Contributi dell’antica letteratura giudaica..., p. 306-434
(87) cfr. Gv 11,52
(88) A. Serra, op. cit., p. 405
(89) A. Serra, op. cit., p. 404
(90) “ La Scrittura insegna che un padre o una madre spirituale sono esempio, modello di vita per i loro figli. Ora,
se Gesù ci consegna sua Madre come nostra Madre, questo significa che intende donarcela anche come esempio da
imitare. Ella è per i credenti un paradigma perfetto di vita cristiana” (A. Serra, op. cit., p. 407)
(91) “…fino a che arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo perfetto, alla
misura della statura della pienezza/pleroma di Cristo” (cfr. Ef 4,13)
(92) Gv 19,34; cfr. 1 Gv 5,5-6: “Chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è Figlio di Dio? Questi è
Colui che è venuto con acqua e sangue, non con l’acqua soltanto, ma con acqua e sangue. Ed è lo Spirito che da
testimonianza, poiché lo Spirito è verità”.
(93) B. Forte, op. cit., p. 102
(94) A. Serra, op. cit., p. 404
nuovo patto; in lei si celebra l’alleanza che è suo Figlio Gesù; in lei si densifica la storia della salvezza: “l’intero messaggio scritturistico sulla Vergine Madre si compendia nel fatto che ella è icona dell’intero
mistero cristiano… Maria nella Scrittura manifesta la Scrittura in Maria: la totalità del disegno salvifico si offre nel
frammento di donna di Nazareth, scelta dall’Eterno come madre del Figlio venuto tra noi”(95).
2. FONTI CONCILIARI DEL DOGMA
Offriamo una concisa sintesi del cammino del dogma della maternità divina di Maria, -chiaramente
fondato su testi neo-testamentari- rimandando per approfondimento agli autori già citati(96).
Il primo padre, a porre una pietra basilare sulla chiarificazione della maternità divina di Maria, è stato
Gregorio di Nazianzo, che così scrive in una sua epistola(97): “Se qualcuno non accetta santa Maria come
Madre di Dio (Θεοτόκος), allora egli è separato. Se qualcuno dice che Cristo sia passato attraverso la Vergine come
un canale… se qualcuno afferma che (prima) fu formato l’uomo Gesù e (poi) è sussistito il Dio… se qualcuno dice
che ci sono due figli, uno da Dio Padre e un secondo dalla madre, e non uno soltanto ed il medesimo, egli deve
essere escluso dalla figliolanza che è stata promessa agli ortodossi. Ci sono sì due nature, uomo e Dio, come corpo
e anima, ma non due figli e non due dei, anche se Paolo parla dell’uomo interiore ed esteriore(98). Se uno dice che la
grazia ha operato in lui come un profeta… se uno non adora il Crocefisso… se uno dice che Gesù sia giunto alla
perfezione attraverso le opere… se uno dice che la carne di Gesù è discesa dal cielo e non provenga da questa terra
presso di noi…. Se uno pone la sua speranza in un uomo senza ragione [Il Cristo degli Ariani e degli
Apollinaristi], egli non merita davvero di essere redento; perché ciò che non è assunto, non è neanche redento”.
Soll ritiene questa sintesi stringata e convincente, degna di un papa e di un concilio e mai più ripetuta
così efficacemente, a confutazione di tutti gli errori cristologici del suo tempo. La citazione termina
con uno dei principi cardini della cristologia e della soteriologia: “Ciò che Cristo non ha assunto in sé,
essendo l’unico Mediatore e redentore, non è redento”.
Questo testo ispira i tre momenti successivi che chiarificano definitivamente la cristologia e i dogmi
cristologici e –in essi- il dogma della maternità divina e verginale di Maria. Maria garantisce la piena
umanità e la piena divinità del Cristo.
a. Concilio di Costantinopoli I
Non esistono gli atti di questo concilio locale(99), dichiarato ecumenico dal concilio di Calcedonia del
451. Di questo concilio, possediamo il simbolo o credo perché letto nella seconda sessione del concilio
di Calcedonia, dall’arcidiacono Aezio di Costantinopoli, inviato imperiale, come “la fede dei centocinquanta padri” e incorporata nel simbolo di Nicea”(100).
La frase centrale per il nostro assunto è la seguente: “Crediamo è disceso dal cielo, si è incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine e si è fatto uomo”(101). Questa clausola è la sintesi del dato biblico(102), era presente in simboli anteriori. Fino ad Ireneo nei testi dei Padri si parla solo della maternità
di Maria; poi in funzione antignostica si menziona anche lo Spirito Santo per affermare le due nature –
umana e divina- di Cristo.
Questo è il simbolo di fede, che sostanzialmente le Chiese cristiane professano anche oggi. In esso non
compare il termine Θεοτόκος, perché non ancora necessario (anche se alcuni Padri -vedi Gregorio di
Nazianzo e gli altri Cappadoci- lo utilizzavano e sostenevano).
(95) B. Forte, op. cit., p. 103
(96) S. Meo, Madre di Dio. Dogma, storia e teologia, in NDM, p. 812-824; (B. Forte, Maria, la donna icona del
Mistero, p. 105-148; G. Soll, Storia dei dogmi mariani, p. 79-154
(97) Gregorio di Nazianzo, Epistola 101, cfr. G. Soll, op. cit., p. 111. il testo di Gregorio è contro gli ariani, che
vedevano nel Cristo un Demiurgo inferiore al Padre, e contro gli apollinaristi, che non accettavano la piena
umanità di Cristo –Cristo non aveva un ragione umana indipendente), la comunicatio idiomatum e quindi il titolo
Θεοτόκος.
(98) cfr. 2 Cor 4,16
(99) Nel 381 l’imperatore Teodosio il Grande convocò a Costantinopoli un concilio di soli vescovi orientali per
rispondere agli apollinaristi e ai macedoniani, che negavano la piena umanità di Cristo i primi, la piena divinità
dello Spirito Santo i secondi. A questo concilio parteciparono vescovi di grande valore come Gregorio di Nazianzo,
Gregorio di Nissa, Cirillo di Gerusalemme e Diodoro di Tarso. Per approfondimenti cfr. Angelo Amato, Gesù il
Signore,EDB 1991, p. 181-193.
(100) Nel concilio di Costantinopoli un simbolo locale (di origine battesimale probabilmente o della Chiesa di
Natioccia o di quella di Gerusalemme), sostanzialmente niceno, venne accettato come base contro le eresie
apollinariste e macedoniane. È la conferma letterale della fede nicena, fatta propria anche da Calcedonia. Il simbolo
niceno fu accettato da 318 padri (cfr. A. Amato, op. cit., p. 183-184).
(101) cfr. DS 86. Cfr. per l’intero articolo cristologico la nota 8 di questo lavoro.
(102) cfr. Mt 1,18.20; Lc 1,35
b. Il concilio di Efeso
I cinquant’anni, che intercorrono tra Costantinopoli ed Efeso, vedono il sorgere di grandi dispute cristologiche, in particolare di quella tra Cirillo, patriarca d’Alessandria, e Nestorio, patriarca di Costantinopoli(103). Su richiesta di Nestorio, gli imperatori Teodosio II e Valentiniano III convocano un concilio
in Efeso allo scopo dichiarato di dare tranquillità alla Chiesa. Fu un concilio convulso e combattuto,
iniziato da Cirillo senza la presenza di tutti i vescovi –manca anche il patriarca Nestorio- e dei legati
papali –giunti in ritardo. Fu decisiva proprio la seduta iniziale del 22 giugno 431, che si svolse in 5
grandi momenti, sotto la direzione di Giovenale, vescovo di Gerusalemme e di Cirillo: riproposizione
della fede di Nicea, con la proclamazione del simbolo; lettura della II Lettera di Cirillo a Nestorio, che
Giovenale afferma essere in sintonia con il credo niceno; lettura della risposta di Nestorio a Cirillo,
che Giovenale proclama non conforme a Nicea, giudizio condiviso da tutti i padri conciliari presenti;
raccolta di testimonianze contro Nestorio –non ci sono suoi sostenitori presenti- e sentenza di deposizione da parte di 200 vescovi di Nestorio da Patriarca di Costantinopoli(104). I legati del Papa, nelle
sessioni successive, confermarono le decisioni prese contro Nestorio.
Il concilio confermò la cristologia di Cirillo –ma senza risolverne i problemi contenuti- e quindi anche il
dogma della maternità divina di Maria(105), espresso dal titolo Θεοτόκος.
Dal punto di vista mariologico i passi significativi di Efeso sono i seguenti:
affermando l’unione secondo l’ipostasi (cioè secondo la sussistenza e non secondo la sostanza) e la
comunicatio idiomatum, è legittimo affermare che il Verbo è realmente nato secondo la carne dalla
Vergine Maria. “Maria viene considerata il principio causale della generazione umana del Verbo, poiché è nel suo
utero che Questi unisce a sé la natura ed è da Maria che nasce come primogenito”(106).
Propone ed esplicita formalmente il titolo Θεοτόκος: “Maria è colei che concepisce e partorisce il Verbo
secondo la carne… con la precisazione che la divinità del Verbo non ha avuto inizio nel seno di Maria, ma ha preso
da lei quella natura umana completa, che in lei ha unito a sé secondo l’ipostasi”(107).
Conclude Amato: “con la proclamazione di Maria come Θεοτόκος, il concilio avvallò la devozione popolare alla
santa Vergine e le diede il suo fondamento biblico-dogmatico, che è il mistero stesso del Verbo incarnato… La
Θεοτόκος di Efeso, unita alla gloria del Figlio, fu celebrata a Roma con la ricostruzione della Basilica di S. Maria
Maggiore e con i mosaici del suo arco trionfale”(108).
c. Il Concilio di Calcedonia (451)
Questo concilio ecumenico rappresenta il definitivo chiarimento della cristologia e il completamento
delle dichiarazioni dogmatiche su Cristo, eccettuati alcuni chiarimenti nei successivi concili ecumenici sui rapporti tra Cristo e lo Spirito. Esso giunge al termine di un cammino di chiarificazione del
linguaggio e dei contenuti dei dogmi cristologici, passando attraverso la cosiddetta “formula di unio(103) La posizione cristologica di Nestorio –secondo la critica odierna- sembra la seguente: egli salvaguardia
l’integrità e la pienezza della natura umana di Cristo; ribadisce la distinzione delle proprietà delle due nature, sia la
unità delle stesse. Predicava la volontarietà dell’unione del Logos divino con la natura umana. Utilizzava il
linguaggio della scuola antiochena: uomo assunto dal Logos, che vi abita come in un tempio. Inoltre affermava
l’unità ontologica del prosopon (termine che allora indicava l’apparenza esterna indivisa di Cristo)in cui
confluivano le due nature.
Le posizioni di Cirillo erano le seguenti: fedele alla cristologia alessandrina del logos sarx, Cirillo pur affermando
l’integrità della natura umana, dava assoluta precedenza al Logos divino, unico vero centro di azione in Cristo (per
Cirillo la natura umana resta passiva). Conseguenza della perfetta unità delle nature in Cristo è la dottrina di Cirillo
della comunicatio idiomatum, cioè della possibilità di poter riferire le proprietà o le caratteristiche (=idiomata)
dell’umanità alla divinità e viceversa, per cui, rimanendo le due nature distinte e non confuse, in forza dell’unione,
si può dire della divinità quanto è dell’umanità e viceversa. Per cui si può dire che Maria è la Θεοτόκος perché “in
lei il Logos è stato generato secondo la carne” (II° lettera a Nestorio). Cfr. A. Amato, op. cit., p. 198-201.
Ambedue le posizioni presentano –come già detto- dei problemi, risolti nel concilio di Calcedonia.
(104) cfr. A. Amato, op. cit., p. 202-203.
(105) Per la proclamazione del dogma vedi testo citato all’inizio del presente lavoro.
(106) cfr. A. Amato, op. cit., p. 208
(107) cfr. A. Amato, op. cit., p. 208
(108) cfr. A. Amato, op. cit., p. 208. Efeso possedeva una delle sette meraviglie del mondo antico: il tempio
dedicato alla Vergine Artemide, (sorella di Apollo e una delle raffigurazioni della Grande Madre). Molti in seguito
–a cominciare dai sostenitori di Nestorio- accusarono i difensori di Efeso di paganesimo, avendo scambiato Maria,
come una rappresentazione della Grande Madre degli dei o della Madre Terra. L’accusa fu avanzata anche per il
sostegno dei cittadini di Efeso, che dal tempio di Artemide ricevevano un grande afflusso di denaro e di ricchezze
ne”(109), il Tomus ad Flavianum(110) di Leone Magno, la migliore sintesi cristologica della Chiesa latina,
di cui fu impedita la lettura nel secondo concilio di Efeso del 449 (chiamato “il latrocinio di Efeso”, in
cui fu riabilitato Eutiche, sostenuto dall’imperatore Teodosio e durante il quale fu ucciso il patriarca
Flaviano). Morto l’imperatore Teodosio, il successore Marciano con la moglie Pulcheria indicono il Concilio di Calcedonia , per portare la pace nelle contese sempre più violente tra i vari gruppi in campo.
Nel concilio –che fa proprio il simbolo di fede dei concili di Nicea e di Costantinopoli del 381, la II
Lettera di Cirillo a Nestorio e la Epistola ad Flavianum di Leone Magno- si raggiunge una formulazione
della fede in Cristo(111), che non verrà più modificata –in questo campo- per tutti i grandi patriarcati.
L’unico riferimento mariano –nella soteriologia- è il richiamo del simbolo e di Efeso: “da Maria vergine
Θεο-τόκος”. Questo indica la realtà concreta e storica della vera umanità di Cristo; consacra
definitivamente il titolo efesino di Θεοτόκος come patrimonio della Chiesa universale e lega per
sempre la Vergine Madre al mistero di salvezza operato dal Figlio e alla sua figura.
Il cammino di 450 anni, fatto dalla Chiesa, per giungere alle definizione dogmatiche su Cristo e su
Maria Θεοτόκος parte dall’antico testo di Galati per concludersi con una definizione che salvava la
verità –concepibile solo nella fede- della divinità di chi era nato nel modo raccontato da Matteo e Luca
e il fatto storico, cioè l’incarnazione nel grembo di una donna vergine. Il titolo Θεοτόκος serviva sia
alla cristologia sia alla mariologia, sia a far entrare nella coscienza dei fedeli la posizione di
preminenza della Madre del Redentore nella fede e nella devozione dei fedeli.
Il titolo Θεοτόκος è una confessione cristologica(112) non più messo in discussione; ma a Calcedonia “il
mistero mariano risultò felicemente formulato sia dogmaticamente sia terminologicamente, perché qui fu
tematizzato il riferimento sia alla persona che all’opera di Cristo… sia il ruolo della Madre di Dio nella salvezza…
e doveva diventare di grande importanza per lo sviluppo successivo della mariologia”(113).
d. Il Concilio Vaticano II
Fin dal titolo del Cap. VIII della Lumen Gentium(114), “la divina maternità appare come il fulcro dottrinale,
per il concilio
(109) Essa rappresenta il compromesso tra la scuola antiochena, rappresentata dal patriarca di Antiochia, Giovanni
e Cirillo di Alessandria, che permise un chiarimento e un avvicinamento tra i due schieramenti nel 433 a Efeso. La
formula afferma quanto segue per quanto riguarda il problema delle due nature e del termine Θεοτόκος: “… Infatti
è avvenuta l’unione di due nature. Perciò professiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Secondo
questo concetto senza confusione, professiamo la santa vergine Θεοτόκος, perché il Dio Logos si è incarnato e si è
fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il tempio che ha assunto” (A. Amato, op. cit., p. 205).
(110) Lettera dottrinale di Papa Leone I, datata 13 giugno 499, che sostiene Flaviano, patriarca di Costantinopoli
contro Eutiche, che difendeva il monofisismo: prima della unione il Signore era di due nature, dopo l’unione di una
sola. Papa Leone Magno afferma la doppia generazione del Verbo; l’unica persona del Verbo che assume la natura
umana e diviene uomo veramente; la comunicatio idiomatum (cfr. A. Amato, op. cit., p. 214).
(111) la Definizione di Calcedonia afferma: “Seguendo pertanto i santi Padri, insegniamo tutti concordemente a
confessare che l’unico e identico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, egli stesso perfetto in divinità ed egli stesso
perfetto in umanità, Dio veramente e veramente uomo, egli stesso (composto) di anima razionale e di corpo,
consustanziale al Padre secondo la divinità ed egli stesso consustanziale a noi secondo l’umanità, in tutto simile a
noi fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e negli ultimi giorni egli stesso
per noi e per la nostra salvezza da Maria la vergine Madre-di-Dio secondo l’umanità. Insegniamo a confessare
che egli è riconosciuto l’unico e identico Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, in due nature, senza confusione e
mutazione, senza divisione e separazione; che non essendo stata eliminata la differenza delle nature per l’unione,
ma piuttosto essendo stato salvaguardato ciò che è proprio di entrambe le nature, ed essendo confluita in un’unica
persona e in un’unica ipostasi, egli non è spartito o diviso in due persone, ma unico e identico egli è Figlio e
Unigenito, Dio Verbo e Signore Gesù Cristo. Questo insegniamo a confessare secondo quanto dapprima i profeti
hanno detto di Lui e il medesimo Gesù Cristo ci ha insegnato e il simbolo dei padri ci ha trasmesso” (cfr. A.
Amato, op. cit., p. 219-221)
(112) cfr. G. Soll, op. cit., p. 164-166
(113) cfr. G. Soll, op. cit., p. 169. G. Soll fa rilevare che nello sviluppo mariologico ci fu il pericolo di render
autonoma la figura della Vergine, nella riflessione successiva della sua presenza nell’opera della salvezza e per la
questione della sua figura morale.
(114) “La beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa”. Il documento è pervaso dall’uso
di vari titoli riferentesi alla maternità: Deipara, Genitrix Dei, Mater Dei, Mater Salvatoris e Redemptoris, Mater
Domini (cfr. S. Meo, op. cit., in NDM, p. 822)
Vaticano II, di tutto il mistero e la missione di Maria… il concilio esprime la precisa intenzione di rileggere la
missione materna di Maria non tanto per quello che significa in se stessa o per rapporto alla persona di Maria o al
Verbo incarnato, quanto per il significato e l’apporto che essa dà alla storia della salvezza”(114). Tra gli aspetti
nuovi evidenziati dal concilio, si possono notare:
“Maria vive la sua maternità divina e salvifica, sotto l’impulso gratificante dello Spirito Santo, dal principio
alla fine della sua vita terrena, in un progressivo cammino di fede, di speranza, di obbedienza, di carità,
consacrando se stessa all’opera salvifica del Fi-glio”(115)(116);
al concetto teologico della maternità divina il concilio unisce la dimensione biblica del servizio:
“La Madre di Dio è la serva del Signore, che interpreta la missione materna nella linea religiosa dei servi di
Javhé… Maria ha vissuto la maternità come servizio: Madre di Dio e perciò serva”(117)(118).
Maria, Madre e Vergine, è figura della maternità della Chiesa e madre di tutti gli uomini, che la
accettano come il discepolo amato da Gesù fra le proprie cose(119)(120).
Da questo ne nasce, secondo il concilio, che “la maternità divina verginale è una realtà che si rinnova in
tutti i tempi della salvezza ad opera della Chiesa, che come Maria vive la maternità verginale”(121)(122).
III. ALCUNE TESTIMONIANZE RECENTI
Riporto –come conclusione- alcune riflessioni sulla maternità di Maria e su Maria come modello di
maternità spirituale, rimanendo assolutamente singolare e unico l’evento della sua maternità divina
di donare la carne umana al Verbo Divino increato.
a. Icona della paternità di Dio
“Come pura icona, Maria è l’icona materna della paternità di Dio”(123). La percezione di questo rapporto
profondo è testimoniata da una antica preghiera: “Tu hai generato il Figlio senza padre, questo Figlio che il
Padre ha generato senza madre, prima che i secoli fossero”. Nella sua affermazione teologica l’idea è chiara: la
maternità della Vergine si configura come figura umana della paternità divina”(124). La riflessione di Evdokimov
nasce da due eredità culturali del teologo ortodosso, rifugiato a Parigi:
È la donna che esprime, meglio dell’uomo, il principio religioso nell’umano; che la sensibilità allo
spirituale è maggiormente presente in lei ed è lei ad essere più vicina alle fonti della Genesi: “La
bibbia innalza la donna quale organo di ricettività della spiritualità umana… Alla paternità divina come qualificante
dell’essere di Dio, fa riscontro la maternità femminile come specificante della natura umana, della sua capacità
recettiva del divino. Fine della vita cristiana
(114) cfr. S. Meo, op. cit., p. 822-823
(115) cfr. S. Meo, op. cit., p. 823
(116) “La beata Vergine, insieme con l’incarnazione del Verbo divino predestinata fino dall’eternità quale Madre di
Dio, per dispo-sizione della divina Provvidenza fu su questa terra l’alma madre del divino Redentore, compagna
generosa del tutto eccezionale e umile ancella del Signore. Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al
Padre nel Tempio, soffrire col Figlio suo morente in croce, cooperò in modo del tutto speciale all’opera del
Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime.
Per questo fu per noi madre nell’ordine della grazia”. (LG 61).
(117) cfr. S. Meo, op. cit., p. 823
(118) “Maria consacrò se stessa quale Ancella del Signore… servendo al mistero della redenzione… cooperò alla
salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza” (Lg 56)
(119) De la Potterie afferma: “Queste parole descrivono lo spazio spirituale nel quale vive il discepolo, spazio che è
costituito dalla sua comunione con Gesù; ora in questo spazio spirituale, in questa comunione con Gesù, il
discepolo accoglie anche come propria la madre di Gesù” [De la Potterie, La parole de Jesus…, p. 39].
(120) “La beata Vergine, per il dono e l’ufficio della divina maternità… è pure intimamente congiunta con la
Chiesa. La Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine della fede, della
carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti nel mistero della Chiesa, la quale è chiamata pure vergine e madre,
la Vergine madre è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare come vergine e madre” (LG 63).
(121) cfr. S. Meo, op. cit., p. 824
(122) “... nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a Colei, che generò Cristo concepito dallo Spirito
Santo e nato dalla Vergine, per nascere e credere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa. La Vergine
infatti fu modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione
apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini” (LG 65)
(123) cfr. B. Forte, op. cit., p. 206
(124) cfr. Pavel Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book ed, Milano 1980, p. 154
è di fare di ogni essere umano una madre, un predestinato al mistero della nascita: “finché in voi si formi
Cristo”(125)… la santificazione è opera dello Spirito, il quale compie la nascita miracolosa di Gesù nel profondo
dell’anima. Ora la natività esprime il carisma di ogni donna, quello di partorire Dio nelle anime devastate: “Il
Verbo sempre nasce nuovamente nei cuori degli uomini” (Lettera a Diogne-to)”(125). Maria esprime la maternità
in senso pieno e unico:
* è la Θεοτόκος;
* ha generato in sé Cristo nella fede;
* è icona della Chiesa Vergine-Madre,
* è madre di tutti i discepoli di Cristo.
Ogni discepolo di Cristo, avendo Maria la Madre come icona, è chiamato a diventare “madre di Cristo”
in sé, a generare Cristo al mondo, rivelando in sé stesso -diventato figlio adottivo(126)- il Figlio che dà
senso e sostanza alla figliolanza divina cui ognuno è chiamato. Come in Maria la generazione dei figli
(quindi la generazione in sé di Cristo)(127) è espressione della sua maternità, così la generazione dei
figli nel Figlio è espressione della paternità di Dio.
L’altro aspetto è quello del tutto appartenente alla cultura russa dell’equazione tra la Θεοτόκος e
la Madre Terra, la santa Madre Russia. Evdokimov cita la profezia di una vecchia monaca russa a uno
dei personaggi dei Demoni di Dostoevskij: “La Madre di Dio è la Grande Madre, la grande terra umida” e
questa verità è motivo di gioia per tutti gli uomini. La terra umida, terra feconda, è l’immagine del seno materno;
nella Vergine essa partecipa alla generazione di Dio e rappresenta la figura cosmica della natività. L’accostamento
tra la Vergine e il cosmo è molto frequente nei testi liturgici: Terra beta, Sposa benedetta di Dio, Tu che hai fatto
crescere la spiga non seminata, il Salvatore del mondo, concedimi di riceverlo e di ottenere così la salvezza”(128).
Questo stesso aspetto è presente nell’opera di Giovanni Vannucci(129).
Anche in questo caso, l’identificazione tra la Vergine-terra feconda e ogni discepolo è facilitata dai
fondamenti biblici(130).
La maternità di Maria, come icona della paternità del Padre, fa trasparire l’immagine di un Dio, cui
spetta il primato e la gloria dell’amore materno (come testimonia ampiamente l’Antico Testamento),
contribuendo a liberare “l’umanità dall’ossessione del Dio-giudice assoluto, padre-padrone del creato e degli
esseri, rex tremendae majestatis… la tenerezza o la misericordia del Padre assumono un volto, una configurazione
concreta in Maria”(131). Testimonianza di questa comprensione da parte della tradizione cristiana sono il
titolo di Mater Mise-ricordiae e l’icona di Vladimir, del tipo dell’Eleusa, “la misericordiosa, la
tenera”(132).
b. Maternità e Parola
Il rapporto tra Maria e la Parola, nell’ambito del tema della maternità divina e spirituale, è importante. Secondo la Tradizione patristica Maria ha concepito Cristo ascoltando la Parola(133). La fonte è nel
testo lucano: “Coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica sono mia madre e i mie
fratelli”(134) e nei già citati versetti sulla conservazione e meditazione della Parola da parte di Maria.
Quest’ultimo testo ci dice del rapporto strettissimo tra Maria e la sua laboriosa crescita spirituale fino
a diventare perfetta discepola, a generare in sé Cristo nella fede. Colpiscono alcune coordinate di
questa meditazione:
È collocata nel profondo dell’essere: nel suo cuore. Il cuore è la sede del pensiero razionale, dello
spirito che medita e “pone a confronto” (dal greco: συµβάλλω, porre a confronto, spiego, riconosco,
medito nel cuore) le parole-eventi numinose e profetiche raccolte. Il lavorio interiore di Maria ricorda
(125a) cfr. Gal 4,19
(125b) cfr. P. Evdokimov, Il sacramento dell’amore, Centro di Studi ecumenici Giovanni XXIII, 1966, p. 40-41
(126) cfr. Rom 8,14-17
(127) cfr. Rom 8,19-24
(128) cfr. P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, p. 155
(129) Il tema è ripetuto in varie riflessioni e preghiere; cfr. G. Vannucci, La Parola Creatrice in Libertà dello
Spirito, p. 20-21, in cui la terra e la Vergine vengono messe in confronto e alla fine identificate nella stessa realtà:
“la Vergine al momento dell’annunciazione è la terra che si abbandona senza resistenze… e riceve senza
opposizione la Parola di Dio e ne diviene feconda”.
(130) cfr. Mt 13,8.23
(131) cfr. Lucio Pinkus, Il mito di Maria, Marianum ed., Roma 1986, p. 116
(132) cfr. P. Evdokimov, L’icona della Madre di Dio di Vladimir, in Teologia della Bellezza, EP, Roma 1984, p.
244-251
(133) L’immagine del pesce-Cristo che entra nell’orecchio della Vergine e la rende incinta della Parola di Dio è
comune nella tradizione patristica.
(134) cfr. Lc 8,21
quello richiesto al pio ebreo che ogni giorno è chiamato a confrontarsi con la Torah: “Padre nostro,
padre misericordioso, abbi pietà di noi; concedi al nostro cuore di discernere, comprendere e intendere, apprendere
e insegnare, custodire, fare e compiere ogni parola dello studio della tua Legge con amore”(135). Gli otto verbi –
che specificano il lavorio interiore del pio ebreo- ci danno ulteriori indicazioni:
* richiamano il patto di alleanza sul Sinai, quando il popolo si impegna a “fare e ascoltare quanto il
Signore ha detto”(136). Ascolto e compimento della Parola nell’ascoltatore attraverso l’obbedienzaincarnazione della Parola non sono mai disgiunti. Questo vale per Maria e per tutti coloro che la assumono come icona vitale di discepolato.
* I Servi Di Maria hanno tradotto questo concetto, facendo dipingere nelle loro chiese più antiche l’immagine della Vergine del Magnificat: una donna incinta, con in mano il Libro –spesso contenente il
primo versetto del Magnificat- in atteggiamento di meditazione silenziosa(137).
Il silenzio richiama l’immagine della terra silenziosa, su cui “cova” lo Spirito-Colomba in attesa
della sua fecondazione(138). Quando la Parola –il fiat divino- viene pronunciata, la vita prende a germinare e il caos a diventare cosmo ordinato. Come abbiamo già visto Maria è questa terra; e ne è icona
per tutti i discepoli di Cristo, chiamati a diventarla. Custodire la vita è il compito eterno dell’uomo.
Maria in ascolto-compimento della Parola si collega anche con le mirrofore andate al sepolcro:
anch’esse ascoltano l’annuncio della nuova nascita(139) e nel ricordo delle parole di Cristo(140), annunciate durante la sua vita terrena, cominciano a diventare testimoni della nuova nascita risurrezione,
cioè a generare –attraverso l’annunzio ai fratelli di Gesù(141)- Cristo in sé al mondo.
Questa interpretazione è supportata anche dalla lettura positiva del testo –la cui interpretazione è
controversa e viene compreso in funzione antimariologica nella versione marciana da parte delle chiese protestanti- sugli ascoltatori della Parola madre e fratelli di Gesù. Così commenta Evdokimov: “La
contemplazione –dice S. Massimo il Confessore- rende l’anima feconda contemporaneamente madre e vergine; e il
mistico è colui in cui meglio si manifesta la nascita del Signore. S. Ambrogio diceva: “Ogni anima che crede,
concepisce e genera il Verbo di Dio; secondo la fede, il Cristo è frutto di noi tutti, noi siamo madri del Cristo…
Chiunque ascolta la Parola e la mette in pratica è madre: tale parola significa che a ogni uomo è data la grazia di
generare il Cristo nella sua anima e identificarsi così con la Theotokos”(142).
c. Maria, Arca dell’alleanza, icona della missione di ogni cristiano
Questa identificazione tra uomini e Θεοτόκος continua anche nella comprensione lucana di Maria come
arca della nuova Alleanza, riconosciuta da Elisabetta durante la visitazione. Maria, incinta per opera
dello Spirito Santo del Verbo Divino, è spinta da questa nuova realtà non tanto alla ricerca della verità
delle parole dell’angelo, che le ha annunciato come prova la gravidanza di Elisabetta, ma dall’urgenza
di partecipare al mondo il gioioso annuncio ricevuto. Con Maria, che “corre in fretta con gioia verso i
monti di Giuda” si identifica il messo isaiano che annuncia la salvezza al popolo di Israele(143). Con Ma(135) cfr. Carmine Di Sante, La preghiera di Israele, ed. Marietti, Genova 1991, p. 68-69. il testo citato fa parte
della seconda bene-dizione che precede la recita mattutina dello Shema’ Israel. La Benedizione è nota come birkatha-Torah (benedizione della Torah) o ‘Ahavah rabbah (con grande amore) dal suo incipit.
(136) cfr. Es 24,7
(137) l’icona più nota è forse lo splendido affresco di Cimabue, conservato nella chiesa di Santa Maria dei Servi in
Bologna, raffigurante la Vergine del Magnificat, incinta della Parola di Dio, cui obbedisce rifiutando la tentazione
del diavolo a Eva.
(138) cfr. Gn 1,1s
(139) cfr. Lc 24,5-7
(140) Lc 24,8
(141) Lc 24,9
(142) cfr. P. Evdokimov, La santità nella tradizione della Chiesa ortodossa, in Maria, op. cit., p. 1196-1197
(143) cfr. Is 52,7-9: “Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di
bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio. Senti? Le sentinelle alzano la voce, insieme
gridano di gioia, poiché vedono con i loro occhi il ritorno del Signore in Sion. Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme”. Il testo del
Deutero-Isaia è ricco di elementi che concorrono a identificare nel messaggero, sia Maria, la madre-regina del Re
che salverà Israele e che annunzia a Israele la salvezza, sia in Elisabetta l’antico popolo d’Israele che canta e danza
di gioia e che riconosce in Gesù la consolazione di Israele, Colui che lo riscatta e insieme il prezzo del prezzo.
Maria-mesaggero è anche figura delle mirrofore che corrono con gioia ad annunciare agli apostoli la risurrezione di
Cristo, il nuovo Re, che dona pace, bene e salvezza. È figura, typus, di tutti i discepoli che annunciano il Signore
risorto al mondo, facendolo nascere nel proprio uomo nuovo, che li riveste e li rinnova.
ria e il messaggero isaiano, si identificano anche le donne mirrofore di Matteo(\144), figura di tutti i
discepoli che ricevono l’annunzio della risurrezione e devono portare l’annuncio agli altri la Buona
novella non può essere ricevuta e trattenuta per sé, dev’essere annunciata, portata, donata agli
altri. E la testimonianza vera della buona novella, della Parola, è la sua incarnazione, nella vita del
testimone: si annuncia prima con la vita, che con la parola.
La scena di Pasqua illumina di luce piena e di pienezza di significato il racconto dell’infanzia. Ogni cristiano, immerso nella vita e nella luce del Risorto, come Maria ne diventa l’arca che rende possibile la
sua presenza vitale nel mondo.
d. La gratuità della donna e la Madre della Grazia
Ci rimane un ultimo aspetto da considerare. Il Concilio Vaticano II ci dice che Maria ci è madre nell’ordine della grazia. Questo testo è illuminato da considerazioni antropologiche e bibliche.
È un dono della donna quello di “penetrare direttamente nell’esistenza dell’altro, dell’uomo… di cogliere
l’impon-derabile della persona umana. Con questa facoltà ella aiuta l’uomo a comprendersi e a realizzare il senso
del proprio essere, ella lo porta al proprio compimento decifrandone il destino e così, grazie alla donna, l’uomo
diventa più facilmente quello che è. La funzione profe-tica diretta sull’essere lo muta, e l’offerta di sé, tipica della
donna, rende possibile l’irruzione dell’Altro. Questa è la dialettica della maternità spirituale”(145). La maternità
della donna non è solo fisica, ma anche spirituale: essa genera l’uomo a se stesso rivelandogli come a
Cana la verità su sé stesso.
Il legame con Cana è sottolineato da Evdokimov nel proseguo della sua riflessione: “l’istinto
materno, come a Cana, scopre immediatamente anche la sete di spirito degli uomini e trova la fonte eucaristica per
estinguerla. La relazione immediata con lo Spirito di Verità fa sì che la donna sia capace di porre agli uomini il
problema della loro verità e la porta ad impedir loro di installarsi nella storia o di distruggerla… L’uomo d’oggi
disumanizza e rende un oggetto il mondo… la relazione tra madre e figlio impedisce ogni forma di oggettivazione
fa capire che la donna veglia sulla forma umana come sul proprio figlio; vede in essa un valore assoluto e per
questo la donna umanizza e personalizza il mondo… Ma la donna salverà il mondo solo se, gratia plena, alla
sequela della Vergine, divine la porta del Regno e l’immagine conduttrice”(146). La Vergine, Donna per
eccellenza, diviene modello a tutte le donne di ministero spirituale verso ogni uomo e a tutti i
discepoli di vita spirituale.
Si può dire che la maternità spirituale della Madre di Dio, la sua intercessione –come madre di grazie-, si compie in pienezza in un grande ministero didattico: “la Donna-Madre trasmette al discepolo
misteriosa-mente il senso di Dio, il gusto e la nostalgia indistruttibile del Regno. Il ministero femminile si esprime
al meglio nell’immagine euca-ristica: le cose sante ai santi”(147)(148). Maria e ogni donna esercita il carisma
materno in direzione della santità: fatta nuova creatura dallo Spirito, essa è capace di generare Dio
nelle anime devastate. “È il ministero del Paraclito, la grazia di consolazione e di gioia che postula in ogni
essere femminile una madre per la quale tutte le sue creature sono suoi figli. La Bellezza salverà il mondo: non una
bellezza qualsiasi, ma quella dello Spirito Santo, della Donna avvolta di Sole”(149).
CONCLUSIONE
Termino con due preghiere sulla madre e sulla donna; un augurio perché, come aspiriamo noi Servi di
santa Maria, essa sia non solo nostra Signora, ma ci porti alla pienezza della figliolanza divina.
“Sii tu allora, o tu cara madre, la nostra atmosfera, mio più beato mondo, dove io vaghi e non incontri peccato;
sopra me, intorno a me pòsati affrontando il mio occhio ritroso con dolce intatto cielo; nel mio orecchio vibra, parla
dell’amore di Dio, o aria viva, di pazienza, penitenza, preghiera: aria madre del mondo, aria selvaggia, raccolto in
te, in te isolato, nel tuo ricetto accogli, stringi tuo figlio”(150).
“A tutti i frammenti, gli atomi di Maria sparsi nel mondo, che hanno nome donna, rivolgiamo noi la salutazione
angelica: Ave, o Donna! che tu sia piena di grazia, che l’assistenza dello Spirito Santo sia teco, che sia benedetto e
benefico agli umani il frutto del tuo seno! Che tu possa pacificare la terra, conciliare i fratelli nemici, cancellare
Caino, far risorgere Abele, ricondurre tutta la terra al Padre celeste nell’amore del Figlio, nella grazia dello Spirito.
Amen”(151).
(144) Mt 28,8: “Abbandonato il sepolcro in fretta, con timore e gioia grande, corsero a dare l’annuncio ai
discepoli”.
(145) cfr. P. Evdokimov, La donna e la salvezza dell’uomo, op. cit., p. 263
(146) cfr. P. Evdokimov, La donna e la salvezza dell’uomo, op. cit., p. 263-264
(147) cfr. Mt 7,6: “Non date le cose sante ai cani”, intendendo per cose sante gli alimenti consacrati dal sacrificio.
(148) cfr. P. Evdokimov, La donna e la salvezza dell’uomo, op. cit., p. 264
(149) cfr. P. Evdokimov, La donna e la salvezza dell’uomo, op. cit., p. 227
(150) Gerard M. Hopkins, Dalle foglie della sibilla, ed. Rizzoli 1998
(151) G. Vannucci, Preghiere alla Stinche, CENS, Milano 1987, p. 56