www.novitafiscali.supsi.ch Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale N° 9 – settembre 2015 Politica fiscale Fonti di finanziamento della Confederazione in discussione? E se fosse tempo di amnistia? La “mini-amnistia” è così poco attrattiva per far riemergere i capitali nascosti? Sono maturi i tempi per l’amnistia fiscale? Diritto tributario svizzero Il regime fiscale degli espatriati in Svizzera Diritto tributario italiano Voluntary disclosure e imposta di successione: quando scatta la regolarizzazione della dichiarazione e l’obbligo di corrispondere la relativa imposta? Diritto tributario internazionale e dell’UE Cambio di prospettive sullo scambio di informazioni: attualità ed evoluzione dello scenario europeo e italiano Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Quale limite massimo d’età per richiedere un riscatto di anni d’assicurazione? Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano I prelevamenti bancari ingiustificati non provano più compensi occulti Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 3 4 6 8 10 20 26 40 43 46 Introduzione Novità fiscali 09/2015 Redazione SUPSI Centro di competenze tributarie Palazzo E 6928 Manno T +41 58 666 61 75 F +41 58 666 61 76 [email protected] www.novitafiscali.supsi.ch ISSN 2235-4565 (Print) ISSN 2235-4573 (Online) Redattore responsabile Samuele Vorpe Comitato redazionale Flavio Amadò Elisa Antonini Paolo Arginelli Sacha Cattelan Rocco Filippini Roberto Franzè Marco Greggi Giordano Macchi Giovanni Molo Andrea Pedroli Sabina Rigozzi Curzio Toffoli Samuele Vorpe Impaginazione e layout Laboratorio cultura visiva Il numero di settembre si apre con un contributo di Samuele Vorpe sulle fonti di finanziamento della Confederazione. Un ampio spazio è poi dedicato all’amnistia fiscale federale, rilanciata da Fabio Regazzi dopo che il Tribunale federale, con decisione del 30 marzo scorso, ha precluso ogni possibilità di future amnistie cantonali. NF mette a confronto le opinioni dello stesso Fabio Regazzi, di Marina Carobbio Guscetti e Marco Bernasconi. Altro tema è quello della revisione dell’ordinanza federale concernente gli espatriati, che entrerà in vigore il prossimo 1. gennaio 2016, limitando – senza tuttavia negarle – le agevolazioni fiscali concesse agli impiegati con funzione dirigenziale e agli specialisti con particolari qualifiche professionali, distaccati temporaneamente in Svizzera dal loro datore di lavoro straniero. Se ne occupa Laura Cristilli, con un contributo che analizza la costituzionalità delle diverse deduzioni fiscali accordate agli espatriati. Sul versante italiano, Roberto Bianchi affronta il tema della voluntary disclosure e delle sue implicazioni sul tributo successorio, chiedendosi quando scatta la regolarizzazione della dichiarazione e l’obbligo di corrispondere la relativa imposta. Segue un articolo di Francesca Amaddeo, che tratta dell’attuale disciplina europea ed internazionale dello scambio di informazioni, con particolare riguardo all’erosione del segreto bancario nell’ordinamento italiano. Nella rassegna di giurisprudenza, Sacha Cattelan presenta una recente sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello in tema di utili di liquidazione e riscatti fittizi d’anni d’assicurazione. Caterina Vanetti chiude il numero di settembre commentando la sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, che ha bocciato la presunzione che trasforma in nero i prelevamenti bancari ingiustificati effettuati da lavoratori autonomi. Rocco Filippini Politica fiscale Fonti di finanziamento della Confederazione in discussione? Samuele Vorpe Responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI La Confederazione può prelevare l’imposta federale diretta e l’imposta sul valore aggiunto sino alla fine del 2020. Il Consiglio federale è ora intenzionato a chiedere al Popolo e ai Cantoni la possibilità di prelevare senza limiti temporali queste due imposte Proprio una settimana fa sulle pagine del Giornale del Popolo (ndr. il 25 agosto 2015), Rocco Cattaneo (presidente del PLRT), si era occupato del tema riguardante la riscossione delle imposte federali da parte della Confederazione. È quindi l’occasione per affrontare con continuità questo importante argomento. Ancora qualche anno e la Confederazione non potrà più (forse) contare sulle sue due fonti di finanziamento principali, ovvero l’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e l’imposta federale diretta (di seguito IFD). Infatti, la Costituzione federale (di seguito Cost.) limita la facoltà di prelievo da parte della Confederazione di queste due imposte sino alla fine del 2020 (articolo 196 cifre 13 e 14 Cost.). Il Consiglio federale, per evitare di trovarsi di fronte ad un serio problema di finanziamento dei suoi compiti, ha quindi avviato una procedura di consultazione al fine di chiedere lo stralcio del limite temporale. In questo modo la Confederazione potrebbe riscuotere l’IVA e l’IFD senza limiti temporali. Nel 2014 l’IVA, che costituisce un’imposta di esclusiva competenza della Confederazione (articolo 134 Cost.), ha racimolato la bellezza di 22.6 miliardi di franchi, mentre l’IFD, che invece viene riscossa parallelamente ai Cantoni (e ai Comuni) si è fermata a 18! Il Consiglio federale, sin dal lontano 1959, ha sempre cercato di ottenere dalle Camere federali prima, e dal Popolo e Cantoni poi, la possibilità di prelevare senza limiti di tempo l’IVA e l’IFD. Tuttavia, ogni qualvolta chiedeva questa competenza illimitata nel tempo, otteneva sempre una risposta negativa. Popolo e Cantoni non hanno mai voluto, in virtù del principio del federalismo (articolo 3 Cost.), concedere alla Confederazione un simile diritto. L’ultimo tentativo risale al 1991. Oltre ai citati limiti temporali per la riscossione delle due imposte, alla Confederazione sono imposti ulteriori limiti. Infatti, la Costituzione fissa anche dei limiti materiali per l’IVA e l’IFD. Per quest’ultima le aliquote massime sono pari all’11.5% del Articolo pubblicato il 01.09.2015 sul Giornale del Popolo reddito imponibile delle persone fisiche (articolo 128 capoverso 1 lettera a Cost.) e all’8.5% del reddito netto delle persone giuridiche (articolo 128 capoverso 1 lettera b Cost.). Per quanto riguarda l’IVA, sino alla fine del 2017 l’aliquota normale ammonta all’8% (articoli 130 capoverso 1, 196 cifra 3 capoverso 2 lettera e e cifra 14 capoverso 2 lettera a Cost.). Come rileva il Consiglio federale, nel rapporto esplicativo concernente il nuovo ordinamento finanziario 2021 (pagina 17), “la principale argomentazione a favore di un limite temporale delle imposte si fonda sul fatto che in uno spirito democratico sia utile riflettere regolarmente sull’ordinamento finanziario e sul sistema fiscale in modo da poter eventualmente attenuare una propensione alla spesa dello Stato. Tuttavia, in Svizzera esistono già meccanismi in grado di arginare più efficacemente un simile comportamento rispetto a un limite temporale, ad esempio il freno all’indebitamento, le aliquote massime per l’IFD e l’IVA, l’elenco esaustivo delle competenze della Confederazione in materia di imposizione, sancite nella Costituzione federale, la compensazione automatica delle conseguenze della progressione a freddo e la concorrenza fiscale”. Tutte considerazioni condivisibili! Tuttavia, qualora la Confederazione riuscisse ad ottenere in votazione popolare (è necessaria la modifica della Costituzione) l’abrogazione dei limiti temporali, allora il federalismo (soprattutto in ambito fiscale) subirebbe un ulteriore scossone e lo Stato centrale (ovvero la Confederazione) assumerebbe più poteri. Il risultato della consultazione previsto per questo autunno ci fornirà alcune indicazioni utili sul futuro di queste due fondamentali imposte per la Confederazione e sulla sopravvivenza del federalismo fiscale. Affaire à suivre! Per maggiori informazioni: Consiglio federale, Il Consiglio federale chiede la prosecuzione indeterminata delle due principali fonti di entrata della Confederazione, Comunicato stampa, Berna, 24 giugno 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/ index.html?lang=it&msg-id=57817 [03.09.2015] Dipartimento federale delle finanze, Avamprogetto per la consultazione relativo al decreto federale concernente il nuovo ordinamento finanziario 2021, Rapporto esplicativo del 24 giugno 2015, in: http://www.news.admin.ch/ NSBSubscriber/message/attachments/40032.pdf [03.09.2015] 3 4 Politica fiscale E se fosse tempo di amnistia? Fabio Regazzi Consigliere nazionale PPD Le mutate condizioni della piazza finanziaria svizzera hanno riportato alla ribalta il tema dell’amnistia fiscale federale. Per il tramite dell’iniziativa parlamentare presentata lo scorso giugno, e non ancora discussa dalla commissione parlamentare competente, si chiede l’introduzione di una norma transitoria che riduce da dieci a tre anni il periodo di prelievo delle imposte sottratte e degli interessi di ritardo. Questo periodo ridotto di ricupero dell’imposta è limitato ai primi due anni dall’entrata in vigore della riforma fiscale. Si tratta di una proposta semplice che dà una risposta pragmatica a problemi complessi, quali il progressivo inasprimento delle penalità e delle misure di accertamento nei confronti dei contribuenti residenti in Svizzera, la crisi economica, il deterioramento della piazza finanziaria svizzera e le loro ripercussioni sulle finanze pubbliche cantonali 1. Premessa Che l’amnistia sia tornata alla ribalta lo si era capito dopo la sentenza del Tribunale federale che ha bocciato l’amnistia fiscale ticinese e ha, di fatto, precluso anche per altri Cantoni questa via legislativa. Di conseguenza l’unica soluzione percorribile ed efficace, se si voleva evitare l’irta strada dell’iniziativa popolare federale, era quella di consentire ai contribuenti di far riemergere capitale e redditi non dichiarati rendendo più attrattiva la mini amnistia del 2010. Trovata la quadratura del cerchio dal profilo della tecnica fiscale, la palla è passata nel campo della politica grazie all’iniziativa parlamentare che ho presentato il 9 giugno scorso. 2. Dall’amnistia “generale” del 1969 alla “mini” del 2010 Ma facciamo un passo indietro. Come è noto l’ultima amnistia generale in Svizzera risale al 1969 e venne attuata attraverso una norma transitoria nella Costituzione federale. Esentava il contribuente sia dalle penalità, sia dalle imposte arretrate, si estendeva alle imposte sul reddito e sulla sostanza delle persone fisiche, sull’utile e sul capitale delle persone giuridiche, ma anche alle tasse di bollo, all’imposta preventiva, alle imposte sulle successioni, all’imposta di garanzia in materia di assicurazione e alla tassa di esenzione dal servizio militare. Insomma era un’amnistia a 360 gradi. Nel 2010 entrò in vigore la Legge federale relativa alla semplificazione del recupero d’imposta in caso di successione e all’introduzione all’autodenuncia esente da pena, applicabile ai fini delle imposte dirette federali e cantonali. La cosiddetta “mini-amnistia”. A causa delle condizioni piuttosto rigide poste, questa riforma non ha consentito di incentivare in modo importante l’autodenuncia, poiché il risparmio si è rivelato trascurabile. Infatti, in caso di denuncia spontanea, effettuata prima della legislazione entrata in vigore il 1. gennaio 2010, il contribuente doveva rifondere imposte e interessi di ritardo per gli ultimi dieci anni e una multa limitata ad un quinto dell’imposta sottratta. Per questo venne denominata “mini” amnistia… 3. Il Ticino rilancia il tema Nel frattempo le giustificazioni a sostegno di un’amnistia fiscale andavano moltiplicandosi sia a livello federale che cantonale, e questo perché l’inasprimento delle sanzioni a carico dei contribuenti, l’estensione dei poteri inquisitivi dell’autorità fiscale e la posizione sempre più vacillante del segreto bancario rendevano necessaria una parità di trattamento tra la situazione previgente e l’attuale, con la possibilità di consentire all’evasore di far emergere redditi e capitali sin qui sottratti al fisco. L’amnistia fiscale si giustificava anche con la crisi economica che aveva accentuato le difficoltà delle finan- Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 ze pubbliche della Confederazione, e soprattutto di alcuni Cantoni, tra cui il Ticino. Un’ulteriore aggravante era poi causata dalla nostra legge tributaria poco concorrenziale con quelle previste da quasi tutti gli altri Cantoni e che a medio termine poteva contribuire o già contribuisce al trasferimento di domicilio da parte di contribuenti facoltosi e alla delocalizzazione di talune aziende verso altri lidi fiscali. In questo contesto di crescente difficoltà il Tribunale federale, il 30 marzo 2015, intonava il requiem all’iniziativa cantonale ticinese per un’amnistia fiscale e con questa decisione andavano in fumo per sempre le possibilità dei Cantoni di proporre delle amnistie. Ma morta un’iniziativa ne nasceva un’altra. 4. Una proposta semplice per far emergere i capitali Come insegna l’uovo di Colombo a volte la proposta migliore è la soluzione più semplice. Grazie al Centro di competenze tributarie della SUPSI è stato possibile proporre in tempi brevi una proposta di amnistia da lanciare a livello federale. L’iniziativa che ho presentato (corredata da ben 42 firme di colleghe e colleghi di tutto il fronte borghese), consentirebbe l’emersione di capitali molto importanti. Sulla base della situazione attuale, la mini-amnistia del 2010 permette soltanto la cancellazione della multa ed impone il prelievo delle imposte sottratte negli ultimi dieci anni e degli interessi di ritardo. Una proposta che ha portato scarsi vantaggi e che ha reso necessario riflettere su un’alternativa meno onerosa. La mia iniziativa interviene dunque sulla mini-amnistia attraverso una norma transitoria che prevede che nei primi due anni dall’entrata in vigore di questa norma transitoria, il contribuente che dichiara spontaneamente i capitali e i redditi sottratti all’imposizione, invece di corrispondere il ricupero delle imposte per dieci anni con l’interesse, deve corrisponderle solo per tre anni e la multa viene cancellata. Oltre a rendere più attrattiva la situazione attuale, i tempi di realizzazione potrebbero essere relativamente brevi. E in tal senso, dopo anni di discussioni e proposte bocciate soprattutto dai confederati, il cui animo protestante ha finora fatto prevalere barriere di tipo etico, l’opportunità di un’amnistia pragmatica e semplice potrebbe finalmente trovare il necessario consenso. I benefici sarebbero notevoli: oltre a rappresentare quel toccasana che le finanze pubbliche a tutti i livelli attendono da tempo, parecchi miliardi verrebbero reimmessi nel circuito economico in un momento difficile. 5. Recenti sviluppi parlamentari Nel frattempo ho presentato un emendamento alla legge sullo scambio automatico di informazioni relative a conti finanziari (AIA Gesetz), discusso al Consiglio nazionale il 16 settembre 2015, che nella sostanza riprende il testo della mia iniziativa parlamentare, con l’unica modifica che il termine per il recupero delle imposte e degli interessi di ritardo in caso di autodenuncia è di cinque anni (invece di tre). Il Consiglio nazionale, a sorpresa e grazie a un ottimo lavoro di squadra, ha approvato questo emendamento nonostante il preavviso negativo della Consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf. Ora la palla passa al Consiglio degli Stati, che dovrà chinarsi su questa proposta, nella speranza che segua il Consiglio nazionale. Per maggiori informazioni: Iniziativa parlamentare n. 15.435, Per un’amnistia fiscale federale equilibrata ed efficace. Favorire l’emersione di redditi e capitali in caso di denuncia spontanea, depositata il 9 giugno 2015, in: http://www.parlament.ch/i/suche/ pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20150435 [03.09.2015] Elenco delle fonti fotografiche: http://images.gadmin.st.s3.amazonaws.com/n30314/images/bern/liste/ detail/bundeshaus-2.jpg [03.09.2015] 5 6 Politica fiscale La “mini-amnistia” è così poco attrattiva per far riemergere i capitali nascosti? Marina Carobbio Guscetti Consigliera nazionale PS Sulla base delle attuali statistiche concernenti le autodenunce esenti da pena, che sono in continuo aumento, è veramente necessario introdurre una norma transitoria di due anni per ridurre il periodo fiscale del ricupero delle imposte sottratte? Al più tardi nel 2018 lo scambio d’informazioni sarà realtà anche in Svizzera. Questa decisione del Consiglio federale ha rilanciato il tema dell’amnistia fiscale. Come altri suoi colleghi di partito, il consigliere nazionale PPD Fabio Regazzi è pure autore di una proposta di amnistia che vuole rivedere la Legge federale relativa alla semplificazione del ricupero d’imposta in caso di successione e all'introduzione dell'autodenuncia esente da pena. Come noto questa legge prevede l’autodenuncia esente da pena, applicabile ai fini delle imposte dirette federale e cantonali. La proposta del collega Regazzi, elaborata con il Centro di competenze tributarie della SUPSI, è quindi più moderata di quelle del suo collega ginevrino Barazzone che vuole l’introduzione di un’amnistia generale. Essa è stata presentata all’indomani della decisione del Tribunale federale, che nella scorsa primavera ha accolto il ricorso presentato dalla deputata in Gran consiglio Pelin Kandemir Bordoli, ricorso inoltrato dopo che il parlamento ticinese aveva approvato il progetto di condono della multa e uno sconto del 70% sulle imposte sottratte negli ultimi anni attraverso una riduzione delle aliquote applicabili. Secondo l’Alta Corte, le disposizioni ledono i principi costituzionali dell’uguaglianza giuridica (articolo 8 capoverso 1 della Costituzione federale [di seguito Cost.]), della generalità, dell’uniformità e dell’imposizione secondo la capacità economica (articolo 127 capoverso 2 Cost.) e sono inoltre contrarie ad alcuni principi della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni. Regazzi, come ammette nel testo accompagnatorio alla sua proposta, riconosce l’impossibilità di procedere ad amnistie cantonali a seguito della recente decisone del Tribunale federale e propone una revisione della Legge federale relativa alla semplificazione del ricupero d’imposta in caso di succes- sione e all’introduzione dell’autodenuncia esente da pena, la cosiddetta “mini-amnistia”. Per il consigliere nazionale del PPD “la «mini-amnistia» non è uno strumento adeguato per indurre i contribuenti a dichiarare spontaneamente gli ingenti capitali sottratti sino ad ora all’imposizione”. Interessante a questo proposito è invece quanto si evince da un’inchiesta della rivista economica Punktmagazin: dal 2010 ad oggi 30’000 persone avrebbero fatto uso del sistema dell’autodenuncia con un ammontare dei valori patrimoniali emersi di circa 13.5 miliardi di franchi. Confederazione, Cantoni e Comuni avrebbero quindi beneficiato di 1.24 miliardi di franchi di entrate. A più di quattro anni dalla loro introduzione, il numero di autodenunce esenti da pena non diminuisce, anzi, nel 2014 è addirittura in aumento. Confrontati con queste cifre, considerati anche i dati forniti da quei Cantoni come il Ticino che rendono pubblico il numero di casi di autodenunce e l’ammontare del denaro emerso, v’è da chiedersi se veramente è necessario rivedere l’attuale sistema e ridurre il periodo di prelievo delle imposte sottratte e degli interessi di ritardo per un periodo transitorio di due anni così come propone l’onorevole Regazzi. I dati e il numero di autodenunce non sembrerebbero mostrare una vera e propria necessità di andare in questa direzione. Certo la proposta dell’onorevole Regazzi va approfondita, ma pur diversa dal punto di vista formale, essa riprende di fatto quanto già proposto dal parlamento ticinese e poi respinto dal Tribunale federale. Infatti, invece di una riduzione delle aliquote del 70% applicabile agli elementi imponibili non dichiarati negli ultimi dieci anni, il contribuente si met- Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 terebbe in regola col fisco pagando comunque solo il 30% del dovuto, con i relativi interessi e senza multa, in quanto il periodo del ricupero d’imposta verrebbe ridotto da dieci a tre anni. Come nel caso dell’amnistia cantonale rimane quindi la questione se sia eticamente accettabile premiare chi per anni ha evaso il fisco con sostanziali riduzioni delle aliquote, discriminando chi ha sempre fatto fronte regolarmente ai suoi impegni con il fisco. premiano implicitamente i cittadini disonesti, cosa che può ripercuotersi negativamente sull’etica fiscale”. Da parte di coloro che, come l’onorevole Regazzi, vogliono un allentamento della prassi in vigore, ci si aspetta quindi che, per coerenza e come prima cosa, vi sia un sostegno concreto a quelle proposte volte ad aumentare gli ispettori fiscali e intensificare i controlli, in modo da affrontare alla radice il problema. Interrogato sul tema dell’etica fiscale, nel 2010 il Consiglio federale in risposta all’interpellanza n. 10.3311 ha riconosciuto che “con le amnistie fiscali si inviano falsi segnali in relazione all’etica fiscale. Infatti, i contribuenti onesti le ritengono ingiuste, poiché si Elenco delle fonti fotografiche: ht tp://w w w.t a gb lat t .ch/s to r a ge/s cl/o nlin e/s t ga ll e n/1223373_ m3w560h330q75v22728_3691800.jpg?version=1326978032 [03.09.2015] 7 8 Politica fiscale Sono maturi i tempi per l’amnistia fiscale? Marco Bernasconi Professore SUPSI L’iniziativa parlamentare dell’on. Fabio Regazzi, presentata nel giugno di quest’anno in Consiglio nazionale, è un mezzo adeguato e concreto per realizzare l’amnistia fiscale federale Lo scambio di informazioni automatico, che segna la fine del segreto bancario svizzero è alle porte, poiché la relativa legge federale di applicazione dovrebbe presto essere approvata dalle Camere federali. Del segreto bancario resta solo qualche briciola, per il momento riferita all’impossibilità per le autorità fiscali svizzere di accedere ai dati bancari riferiti a conti depositati in Svizzera da parte di contribuenti residenti nel nostro Paese. Questo è l’ultimo ridotto sul quale già si è aperta una vivace discussione tra coloro che vogliono mantenerlo, avvalendosi di un’iniziativa popolare già riuscita (“Sì alla protezione della sfera privata”), e coloro, tra i quali la Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, che vogliono abolirlo per evidenti ragioni di parità di trattamento tra autorità fiscali estere e quelle svizzere. La risposta verrà data prossimamente dal Popolo e dai Cantoni, quando si dovranno pronunciare sulla citata iniziativa popolare che propone di ancorare nella Costituzione federale la protezione del segreto bancario in caso di contravvenzioni fiscali. In questa discussione si è inserita recentemente la consigliera federale, on. Eveline Widmer-Schlumpf, che si è detta favorevole all’amnistia fiscale federale generale a condizione che il segreto bancario sia abrogato anche per i residenti in Svizzera con conti bancari depositati nelle banche del nostro Paese. Si apre un dissidio che è destinato a durare nel tempo. Questo perché prima dovrà essere votata l’iniziativa popolare che propone, come detto, la salvaguardia del segreto bancario in Svizzera e poi, nel caso in cui questa iniziativa fosse respinta dal Popolo e dai Cantoni, si dovrà iniziare una macchinosa procedura per attuare l’amnistia fiscale generale. Macchinosa perché prima deve essere presentato un messaggio da parte del Consiglio federale, poi dovrà essere dibattuto alle Camere federali e, in caso di accoglimento da parte delle medesime, si dovrà ricorrere al consenso di Popolo e Cantoni. È presumibile, visti i tempi biblici che segnano i lavori della Confederazione, quando non vi è una pressione internazionale, un periodo di quattro anni. Di conseguenza per quattro anni nessun atto concreto volto a favorire l’emersione di capitali. Ma è possibile che l’iniziativa popolare possa anche essere accolta in votazione. A quel momento si dovrebbe ricominciare da capo nel senso che si aprirà un dibattito tra coloro che negano l’amnistia fiscale poiché una parte del segreto bancario rimane salvaguardato dalla Costituzione federale, e coloro che invece reputano comunque che si debba istituire un’amnistia. Personalmente io sono tra questi per le ragioni di sempre: l’ultima amnistia fiscale generale risale al 1969, la crisi finanziaria ed economica e le difficoltà della finanza pubblica giustificano il ricorso all’amnistia e, infine, l’amnistia non sarà gratuita poiché il contribuente sarà colpito con una “tassa di amnistia”, la cui misura verrà definita dall’autorità politica. Un’ulteriore ragione a favore dell’amnistia è comunque legata alla caduta quasi totale del segreto bancario e all’estensione progressiva delle competenze inquisitive del fisco. Attualmente coloro che vogliono beneficiare di un’imposizione apparentemente attenuata possono far uso dell’istituto dell’autodenuncia spontanea. La relativa legislazione è entrata in vigore all’inizio del 2010 e prevede il ricupero integrale delle imposte sottratte negli ultimi dieci anni, maggiorati dagli interessi di ritardo, e la rinuncia all’applicazione delle sanzioni penali. Il vantaggio finanziario è di poco conto poiché la sanzione stabilita dal diritto previgente costituiva circa il 15-20% dell’onere complessivo. Il costo a carico del contribuente è Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 costituito in maniera preponderante dal ricupero delle imposte sottratte per un periodo di dieci anni. Ora, nell’attesa di una decisione definitiva sull’iniziativa depositata e sulle decisioni politiche che ne seguiranno a seguito dell’esito della medesima, è necessario trovare una normativa che in termini contingenti consenta l’emersione di capitali. L’iniziativa parlamentare dell’on. Fabio Regazzi, presentata nel giugno di quest’anno in Consiglio nazionale, è un mezzo adeguato e concreto per realizzare quest’obiettivo. Il politico ticinese propone una soluzione semplice ed immediata: quella di ridurre il ricupero delle imposte in modo molto sensibile, a condizione che la denuncia spontanea avvenga nei primi due anni dell’entrata in vigore della legge. Scaduti questi due anni, il ricupero delle imposte dovrà ancora essere dovuto sugli ultimi dieci anni. Mi auguro che questa iniziativa, proprio in ragione della sua tempestività e semplicità, possa trovare un riscontro favorevole da parte delle autorità politiche competenti. Infatti il 16 settembre 2015 il Consiglio nazionale, con 85 voti favorevoli e 80 contrari, ha accolto l’iniziativa parlamentare dell’on. Regazzi, riducendo il termine di recupero delle imposte e degli interessi di ritardo a cinque anni. La modifica della Legge federale sull’imposta federale diretta e della Legge federale sull'armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni è stata apportata nell’ambito della discussione sulla legge federale riferita allo scambio automatico di informazioni. È solo un primo passo, poiché la stessa proposta verrà esaminata entro poco tempo dal Consiglio degli Stati. È auspicabile che anche questa Camera accolga l’iniziativa parlamentare dell’on. Regazzi. La decisione diventerebbe così operativa, poiché contro le leggi federali non è proponibile ricorso, in materia di costituzionalità, al Tribunale federale. Basti pensare che, il 13 aprile 1984 il Tribunale federale ha dichiarato incostituzionale la legislazione del Canton Zurigo che stabiliva un’imposizione più accentuata (superiore al 10%) dei coniugi rispetto a due concubini che conseguono lo stesso reddito. Tutti i Cantoni si sono adeguati, mentre la legislazione federale, da più di trent’anni ormai, viola al Costituzione. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.gdp.ch/sites/default/files/imagecache/DetailedL/articlemedia/2015/01/08/franchi3_1193081.jpg [03.09.2015] 9 10 Diritto tributario svizzero Il regime fiscale degli espatriati in Svizzera Laura Cristilli Bachelor of Science SUPSI in Economia aziendale Contabile Findea SA, Lugano Discussione sulla modifica dell’Ordinanza concernente gli espatriati emanata dal Dipartimento federale delle finanze 1. Introduzione L’incremento della partecipazione dei lavoratori espatriati al mercato del lavoro in Svizzera è considerato un aspetto importante poiché questi contribuiscono alla competitività delle imprese con sede nella Confederazione, e aumentano l’attrattività della piazza economica svizzera. Attualmente sono in vigore condizioni e procedure per beneficiare del favorevole regime fiscale per i lavoratori espatriati. Secondo l’Ordinanza concernente gli espatriati (di seguito Oespa), la Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) permette agli espatriati, pur con le medesime mansioni professionali, a determinate condizioni, di dedurre spese professionali che altri lavoratori non possono dedurre. Questa circostanza dovrebbe incoraggiare i lavoratori stranieri ad esercitare un’attività lucrativa in Svizzera [1]. Queste deduzioni fiscali sono contestate poiché considerate discriminatorie verso i lavoratori che vivono e pagano le imposte in Svizzera. Questo tema è molto attuale in quanto il Consiglio federale ha deciso di riesaminare condizioni e modalità per deduzioni specifiche, in seguito alla richiesta di abolizione delle stesse da parte dei consiglieri nazionali Fässler e Schelbert attraverso delle mozioni, che ha respinto. In seguito il Dipartimento federale delle finanze (di seguito DFF) ha emanato una proposta di adeguamento dell’Oespa, che entrerà in vigore il 1. gennaio 2016[2]. Con questa modifica il campo di applicazione dell’Oespa sarà più ristretto, mentre le singole deduzioni verranno conservate, ma l’accettazione dell’Ordinanza ne uscirà rinforzata. 2. Definizione di espatriati Gli espatriati previsti nell’Oespa sono impiegati con funzione dirigenziale distaccati temporaneamente in Svizzera dal loro datore di lavoro straniero (articolo 1 capoverso 1 lettera a), e specialisti di ogni genere che svolgono in Svizzera un compito temporaneo, ovvero lavoratori che, grazie alle loro particolari qualifiche professionali, sono usualmente impiegati in campo internazionale, nonché le persone che nello Stato di domicilio esercitano un’attività indipendente e sono attivi in Svizzera come salariati al fine di svolgere un compito concreto temporaneo (articolo 1 capoverso 1 lettera b). Il periodo massimo è di cinque anni, durata limite consentita per il rispettivo incarico o contratto lavorativo (articolo 1 capoverso 3). Gli espatriati possono richiedere sgravi fiscali sulle spese sostenute in ragione del loro soggiorno in Svizzera. 2.1. Descrizione del regime fiscale attuale degli espatriati Le basi legali per il riconoscimento fiscale delle spese professionali di persone esercitanti un’attività lucrativa dipendente figurano all’articolo 26 LIFD, per garantire un trattamento fiscale corretto di tutte le spese professionali in rapporto a un’attività lucrativa dipendente [3]. Questo articolo è stato concretizzato in due ordinanze del DFF: ◆◆ Ordinanza del 1993 sulla deduzione delle spese professionali delle persone esercitanti un’attività lucrativa dipendente ai fini dell’imposta federale diretta (di seguito Ordinanza sulle spese professionali); ◆◆ Ordinanza del 2000 sulla deduzione di spese professionali particolari di impiegati con funzione dirigenziale e di specialisti attivi temporaneamente in Svizzera ai fini dell’imposta federale diretta (Ordinanza concernente gli espatriati, Oespa). 2.2. Deduzione fiscale di spese professionali particolari L’Ordinanza sulle spese professionali prevede che il contribuente possa dedurre le spese necessarie al conseguimento del proprio reddito e causate direttamente dalla realizzazione dello stesso, mentre non vi è la possibilità di dedurre spese private causate dalla posizione professionale del contribuente, o per il suo mantenimento e quello della sua famiglia (articolo 34 lettera a LIFD). Le spese deducibili sono le spese di trasporto (articolo 5), spese supplementari per pasti (articolo 6), altre spese come attrezzi e abiti da lavoro Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 (articolo 7), le spese per il perfezionamento e la riqualificazione professionale (articolo 8), il soggiorno fuori domicilio (articolo 9) e un forfait per le spese connesse con un’attività lucrativa accessoria (articolo 10). L’Oespa è nata in seguito all’iniziativa del consigliere nazionale Gros, la quale richiedeva agevolazioni fiscali sull’imposta federale diretta per le società ausiliarie [4]. La Commissione dell’economia e dei tributi l’ha traslata sulle concessioni fiscali da accordare agli espatriati. L’obiettivo dell’Oespa è rendere maggiormente attrattiva la piazza finanziaria svizzera, avendo riguardo per la situazione specifica degli espatriati in considerazione delle spese professionali e trovando una normativa nel diritto federale in vigore [5]. Per gli espatriati domiciliati all’estero sono deducibili le spese correnti di viaggio tra il domicilio all’estero e la Svizzera, le spese necessarie per l’alloggio in Svizzera, e le adeguate spese di abitazione in Svizzera se comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero (articolo 2 capoverso 1). Per gli espatriati domiciliati in Svizzera sono deducibili invece le spese di trasloco in Svizzera e di ritorno nello Stato di domicilio precedente nonché le spese di viaggio di andata e ritorno dell’espatriato e della sua famiglia all’inizio e al termine del rapporto di lavoro, le adeguate spese di abitazione in Svizzera se comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero, le spese ordinarie per la frequentazione da parte dei figli minorenni di una scuola privata in lingua straniera se le scuole pubbliche non offrono un insegnamento adeguato (articolo 2 capoverso 2). Tali spese sono deducibili se il datore di lavoro non le rimborsa, o le rimborsa sotto forma di indennità forfettaria, la quale va cumulata al salario lordo imponibile (articolo 2 capoverso 3). Inoltre possono essere dedotte con un forfait di 1’500 franchi mensili, eccetto per le spese scolastiche, oppure le spese effettive se comprovate (articolo 4 capoverso 2). 3. Descrizione delle problematiche inerenti all’Ordinanza attualmente in vigore Il postulato n. 09.3528 “Deduzioni fiscali per gli espatriati” depositato il 10 giugno 2009 dalla consigliera nazionale sangallese Hildegard Fässler, chiedeva al Consiglio federale di chiarire quali fossero le deduzioni ammesse come spese professionali, a quanto ammontassero, e se esistesse un problema costituzionale in ragione della violazione del principio dell’uguaglianza giuridica dovuta alla disparità di trattamento tra svizzeri e stranieri. A sostegno di ciò, Fässler aveva fatto riferimento ad una sentenza del 23 ottobre 2007 della seconda Corte della Commissione cantonale di ricorso in materia fiscale del Canton Zurigo, in cui la Commissione ha constatato che l’articolo 26 capoverso 1 lettera c LIFD (le spese professionali deducibili sono le altre spese necessarie per l’esercizio della professione) non dovrebbe essere interpretato in modo ampio, e che di conseguenza l’articolo 2 capoverso 2 lettere b e c Oespa (deduzione delle spese di abitazione e delle spese per la frequentazione da parte dei figli di una scuola privata) sarebbe contrario alla legge (in quanto oltrepasserebbe i limiti della delega di cui all’articolo 26 LIFD) [6]. Un’altra problematica esistente, secondo la consigliera nazionale Gysi, sarebbe il fatto che le deduzioni fiscali concesse agli espatriati per le spese scolastiche dei figli iscritti in scuole private ostacolino l’integrazione degli immigrati. In relazione alla questione, la consigliera ha depositato un’interpellanza nel 2012[7]. Fässler, attraverso la mozione n. 12.3510 depositata nel 2012, afferma che l’attuale situazione di privilegio fiscale degli espatriati è collidente se confrontata a quella dei lavoratori che vivono e pagano le imposte in Svizzera, in quanto vi sarebbe disparità di trattamento, dato che questi ultimi non hanno diritto alle stesse deduzioni fiscali concesse agli espatriati. A sostegno di ciò, la consigliera fa riferimento all’Ufficio federale di giustizia (di seguito UFG) e allo studio del 6 settembre 2011 in cui viene affermato che le deduzioni accordate agli espatriati risultano “urtanti” per lo stesso motivo. Fässler ritiene inoltre discutibile che i privilegi degli espatriati siano disciplinati unicamente in un’ordinanza e non in una legge. La forza normativa della prima quindi, sarebbe minore rispetto a quella della seconda[8]. Nella sua mozione n. 12.3560 depositata nel 2012, il consigliere nazionale lucernese Louis Schelbert sostiene che oggigiorno gli espatriati restano in Svizzera per diversi anni, vengono raggiunti dalle loro famiglie e usufruiscono sempre di più dei servizi statali, come ad esempio delle scuole, a differenza degli scorsi decenni dove queste persone rimanevano solo per un breve periodo. Schelbert afferma quindi che la situazione di privilegio a livello di deduzioni fiscali accordata dal diritto fiscale attualmente in vigore agli espatriati non è giustificata, in quanto chiunque risieda in Svizzera approfitta delle infrastrutture e delle istituzioni locali, ragione per cui tutti devono partecipare al loro finanziamento tramite le imposte [9]. 3.1. Il principio dell’uguaglianza giuridica Le deduzioni fiscali citate in precedenza sono contestate poiché considerate discriminatorie verso i lavoratori che vivono e pagano le imposte in Svizzera. Secondo l’articolo 8 capoversi 1 e 2 della Costituzione federale (di seguito Cost.), basato sull’uguaglianza giuridica, “Tutti sono uguali davanti alla legge. Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche”. Il principio d’uguaglianza giuridica viene quindi violato nel momento in cui non si rispetta il divieto di operare disparità di trattamento senza motivazioni oggettive nell’applicazione della legge. 11 12 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 3.2. Il principio della parità di trattamento Il principio della parità di trattamento impone che due situazioni simili siano trattate allo stesso modo. Le differenze dell’imposizione tra persone che abitano e lavorano in Svizzera ed espatriati, a livello di deduzioni concesse, escluderebbero quindi una perfetta parità di trattamento. 3.3. Il principio dell’imposizione fiscale Il principio dell’imposizione fiscale, secondo l’articolo 127 capoverso 2 Cost., impone che siano osservati i principi della generalità e dell’uniformità dell’imposizione. 3.4. Il principio della generalità dell’imposizione Il principio della generalità dell’imposizione esige che ogni persona e ogni gruppo di persone siano imposti secondo la stessa disciplina legale. Si vogliono così evitare ingiusti privilegi fiscali o discriminazioni, non oggettivamente fondati, a danno di persone o gruppi di persone [10]. 3.5. Il principio dell’uniformità dell’imposizione Il principio dell’uniformità dell’imposizione vuole che tutti coloro che si trovano nella stessa situazione siano imposti nello stesso modo, mentre le persone che si trovano in situazioni che presentano delle differenze importanti vengano imposte in maniera diversa [11]. 3.7. L’Oespa è incostituzionale? Esisterebbe quindi con l’Oespa una situazione di incostituzionalità poiché il principio dell’uguaglianza giuridica verrebbe violato, a causa della disparità di trattamento tra persone che abitano e lavorano in Svizzera e stranieri, in quanto i primi non possono beneficiare delle deduzioni delle spese professionali particolari concesse agli espatriati, nonostante si trovino in situazioni economicamente simili. In riferimento alla sentenza zurighese citata all’inizio del capitolo, la Commissione ha in effetti constatato che l’Oespa sarebbe critica in termini di costituzionalità, in quanto il diritto alla parità di trattamento verrebbe violato, perlomeno parzialmente (costituendo una disparità di trattamento tra espatriati e lavoratori svizzeri)[14]. L’UFG mediante una perizia ha esaminato la questione della parità di trattamento tra gli espatriati domiciliati in Svizzera e gli altri contribuenti domiciliati nel nostro Paese. Esso è giunto alla conclusione che sarebbe opportuno modificare l’Ordinanza sulle spese professionali al fine di poter dedurre le spese di trasloco e di abitazione supplementari dei lavoratori distaccati in altri Cantoni. Fässler sostiene che questa proposta è inadatta, in quanto i dirigenti svizzeri inviati dal loro datore di lavoro per qualche anno in un’altra regione della Svizzera potrebbero beneficiare di cospicui vantaggi fiscali, e in tal modo si introdurrebbe una disparità di trattamento nei confronti di altri dirigenti, che a causa della chiusura della loro azienda sono obbligati a traslocare in un’altra regione della Svizzera. Sostiene inoltre che sempre più spesso gli espatriati restano in Svizzera acquisendo lo statuto di residente e utilizzando le infrastrutture del Paese come tutti gli altri, perciò la discriminazione delle persone domiciliate in Svizzera andrebbe superata non ampliando i privilegi fiscali ad altri soggetti, bensì restringendoli[15]. Nella sua mozione, Schelbert è dell’opinione che i manager e gli specialisti stranieri debbano essere trattati come tutti gli altri, e che le agevolazioni fiscali concesse agli espatriati debbano essere eliminate, al fine di rispettare il principio costituzionale della parità di trattamento[16]. 3.6. Il principio di imposizione secondo la capacità contributiva Il principio di imposizione secondo la capacità contributiva costituisce un corollario del principio della parità di trattamento. Secondo il Tribunale federale, questo principio esige che si tenga conto della situazione personale di ogni cittadino che contribuisce alle spese pubbliche, in proporzione ai suoi mezzi di sostentamento[12]. Le imposte pagate dai contribuenti che hanno la medesima capacità finanziaria devono essere le stesse, mentre chi si trova in situazioni diverse, le quali modificano la capacità contributiva, deve essere imposto in modo differente[13]. 4. Esame della costituzionalità e della legittimità dell’Oespa L’Oespa è entrata in vigore il 1. gennaio 2001. Il suo contenuto si basa largamente sulle conclusioni poste nel parere legale del 20 luglio 1999 redatto da Robert Waldburger e Martin Schmid relativo alle prestazioni (benefici) particolari fornite dal datore di lavoro per i lavoratori espatriati[17]. 4.1. Le spese per il conseguimento del reddito dell’attività dipendente (articolo 2 capoversi 1 e 2 Oespa) L’ammissione delle spese come costi di conseguimento del reddito consiste nell’esistenza di un collegamento tra queste e l’ottenimento dello stesso. Più semplicemente, le spese devono essere necessarie per l’acquisizione di questo reddito[18]. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Nella LIFD sono indicate, dagli articoli 26 a 32, le deduzioni organiche ammissibili per ogni categoria di reddito. Le spese professionali deducibili, sono le spese di trasporto necessarie dal domicilio al luogo di lavoro (articolo 26 capoverso 1 lettera a LIFD), le spese supplementari per pasti fuori domicilio o in caso di lavoro a turni (articolo 26 capoverso 1 lettera b LIFD), le altre spese necessarie per l’esercizio della professione (articolo 26 capoverso 1 lettera c LIFD), e le spese inerenti al perfezionamento e alla riqualificazione professionale connessi con l’esercizio dell’attività professionale (articolo 26 capoverso 1 lettera d LIFD). della cura dei figli infatti non è stata ammessa fiscalmente per il diritto federale sino al 1. gennaio 2011. Queste spese sono assolutamente inevitabili ma non possono essere riconosciute quali spese di conseguimento del reddito. Il Tribunale federale ha seguito questo approccio [25]. Qualsiasi professione potrebbe infatti essere esercitata senza spese per la cura dei figli. Il Tribunale federale riconosce, quali spese di conseguimento del reddito, le spese sostenute direttamente per conseguirlo; è sufficiente che la spesa sia necessaria a livello economico per ottenere il reddito e che non si possa esigere dal contribuente che la eviti[19]. Mentre alcuni autori sostengono che le spese di conseguimento del reddito debbano seguire il criterio della finalità, oggi sembra prevalere all’unanimità il criterio della causalità [20]. Secondo il criterio della finalità, le spese di conseguimento del reddito rappresentano tutte le spese sostenute dal contribuente durante il periodo di calcolo e necessarie al conseguimento del reddito. La giurisprudenza considera che le spese supportate dal contribuente sono deducibili soltanto se sono sostenute al fine di realizzare un reddito. Peter Locher rileva inoltre che il criterio della finalità è quello usato dall’Ordinanza sulle deduzioni delle spese professionali delle persone esercitanti un’attività professionale dipendente, e che un’interpretazione troppo rigida di questo criterio, in particolare del carattere necessario della spesa, rischierebbe di creare una disparità di trattamento tra i dipendenti e gli indipendenti[21]. In base al criterio della causalità, la dottrina maggioritaria [22] e la giurisprudenza del Tribunale federale [23] più recenti sostengono una definizione causale delle spese di ottenimento del reddito, la quale include le spese causate dall’esercizio dell’attività lucrativa, oltre che quelle sostenute per l’esercizio della stessa. Il Tribunale federale ammette l’applicazione del criterio della causalità e autorizza la deduzione, a titolo di spese di conseguimento del reddito, delle spese che rappresentano la conseguenza dell’attività lucrativa, solamente se causate da essa. Sono quindi delle spese di conseguimento del reddito le spese che il contribuente non può evitare e che sono causate, rispettivamente sostenute per la realizzazione del reddito. Quindi, l’applicazione di entrambi i criteri citati (finalità e causalità) prevede la deduzione delle spese generate in vista dell’ottenimento del reddito (dunque sostenute prima del suo conseguimento) e delle spese che sono la conseguenza di questo (dunque sostenute dopo il conseguimento) [24]. 4.2. La differenza tra le spese per la cura dei figli e le spese scolastiche Le spese di formazione professionale, di consumo del reddito, di mantenimento del contribuente e della sua famiglia, non sono di principio deducibili. La deduzione delle spese La questione della deducibilità delle spese scolastiche per i figli degli espatriati è analizzata in modo più particolare da Markus Reich[26] secondo il quale queste spese non sono riconosciute come spese di conseguimento. Giusta la definizione “rigida” delle spese di conseguimento, ai sensi dell’articolo 9 capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), non sarebbe ammissibile concedere la deduzione di tali spese scolastiche. Per Peter Locher, la differenza tra le spese di trasferta o spese di vitto aggiuntive e le spese di custodia dei figli è rilevante. Le prime sono sempre legate a una professione esercitata in un luogo particolare, mentre le seconde entrano in considerazione per qualsiasi genere di attività lucrativa, pertanto non esiste alcun collegamento sufficiente tra i costi e l’attività lucrativa effettiva. Secondo Peter Locher, se le spese variano secondo l’attività esercitata, si può supporre che si tratti di spese di conseguimento. Se si tratta invece di spese fisse indipendenti dall’attività concreta, ci si trova al di fuori delle spese di conseguimento del reddito[27]. 4.3. Esame delle deduzioni previste nell’Oespa 4.3.1. Espatriati domiciliati all’estero (articolo 2 capoverso 1 Oespa) a) Le spese di trasporto tra il domicilio all’estero e la Svizzera È possibile confrontare un espatriato che mantiene il suo domicilio all’estero durante il lavoro in Svizzera ad un contribuente svizzero qualificato come pendolare con rientro settimanale, nonostante la situazione di quest’ultimo non sia la stessa, dal momento che i pendolari con rientro settimanale scelgono spesso, per propria volontà, di avere un luogo di domicilio e di lavorare a distanza senza limiti di tempo. Questa soluzione non è spinta da motivazioni personali, ma dalla distanza tra il luogo del suo domicilio e quello di lavoro. Questo è un motivo per cui questi costi sono deducibili. Inoltre, la distanza è tale per cui non si può pretendere da lui che compi quotidianamente il tragitto. 13 14 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 L’Ordinanza sulle spese professionali prevede la deduzione di una camera (articolo 9 capoverso 3), quindi non si esclude la deduzione di un piccolo appartamento. È necessario tuttavia controllare che ciò che i costi hanno portato in deduzione non costituiscano spese di utilizzo del reddito ma corrispondano esattamente al costo realizzato di un alloggio indispensabile, tenendo conto del luogo in cui è situato; possono rappresentare delle spese per la locazione di un appartamento, dove non è possibile affittare una stanza oppure dove il relativo costo sarebbe sproporzionato. In questo caso, tuttavia, il contribuente non potrà pretendere la deduzione per un secondo pasto giornaliero [28]. 4.3.2. Espatriati domiciliati in Svizzera (articolo 2 capoverso 2 Oespa) b) Le spese di trasloco in Svizzera e le spese di trasporto di andata e ritorno dell’espatriato e della sua famiglia all’inizio e al termine del rapporto di lavoro nel Paese d’origine Le spese di un trasferimento sono in principio non deducibili, in quanto considerate come spese di utilizzo del reddito, se questo facilita l’esercizio della professione. Secondo Robert Waldburger e Martin Schmid ci sono dei casi in cui le spese di trasferimento possono essere dedotte. Per questi autori, le spese di trasferimento devono essere qualificate come spese professionali se il trasferimento è causato dal distacco temporaneo di un lavoratore e nel caso in cui quest’ultimo non abbia l’intenzione di trasferirsi definitivamente in Svizzera. Se il trasferimento non è una scelta personale ma un obbligo professionale, le spese sostenute devono essere considerate come spese professionali. Quindi, gli espatriati si trovano in una situazione di costrizione che necessita un trasferimento, in quanto l’attività non può, oggettivamente, essere esercitata dal domicilio all’estero. Non esiste, formalmente, il dovere di residenza per gli espatriati. Inoltre, il loro trasferimento di domicilio è previsto per una durata limitata. Diversamente dalla posizione di Robert Waldburger e Martin Schmid, l’UFG non è d’accordo che si possa parlare di situazione di costrizione nel caso degli espatriati. Si presuppone che i dirigenti e gli specialisti, non siano inviati forzatamente all’estero ma che essi possano invece influenzare la decisione di distacco[29]. c) Le spese di abitazione in Svizzera qualora sia comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero Robert Waldburger e Martin Schmid ritengono che le spese di alloggio degli espatriati con sede in Svizzera, che mantengono il loro domicilio all’estero, devono possedere uno stretto lega- me con l’attività per essere deducibili. Se il motivo del domicilio in Svizzera è solamente avere la possibilità di esercitare l’attività lucrativa per un periodo limitato, vi è un collegamento sufficiente tra la spesa e il conseguimento del reddito. La deducibilità dei costi di alloggio in Svizzera presuppone anche spese aggiuntive legate al mantenimento del domicilio all’estero e del domicilio supplementare in Svizzera. Nel caso particolare degli espatriati, il mantenimento del domicilio all’estero si giustifica dalla temporaneità del distacco. La deducibilità non può tuttavia essere limitata alle spese di locazione di una stanza, poiché l’espatriato è accompagnato dalla sua famiglia. Gli argomenti citati in precedenza permettono quindi di qualificare le spese supplementari supportate dagli espatriati per il loro alloggio in Svizzera come spese professionali. Se un espatriato sceglierà questa soluzione invece che un ritorno regolare nel suo Paese, esso non potrà far valere le spese di ritorno nel suo Paese durante la durata del distacco. Ne consegue che, secondo l’UFG, le spese previste all’articolo 2 capoverso 2 lettera b Oespa possono essere considerate come spese professionali ai sensi dell’articolo 26 LIFD [30]. d) Le spese per l’insegnamento in lingua straniera fornita ai figli minorenni da una scuola privata, nel caso in cui le scuole pubbliche non offrano un insegnamento adeguato Le spese scolastiche sostenute per la frequentazione di scuole private per i figli degli espatriati hanno un ruolo particolare, in quanto per questi è doveroso che i figli possano proseguire lo studio nella loro lingua materna. Se le scuole pubbliche non possono offrire tale insegnamento, è necessario ricorrere alle scuole private. La deducibilità delle spese effettive non è ammessa da Robert Waldburger e Martin Schmid, tuttavia sono ammissibili le spese supplementari alle quali non si può pretendere dall’espatriato che vi rinunci. Non ci si può aspettare dall’espatriato che scolarizzi i suoi figli in una scuola pubblica se questa non offre un insegnamento adeguato in lingua straniera. Questa tesi è sostenuta anche dall’UFG. Markus Reich per contro non considera queste spese come professionali, bensì potrebbero essere qualificate a delle spese di tragitto o di vitto o a delle spese di cura dei figli[31]. e) Conclusioni intermedie L’articolo 2 capoversi 1 e 2 lettera b Oespa non violerebbe dunque il principio di legalità. Le spese di trasloco (articolo 2 capoverso 2 lettera a Oespa) si trovano invece in una zona grigia. Secondo l’UFG, un inserimento di queste spese nella legge sarebbe utile ma non indispensabile. Infine, le spese considerate sotto la lettera c (spese scolastiche) meriterebbero di essere indicate nella LIFD. Al fine di tener conto dei diversi casi che si possono presentare, sarebbe stato giudizioso approfittare di una prossima revisione legislativa al fine di adattare gli articoli 26 LIFD e 9 LAID che avrebbe permesso di tener conto della situazione particolare di alcune cerchie di contribuenti per la qualificazione delle spese come altre spese professionali, tuttavia a questa indicazione non si è dato seguito con le modifiche apportate all’Oespa. Salvo la questione delle spese scolastiche, per le quali sussistono tuttora alcuni dubbi, la legittimità dell’articolo 2 capoversi 1 e 2 Oespa appare dunque incontestata dall’UFG [32]. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 4.4. Trattamento delle partecipazioni finanziarie del datore di lavoro nella determinazione del reddito imponibile dell’espatriato (articolo 2 capoversi 3, 4 e 5 Oespa) Occorre ora esaminare la legittimità delle condizioni previste nell’articolo 2 capoversi 3, 4 e 5 Oespa, inerenti le partecipazioni finanziarie da parte del datore di lavoro, soprattutto perché l’articolo 17 LIFD prevede l’imponibilità di tutti i proventi da attività lucrativa dipendente. È imperativo che questi benefici valutabili in denaro soggiacciano ai fini dell’imposta sul reddito. Quindi, le prestazioni concesse agli espatriati dal datore di lavoro dovrebbero essere qualificate come reddito imponibile ai sensi dell’articolo 17 LIFD. Nella perizia l’UFG afferma di essere d’accordo con la tesi formulata dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) in una circolare del 7 aprile 1988 concernente la partecipazione finanziaria delle aziende alle spese scolastiche dei figli di collaboratori stranieri[33]. Secondo la circolare le partecipazioni che il dipendente riceve sono connesse con il contratto di lavoro e quindi devono essere imponibili. Tuttavia, se il datore di lavoro apporta un forfait alla scuola in base ad un contratto stipulato con essa, allora queste partecipazioni non sono un reddito. Secondo l’UFG questi importi dovranno essere considerati come reddito del contribuente o perlomeno inseriti nel certificato di salario, altrimenti il contribuente avrebbe il vantaggio di beneficiare di una scuola gratuita per i figli grazie al suo rapporto di lavoro e senza che le autorità fiscali ne siano al corrente. La partecipazione forfettaria versata dal datore di lavoro alla scuola dovrebbe essere dunque quantificata ai lavoratori dipendenti interessati ed essere almeno menzionata nel certificato di salario. L’UFG è dell’avviso che questi rimborsi costituiscano dei redditi imponibili ai sensi dell’articolo 17 LIFD e dovrebbero essere calcolati come tali. Nonostante ciò, se non risulta nessuna distorsione di imposizione, ovvero se nel certificato di salario viene inserito l’importo esatto delle partecipazioni finanziarie del datore di lavoro, è possibile difendere il metodo attuale. In questo modo le autorità fiscali sono informate del valore di queste prestazioni e possono mantenere il loro margine di manovra per determinare il reddito imponibile. Sorgono però delle incertezze, grazie al confronto dei diversi Cantoni effettuato da Robert Waldburger e Martin Schmid, poiché senza un inserimento degli importi inerenti alle partecipazioni finanziarie sopraccitate, le autorità fiscali non avrebbero modo di esserne a conoscenza e di apportare delle correzioni. Si rischia quindi una minor imposizione di questi lavoratori, a scapito di chi si vede calcolare le partecipazioni finanziarie del datore di lavoro con i suoi redditi e per i quali la partecipazione è menzionata nel certificato di salario. Se le partecipazioni finanziarie del datore di lavoro fossero considerate dei redditi, allora sarebbe possibile soddisfare le condizioni di cui all’articolo 17 LIFD, ed evitare svariate operazioni che potrebbero dimostrarsi non conformi ai principi costituzionali che reggono il sistema impositivo [34]. 4.5. La costituzionalità dell’Oespa Nel confronto orizzontale è più semplice valutare le situazioni tra i diversi gruppi di contribuenti che dispongono o meno della stessa capacità economica. La valutazione in questo caso è più precisa, anche se, non vi è comunque un obbligo di un’imposizione completamente identica, poiché, anche in questo caso, la possibilità di confronto tra le diverse situazioni è limitata. Definire un forfait è quindi indispensabile per rendere l’imposta ammissibile. È abbastanza che la regolamentazione non porti a penalizzare sistematicamente dei gruppi di contribuenti e ad imporli molto più marcatamente, se non si possono trattare nello stesso modo [35]. Il parametro maggiormente importante è la conoscenza di un’eventuale ragione oggettiva che possa giustificare una deroga alla parità di trattamento orizzontale [36]. L’UFG è dell’opinione che sia indispensabile tener conto di questi principi per analizzare la costituzionalità dell’Oespa. 4.6. Analisi dell’Oespa in base ai principi costituzionali d’imposizione Sulla base delle valutazioni precedenti non sembrerebbero esserci delle problematiche in termini di disparità di trattamento, la quale non è contestata, se si considerano le differenze esistenti tra le varie classi di contribuenti. L’UFG ha constatato invece che questa sia piuttosto la possibile conseguenza del fatto che gli espatriati non siano interessati a contestare un sistema per loro vantaggioso, in quanto giovano di prestazioni e deduzioni particolari; mentre l’appello dei contribuenti che non possono approfittare delle deduzioni in quanto non espatriati sarà sicuramente respinto, poiché non esistono interessi a loro favore al riguardo [37]. 4.6.1. Articolo 2 capoversi 1 e 2 Oespa Considerando la situazione particolare degli espatriati, si possono valutare professionali le spese inserite in questo articolo, ai sensi dell’articolo 26 LIFD, escludendo i dubbi riguardo le spese scolastiche dei figli. Secondo l’UFG la situazione particolare degli espatriati non è contestata e deve essere considerata per la loro imposizione. Per essere conformi al principio della parità di trattamento, un contribuente svizzero distaccato dal suo datore di lavoro a tempo determinato in un’altra città svizzera, lontana dal suo domicilio, dovrebbe poter beneficiare dello stesso genere di deduzioni. Esiste già la concessione di questo tipo di deduzioni per i pendolari con rientro settimanale (svizzeri). Quindi un pendolare con rientro settimanale a tempo determinato, in quanto 15 16 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 distaccato per decisione del suo datore di lavoro, potrà beneficiare dello stesso genere di deduzioni. Ne consegue che non sorgono problemi in termini di costituzionalità a causa delle deduzioni accordate agli espatriati domiciliati all’estero. Il diritto svizzero però dovrà concedere lo stesso genere di spese professionali per i contribuenti con domicilio o dimora fiscali in Svizzera che riscontreranno una situazione analoga a quella degli espatriati, pure domiciliati temporaneamente in Svizzera, per conformarsi al principio di parità di trattamento. Se si ammettessero queste spese particolari quali spese professionali, vi sarebbe la possibilità che il principio dell’imposizione secondo la capacità contributiva contrasti con la soppressione della loro deducibilità[38]. 5. Modifica proposta dal DFF 5.1. Spese professionali particolari L’introduzione di nuove deduzioni o l’abolizione delle deduzioni di determinate spese non sono necessarie secondo il DFF. Le spese di trasloco, di viaggio, di abitazione e le spese per la frequentazione da parte dei figli di una scuola privata sono la causa dell’attività lucrativa a durata determinata in Svizzera e quindi sono spese supplementari dovute all’esercizio della professione, dalle quali non ci si può attendere che l’espatriato vi rinunci [39]. 5.2. Campo d’applicazione (articolo 1 Oespa) Con la definizione di “espatriato” ci si riferisce spesso alle persone che esercitano un’attività lucrativa all’estero a tempo determinato, e che conservano la loro casa o il loro appartamento nel Paese di provenienza. Anche a proposito delle persone che svolgono un’attività lucrativa indipendente, l’Oespa risulta formulata in maniera piuttosto estensiva. Il DFF ha voluto intervenire in quanto la formulazione prevista dall’articolo 1 rischiava di contenere ogni migratore che esercitava un’attività lucrativa, sempre se questa persona avesse ottenuto un contratto di lavoro a tempo determinato in Svizzera. La proposta del DFF consiste nel limitare il campo d’applicazione soltanto agli impiegati con funzione dirigenziale e agli specialisti con specifiche qualifiche professionali, i quali sono distaccati per una durata determinata in Svizzera dal loro datore di lavoro estero. Per comprendere se un lavoratore è un espatriato, il distacco a tempo determinato è il parametro decisivo, poiché significa che egli ritornerà presso l’abitazione all’estero e quindi esiste un motivo valido per conservarla, visto che vi abitava fino al periodo del distaccamento [40]. 5.3. Deduzione delle spese di abitazione Non è chiaro se la deduzione delle spese di abitazione debba essere abolita nell’eventualità che l’abitazione conservata all’estero sia consegnata in locazione o in sublocazione. La proposta del DFF è quindi di prevedere che la concessione di questa deduzione sia possibile soltanto se l’abitazione all’estero rimane a disposizione per uso proprio (articolo 2 capoverso 1 lettera b, capoverso 2 lettera b Oespa). Inoltre si è reso necessario semplificare l’articolo 2 capoverso 1 Oespa concernente le spese per gli espatriati domiciliati all’estero. Se ogni giorno un espatriato fa ritorno al suo domicilio, pernotterà in Svizzera in modo incostante. Quindi a detta del DFF è necessario abrogare l’articolo 2 capoverso 1 lettera b, rimpiazzandolo con l’attuale lettera c, che prevede una deduzione delle adeguate spese di abitazione in Svizzera qualora sia comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero [41]. 5.4. Deduzione forfettaria L’articolo 4 capoverso 2 Oespa stabilisce la deduzione di un importo forfettario oppure delle spese effettive in riferimento alle spese di trasloco e di viaggio, come pure alle spese di abitazione (articolo 2 capoverso 1 e capoverso 2 lettere a e b), mentre non vi è la possibilità di beneficiare del forfait solo per le spese di abitazione deducendo nel contempo i costi effettivi per le spese di viaggio e viceversa. Secondo l’articolo 4 capoverso 3, le spese scolastiche dei figli previste nell’articolo 2 capoverso 2 lettera c non rientrano nell’importo forfettario, in quanto non tutti i contribuenti devono sostenerle ed inoltre, la variazione di queste può essere rilevante. Il DFF è dell’avviso che la deduzione forfettaria di 1’500 franchi sia tuttora efficace e che debba essere conservata, ma concessa soltanto a condizione che sia comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero per uso proprio[42]. 5.5. Deduzione delle spese per la frequentazione da parte dei figli di una scuola privata La deduzione delle spese scolastiche, secondo il DFF, deve essere conservata poiché giustificata da motivi oggettivi. Inoltre, il legame di questa deduzione non è diretto con riferimento alle spese di viaggio, di trasloco e di abitazione. Questa deduzione deve comprendere solamente le spese generate dall’insegnamento scolastico, e non quelle di vitto, trasporto e della cura dei figli prima o dopo le lezioni [43]. 5.6. Attestazione delle spese professionali particolari nel certificato di salario e nella dichiarazione d’imposta Le spese professionali particolari pagate dal datore di lavoro dovrebbero, secondo la perizia dell’UFG, essere dichiarate nel certificato di salario e aggiunte al reddito degli espatriati. Nel certificato di salario, dovrebbe pertanto essere inserita la cifra delle spese professionali rimborsata, poiché le autorità fiscali potrebbero controllare più semplicemente se sono state risarcite soltanto le spese deducibili, e soprattutto per l’esistenza di un regolamento spese approvato. La proposta del DFF consiste quindi nell’abolizione della prima parte della voce n. 57 delle “Istruzioni per la compilazione del certificato di salario”, ovvero l’indicazione del genere di tutte le altre spese effettive e dell’importo corrispondente. Così facendo, anche i datori di lavoro in possesso di un regolamento spese approvato dovrebbero inserire nella cifra 13.1.2 del certificato di salario la cifra delle spese professionali particolari rifuse agli espatriati. L’obiettivo Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 di questa disposizione è quello di trasmettere più trasparenza e costituire una valida soluzione per quanto riguarda la composizione del salario lordo, nonostante l’aumento del carico amministrativo per le aziende che, al momento, non inseriscono tali spese nel certificato di salario[44]. 5.7. Circolare del 7 aprile 1988 dell’AFC sui contributi scolastici versati da imprese internazionali per l’istruzione dei figli di dipendenti stranieri La Circolare prevede che non vi sia l’obbligo dell’aggiunta al reddito imponibile dei contributi versati dalle imprese per l’istruzione dei figli di dipendenti stranieri. Siccome ai sensi dell’articolo 2 capoverso 2 lettera c Oespa le spese di frequenza da parte dei figli di una scuola privata in lingua straniera sono deducibili come spese professionali particolari, la Circolare è diventata superflua, ed inoltre non prevede un vincolo temporale, come il termine massimo di cinque anni di cui all’articolo 2 capoverso 2 Oespa. Secondo il DFF questa Circolare deve essere abrogata, pertanto nel certificato di salario dell’espatriato deve essere inserita l’indennità del datore di lavoro[45]. 6. Entrata in vigore delle nuove disposizioni concernenti l’Oespa Il 1. gennaio 2016 entrerà in vigore la nuova versione dell’Oespa[46]. I cambiamenti rimangono gli stessi proposti dal DFF nella bozza di modifica. Secondo questa revisione, la fascia di persone che possono beneficiare delle deduzioni di spese professionali particolari, in quanto espatriati, sarà più ridotta. Per quanto riguarda il campo d’applicazione, non saranno più considerati espatriati gli specialisti che svolgono in Svizzera un compito temporaneo, bensì, dovranno essere distaccati temporaneamente dal datore di lavoro straniero (articolo 1 capoverso 1). In riferimento alle spese di alloggio, sia per gli espatriati domiciliati all’estero, sia per quelli domiciliati in Svizzera, sarà concessa la deduzione solamente in caso di mantenimento di un’abitazione permanente all’estero esclusivamente per uso proprio. Inoltre, le spese di trasloco saranno deducibili solamente se necessarie, ovvero esclusivamente se collegate direttamente al trasloco. Per quanto concerne la deduzione delle spese per la frequentazione da parte dei figli minorenni di una scuola privata in lingua straniera, saranno concesse solamente nel caso in cui le scuole pubbliche non offrano un insegnamento adatto nella loro lingua. Non saranno considerate spese professionali particolari le spese per la custodia dei figli prima e dopo la frequentazione della scuola, oltre alle spese di vitto e di trasporto. 7. Possibili conseguenze in seguito all’applicazione della modifica Il consigliere nazionale Pfister Gerhard ha depositato un’interpellanza il 30 settembre 2011. Egli è del parere che modificando le deduzioni fiscali particolari al fine di rispettare il principio della parità di trattamento sarebbe in contrasto con un vantaggio comparativo svizzero fondamentale e, che, una sostanziale perdita della competitività della Svizzera spingerebbe le aziende internazionali ad abbandonarla velocemente. Ha domandato quindi al Consiglio federale la stima dell’entità del deterioramento economico che potrebbe condurre queste imprese a stabilirsi all’estero, rispetto all’entità del substrato fiscale perso dalla Confederazione per via dell’Oespa. Il deputato ha terminato chiedendo se vi fosse la possibilità che il Consiglio federale valuti la rinuncia della modifica in questione nel caso in cui gli effetti sull’economia dovessero essere perlopiù dannosi[47]. In effetti, questa modifica potrebbe provocare un impatto negativo in termini di attrattività economica del nostro Paese. Alcuni partiti e Cantoni sono dell’opinione che prima di modificare l’Oespa, sarebbe necessario attendere che l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” venga applicata. Il testo di questa iniziativa impone una limitazione del numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera, attraverso dei tetti massimi e contingenti annuali. Il Canton Ginevra, in particolare, ha giudicato negativamente il cambiamento restrittivo della nozione di espatriati, che andrebbe contro l’obiettivo di promuovere la piazza economica svizzera dell’Oespa[48]. Per quanto riguarda le modifiche delle “Istruzioni per la compilazione del certificato di salario”, queste comporteranno sicuramente un carico amministrativo supplementare per i datori di lavoro. Un’altra conseguenza potrebbe verificarsi nel reclutamento di personale qualificato, che potrebbe rivelarsi più difficile. D’altra parte, questa complicazione potrebbe essere un incentivo per le imprese al fine di reclutare nel limite del possibile il personale indigeno. 8. Situazione dei Cantoni Ticino, Ginevra e Zurigo 8.1. La sovranità cantonale Secondo l’articolo 3 Cost. “I Cantoni sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale ed esercitano tutti i diritti non delegati alla Confederazione”. Il Cantone è pertanto titolare della potestà concorrente e residuale. Inoltre secondo l’articolo 2 capoverso 1 della Costituzione della Repubblica e Cantone Ticino “La sovranità del Cantone risiede nell’universalità dei cittadini ed è esercitata nei modi stabiliti dalla Costituzione”. Ogni Cantone svizzero è sovrano, ciò significa che i Cantoni possono essere fiscalmente concorrenziali tra loro (articolo 129 capoverso 2 Cost.). Essi hanno la possibilità di concedere deduzioni più vantaggiose (rispetto ad altri Cantoni), al fine di essere fiscalmente attrattivi per quanto riguarda la mobilità intercantonale, sia delle persone fisiche, sia di quelle 17 18 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 giuridiche. I Cantoni pertanto hanno libertà nel determinare l’importo delle deduzioni concesse, ma devono rispettare il diritto federale superiore, come previsto nell’articolo 49 Cost. 8.2. Divieto di agevolazioni fiscali ingiustificate I Cantoni vogliono essere attrattivi per i contribuenti benestanti, specialmente stranieri, quindi la tentazione di concedere sgravi fiscali non giustificati da motivazioni oggettive è forte. Tuttavia secondo l’articolo 129 capoverso 3 Cost., è vietato concedere agevolazioni fiscali ingiustificate[49]. Sul territorio di ogni Cantone si applicano quindi le legislazioni tributarie cantonali, alle quali può porre dei limiti solamente il diritto federale superiore. Per i motivi sopraccitati, vengono qui esaminate brevemente le situazioni dei Cantoni Ticino, Ginevra e Zurigo, al fine di comprendere quali deduzioni questi Cantoni concedono attualmente agli espatriati. 8.3. Situazione del Canton Ticino Il Canton Ticino si appoggia alla vigente Oespa. Secondo l’autorità fiscale cantonale, le modifiche all’Oespa non sono considerate sostanziali, e fino a nuovo avviso, la Divisione delle contribuzioni continuerà a basarsi su questo ordinamento. È pure necessario considerare che il reddito offerto a specialisti e dirigenti che si trasferiscono all’interno della nazione è più elevato rispetto a quello di altri Paesi, in particolare di quelli d’origine. Questi fattori spingono a porsi delle domande. Dal momento in cui la modifica Oespa verrà applicata, vi sarà sicuramente un certo aumento del gettito fiscale, ma in teoria tale aumento potrebbe venire compensato parzialmente dalla diminuzione del numero di espatriati in Svizzera, o dalla migrazione delle imprese internazionali verso altri Paesi. Personalmente non mi sento di condividere questa ipotesi, poiché ritengo che gli espatriati scelgano il nostro Paese soprattutto per altri fattori, come i salari elevati, la facilità di inserimento nel territorio, la sicurezza politica e sociale. Sono del parere che la fiscalità non sia davvero una loro priorità rispetto agli elementi esposti in precedenza. Per questo motivo sono convinta che in pratica si verificherà un aumento in termini reali del gettito fiscale, senza causare un deterioramento economico della piazza svizzera. 8.4. Situazione del Canton Ginevra Il Canton Ginevra concede le indennità di residenza deducibili per l’imposta cantonale corrispondenti al 10% del salario lordo incluse queste ultime (tetto massimo annuale di 100’000 franchi) a condizione che siano incluse nel certificato di salario e che siano state pagate[50]. Questo non corrisponde al forfait mensile di 1’500 franchi menzionato nell’Oespa per l’imposta federale diretta. 8.5. Situazione del Canton Zurigo Attualmente, per gli espatriati che vivono nel Canton Zurigo, sono concesse le stesse deduzioni previste dall’Oespa[51]. L’autorità fiscale zurighese ha l’intenzione di continuare ad applicare le stesse regole previste dall’Oespa anche dopo le modifiche apportate dal Consiglio federale. 9. Conclusioni Dall’analisi dei testi giuridici esaminati si evince che, in seguito alla modifica dell’Oespa, dovrebbe attenuarsi la disparità di trattamento tra espatriati e persone che abitano e lavorano in Svizzera, a discapito di una minore attrattività della nostra piazza economica per le imprese attive sul piano internazionale e per gli espatriati stessi. Sono del parere che il nostro Paese resterà comunque attrattivo per questi soggetti. La Svizzera rimane competitiva per quanto riguarda la favorevole imposizione dell’utile e del capitale per le aziende rispetto a quella di altre nazioni. Inoltre, come mostra il sondaggio di YouGov svolto per conto della banca britannica HSBC, il nostro Paese offre le migliori condizioni per gli espatriati di tutto il mondo, in termini di qualità di vita, benessere finanziario e facilità di stabilimento. Sorge inoltre spontanea la domanda se sia corretto, nonostante la modifica, che ci sia un approccio diverso fra lavoratori residenti ed espatriati; se vi sia una violazione della parità di trattamento, ovvero del principio della capacità contributiva. Come precedentemente esposto, un lavoratore residente che viene trasferito in un altro Cantone dal datore di lavoro può trovarsi in una situazione simile per quanto riguarda le spese per la frequentazione dei figli di lingua madre diversa di una scuola privata. Vi è disparità di trattamento anche tra l’espatriato che viene solo e quello che viene con la famiglia, siccome il primo, come poc’anzi affermato, ha diritto alla stessa deduzione forfettaria pur dovendo sostenere spese minori rispetto al secondo. Dopo l’analisi della situazione attuale e delle prospettive future posso dedurre che non è possibile arrivare a un risultato ottimale che riesca ad accontentare tutti i soggetti in gioco. Trovo sia alquanto complesso rispettare in pieno il principio di parità di trattamento in questa fattispecie in cui i principi dell’uguaglianza e i principi di promuovere la piazza economica svizzera verso l’estero si incontrano. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Elenco delle fonti fotografiche: http://www.talentsangels.com/wp-content/uploads/2014/04/Gestioneespatriati-e1398184205862.jpg [03.09.2015] h t t p : // w w w . s w i s s f i n a n c i a l y a r d . c h / w p - c o n t e n t / u p l o a d s / 6869765923_307afdd67c_b.jpg[03.09.2015] http://www.saporedicina.com/wp-content/uploads/2013/11/assicurazionesanitariaincina1.jpg [03.09.2015] http://1.bp.blogspot.com/-kyBp44AIhyw/TdCs32Mp-sI/AAAAAAAAAC4/vvSPyWJpRIE/s1600/Expat.jpg [03.09.2015] http://careerminer.infomine.com/wp-content/uploads/2013/01/world.jpg [03.09.2015] https://huntswood.files.wordpress.com/2011/04/103-arrowcentric.png [03.09.2015] http://www.vadoavivereamiami.com/wp-content/uploads/2013/05/ timbro-visa.jpg [03.09.2015] [1] Fässler-Osterwalder Hildegard, Postulato n. 09.3528 del 10 giugno 2009, Deduzioni fiscali per gli espatriati, in: http://www.parlament.ch/i/suche/ pagine/geschaef te.aspx?gesch_id=20093528 [03.09.2015]. [2] DFF, Le rivedute disposizioni sulle deduzioni fiscali per gli espatriati entrano in vigore a inizio 2016, Comunicato stampa, Berna, 16 gennaio 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/ index.html?lang=it&msg-id=55929 [03.09.2015]. [3] DFF, Rapporto esplicativo concernente la revisione dell’ordinanza sulla deduzione di spese professionali particolari di impiegati con funzione dirigenziale e di specialisti attivi temporaneamente in Svizzera ai fini dell’imposta federale diretta (Ordinanza concernente gli espatriati, Oespa), Berna, gennaio 2015 (citato: Rapporto esplicativo), in: http://www.news.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/37974.pdf [03.09.2015]. [4] Gros Jean-Michel, Iniziativa parlamentare n. 96.431 del 21 giugno 1996, IFD. Imposition des sociétés auxiliaires, in: http://www.parlament. ch/i/suche/pa gine/geschaef te. a spx?gesch_ id=19960431 [03.09.2015]. [5] DFF, Rapporto esplicativo. [6] Fässler-Osterwalder Hildegard, Postulato n. 09.3528 del 10 giugno 2009, Deduzioni fiscali per gli espatriati. [7] Gysi Barbara, Interpellanza n. 12.3491 del 13 giugno 2012, I privilegi fiscali impediscono l’integrazione degli espatriati?, in: http://www. p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e . aspx?gesch_id=20123491 [03.09.2015]. [8] Fässler-Osterwalder Hildegard, Mozione n. 12.3510 del 13 giugno 2012, Abolizione dei privilegi fiscali degli espatriati, in: http://www. p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e . aspx?gesch_id=20123510 [03.09.2015]. [9] Schelbert Louis, Mozione n. 12.3560 del 14 giugno 2012, Basta con i privilegi fiscali per gli espatriati, in: http://www.parlament.ch/i/suche/ pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20123560 [03.09.2015]. [10] Vorpe Samuele, Flat Rate Tax, Tra le pieghe dell’aliquota “piatta”, Lavoro di tesi, Manno 2008, pagina 16, in: http://www.supsi.ch/fisco/dms/ fisco/docs/pubblicazioni/articoli/Flat-Rate-Tax_ Tesi_2008.pdf [03.09.2015]. [11] Idem, pagina 16. [12] DTF 121 I 103. [13] DTF 112 I 144. [14] DFF, Rapporto esplicativo, pagina 5. [15]Fässler-Osterwalder Hildegard, Mozione n. 12.3510 del 13 giugno 2012, Abolizione dei privilegi fiscali degli espatriati. [16] Schelbert Louis, Mozione n. 12.3560 del 14 giugno 2012, Basta con i privilegi fiscali per gli espatriati. [17] Waldburger Robert/Schmid Martin, Gewinnungskostencharakter von besonderen Leistungen des Arbeitgebers an Expatriates, Berna 1999. [18] Idem. [19] DTF 124 II 29. [20] Eckert Jean-Blaise, N 36 ad Art. 26 LIFD, in: Yersin Danielle/Noël Yves (a cura di), Commentaire romand, Impôt fédéral direct, Basilea 2008. [21] Locher Peter, Kommentar zum DBG, Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer, I. Teil, Art. 1-48 DBG, Therwil/Basilea 2001, N 2 ad Art. 26 LIFD. [22] Reich Markus, N 9 ad Art. 25 LIFD, in: Zweifel Martin/Athanas Peter, Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Band I/2a: Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer (DBG), Art. 1-82, 2. edizione, Basilea 2008. [23] Sentenze TF n. 2A. 224/2004; n. 2C_445/2008; n. 2C_477/2009. [24] UFG, Déductions fiscales accordées aux expatriés: Examen de la constitutionnalité et de la légalité de l’ordonnance concernant les expatriés (Oexpa) du 3 octobre 2000, Avis de droit du 6 septembre 2011, in: JAAC 2/2011 del 6 dicembre 2011, pagina 44. [25] DTF 124 II 34. [26] Reich Markus, N 20 ad Art. 9 LAID, in: Zweifel Martin/Athanas Peter, Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Band I/1: Bundesgesetz über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden (StHG), 2. edizione, Basilea 2002. [27] Locher Peter, op. cit., N 23 e seguenti ad Art. 25 LIFD. [28] UFG, op. cit., pagina 47. [29] Idem, pagina 51. [30] Idem, pagina 52. [31] Idem, pagina 53. [32] Idem, pagina 54. [33] Questa lettera-circolare non è più disponibile su internet. È stata messa a disposizione al gruppo di lavoro dall’AFC. [34] UFG, op. cit., pagina 55. [35] DTF 126 I 76. [36] Oberson Xavier, Droit fiscal suisse, 4. edizione, Basilea 2012, N 21 ad § 3. [37] UFG, op. cit., pagina 57. [38] Idem, pagina 58. [39] DFF, Rapporto esplicativo, pagina 7. [40] Idem, pagine 8-9. [41] Idem, pagine 9-10. [42] Idem, pagine 10-11. [43] Idem, pagina 11. [44] Idem, pagine 12-15. [45] Idem, pagina 15. [46] DFF, Le rivedute disposizioni sulle deduzioni fiscali per gli espatriati entrano in vigore a inizio 2016, Comunicato stampa, Berna, 16 gennaio 2015. [47] Pfister Gerhard, Interpellanza n. 11.4022 del 30 settembre 2011, Progetto di modifica dell’ordinanza concernente gli espatriati, in: http://www. p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e . aspx?gesch_id=20114022 [03.09.2015]. [48] Agenzia telegrafica svizzera (Ats), Espatriati, la revisione dell’ordinanza arriva nel momento sbagliato, in: Ticinonline, 10 luglio 2014, http://www. tio.ch/News/Svizzera/Politica/799982/Espatriatila-revisione-dell-ordinanza-arriva-nel-momentosbagliato/ [03.09.2015]. [49] Conferenza svizzera delle imposte, Commissione informazione, Il sistema fiscale svizzero, Edizione 2013. [50] Per quanto riguarda l’imposta cantonale, non esistono documenti ufficiali; si tratta della pratica utilizzata per il Canton Ginevra in materia di indennità di residenza. [51] Autorità fiscale del Canton Zurigo, Richtlinien des kantonalen Steueramtes über die Berücksichtigung besonderer Berufskosten von vorübergehend in der Schweiz tätigen leitenden Angestellten und Spezialisten, Zürcher Steuerbuch, Zurigo, 23 dicembre 1999, in: http://www. s teuer amt . zh.ch/inter net /f inanzdirek tion/ k s t a /d e / w i r t s c h a f t s s t a n d o r t _ u n t e rn e hm e ns s t e u e r/_ jcr_co n t e n t /co n t e n t Pa r/ d ow n l o adlis t /d ow n l o ad i t e m s/r i c h t lin i e n _ expatria.spooler.download.1402388976245. pdf/17_300_2014.pdf (consultato il 10 dicembre 2014) [03.09.2015]. 19 20 Diritto tributario italiano Voluntary disclosure e imposta di successione: quando scatta la regolarizzazione della dichiarazione e l’obbligo di corrispondere la relativa imposta? Roberto Bianchi Dottore commercialista, Revisore legale, Revisore dei conti degli enti locali, Docente Didacom Guida al fisco e Il Sole 24 Ore master norme e tributi Editorialista e pubblicista tributario IPSOA Wolters Kluwer Studio Cioni & partners, Bologna L’assenso alla voluntary disclosure internazionale, in riferimento a patrimoni ricevuti in eredità, può comportare il verificarsi di talune diatribe attinenti alla dichiarazione e all’imposta sulle successioni 1. La territorialità dell’imposta di successione, la dichiarazione integrativa e il ravvedimento operoso In riferimento all’imposta sulle successioni, l’articolo 27 del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 346/1990 dispone che: ◆◆ la liquidazione dell’imposta deve essere notificata entro tre anni dalla presentazione della dichiarazione di successione o della dichiarazione sostitutiva o integrativa; ◆◆ la rettifica della dichiarazione infedele o incompleta deve essere notificata entro due anni dal pagamento dell’imposta principale; ◆◆ in caso di omissione della dichiarazione, l’avviso deve essere notificato entro cinque anni dalla scadenza del termine previsto per la dichiarazione omessa. internazionale, in prevalenza non sono “presenti” sul territorio italiano, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2 D.Lgs. n. 346/1990 non si manifesta la necessità di dover corrispondere l’imposta sulle successioni; per contro se, al momento del trapasso, il de cuius fosse residente in Italia, l’imposta sulle successioni risulterebbe essere dovuta anche in relazione ai beni esistenti all’estero, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 2 comma 1 D.Lgs. n. 346/1990. In questa seconda ipotesi, con il defunto residente all’interno dei confini nazionali al verificarsi della sua scomparsa, appare maggiormente concretizzabile l’ipotesi del necessario assolvimento dell’onere fiscale inerente all’imposta sulle successioni italiana, considerato che, in tale circostanza, la stessa deve essere determinata tenendo in considerazione anche i beni posseduti in territorio “straniero”. L’articolo 60 D.Lgs. n. 346/1990 stabilisce inoltre che, per l’imposta sulle donazioni, si applica la normativa operante in tema di imposta di registro. La vicenda appare quanto meno peculiare in quanto, nel caso di attività esistenti all’estero e di “disclosure” internazionale, è inevitabile prendere in considerazione le disposizioni relative alla territorialità dell’imposta di successione. È necessario menzionare, pertanto, che nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 2 comma 2 D.Lgs. n. 346/1990, qualora al momento dell’avvio della procedura di successione il de cuius non risulti residente nello Stato italiano, l’imposta di successione deve essere richiesta limitatamente al valore dei beni e dei diritti esistenti sul territorio italico. Di conseguenza, nel caso in cui il de cuius, al momento del trapasso, non risieda nel territorio nazionale, l’imposta sulle successioni non risulta essere applicabile in merito ai beni detenuti al di fuori dei confini nazionali e pertanto, considerato che i patrimoni interessati dalla emersione volontaria Con riferimento ai patrimoni esteri ereditati da cittadini residenti in Italia, si può pertanto ricadere, o nel caso in cui la dichiarazione di successione sia stata completamente omessa, oppure sia stata presentata, sebbene omettendo la menzione delle attività detenute all’estero. Nella prima ipotesi, la dichiarazione di successione deve necessariamente essere inviata entro dodici mesi decorrenti[1] dalla data di apertura della successione. Una volta decorso tale termine, il contribuente ha la possibilità di “ravvedersi” presentando la dichiarazione nei termini previsti per il ravvedimento operoso dall’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997, potendo applicare anche le modalità e i termini previsti dalle “nuove” lettere b-bis e b-ter dell’articolo 13, introdotte dalla Legge (di seguito L.) n. 190/2014. Il ravvedimento è possibile, naturalmente, a condizione che non sia stato notificato alcun avviso di accertamento o di liquidazione. In tali casi, considerato che l’imposta sulle successioni Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 e sulle donazioni non viene autoliquidata, il contribuente che abbia interesse a regolarizzare l’omissione della dichiarazione, dovrebbe presentare tardivamente la modulistica e attendere la liquidazione dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni ridotte, di esclusiva competenza dell’Agenzia delle Entrate, che dovrà perfezionare tale adempimento entro tre anni dalla ricezione della dichiarazione “tardiva” (articolo 27 D.Lgs. n. 346/1990). Tuttavia non ci si può esimere dal sottolineare che la Suprema Corte, con un orientamento che appare ormai consolidato[2] , ha sostenuto che la dichiarazione di successione presentata tardivamente, ma tuttavia antecedentemente alla notifica di un avviso di accertamento tributario, non può in ogni caso essere sanzionata. Il D.Lgs. n. 473/1997, che ha rivisitato alcune norme sanzionatorie relative alle imposte indirette diverse dall’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), era intervenuto sull’articolo 50 D.Lgs. n. 346/1990, disponendo che venisse sanzionata esclusivamente l’omissione della presentazione della dichiarazione di successione, ma non la tardività dell’inoltro della dichiarazione medesima. Pertanto, qualora un erede presenti la dichiarazione di successione decorso il termine annuale dall’apertura della successione, non potrà essergli comminata alcuna sanzione, quantomeno se ci si attiene al consolidato orientamento dettato della Suprema Corte di Cassazione. Il percorso logico seguito dagli “ermellini” trae origine dalla considerazione che, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 33 comma 1 D.Lgs. n. 346/1990, l’Amministrazione finanziaria determina e notifica al contribuente l’imposta di successione anche qualora la relativa dichiarazione venga depositata successivamente alla sua scadenza naturale, sebbene antecedentemente alla notifica di un avviso di accertamento. Da ciò si può evincere pertanto che, i magistrati della Corte di Cassazione, non siano affatto interessati a quanto disposto dall’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997 in tema di ravvedimento operoso[3], tra l’altro recentemente riformato dalla L. n. 190/2014. Tale disposizione prevede che l’omessa presentazione di una dichiarazione, con riferimento a qualsivoglia dichiarazione tributaria, senza limitarsi alle dichiarazioni per imposte sui redditi e IVA, può essere sanata qualora il contribuente rimedi alle proprie mancanze entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto dalla norma, presentando la dichiarazione omessa e versando il relativo tributo, eventualmente dovuto, gli interessi legali e le sanzioni “previste per l’omessa dichiarazione” ridotte nella misura di un decimo del minimo[4]. Pare pertanto che l’articolo 13 richiamato, statuisca una regola applicabile a tutti i settori impositivi e consistente nella generale sanzionabilità della dichiarazione omessa. Tuttavia, prescindendo da tali considerazioni e sposando la linea adottata dalla Suprema Corte, la comparazione tra l’articolo 50 D.Lgs. n. 346/1990 e l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997 porterebbe a risultati incoerenti in quanto, seguendo le disposizioni delle sentenze della Corte di Cassazione menzionate, la sanzionabilità di una dichiarazione inviata tardivamente si verificherebbe esclusivamente qualora presentata successivamente alla notifica di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate; ciò nonostante, interpretando letteralmente l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997, la violazione risulterebbe ravvedibile e pertanto il contribuente avrebbe la possibilità di beneficiare del ravvedimento operoso, corrispondendo per esempio la sanzione per omessa dichiarazione ridotta ad un decimo del minimo nei novanta giorni successivi al decorso dell’anno dall’apertura della successione, o ad un nono del minimo entro novanta giorni dal momento di commissione della violazione[5], o ad un ottavo del minimo entro l’anno dall’omissione, eccetera, ma tuttavia risulterebbe possibile anche presentare una dichiarazione tardiva antecedentemente alla notifica di un avviso di accertamento, senza essere tenuti a versare alcuna sanzione. Ricevuto l’avviso di accertamento, si avrebbe comunque la facoltà di definire nella misura di un terzo la sanzione comminata nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 16 e 17 D.Lgs. n. 472/1997, oppure ai sensi dell’articolo 15 D.Lgs. n. 218/1997, valendosi della diminuzione delle sanzioni nella misura di un sesto (qualora l’accertamento non sia stato anticipato da un “invito al contraddittorio”) o di un terzo, disponendo della facoltà di beneficiare del pagamento dilazionato degli importi dovuti ed evitando di concedere qualsivoglia tipologia di garanzia. Tutto ciò premesso, risulta palese che il contribuente al quale verrà notificato un atto di irrogazione della sanzione per omessa dichiarazione attraverso la quale, in buona sostanza, l’Amministrazione finanziaria tenti di disconoscere, ai fini sanzionatori, la dichiarazione di successione presentata tardivamente, avrà facoltà di presentare ricorso in Commissione Tributaria Provinciale richiamando le menzionate sentenze della Suprema Corte. Tuttavia, anche in considerazione delle peculiarità rilevate, pare in ogni caso conveniente che, qualora utilizzabile, i concorrenti alla spesa pubblica usufruiscano opportunamente del ravvedimento operoso, in particolare nel caso in cui, preso atto dell’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, non sia dovuto il corrispondente tributo per mancato raggiungimento delle soglie rappresentate dalle franchigie di esenzione. È necessario comunque rammentare che l’Amministrazione finanziaria dispone di cinque anni, a decorrere dalla scadenza del termine per l’invio della dichiarazione di successione, per notificare un avviso di accertamento qualora la dichiarazione venisse celata. Di conseguenza, con decorrenza dalla data di apertura della successione, che generalmente coincide con la data del decesso del de cuius, l’Agenzia delle Entrate ha a disposizione un termine che si estende sino a sei anni per notificare un eventuale avviso di accertamento. 21 22 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Qualora un cittadino italiano avesse ricevuto per successione (aperta per esempio il 30 aprile 2010), da un affine residente nel territorio nazionale, obbligazioni emesse da società straniere e avesse omesso di presentare, in merito a tale eredità, la relativa dichiarazione di successione, avrebbe tutt’oggi la facoltà di “ravvedersi”, depositando la dichiarazione di successione e beneficiando della sanzione ridotta nella misura di un sesto. L’Amministrazione finanziaria, d’altro canto, avrebbe la possibilità di notificare il relativo avviso di accertamento esclusivamente entro il 30 aprile 2016. Diversamente, nel caso di dichiarazione presentata omettendo di indicare il patrimonio detenuto all’estero, il contribuente che avesse l’intenzione di “rimediare” all’illegalità commessa, sarebbe tenuto a inviare una dichiarazione integrativa contenente i valori patrimoniali posseduti al di fuori dei confini nazionali. È inevitabile rammentare a tal proposito che, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate attraverso la Risoluzione n. 8/E/2012 pubblicata in data 13 dicembre 2012, il contribuente ha la facoltà di effettuare la correzione degli errori (non esclusivamente materiali o di conteggio) anche in un momento successivo alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione, seppur antecedente alla notifica dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta, ovvero precedentemente alla decorrenza del termine ultimo per la comunicazione dello stesso. In merito a ciò appare quanto mai opportuno rammentare che l’Amministrazione finanziaria, con decorrenza dal momento di effettuazione del pagamento dell’imposta di successione principale, ha a disposizione due anni per notificare, al partecipante alle spese dello Stato, l’avviso di rettifica dell’imposta. Di conseguenza, qualora un cittadino domiciliato in Italia avesse ricevuto, in relazione ad una successione apertasi il 10 aprile 2011 e relativa alla morte di un affine residente sul territorio nazionale, obbligazioni estere non dichiarate nella dichiarazione di successione inviata nei termini (i.e. il 10 aprile 2012), avrebbe la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa includendo il patrimonio detenuto all’estero ma non dichiarato. In ogni caso, supponendo che il pagamento dell’imposta di successione principale sia stato effettuato il 30 ottobre 2012, l’Agenzia delle Entrate non è più nei tempi necessari per effettuare la rettifica della dichiarazione, termini che invece tornerebbero a decorrere, qualora il contribuente si servisse del ravvedimento. 2. Successori del de cuius che non ha provveduto a compilare il quadro RW e collaborazione volontaria Tra i contribuenti che hanno la facoltà di beneficiare della procedura di “emersione volontaria”, rientrano a pieno titolo i possessori di beni e di titoli di credito ricevuti in eredità ma detenuti dal trapassato al di fuori dei confini nazionali, trasgredendo ai vincoli scaturenti dalla normativa e dalla prassi sul monitoraggio fiscale. Le ripercussioni gravanti sul processo di emersione, derivanti dalla scomparsa dell’artefice della violazione motivato ad aderire alla “disclosure”, sono trattati nella Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 e nella Circolare Assonime n. 16 del 19 maggio 2015. A tal proposito siamo tenuti a far risaltare, in prima battuta, in quale modo il precetto normativo contenuto nell’articolo 65 D.P.R. n. 600/1973, relativamente al differimento di sei mesi, in soccorso ai discendenti, di qualsivoglia scadenza “aperta” al momento della dipartita del de cuius o scadenti nei quattro mesi successivi alla morte, renda opportuna una correlazione con la disciplina contenuta nell’articolo 5-quater comma 5 D.L. n. 167/1990, in ragione della quale, con decorrenza dalla data di ricevimento della richiesta di collaborazione, il termine di decadenza per la notificazione dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione, in tema di monitoraggio tributario, sono automaticamente prorogati, in deroga ai termini ordinari, fino a concorrenza dei novanta giorni. Tutto ciò comporta che, nella circostanza in cui si verifica la morte del de cuius successivamente al 31 maggio 2015, i successori del contribuente scomparso avranno la facoltà di giovarsi di un differimento, disposto dal menzionato articolo 65 D.P.R. n. 600/1973, che prevede una scadenza che garantisca il perfezionamento del processo di emersione, senza dimenticare il differimento dei termini di accertamento e contestazione disciplinati dall’ultimo periodo del menzionato comma 5 dell’articolo 5-quater D.L. n. 167/1990[6]. Sintetizzando quanto sopra esposto, nella circostanza in cui si verifichi il trapasso del contribuente “reticente” in una data successiva al 31 maggio 2015, la domanda di adesione al procedimento di “collaborazione volontaria” dovrà risultare inoltrata entro e non oltre il 31 dicembre 2015, scadenza prevista per lo svolgimento delle procedure di verifica del periodo di imposta in decadenza; in questa specifica circostanza l’Amministrazione finanziaria disporrà del termine del 30 marzo 2016 per portare a termine le attività di accertamento. Nel caso in cui la morte del contribuente avvenga successivamente alla presentazione dell’istanza di emersione volontaria, il differimento di sei mesi decorrerà in riferimento alle scadenze disciplinate per gli adempimenti susseguenti alla domanda di emersione, essenziali per il completamento del processo, tra i quali rientrano a pieno titolo quelli attinenti alla corresponsione, anche rateale, delle imposte, delle sanzioni e dei conseguenti interessi. Nella malaugurata circostanza per la quale il successore ometta di eseguire il versamento entro la scadenza contemplata, così come differita nel rispetto dell’articolo 65 D.P.R. n. 600/1973, bloccando il completamento del procedimento, entrerà in azione quanto disciplinato dall’arti- Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 colo 5-quinquies comma 10 D.L. n. 167/1990[7] , che dispone un’eccezione ai termini di notifica degli avvisi di accertamento e contestazione emessi dall’Amministrazione finanziaria. È opportuno, oltre a ciò, chiarire gli effetti della morte del responsabile della trasgressione, che ricadono sul procedimento di “collaborazione volontaria”, suddividendo le casistiche analizzate in funzione del momento nel quale si manifesta la scomparsa rispetto ai vari stadi del processo di emersione. Qualora il protagonista dell’infrazione spiri preventivamente all’inizio del procedimento di “voluntary disclosure”, il successore avrà la facoltà di beneficiare della medesima, eventualmente giovandosi, qualora si manifestino le premesse di cui si è trattato in precedenza, del differimento dei termini, e pertanto depositando, negli Uffici dell’Agenzia delle Entrate competente per territorio, una domanda di emersione in qualità di successore del de cuius. Ovviamente, nella circostanza per la quale, il discendente sia incappato in aggiuntive infrazioni risolvibili attraverso l’adesione all’“emersione volontaria”, avrà la facoltà a sua volta di depositare per se stesso una separata e indipendente domanda di accesso alla “voluntary disclosure”, con specifico riferimento alla sua posizione personale nella sua globalità, ricomprendente anche il patrimonio eventualmente ereditato. Qualora, nel caso opposto, il decesso del de cuius si verifichi successivamente alla presentazione della domanda di accesso al procedimento di “collaborazione volontaria” da parte del protagonista della violazione, la decisione di perfezionare o abbandonare il processo già avviato sarà lasciata all’erede, al quale viene attribuita la facoltà di presentare una successiva domanda di emersione in qualità di discendente, in forza delle informazioni e della documentazione eventualmente acquisita, a completamento del “fascicolo”, depositato in origine dal de cuius. In riferimento al processo di emersione nel quale intervenga il discendente in qualità di erede, e pertanto sia nella circostanza in cui sia stato lui stesso ad attivarlo sia nella contingenza di un suo subentro successivo alla morte del richiedente, non può trovare applicazione alcuna disposizione sanzionatoria, in conseguenza di quanto disposto dall’articolo 8 D.Lgs. n. 472/1997, in riferimento alla intrasmissibilità delle sanzioni ai successori. 3. “Voluntary disclosure” relativa a beni esteri ereditati ma non dichiarati in Italia. Le incognite derivanti dall’omessa o dall’infedele dichiarazione successoria Il procedimento di “voluntary disclosure” può incontrare un ostacolo rappresentato dall’imposta sulle successioni in quanto è consueto il fenomeno secondo il quale il patrimonio[8] occultato in Italia provenga da una successione ereditaria. In questa circostanza, qualora una dichiarazione di successione fosse stata inviata all’Amministrazione finanziaria italiana da parte dei successori, la stessa non conteneva, evidentemente, quel patrimonio, disponibile al di fuori dei confini nazionali, che oggi, attraverso l’emersione volontaria, è più che opportuno legalizzare. Pertanto, si può presentare il caso in cui un’istanza di “voluntary disclosure” venga inoltrata senza che siano trascorsi due anni dal versamento dell’imposta principale in riferimento ad una dichiarazione di successione depositata nel nostro Paese evitando di indicare il patrimonio detenuto al di fuori dei confini dello Stato, oppure cinque anni dalla scadenza del termine concesso agli eredi per inoltrare una dichiarazione di successione e che a tutt’oggi “risulta omessa” o infine la circostanza in cui risultino trascorsi i termini di due o cinque anni sopra menzionati. Nel primo caso ipotizzato, qualora l’istanza di “voluntary disclosure” fosse presentata senza aver inviato antecedentemente all’Amministrazione finanziaria una dichiarazione di successione integrativa a quella presentata in modo incompleto, l’Agenzia delle Entrate si vedrebbe costretta a notificare al “contribuente distratto” un avviso di rettifica e di liquidazione dell’imposta di successione ai sensi dell’articolo 27 comma 2 D.Lgs. n. 346/1990. La sanzione edittale è determinata in una percentuale rientrante tra il 100% e il 200% dell’imposta non corrisposta, ai sensi dell’articolo 51 comma 1 D.Lgs. n. 346/1990. Analogamente, nel secondo caso ipotizzato, qualora la domanda per accedere alla “voluntary disclosure” sia formulata omettendo di depositare antecedentemente una dichiarazione di successione volta a presentare l’intero patrimonio occultato e pertanto a sanare l’omissione, l’Agenzia delle Entrate dovrà necessariamente procedere notificando un avviso di accertamento, di cui all’articolo 27 comma 4 D.Lgs. n. 346/1990. La penalità pecuniaria disposta per l’omissione della dichiarazione di successione è determinata in una percentuale ricompresa tra il 120% e il 240% dell’imposta evasa, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 50 D.Lgs. n. 346/1990. Nell’ultimo esempio proposto, la dottrina prevalente ritiene che, essendo spirato il termine decadenziale per esercitare l’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria, la vicenda sia da ritenersi cessata e che la domanda di “voluntary disclosure” risulti essere completamente liberata da problematiche afferenti l’imposta di successione. Ma tutto ciò potrebbe non corrispondere a verità in quanto, in tema di imposta di successione è vigente il principio secondo il quale, la decorrenza del termine di decadenza dell’azione fiscale rende le sanzioni certamente non irrogabili, ma non cancella il debito d’imposta, qualora la presentazione della dichiarazione di successione avvenga, su iniziativa del contribuente, successivamente alla scadenza del termine disciplinato dalla normativa vigente[9]. La norma menzionata risulta essere perfettamente 23 24 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 complementare a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 48 D.Lgs. n. 346/1990, relativamente al quale “gli impiegati dello Stato[10] non possono compiere atti relativi a trasferimenti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’articolo 27, comma 4, della dichiarazione della successione o dell’intervenuto accertamento d’ufficio”. Tutto ciò premesso, l’Amministrazione finanziaria è in grado di analizzare e valutare una domanda di emersione volontaria in assenza della necessaria dichiarazione di successione[11] e, di conseguenza, all’invio della domanda di “voluntary disclosure” può essere attribuita la valenza implicita di presentazione di una dichiarazione di successione tardiva? L’interrogativo che ci siamo posti dovrebbe ottenere, senza dubbio alcuno, una risposta negativa in quanto, analizzando il contenuto letterale del terzo comma dell’articolo 28 D.Lgs. n. 346/1990 si apprende che “la dichiarazione della successione deve, a pena di nullità, essere redatta su stampato fornito dall’ufficio del registro”; oltre a ciò, dalla lettura del successivo ottavo comma si acquisisce che “la dichiarazione nulla si considera omessa”. Inoltre il menzionato articolo 27 D.Lgs. n. 346/1990 dispone l’osservanza dei termini a pena di decadenza e pertanto, allo stesso non appaiono applicabili, ai sensi dell’articolo 2964 del Codice civile[12] , le disposizioni in materia di interruzione e di sospensione della prescrizione. La decadenza si erge sull’oggettiva necessità che una definita attività sia eseguita nell’intervallo di tempo disciplinato, pertanto esiste una scadenza categorica entro la quale il detentore del diritto deve eseguirla. Esclusivamente al verificarsi di accadimenti eccezionali quali disastri ambientali, inondazioni, calamità naturali o scioperi prolungati, il legislatore decreta sporadiche evenienze di differimento dei termini a vantaggio dell’Amministrazione finanziaria e/o a beneficio dei contribuente. Una nuova attività quale è la “collaborazione volontaria” non è in grado, dal punto di vista giuridico, di permettere la riapertura di termini già decorsi o in via di decorrenza, a detrimento del principio – ex articolo 10 L. n. 212/2000 “Statuto dei diritti del contribuente” – che vincola i soggetti, protagonisti della relazione tributaria, ad un comportamento rispondente ai canoni della correttezza e della lealtà reciproca. Sull’Amministrazione finanziaria grava, oltretutto, l’obbligo di effettuare le necessarie verifiche, relativamente a inadempimenti ed errori commessi dai contribuente, nei termini previsti dalla norma, per garantire la parità delle armi, senza benefici a favore dell’Agenzia delle Entrate. Oltre a ciò, i principi essenziali contenuti nell’articolo 97 della Costituzione e negli articoli 3 comma 3, e 10 comma 1 dello Statuto dei diritti del contribuente, che disciplinano la ragionevolezza costituzionale del sistema tributario e, di conseguenza la correttezza e l’imparzialità dell’Amministrazione finanziaria, risulterebbero in questo caso violati da controlli intempestivi od omessi; così come il divieto di prorogare i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta, in questa circostanza prorogati sine die e infine il dovere di improntare i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria al principio della collaborazione e della buona fede, principi in questa circostanza infranti arbitrariamente, di concerto alla menzionata lesione della parità delle armi, contravvenuta dal fatto che la disposizione, in assenza di esigenze connesse al coordinamento di termini, esponga il contribuente all’azione del fisco per un periodo non determinabile e dunque non ragionevole. E tutto questo, paradossalmente, avvalendosi specificamente di un’attività del contribuente, incentivata da una legge dello Stato e funzionale all’emersione volontaria di patrimoni illecitamente detenuti all’estero. Infine, se l’Amministrazione finanziaria ritenesse la mancata presentazione, anche in ritardo, della dichiarazione di successione, un ostacolo[13] alla valutazione della domanda di collaborazione volontaria, si verificherebbe il peculiare fenomeno dell’“autodenuncia” nella quale il contribuente incapperebbe per aver fatto emergere, in applicazione di una norma vigente, una situazione di irregolarità senza poterla sanare. 4. Conclusione Il definitivo chiarimento di queste zone grigie rappresenta un’esigenza improcrastinabile per gli specialisti del settore, che devono essere messi nella condizione di poter fornire ai propri clienti informazioni precise, anche perché nella disciplina relativa alla “collaborazione volontaria” non è prevista alcuna riduzione dell’imposta di successione dovuta a fronte del passaggio successorio di patrimoni originariamente occultati all’estero dal de cuius e in seguito dai successori. Qualora l’Agenzia delle Entrate diffondesse il non condivisibile postulato secondo il quale l’imposta di successione dovrebbe essere corrisposta mediante la “voluntary disclosure”, sebbene i termini per la presentazione della dichiarazione di successione risultino decaduti, costringerebbe gli operatori a misurarsi con il calcolo dell’imposta dovuta[14] ma non di certo con quello delle sanzioni, in quanto in tema di imposta di successione è vigente il principio secondo il quale, la decorrenza del termine di decadenza dell’azione fiscale rende le sanzioni non irrogabili. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.italiaoggi.it/upload/img/ITALIAOGGI/201507102027482170/ img305450.jpg [03.09.2015] http://www.laleggepertutti.it/wp-content/uploads/2014/07/Impostadi-successione-come-si-calcola.jpg [03.09.2015] http://www.forextradingpratico.com/wp-content/uploads/2015/05/ successione-e1432287365583.jpg [03.09.2015] http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u13/successioni_e_ donazioni.jpg [03.09.2015] http://www.soldioggi.it/wp-content/uploads/2012/12/testamento.jpg [03.09.2015] Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 [1] Fatte salve limitate e peculiari eccezioni. [2] Si vedano, tra le altre, le sentenze Corte di Cass., Sez. V, sentenza 20 marzo 2013, n. 6940 e Corte di Cass. civ., Sez. V, sentenza 17 maggio 2006, n. 11569. [3] La Legge di Stabilità 2015 effettua una riforma del ravvedimento operoso. Gli articoli 44 e seguenti modificano l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997 e, a partire dal 2015, data di entrata in vigore delle norme contenute nella Legge di Stabilità, i contribuenti potranno sanare i mancati versamenti fiscali, senza limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte. [4] Circolare n. 11/E/2010, punto 3.1. Dichiarazione tardiva: se entro il 30 settembre 2009 non è stata presentata la dichiarazione dei redditi relativa al 2008, la violazione poteva essere sanata presentando la citata dichiarazione entro i novanta giorni successivi (ossia entro il 29 dicembre 2009), comprensiva del quadro RW e – se necessario – dei relativi quadri reddituali. A tal riguardo si precisa che se il contribuente beneficiava di una delle condizioni di esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, entro il termine sopra indicato (29 dicembre 2009) andava presentato il solo frontespizio nonché l’apposito quadro RW. Entro lo stesso termine del 29 dicembre 2009 erano dovute le sanzioni di cui all’articolo 1 comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 471/1997 (258 euro), nonché quella prevista per la mancata presentazione del quadro RW di cui all’articolo 5 del Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 167/1990 (10% degli importi non dichiarati), entrambe ridotte ad un dodicesimo (rispettivamente, 21 euro e lo 0,833% degli importi non dichiarati). Se, inoltre, dalla dichiarazione tardiva sono emerse delle imposte dovute, occorre, altresì, versare l’ulteriore sanzione di cui all’articolo 13 D.Lgs. n. 471/1997 (30% della maggiore imposta), in misura ridotta a un decimo (3%), oltre che, ovviamente le imposte e gli interessi, entro il termine del 30 settembre 2010. Al punto 3.2. Dichiarazione integrativa: preliminarmente si precisa che qualora il contribuente abbia omesso di compilare esclusivamente il quadro RW e gli altri dati contenuti nella dichiarazione originariamente presentata sono corretti, ai fini dell’integrazione è consentita la compilazione e l’invio del solo frontespizio e del quadro RW. Diversamente, se l’omissione ha riguardato anche altre componenti reddituali, valgono le istruzioni generali contenute nei modelli di dichiarazione che prevedono che la dichiarazione integrativa contenga tutti i dati dichiarati e non soltanto quelli che sono stati aggiunti o modificati rispetto alla dichiarazione da correggere o integrare. Tanto premesso, se la dichiarazione annuale dei redditi per l’anno 2008 è stata presentata entro il termine del 30 settembre 2009 e la dichiarazione integrativa è stata presentata entro il 29 dicembre 2009, il contribuente ha la possibilità di sanare le violazioni versando le medesime sanzioni, in misura ridotta, previste nel caso di dichiarazione tardiva di cui al paragrafo precedente (cfr. articoli 1 comma 1, secondo periodo e 13 D.Lgs. n. 471/1997, articolo 5 D.L. n. 167/1990). Tale interpretazione è in linea con altre pronunce di prassi che più volte hanno assimilato dal punto di vista sanzionatorio la dichiarazione integrativa presentata nei novanta giorni ad una dichiarazione tardiva (cfr. Circolare n. 6/E del 25 gennaio 2002, Risoluzione n. 325/E del 14 ottobre 2002 e Risoluzione n. 82/E del 30 marzo 2009). Diversamente qualora la dichiarazione integrativa sia presentata oltre il termine di novanta giorni, ma entro il 30 settembre 2010, ai fini del ravvedimento delle violazioni in argomento (omessa o incompleta compilazione del qudro RW e dei relativi quadri reddituali per le attività detenute all’estero) – ferma restando la sanzione di cui all’articolo 5 D.L. n. 167/1990 – occorre fare riferimento alle sanzioni contenute negli articoli 1 e 8 D.Lgs. n. 471/1997 (a seconda, rispettivamente, che siano dovute o meno maggiori imposte), trattandosi, comunque, di errori ed omissioni diversi da quelli rilevabili in sede di liquidazione o di controllo formale delle imposte dovute (ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della Repubblica [si seguito D.P.R.] n. 600/1973). [5] Circolare Agenzia delle Entrate n. 23/E/2015 pubblicata il 9 giugno 2015. La Circolare prevede che “la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione” alla quale fa riferimento. Il punto 3 riconduce tale sfera di applicazione alle sole violazioni commesse mediante la presentazione della dichiarazione. Tra queste rientrano, ad esempio, quelle relative al contenuto e alla documentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette e sull’IVA. Si pensi alla violazione disciplinata dall’articolo 8 comma 3-bis D.Lgs. n. 471/1997, che punisce l’omissione o l’incompletezza della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, in relazione all’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all’articolo 110 comma 11 D.P.R. n. 917/1986, con la sanzione amministrativa pari al 10% dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione, con un minimo di 500 euro ed un massimo di 50’000 euro. In caso di regolarizzazione della predetta violazione entro novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione (29 dicembre), la sanzione potrà essere ridotta, ai sensi della lettera a-bis, ad un nono del minimo edittale. Diversamente, le violazioni derivanti dall’omissione dei versamenti risultanti dalla dichiarazione – quali, ad esempio, il carente od omesso versamento a saldo o in acconto ai fini delle imposte sui redditi e dei tributi locali e regionali – non sono commesse mediante la dichiarazione in quanto, rispetto a questa, mantengono una propria autonomia. Sebbene, infatti, il loro ammontare sia determinato nella dichiarazione - o determinabile per quanto concerne alcuni tributi locali e regionali, quali ad esempio l’IMU (imposta municipale unica) e la TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili) – le relative violazioni si perfezionano non già con la presentazione della dichiarazione bensì con l’inutile decorso del termine di scadenza del versamento. Per tali violazioni, pertanto, il dies a quo per il ravvedimento di cui alla lettera a-bis decorre da tale momento e non dal termine per la presentazione della dichiarazione. Per completezza si evidenzia che, una volta decorsi i diversi termini di regolarizzazione previsti dalle lettere a e a-bis, è possibile sanare tutte le violazioni entro il termine di cui alla lettera b, e, per i soli tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, entro i termini di cui alle lettere b-bis e b-ter. [6] D.L. n. 167/1990, articolo 5-quater comma 5, ultimo periodo: “il termine di decadenza per la notificazione dell’avviso di accertamento e quello per la notifica dell’atto di contestazione sono automaticamente prorogati, in deroga a quelli ordinari, fino a concorrenza dei novanta giorni”. [7] D.L. n. 167/1990, articolo 5-quinques comma 10: “Se il contribuente destinatario dell’invito di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, e successive modificazioni, o che abbia sottoscritto l’accertamento con adesione e destinatario dell’atto di contestazione non versa le somme dovute nei termini previsti dall’articolo 5-quater, comma 1, lettera b), la procedura di collaborazione volontaria non si perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 del presente articolo. L’Agenzia delle entrate notifica, anche in deroga ai termini di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, e all’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, un avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la rideterminazione della sanzione entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di notificazione dell’invito di cui al predetto articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 218 del 1997, e successive modificazioni, o a quello di redazione dell’atto di adesione o di notificazione dell’atto di contestazione”. [8] Prevalentemente denaro, gioielli, quadri, immobili, partecipazioni, barche. [9] Articolo 27 comma 6 D.Lgs. n. 346/1990, secondo il quale “l’imposta è dovuta anche se la dichiarazione è presentata oltre il termine di decadenza”. [10] E, di conseguenza, con ogni probabilità, anche gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria che si vedono recapitare l’istanza di “voluntary disclosure”. [11] Sia che essa sia presentata nei termini sia fuori termini. [12] Quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione. Del pari non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti. [13] Scaturente dal menzionato secondo comma dell’articolo 48 D.Lgs. n. 346/1990. [14] Utilizzando le regole vigenti al momento della morte del de cuius. 25 26 Diritto tributario internazionale e dell’UE Cambio di prospettive sullo scambio di informazioni: attualità ed evoluzione dello scenario europeo e italiano Francesca Amaddeo Dottoranda di Ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Iter evolutivo e quadro attuale della disciplina dello scambio di informazioni: in particolare, l’erosione del segreto bancario ed il ruolo degli istituti di credito 1. La disciplina nazionale: cronistoria del “segreto bancario” nell’Ordinamento italiano Preliminarmente alla disamina dei fondamenti giuridici, delle procedure di acquisizione e di utilizzo delle informazioni scambiate, oggetto della cooperazione amministrativa tra i diversi Paesi, appare opportuno delimitare il quadro giuridico (e di prassi) in cui tale disciplina viene ad innestarsi nel contesto nazionale. Le informazioni bancarie, comprensibilmente, sono da sempre state poste al centro dell’attenzione del legislatore sia in termini di utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria nell’espletamento dei propri compiti sia di tutela dei diritti del contribuente. bancarie in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni concernenti gli utenti dei servizi da esse erogati. Tuttavia, a tale dovere non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta né, tantomeno, un diritto della personalità. I conti e le operazioni degli utenti dei servizi offerti dagli intermediari finanziari, infatti, erano coperti da riservatezza direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali: lungi, quindi, da una tutela attinente alla sfera della libertà di autodeterminazione della persona. Ne conseguiva la chiara preminenza dell’interesse alla trasparenza e all’efficacia del sistema impositivo rispetto alla tutela della riservatezza dei dati del singolo contribuente. Il riconoscimento di tale supremazia viene ad affermarsi nel corso degli anni[5] , correlato dall’istituzione di appositi organi in seno all’Amministrazione finanziaria. L’impenetrabile scudo costituitosi attorno ai dati inerenti conti e contribuenti detenuti dagli intermediari finanziari[1] e, in particolare, dagli istituti di credito, cade con la Legge (di seguito L.) n. 413/1991, nella quale viene previsto che le indagini bancarie debbano essere espletate però nel rispetto di garantistiche certezze[2] , privilegiando la collaborazione tra le parti del rapporto giuridico tributario. Tale legge introduceva disposizioni atte a promuovere la trasparenza dei rapporti tra Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Le facoltà di eseguire indagini bancarie (seppure nel rispetto degli stringenti limiti e delle modalità determinate tassativamente dalla legge), tuttavia, non doveva intendersi quale arbitrario esercizio dell’accesso e conseguente utilizzo indiscriminato delle informazioni bancarie, ma nel senso che l’interesse alla riservatezza, pur essendo meritevole di tutela, doveva cedere di fronte all’interesse pubblico sotteso all’attività di accertamento[3]. Il segreto bancario trova la propria completa definizione nella pronuncia della Corte Costituzionale del 18 febbraio 1992, n. 51[4]: lo stesso era da intendersi, secondo la Consulta, quale dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese Nel 2006[6] , con la modifica dell’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 605/1973, decreto istitutivo dell’Anagrafe tributaria, veniva disposto l’obbligo per gli istituti finanziari di rilevare e tenere in evidenza i dati identificativi di ogni soggetto che intrattenesse con loro qualsiasi rapporto o effettuasse qualsiasi operazione di natura finanziaria (per una somma comunque superiore ai millecinquecento euro). Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Sin da subito venivano delineati stringenti criteri per delimitare la richiesta proposta dall’Amministrazione finanziaria agli istituti finanziari, imponendo che la stessa dovesse essere (i) rivolta unicamente agli intermediari finanziari che detengono rapporti con il contribuente, (ii) previa consultazione dell’archivio dei conti e dei rapporti, inserito in seno all’Anagrafe Tributaria (iii) nel rispetto della privacy del contribuente. Nel 2011[7] veniva introdotta la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di elaborare una sorta di black list, ossia di un elenco selettivo di contribuenti da sottoporre a controllo basata sulle informazioni inerenti i rapporti e le operazioni delineate nell’articolo 7, comma 6, D.P.R. n. 605/1973[8] , sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari ai fini di statuire le tipologie di dati da acquisire. Tale lista, tuttavia, non specifica chiaramente la tipologia dei rapporti né un tetto delle operazioni “a rischio”, bensì soltanto i soggetti cui riferire i rapporti controllati. Viene così capovolto il criterio secondo cui le indagini finanziarie rappresentano uno strumento istruttorio da esperirsi ex post, ossia soltanto dopo l’avvio di un procedimento da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di un singolo contribuente, previa autorizzazione e richiesta motivata, trasformandosi in un meccanismo atto alla prevenzione degli illeciti e, nello specifico, dell’evasione fiscale, la lotta alla quale costituisce “la ragion d’essere di un sistema tributario” [9]. Il contenuto di tale disposizione si ravvisa anche nel più recente Decreto cosiddetto “Salva Italia” (D.Lgs. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011), il quale, all’articolo 10 delinea un regime premiale, atto a promuovere il regime di trasparenza e all’articolo 11 definisce disposizioni finalizzate all’emersione della base imponibile. L’effettivo scambio di informazioni, delineato in tale sede, è entrato in vigore a partire dal 1. gennaio 2012. L’Agenzia delle Entrate, così, può ispezionare, preventivamente e senza autorizzazioni rilasciate ad hoc, le movimentazioni ed ogni ulteriore informazione relativi ai rapporti di cui all’articolo 7 D.P.R. n. 605/1973. 2. I fondamenti giuridici dello scambio d’informazione “Jurisdictions generally cannot exchange information for tax purposes unless they have a legal basis or mechanism for doing so. A jurisdiction’s practical capacity to effectively exchange information upon request relies both on having adequate mechanisms in place as well as an adequate in institutional framework[10] ”. Nel peer review relativo all’anno 2013, l’OCSE evidenziava la prima e reale esigenza cui i differenti Stati dovevano rispondere: la costruzione di una base normativa e un framework (interno ed esterno) tra le Amministrazioni finanziarie entro cui collocare la disciplina dello scambio di informazioni. Nel più ampio spettro applicativo della disciplina dello scambio di informazioni, assumono così un ruolo centrale gli intermediari finanziari, quali detentori di dati sensibili dei contribuenti, essenziali alle Amministrazioni finanziarie per procedere a controlli ed accertamenti. 2.1. Il nuovo articolo 26 M-OCSE e la progressiva erosione del segreto bancario Il punto di partenza dell’attuale disciplina dello scambio di informazioni è da ravvisarsi nell’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione fiscale (di seguito M-OCSE), il quale, soggetto ad un lungo iter evolutivo, si presenta composto di un nuovo paragrafo (il paragrafo 5) nel quale si statuisce l’impossibilità di opporre allo Stato richiedente un rifiuto di fornire le informazioni esclusivamente perché detenute da un istituto finanziario. In virtù di quanto disposto dal paragrafo 1 dell’articolo 26, in capo ad ogni Stato contraente sussiste un obbligo positivo, dunque, di scambiare tutti i tipi di informazioni, senza limiti di sorta derivanti dalla tipologia, dalla fonte ovvero all’oggetto delle stesse, fatta eccezione per le ipotesi tassativamente previste al paragrafo 3. Si esclude, in ogni caso, la sussistenza di un vincolo in capo allo Stato contraente ad adottare provvedimenti amministrativi, ovvero a fornire informazioni in deroga alla propria legislazione ovvero alla propria prassi in materia. L’introduzione del paragrafo 5 riflette la volontà internazionale, già riscontrata nel Model Agreement on Exchange of Information on Tax Matters e descritto nel report “Improving Access to Bank Information for Tax Purposes”. Coerentemente con quanto ivi affermato, l’accesso alle informazioni degli istituti finanziari e, in particolare degli istituti di credito, dev’essere effettuato direttamente, o indirettamente, ricorrendo alle autorità amministrative o giudiziarie, purché tale procedura non risulti eccessivamente gravosa in termini di costi e di tempo. Il paragrafo 5 dell’articolo 26, si premura, inoltre, di garantire che uno Stato contraente non possa rifiutare di fornire le informazioni detenute da persone che agiscono in qualità di agenti ovvero di intermediari, neppure qualora sussista una legislazione interna in virtù della quale le informazioni detenute da uno di questi soggetti siano considerate segreto professionale, semplicemente perché detenute da un fiduciario. Tali previsioni sono ravvisabili altresì in ambito europeo, laddove nell’articolo 18, paragrafo 2 della Direttiva n. 2011/16/ UE si prevede che le informazioni non possano essere negate per l’esclusiva ragione che le stesse siano detenute da un istituto finanziario, oltre che, chiaramente, nella Direttiva n. 2014/48/UE avente ad oggetto lo scambio di informazioni in possesso degli istituti finanziari in relazione alla tassazione sul risparmio. 27 28 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 2.2. …e lo standard per lo scambio automatico Più di recente, nel luglio 2014, l’OCSE ha emanato la versione consolidata dello Standard for Automatic Exchange of Financial information. Tale standard consente di procedere in via automatica allo scambio di informazioni con gli intermediari finanziari, ottenendo informazioni quali il saldo dei conti, gli interessi, i dividendi, i ricavi dalla vendita di assets, oltre che quelle trasmesse dalle istituzioni finanziarie alle rispettive autorità competenti e che concernono i conti detenuti da persone fisiche e giuridiche, inclusi i trusts e le fondazioni. In quest’ambito è stato definito il Common Reporting and Due Diligence Standard (di seguito CRS) contenente disposizioni relative alle modalità di reporting, nonché alle procedure di due diligence cui gli istituti finanziari dovrebbero attenersi ai fini di identificare i cosiddetti reportable accounts. Si è assistito altresì alla presentazione del Modello Competent Authority Agreement (di seguito CAA), il quale rappresenta un modello di accordo per lo scambio di informazioni in via automatica tra le Autorità competenti degli Stati contraenti, fungendo da strumento di raccordo tra il CRS e la base giuridica su cui, di volta in volta, si basa lo scambio d’interesse. Onde evitare la possibilità che il presente sistema venga aggirato, il suo spettro applicativo risulta essere piuttosto ampio, ricomprendendo: (i) informazioni finanziarie scambiate, le quali includono svariate tipologie di reddito, tra cui interessi, dividendi, redditi derivanti da contratti assicurativi, nonché redditi prodotti da assets depositati in conto o relativi ai pagamenti effettuati in relazione al conto medesimo; (ii) titolari dei conti soggetti a reporting, siano essi persone fisiche o giuridiche, incluse fondazioni o trusts; (iii) istituti finanziari tenuti a riportare le informazioni, i quali includono, oltre agli istituti bancari, intermediari finanziari, brokers, compagnie che forniscono servizi assicurativi e organismi di investimento collettivo. Il Modello CAA[11] prevede che le autorità competenti degli Stati contraenti si impegnino a scambiare, in via automatica e a cadenza annuale, con riferimento ad ogni reportable account, le informazioni concernenti il nominativo ed i dati identificativi del titolare del conto, il numero, la denominazione e i dati identificativi dell’istituto finanziario che effettua la comunicazione, il saldo o il valore del conto medesimo al termine dell’anno oggetto di accertamento. 2.3. Scambio di informazioni nella disciplina euro-unitaria 2.3.1. La Direttiva n. 2011/16/UE La Direttiva n. 2011/16/UE[12] , sino al 5 gennaio 2015, si proponeva quale evoluzione della precedente disciplina comunitaria in materia di scambio di informazioni nell’ambito delle imposte dirette – prevista nella Direttiva n. 77/779/CEE – delineando le norme e le procedure in base alle quali gli Stati membri cooperano fra loro ai fini dello scambio di informazioni prevedibilmente pertinenti per le rispettive amministrazioni e per l’applicazione delle leggi nazionali. Ivi si stabilivano precisi termini temporali entro cui fornire le informazioni richieste, ci si preoccupava di tratteggiare disposizioni di carattere essenzialmente pratico, inerenti le modalità concrete da seguire nell’espletamento dell’accertamento, in linea con gli standards previsti in sede OCSE. Le imposte rientranti nello spettro applicativo della Direttiva erano essenzialmente “di qualsiasi tipo” fatta eccezione per l’imposta sul valore aggiunto, i dazi doganali e le accise contemplate da altre normative dell’Unione in materia di cooperazione amministrativa[13]. La stessa delineava, in specifiche disposizioni, le modalità secondo le quali espletare le procedure di scambio di informazioni, definendo l’autorità competente (articolo 4), i termini entro cui fornire le informazioni richieste (articolo 7), la presenza di funzionari e la partecipazione alle attività di accertamento e di indagine in un diverso Stato membro (articolo 11), le verifiche simultanee (articolo 12), l’assistenza nella notifica degli atti tributari (articolo 13), oltre che la previsione di formulari e canali di comunicazione standard (articolo 20)[14]. Le innovazioni introdotte rispetto alla disciplina pregressa erano, come rilevato da autorevole dottrina[15] , di assoluta importanza sia assumendo un’ottica prettamente formale, ravvisabile nella maggiore chiarezza e nella maggiore precisione delle disposizioni, sia da un punto di vista strettamente sostanziale, per quanto attiene le tipologie di informazioni che possono essere raccolte e scambiate. 2.3.2. In particolare: la Direttiva sul risparmio (n. 2014/48/UE) Facendo salvo laddove non espressamente derogata, l’applicazione della Direttiva n. 2011/16/UE, nel campo delle imposte dirette, tale disciplina viene affrontata specificamente dalla Direttiva sul risparmio (n. 2014/48/UE), che abroga la precedente Direttiva n. 2003/48/CE, la quale ha introdotto una particolare forma di scambio automatico delle informazioni relativa alla tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi transfrontalieri. La nuova Direttiva sul risparmio tende a rafforzare le norme europee in materia di scambio di informazioni, consentendo agli Stati membri di meglio contrastare le frodi e l’evasione fiscale. In base alle disposizioni della precedente Direttiva, l’agente pagatore doveva trasmettere alle autorità competenti del proprio Paese, in via automatica, almeno una volta l’anno, ed entro sei mesi dalla fine dell’anno fiscale dello Sta- Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 to, una serie di informazioni e di dati relativi alla transazione ed ai soggetti coinvolti, quali: (i) la propria denominazione ed indirizzo; (ii) identità e residenza del beneficiario effettivo; (iii) numero del conto del beneficiario effettivo (o, in assenza dello stesso, l’identificazione del credito che genera gli interessi corrisposti); (iv) le informazioni relative al pagamento di interessi. La Direttiva del 2003, tuttavia, non si è mostrata sufficientemente efficace in relazione allo scopo cui era preordinata. Infatti, non copriva alcuni strumenti finanziari equivalenti ai titoli fruttiferi e taluni mezzi indiretti di possesso degli stessi, che quindi, sfuggivano alla comunicazione (e verosimilmente alla tassazione). La nuova Direttiva sul risparmio[16], prevede, allo scopo di garantire un’effettiva imposizione dei redditi da risparmio e di prevenire il rischio di evasione fiscale: (i) l’attualizzazione della definizione di “redditi da risparmio”, tale da ricomprendere anche redditi equivalenti agli interessi sui risparmi investiti. Si tratta, ad esempio, dei fondi di investimento stabiliti nell’Unione europea (di seguito UE) e fuori dalla stessa, oltre che di tutti quegli strumenti finanziari non qualificabili come produttori d’interessi (azioni, fondi comuni di natura prevalentemente azionaria, strumenti alternativi, polizze di capitalizzazione e vita ed altri strumenti caratterizzati e strutturati in maniera tale da non produrre interesse); (ii) attualizzazione della definizione di beneficiario, termine che non può essere limitato alle persone fisiche, ma che deve essere applicato ad ogni persona e/o istituto giuridico interposto; (iii) la definizione di “agente di pagamento” e l’introduzione di una nozione positiva delle strutture intermedie istituite in uno degli Stati membri e tenute ad agire come agenti pagatori all’atto del ricevimento; (iv) l’identificazione dei beneficiari effettivi, attraverso la registrazione della data e del luogo di nascita del beneficiario effettivo e, ove disponibile, del codice fiscale di quest’ultimo. Gli Stati membri sono tenuti a recepire la nuova Direttiva n. 2014/48/UE, nei rispettivi ordinamenti nazionali, entro il 1. gennaio 2016, ma già un nuovo provvedimento euro-unitario, la Direttiva n. 2014/107/UE (cosiddetta “DAC 2”) sembra rivoluzionare ancora il panorama all’interno dell’UE. 2.3.3. La Direttiva n. 2014/107/UE: (Attualità e) prospettive nello scambio di informazioni nella dimensione europea Il 9 dicembre 2014 è stata emanata la nuova Direttiva n. 2014/107/ UE[17], la quale apporta ulteriori modifiche alla disciplina europea in materia di scambio di informazioni. Sin dai considerando emerge la necessità di innovare quanto statuito nella precedente n. 2011/16/UE, accogliendo i nuovi standards elaborati in sede OCSE[18] , comprensivi del Commentario sul Modello di accordo tra autorità competenti e sullo standard comune di comunicazione di informazioni nonché le modalità informatiche di attuazione dello standard globale. A fronte dell’avvenuta (o prossima, a seconda degli Stati) sottoscrizione di accordi tipo “FATCA” (Foreign Account Tax Compliance Act) con gli Stati Uniti d’America (di seguito USA) da parte di molti Stati membri, il Consiglio ha rilevato l’esigenza di procedere ad un’armonizzazione più “corposa” della disciplina dello scambio di informazioni a livello euro-unitario. La volontà manifestata, infatti, dagli Stati nel porre in essere una cooperazione più ampia nell’ambito dello scambio di informazioni con gli USA, rientra nello spettro applicativo dell’articolo 19 Diretttiva n. 2011/16/UE, a mente del quale una siffatta collaborazione nei confronti di un Paese terzo deve essere concessa anche ad uno Stato membro dell’UE, qualora quest’ultimo lo richieda. La Direttiva n. 2014/107/UE statuisce espressamente che tutti gli Stati membri debbano imporre alle proprie istituzioni finanziarie l’applicazione delle norme di comunicazione e di due diligence definite in sede OCSE. L’introduzione di una simile previsione, sin ora del tutto assente nella prospettiva eurounitaria, risulta totalmente innovativa, in quanto, finalmente, vengono poste definizioni concrete inerenti le modalità, gli strumenti ed i risultati cui lo scambio di informazioni eurounitario è preordinato. Il contenuto delle regole di due diligence europee trova la propria definizione, ricalcata sull’impostazione OCSE, negli allegati I e II della Direttiva, rubricati, rispettivamente, “Norme di comunicazione e adeguata verifica in materia fiscale relative ai conti finanziari” e “Norme complementari”, al cui rispetto gli Stati sono vincolati ai sensi del nuovo paragrafo 3-bis. Vengono così definite le informazioni che devono essere oggetto di trasmissione tra gli istituti finanziari e le Amministrazioni fiscali (quali i dati anagrafici ed il codice fiscale del soggetto titolare di un conto, il numero del conto, i dati identificativi dell’istituto finanziario, il saldo o il valore del conto relativo al pertinente anno solare ovvero se è stato chiuso nel corso di tale anno, la chiusura del conto). Vengono, poi, delineati i criteri cui gli istituti finanziari devono attenersi nel fornire i dati identificativi dei soggetti oggetto di comunicazione. Si prevede che (i) qualora sia accertato tramite prove documentali[19] , presenti negli archivi dell’istituto, un indirizzo di residenza, questo elemento dovrà essere utilizzato ai fini dell’attribuzione della residenza del soggetto in un determinato Stato membro; (ii) qualora non si abbiano a disposizioni prove documentali, l’istituto dovrà ricorrere ad una ricerca negli archivi elettronici, onde ricavarne indicia[20]; (iii) in caso dalle ricerche effettuate non emergano indizi rilevanti, l’istituto è esonerato da ulteriori adempimenti sin tanto che non emergano “circostanze che porti[no] all’associazione di uno o più indicia con il conto considerato o fino a che quest’ultimo non diventi un conto di importo rilevante”. Nell’ambito della verifica tramite indizi, tuttavia, è garantita la possibilità al soggetto oggetto di verifica di intervenire apportando prove documentali (anche nella forma di auto- 29 30 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 certificazioni) che attestino la veridicità dei dati rilevati dall’istituto finanziario. Tale disciplina, prevista per i titolari di conti preesistenti, non trova applicazione in relazione agli accertamenti da effettuarsi in relazione ai nuovi conti. Al momento dell’apertura, infatti, l’istituto finanziario deve acquisire un’autocertificazione (che può essere prevista anche come documentazione prodromica all’apertura dello stesso) tramite cui sia possibile determinare la residenza del titolare del conto[21]. analisi, per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento degli obiettivi della stessa, rinviando, per la specificazione dei limiti, alla disciplina nazionale. Si delinea così facendo una responsabilità in capo alle istituzioni finanziarie per il trattamento dei dati. Al punto (17), peraltro, si afferma come “la presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compreso il diritto alla protezione dei dati personali”. Si assiste altresì all’ampliamento dell’articolo 8 della precedente Direttiva, stabilendo l’inclusione delle medesime informazioni previste negli standards globali, raccomandando ad ogni singolo Stato membro di redigere una lista di “Istituzioni Finanziarie non tenute alla comunicazione e di conti esclusi” nella quale elencare tutte le istituzioni che devono considerarsi svincolate dall’applicazione di quanto previsto dalla disciplina dello scambio di informazioni. Si consiglia, inoltre, di introdurre in tale elenco tutte quelle istituzioni finanziarie che presentano un rischio ridotto di essere utilizzate a fini di evasione fiscale. Più in particolare, si configura in capo agli istituti finanziari ed alle autorità competenti di ogni Stato membro una responsabilità in relazione al trattamento dei dati ai fini della Direttiva n. 95/46/CE. Ogni Stato membro deve provvedere affinché ciascun istituto finanziario, operante nella propria giurisdizione, informi ogni persona fisica sia che le informazioni pertinenti saranno raccolte e trasferite, conformemente a quanto previsto dalla disciplina sin qui esposta, sia dei diritti che il soggetto controllato può esercitare nei termini in cui gli stessi sono riconosciuti dalla disciplina nazionale (attuativa della Direttiva n. 95/46/CE e cui la stessa normativa europea rinvia). Gli Stati membri, nell’attuazione della Direttiva n. 2014/107/UE sono, quindi, tenuti ad adottare norme e procedure amministrative intese ad assicurare l’efficace attuazione ed il rispetto delle procedure in materia di comunicazione di adeguata verifica in materia fiscale, incluse (i) norme intese ad evitare che le istituzioni finanziarie, le persone o gli intermediari facciano ricorso a pratiche atte a eludere le procedure di comunicazione e di adeguata verifica in materia fiscale; (ii) norme che impongono agli istituti finanziari di conservare i dati informativi relativi alle azioni intraprese e le eventuali prove utilizzate per l’attuazione delle suddette procedure, nonché misure adeguate per l’ottenimento di tali dati, e (iii) procedure amministrative intese a verificare il rispetto delle procedure di comunicazione e di adeguata verifica in materia fiscale da parte degli istituti finanziari, tese a monitorare l’istituto stesso nel caso di conti non documentati, oltre che al contenimento del rischio di evasione presentato da quegli istituti che non sono tenuti alla comunicazione delle informazioni; (iv) efficaci disposizioni di attuazione per affrontare i casi di non conformità. Altra importantissima innovazione apportata dalla nuova Direttiva sullo scambio di informazioni è l’introduzione della disciplina inerente il trattamento delle informazioni personali. Poiché le informazioni oggetto di scambio devono comprendere non solo i pertinenti redditi, quali interessi, dividendi e tipologie analoghe, ma anche i saldi di conto ed i proventi delle vendite di attività finanziarie (al fine di fronteggiare anche situazioni in cui un contribuente cerca di occultare capitale costituito esso stesso da redditi o da attività oggetto di evasione fiscale) il trattamento delle informazioni sensibili è sì necessario, ma dev’essere commisurato allo scopo di consentire alle Amministrazioni fiscali degli Stati membri di individuare correttamente ed inequivocabilmente i contribuenti interessati e, di conseguenza, ad applicare e far osservare la propria normativa fiscale in situazioni transfrontaliere. Le informazioni personali comunque raccolte sia da parte dello Stato richiedente sia di quello richiesto devono essere conservate in conformità a quanto disposto dalla Direttiva in Si prevede, altresì, che gli obblighi di informazione cui gli istituti finanziari devono provvedere possano essere attuati secondo quanto disposto dal diritto interno e realizzati “con tempestività sufficiente a consentire alla persona l’esercizio dei propri diritti alla protezione dei dati e, comunque, prima che l’istituzione finanziaria tenuta alla comunicazione interessata comunichi le informazioni di cui all’articolo 8, paragrafo 3-bis, all’autorità competente del suo Stato membro di residenza”. 2.3.4. I risvolti nel contesto nazionale Per quanto riguarda i risvolti che le predette Direttive rivestono attualmente in Italia, occorre rilevare come la n. 2011/16/ UE sia stata attuata con il D.Lgs. n. 29/2014, prevedendo la reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette e di altre imposte[22]. A fronte di tale implementazione, il Decreto Ministeriale (di seguito D.M.) datato 16 dicembre 2014[23] ha espunto il Lussemburgo dall’elenco dei Paesi black list di cui al Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 21 novembre 2001, concernente la disciplina (delineata all’articolo 167 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi [di seguito TUIR]) in materia di Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 imprese estere partecipate, situate in Stati con livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia e dove, soprattutto, non è previsto un adeguato scambio di informazioni. Inoltre, è stato pubblicato il D.M. del 29 dicembre 2014, il quale, a seguito dell’entrata in vigore della “Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali” e delle conseguenti modifiche apportate al quadro normativo sammarinese, introduce la Repubblica di San Marino nell’elenco degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni. Di straordinaria rilevanza, nel contesto oggetto della presente analisi, è la sottoscrizione di un Protocollo stilato tra i rappresentanti dei Governi italiano e svizzero, avvenuta in data 23 febbraio 2015, modificativo della Convenzione per evitare le doppie imposizioni e, soprattutto, che consente lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali. Quando il passaggio parlamentare sarà completato, il fisco italiano potrà richiedere alla Svizzera informazioni anche sui rapporti intrattenuti da istituti finanziari e, in particolare dalle banche, con i contribuenti italiani, esistenti al momento della firma. In tal modo, l’Amministrazione finanziaria italiana potrà individuare i contribuenti che hanno optato per l’allocazione dei propri capitali al di fuori del nostro Paese, ma senza dichiararli. La Svizzera, impegnandosi allo scambio di informazioni, viene equiparata ai fini della voluntary disclosure ad un Paese non black list. Questo consentirà altresì ai contribuenti che vogliono regolarizzare la propria posizione di farlo a un costo minore. Ancor più di recente, il 27 maggio 2015, la Svizzera ha firmato l’accordo per lo scambio automatico di informazioni con l’UE[24] , sulla falsariga della precedente Direttiva sul risparmio – la n. 2003/48/CE – che, coerentemente al sistema di accordi realizzati sino ad ora, entrerà in vigore nel 2017, dando l’avvio alla trasmissione dei dati a partire dal 2018. A fronte di tale accordo, i ventotto Stati membri riceveranno periodicamente, secondo le condizioni previste dettagliatamente nel protocollo ed estrinsecate conformemente agli standards OCSE, informazioni relative a soggetti d’interesse aventi un conto bancario nella Confederazione (“Conto oggetto di comunicazione”). 2.4. TIEAs L’attuale disciplina dello scambio di informazioni, tuttavia, è connotata da una giustapposizione tra la regolamentazione euro-unitaria, sin qui delineata, e le fonti di origine convenzionale operanti a livello internazionale, le quali continuano a convivere con le prime. In particolare, il segreto bancario viene affrontato nei Tax Information Exchange Agreements (di seguito TIEAs), diffusisi in epoca relativamente recente, e, ancor prima, nella Convenzione sulla Mutua Assistenza Amministrativa (di seguito Convenzione MAAT). Entrambi questi strumenti, in linea con gli standards definiti dall’OCSE, si prestano ad essere utilizzati per la regolamentazione e la definizione dei contorni della disciplina dello scambio di informazioni entro, però, limiti definiti da appositi accordi intercorrenti tra gli Stati firmatari. Il Modello di Tax Information Exchange Agreements (di seguito Modello TIEA), elaborato dal Global Forum Working Group on Effective Exchange of Information nel 2002, costituiva un punto di riferimento per gli Stati per la stipula di accordi bilaterali e multilaterali in materia tributaria, consentendo agli stessi di procedere allo scambio di informazioni reciproco a prescindere dall’esistenza di una convenzione contro le doppie imposizioni (di seguito CDI)[25]. L’ambito di applicazione dei TIEAs si presenta più ampio rispetto a quello delle CDI, in quanto trova applicazione non solo alle imposte sul reddito, ma anche a quelle sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni e, infine, ai tributi previsti da o nell’interesse di suddivisioni politiche e territoriali degli Stati contraenti: si tratta di un contesto piuttosto ampio, per il quale tuttavia l’unico modello di scambio di informazioni è quello “a richiesta” [26]. Indipendentemente dai limiti di cui all’articolo 5 e alle ipotesi di rifiuto di cui all’articolo 7, le autorità richiedenti dovranno comunque fornire una serie di dati e notizie finalizzati a dimostrare la foreseeable relevance delle informazioni oggetto della richiesta, elencate dettagliatamente al paragrafo 5 dell’articolo 5 Modello TIEA, quali, ad esempio, (i) i dati anagrafici della persona sottoposta a controllo; (ii) le motivazioni di natura fiscale per le quali si richiedono le informazioni; (iii) le ratio in virtù delle quali lo Stato richiedente ritiene che le informazioni di cui necessita siano a disposizione dello Stato richiesto; (iv) il nominativo e l’indirizzo di qualsiasi persona si ritenga sia in possesso delle informazioni richieste; (v) l’indicazione di conformità della richiesta sia alle prassi seguite dalle autorità finanziarie dello Stato richiedente sia a quanto previsto nell’accordo; (vi) la prova che lo Stato richiedente abbia già provveduto ad espletare tutti i propri rimedi interni per ottenere le informazioni necessarie. Le autorità dello Stato richiedente potranno recarsi presso l’altro Stato per effettuare interviste ed analisi dei dati registrati con il consenso scritto delle persone interessate e di essere presenti all’accertamento fiscale. Comprensibilmente tra il dettato dell’articolo 26 M-OCSE ed il testo del TIEA sussistono numerose somiglianze, essendo il secondo ispirato interamente al primo[27] , anche per quanto attiene i limiti alla richiesta di scambio di informazioni. Nel Modello TIEA viene, però, prevista la possibilità di divulgare tali informazioni a persone diverse da quelle coinvolte nell’accertamento e nella riscossione solo previo consenso scritto dell’autorità competente dello Stato richiesto. 31 32 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Alla luce, comunque, dell’applicazione dei nuovi standards globali OCSE, oltre che della nuova Direttiva sulla cooperazione amministrativa, il Modello TIEA è destinato a perdere progressivamente rilevanza ovvero ad essere modificato nel senso di dover consentire lo scambio automatico di informazioni, in ottemperanza agli standards globali condivisi a livello internazionale, risultando, altrimenti, privo di utilità a fini operativi. 2.5. Convenzione MAAT Per lungo tempo, la Convenzione MAAT[28] ha costituito la principale (se non l’unica) fonte multilaterale che stabiliva le modalità di cooperazione tra le Amministrazioni finanziarie, definendo le competenze, le autorità coinvolte, i soggetti legittimati, le modalità operative[29]. La Convenzione MAAT si applica alle imposte dirette e indirette, ai tributi erariali e locali, alle accise e ai contributi sociali, esclusi i dazi doganali. Le informazioni vengono scambiate se, sulla scorta di elementi che ne giustificano la rilevanza, forniti dalle autorità richiedenti, appaiono pertinenti all’Amministrazione finanziaria richiesta per procedere all’accertamento dei tributi, alla riscossione dei crediti tributari (o alle relative misure esecutive), avviare procedimenti innanzi ad autorità amministrative o procedimenti di natura penale innanzi ad autorità giurisdizionali, rappresentando, tuttavia, che una parte non potrà utilizzare le informazioni ottenute come mezzo di prova avanti ad un Giudice penale senza aver ottenuto la previa autorizzazione dello Stato richiesto. La Convenzione MAAT, redatta ben prima dell’adozione da parte del Global Forum on Trasparency and Exchange of Information OCSE degli standards globali di trasparenza e scambio di informazioni, che è avvenuta nel 2002, è stata emendata da un Protocollo modificativo del marzo 2010, il quale, adottando i predetti standards riconosciuti a livello internazionale, ha consentito lo scambio di informazioni coperte, secondo la legislazione nazionale, dal segreto bancario ed introdotto l’obbligo allo scambio di informazioni anche in assenza di uno specifico interesse dello Stato richiesto. L’Italia, che ha sottoscritto la Convenzione MAAT nel 2005, ha limitato l’applicabilità della stessa ai tributi principali[30] , presentando riserve inerenti le imposte cui l’accordo non verrà applicato, oltre alle forme di assistenza che non verranno assicurate da parte delle autorità nazionali. In proposito, l’Italia si è riservata di (i) non accordare alcuna forma di assistenza per le imposte delle altre parti rientranti in una delle seguenti categorie: (a) contributi di sicurezza sociale obbligatori dovuti alle amministrazioni pubbliche o agli enti di sicurezza sociale di diritto pubblico; (b) imposte su beni e servizi determinati, quali i diritti di accisa; (c) imposte sull’uso o sulla proprietà dei veicoli a motore; (d) imposte sull’uso o sulla proprietà di beni diversi dai veicoli a motore; (e) ogni altra imposta, diversa dall’imposta di registro e dalle imposte ipotecarie e catastali; (ii) non accordare assistenza in materia di recupero di ogni credito tributario o di recupero di sanzioni amministrative relativamente ai tributi che hanno formato oggetto di riserva italiana; (iii) non accordare assistenza quanto ai crediti tributari già esistenti alla data di entrata in vigore della Convenzione per l’Italia; (iv) non accordare assistenza in materia di notifica dei documenti per le imposte che hanno formato oggetto di riserva italiana ai sensi dei capoversi precedenti; (v) non accettare le notifiche per via postale. Di recente (nel 2013) sia il Principato di Monaco che la Svizzera hanno aderito alla Convenzione MAAT. Peculiare rilevanza assume la clausola prevista nella Convenzione MAAT in merito agli illeciti fiscali. La stessa prevede, infatti, che qualora vi siano stati illeciti fiscali penalmente rilevanti, gli Stati aderenti siano obbligati a fornire assistenza amministrativa anche in relazione al periodo precedente all’entrata in vigore alla Convenzione, quindi, con effetto retroattivo[31]. 3. I limiti all’acquisizione delle informazioni: i requisiti di “foreseeable relevance” e il divieto di “fishing expedition” Nella disciplina internazionale dello scambio di informazioni, vengono posti, quali limiti inderogabili gli standards di “foreseeable relevance” dell’informazione richiesta ed il divieto di “fishing expedition”. Il Commentario M-OCSE analizza le singole ipotesi in cui uno Stato può ritenere sussistente il primo requisito, richiedendo altresì che tale rilevanza sussista al momento di formulazione della domanda, indipendentemente dall’eventuale inutilità delle informazioni ex post: non vengono però individuati i criteri in base ai quali la prevedibile rilevanza possa essere effettivamente verificata. Come di consueto, il Commentario M-OCSE propone degli esempi, atti a facilitare l’applicazione concreta della CDI, ma, ovviamente, questi si limitano ai casi principali ovvero a quelli di più difficile intendimento, ricalcando la prassi seguita dalle Amministrazioni finanziarie. Vero è che lo Stato richiedente è tenuto a fornire precise motivazioni che lo inducono a rivolgersi all’Amministrazione finanziaria richiesta, ma ciò che appare dubbio è sulla stregua di quali criteri questa potrà ritenere sussistente la prevedibile pertinenza delle informazioni in assenza di limiti specifici e determinati alla discrezionalità nazionale e, soprattutto, quali diritti del contribuente oggetto di accertamento saranno ritenuti soccombenti a seguito di tale giudizio di bilanciamento. Al contempo, le fishing expeditions vengono limitate, onde evitare che gli Stati possano sfruttare il meccanismo dell’exchange of information per provare a “buttare l’amo” e individuare i contribuenti non-compliant. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 In sede OCSE si è cercato di delineare i confini della “prevedibile rilevanza” delle informazioni e delle “battute di pesca”, tentando di circoscrivere le definizioni a situazioni specifiche, escludendo gli errori materiali, come per esempio nella comunicazione del nome del contribuente ovvero nell’indirizzo dello stesso. Particolare attenzione viene dedicata alle richieste effettuate nei confronti di un contribuente (o più contribuenti) di cui non vengano indicati i nominativi. La disciplina dello scambio di informazioni, quindi, risente ancora dei limiti derivanti dall’intrinseco unilateralismo che ispira la disciplina domestica tributaria, conseguenza questa della sovranità statale. I richiami effettuati negli schemi sin qui esaminati, al principio di reciprocità, lasciano trasparire l’evidente diffidenza che gli Stati nutrono nei confronti di un siffatto meccanismo di condivisione delle proprie risorse ed informazioni in ambito fiscale. Tuttavia, ci si chiede, se il criterio della prevedibile rilevanza sia ancora attuale in ambito euro-unitario o, comunque, destinato ad essere presto dimenticato. La Direttiva n. 2014/107/UE, benché ispirata in toto agli standards OCSE, come si è visto, si premura di delineare criteri assai più stringenti relativamente sia alle informazioni oggetto di scambio sia ai criteri secondo cui le stesse devono essere richieste, raccolte e scambiate. Per ragioni di comprensibile economicità ed efficienza il metodo preferito sembra essere lo scambio automatico, in relazione al quale la prevedibile rilevanza non risulta più soggetta alla “discrezionalità” dei singoli Stati, bensì diviene una connotazione intrinseca alle informazioni rientranti nell’automatica cooperazione finanziaria. Considerazione non secondaria riguarda oltretutto, l’assenza di meccanismi sanzionatori da applicarsi in caso di violazione degli sfumati confini previsti sia dalle norme convenzionali sia dalla disciplina europea, alla luce della quale l’applicazione effettiva del meccanismo di scambio non appare, in effetti, così sicura e funzionale. Parte della dottrina[32] ha rappresentato alcune possibili soluzioni a tali casi, ravvisando nell’articolo 25 M-OCSE, ossia nella procedura amichevole, una via d’uscita. Chiaramente, però, sostituire l’irrogazione di una sanzione per la violazione degli obblighi sottoscritti con il “dialogo” tra le autorità competenti interessate non consente né un’applicazione certa della disciplina dello scambio di informazioni né, tantomeno, una tutela per gli interessi (statali e dei privati) coinvolti nella procedura. In ambito euro-unitario, si ritiene applicabile la procedura prevista per le infrazioni, disciplinata dagli articoli 258 e 259 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE). Questa soluzione, tuttavia, presenta limiti come (i) la tempistica, (ii) la mancanza di una sanzione immediata e diretta, in capo allo Stato agente, (iii) la mancanza di un organo adibito appositamente al controllo del rispetto delle regole di due diligence da parte degli Stati membri, (iv) l’assenza totale di sanzioni dirette al materiale e personale autore della vio- lazione e, soprattutto, (v) la mancata previsione di una tutela diretta per i contribuenti che vengono lesi nei propri diritti, riconosciuti dai singoli ordinamenti nazionali. 4. Un bilanciamento in fieri fra interessi contrapposti: l’interesse fiscale e la tutela del contribuente Tante, quindi, sono le novità apportate alla disciplina del cosiddetto segreto bancario che sino a pochissimo tempo fa sembrava un baluardo impossibile da superare, almeno nel contesto internazionale. Lo scambio delle informazioni detenute dagli intermediari finanziari rappresenta, infatti, un punto di svolta nell’operatività delle Amministrazioni finanziarie, le quali potranno accedere a tali materiali ed utilizzarli come se si trattasse di frutti di accertamenti “domestici”. Ai fini dell’applicazione della disciplina sino ad ora espletata, gli atti amministrativi delle Autorità straniere, raccolti e scambiati in virtù di norme convenzionali[33] ovvero di norme euro-unitarie[34] , acquisiscono efficacia analoga a quelli domestici. Ne consegue una loro parificazione a livello probatorio: tali atti potranno essere utilizzati nel corso dei procedimenti amministrativi delle Amministrazioni finanziarie, oltre che costituire la base per muovere contestazioni fiscali, acquisendo l’esatta corrispondente valenza che i medesimi atti avrebbero se derivanti dall’attività delle Amministrazioni finanziarie nazionali[35]. Tale equiparazione pone, tuttavia, delle problematiche non indifferenti in relazione ai diritti ed alle garanzie che i singoli ordinamenti nazionali attribuiscono al contribuente sottoposto all’accertamento, oltre che in relazione alle modalità di acquisizione ed all’utilizzo dei dati scambiati. La tutela del contribuente, infatti, non viene espressamente contemplata né in sede convenzionale né nell’ambito delle direttive europee che disciplinano la materia. In entrambi i casi, infatti, non si ravvisa alcun diretto riferimento al diritto di difesa dello stesso ovvero a garanzie specifiche, limitandosi a prevedere limiti sull’obbligo di fornire le informazioni e la segretezza delle stesse. A fronte, però, della sussistenza di specifiche previsioni nazionali preordinate alla tutela dei diritti del contribuente che disciplinano le modalità di richiesta, l’acquisizione delle informazioni e l’utilizzo dei dati personali, occorre valutare la legittimità della procedura di cooperazione alla luce anche delle norme nazionali[36]. Nel nostro ordinamento tale problematica era stata oggetto della storica sentenza n. 51/1992, 33 34 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 nella quale la Corte Costituzionale affermava come “al livello dei principi costituzionali resta fermo, comunque, che le scelte discrezionali del legislatore, ove si orientino a favore della tutela del segreto bancario, non possono spingersi fino al punto di fare di questo ultimo un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (articolo 53 Cost.), ovvero fino al punto di farne derivare il benché minimo intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come quelle connesse all’Amministrazione della Giustizia e, in particolare, alla persecuzione dei reati”. In sede di bilanciamento, infatti, si è rilevato come il segreto bancario non tuteli aspetti legati alla persona umana, ma istituzioni economiche ed interessi patrimoniali[37] , destinati, quindi, a soccombere rispetto ai superiori interessi della tutela della capacità contributiva e del perseguimento degli scopi cui l’Amministrazione finanziaria è preordinata[38]. È stato correttamente affermato che “il segreto bancario si atteggerebbe quale estrinsecazione dell’articolo 47 Cost., nella parte in cui tutela il corretto esercizio dell’attività creditizia, cui corrisponde la necessità di riservatezza dei rapporti giuridici e delle operazioni collegate all’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito. Se così è non può negarsi che sia legittima e costituzionalmente protetta la pretesa del cittadino a che i propri dati economici e finanziari, che per la loro portata potrebbero considerarsi sensibili, incamerati dagli intermediari nell’esecuzione delle operazioni, non vengano divulgati al di là delle ipotesi tassativamente previste dalla legge” [39]. Benché il dibattito or ora riportato risalga a più di dieci anni fa, le riflessioni insite in tale pronuncia risultano quanto mai attuali alla luce del quadro normativo delineato poc’anzi. Le informazioni scambiate, infatti, ponendo la necessità di un contemperamento degli interessi tra il diritto alla riservatezza e la tutela delle informazioni oggetto di scambio, da una parte, e il rispetto del principio della capacità contributiva dall’altra, sono soggette al controllo del Garante della privacy, al cui previo parere deve essere sottoposto l’esercizio della modalità preordinata all’acquisizione delle informazioni. Tale esigenza era stata così avvertita anche in ambito europeo che, in sede di discussione delle direttive sullo scambio di informazioni, il Garante europeo per la protezione dei dati personali era intervenuto con il proprio parere del 20 aprile 2010[40] , rappresentando come nelle proposte vi fossero diverse lesioni e lacune nella disciplina dell’utilizzo dei dati sensibili acquisiti tramite questa disciplina[41]. In Italia, il Garante della privacy, indicando i principali rischi che tale sistema innesca (ossia il gigantismo delle banche dati, sempre più difficili da controllare, e quello della qualità delle informazioni archiviate), chiariva che “potenzialmente la norma chiede agli operatori di trasferire all’Agenzia tutti i movimenti registrati, anche l’acquisto di 30 euro effettuato al supermercato con carta di credito. È una massa di notizie in grado di attuare un controllo comportamentale dinamico, perché realizzato periodicamente. L’Agenzia delle Entrate non saprà soltanto che ho un conto corrente, ma anche quali movimenti effettuo. È la stessa differenza che passa tra il sapere che possiedo un’automobile e conoscere come e quanto la guido”[42]. Attualmente, benché ora più che mai se ne avverta il bisogno, né il Garante della privacy italiano né il Garante europeo per la protezione dei dati personali hanno ancora emanato alcun provvedimento posto a tutela dell’utilizzo delle informazioni scambiate in forza delle predette normative. Vero è, infatti, che le diverse discipline delineano l’utilizzo che può essere fatto delle informazioni scambiate, rilevando come le stesse siano secretate, destinate all’utilizzo esclusivo delle autorità competenti, cui espressamente è conferito tale potere ma, come il Garante aveva già rilevato, si riscontrano carenze in relazione alle autenticazioni e alle autorizzazioni dei singoli utenti che accedono alle banche dati dell’Anagrafe tributaria, nonché alla sicurezza dei dati raccolti, tanto più se tale registrazione avviene in via telematica. Assai di recente, il 25 marzo 2015, il Garante italiano, sentito dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, ha sottolineato come a fronte degli ingenti flussi di dati creatisi a fronte delle disposizioni legislative che si sono susseguite nel tempo, si è ampliata anche la gamma di soggetti autorizzati ad accedere agli stessi. La crescente esigenza di condividere queste informazioni, a fronte, in particolare, della nuova disciplina inerente lo scambio di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie, ha dunque determinato un impatto significativo e rilevante sulla protezione di dati particolarmente delicati riferiti ai contribuenti. Il Garante ha sottolineato come lo stesso abbia sempre assicurato la possibilità di una conoscenza e di un controllo sui dati di tipo economico, in ossequio all’imprescindibile principio costituzionale sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana (di seguito Cost.). Il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003) fa proprio e innesta nella nostra legislazione il principio fondamentale secondo cui i sistemi di trattamento dei dati sono al servizio della persona e che lo stesso trattamento deve, da un lato, rispettare le libertà, i diritti fondamentali, la vita privata e, soprattutto, la dignità dei cittadini europei e, dall’altro, contribuire al progresso economico e sociale, allo sviluppo degli scambi nonché al benessere degli individui[43]. Nel cercare di trovare un ponderato equilibrio tra queste sfere di valori, il Garante rileva come “per quanto legittime le finalità Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 perseguite dall’amministrazione, si è comunque sempre evidenziata la necessità che gli obiettivi preposti vengano perseguiti con efficacia acquisendo le sole informazioni necessarie allo scopo ed impiegando modalità di trattamenti parimenti proporzionate piuttosto che una indifferenziata preventiva e generalizzata acquisizione di dati senza che ciò sia realmente necessario. Le banche dati di cui si compone oggi il sistema della fiscalità sono tali da assicurare un notevole patrimonio informativo disponibile alle amministrazioni per cui è adesso opportuno potenziarne la capacità di gestione e di utilizzo che sia realmente efficace, garantendo, ad esempio, l’omogeneità e l’univocità nella raccolta e nella classificazione dei dati”. Alla stregua di un quadro così complesso e, assunto l’espresso rinvio che, quantomeno in sede euro-unitaria, viene effettuato alla disciplina della privacy sussistente in ogni singolo ordinamento nazionale, si attendono gli esiti normativi dell’implementazione degli standards globali e, soprattutto, di un intervento teso a delineare le modalità di registrazione e di acquisizione delle informazioni oggetto di scambio, auspicando un intervento del Garante della privacy, sia europeo sia nazionale. 5. L’efficacia probatoria delle informazioni scambiate e il diritto al contraddittorio nel procedimento di accertamento L’utilizzo delle informazioni scambiate pone ulteriori problematiche in merito alla modalità di acquisizione ed alla valenza che le stesse rivestono, a fronte, soprattutto, delle procedure amministrative-tributarie dei singoli ordinamenti nazionali ed in relazione alla tutela dei diritti che sussistono in capo al contribuente. Le normative che disciplinano lo scambio di informazioni, siano esse di fonte internazionale ovvero euro-unitarie, si limitano a disciplinare i diritti ed i doveri che sussistono in capo alle Amministrazioni finanziarie, disciplinando con particolare attenzione le procedure di trasmissione delle informazioni, tralasciando il conferimento ovvero il riconoscimento di diritti spettanti al contribuente. nazionali deve essere subordinato al previo giudizio di compatibilità degli stessi con i principi del diritto euro-unitario e, specialmente, con il principio di specialità nell’utilizzo delle informazioni scambiate[45], nonché al principio della most favourite nation e al principio di autonomia procedurale dagli Stati membri[46]. L’autonomia procedurale che gli ordinamenti nazionali mantengono nell’applicare quanto previsto in sede euro-unitaria nell’ambito dello scambio di informazioni, tuttavia, espone il contribuente oggetto di controllo a possibili disparità di trattamento. Si pensi, ad esempio, alla disciplina della tutela della privacy in relazione alla quale le direttive rinviano al diritto nazionale. Subordinando lo scambio di informazioni alla legislazione dello Stato richiedente, qualora la protezione della riservatezza dei dati in quest’ultimo Stato sia di livello inferiore, lo Stato richiesto non potrà negare le informazioni e il contribuente non potrà opporsi allo scambio ritenuto lesivo dei propri diritti. L’unica modalità in virtù della quale è possibile, da un lato, mantenere l’autonomia procedimentale degli Stati e, dall’altro, garantire un’armonizzazione della disciplina dello scambio di informazioni che sia efficace, è ricorrere al principio di sussidiarietà delineato nell’articolo 5 TFUE, in virtù del quale il raggiungimento delle finalità dell’UE può essere assicurato anche mediante l’applicazione del solo diritto interno, senza ricorrere alle normative di matrice euro-unitaria, subordinandone, tuttavia, l’applicazione al rispetto dei diritti fondamentali e dei principi generali dell’UE[47]. Sostanzialmente, quindi, si consente l’integrazione di quanto disposto nelle direttive sullo scambio di informazioni con i principi affermati negli ordinamenti nazionali, se rispettosi del diritto euro-unitario, al fine di colmare le evidenti lacune inerenti la tutela del contribuente[48]. Ovviamente, le esigenze di tutela del singolo contribuente variano in relazione al ruolo svolto dalle autorità nazionali nella procedura di assistenza: nei confronti dell’Amministrazione richiedente la tutela del singolo ruoterà attorno alla possibilità di controllo sull’uso dell’informazione trasmessa, ma anche sulla fondatezza e la legittimità della richiesta, mentre nei confronti dell’autorità richiesta l’esigenza di tutela sembra trovare manifestazione nel controllo sulle modalità di acquisizione delle informazioni destinate ad essere scambiate. Benché alcuni imprescindibili principi, quali il diritto di difesa, nei suoi corollari del diritto al contraddittorio e del diritto ad essere ascoltati, siano stati affermati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE (di seguito CGUE)[44] , prima, e poi divenuti parte integrante del Trattato di Lisbona, questi non vengono specificamente cristallizzati in disposizioni normative inerenti lo scambio di informazioni, le quali si limitano a richiamare la legislazione interna. Occorre tenere presente, tuttavia, che il riconoscimento dei diritti eventualmente attribuiti al contribuente dai singoli ordinamenti Siffatta limitazione è stata elaborata nella giurisprudenza della CGUE essenzialmente per due ordini di ragioni: (i) sulla scorta del principio d’effettività, allo scopo di evitare che l’attuazione delle disposizioni procedurali interne comprometta l’efficacia e la portata del diritto dell’Unione, e, nello specifico, che renda in pratica impossibile o eccessivamente complessa l’attuazione della normativa, compresi i principi generali e i diritti dell’UE; (ii) in virtù del principio di equivalenza, al fine di evitare che le norme procedimentali nazionali attuative della normativa euro-unitaria si rivelino discriminatorie o, comunque, meno favorevoli, rispetto a quelle che disciplinano analoghi procedimenti di natura solo interna. 35 36 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Emblematico il rilievo della CGUE, nel caso Sabou (C-276/2012), in relazione alle questioni pregiudiziali proposte dal giudice nazionale, il quale si interrogava se la mancata conoscenza dell’avvio di un procedimento di richiesta di informazioni da parte del contribuente costituisse una lesione del generale principio di difesa e di contraddittorio del contribuente, sancito nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. L’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce il diritto al contraddittorio, principio elaborato dalla giurisprudenza della CGUE sulla base dell’espressione “cattiva amministrazione” di cui all’articolo 228 TFUE. In assenza di diritti riconosciuti al contribuente nello scambio di informazioni, come anche nel caso sub specie, ove l’articolo 41 non era applicabile ratione temporis, la CGUE fa ricorso al contraddittorio come diritto fondamentale dell’UE. Il diritto ad una buona amministrazione, si ricorda, si estrinseca nell’efficienza e nella garanzia delle posizioni soggettive degli interessati, ivi compreso, quindi, il diritto di difesa nelle predette articolazioni. Nel caso Sabou, i Giudici di Lussemburgo, concordemente all’Avvocato Generale, hanno affermato che occorre distinguere fra le misure d’indagine, all’interno delle quali è ricompresa l’attività di scambio di informazioni svolta dagli Stati, e le decisioni assunte al termine del procedimento da uno di essi. garantito esclusivamente nello Stato richiedente, in quanto destinatario ed utilizzatore delle informazioni scambiate. Il contribuente si trova, così, totalmente privo di tutela in relazione alla procedura della raccolta di informazioni, in quanto lo stesso non è posto nelle condizioni, innanzitutto, di essere avvisato dell’interferenza dell’Amministrazione finanziaria nei propri dati personali, quali le informazioni riservate che lo stesso ha affidato ad un istituto finanziario né di poter verificare se concretamente le modalità di accesso ai dati, di raccolta e di utilizzo degli stessi siano rispettosi del proprio diritto di riservatezza. Forse, proprio allo scopo di poter, in qualche modo, controllare gli esiti e la procedura esplicativa dello scambio di informazioni, la Giurisprudenza nazionale ha imposto l’obbligo di allegazione della relativa documentazione, sicché il contribuente possa, quantomeno, essere in grado di potersi difendere, controdeducendo proprie motivazioni, osservazioni e di effettuare un controllo ex post sull’operato delle amministrazioni coinvolte. Nell’esperienza italiana i casi non mancano. Diverse sono state, infatti, le pronunce aventi ad oggetto ricorsi presentati dai contribuenti sottoposti a controllo, in cui gli accertamenti sono stati ritenuti illegittimi in quanto basati su informazioni ottenute illecitamente o che si presentavano carenti di alcuni elementi essenziali[49]. Mutuando il principio di illegittimità derivata presente nel diritto amministrativo, si è sostenuto come gli elementi probatori, acquisiti nell’inosservanza delle regole dettate dal legislatore, comprovanti situazioni evasive o, comunque, irregolari posti a base di una pretesa tributaria siano illegittimi[50]. Secondo la CGUE, il “diritto fondamentale al contraddittorio, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato ad un altro Stato al fine di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi”. Tuttavia, “nulla impedisce ad uno Stato membro di estendere il diritto al contraddittorio ad altri momenti della fase d’indagine”. Ne consegue che se, da una parte, la CGUE delinea la non necessarietà dell’esercizio del diritto di difesa in caso il controllo delle Amministrazioni finanziarie si avvalga di dati comunicati dal contribuente, dall’altra, è possibile assicurare la tutela del diritto al contraddittorio, così come riconosciuto nello Stato richiedente, anche nello Stato richiesto solo nel rispetto dei principi che ispirano la piena efficacia dello scambio d’informazioni, specificamente quello di equivalenza, quello d’attuazione per conto proprio nella realizzazione delle indagini su richiesta di un altro Stato e quello d’autonomia procedimentale. Il diritto di difesa e, quindi, al contraddittorio, pertanto, deve essere La giurisprudenza nazionale ha rilevato, in più occasioni, come i diritti riconosciuti dallo Statuto dei diritti del Contribuente (avuto particolare riguardo all’articolo 7), benché non riprodotti nelle normative euro-unitarie, vadano tutelati ed applicati nei singoli casi concreti, non potendo cedere le garanzie fondamentali a fronte dell’interesse fiscale dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria[51]. Tale approccio pone quale assunto il fatto che l’invalidità a monte, concernente lo svolgimento di un atto istruttorio, è in grado di travolgere in virtù di un “effetto domino” tutti gli atti successivi, compreso l’atto impositivo che chiude il procedimento e con il quale l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente la propria pretesa erariale[52]. Nel 2012, la Cassazione ha avuto modo di chiarire che l’illegittimità di un atto istruttorio prodromico è in grado di “interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo”, con la conseguenza che lo stesso configura un “vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata dell’atto consequenziale impugnato[53] ”. Qualora, infatti, non vi fosse una correlazione di effetti sulla legittimità dell’accertamento, una disposizione di legge finalizzata alla regolamentazione delle modalità di esercizio da parte dell’Amministrazione finanziaria dei poteri di controllo rimarrebbe di fatto priva di senso. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 La giurisprudenza, sottolineando come “il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale dall’articolo 2 Cost.” [54] , ha rilevato come il diritto di difesa venga leso ogni qualvolta l’atto impositivo non contenga tutti gli elementi necessari perché il contribuente possa conoscere non solo l’entità della pretesa erariale, ma anche tutti gli elementi in base ai quali essa è stata quantificata dagli Uffici, potendo concretamente valutarne l’operato e difendersi dalle argomentazioni addotte. legislativo tale da poter garantire il dovuto rispetto di questo principio costituzionale e, oramai, assodato anche in seno all’UE. Si delinea, quindi, un confine netto ai poteri del Fisco, esercitati per perseguire il meritorio interesse pubblico al contrasto dell’evasione fiscale, facendo leva sui diritti e sulle garanzie costituzionalmente riconosciuti in capo al contribuente. Elenco delle fonti fotografiche: http://abouthipaa.com/wp-content/uploads/secure_health_information_exchange_500x368.jpg [03.09.2015] 6. Considerazioni conclusive La progressiva apertura dello scenario europeo ed internazionale allo scambio di informazioni, come si è visto, di fatto imporrà (e sta già determinando) una significativa contrazione del cosiddetto “segreto bancario”. http://s.wsj.net/public/resources/images/BN-BN310_curren_E_2014021 3175225.jpg [03.09.2015] Per quanto riguarda l’Italia, si attende l’adozione della nuova Direttiva “DAC 2”, al fine di analizzare le modalità con le quali il legislatore nazionale intenderà procedere alla definizione delle specifiche procedure delineate in sede euro-unitaria e come tale implementazione andrà a combinarsi con la preesistente disciplina interna. Sicuramente, l’introduzione di quanto disposto dalla Direttiva n. 2014/107/UE amplierà enormemente lo spettro applicativo della disciplina dello scambio di informazioni, incidendo concretamente sullo scambio automatico tra gli Stati membri e gli istituti finanziari. La tutela della privacy del contribuente resterà, ancora, ancorata al diritto nazionale e, in tal senso, si auspica un intervento [1] Il segreto bancario viene implicitamente riconosciuto sin dalla più antica ed importante Legge bancaria, Regio decreto-legge n. 375/1936, nella quale veniva consacrata un’ingerenza limitata da parte dell’Ufficio finanziario, il quale rimaneva estraneo ai rapporti tra banca e contribuente, attribuendo maggiore tutela al riserbo, ossia al segreto bancario. Cfr. Serranò Maria Vittoria, Indagini finanziarie e accertamento bancario, Torino 2012. [2] L’Agenzia delle Entrate, con la propria Circolare n. 116/E del 10 maggio 1996, chiariva quali fossero le modalità con cui svolgere le indagini bancarie alla luce di quanto esposto nella predetta L. n. 413/1991, determinando in maniera specifica l’ambito oggettivo e l’ambito soggettivo di applicazione Sul fronte internazionale, infine, è evidente come gli assetti tra gli Stati si stiano velocemente modificando. Molti Paesi hanno recentemente sottoscritto la Convenzione MAAT e stanno provvedendo alla stipula di accordi di natura convenzionale bilaterale al fine di contemperare i propri interessi nel rispetto dei nuovi standards OCSE. http://laveco.com/uploads/images/news_pictures/aei.png [03.09.2015] http://www.rehmann.com/media/k2/items/cache/a71eb08b350426b28 91f71e7eadd0246_L.jpg [03.09.2015] http://cdn2.hubspot.net/hub/43760/file-605254144-jpg/images/oecd_ plans_for_the_automatic_tax_information_exchange_worldwide.jpg [03.09.2015] h t t p://w w w. b u n d e s f i n a n z m i n i s t e r i u m . d e/Co n t e n t /E N/B i l d e r/ Termine/2014-04-28-g5-declaration-automatic-exchange-of-information.jpg?__blob=normal&v=4 [03.09.2015] h t t p://gc gr a p ev i n e . co m/w p - co n te n t /u p l o a d s/2014/03/t a x . j p g [03.09.2015] http://www.dw.com/image/0,,17406474_303,00.jpg [03.09.2015] http://oxfamblogs.org/fp2p/wp-content/uploads/2015/02/eu-tax-evasion-154055656-1024x681.jpg [03.09.2015] http://portugalresident.com/sites/default/files/styles/node-detail/ public/field/image/bank.jpg?itok=8RYPANCw [03.09.2015] http://armedia.am/static/news/b/2015/05/18714.jpg [03.09.2015] delle procedure ritenute idonee. Nella Circolare de quo, inoltre, viene rappresentato uno specifico capitolo rubricato e dedicato interamente alla tutela della riservatezza delle informazioni richieste e acquistate dall’Amministrazione finanziaria. [3] Serranò Maria Vittoria, op. cit. [4] Falsitta Gaspare, Epicedio per il segreto bancario nei confronti del fisco, in: Riv. Dir. Trib., II, 1992. [5] Seppure si sia consolidato solo recentemente con la L. n. 311/2004, introduce, in relazione all’anagrafe tributaria, la funzione del corretto controllo delle posizioni reddituali, comportando un trasparente screening dei flussi finanziari. Cfr. Tremonti Giulio, Principi ispiratori della riforma fiscale, in: Rivista Guardia di Finanza, n. 2/1995, pagina 131. [6] Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 223/2006, convertito in L. n. 248/2006. [7] Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 138/2011, convertito in L. n. 148/2011. [8] Sostanzialmente si tratta di tutte le operazioni finanziarie che i clienti hanno intrattenuto con le istituzioni finanziarie, obbligate alle comunicazioni dei dati all’Anagrafe tributaria, ivi comprese quelle “fuori conto”, oltre che ogni informazione relativa ai predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali. [9] De Mita Enrico, Come attaccare gli evasori fiscali, in: Il Sole24Ore, del 22 dicembre 2011, http://w w w.ilsole24ore.com/ar t/commentie-idee/2011-12-21/come-attaccare-evasori-fiscali-214517.shtml?uuid=AaXxXXWE&refresh_ce=1 [03.09.2015]. 37 38 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 [10] Global Forum on Transparency and exchange of information for tax purposes Peer Review, Italy, 2013. [11] Il Modello CAA si divide in sezioni, le quali riguardano, rispettivamente, (i) le definizioni, (ii) il tipo di informazioni da scambiare, (iii) il tempo e le modalità di scambio, (iv) la riservatezza dei dati con le misure di salvaguardia che devono essere intraprese e rispettate, (v) la consultazione tra le autorità competenti, le modifiche e la durata del contratto, compresa la sospensione e/o il termine. [12] Approvata il 15 febbraio 2011, abroga la precedente Direttiva n. 77/779/CEE. Le disposizioni di tale Direttiva dovevano essere recepite dagli Stati membri entro il 1. gennaio 2013, posticipando, tuttavia, il termine per l’attuazione dello scambio automatico di informazioni al 1. gennaio 2015. L’Italia ha recepito tale Direttiva con il D.Lgs. n. 29 del 4 marzo 2014, in vigore dal 1. aprile 2014. [13] Vi rientrano, pertanto, le imposte sul reddito o sul patrimonio complessivo; imposte sui capital gains (realizzati o maturati); quelle su elementi di reddito o di patrimonio; le imposte sui salari e sugli stipendi corrisposti dalle imprese, oltre che quelle sui premi assicurativi. [14] Per completezza si ricorda che per quanto attiene, invece, lo scambio di informazioni nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, trova applicazione il Regolamento UE n. 904/2010, il quale prevede, sin nei considerando, lo scambio di informazioni automatico quale strumento finalizzato all’eliminazione del fenomeno delle frodi. Tale Regolamento si innesta sulla scorta del precedente Regolamento n. 1798/2003, prevedendo la creazione di un quadro generale di principi di cui avvalersi al fine di garantire la qualità delle informazioni scambiate, creare regole comuni per la raccolta dei dati e la sussistenza di un obbligo, in capo agli Stati membri, di fornire una sorta di conferma elettronica, per la verifica della correttezza dei dati del contribuente associato ad una partita IVA. Il Regolamento in analisi prevede, peraltro, la costituzione della cosiddetta Eurofisc, ossia di una commissione permanente, composta dai ventisette rappresentanti degli Stati membri finalizzata alla cooperazione tra le Amministrazioni finanziarie nazionali nell’intento di sradicare il fenomeno delle frodi IVA. [15] Ex multis, Capolupo Saverio, Più incisiva la disciplina europea sulla collaborazione amministrativa nelle imposte dirette, in: Corr. Trib., n. 16/2011. [16] Nata come proposta di modifica della Diret- tiva del 2003, presentata dalla Commissione il 13 novembre 2008 (COM[2008]727), adottata dal Consiglio UE il 24 marzo 2014. [17] Adottata dal Consiglio ECOFIN nella riunione del 9 dicembre 2014. [18] Divulgati nel luglio 2014 ed approvati nel settembre 2014 dai Ministri delle Finanze e ai governatori delle banche centrali del G-20. [19] Da intendersi quali: a) un certificato di residenza rilasciato da un ente pubblico autorizzato (per esempio, lo Stato o un’agenzia dello stesso, ovvero un Comune) dello Stato membro o di un’altra giurisdizione in cui il beneficiario dei pagamenti afferma di essere residente; b) con riferimento a una persona fisica, un documento d’identità valido rilasciato da un ente pubblico autorizzato (per esempio, lo Stato o un’agenzia dello stesso, ovvero un Comune), contenente il nome della persona fisica e che viene comunemente utilizzato ai fini identificativi; c) con riferimento a un’entità, la documentazione ufficiale rilasciata da un ente pubblico autorizzato (per esempio, lo Stato o un’agenzia dello stesso, o un Comune), contenente la denominazione dell’entità nonché l’indirizzo della sua sede principale nello Stato membro o in altra giurisdizione di cui l’entità dichiara di essere residente ovvero lo Stato membro o altra giurisdizione in cui l’entità stessa è legalmente costituita o organizzata; d) i bilanci sottoposti a revisione, le informative commerciali ai terzi, le istanze di fallimento o le relazioni dell’autorità di regolamentazione del mercato mobiliare. [20] I dati rintracciabili elettronicamente, conservati dall’istituto finanziario richiesto, riguardano (i) l’identificazione del titolare del conto come residente di uno Stato membro; (ii) l’attuale indirizzo postale o di residenza (compresa una casella postale) in uno Stato membro; (iii) uno o più numeri telefonici in uno Stato membro e nessun numero di telefono nello Stato membro dell’istituzione finanziaria tenuta alla comunicazione; (iv) ordini di bonifico permanente (diversi da quelli relativi al conto di deposito) a favore di un conto intrattenuto in uno Stato membro; (v) la procura o la potestà di firma attualmente valida, conferita ad un soggetto con un indirizzo in uno Stato membro, oppure (vi) indirizzo di fermo posta o “c/o” in uno Stato membro qualora l’istituzione finanziaria tenuta alla comunicazione non disponga di nessun altro indirizzo nel fascicolo relativo al titolare del conto. [21] È previsto, però, che tali autocertificazio- ni vengano corroborate da ulteriori elementi ab extrinseco fornite dagli stessi titolari del conto, quali, ad esempio, le ulteriori documentazioni richieste dagli istituti finanziari. Qualora l’istituto abbia conoscenza o ha motivo di essere a conoscenza del fatto che l’autocertificazione fornita sia inesatta o inattendibile, l’istituto non può utilizzare la certificazione originaria e doverne acquisire una nuova e diversa che sia ritenuta attendibile. [22] Restano precluse, nello specifico, IVA, dazi doganali e contributi previdenziali. [23] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2014. [24] Sostitutivo dell’accordo, risalente al 2005, tra la Svizzera e l’UE sulla fiscalità del risparmio. [25] “L’obiettivo del TIEA è quello di fissare lo standard di ciò che può ritenersi rappresentare un effettivo scambio di informazioni for the purposes of the OCSE’s iniziative on harmful tax practices” (Valente Piergiorio, I tax Information Exchange Agreements [TIEAs], Disposizioni Ocse su scambio di informazioni con paradisi fiscali, in: Il fisco, n. 35/2009. [26] Cfr. articolo 5, paragrafo 1, punto 43 del Commentario. Si rappresenta che il Global Forum on Taxation dell’OCSE ha pubblicato nel 2008 un documento ove era delineato l’esito di un accertamento effettuato in 83 Paesi, intitolato: Tax Cooperation: towards a level playing field. 2008 Assessment by the Global Forum on Taxation, in cui si rilevava come solo sei Paesi mantenessero ancora, nelle proprie richieste, il contestuale domestic tax interest dello Stato richiesto, come condizione per procedere allo scambio. [27] Valente Piergiorgio, op. cit., pagine 1-5781. [28] Nel 1988, promossa unitamente dal Consiglio d’Europa e dall’OCSE, veniva sottoscritta a Strasburgo la Convenzione sulla Mutua Assistenza Amministrativa (MAAT). [29] In proposito, si rileva come recentissimamente, il 4 marzo 2015 anche la Russia vi ha aderito. [30] Quali l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), imposta sul reddito delle società (IRES), imposte sostitutive delle imposte sui redditi, comunque denominate; imposta regionale sulle attività produttive (IRAP); imposta sul valore aggiunto (IVA), imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, l’allora vigente imposta comunale sugli immobili (ICI). [31] Tale assistenza amministrativa deve intendersi, tuttavia, limitata ai tre anni precedenti l’entrata in vigore della convenzione, cfr. articolo 30, paragrafo 1, lettera f Convenzione MAAT. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 [32] Selicato Pietro, Scambio di informazioni, contraddittorio e statuto del contribuente, in: Rass. Trib., n. 2/2012. [33] Se gli “atti, documenti, informative sono scambiati in virtù di specifiche convenzioni con reciproca efficacia, che ne autorizzano la trasmissione e l’utilizzazione ufficiale, si ha piena ed assoluta possibilità di impiegarli in Italia come mezzi di prova” (Sacchetto Claudio, L’evoluzione della cooperazione internazionale fra le Amministrazioni finanziarie statali in materia di Iva e di imposte dirette: scambio di informazioni e verifiche “incrociate” internazionali, in: Boll. Trib., 1990. [34] In ambito europeo si ha una “sostanziale parificazione delle prove” in quanto gli atti amministrativi stranieri diventano “atti aventi efficacia analoga a quella degli Stati nazionali e non saranno più ‘meri fatti o notizie’” (Sacchetto Claudio, op. cit.). [35] “Informazioni, relazioni, attestati e altri documenti, o copie conformi o estratti degli stessi, ottenuti dall’autorità richiedente in conformità della presente direttiva possono essere addotti come elementi di prova dagli organi competenti dello Stato membro richiedente allo stesso titolo di informazioni, relazioni, attestati e altri documenti equivalenti trasmessi da un’autorità di tale Stato membro” (articolo 16, paragrafo 5 Direttiva n. 2011/16/UE). [36] Tomassini Antonio, Sullo scambio di informazioni tra Stati UE i giudici tributari contemperano l’interesse pubblico al contrasto dell’evasione con la tutela del contribuente, in: GT-Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 9/2010. In tal senso anche Selicato Pietro, op. cit. [37] Corte Costituzionale n. 65/1968 e n. 22/1971. [38] La Sentenza n. 51/1992 affermava la non illegittimità della trasmissione agli uffici fiscali da parte della Guardia di Finanza dei dati raccolti in sede penale, riconoscendo come prevalente l’esigenza di conoscenza delle posizioni finanziarie dei contribuenti assoggettati ai poteri istruttori. [39] Tale pronuncia si staglia, pertanto, quale antecedente della cosiddetta Legge sulla privacy – L. n. 675/1996 –, del Regolamento istitutivo dell’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito – D.M. n. 269/2000 -, e del D.Lgs. n. 196/2003, attuale normativa che tutela il trattamento dei dati sensibili. Ai sensi dell’articolo 18 D.Lgs. n. 196/2003 “Qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali”. [40] Cfr. Parere del Garante europeo della protezione dei dati sulla proposta di Direttiva del Consiglio relativa alla cooperazione ammini- strativa nel settore fiscale in data 20 aprile 2010 (2010/C 101/01 G.U.U.E. n. C. 101). [41] Il Garante europeo della protezione dei dati aveva affermato che la proposta “contiene alcuni elementi che non ottemperano ai requisiti applicabili in materia di protezioni dei dati”, invitando il Consiglio a provvedere ad “uno sviluppo del sistema di cooperazione amministrativa rispettoso del diritto alla protezione dei cittadini europei”. Si rileva come, a seguito di tali osservazioni, siano stati introdotti nel testo della Direttiva il Considerando n. 27 e l’articolo 25. [42] Cherchi Antonello, Il Garante Privacy: contro l’evasione troppi dati al Fisco, in: Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2012, http://www.ilsole24ore.com/art/ norme-e-tributi/2012-01-14/garante-privacycontro-evasione-081612.shtml?uuid=AaArxwdE [03.09.2015]. [43] Più precisamente, l’articolo 66 del Codice, relativo a disposizioni in “Materia tributaria e doganale”, considera di “rilevante interesse pubblico […] le attività dei soggetti pubblici dirette all’applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti, ai sostituti d’imposta, nonché in materia di deduzioni e detrazioni e per l’applicazione delle disposizioni la cui esecuzione è affidata alle dogane”. [44] C-276/12, Sabou, paragrafo 36. [45] Il principio di specialità si configura come una regola dell’ordinamento dell’Unione che ha “effetto diretto che origina obblighi agli Stati e diritti alle persone coinvolte da questa” (cfr. Terra Ben J.M./Wattel Peter J., European Tax Law, Kluwer Law International, 4/2005, pagina 689). [46] Il primo, come noto, obbliga a fornire allo Stato membro che ne faccia richiesta il medesimo trattamento eventualmente di maggior favore, laddove previsto in via convenzionale tra lo Stato membro di cui viene richiesta l’assistenza e uno Stato terzo; il secondo condiziona, invece, direttamente l’ordinamento interno degli Stati membri nell’imporre un unico complesso normativo che regoli le procedure amministrative volte a fornire l’informazione e nel garantire la “diligenza” dell’Amministrazione tributaria dinanzi ad una richiesta effettuata da un altro Stato membro (Martin F. F., La tutela nazionale del contribuente nello scambio comunitario di informazioni). [47] CGUE, Sentenze del 21 gennaio 2010, Alstom Power Hydro, C-472/08; del 17 novembre 1998, Aprile, C-228/96; del 21 settembre 1983, Deutsche Milchkontor ed altri, C-205/82 e C-215/82. [48] Secondo la CGUE, dunque, l’autonomia procedurale “deve essere contemperata con l’esigenza di uniforme applicazione del Diritto comunitario, per evitare disparità di trattamento fra gli operatori economici” (Milchkontor, C-205/82 e C-215/82). Precedentemente, si veda, Schlueter, C-94/71. In questo senso anche Peter, C-290/91; Dominikanerinnen-KlosterAltenhohenau, C-285/93; Karlsson, C-292/97. La stessa ha affermato, inoltre, che per dare attuazione ad una normativa dell’UE “è possibile valersi delle norme nazionali solo nella misura necessaria per l’attuazione delle disposizioni di diritto comunitario e sempre che l’applicazione delle norme nazionali non limiti la portata e l’efficacia del diritto comunitario stesso” (C-39/70, Fleischkontor; C-146, 192 e 193/81, BayWa AG). [49] Cfr. Cass. Sez. trib. 30.10.2002, n. 15319; 5 agosto 2002, n. 11669; 24 agosto 2002, n. 19817; 3 dicembre 2001, n. 15234. [50] Cass. Sez. I, 9 novembre 1997, n. 11036; Cass. Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7368; Cass. Sez. trib., 21 luglio 2009, n. 16874. Ad esempio, gli accertamenti emessi sulla base delle “liste” sarebbero illegittimi, in quanto emessi sulla base di dati illegittimamente acquisiti e, quindi, inutilizzabili. In tal senso, si veda CTP Avellino, n. 222/05/12 e 224/05/12 del 31 gennaio 2012; CTP di Como n. 188/01/11 del 15 novembre 2011; CTP di Lecco n. 93/03/13 del 15 luglio 2013 e n. 175/01/12 dell’11 dicembre 2012; CTP Milano n. 263/05/12 del 4 ottobre 2012 e n. 196/25/12 del 6 novembre 2012; CTP di Verbania n. 15/1/13 del 21 febbraio 2013; CTR Lombardia n. 11/20/13 del 28 gennaio 2013; CTR Umbria n. 141/1/13 del 28 ottobre 2013; CTP Verbania n. 47/02/12 del 5 novembre 2012. [51] CTP Mantova, Sez. I, Sent. 27 maggio 2010 n. 137; Tomassini Antonio, op. cit. [52] CTR Roma, Sez. XXXVIII, 13 settembre 2007, n. 197; CTR Trieste, Sez. XI, 20 febbraio 2008, n. 9; CTR Bari, Sez. XIV, 11 luglio 2008, n. 67; CTP Mantova, Sez. I, 19 febbraio 2009, n. 15; CTR Firenze, Sez. XXIX, 22 settembre 2009, n. 96; CTR Firenze, Sez. VIII, 23 ottobre 2009, n. 68; CTR Reggio Emilia, Sez. IV, 1. febbraio 2012, n. 10; CTR Torino, Sez. XXVII, 25 gennaio 2012, n. 13; CTR Genova, Sez. VIII, 24 agosto 2012, n. 97. [53] Cass. Sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 631; Cass. Sez. trib., 20 febbraio 2013, n. 4140. [54] Cass. Sez. trib., 28 luglio 2011, n. 16570. 39 40 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Quale limite massimo d’età per richiedere un riscatto di anni d’assicurazione? Sacha Cattelan Bachelor of Science SUPSI in Economia aziendale Assistente SUPSI Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale di Appello del Cantone Ticino, del 27 marzo 2014, n. 80.2013.270 – Articoli 37b LIFD, 11 capoverso 5 LAID e 37b LT 1. Considerazioni introduttive L’articolo 37b della Legge federale sull'imposta federale diretta (di seguito LIFD), introdotto dalla Legge federale del 23 marzo 2007 sulla Riforma II dell’imposizione delle imprese, è in vigore dal 1. gennaio 2011. In base al Messaggio del Consiglio federale del 22 giugno 2005[1] che peraltro ancora non prevedeva un’imposta annua intera, scopo della norma è l’attenuazione dell’onere fiscale per chi cessa o liquida definitivamente un’impresa. Difatti, a causa della progressività dell’imposta, l’inclusione dell’utile di liquidazione nel reddito imponibile può comportare un onere fiscale eccessivo. La disposizione introduce quindi la possibilità di tassare in forma agevolata gli utili di liquidazione dell’attività lucrativa indipendente. La condizione affinché possano essere date le premesse per un’agevolazione della tassazione – identica a quella prevista per gli articoli 11 capoverso 5 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) e 37b della Legge tributaria del Canton Ticino (di seguito LT) – è che vi sia cessazione definitiva dell’attività lucrativa indipendente a causa del raggiungimento dei 55 anni oppure per uno stato di invalidità. L’agevolazione, così come definita al termine della procedura legislativa, consiste nel fatto che le riserve occulte dei due anni che precedono la cessazione dell’attività sono sommate e assoggettate a un’imposta annua intera separata dagli altri redditi del contribuente. Questo vale sia per gli utili di liquidazione da tassare come previdenza professionale sia per gli utili di liquidazione restanti dopo detrazione del vuoto previdenziale. Si tratta, quindi, di due distinte imposte annue intere[2]. 2. La fattispecie sotto esame Il contribuente X (classe 1938), coniugato con Y, gestiva un’attività lucrativa indipendente di noleggio di motoscafi e pedalò. Il 3 gennaio 2011, X ha ceduto l’attività all’associazione N, indicando nella dichiarazione ai fini dell’imposta annua intera, un prezzo di vendita di 465’000 franchi. La lacuna previdenziale fittizia fatta valere ammontava a 495’600 franchi. Con notifica del 29 maggio 2013, l’Ufficio di tassazione di Lugano Città commisurava l’utile netto di liquidazione in 368’400 franchi, non riconoscendo alcun riscatto fittizio di anni d’assicurazione al secondo pilastro ai coniugi XY, i quali, lamentando la mancata considerazione di una lacuna previdenziale fittizia, impugnarono la suddetta decisione con reclamo del 5 giugno 2013. Con scritto del 19 settembre 2013, l’autorità di tassazione confermò la propria posizione asserendo che: “[…] il riscatto fittizio può essere riconosciuto fino a quando un riscatto è possibile secondo la LPP; in altre parole, per tutti i contribuenti che, non essendo iscritti a Istituti di previdenza professionale non hanno ancora raggiunto l’età ordinaria di pensionamento AVS (65 anni). Per i contribuenti iscritti a Istituzioni previdenziali, il termine (oltre 65 anni, fino a 70 anni) può essere modificato in relazione a quanto stabilito dai relativi piani previdenziali. Nel caso del contribuente X, che ha cessato l’attività a 73 anni, oltre il limite di 65 anni (non iscritto al II° pilastro), non si verifica l’esistenza di una lacuna previdenziale fittizia”. In occasione di un’udienza tenutasi il successivo 8 ottobre 2013, i contribuenti confermavano il reclamo, chiedendo nuovamente che dall’utile di liquidazione fosse dedotta una lacuna previdenziale fittizia di 495’600 franchi. L’autorità di tassazione respingeva il reclamo, con separate decisioni del 9 ottobre 2013, nelle quali ribadiva che potevano beneficiare dell’imposizione di un riscatto fittizio, tassato separatamente con l’aliquota privilegiata degli articoli 38 LT e 38 LIFD, unicamente i contribuenti che al momento della cessazione definitiva della propria attività non avevano ancora raggiunto l’età di pensionamento AVS ordinaria (65 anni gli uomini, 64 anni le donne). Con tempestivo ricorso alla Camera di diritto tributario (di seguito CDT), i coniugi XY chiedono l’annullamento delle decisioni impugnate e l’imposizione di un riscatto fittizio di anni d’assicurazione in base agli articoli 38 LT e 38 LIFD. Secondo i ricorrenti, infatti, Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 vi è un errore d’interpretazione degli articoli 37b LT e 37b LIFD in quanto il limite d’età di pensionamento ordinario AVS varrebbe solamente per il calcolo degli anni di riscatto, non invece quale termine per richiedere la deduzione di una lacuna fittizia. 3. Gli articoli 37b LIFD e 37b LT e la loro interpretazione Secondo l’articolo 37b capoverso 1 LIFD, in caso di cessazione definitiva dell’attività lucrativa indipendente dopo il compimento dei 55 anni o per incapacità di esercitare tale attività in seguito a invalidità, le riserve occulte realizzate nel corso degli ultimi due esercizi sono sommate e imposte congiuntamente, ma separatamente dagli altri redditi. I contributi di riscatto conformemente all’articolo 33 capoverso 1 lettera d LIFD sono deducibili. Se non vengono effettuati simili riscatti, l’imposta sull’importo delle riserve occulte realizzate per il quale il contribuente giustifica l’ammissibilità di un riscatto secondo l’articolo 33 capoverso 1 lettera d LIFD è calcolata su un quinto della tariffa di cui all’articolo 36 LIFD. Per la determinazione dell’aliquota applicabile all’importo restante delle riserve occulte realizzate è determinante un quinto di questo importo restante, ma in ogni caso è riscossa un’imposta a un’aliquota del 2% almeno. L’articolo 37b LT, vincolato dall’articolo 11 capoverso 5 LAID ed il cui testo di legge si rifà a quello federale, prevede che per la determinazione dell’aliquota applicabile all’importo restante delle riserve occulte realizzate sono determinanti le aliquote dell’articolo 35 LT. Per costante giurisprudenza, una norma va innanzitutto interpretata secondo il suo tenore letterale (interpretazione letterale). Se il testo legale non è del tutto chiaro, o se più interpretazioni si prestano, il giudice è tenuto a ricercare il vero significato della norma, deducendolo dalle relazioni che intercorrono tra essa e altre disposizioni legali e dal contesto legislativo in cui si inserisce (interpretazione sistematica), dal fine che la norma persegue o dall’interesse tutelato (interpretazione teleologica), nonché dalla volontà del legislatore (interpretazione storica), così come essa traspare dai materiali legislativi. Se il testo di legge è chiaro, l’autorità chiamata ad applicare il diritto può distanziarsene soltanto se sussistono motivi fondati per ritenere che la sua formulazione non rispecchi completamente il vero senso della norma. Simili motivi possono risultare dai materiali legislativi, dallo scopo della norma, come pure dalla relazione tra quest’ultima e altre disposizioni[3]. Tornando al caso in esame, l’interpretazione letterale degli articoli 37b capoverso 1 LIFD e 37b capoverso 1 LT lascerebbe presupporre che esclusivamente gli indipendenti affiliati ad un istituto di previdenza possono richiedere l’imposizione di un riscatto fittizio. Essi sono infatti gli unici a poter giustificare l’ammissibilità di un riscatto sulla base degli articoli 33 capoverso 1 lettera d LIFD e 32 capoverso 1 lettera d LT. Analizzando i dibattiti parlamentari si evince tuttavia che la volontà del legislatore era quella di garantire a tutti i lavoratori indipendenti, e non soltanto a quelli affiliati ad un istituto di previdenza professionale, il diritto di richiedere l’imposi- zione di un riscatto fittizio di anni d’assicurazione al secondo pilastro. L’idea di base era infatti quella di porre sullo stesso piano salariati e indipendenti, compresi quelli che hanno deciso di reinvestire i loro risparmi nell’azienda, rinunciando così a un’adeguata copertura assicurativa[4]. Un diverso trattamento degli indipendenti affiliati o meno ad un istituto di previdenza violerebbe il principio della parità di trattamento ed obbligherebbe quest’ultimi ad iscriversi ad una cassa pensione al solo scopo di poter beneficiare della tassazione agevolata dell’utile di liquidazione[5]. 4. La giurisprudenza del Tribunale federale In una recente sentenza il Tribunale federale ha avuto modo di precisare lo scopo delle norme in discussione, definendo in particolare che tutti gli indipendenti che cessano definitivamente la propria attività lucrativa dopo il compimento dei 55 anni o per incapacità di esercitare tale attività in seguito a invalidità possono richiedere l’imposizione di un riscatto fittizio nel secondo pilastro (dopo deduzione di un eventuale riscatto effettivo). La sola condizione è che il contribuente dimostri che un riscatto in un istituto di previdenza sarebbe ancora possibile secondo la Legge federale sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (di seguito LPP)[6]. I ricorrenti contestano però che il limite dell’età ordinaria di pensionamento AVS, richiamato dall’articolo 6 capoverso 2 dell’Ordinanza concernente l’imposizione degli utili di liquidazione in caso di cessazione definitiva dell’attività lucrativa indipendente (OULiq), si riferisce unicamente al computo degli anni di contribuzione determinanti e, più in generale, ai criteri di calcolo del vuoto previdenziale[7]. Secondo l’Alta Corte, ciò non significa tuttavia ancora che gli indipendenti possano richiedere un riscatto fittizio di anni d’assicurazione nel secondo pilastro senza termini d’età. Come accennato sopra, gli stessi giudici federali hanno chiaramente stabilito che un riscatto fittizio può essere richiesto solo entro i limiti della citata LPP. Detto diversamente, un riscatto fittizio è ammesso fintantoché sarebbe ancora possibile, in base al diritto della previdenza professionale, versare un contributo obbligatorio o facoltativo nel secondo pilastro. 41 42 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 5. Il diritto previdenziale Secondo gli articoli 13 capoverso 1 LPP e 62a capoverso 1 dell’Ordinanza sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (di seguito OPP2), hanno diritto alle prestazioni di vecchiaia gli uomini che hanno compiuto i 65 anni e le donne che hanno compiuto i 64 anni. L’articolo 13 capoverso 2 LPP ammette tuttavia che le disposizioni regolamentari dell’istituto di previdenza possano stabilire, in deroga al capoverso 1, che il diritto alle prestazioni di vecchiaia sorga alla cessazione dell’attività lucrativa. In questo caso, l’aliquota di conversione (articolo 14) è corrispondentemente adattata. Tuttavia, secondo la CDT, nessun regolamento previdenziale può prevedere la protrazione della prestazione di vecchiaia oltre i 70 anni e, per logica conseguenza, oltre tale età non è nemmeno più possibile richiedere un riscatto di anni d’assicurazione, sia esso effettivo o fittizio. Il ricorso dei coniugi XY è così stato respinto. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2013/10/ franchi-svizzeri.jpg [03.09.2015] Il 1. gennaio 2011 è entrato in vigore l’articolo 33b LPP, secondo cui, nel suo regolamento, l’istituto di previdenza può prevedere la possibilità per l’assicurato di chiedere che la sua previdenza sia protratta fino alla conclusione dell’attività lucrativa, ma al massimo fino al compimento dei 70 anni. Nel Messaggio con cui ha illustrato la proposta di introdurre la disposizione in discussione, il Consiglio federale ha inoltre lasciato al regolamento della cassa pensione la libertà di prevedere la continuazione del versamento di contributi, siano essi obbligatori o facoltativi[8]. Al riguardo il Consiglio federale si è così espresso: “[…] mentre per alcuni assicurati la possibilità di continuare a versare i contributi e di migliorare dunque le future prestazioni può fornire un incentivo a lavorare oltre l’età di pensionamento, per altri l’obbligo di versare ulteriori contributi potrebbe rivelarsi demotivante. Per tener conto delle diverse esigenze, è necessario adottare un approccio personalizzato. Per questo, deve essere l’assicurato a richiedere esplicitamente l’ulteriore versamento di contributi previdenziali dopo l’età di pensionamento” [9]. 6. Le conclusioni della CDT Allineandosi alle considerazioni dottrinali, la CDT sottolinea che, se il regolamento dell’istituto di previdenza prevede, oltre al rinvio della prestazione di vecchiaia, anche la possibilità per l’assicurato di continuare a versare contributi con l’intento di migliorare le future prestazioni, questi sono senza alcun dubbio deducibili secondo l’articolo 33 capoverso 1 lettera d LIFD. Sorge a questo punto spontaneo chiedersi se anche l’imposizione di un riscatto fittizio possa essere prorogata oltre l’età ordinaria di pensionamento (65 anni per gli uomini e 64 anni per le donne) e tuttalpiù se un simile diritto spetti esclusivamente ai contribuenti affiliati ad un istituto di previdenza oppure a tutti i contribuenti. La fattispecie sotto esame non necessita di una risposta in questo senso in quanto il contribuente X aveva già compiuto 73 anni al momento della cessione dell’attività. [1] Foglio federale 2005 4241. [2] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, La fiscalità dell’azienda nel nuovo diritto federale e cantonale ticinese, Mendrisio 2010, pagina 503 e seguenti. [3] Sentenza CDT n. 80.2007.121 del 22 ottobre 2008, consid. 3.3; DTF 129 I 12 consid. 3.3; 128 II 56 consid. 4; 66 consid. 4a; 128 I 34 consid. 3b; 126 II 71 consid. 6d. [4] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, op. cit., pagina 495. [5] Bollettino Ufficiale 2007 del Consiglio nazionale, pagina 312. [6] Sentenza TF n. 2C_809/2011 del 29 luglio 2012, in: ASA 81 pagina 497, in particolare consid. 3.5. [7] Circolare n. 28 dell’Amministrazione federale delle contribuzioni del 3 novembre 2010, cifra 5.2. [8] Ufficio federale delle assicurazioni sociali, Bollettino della previdenza professionale n. 121 del 6 gennaio 2011, cifra 775. [9] Foglio federale 2007 5199, pagina 5250. Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano I prelevamenti bancari ingiustificati non provano più compensi occulti Caterina Vanetti Dottore Commercialista e Revisore Contabile, Varese Cultore della materia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la presunzione contenuta nell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, ma solo limitatamente ai lavoratori autonomi 1. La presunzione contenuta nell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973 Prima di entrare nel merito della pronuncia della Corte Costituzionale, è bene ricordare cosa si intende per presunzione fiscale e cosa stabilisce la presunzione contenuta nell’articolo 32, comma 1, n. 2), secondo periodo del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973. “relative”, per le quali è consentito al contribuente accertato di dimostrare l’insussistenza della pretesa impositiva. In tema di indagini bancarie, il Legislatore italiano statuisce, mediante la presunzione legale relativa contenuta nell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, che “i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati […] sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41[1] se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”. In altre parole, la disposizione citata prevede che, in caso di accertamento del reddito mediante l’ausilio di dati bancari, gli organi verificatori possano accertare ricavi o compensi non dichiarati (fatto ignoto) in presenza di: Si definisce “presunzione fiscale” quel ragionamento logicointuitivo con il quale, dalla conoscenza di un fatto noto, si deduce la prova di un fatto ignoto. Nel diritto tributario italiano, le presunzioni fiscali possono essere di due tipologie: le presunzioni semplici e le presunzioni legali. Per le presunzioni semplici, i fatti sui quali si fondano devono essere provati in giudizio e il relativo onere probatorio grava sull’Amministrazione finanziaria, la quale deve dimostrare che gli elementi presuntivi, posti a base della pretesa impositiva, abbiano i caratteri di gravità, precisione e concordanza. Le presunzioni legali, invece, sono quelle il cui valore probatorio è riconosciuto dalla legge e che da sole sono sufficienti a legittimare la rettifica del reddito imponibile, addossando l’onere della prova contraria a carico del contribuente. Le presunzioni legali si suddividono a loro volta in presunzioni “assolute”, per le quali non è ammessa la prova contraria, e in presunzioni ◆◆ versamenti di denaro (fatto noto) sul conto corrente non considerati nella determinazione del reddito, a meno che il contribuente dimostri che le somme accreditate siano estranee rispetto all’attività economica esercitata; ◆◆ prelevamenti di denaro (fatto noto), se il contribuente non ne indica il beneficiario e se tali operazioni non risultano dalla contabilità. Mentre nella prima fattispecie la ratio tra fatto noto e fatto ignoto è evidente (se deposito in banca denaro a cui non corrisponde un documento contabile, significa che si tratta di ricavi non dichiarati ai fini del reddito), nel secondo caso, invece, si applica il ragionamento secondo il quale un’uscita finanziaria non giustificata abbia spesato acquisti non contabilizzati di beni o servizi impiegati nell’attività che, conseguentemente, abbiano dato origine a vendite o prestazioni non fatturate. In entrambe le fattispecie, il contribuente accertato può sempre dimostrare l’insussistenza della pretesa tributaria mediante l’utilizzo di prove contrarie, in quanto la maggiore imposta viene stimata tramite l’utilizzo di una presunzione legale relativa. 43 44 Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Fino alla pronuncia della Corte Costituzionale, la presunzione sopra descritta, in particolare la parte relativa ai prelevamenti, ha operato sia nei confronti di titolari di reddito d’impresa sia nei confronti di titolari di reddito di lavoro autonomo. Nel 2004, infatti, il Legislatore intervenne nella norma, ampliando la platea dei soggetti coinvolti da tale presunzione, mediante l’inserimento nel testo di legge della locuzione “o compensi”. Proprio tale locuzione è stato l’oggetto della sentenza in esame. 2. La sentenza n. 228/2014 Nell’ottobre dell’anno appena passato, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla presunzione in tema di indagini bancarie ed ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, D.P.R. n. 600/1973 – nella parte relativa ai prelevamenti non giustificati – limitatamente alle parole “o compensi”. La Corte è giunta a questa conclusione facendo i seguenti rilievi: a) la presunzione in esame si fonda sull’esistenza di una doppia correlazione in base alla quale “in assenza di giustificazione, deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati”; b) nonostante le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo siano per molti aspetti assimilabili, “esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata”; c)infatti, la doppia correlazione, in base alla quale un prelevamento ingiustificato dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo, trova il suo fondamento logico nel nesso esistente tra costi e ricavi che è tipico del mondo imprenditoriale; di conseguenza, tale presunzione non può essere correttamente applicata in capo ai lavoratori autonomi in virtù delle differenze esistenti tra le figure dell’imprenditore e del professionista. La stessa definizione, sia civilistica che fiscale, di “lavoro autonomo” implica, infatti, la presenza di un’attività caratterizzata dalla preminenza del lavoro personale e dalla marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità, secondo la Corte, “assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali”; d) infine, nella maggioranza dei casi, il reddito di lavoro autonomo viene determinato tramite un sistema di tenuta della contabilità semplificata e non sussiste l’obbligo di destinare un conto corrente[2] allo svolgimento dell’attività. Tali condizioni produrrebbero, secondo i giudici costituzionali, “un’inevitabile promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”. Pertanto, alla luce dei rilievi sopra elencati, la Corte ha ritenuto che la presunzione in esame, se applicata ai contribuenti titolari di reddito di lavoro autonomo, sia lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. 3. L’applicazione della norma dichiarata illegittima La pronuncia dei giudici costituzionali è destinata ad avere un grande impatto sulla futura attività accertatrice degli uffici nei confronti dei lavori autonomi ed, inevitabilmente, inizia ad avere effetti anche sui giudizi pendenti presso le Commissioni tributarie. Da quando è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma sulle indagini finanziarie, nella parte sopra descritta, sono già state depositate alcune sentenze che applicano la pronuncia della Corte Costituzionale, cambiando così l’orientamento di diritto finora sostenuto in vari provvedimenti giurisdizionali[3]. Ad esempio, la Corte di Cassazione, nella sua sentenza n. 25295/2014, ha dichiarato infondato il ricorso dell’ufficio proprio alla luce della pronuncia di illegittimità dell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui prevede una presunzione legale di maggiori compensi se il lavoratore autonomo non è in grado di fornire indicazioni sui prelevamenti. In tale sentenza, inoltre, viene precisato che la Corte di Cassazione non può sindacare la decisione del Giudice di merito che ha ritenuto giustificate le movimentazioni del contribuente sul proprio conto corrente, avendo fornito una documentazione idonea a superare la presunzione in oggetto. Stesso principio viene applicato anche in una più recente pronuncia della Cassazione [4] nella quale viene ribadita l’illegittimità di equiparare i prelevamenti bancari ingiustificati con compensi non dichiarati, anche quando si è in presenza di un conto cointestato tra professionista e coniuge, condizione questa in cui si verifica la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese personali e professionali. Tuttavia, in questa pronuncia, la Corte di Cassazione non ha dispensato il contribuente – lavoratore autonomo dall’onere di dimostrare che i versamenti sul conto corrente, anche se effettuati dal coniuge, avessero natura extra professionale, in modo tale da vincere la presunzione legale che opera anche per i conti cointestati. Conclusivamente, è necessario sottolineare che la decisione della Corte Costituzionale esaminata in questo contributo non è tanto fondata su considerazioni giuridiche, bensì su valutazioni specifiche relative alle peculiarità dei lavoratori autonomi, quali l’apparato organizzativo minimo, la prevalenza del carattere personale della prestazione e la possibile promiscuità delle spese personali e professionali. Tale circostanza, secondo parte della dottrina, potrebbe portare all’estensione degli effetti di questa sentenza anche ai piccoli imprenditori ed artigiani, la cui attività viene svolta con modalità simili a quelle appena descritte e con analoghi obblighi contabili. Personalmente, non ritengo questa posizione del tutto condivisibile, in quanto credo che, sebbene la presunzione in tema di indagini bancarie sia scomoda e difficile da confutare, la correlazione tra costi e ricavi sia una caratteristica sostanziale dell’attività d’impresa, anche se di piccole dimensioni o se svolta in modo artigianale. Novità fiscali / n.9 / settembre 2015 Per maggiori informazioni: Articolo 32 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, in: http://def.finanze.it/DocTribFrontend/callRicAvanzataNormativa. do?js_enabled=1&reset=y [03.09.2015] Sentenza Corte Costituzionale n. 228 del 6 ottobre 2014, in: http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=228 [03.09.2015] Elenco delle fonti fotografiche: http://liberamb.altervista.org/wp-content/uploads/2015/04/cassazione-corte.jpg [03.09.2015] [1] Gli articoli indicati prendono in esame i metodi di accertamento, utilizzati dagli uffici finanziari, per i redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche. In particolare, si tratta dei seguenti articoli, contenuti nel D.P.R. n. 600/1973: articolo 38 – Rettifica della dichiarazione delle persone fisiche; articolo 39 – Redditi determinati in base alle scritture contabili; articolo 40 – Rettifica delle dichiarazioni dei soggetti diversi dalle persone fisiche; articolo 41 – Accertamento d’ufficio. [2] Si fa presente che nel 2006 fu introdotto l’obbligo, per le persone fisiche che esercitavano arti e professioni, di utilizzare un conto corrente bancario sul quale far confluire i proventi derivanti dall’attività professionale. Tale disposizione aveva il fine di consentire un maggior controllo in fase di verifica. Nel 2008 tale norma venne definitivamente abrogata. [3] Si fa presente che il principio, ora dichiarato illegittimo, era sempre stato difeso dalla Corte di Cassazione. A tal proposito si vedano le sentenze n. 14041/2011 e n. 802/2011. [4] Sentenza della Corte di Cassazione n. 4585/2015. 45 46 Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario Sì, sono interessata/o e desidero ricevere maggiori informazioni sui seguenti corsi: Seminari □ Le novità in ambito di fiscalità Dati personali Nome internazionale italiana 15 ottobre 2015, Cadempino □ Il disegno di legge sulla Riforma III delle imprese 19 novembre 2015, Manno Cognome Telefono E-mail Indicare l’indirizzo per l’invio delle comunicazioni Azienda/Ente Via e N. NAP Località Data Firma Inviare il formulario Per posta SUPSI Centro competenze tributarie Palazzo E Via Cantonale 16e CH-6928 Manno Via e-mail [email protected] Via fax +41 (0)58 666 61 76 □ Novità legislative in ambito fiscale 3 dicembre 2015, Cadempino