Novità fiscali

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 9 – settembre 2015
Politica fiscale
Fonti di finanziamento della Confederazione in discussione?
E se fosse tempo di amnistia?
La “mini-amnistia” è così poco attrattiva per far
riemergere i capitali nascosti?
Sono maturi i tempi per l’amnistia fiscale?
Diritto tributario svizzero
Il regime fiscale degli espatriati in Svizzera
Diritto tributario italiano
Voluntary disclosure e imposta di successione: quando
scatta la regolarizzazione della dichiarazione e l’obbligo
di corrispondere la relativa imposta?
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Cambio di prospettive sullo scambio di informazioni:
attualità ed evoluzione dello scenario europeo e italiano
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Quale limite massimo d’età per richiedere un riscatto
di anni d’assicurazione?
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
I prelevamenti bancari ingiustificati non provano
più compensi occulti
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Seminari e corsi di diritto tributario
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Introduzione
Novità fiscali
09/2015
Redazione
SUPSI
Centro di competenze
tributarie
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ISSN 2235-4573 (Online)
Redattore responsabile
Samuele Vorpe
Comitato redazionale
Flavio Amadò
Elisa Antonini
Paolo Arginelli
Sacha Cattelan
Rocco Filippini
Roberto Franzè
Marco Greggi
Giordano Macchi
Giovanni Molo
Andrea Pedroli
Sabina Rigozzi
Curzio Toffoli
Samuele Vorpe
Impaginazione e layout
Laboratorio cultura visiva
Il numero di settembre si apre con un contributo di
Samuele Vorpe sulle fonti di finanziamento della
Confederazione. Un ampio spazio è poi dedicato
all’amnistia fiscale federale, rilanciata da Fabio
Regazzi dopo che il Tribunale federale, con decisione
del 30 marzo scorso, ha precluso ogni possibilità
di future amnistie cantonali. NF mette a confronto
le opinioni dello stesso Fabio Regazzi, di Marina
Carobbio Guscetti e Marco Bernasconi. Altro tema è
quello della revisione dell’ordinanza federale concernente gli espatriati, che entrerà in vigore il prossimo
1. gennaio 2016, limitando – senza tuttavia negarle
– le agevolazioni fiscali concesse agli impiegati con
funzione dirigenziale e agli specialisti con particolari
qualifiche professionali, distaccati temporaneamente
in Svizzera dal loro datore di lavoro straniero. Se ne
occupa Laura Cristilli, con un contributo che analizza
la costituzionalità delle diverse deduzioni fiscali accordate agli espatriati. Sul versante italiano, Roberto
Bianchi affronta il tema della voluntary disclosure e
delle sue implicazioni sul tributo successorio, chiedendosi quando scatta la regolarizzazione della
dichiarazione e l’obbligo di corrispondere la relativa
imposta. Segue un articolo di Francesca Amaddeo,
che tratta dell’attuale disciplina europea ed internazionale dello scambio di informazioni, con particolare
riguardo all’erosione del segreto bancario nell’ordinamento italiano. Nella rassegna di giurisprudenza,
Sacha Cattelan presenta una recente sentenza della
Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello
in tema di utili di liquidazione e riscatti fittizi d’anni
d’assicurazione. Caterina Vanetti chiude il numero
di settembre commentando la sentenza n. 228/2014
della Corte Costituzionale, che ha bocciato la presunzione che trasforma in nero i prelevamenti bancari ingiustificati effettuati da lavoratori autonomi.
Rocco Filippini
Politica fiscale
Fonti di finanziamento della
Confederazione in discussione?
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
La Confederazione può prelevare l’imposta federale
diretta e l’imposta sul valore aggiunto sino alla fine
del 2020. Il Consiglio federale è ora intenzionato a chiedere al Popolo e ai Cantoni la possibilità di prelevare senza
limiti temporali queste due imposte
Proprio una settimana fa sulle pagine del Giornale del Popolo
(ndr. il 25 agosto 2015), Rocco Cattaneo (presidente del PLRT),
si era occupato del tema riguardante la riscossione delle imposte federali da parte della Confederazione. È quindi l’occasione
per affrontare con continuità questo importante argomento.
Ancora qualche anno e la Confederazione non potrà più (forse)
contare sulle sue due fonti di finanziamento principali, ovvero
l’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e l’imposta federale diretta (di seguito IFD).
Infatti, la Costituzione federale (di seguito Cost.) limita la facoltà
di prelievo da parte della Confederazione di queste due imposte sino alla fine del 2020 (articolo 196 cifre 13 e 14 Cost.).
Il Consiglio federale, per evitare di trovarsi di fronte ad un serio
problema di finanziamento dei suoi compiti, ha quindi avviato
una procedura di consultazione al fine di chiedere lo stralcio del
limite temporale. In questo modo la Confederazione potrebbe
riscuotere l’IVA e l’IFD senza limiti temporali. Nel 2014 l’IVA,
che costituisce un’imposta di esclusiva competenza della Confederazione (articolo 134 Cost.), ha racimolato la bellezza di
22.6 miliardi di franchi, mentre l’IFD, che invece viene riscossa
parallelamente ai Cantoni (e ai Comuni) si è fermata a 18!
Il Consiglio federale, sin dal lontano 1959, ha sempre cercato
di ottenere dalle Camere federali prima, e dal Popolo e Cantoni
poi, la possibilità di prelevare senza limiti di tempo l’IVA e l’IFD.
Tuttavia, ogni qualvolta chiedeva questa competenza illimitata
nel tempo, otteneva sempre una risposta negativa. Popolo e
Cantoni non hanno mai voluto, in virtù del principio del federalismo (articolo 3 Cost.), concedere alla Confederazione un
simile diritto. L’ultimo tentativo risale al 1991.
Oltre ai citati limiti temporali per la riscossione delle due imposte, alla Confederazione sono imposti ulteriori limiti. Infatti, la
Costituzione fissa anche dei limiti materiali per l’IVA e l’IFD.
Per quest’ultima le aliquote massime sono pari all’11.5% del
Articolo pubblicato il 01.09.2015
sul Giornale del Popolo
reddito imponibile delle persone fisiche (articolo 128 capoverso 1 lettera a Cost.) e all’8.5% del reddito netto delle persone
giuridiche (articolo 128 capoverso 1 lettera b Cost.). Per quanto riguarda l’IVA, sino alla fine del 2017 l’aliquota normale
ammonta all’8% (articoli 130 capoverso 1, 196 cifra 3 capoverso 2 lettera e e cifra 14 capoverso 2 lettera a Cost.).
Come rileva il Consiglio federale, nel rapporto esplicativo concernente il nuovo ordinamento finanziario 2021 (pagina 17),
“la principale argomentazione a favore di un limite temporale delle
imposte si fonda sul fatto che in uno spirito democratico sia utile
riflettere regolarmente sull’ordinamento finanziario e sul sistema
fiscale in modo da poter eventualmente attenuare una propensione
alla spesa dello Stato. Tuttavia, in Svizzera esistono già meccanismi in
grado di arginare più efficacemente un simile comportamento rispetto
a un limite temporale, ad esempio il freno all’indebitamento, le aliquote massime per l’IFD e l’IVA, l’elenco esaustivo delle competenze
della Confederazione in materia di imposizione, sancite nella Costituzione federale, la compensazione automatica delle conseguenze della
progressione a freddo e la concorrenza fiscale”.
Tutte considerazioni condivisibili! Tuttavia, qualora la Confederazione riuscisse ad ottenere in votazione popolare (è necessaria la modifica della Costituzione) l’abrogazione dei
limiti temporali, allora il federalismo (soprattutto in ambito
fiscale) subirebbe un ulteriore scossone e lo Stato centrale
(ovvero la Confederazione) assumerebbe più poteri. Il risultato della consultazione previsto per questo autunno ci fornirà
alcune indicazioni utili sul futuro di queste due fondamentali imposte per la Confederazione e sulla sopravvivenza del
federalismo fiscale.
Affaire à suivre!
Per maggiori informazioni:
Consiglio federale, Il Consiglio federale chiede la prosecuzione indeterminata delle due principali fonti di entrata della Confederazione, Comunicato
stampa, Berna, 24 giugno 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/
index.html?lang=it&msg-id=57817 [03.09.2015]
Dipartimento federale delle finanze, Avamprogetto per la consultazione relativo al decreto federale concernente il nuovo ordinamento finanziario 2021,
Rapporto esplicativo del 24 giugno 2015, in: http://www.news.admin.ch/
NSBSubscriber/message/attachments/40032.pdf [03.09.2015]
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Politica fiscale
E se fosse tempo di amnistia?
Fabio Regazzi
Consigliere nazionale PPD
Le mutate condizioni della piazza finanziaria svizzera
hanno riportato alla ribalta il tema dell’amnistia fiscale federale. Per il tramite dell’iniziativa parlamentare
presentata lo scorso giugno, e non ancora discussa dalla commissione parlamentare competente, si chiede
l’introduzione di una norma transitoria che riduce
da dieci a tre anni il periodo di prelievo delle imposte
sottratte e degli interessi di ritardo. Questo periodo
ridotto di ricupero dell’imposta è limitato ai primi
due anni dall’entrata in vigore della riforma fiscale.
Si tratta di una proposta semplice che dà una risposta
pragmatica a problemi complessi, quali il progressivo
inasprimento delle penalità e delle misure di accertamento nei confronti dei contribuenti residenti in
Svizzera, la crisi economica, il deterioramento della
piazza finanziaria svizzera e le loro ripercussioni sulle
finanze pubbliche cantonali
1.
Premessa
Che l’amnistia sia tornata alla ribalta lo si era capito dopo la sentenza del Tribunale federale che ha bocciato l’amnistia fiscale
ticinese e ha, di fatto, precluso anche per altri Cantoni questa via
legislativa. Di conseguenza l’unica soluzione percorribile ed efficace, se si voleva evitare l’irta strada dell’iniziativa popolare
federale, era quella di consentire ai contribuenti di far riemergere capitale e redditi non dichiarati rendendo più attrattiva la
mini amnistia del 2010. Trovata la quadratura del cerchio dal
profilo della tecnica fiscale, la palla è passata nel campo della
politica grazie all’iniziativa parlamentare che ho presentato il
9 giugno scorso.
2.
Dall’amnistia “generale” del 1969 alla “mini” del 2010
Ma facciamo un passo indietro. Come è noto l’ultima amnistia
generale in Svizzera risale al 1969 e venne attuata attraverso
una norma transitoria nella Costituzione federale. Esentava
il contribuente sia dalle penalità, sia dalle imposte arretrate,
si estendeva alle imposte sul reddito e sulla sostanza delle
persone fisiche, sull’utile e sul capitale delle persone giuridiche, ma anche alle tasse di bollo, all’imposta preventiva, alle
imposte sulle successioni, all’imposta di garanzia in materia
di assicurazione e alla tassa di esenzione dal servizio militare.
Insomma era un’amnistia a 360 gradi.
Nel 2010 entrò in vigore la Legge federale relativa alla semplificazione del recupero d’imposta in caso di successione e
all’introduzione all’autodenuncia esente da pena, applicabile
ai fini delle imposte dirette federali e cantonali. La cosiddetta
“mini-amnistia”.
A causa delle condizioni piuttosto rigide poste, questa riforma
non ha consentito di incentivare in modo importante l’autodenuncia, poiché il risparmio si è rivelato trascurabile. Infatti, in
caso di denuncia spontanea, effettuata prima della legislazione entrata in vigore il 1. gennaio 2010, il contribuente doveva
rifondere imposte e interessi di ritardo per gli ultimi dieci anni
e una multa limitata ad un quinto dell’imposta sottratta.
Per questo venne denominata “mini” amnistia…
3.
Il Ticino rilancia il tema
Nel frattempo le giustificazioni a sostegno di un’amnistia
fiscale andavano moltiplicandosi sia a livello federale che cantonale, e questo perché l’inasprimento delle sanzioni a carico
dei contribuenti, l’estensione dei poteri inquisitivi dell’autorità fiscale e la posizione sempre più vacillante del segreto
bancario rendevano necessaria una parità di trattamento tra
la situazione previgente e l’attuale, con la possibilità di consentire all’evasore di far emergere redditi e capitali sin qui
sottratti al fisco. L’amnistia fiscale si giustificava anche con la
crisi economica che aveva accentuato le difficoltà delle finan-
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
ze pubbliche della Confederazione, e soprattutto di alcuni
Cantoni, tra cui il Ticino.
Un’ulteriore aggravante era poi causata dalla nostra legge tributaria poco concorrenziale con quelle previste da quasi tutti gli altri
Cantoni e che a medio termine poteva contribuire o già contribuisce al trasferimento di domicilio da parte di contribuenti facoltosi
e alla delocalizzazione di talune aziende verso altri lidi fiscali.
In questo contesto di crescente difficoltà il Tribunale federale, il
30 marzo 2015, intonava il requiem all’iniziativa cantonale ticinese per un’amnistia fiscale e con questa decisione andavano
in fumo per sempre le possibilità dei Cantoni di proporre delle
amnistie. Ma morta un’iniziativa ne nasceva un’altra.
4.
Una proposta semplice per far emergere i capitali
Come insegna l’uovo di Colombo a volte la proposta migliore
è la soluzione più semplice. Grazie al Centro di competenze
tributarie della SUPSI è stato possibile proporre in tempi brevi
una proposta di amnistia da lanciare a livello federale. L’iniziativa che ho presentato (corredata da ben 42 firme di colleghe e
colleghi di tutto il fronte borghese), consentirebbe l’emersione
di capitali molto importanti. Sulla base della situazione attuale,
la mini-amnistia del 2010 permette soltanto la cancellazione
della multa ed impone il prelievo delle imposte sottratte negli
ultimi dieci anni e degli interessi di ritardo. Una proposta che
ha portato scarsi vantaggi e che ha reso necessario riflettere su
un’alternativa meno onerosa. La mia iniziativa interviene dunque sulla mini-amnistia attraverso una norma transitoria che
prevede che nei primi due anni dall’entrata in vigore di questa
norma transitoria, il contribuente che dichiara spontaneamente
i capitali e i redditi sottratti all’imposizione, invece di corrispondere il ricupero delle imposte per dieci anni con l’interesse, deve
corrisponderle solo per tre anni e la multa viene cancellata.
Oltre a rendere più attrattiva la situazione attuale, i tempi di
realizzazione potrebbero essere relativamente brevi. E in tal
senso, dopo anni di discussioni e proposte bocciate soprattutto dai confederati, il cui animo protestante ha finora
fatto prevalere barriere di tipo etico, l’opportunità di un’amnistia pragmatica e semplice potrebbe finalmente trovare
il necessario consenso. I benefici sarebbero notevoli: oltre a
rappresentare quel toccasana che le finanze pubbliche a tutti i
livelli attendono da tempo, parecchi miliardi verrebbero reimmessi nel circuito economico in un momento difficile.
5.
Recenti sviluppi parlamentari
Nel frattempo ho presentato un emendamento alla legge
sullo scambio automatico di informazioni relative a conti
finanziari (AIA Gesetz), discusso al Consiglio nazionale il 16
settembre 2015, che nella sostanza riprende il testo della
mia iniziativa parlamentare, con l’unica modifica che il termine per il recupero delle imposte e degli interessi di ritardo
in caso di autodenuncia è di cinque anni (invece di tre). Il
Consiglio nazionale, a sorpresa e grazie a un ottimo lavoro
di squadra, ha approvato questo emendamento nonostante il preavviso negativo della Consigliera federale Eveline
Widmer-Schlumpf. Ora la palla passa al Consiglio degli Stati,
che dovrà chinarsi su questa proposta, nella speranza che
segua il Consiglio nazionale.
Per maggiori informazioni:
Iniziativa parlamentare n. 15.435, Per un’amnistia fiscale federale equilibrata
ed efficace. Favorire l’emersione di redditi e capitali in caso di denuncia spontanea, depositata il 9 giugno 2015, in: http://www.parlament.ch/i/suche/
pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20150435 [03.09.2015]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://images.gadmin.st.s3.amazonaws.com/n30314/images/bern/liste/
detail/bundeshaus-2.jpg [03.09.2015]
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Politica fiscale
La “mini-amnistia” è così poco attrattiva
per far riemergere i capitali nascosti?
Marina Carobbio Guscetti
Consigliera nazionale PS
Sulla base delle attuali statistiche concernenti le autodenunce esenti da pena, che sono in continuo aumento, è
veramente necessario introdurre una norma transitoria
di due anni per ridurre il periodo fiscale del ricupero delle
imposte sottratte?
Al più tardi nel 2018 lo scambio d’informazioni sarà realtà
anche in Svizzera. Questa decisione del Consiglio federale ha
rilanciato il tema dell’amnistia fiscale. Come altri suoi colleghi di partito, il consigliere nazionale PPD Fabio Regazzi è
pure autore di una proposta di amnistia che vuole rivedere
la Legge federale relativa alla semplificazione del ricupero
d’imposta in caso di successione e all'introduzione dell'autodenuncia esente da pena.
Come noto questa legge prevede l’autodenuncia esente da
pena, applicabile ai fini delle imposte dirette federale e cantonali.
La proposta del collega Regazzi, elaborata con il Centro di competenze tributarie della SUPSI, è quindi più moderata di quelle
del suo collega ginevrino Barazzone che vuole l’introduzione di
un’amnistia generale. Essa è stata presentata all’indomani della decisione del Tribunale federale, che nella scorsa primavera
ha accolto il ricorso presentato dalla deputata in Gran consiglio
Pelin Kandemir Bordoli, ricorso inoltrato dopo che il parlamento ticinese aveva approvato il progetto di condono della multa
e uno sconto del 70% sulle imposte sottratte negli ultimi anni
attraverso una riduzione delle aliquote applicabili.
Secondo l’Alta Corte, le disposizioni ledono i principi costituzionali dell’uguaglianza giuridica (articolo 8 capoverso 1
della Costituzione federale [di seguito Cost.]), della generalità,
dell’uniformità e dell’imposizione secondo la capacità economica (articolo 127 capoverso 2 Cost.) e sono inoltre contrarie
ad alcuni principi della Legge federale sull’armonizzazione
delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni.
Regazzi, come ammette nel testo accompagnatorio alla sua
proposta, riconosce l’impossibilità di procedere ad amnistie cantonali a seguito della recente decisone del Tribunale
federale e propone una revisione della Legge federale relativa
alla semplificazione del ricupero d’imposta in caso di succes-
sione e all’introduzione dell’autodenuncia esente da pena, la
cosiddetta “mini-amnistia”. Per il consigliere nazionale del PPD
“la «mini-amnistia» non è uno strumento adeguato per indurre i contribuenti a dichiarare spontaneamente gli ingenti capitali sottratti
sino ad ora all’imposizione”. Interessante a questo proposito è
invece quanto si evince da un’inchiesta della rivista economica
Punktmagazin: dal 2010 ad oggi 30’000 persone avrebbero
fatto uso del sistema dell’autodenuncia con un ammontare
dei valori patrimoniali emersi di circa 13.5 miliardi di franchi.
Confederazione, Cantoni e Comuni avrebbero quindi beneficiato di 1.24 miliardi di franchi di entrate. A più di quattro anni
dalla loro introduzione, il numero di autodenunce esenti da
pena non diminuisce, anzi, nel 2014 è addirittura in aumento.
Confrontati con queste cifre, considerati anche i dati forniti da
quei Cantoni come il Ticino che rendono pubblico il numero
di casi di autodenunce e l’ammontare del denaro emerso, v’è
da chiedersi se veramente è necessario rivedere l’attuale sistema e ridurre il periodo di prelievo delle imposte sottratte e
degli interessi di ritardo per un periodo transitorio di due anni
così come propone l’onorevole Regazzi.
I dati e il numero di autodenunce non sembrerebbero mostrare una vera e propria necessità di andare in questa direzione.
Certo la proposta dell’onorevole Regazzi va approfondita, ma pur diversa dal punto di vista formale, essa riprende
di fatto quanto già proposto dal parlamento ticinese e poi
respinto dal Tribunale federale. Infatti, invece di una riduzione delle aliquote del 70% applicabile agli elementi imponibili
non dichiarati negli ultimi dieci anni, il contribuente si met-
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
terebbe in regola col fisco pagando comunque solo il 30%
del dovuto, con i relativi interessi e senza multa, in quanto il
periodo del ricupero d’imposta verrebbe ridotto da dieci a tre
anni. Come nel caso dell’amnistia cantonale rimane quindi
la questione se sia eticamente accettabile premiare chi per
anni ha evaso il fisco con sostanziali riduzioni delle aliquote, discriminando chi ha sempre fatto fronte regolarmente ai
suoi impegni con il fisco.
premiano implicitamente i cittadini disonesti, cosa che può ripercuotersi negativamente sull’etica fiscale”. Da parte di coloro che,
come l’onorevole Regazzi, vogliono un allentamento della
prassi in vigore, ci si aspetta quindi che, per coerenza e come
prima cosa, vi sia un sostegno concreto a quelle proposte volte ad aumentare gli ispettori fiscali e intensificare i controlli, in
modo da affrontare alla radice il problema.
Interrogato sul tema dell’etica fiscale, nel 2010 il Consiglio
federale in risposta all’interpellanza n. 10.3311 ha riconosciuto
che “con le amnistie fiscali si inviano falsi segnali in relazione all’etica
fiscale. Infatti, i contribuenti onesti le ritengono ingiuste, poiché si
Elenco delle fonti fotografiche:
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m3w560h330q75v22728_3691800.jpg?version=1326978032 [03.09.2015]
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Politica fiscale
Sono maturi i tempi per l’amnistia fiscale?
Marco Bernasconi
Professore SUPSI
L’iniziativa parlamentare dell’on. Fabio Regazzi, presentata nel giugno di quest’anno in Consiglio nazionale, è
un mezzo adeguato e concreto per realizzare l’amnistia
fiscale federale
Lo scambio di informazioni automatico, che segna la fine del
segreto bancario svizzero è alle porte, poiché la relativa legge federale di applicazione dovrebbe presto essere approvata
dalle Camere federali. Del segreto bancario resta solo qualche
briciola, per il momento riferita all’impossibilità per le autorità
fiscali svizzere di accedere ai dati bancari riferiti a conti depositati in Svizzera da parte di contribuenti residenti nel nostro
Paese. Questo è l’ultimo ridotto sul quale già si è aperta una
vivace discussione tra coloro che vogliono mantenerlo, avvalendosi di un’iniziativa popolare già riuscita (“Sì alla protezione
della sfera privata”), e coloro, tra i quali la Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, che vogliono abolirlo per evidenti
ragioni di parità di trattamento tra autorità fiscali estere e
quelle svizzere. La risposta verrà data prossimamente dal
Popolo e dai Cantoni, quando si dovranno pronunciare sulla
citata iniziativa popolare che propone di ancorare nella Costituzione federale la protezione del segreto bancario in caso di
contravvenzioni fiscali.
In questa discussione si è inserita recentemente la consigliera federale, on. Eveline Widmer-Schlumpf, che si è detta
favorevole all’amnistia fiscale federale generale a condizione
che il segreto bancario sia abrogato anche per i residenti in
Svizzera con conti bancari depositati nelle banche del nostro
Paese. Si apre un dissidio che è destinato a durare nel tempo.
Questo perché prima dovrà essere votata l’iniziativa popolare che propone, come detto, la salvaguardia del segreto
bancario in Svizzera e poi, nel caso in cui questa iniziativa
fosse respinta dal Popolo e dai Cantoni, si dovrà iniziare una
macchinosa procedura per attuare l’amnistia fiscale generale. Macchinosa perché prima deve essere presentato un
messaggio da parte del Consiglio federale, poi dovrà essere
dibattuto alle Camere federali e, in caso di accoglimento da
parte delle medesime, si dovrà ricorrere al consenso di Popolo e Cantoni. È presumibile, visti i tempi biblici che segnano
i lavori della Confederazione, quando non vi è una pressione
internazionale, un periodo di quattro anni. Di conseguenza
per quattro anni nessun atto concreto volto a favorire l’emersione di capitali.
Ma è possibile che l’iniziativa popolare possa anche essere
accolta in votazione. A quel momento si dovrebbe ricominciare da capo nel senso che si aprirà un dibattito tra coloro
che negano l’amnistia fiscale poiché una parte del segreto
bancario rimane salvaguardato dalla Costituzione federale, e
coloro che invece reputano comunque che si debba istituire
un’amnistia. Personalmente io sono tra questi per le ragioni
di sempre: l’ultima amnistia fiscale generale risale al 1969, la
crisi finanziaria ed economica e le difficoltà della finanza pubblica giustificano il ricorso all’amnistia e, infine, l’amnistia non
sarà gratuita poiché il contribuente sarà colpito con una “tassa di amnistia”, la cui misura verrà definita dall’autorità politica.
Un’ulteriore ragione a favore dell’amnistia è comunque legata
alla caduta quasi totale del segreto bancario e all’estensione
progressiva delle competenze inquisitive del fisco.
Attualmente coloro che vogliono beneficiare di un’imposizione apparentemente attenuata possono far uso dell’istituto
dell’autodenuncia spontanea. La relativa legislazione è entrata in vigore all’inizio del 2010 e prevede il ricupero integrale
delle imposte sottratte negli ultimi dieci anni, maggiorati dagli
interessi di ritardo, e la rinuncia all’applicazione delle sanzioni
penali. Il vantaggio finanziario è di poco conto poiché la sanzione stabilita dal diritto previgente costituiva circa il 15-20%
dell’onere complessivo. Il costo a carico del contribuente è
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
costituito in maniera preponderante dal ricupero delle imposte sottratte per un periodo di dieci anni.
Ora, nell’attesa di una decisione definitiva sull’iniziativa depositata e sulle decisioni politiche che ne seguiranno a seguito
dell’esito della medesima, è necessario trovare una normativa
che in termini contingenti consenta l’emersione di capitali.
L’iniziativa parlamentare dell’on. Fabio Regazzi, presentata
nel giugno di quest’anno in Consiglio nazionale, è un mezzo
adeguato e concreto per realizzare quest’obiettivo. Il politico
ticinese propone una soluzione semplice ed immediata: quella
di ridurre il ricupero delle imposte in modo molto sensibile, a
condizione che la denuncia spontanea avvenga nei primi due
anni dell’entrata in vigore della legge. Scaduti questi due anni,
il ricupero delle imposte dovrà ancora essere dovuto sugli ultimi dieci anni.
Mi auguro che questa iniziativa, proprio in ragione della sua
tempestività e semplicità, possa trovare un riscontro favorevole da parte delle autorità politiche competenti. Infatti il
16 settembre 2015 il Consiglio nazionale, con 85 voti favorevoli e 80 contrari, ha accolto l’iniziativa parlamentare dell’on.
Regazzi, riducendo il termine di recupero delle imposte e
degli interessi di ritardo a cinque anni. La modifica della Legge federale sull’imposta federale diretta e della Legge federale
sull'armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei
Comuni è stata apportata nell’ambito della discussione sulla
legge federale riferita allo scambio automatico di informazioni. È solo un primo passo, poiché la stessa proposta verrà
esaminata entro poco tempo dal Consiglio degli Stati.
È auspicabile che anche questa Camera accolga l’iniziativa
parlamentare dell’on. Regazzi. La decisione diventerebbe così
operativa, poiché contro le leggi federali non è proponibile ricorso, in materia di costituzionalità, al Tribunale federale.
Basti pensare che, il 13 aprile 1984 il Tribunale federale ha
dichiarato incostituzionale la legislazione del Canton Zurigo
che stabiliva un’imposizione più accentuata (superiore al 10%)
dei coniugi rispetto a due concubini che conseguono lo stesso
reddito. Tutti i Cantoni si sono adeguati, mentre la legislazione
federale, da più di trent’anni ormai, viola al Costituzione.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.gdp.ch/sites/default/files/imagecache/DetailedL/articlemedia/2015/01/08/franchi3_1193081.jpg [03.09.2015]
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Diritto tributario svizzero
Il regime fiscale degli espatriati in Svizzera
Laura Cristilli
Bachelor of Science SUPSI
in Economia aziendale
Contabile Findea SA, Lugano
Discussione sulla modifica dell’Ordinanza concernente gli espatriati emanata dal Dipartimento federale delle finanze
1.
Introduzione
L’incremento della partecipazione dei lavoratori espatriati
al mercato del lavoro in Svizzera è considerato un aspetto
importante poiché questi contribuiscono alla competitività
delle imprese con sede nella Confederazione, e aumentano
l’attrattività della piazza economica svizzera. Attualmente
sono in vigore condizioni e procedure per beneficiare del
favorevole regime fiscale per i lavoratori espatriati. Secondo l’Ordinanza concernente gli espatriati (di seguito Oespa),
la Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito
LIFD) permette agli espatriati, pur con le medesime mansioni professionali, a determinate condizioni, di dedurre spese
professionali che altri lavoratori non possono dedurre. Questa circostanza dovrebbe incoraggiare i lavoratori stranieri
ad esercitare un’attività lucrativa in Svizzera [1].
Queste deduzioni fiscali sono contestate poiché considerate discriminatorie verso i lavoratori che vivono e pagano le
imposte in Svizzera. Questo tema è molto attuale in quanto il Consiglio federale ha deciso di riesaminare condizioni e
modalità per deduzioni specifiche, in seguito alla richiesta
di abolizione delle stesse da parte dei consiglieri nazionali
Fässler e Schelbert attraverso delle mozioni, che ha respinto.
In seguito il Dipartimento federale delle finanze (di seguito
DFF) ha emanato una proposta di adeguamento dell’Oespa,
che entrerà in vigore il 1. gennaio 2016[2]. Con questa modifica il campo di applicazione dell’Oespa sarà più ristretto,
mentre le singole deduzioni verranno conservate, ma l’accettazione dell’Ordinanza ne uscirà rinforzata.
2.
Definizione di espatriati
Gli espatriati previsti nell’Oespa sono impiegati con funzione
dirigenziale distaccati temporaneamente in Svizzera dal loro
datore di lavoro straniero (articolo 1 capoverso 1 lettera a), e
specialisti di ogni genere che svolgono in Svizzera un compito
temporaneo, ovvero lavoratori che, grazie alle loro particolari
qualifiche professionali, sono usualmente impiegati in campo
internazionale, nonché le persone che nello Stato di domicilio
esercitano un’attività indipendente e sono attivi in Svizzera
come salariati al fine di svolgere un compito concreto temporaneo (articolo 1 capoverso 1 lettera b). Il periodo massimo
è di cinque anni, durata limite consentita per il rispettivo incarico o contratto lavorativo (articolo 1 capoverso 3).
Gli espatriati possono richiedere sgravi fiscali sulle spese
sostenute in ragione del loro soggiorno in Svizzera.
2.1.
Descrizione del regime fiscale attuale degli espatriati
Le basi legali per il riconoscimento fiscale delle spese professionali di persone esercitanti un’attività lucrativa dipendente
figurano all’articolo 26 LIFD, per garantire un trattamento
fiscale corretto di tutte le spese professionali in rapporto a
un’attività lucrativa dipendente [3].
Questo articolo è stato concretizzato in due ordinanze del DFF:
◆◆ Ordinanza del 1993 sulla deduzione delle spese professionali delle persone esercitanti un’attività lucrativa
dipendente ai fini dell’imposta federale diretta (di seguito
Ordinanza sulle spese professionali);
◆◆ Ordinanza del 2000 sulla deduzione di spese professionali particolari di impiegati con funzione dirigenziale e
di specialisti attivi temporaneamente in Svizzera ai fini
dell’imposta federale diretta (Ordinanza concernente gli
espatriati, Oespa).
2.2.
Deduzione fiscale di spese professionali particolari
L’Ordinanza sulle spese professionali prevede che il contribuente possa dedurre le spese necessarie al conseguimento
del proprio reddito e causate direttamente dalla realizzazione dello stesso, mentre non vi è la possibilità di dedurre
spese private causate dalla posizione professionale del contribuente, o per il suo mantenimento e quello della sua
famiglia (articolo 34 lettera a LIFD). Le spese deducibili sono
le spese di trasporto (articolo 5), spese supplementari per
pasti (articolo 6), altre spese come attrezzi e abiti da lavoro
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
(articolo 7), le spese per il perfezionamento e la riqualificazione professionale (articolo 8), il soggiorno fuori domicilio
(articolo 9) e un forfait per le spese connesse con un’attività
lucrativa accessoria (articolo 10).
L’Oespa è nata in seguito all’iniziativa del consigliere nazionale Gros, la quale richiedeva agevolazioni fiscali sull’imposta
federale diretta per le società ausiliarie [4]. La Commissione dell’economia e dei tributi l’ha traslata sulle concessioni
fiscali da accordare agli espatriati.
L’obiettivo dell’Oespa è rendere maggiormente attrattiva la
piazza finanziaria svizzera, avendo riguardo per la situazione
specifica degli espatriati in considerazione delle spese professionali e trovando una normativa nel diritto federale in
vigore [5]. Per gli espatriati domiciliati all’estero sono deducibili le spese correnti di viaggio tra il domicilio all’estero e
la Svizzera, le spese necessarie per l’alloggio in Svizzera, e le
adeguate spese di abitazione in Svizzera se comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero (articolo 2
capoverso 1). Per gli espatriati domiciliati in Svizzera sono
deducibili invece le spese di trasloco in Svizzera e di ritorno
nello Stato di domicilio precedente nonché le spese di viaggio di andata e ritorno dell’espatriato e della sua famiglia
all’inizio e al termine del rapporto di lavoro, le adeguate spese di abitazione in Svizzera se comprovato il mantenimento
di un’abitazione permanente all’estero, le spese ordinarie per
la frequentazione da parte dei figli minorenni di una scuola
privata in lingua straniera se le scuole pubbliche non offrono un insegnamento adeguato (articolo 2 capoverso 2).
Tali spese sono deducibili se il datore di lavoro non le rimborsa, o le rimborsa sotto forma di indennità forfettaria, la quale
va cumulata al salario lordo imponibile (articolo 2 capoverso 3). Inoltre possono essere dedotte con un forfait di 1’500
franchi mensili, eccetto per le spese scolastiche, oppure le
spese effettive se comprovate (articolo 4 capoverso 2).
3.
Descrizione delle problematiche inerenti all’Ordinanza
attualmente in vigore
Il postulato n. 09.3528 “Deduzioni fiscali per gli espatriati”
depositato il 10 giugno 2009 dalla consigliera nazionale
sangallese Hildegard Fässler, chiedeva al Consiglio federale
di chiarire quali fossero le deduzioni ammesse come spese professionali, a quanto ammontassero, e se esistesse
un problema costituzionale in ragione della violazione del
principio dell’uguaglianza giuridica dovuta alla disparità di
trattamento tra svizzeri e stranieri. A sostegno di ciò, Fässler
aveva fatto riferimento ad una sentenza del 23 ottobre 2007
della seconda Corte della Commissione cantonale di ricorso
in materia fiscale del Canton Zurigo, in cui la Commissione
ha constatato che l’articolo 26 capoverso 1 lettera c LIFD
(le spese professionali deducibili sono le altre spese necessarie per l’esercizio della professione) non dovrebbe essere
interpretato in modo ampio, e che di conseguenza l’articolo
2 capoverso 2 lettere b e c Oespa (deduzione delle spese di
abitazione e delle spese per la frequentazione da parte dei
figli di una scuola privata) sarebbe contrario alla legge
(in quanto oltrepasserebbe i limiti della delega di cui all’articolo 26 LIFD) [6].
Un’altra problematica esistente, secondo la consigliera nazionale Gysi, sarebbe il fatto che le deduzioni fiscali concesse agli
espatriati per le spese scolastiche dei figli iscritti in scuole private
ostacolino l’integrazione degli immigrati. In relazione alla questione, la consigliera ha depositato un’interpellanza nel 2012[7].
Fässler, attraverso la mozione n. 12.3510 depositata nel 2012,
afferma che l’attuale situazione di privilegio fiscale degli espatriati è collidente se confrontata a quella dei lavoratori che vivono
e pagano le imposte in Svizzera, in quanto vi sarebbe disparità
di trattamento, dato che questi ultimi non hanno diritto alle
stesse deduzioni fiscali concesse agli espatriati. A sostegno di
ciò, la consigliera fa riferimento all’Ufficio federale di giustizia
(di seguito UFG) e allo studio del 6 settembre 2011 in cui viene affermato che le deduzioni accordate agli espatriati risultano
“urtanti” per lo stesso motivo. Fässler ritiene inoltre discutibile
che i privilegi degli espatriati siano disciplinati unicamente in
un’ordinanza e non in una legge. La forza normativa della prima
quindi, sarebbe minore rispetto a quella della seconda[8].
Nella sua mozione n. 12.3560 depositata nel 2012, il consigliere nazionale lucernese Louis Schelbert sostiene che
oggigiorno gli espatriati restano in Svizzera per diversi anni,
vengono raggiunti dalle loro famiglie e usufruiscono sempre di più dei servizi statali, come ad esempio delle scuole, a
differenza degli scorsi decenni dove queste persone rimanevano solo per un breve periodo. Schelbert afferma quindi che
la situazione di privilegio a livello di deduzioni fiscali accordata dal diritto fiscale attualmente in vigore agli espatriati
non è giustificata, in quanto chiunque risieda in Svizzera
approfitta delle infrastrutture e delle istituzioni locali, ragione per cui tutti devono partecipare al loro finanziamento
tramite le imposte [9].
3.1.
Il principio dell’uguaglianza giuridica
Le deduzioni fiscali citate in precedenza sono contestate poiché considerate discriminatorie verso i lavoratori che
vivono e pagano le imposte in Svizzera. Secondo l’articolo 8
capoversi 1 e 2 della Costituzione federale (di seguito Cost.),
basato sull’uguaglianza giuridica, “Tutti sono uguali davanti
alla legge. Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa
dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione
sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche”.
Il principio d’uguaglianza giuridica viene quindi violato nel momento in cui non si rispetta il divieto di operare disparità di trattamento
senza motivazioni oggettive nell’applicazione della legge.
11
12
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
3.2.
Il principio della parità di trattamento
Il principio della parità di trattamento impone che due
situazioni simili siano trattate allo stesso modo. Le differenze
dell’imposizione tra persone che abitano e lavorano in
Svizzera ed espatriati, a livello di deduzioni concesse, escluderebbero quindi una perfetta parità di trattamento.
3.3.
Il principio dell’imposizione fiscale
Il principio dell’imposizione fiscale, secondo l’articolo 127
capoverso 2 Cost., impone che siano osservati i principi della
generalità e dell’uniformità dell’imposizione.
3.4.
Il principio della generalità dell’imposizione
Il principio della generalità dell’imposizione esige che ogni
persona e ogni gruppo di persone siano imposti secondo la
stessa disciplina legale. Si vogliono così evitare ingiusti privilegi fiscali o discriminazioni, non oggettivamente fondati, a
danno di persone o gruppi di persone [10].
3.5.
Il principio dell’uniformità dell’imposizione
Il principio dell’uniformità dell’imposizione vuole che tutti
coloro che si trovano nella stessa situazione siano imposti nello stesso modo, mentre le persone che si trovano in
situazioni che presentano delle differenze importanti vengano imposte in maniera diversa [11].
3.7.
L’Oespa è incostituzionale?
Esisterebbe quindi con l’Oespa una situazione di incostituzionalità poiché il principio dell’uguaglianza giuridica verrebbe
violato, a causa della disparità di trattamento tra persone che
abitano e lavorano in Svizzera e stranieri, in quanto i primi non
possono beneficiare delle deduzioni delle spese professionali particolari concesse agli espatriati, nonostante si trovino in
situazioni economicamente simili.
In riferimento alla sentenza zurighese citata all’inizio del
capitolo, la Commissione ha in effetti constatato che l’Oespa
sarebbe critica in termini di costituzionalità, in quanto il diritto
alla parità di trattamento verrebbe violato, perlomeno parzialmente (costituendo una disparità di trattamento tra espatriati
e lavoratori svizzeri)[14].
L’UFG mediante una perizia ha esaminato la questione della
parità di trattamento tra gli espatriati domiciliati in Svizzera e
gli altri contribuenti domiciliati nel nostro Paese. Esso è giunto
alla conclusione che sarebbe opportuno modificare l’Ordinanza sulle spese professionali al fine di poter dedurre le spese di
trasloco e di abitazione supplementari dei lavoratori distaccati
in altri Cantoni.
Fässler sostiene che questa proposta è inadatta, in quanto i
dirigenti svizzeri inviati dal loro datore di lavoro per qualche
anno in un’altra regione della Svizzera potrebbero beneficiare di cospicui vantaggi fiscali, e in tal modo si introdurrebbe
una disparità di trattamento nei confronti di altri dirigenti,
che a causa della chiusura della loro azienda sono obbligati
a traslocare in un’altra regione della Svizzera. Sostiene inoltre che sempre più spesso gli espatriati restano in Svizzera
acquisendo lo statuto di residente e utilizzando le infrastrutture del Paese come tutti gli altri, perciò la discriminazione
delle persone domiciliate in Svizzera andrebbe superata non
ampliando i privilegi fiscali ad altri soggetti, bensì restringendoli[15].
Nella sua mozione, Schelbert è dell’opinione che i manager e gli
specialisti stranieri debbano essere trattati come tutti gli altri,
e che le agevolazioni fiscali concesse agli espatriati debbano
essere eliminate, al fine di rispettare il principio costituzionale
della parità di trattamento[16].
3.6.
Il principio di imposizione secondo la capacità contributiva
Il principio di imposizione secondo la capacità contributiva
costituisce un corollario del principio della parità di trattamento. Secondo il Tribunale federale, questo principio esige che si
tenga conto della situazione personale di ogni cittadino che
contribuisce alle spese pubbliche, in proporzione ai suoi mezzi di sostentamento[12]. Le imposte pagate dai contribuenti
che hanno la medesima capacità finanziaria devono essere le
stesse, mentre chi si trova in situazioni diverse, le quali modificano la capacità contributiva, deve essere imposto in modo
differente[13].
4.
Esame della costituzionalità e della legittimità dell’Oespa
L’Oespa è entrata in vigore il 1. gennaio 2001. Il suo contenuto
si basa largamente sulle conclusioni poste nel parere legale del
20 luglio 1999 redatto da Robert Waldburger e Martin Schmid
relativo alle prestazioni (benefici) particolari fornite dal datore
di lavoro per i lavoratori espatriati[17].
4.1.
Le spese per il conseguimento del reddito dell’attività dipendente (articolo 2 capoversi 1 e 2 Oespa)
L’ammissione delle spese come costi di conseguimento del
reddito consiste nell’esistenza di un collegamento tra queste e
l’ottenimento dello stesso. Più semplicemente, le spese devono essere necessarie per l’acquisizione di questo reddito[18].
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Nella LIFD sono indicate, dagli articoli 26 a 32, le deduzioni
organiche ammissibili per ogni categoria di reddito. Le spese
professionali deducibili, sono le spese di trasporto necessarie
dal domicilio al luogo di lavoro (articolo 26 capoverso 1 lettera a LIFD), le spese supplementari per pasti fuori domicilio
o in caso di lavoro a turni (articolo 26 capoverso 1 lettera b
LIFD), le altre spese necessarie per l’esercizio della professione (articolo 26 capoverso 1 lettera c LIFD), e le spese inerenti
al perfezionamento e alla riqualificazione professionale connessi con l’esercizio dell’attività professionale (articolo 26
capoverso 1 lettera d LIFD).
della cura dei figli infatti non è stata ammessa fiscalmente
per il diritto federale sino al 1. gennaio 2011. Queste spese sono assolutamente inevitabili ma non possono essere
riconosciute quali spese di conseguimento del reddito. Il Tribunale federale ha seguito questo approccio [25]. Qualsiasi
professione potrebbe infatti essere esercitata senza spese
per la cura dei figli.
Il Tribunale federale riconosce, quali spese di conseguimento
del reddito, le spese sostenute direttamente per conseguirlo;
è sufficiente che la spesa sia necessaria a livello economico
per ottenere il reddito e che non si possa esigere dal contribuente che la eviti[19]. Mentre alcuni autori sostengono
che le spese di conseguimento del reddito debbano seguire
il criterio della finalità, oggi sembra prevalere all’unanimità il
criterio della causalità [20].
Secondo il criterio della finalità, le spese di conseguimento del
reddito rappresentano tutte le spese sostenute dal contribuente durante il periodo di calcolo e necessarie al conseguimento
del reddito. La giurisprudenza considera che le spese supportate dal contribuente sono deducibili soltanto se sono sostenute
al fine di realizzare un reddito. Peter Locher rileva inoltre che il
criterio della finalità è quello usato dall’Ordinanza sulle deduzioni delle spese professionali delle persone esercitanti un’attività
professionale dipendente, e che un’interpretazione troppo rigida
di questo criterio, in particolare del carattere necessario della
spesa, rischierebbe di creare una disparità di trattamento tra i
dipendenti e gli indipendenti[21].
In base al criterio della causalità, la dottrina maggioritaria [22] e la giurisprudenza del Tribunale federale [23] più
recenti sostengono una definizione causale delle spese di
ottenimento del reddito, la quale include le spese causate
dall’esercizio dell’attività lucrativa, oltre che quelle sostenute per l’esercizio della stessa. Il Tribunale federale ammette
l’applicazione del criterio della causalità e autorizza la deduzione, a titolo di spese di conseguimento del reddito, delle
spese che rappresentano la conseguenza dell’attività lucrativa, solamente se causate da essa. Sono quindi delle spese
di conseguimento del reddito le spese che il contribuente
non può evitare e che sono causate, rispettivamente sostenute per la realizzazione del reddito.
Quindi, l’applicazione di entrambi i criteri citati (finalità e
causalità) prevede la deduzione delle spese generate in vista
dell’ottenimento del reddito (dunque sostenute prima del
suo conseguimento) e delle spese che sono la conseguenza
di questo (dunque sostenute dopo il conseguimento) [24].
4.2.
La differenza tra le spese per la cura dei figli e le spese
scolastiche
Le spese di formazione professionale, di consumo del reddito, di mantenimento del contribuente e della sua famiglia,
non sono di principio deducibili. La deduzione delle spese
La questione della deducibilità delle spese scolastiche per i figli
degli espatriati è analizzata in modo più particolare da Markus
Reich[26] secondo il quale queste spese non sono riconosciute
come spese di conseguimento. Giusta la definizione “rigida” delle
spese di conseguimento, ai sensi dell’articolo 9 capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei
Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), non sarebbe ammissibile concedere la deduzione di tali spese scolastiche. Per Peter
Locher, la differenza tra le spese di trasferta o spese di vitto
aggiuntive e le spese di custodia dei figli è rilevante. Le prime
sono sempre legate a una professione esercitata in un luogo
particolare, mentre le seconde entrano in considerazione per
qualsiasi genere di attività lucrativa, pertanto non esiste alcun
collegamento sufficiente tra i costi e l’attività lucrativa effettiva. Secondo Peter Locher, se le spese variano secondo l’attività
esercitata, si può supporre che si tratti di spese di conseguimento. Se si tratta invece di spese fisse indipendenti dall’attività
concreta, ci si trova al di fuori delle spese di conseguimento del
reddito[27].
4.3.
Esame delle deduzioni previste nell’Oespa
4.3.1.
Espatriati domiciliati all’estero (articolo 2 capoverso 1 Oespa)
a) Le spese di trasporto tra il domicilio all’estero e la Svizzera
È possibile confrontare un espatriato che mantiene il suo
domicilio all’estero durante il lavoro in Svizzera ad un contribuente svizzero qualificato come pendolare con rientro
settimanale, nonostante la situazione di quest’ultimo non sia
la stessa, dal momento che i pendolari con rientro settimanale scelgono spesso, per propria volontà, di avere un luogo
di domicilio e di lavorare a distanza senza limiti di tempo.
Questa soluzione non è spinta da motivazioni personali, ma
dalla distanza tra il luogo del suo domicilio e quello di lavoro. Questo è un motivo per cui questi costi sono deducibili.
Inoltre, la distanza è tale per cui non si può pretendere da lui
che compi quotidianamente il tragitto.
13
14
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
L’Ordinanza sulle spese professionali prevede la deduzione di
una camera (articolo 9 capoverso 3), quindi non si esclude la
deduzione di un piccolo appartamento. È necessario tuttavia
controllare che ciò che i costi hanno portato in deduzione non
costituiscano spese di utilizzo del reddito ma corrispondano
esattamente al costo realizzato di un alloggio indispensabile,
tenendo conto del luogo in cui è situato; possono rappresentare delle spese per la locazione di un appartamento, dove
non è possibile affittare una stanza oppure dove il relativo costo sarebbe sproporzionato. In questo caso, tuttavia,
il contribuente non potrà pretendere la deduzione per un
secondo pasto giornaliero [28].
4.3.2.
Espatriati domiciliati in Svizzera (articolo 2 capoverso 2 Oespa)
b) Le spese di trasloco in Svizzera e le spese di trasporto di
andata e ritorno dell’espatriato e della sua famiglia all’inizio e
al termine del rapporto di lavoro nel Paese d’origine
Le spese di un trasferimento sono in principio non deducibili, in
quanto considerate come spese di utilizzo del reddito, se questo
facilita l’esercizio della professione. Secondo Robert Waldburger e
Martin Schmid ci sono dei casi in cui le spese di trasferimento possono essere dedotte. Per questi autori, le spese di trasferimento
devono essere qualificate come spese professionali se il trasferimento è causato dal distacco temporaneo di un lavoratore e
nel caso in cui quest’ultimo non abbia l’intenzione di trasferirsi
definitivamente in Svizzera. Se il trasferimento non è una scelta personale ma un obbligo professionale, le spese sostenute
devono essere considerate come spese professionali. Quindi, gli
espatriati si trovano in una situazione di costrizione che necessita
un trasferimento, in quanto l’attività non può, oggettivamente,
essere esercitata dal domicilio all’estero. Non esiste, formalmente, il dovere di residenza per gli espatriati. Inoltre, il loro
trasferimento di domicilio è previsto per una durata limitata.
Diversamente dalla posizione di Robert Waldburger e Martin Schmid, l’UFG non è d’accordo che si possa parlare di situazione di
costrizione nel caso degli espatriati. Si presuppone che i dirigenti
e gli specialisti, non siano inviati forzatamente all’estero ma che
essi possano invece influenzare la decisione di distacco[29].
c) Le spese di abitazione in Svizzera qualora sia comprovato il
mantenimento di un’abitazione permanente all’estero
Robert Waldburger e Martin Schmid ritengono che le spese di
alloggio degli espatriati con sede in Svizzera, che mantengono
il loro domicilio all’estero, devono possedere uno stretto lega-
me con l’attività per essere deducibili. Se il motivo del domicilio
in Svizzera è solamente avere la possibilità di esercitare l’attività lucrativa per un periodo limitato, vi è un collegamento
sufficiente tra la spesa e il conseguimento del reddito.
La deducibilità dei costi di alloggio in Svizzera presuppone
anche spese aggiuntive legate al mantenimento del domicilio all’estero e del domicilio supplementare in Svizzera. Nel
caso particolare degli espatriati, il mantenimento del domicilio all’estero si giustifica dalla temporaneità del distacco.
La deducibilità non può tuttavia essere limitata alle spese
di locazione di una stanza, poiché l’espatriato è accompagnato dalla sua famiglia. Gli argomenti citati in precedenza
permettono quindi di qualificare le spese supplementari
supportate dagli espatriati per il loro alloggio in Svizzera
come spese professionali. Se un espatriato sceglierà questa
soluzione invece che un ritorno regolare nel suo Paese, esso
non potrà far valere le spese di ritorno nel suo Paese durante la durata del distacco. Ne consegue che, secondo l’UFG,
le spese previste all’articolo 2 capoverso 2 lettera b Oespa
possono essere considerate come spese professionali ai sensi dell’articolo 26 LIFD [30].
d) Le spese per l’insegnamento in lingua straniera fornita ai
figli minorenni da una scuola privata, nel caso in cui le scuole
pubbliche non offrano un insegnamento adeguato
Le spese scolastiche sostenute per la frequentazione di scuole
private per i figli degli espatriati hanno un ruolo particolare,
in quanto per questi è doveroso che i figli possano proseguire lo studio nella loro lingua materna. Se le scuole pubbliche
non possono offrire tale insegnamento, è necessario ricorrere
alle scuole private. La deducibilità delle spese effettive non è
ammessa da Robert Waldburger e Martin Schmid, tuttavia sono
ammissibili le spese supplementari alle quali non si può pretendere dall’espatriato che vi rinunci. Non ci si può aspettare
dall’espatriato che scolarizzi i suoi figli in una scuola pubblica se questa non offre un insegnamento adeguato in lingua
straniera. Questa tesi è sostenuta anche dall’UFG. Markus
Reich per contro non considera queste spese come professionali, bensì potrebbero essere qualificate a delle spese di
tragitto o di vitto o a delle spese di cura dei figli[31].
e) Conclusioni intermedie
L’articolo 2 capoversi 1 e 2 lettera b Oespa non violerebbe
dunque il principio di legalità. Le spese di trasloco (articolo 2
capoverso 2 lettera a Oespa) si trovano invece in una zona
grigia. Secondo l’UFG, un inserimento di queste spese nella
legge sarebbe utile ma non indispensabile. Infine, le spese
considerate sotto la lettera c (spese scolastiche) meriterebbero di essere indicate nella LIFD. Al fine di tener conto dei
diversi casi che si possono presentare, sarebbe stato giudizioso approfittare di una prossima revisione legislativa al
fine di adattare gli articoli 26 LIFD e 9 LAID che avrebbe permesso di tener conto della situazione particolare di alcune
cerchie di contribuenti per la qualificazione delle spese come
altre spese professionali, tuttavia a questa indicazione non
si è dato seguito con le modifiche apportate all’Oespa. Salvo
la questione delle spese scolastiche, per le quali sussistono
tuttora alcuni dubbi, la legittimità dell’articolo 2 capoversi 1
e 2 Oespa appare dunque incontestata dall’UFG [32].
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
4.4.
Trattamento delle partecipazioni finanziarie del datore di
lavoro nella determinazione del reddito imponibile dell’espatriato (articolo 2 capoversi 3, 4 e 5 Oespa)
Occorre ora esaminare la legittimità delle condizioni previste
nell’articolo 2 capoversi 3, 4 e 5 Oespa, inerenti le partecipazioni finanziarie da parte del datore di lavoro, soprattutto perché
l’articolo 17 LIFD prevede l’imponibilità di tutti i proventi da
attività lucrativa dipendente. È imperativo che questi benefici
valutabili in denaro soggiacciano ai fini dell’imposta sul reddito. Quindi, le prestazioni concesse agli espatriati dal datore di
lavoro dovrebbero essere qualificate come reddito imponibile ai
sensi dell’articolo 17 LIFD. Nella perizia l’UFG afferma di essere
d’accordo con la tesi formulata dall’Amministrazione federale
delle contribuzioni (di seguito AFC) in una circolare del 7 aprile
1988 concernente la partecipazione finanziaria delle aziende
alle spese scolastiche dei figli di collaboratori stranieri[33].
Secondo la circolare le partecipazioni che il dipendente riceve
sono connesse con il contratto di lavoro e quindi devono essere
imponibili. Tuttavia, se il datore di lavoro apporta un forfait alla
scuola in base ad un contratto stipulato con essa, allora queste
partecipazioni non sono un reddito.
Secondo l’UFG questi importi dovranno essere considerati
come reddito del contribuente o perlomeno inseriti nel certificato di salario, altrimenti il contribuente avrebbe il vantaggio
di beneficiare di una scuola gratuita per i figli grazie al suo
rapporto di lavoro e senza che le autorità fiscali ne siano al
corrente. La partecipazione forfettaria versata dal datore di
lavoro alla scuola dovrebbe essere dunque quantificata ai lavoratori dipendenti interessati ed essere almeno menzionata nel
certificato di salario. L’UFG è dell’avviso che questi rimborsi
costituiscano dei redditi imponibili ai sensi dell’articolo 17 LIFD
e dovrebbero essere calcolati come tali. Nonostante ciò, se
non risulta nessuna distorsione di imposizione, ovvero se nel
certificato di salario viene inserito l’importo esatto delle partecipazioni finanziarie del datore di lavoro, è possibile difendere il
metodo attuale. In questo modo le autorità fiscali sono informate del valore di queste prestazioni e possono mantenere il
loro margine di manovra per determinare il reddito imponibile.
Sorgono però delle incertezze, grazie al confronto dei diversi Cantoni effettuato da Robert Waldburger e Martin Schmid,
poiché senza un inserimento degli importi inerenti alle partecipazioni finanziarie sopraccitate, le autorità fiscali non
avrebbero modo di esserne a conoscenza e di apportare delle
correzioni. Si rischia quindi una minor imposizione di questi
lavoratori, a scapito di chi si vede calcolare le partecipazioni
finanziarie del datore di lavoro con i suoi redditi e per i quali la partecipazione è menzionata nel certificato di salario.
Se le partecipazioni finanziarie del datore di lavoro fossero
considerate dei redditi, allora sarebbe possibile soddisfare le
condizioni di cui all’articolo 17 LIFD, ed evitare svariate operazioni che potrebbero dimostrarsi non conformi ai principi
costituzionali che reggono il sistema impositivo [34].
4.5.
La costituzionalità dell’Oespa
Nel confronto orizzontale è più semplice valutare le situazioni tra i diversi gruppi di contribuenti che dispongono o meno
della stessa capacità economica. La valutazione in questo
caso è più precisa, anche se, non vi è comunque un obbligo
di un’imposizione completamente identica, poiché, anche in
questo caso, la possibilità di confronto tra le diverse situazioni è limitata. Definire un forfait è quindi indispensabile per
rendere l’imposta ammissibile. È abbastanza che la regolamentazione non porti a penalizzare sistematicamente dei
gruppi di contribuenti e ad imporli molto più marcatamente,
se non si possono trattare nello stesso modo [35].
Il parametro maggiormente importante è la conoscenza di
un’eventuale ragione oggettiva che possa giustificare una
deroga alla parità di trattamento orizzontale [36]. L’UFG è
dell’opinione che sia indispensabile tener conto di questi
principi per analizzare la costituzionalità dell’Oespa.
4.6.
Analisi dell’Oespa in base ai principi costituzionali d’imposizione
Sulla base delle valutazioni precedenti non sembrerebbero
esserci delle problematiche in termini di disparità di trattamento, la quale non è contestata, se si considerano le
differenze esistenti tra le varie classi di contribuenti. L’UFG
ha constatato invece che questa sia piuttosto la possibile
conseguenza del fatto che gli espatriati non siano interessati
a contestare un sistema per loro vantaggioso, in quanto giovano di prestazioni e deduzioni particolari; mentre l’appello
dei contribuenti che non possono approfittare delle deduzioni in quanto non espatriati sarà sicuramente respinto,
poiché non esistono interessi a loro favore al riguardo [37].
4.6.1.
Articolo 2 capoversi 1 e 2 Oespa
Considerando la situazione particolare degli espatriati, si possono valutare professionali le spese inserite in questo articolo,
ai sensi dell’articolo 26 LIFD, escludendo i dubbi riguardo le
spese scolastiche dei figli. Secondo l’UFG la situazione particolare degli espatriati non è contestata e deve essere
considerata per la loro imposizione. Per essere conformi al
principio della parità di trattamento, un contribuente svizzero distaccato dal suo datore di lavoro a tempo determinato
in un’altra città svizzera, lontana dal suo domicilio, dovrebbe
poter beneficiare dello stesso genere di deduzioni.
Esiste già la concessione di questo tipo di deduzioni per i
pendolari con rientro settimanale (svizzeri). Quindi un pendolare con rientro settimanale a tempo determinato, in quanto
15
16
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
distaccato per decisione del suo datore di lavoro, potrà beneficiare dello stesso genere di deduzioni. Ne consegue che non
sorgono problemi in termini di costituzionalità a causa delle deduzioni accordate agli espatriati domiciliati all’estero. Il
diritto svizzero però dovrà concedere lo stesso genere di spese
professionali per i contribuenti con domicilio o dimora fiscali
in Svizzera che riscontreranno una situazione analoga a quella
degli espatriati, pure domiciliati temporaneamente in Svizzera, per conformarsi al principio di parità di trattamento. Se si
ammettessero queste spese particolari quali spese professionali, vi sarebbe la possibilità che il principio dell’imposizione
secondo la capacità contributiva contrasti con la soppressione
della loro deducibilità[38].
5.
Modifica proposta dal DFF
5.1.
Spese professionali particolari
L’introduzione di nuove deduzioni o l’abolizione delle deduzioni di determinate spese non sono necessarie secondo il
DFF. Le spese di trasloco, di viaggio, di abitazione e le spese
per la frequentazione da parte dei figli di una scuola privata
sono la causa dell’attività lucrativa a durata determinata in
Svizzera e quindi sono spese supplementari dovute all’esercizio della professione, dalle quali non ci si può attendere che
l’espatriato vi rinunci [39].
5.2.
Campo d’applicazione (articolo 1 Oespa)
Con la definizione di “espatriato” ci si riferisce spesso alle
persone che esercitano un’attività lucrativa all’estero a
tempo determinato, e che conservano la loro casa o il loro
appartamento nel Paese di provenienza. Anche a proposito
delle persone che svolgono un’attività lucrativa indipendente, l’Oespa risulta formulata in maniera piuttosto estensiva.
Il DFF ha voluto intervenire in quanto la formulazione prevista dall’articolo 1 rischiava di contenere ogni migratore che
esercitava un’attività lucrativa, sempre se questa persona
avesse ottenuto un contratto di lavoro a tempo determinato in Svizzera. La proposta del DFF consiste nel limitare il
campo d’applicazione soltanto agli impiegati con funzione
dirigenziale e agli specialisti con specifiche qualifiche professionali, i quali sono distaccati per una durata determinata in
Svizzera dal loro datore di lavoro estero.
Per comprendere se un lavoratore è un espatriato, il distacco
a tempo determinato è il parametro decisivo, poiché significa che egli ritornerà presso l’abitazione all’estero e quindi
esiste un motivo valido per conservarla, visto che vi abitava
fino al periodo del distaccamento [40].
5.3.
Deduzione delle spese di abitazione
Non è chiaro se la deduzione delle spese di abitazione debba essere abolita nell’eventualità che l’abitazione conservata
all’estero sia consegnata in locazione o in sublocazione. La proposta del DFF è quindi di prevedere che la concessione di
questa deduzione sia possibile soltanto se l’abitazione
all’estero rimane a disposizione per uso proprio (articolo 2
capoverso 1 lettera b, capoverso 2 lettera b Oespa).
Inoltre si è reso necessario semplificare l’articolo 2 capoverso 1 Oespa concernente le spese per gli espatriati domiciliati
all’estero. Se ogni giorno un espatriato fa ritorno al suo
domicilio, pernotterà in Svizzera in modo incostante. Quindi
a detta del DFF è necessario abrogare l’articolo 2 capoverso
1 lettera b, rimpiazzandolo con l’attuale lettera c, che prevede una deduzione delle adeguate spese di abitazione in
Svizzera qualora sia comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero [41].
5.4.
Deduzione forfettaria
L’articolo 4 capoverso 2 Oespa stabilisce la deduzione di un
importo forfettario oppure delle spese effettive in riferimento alle spese di trasloco e di viaggio, come pure alle spese di
abitazione (articolo 2 capoverso 1 e capoverso 2 lettere a e b),
mentre non vi è la possibilità di beneficiare del forfait solo per
le spese di abitazione deducendo nel contempo i costi effettivi
per le spese di viaggio e viceversa. Secondo l’articolo 4 capoverso 3, le spese scolastiche dei figli previste nell’articolo 2
capoverso 2 lettera c non rientrano nell’importo forfettario, in
quanto non tutti i contribuenti devono sostenerle ed inoltre,
la variazione di queste può essere rilevante. Il DFF è dell’avviso che la deduzione forfettaria di 1’500 franchi sia tuttora
efficace e che debba essere conservata, ma concessa soltanto
a condizione che sia comprovato il mantenimento di un’abitazione permanente all’estero per uso proprio[42].
5.5.
Deduzione delle spese per la frequentazione da parte dei figli
di una scuola privata
La deduzione delle spese scolastiche, secondo il DFF, deve
essere conservata poiché giustificata da motivi oggettivi. Inoltre, il legame di questa deduzione non è diretto con
riferimento alle spese di viaggio, di trasloco e di abitazione.
Questa deduzione deve comprendere solamente le spese
generate dall’insegnamento scolastico, e non quelle di vitto,
trasporto e della cura dei figli prima o dopo le lezioni [43].
5.6.
Attestazione delle spese professionali particolari nel certificato di salario e nella dichiarazione d’imposta
Le spese professionali particolari pagate dal datore di lavoro
dovrebbero, secondo la perizia dell’UFG, essere dichiarate nel
certificato di salario e aggiunte al reddito degli espatriati. Nel
certificato di salario, dovrebbe pertanto essere inserita la cifra
delle spese professionali rimborsata, poiché le autorità fiscali
potrebbero controllare più semplicemente se sono state risarcite soltanto le spese deducibili, e soprattutto per l’esistenza
di un regolamento spese approvato. La proposta del DFF consiste quindi nell’abolizione della prima parte della voce n. 57
delle “Istruzioni per la compilazione del certificato di salario”, ovvero
l’indicazione del genere di tutte le altre spese effettive e dell’importo corrispondente. Così facendo, anche i datori di lavoro
in possesso di un regolamento spese approvato dovrebbero
inserire nella cifra 13.1.2 del certificato di salario la cifra delle
spese professionali particolari rifuse agli espatriati. L’obiettivo
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
di questa disposizione è quello di trasmettere più trasparenza
e costituire una valida soluzione per quanto riguarda la composizione del salario lordo, nonostante l’aumento del carico
amministrativo per le aziende che, al momento, non inseriscono tali spese nel certificato di salario[44].
5.7.
Circolare del 7 aprile 1988 dell’AFC sui contributi scolastici
versati da imprese internazionali per l’istruzione dei figli di
dipendenti stranieri
La Circolare prevede che non vi sia l’obbligo dell’aggiunta al
reddito imponibile dei contributi versati dalle imprese per l’istruzione dei figli di dipendenti stranieri. Siccome ai sensi dell’articolo
2 capoverso 2 lettera c Oespa le spese di frequenza da parte
dei figli di una scuola privata in lingua straniera sono deducibili come spese professionali particolari, la Circolare è diventata
superflua, ed inoltre non prevede un vincolo temporale, come
il termine massimo di cinque anni di cui all’articolo 2 capoverso
2 Oespa. Secondo il DFF questa Circolare deve essere abrogata, pertanto nel certificato di salario dell’espatriato deve essere
inserita l’indennità del datore di lavoro[45].
6.
Entrata in vigore delle nuove disposizioni concernenti l’Oespa
Il 1. gennaio 2016 entrerà in vigore la nuova versione dell’Oespa[46]. I cambiamenti rimangono gli stessi proposti dal DFF
nella bozza di modifica. Secondo questa revisione, la fascia
di persone che possono beneficiare delle deduzioni di spese
professionali particolari, in quanto espatriati, sarà più ridotta.
Per quanto riguarda il campo d’applicazione, non saranno più
considerati espatriati gli specialisti che svolgono in Svizzera
un compito temporaneo, bensì, dovranno essere distaccati temporaneamente dal datore di lavoro straniero (articolo
1 capoverso 1). In riferimento alle spese di alloggio, sia per
gli espatriati domiciliati all’estero, sia per quelli domiciliati in
Svizzera, sarà concessa la deduzione solamente in caso di
mantenimento di un’abitazione permanente all’estero esclusivamente per uso proprio.
Inoltre, le spese di trasloco saranno deducibili solamente
se necessarie, ovvero esclusivamente se collegate direttamente al trasloco. Per quanto concerne la deduzione delle
spese per la frequentazione da parte dei figli minorenni di
una scuola privata in lingua straniera, saranno concesse
solamente nel caso in cui le scuole pubbliche non offrano un
insegnamento adatto nella loro lingua. Non saranno considerate spese professionali particolari le spese per la custodia
dei figli prima e dopo la frequentazione della scuola, oltre
alle spese di vitto e di trasporto.
7.
Possibili conseguenze in seguito all’applicazione della
modifica
Il consigliere nazionale Pfister Gerhard ha depositato un’interpellanza il 30 settembre 2011. Egli è del parere che modificando le deduzioni fiscali particolari al fine di rispettare il
principio della parità di trattamento sarebbe in contrasto
con un vantaggio comparativo svizzero fondamentale e,
che, una sostanziale perdita della competitività della Svizzera spingerebbe le aziende internazionali ad abbandonarla
velocemente. Ha domandato quindi al Consiglio federale la
stima dell’entità del deterioramento economico che potrebbe
condurre queste imprese a stabilirsi all’estero, rispetto all’entità del substrato fiscale perso dalla Confederazione per via
dell’Oespa. Il deputato ha terminato chiedendo se vi fosse
la possibilità che il Consiglio federale valuti la rinuncia della
modifica in questione nel caso in cui gli effetti sull’economia
dovessero essere perlopiù dannosi[47].
In effetti, questa modifica potrebbe provocare un impatto
negativo in termini di attrattività economica del nostro Paese. Alcuni partiti e Cantoni sono dell’opinione che prima di
modificare l’Oespa, sarebbe necessario attendere che l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” venga applicata. Il testo di
questa iniziativa impone una limitazione del numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera, attraverso dei tetti
massimi e contingenti annuali. Il Canton Ginevra, in particolare, ha giudicato negativamente il cambiamento restrittivo
della nozione di espatriati, che andrebbe contro l’obiettivo di
promuovere la piazza economica svizzera dell’Oespa[48].
Per quanto riguarda le modifiche delle “Istruzioni per la compilazione del certificato di salario”, queste comporteranno
sicuramente un carico amministrativo supplementare per i
datori di lavoro. Un’altra conseguenza potrebbe verificarsi nel
reclutamento di personale qualificato, che potrebbe rivelarsi più difficile. D’altra parte, questa complicazione potrebbe
essere un incentivo per le imprese al fine di reclutare nel limite
del possibile il personale indigeno.
8.
Situazione dei Cantoni Ticino, Ginevra e Zurigo
8.1.
La sovranità cantonale
Secondo l’articolo 3 Cost. “I Cantoni sono sovrani per quanto la
loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale ed esercitano tutti i diritti non delegati alla Confederazione”. Il Cantone è
pertanto titolare della potestà concorrente e residuale. Inoltre secondo l’articolo 2 capoverso 1 della Costituzione della
Repubblica e Cantone Ticino “La sovranità del Cantone risiede
nell’universalità dei cittadini ed è esercitata nei modi stabiliti dalla
Costituzione”.
Ogni Cantone svizzero è sovrano, ciò significa che i Cantoni
possono essere fiscalmente concorrenziali tra loro (articolo
129 capoverso 2 Cost.). Essi hanno la possibilità di concedere deduzioni più vantaggiose (rispetto ad altri Cantoni),
al fine di essere fiscalmente attrattivi per quanto riguarda la
mobilità intercantonale, sia delle persone fisiche, sia di quelle
17
18
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
giuridiche. I Cantoni pertanto hanno libertà nel determinare l’importo delle deduzioni concesse, ma devono rispettare il
diritto federale superiore, come previsto nell’articolo 49 Cost.
8.2.
Divieto di agevolazioni fiscali ingiustificate
I Cantoni vogliono essere attrattivi per i contribuenti benestanti, specialmente stranieri, quindi la tentazione di concedere
sgravi fiscali non giustificati da motivazioni oggettive è forte.
Tuttavia secondo l’articolo 129 capoverso 3 Cost., è vietato
concedere agevolazioni fiscali ingiustificate[49]. Sul territorio
di ogni Cantone si applicano quindi le legislazioni tributarie
cantonali, alle quali può porre dei limiti solamente il diritto
federale superiore. Per i motivi sopraccitati, vengono qui esaminate brevemente le situazioni dei Cantoni Ticino, Ginevra e
Zurigo, al fine di comprendere quali deduzioni questi Cantoni
concedono attualmente agli espatriati.
8.3.
Situazione del Canton Ticino
Il Canton Ticino si appoggia alla vigente Oespa. Secondo
l’autorità fiscale cantonale, le modifiche all’Oespa non sono
considerate sostanziali, e fino a nuovo avviso, la Divisione delle contribuzioni continuerà a basarsi su questo ordinamento.
È pure necessario considerare che il reddito offerto a specialisti e dirigenti che si trasferiscono all’interno della nazione
è più elevato rispetto a quello di altri Paesi, in particolare di
quelli d’origine.
Questi fattori spingono a porsi delle domande. Dal momento
in cui la modifica Oespa verrà applicata, vi sarà sicuramente un
certo aumento del gettito fiscale, ma in teoria tale aumento
potrebbe venire compensato parzialmente dalla diminuzione
del numero di espatriati in Svizzera, o dalla migrazione delle
imprese internazionali verso altri Paesi. Personalmente non
mi sento di condividere questa ipotesi, poiché ritengo che gli
espatriati scelgano il nostro Paese soprattutto per altri fattori, come i salari elevati, la facilità di inserimento nel territorio,
la sicurezza politica e sociale. Sono del parere che la fiscalità non sia davvero una loro priorità rispetto agli elementi
esposti in precedenza. Per questo motivo sono convinta che
in pratica si verificherà un aumento in termini reali del gettito fiscale, senza causare un deterioramento economico della
piazza svizzera.
8.4.
Situazione del Canton Ginevra
Il Canton Ginevra concede le indennità di residenza deducibili
per l’imposta cantonale corrispondenti al 10% del salario lordo incluse queste ultime (tetto massimo annuale di 100’000
franchi) a condizione che siano incluse nel certificato di salario
e che siano state pagate[50]. Questo non corrisponde al forfait
mensile di 1’500 franchi menzionato nell’Oespa per l’imposta
federale diretta.
8.5.
Situazione del Canton Zurigo
Attualmente, per gli espatriati che vivono nel Canton Zurigo, sono concesse le stesse deduzioni previste dall’Oespa[51].
L’autorità fiscale zurighese ha l’intenzione di continuare ad
applicare le stesse regole previste dall’Oespa anche dopo le
modifiche apportate dal Consiglio federale.
9.
Conclusioni
Dall’analisi dei testi giuridici esaminati si evince che, in seguito alla modifica dell’Oespa, dovrebbe attenuarsi la disparità di
trattamento tra espatriati e persone che abitano e lavorano
in Svizzera, a discapito di una minore attrattività della nostra
piazza economica per le imprese attive sul piano internazionale e per gli espatriati stessi.
Sono del parere che il nostro Paese resterà comunque
attrattivo per questi soggetti. La Svizzera rimane competitiva per quanto riguarda la favorevole imposizione dell’utile e
del capitale per le aziende rispetto a quella di altre nazioni.
Inoltre, come mostra il sondaggio di YouGov svolto per conto
della banca britannica HSBC, il nostro Paese offre le migliori condizioni per gli espatriati di tutto il mondo, in termini di
qualità di vita, benessere finanziario e facilità di stabilimento.
Sorge inoltre spontanea la domanda se sia corretto, nonostante la modifica, che ci sia un approccio diverso fra lavoratori
residenti ed espatriati; se vi sia una violazione della parità di
trattamento, ovvero del principio della capacità contributiva. Come precedentemente esposto, un lavoratore residente
che viene trasferito in un altro Cantone dal datore di lavoro
può trovarsi in una situazione simile per quanto riguarda le
spese per la frequentazione dei figli di lingua madre diversa
di una scuola privata. Vi è disparità di trattamento anche tra
l’espatriato che viene solo e quello che viene con la famiglia,
siccome il primo, come poc’anzi affermato, ha diritto alla stessa deduzione forfettaria pur dovendo sostenere spese minori
rispetto al secondo.
Dopo l’analisi della situazione attuale e delle prospettive future posso dedurre che non è possibile arrivare a un risultato
ottimale che riesca ad accontentare tutti i soggetti in gioco.
Trovo sia alquanto complesso rispettare in pieno il principio
di parità di trattamento in questa fattispecie in cui i principi
dell’uguaglianza e i principi di promuovere la piazza economica svizzera verso l’estero si incontrano.
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.talentsangels.com/wp-content/uploads/2014/04/Gestioneespatriati-e1398184205862.jpg [03.09.2015]
h t t p : // w w w . s w i s s f i n a n c i a l y a r d . c h / w p - c o n t e n t / u p l o a d s /
6869765923_307afdd67c_b.jpg[03.09.2015]
http://www.saporedicina.com/wp-content/uploads/2013/11/assicurazionesanitariaincina1.jpg [03.09.2015]
http://1.bp.blogspot.com/-kyBp44AIhyw/TdCs32Mp-sI/AAAAAAAAAC4/vvSPyWJpRIE/s1600/Expat.jpg [03.09.2015]
http://careerminer.infomine.com/wp-content/uploads/2013/01/world.jpg
[03.09.2015]
https://huntswood.files.wordpress.com/2011/04/103-arrowcentric.png
[03.09.2015]
http://www.vadoavivereamiami.com/wp-content/uploads/2013/05/
timbro-visa.jpg [03.09.2015]
[1] Fässler-Osterwalder Hildegard, Postulato
n. 09.3528 del 10 giugno 2009, Deduzioni fiscali per
gli espatriati, in: http://www.parlament.ch/i/suche/
pagine/geschaef te.aspx?gesch_id=20093528
[03.09.2015].
[2] DFF, Le rivedute disposizioni sulle deduzioni
fiscali per gli espatriati entrano in vigore a inizio
2016, Comunicato stampa, Berna, 16 gennaio
2015, in: https://www.news.admin.ch/message/
index.html?lang=it&msg-id=55929 [03.09.2015].
[3] DFF, Rapporto esplicativo concernente la revisione dell’ordinanza sulla deduzione di spese
professionali particolari di impiegati con funzione
dirigenziale e di specialisti attivi temporaneamente in Svizzera ai fini dell’imposta federale diretta
(Ordinanza concernente gli espatriati, Oespa), Berna, gennaio 2015 (citato: Rapporto esplicativo), in:
http://www.news.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/37974.pdf [03.09.2015].
[4] Gros Jean-Michel, Iniziativa parlamentare
n. 96.431 del 21 giugno 1996, IFD. Imposition des
sociétés auxiliaires, in: http://www.parlament.
ch/i/suche/pa gine/geschaef te. a spx?gesch_
id=19960431 [03.09.2015].
[5] DFF, Rapporto esplicativo.
[6] Fässler-Osterwalder Hildegard, Postulato
n. 09.3528 del 10 giugno 2009, Deduzioni fiscali per
gli espatriati.
[7] Gysi Barbara, Interpellanza n. 12.3491 del 13
giugno 2012, I privilegi fiscali impediscono l’integrazione degli espatriati?, in: http://www.
p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e .
aspx?gesch_id=20123491 [03.09.2015].
[8] Fässler-Osterwalder Hildegard, Mozione
n. 12.3510 del 13 giugno 2012, Abolizione dei
privilegi fiscali degli espatriati, in: http://www.
p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e .
aspx?gesch_id=20123510 [03.09.2015].
[9] Schelbert Louis, Mozione n. 12.3560 del 14
giugno 2012, Basta con i privilegi fiscali per gli
espatriati, in: http://www.parlament.ch/i/suche/
pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20123560
[03.09.2015].
[10] Vorpe Samuele, Flat Rate Tax, Tra le pieghe
dell’aliquota “piatta”, Lavoro di tesi, Manno 2008,
pagina 16, in: http://www.supsi.ch/fisco/dms/
fisco/docs/pubblicazioni/articoli/Flat-Rate-Tax_
Tesi_2008.pdf [03.09.2015].
[11] Idem, pagina 16.
[12] DTF 121 I 103.
[13] DTF 112 I 144.
[14] DFF, Rapporto esplicativo, pagina 5.
[15]Fässler-Osterwalder Hildegard, Mozione n. 12.3510
del 13 giugno 2012, Abolizione dei privilegi fiscali
degli espatriati.
[16] Schelbert Louis, Mozione n. 12.3560 del 14
giugno 2012, Basta con i privilegi fiscali per gli espatriati.
[17] Waldburger Robert/Schmid Martin, Gewinnungskostencharakter von besonderen Leistungen
des Arbeitgebers an Expatriates, Berna 1999.
[18] Idem.
[19] DTF 124 II 29.
[20] Eckert Jean-Blaise, N 36 ad Art. 26 LIFD, in: Yersin Danielle/Noël Yves (a cura di), Commentaire
romand, Impôt fédéral direct, Basilea 2008.
[21] Locher Peter, Kommentar zum DBG, Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer, I. Teil,
Art. 1-48 DBG, Therwil/Basilea 2001, N 2 ad Art. 26
LIFD.
[22] Reich Markus, N 9 ad Art. 25 LIFD, in: Zweifel
Martin/Athanas Peter, Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Band I/2a: Bundesgesetz über
die direkte Bundessteuer (DBG), Art. 1-82, 2. edizione, Basilea 2008.
[23] Sentenze TF n. 2A. 224/2004; n. 2C_445/2008;
n. 2C_477/2009.
[24] UFG, Déductions fiscales accordées aux expatriés: Examen de la constitutionnalité et de la
légalité de l’ordonnance concernant les expatriés
(Oexpa) du 3 octobre 2000, Avis de droit du 6 septembre 2011, in: JAAC 2/2011 del 6 dicembre 2011,
pagina 44.
[25] DTF 124 II 34.
[26] Reich Markus, N 20 ad Art. 9 LAID, in: Zweifel
Martin/Athanas Peter, Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Band I/1: Bundesgesetz über
die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden (StHG), 2. edizione, Basilea
2002.
[27] Locher Peter, op. cit., N 23 e seguenti ad Art. 25
LIFD.
[28] UFG, op. cit., pagina 47.
[29] Idem, pagina 51.
[30] Idem, pagina 52.
[31] Idem, pagina 53.
[32] Idem, pagina 54.
[33] Questa lettera-circolare non è più disponibile
su internet. È stata messa a disposizione al gruppo
di lavoro dall’AFC.
[34] UFG, op. cit., pagina 55.
[35] DTF 126 I 76.
[36] Oberson Xavier, Droit fiscal suisse, 4. edizione,
Basilea 2012, N 21 ad § 3.
[37] UFG, op. cit., pagina 57.
[38] Idem, pagina 58.
[39] DFF, Rapporto esplicativo, pagina 7.
[40] Idem, pagine 8-9.
[41] Idem, pagine 9-10.
[42] Idem, pagine 10-11.
[43] Idem, pagina 11.
[44] Idem, pagine 12-15.
[45] Idem, pagina 15.
[46] DFF, Le rivedute disposizioni sulle deduzioni
fiscali per gli espatriati entrano in vigore a inizio
2016, Comunicato stampa, Berna, 16 gennaio 2015.
[47] Pfister Gerhard, Interpellanza n. 11.4022 del
30 settembre 2011, Progetto di modifica dell’ordinanza concernente gli espatriati, in: http://www.
p a r l a m e n t . c h/ i/s u c h e /p a g i n e /g e s c h a e f t e .
aspx?gesch_id=20114022 [03.09.2015].
[48] Agenzia telegrafica svizzera (Ats), Espatriati, la
revisione dell’ordinanza arriva nel momento sbagliato, in: Ticinonline, 10 luglio 2014, http://www.
tio.ch/News/Svizzera/Politica/799982/Espatriatila-revisione-dell-ordinanza-arriva-nel-momentosbagliato/ [03.09.2015].
[49] Conferenza svizzera delle imposte, Commissione informazione, Il sistema fiscale svizzero,
Edizione 2013.
[50] Per quanto riguarda l’imposta cantonale, non
esistono documenti ufficiali; si tratta della pratica
utilizzata per il Canton Ginevra in materia di indennità di residenza.
[51] Autorità fiscale del Canton Zurigo, Richtlinien des kantonalen Steueramtes über die
Berücksichtigung besonderer Berufskosten von
vorübergehend in der Schweiz tätigen leitenden
Angestellten und Spezialisten, Zürcher Steuerbuch, Zurigo, 23 dicembre 1999, in: http://www.
s teuer amt . zh.ch/inter net /f inanzdirek tion/
k s t a /d e / w i r t s c h a f t s s t a n d o r t _ u n t e rn e hm e ns s t e u e r/_ jcr_co n t e n t /co n t e n t Pa r/
d ow n l o adlis t /d ow n l o ad i t e m s/r i c h t lin i e n _
expatria.spooler.download.1402388976245.
pdf/17_300_2014.pdf (consultato il 10 dicembre
2014) [03.09.2015].
19
20
Diritto tributario italiano
Voluntary disclosure e imposta di successione: quando scatta la regolarizzazione
della dichiarazione e l’obbligo di corrispondere la relativa imposta?
Roberto Bianchi
Dottore commercialista, Revisore legale,
Revisore dei conti degli enti locali, Docente Didacom
Guida al fisco e Il Sole 24 Ore master norme e tributi
Editorialista e pubblicista tributario IPSOA
Wolters Kluwer
Studio Cioni & partners, Bologna
L’assenso alla voluntary disclosure internazionale, in
riferimento a patrimoni ricevuti in eredità, può comportare il verificarsi di talune diatribe attinenti alla
dichiarazione e all’imposta sulle successioni
1.
La territorialità dell’imposta di successione, la dichiarazione integrativa e il ravvedimento operoso
In riferimento all’imposta sulle successioni, l’articolo 27 del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 346/1990 dispone che:
◆◆ la liquidazione dell’imposta deve essere notificata entro tre
anni dalla presentazione della dichiarazione di successione
o della dichiarazione sostitutiva o integrativa;
◆◆ la rettifica della dichiarazione infedele o incompleta deve
essere notificata entro due anni dal pagamento dell’imposta principale;
◆◆ in caso di omissione della dichiarazione, l’avviso deve essere
notificato entro cinque anni dalla scadenza del termine
previsto per la dichiarazione omessa.
internazionale, in prevalenza non sono “presenti” sul territorio
italiano, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2 D.Lgs.
n. 346/1990 non si manifesta la necessità di dover corrispondere l’imposta sulle successioni; per contro se, al momento del
trapasso, il de cuius fosse residente in Italia, l’imposta sulle successioni risulterebbe essere dovuta anche in relazione ai beni
esistenti all’estero, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo
2 comma 1 D.Lgs. n. 346/1990.
In questa seconda ipotesi, con il defunto residente all’interno
dei confini nazionali al verificarsi della sua scomparsa, appare
maggiormente concretizzabile l’ipotesi del necessario assolvimento dell’onere fiscale inerente all’imposta sulle successioni
italiana, considerato che, in tale circostanza, la stessa deve
essere determinata tenendo in considerazione anche i beni
posseduti in territorio “straniero”.
L’articolo 60 D.Lgs. n. 346/1990 stabilisce inoltre che, per l’imposta sulle donazioni, si applica la normativa operante in tema
di imposta di registro.
La vicenda appare quanto meno peculiare in quanto, nel caso di
attività esistenti all’estero e di “disclosure” internazionale, è inevitabile prendere in considerazione le disposizioni relative alla
territorialità dell’imposta di successione. È necessario menzionare, pertanto, che nel rispetto di quanto disposto dall’articolo
2 comma 2 D.Lgs. n. 346/1990, qualora al momento dell’avvio
della procedura di successione il de cuius non risulti residente nello Stato italiano, l’imposta di successione deve essere
richiesta limitatamente al valore dei beni e dei diritti esistenti
sul territorio italico.
Di conseguenza, nel caso in cui il de cuius, al momento del
trapasso, non risieda nel territorio nazionale, l’imposta sulle successioni non risulta essere applicabile in merito ai beni
detenuti al di fuori dei confini nazionali e pertanto, considerato che i patrimoni interessati dalla emersione volontaria
Con riferimento ai patrimoni esteri ereditati da cittadini residenti in Italia, si può pertanto ricadere, o nel caso in cui la
dichiarazione di successione sia stata completamente omessa,
oppure sia stata presentata, sebbene omettendo la menzione
delle attività detenute all’estero. Nella prima ipotesi, la dichiarazione di successione deve necessariamente essere inviata
entro dodici mesi decorrenti[1] dalla data di apertura della
successione. Una volta decorso tale termine, il contribuente
ha la possibilità di “ravvedersi” presentando la dichiarazione nei
termini previsti per il ravvedimento operoso dall’articolo 13
D.Lgs. n. 472/1997, potendo applicare anche le modalità e i
termini previsti dalle “nuove” lettere b-bis e b-ter dell’articolo 13,
introdotte dalla Legge (di seguito L.) n. 190/2014.
Il ravvedimento è possibile, naturalmente, a condizione che
non sia stato notificato alcun avviso di accertamento o di liquidazione. In tali casi, considerato che l’imposta sulle successioni
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
e sulle donazioni non viene autoliquidata, il contribuente che
abbia interesse a regolarizzare l’omissione della dichiarazione,
dovrebbe presentare tardivamente la modulistica e attendere la liquidazione dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni
ridotte, di esclusiva competenza dell’Agenzia delle Entrate,
che dovrà perfezionare tale adempimento entro tre anni dalla ricezione della dichiarazione “tardiva” (articolo 27 D.Lgs. n.
346/1990). Tuttavia non ci si può esimere dal sottolineare che
la Suprema Corte, con un orientamento che appare ormai
consolidato[2] , ha sostenuto che la dichiarazione di successione presentata tardivamente, ma tuttavia antecedentemente
alla notifica di un avviso di accertamento tributario, non può
in ogni caso essere sanzionata.
Il D.Lgs. n. 473/1997, che ha rivisitato alcune norme sanzionatorie relative alle imposte indirette diverse dall’imposta sul
valore aggiunto (di seguito IVA), era intervenuto sull’articolo 50
D.Lgs. n. 346/1990, disponendo che venisse sanzionata esclusivamente l’omissione della presentazione della dichiarazione di
successione, ma non la tardività dell’inoltro della dichiarazione
medesima. Pertanto, qualora un erede presenti la dichiarazione di successione decorso il termine annuale dall’apertura
della successione, non potrà essergli comminata alcuna sanzione, quantomeno se ci si attiene al consolidato orientamento
dettato della Suprema Corte di Cassazione. Il percorso logico
seguito dagli “ermellini” trae origine dalla considerazione che,
nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 33 comma 1 D.Lgs.
n. 346/1990, l’Amministrazione finanziaria determina e notifica
al contribuente l’imposta di successione anche qualora la relativa dichiarazione venga depositata successivamente alla sua
scadenza naturale, sebbene antecedentemente alla notifica di
un avviso di accertamento. Da ciò si può evincere pertanto che,
i magistrati della Corte di Cassazione, non siano affatto interessati a quanto disposto dall’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997
in tema di ravvedimento operoso[3], tra l’altro recentemente
riformato dalla L. n. 190/2014.
Tale disposizione prevede che l’omessa presentazione di una
dichiarazione, con riferimento a qualsivoglia dichiarazione tributaria, senza limitarsi alle dichiarazioni per imposte sui redditi
e IVA, può essere sanata qualora il contribuente rimedi alle proprie mancanze entro novanta giorni dalla scadenza del termine
previsto dalla norma, presentando la dichiarazione omessa e
versando il relativo tributo, eventualmente dovuto, gli interessi legali e le sanzioni “previste per l’omessa dichiarazione” ridotte
nella misura di un decimo del minimo[4]. Pare pertanto che
l’articolo 13 richiamato, statuisca una regola applicabile a tutti
i settori impositivi e consistente nella generale sanzionabilità
della dichiarazione omessa. Tuttavia, prescindendo da tali considerazioni e sposando la linea adottata dalla Suprema Corte,
la comparazione tra l’articolo 50 D.Lgs. n. 346/1990 e l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997 porterebbe a risultati incoerenti in
quanto, seguendo le disposizioni delle sentenze della Corte di
Cassazione menzionate, la sanzionabilità di una dichiarazione
inviata tardivamente si verificherebbe esclusivamente qualora
presentata successivamente alla notifica di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate; ciò nonostante,
interpretando letteralmente l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997,
la violazione risulterebbe ravvedibile e pertanto il contribuente
avrebbe la possibilità di beneficiare del ravvedimento operoso,
corrispondendo per esempio la sanzione per omessa dichiarazione ridotta ad un decimo del minimo nei novanta giorni
successivi al decorso dell’anno dall’apertura della successione,
o ad un nono del minimo entro novanta giorni dal momento
di commissione della violazione[5], o ad un ottavo del minimo
entro l’anno dall’omissione, eccetera, ma tuttavia risulterebbe
possibile anche presentare una dichiarazione tardiva antecedentemente alla notifica di un avviso di accertamento, senza
essere tenuti a versare alcuna sanzione.
Ricevuto l’avviso di accertamento, si avrebbe comunque la
facoltà di definire nella misura di un terzo la sanzione comminata nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 16 e 17
D.Lgs. n. 472/1997, oppure ai sensi dell’articolo 15 D.Lgs. n.
218/1997, valendosi della diminuzione delle sanzioni nella misura di un sesto (qualora l’accertamento non sia stato
anticipato da un “invito al contraddittorio”) o di un terzo, disponendo della facoltà di beneficiare del pagamento dilazionato
degli importi dovuti ed evitando di concedere qualsivoglia
tipologia di garanzia.
Tutto ciò premesso, risulta palese che il contribuente al quale verrà notificato un atto di irrogazione della sanzione per
omessa dichiarazione attraverso la quale, in buona sostanza, l’Amministrazione finanziaria tenti di disconoscere, ai fini
sanzionatori, la dichiarazione di successione presentata tardivamente, avrà facoltà di presentare ricorso in Commissione
Tributaria Provinciale richiamando le menzionate sentenze
della Suprema Corte. Tuttavia, anche in considerazione delle
peculiarità rilevate, pare in ogni caso conveniente che, qualora utilizzabile, i concorrenti alla spesa pubblica usufruiscano
opportunamente del ravvedimento operoso, in particolare nel
caso in cui, preso atto dell’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, non sia dovuto il corrispondente tributo
per mancato raggiungimento delle soglie rappresentate dalle
franchigie di esenzione.
È necessario comunque rammentare che l’Amministrazione
finanziaria dispone di cinque anni, a decorrere dalla scadenza
del termine per l’invio della dichiarazione di successione, per
notificare un avviso di accertamento qualora la dichiarazione
venisse celata. Di conseguenza, con decorrenza dalla data di
apertura della successione, che generalmente coincide con la
data del decesso del de cuius, l’Agenzia delle Entrate ha a disposizione un termine che si estende sino a sei anni per notificare
un eventuale avviso di accertamento.
21
22
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Qualora un cittadino italiano avesse ricevuto per successione
(aperta per esempio il 30 aprile 2010), da un affine residente
nel territorio nazionale, obbligazioni emesse da società straniere e avesse omesso di presentare, in merito a tale eredità,
la relativa dichiarazione di successione, avrebbe tutt’oggi la
facoltà di “ravvedersi”, depositando la dichiarazione di successione e beneficiando della sanzione ridotta nella misura di un
sesto. L’Amministrazione finanziaria, d’altro canto, avrebbe
la possibilità di notificare il relativo avviso di accertamento
esclusivamente entro il 30 aprile 2016.
Diversamente, nel caso di dichiarazione presentata omettendo di indicare il patrimonio detenuto all’estero, il contribuente
che avesse l’intenzione di “rimediare” all’illegalità commessa,
sarebbe tenuto a inviare una dichiarazione integrativa contenente i valori patrimoniali posseduti al di fuori dei confini
nazionali. È inevitabile rammentare a tal proposito che, come
ribadito dall’Agenzia delle Entrate attraverso la Risoluzione
n. 8/E/2012 pubblicata in data 13 dicembre 2012, il contribuente ha la facoltà di effettuare la correzione degli errori (non
esclusivamente materiali o di conteggio) anche in un momento successivo alla scadenza del termine per la presentazione
della dichiarazione, seppur antecedente alla notifica dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta, ovvero
precedentemente alla decorrenza del termine ultimo per la
comunicazione dello stesso. In merito a ciò appare quanto mai
opportuno rammentare che l’Amministrazione finanziaria,
con decorrenza dal momento di effettuazione del pagamento
dell’imposta di successione principale, ha a disposizione due
anni per notificare, al partecipante alle spese dello Stato, l’avviso di rettifica dell’imposta.
Di conseguenza, qualora un cittadino domiciliato in Italia
avesse ricevuto, in relazione ad una successione apertasi il
10 aprile 2011 e relativa alla morte di un affine residente sul
territorio nazionale, obbligazioni estere non dichiarate nella
dichiarazione di successione inviata nei termini (i.e. il 10 aprile
2012), avrebbe la possibilità di presentare una dichiarazione
integrativa includendo il patrimonio detenuto all’estero ma
non dichiarato. In ogni caso, supponendo che il pagamento
dell’imposta di successione principale sia stato effettuato il
30 ottobre 2012, l’Agenzia delle Entrate non è più nei tempi
necessari per effettuare la rettifica della dichiarazione, termini
che invece tornerebbero a decorrere, qualora il contribuente si
servisse del ravvedimento.
2.
Successori del de cuius che non ha provveduto a compilare
il quadro RW e collaborazione volontaria
Tra i contribuenti che hanno la facoltà di beneficiare della
procedura di “emersione volontaria”, rientrano a pieno titolo i
possessori di beni e di titoli di credito ricevuti in eredità ma
detenuti dal trapassato al di fuori dei confini nazionali, trasgredendo ai vincoli scaturenti dalla normativa e dalla prassi
sul monitoraggio fiscale. Le ripercussioni gravanti sul processo
di emersione, derivanti dalla scomparsa dell’artefice della violazione motivato ad aderire alla “disclosure”, sono trattati nella
Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 e nella Circolare Assonime
n. 16 del 19 maggio 2015.
A tal proposito siamo tenuti a far risaltare, in prima battuta,
in quale modo il precetto normativo contenuto nell’articolo
65 D.P.R. n. 600/1973, relativamente al differimento di sei mesi,
in soccorso ai discendenti, di qualsivoglia scadenza “aperta” al
momento della dipartita del de cuius o scadenti nei quattro
mesi successivi alla morte, renda opportuna una correlazione
con la disciplina contenuta nell’articolo 5-quater comma 5 D.L.
n. 167/1990, in ragione della quale, con decorrenza dalla data
di ricevimento della richiesta di collaborazione, il termine di
decadenza per la notificazione dell’avviso di accertamento e
dell’atto di contestazione, in tema di monitoraggio tributario,
sono automaticamente prorogati, in deroga ai termini ordinari, fino a concorrenza dei novanta giorni.
Tutto ciò comporta che, nella circostanza in cui si verifica
la morte del de cuius successivamente al 31 maggio 2015, i
successori del contribuente scomparso avranno la facoltà di
giovarsi di un differimento, disposto dal menzionato articolo
65 D.P.R. n. 600/1973, che prevede una scadenza che garantisca il perfezionamento del processo di emersione, senza
dimenticare il differimento dei termini di accertamento e
contestazione disciplinati dall’ultimo periodo del menzionato
comma 5 dell’articolo 5-quater D.L. n. 167/1990[6].
Sintetizzando quanto sopra esposto, nella circostanza in cui
si verifichi il trapasso del contribuente “reticente” in una data
successiva al 31 maggio 2015, la domanda di adesione al procedimento di “collaborazione volontaria” dovrà risultare inoltrata
entro e non oltre il 31 dicembre 2015, scadenza prevista per lo
svolgimento delle procedure di verifica del periodo di imposta
in decadenza; in questa specifica circostanza l’Amministrazione finanziaria disporrà del termine del 30 marzo 2016 per
portare a termine le attività di accertamento.
Nel caso in cui la morte del contribuente avvenga successivamente alla presentazione dell’istanza di emersione volontaria,
il differimento di sei mesi decorrerà in riferimento alle scadenze disciplinate per gli adempimenti susseguenti alla domanda
di emersione, essenziali per il completamento del processo,
tra i quali rientrano a pieno titolo quelli attinenti alla corresponsione, anche rateale, delle imposte, delle sanzioni e dei
conseguenti interessi. Nella malaugurata circostanza per la
quale il successore ometta di eseguire il versamento entro la
scadenza contemplata, così come differita nel rispetto dell’articolo 65 D.P.R. n. 600/1973, bloccando il completamento del
procedimento, entrerà in azione quanto disciplinato dall’arti-
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
colo 5-quinquies comma 10 D.L. n. 167/1990[7] , che dispone
un’eccezione ai termini di notifica degli avvisi di accertamento
e contestazione emessi dall’Amministrazione finanziaria.
È opportuno, oltre a ciò, chiarire gli effetti della morte del
responsabile della trasgressione, che ricadono sul procedimento
di “collaborazione volontaria”, suddividendo le casistiche analizzate in funzione del momento nel quale si manifesta la scomparsa
rispetto ai vari stadi del processo di emersione. Qualora il protagonista dell’infrazione spiri preventivamente all’inizio del
procedimento di “voluntary disclosure”, il successore avrà la facoltà di beneficiare della medesima, eventualmente giovandosi,
qualora si manifestino le premesse di cui si è trattato in precedenza, del differimento dei termini, e pertanto depositando,
negli Uffici dell’Agenzia delle Entrate competente per territorio,
una domanda di emersione in qualità di successore del de cuius.
Ovviamente, nella circostanza per la quale, il discendente sia
incappato in aggiuntive infrazioni risolvibili attraverso l’adesione all’“emersione volontaria”, avrà la facoltà a sua volta di
depositare per se stesso una separata e indipendente domanda di accesso alla “voluntary disclosure”, con specifico riferimento
alla sua posizione personale nella sua globalità, ricomprendente
anche il patrimonio eventualmente ereditato.
Qualora, nel caso opposto, il decesso del de cuius si verifichi
successivamente alla presentazione della domanda di accesso al procedimento di “collaborazione volontaria” da parte del
protagonista della violazione, la decisione di perfezionare o
abbandonare il processo già avviato sarà lasciata all’erede, al
quale viene attribuita la facoltà di presentare una successiva domanda di emersione in qualità di discendente, in forza
delle informazioni e della documentazione eventualmente
acquisita, a completamento del “fascicolo”, depositato in origine dal de cuius. In riferimento al processo di emersione nel
quale intervenga il discendente in qualità di erede, e pertanto
sia nella circostanza in cui sia stato lui stesso ad attivarlo sia
nella contingenza di un suo subentro successivo alla morte del
richiedente, non può trovare applicazione alcuna disposizione
sanzionatoria, in conseguenza di quanto disposto dall’articolo
8 D.Lgs. n. 472/1997, in riferimento alla intrasmissibilità delle
sanzioni ai successori.
3.
“Voluntary disclosure” relativa a beni esteri ereditati ma
non dichiarati in Italia. Le incognite derivanti dall’omessa
o dall’infedele dichiarazione successoria
Il procedimento di “voluntary disclosure” può incontrare un
ostacolo rappresentato dall’imposta sulle successioni in quanto è consueto il fenomeno secondo il quale il patrimonio[8]
occultato in Italia provenga da una successione ereditaria. In
questa circostanza, qualora una dichiarazione di successione
fosse stata inviata all’Amministrazione finanziaria italiana da
parte dei successori, la stessa non conteneva, evidentemente,
quel patrimonio, disponibile al di fuori dei confini nazionali, che
oggi, attraverso l’emersione volontaria, è più che opportuno
legalizzare. Pertanto, si può presentare il caso in cui un’istanza di “voluntary disclosure” venga inoltrata senza che siano
trascorsi due anni dal versamento dell’imposta principale in
riferimento ad una dichiarazione di successione depositata nel
nostro Paese evitando di indicare il patrimonio detenuto al di
fuori dei confini dello Stato, oppure cinque anni dalla scadenza
del termine concesso agli eredi per inoltrare una dichiarazione
di successione e che a tutt’oggi “risulta omessa” o infine la circostanza in cui risultino trascorsi i termini di due o cinque anni
sopra menzionati.
Nel primo caso ipotizzato, qualora l’istanza di “voluntary disclosure” fosse presentata senza aver inviato antecedentemente
all’Amministrazione finanziaria una dichiarazione di successione integrativa a quella presentata in modo incompleto,
l’Agenzia delle Entrate si vedrebbe costretta a notificare al
“contribuente distratto” un avviso di rettifica e di liquidazione
dell’imposta di successione ai sensi dell’articolo 27 comma
2 D.Lgs. n. 346/1990. La sanzione edittale è determinata in
una percentuale rientrante tra il 100% e il 200% dell’imposta non corrisposta, ai sensi dell’articolo 51 comma 1 D.Lgs.
n. 346/1990.
Analogamente, nel secondo caso ipotizzato, qualora la
domanda per accedere alla “voluntary disclosure” sia formulata
omettendo di depositare antecedentemente una dichiarazione
di successione volta a presentare l’intero patrimonio occultato
e pertanto a sanare l’omissione, l’Agenzia delle Entrate dovrà
necessariamente procedere notificando un avviso di accertamento, di cui all’articolo 27 comma 4 D.Lgs. n. 346/1990. La
penalità pecuniaria disposta per l’omissione della dichiarazione
di successione è determinata in una percentuale ricompresa
tra il 120% e il 240% dell’imposta evasa, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 50 D.Lgs. n. 346/1990. Nell’ultimo
esempio proposto, la dottrina prevalente ritiene che, essendo
spirato il termine decadenziale per esercitare l’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria, la vicenda
sia da ritenersi cessata e che la domanda di “voluntary disclosure” risulti essere completamente liberata da problematiche
afferenti l’imposta di successione. Ma tutto ciò potrebbe
non corrispondere a verità in quanto, in tema di imposta di
successione è vigente il principio secondo il quale, la decorrenza del termine di decadenza dell’azione fiscale rende le
sanzioni certamente non irrogabili, ma non cancella il debito d’imposta, qualora la presentazione della dichiarazione di
successione avvenga, su iniziativa del contribuente, successivamente alla scadenza del termine disciplinato dalla normativa
vigente[9]. La norma menzionata risulta essere perfettamente
23
24
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
complementare a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 48 D.Lgs. n. 346/1990, relativamente al quale “gli impiegati
dello Stato[10] non possono compiere atti relativi a trasferimenti per
causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione,
anche dopo il termine di cinque anni di cui all’articolo 27, comma 4, della
dichiarazione della successione o dell’intervenuto accertamento d’ufficio”.
Tutto ciò premesso, l’Amministrazione finanziaria è in grado
di analizzare e valutare una domanda di emersione volontaria
in assenza della necessaria dichiarazione di successione[11] e,
di conseguenza, all’invio della domanda di “voluntary disclosure”
può essere attribuita la valenza implicita di presentazione di
una dichiarazione di successione tardiva?
L’interrogativo che ci siamo posti dovrebbe ottenere, senza
dubbio alcuno, una risposta negativa in quanto, analizzando il contenuto letterale del terzo comma dell’articolo 28
D.Lgs. n. 346/1990 si apprende che “la dichiarazione della successione deve, a pena di nullità, essere redatta su stampato
fornito dall’ufficio del registro”; oltre a ciò, dalla lettura del successivo ottavo comma si acquisisce che “la dichiarazione nulla
si considera omessa”. Inoltre il menzionato articolo 27 D.Lgs. n.
346/1990 dispone l’osservanza dei termini a pena di decadenza e pertanto, allo stesso non appaiono applicabili, ai
sensi dell’articolo 2964 del Codice civile[12] , le disposizioni in
materia di interruzione e di sospensione della prescrizione.
La decadenza si erge sull’oggettiva necessità che una definita attività sia eseguita nell’intervallo di tempo disciplinato,
pertanto esiste una scadenza categorica entro la quale il
detentore del diritto deve eseguirla. Esclusivamente al verificarsi di accadimenti eccezionali quali disastri ambientali,
inondazioni, calamità naturali o scioperi prolungati, il legislatore decreta sporadiche evenienze di differimento dei termini
a vantaggio dell’Amministrazione finanziaria e/o a beneficio
dei contribuente. Una nuova attività quale è la “collaborazione volontaria” non è in grado, dal punto di vista giuridico,
di permettere la riapertura di termini già decorsi o in via di
decorrenza, a detrimento del principio – ex articolo 10 L. n.
212/2000 “Statuto dei diritti del contribuente” – che vincola
i soggetti, protagonisti della relazione tributaria, ad un
comportamento rispondente ai canoni della correttezza e
della lealtà reciproca. Sull’Amministrazione finanziaria grava, oltretutto, l’obbligo di effettuare le necessarie verifiche,
relativamente a inadempimenti ed errori commessi dai contribuente, nei termini previsti dalla norma, per garantire la
parità delle armi, senza benefici a favore dell’Agenzia delle
Entrate. Oltre a ciò, i principi essenziali contenuti nell’articolo
97 della Costituzione e negli articoli 3 comma 3, e 10 comma
1 dello Statuto dei diritti del contribuente, che disciplinano la
ragionevolezza costituzionale del sistema tributario e, di conseguenza la correttezza e l’imparzialità dell’Amministrazione
finanziaria, risulterebbero in questo caso violati da controlli intempestivi od omessi; così come il divieto di prorogare i
termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti
di imposta, in questa circostanza prorogati sine die e infine il
dovere di improntare i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria al principio della collaborazione e della
buona fede, principi in questa circostanza infranti arbitrariamente, di concerto alla menzionata lesione della parità
delle armi, contravvenuta dal fatto che la disposizione, in
assenza di esigenze connesse al coordinamento di termini,
esponga il contribuente all’azione del fisco per un periodo
non determinabile e dunque non ragionevole. E tutto questo,
paradossalmente, avvalendosi specificamente di un’attività
del contribuente, incentivata da una legge dello Stato e funzionale all’emersione volontaria di patrimoni illecitamente
detenuti all’estero.
Infine, se l’Amministrazione finanziaria ritenesse la mancata presentazione, anche in ritardo, della dichiarazione di
successione, un ostacolo[13] alla valutazione della domanda di collaborazione volontaria, si verificherebbe il peculiare
fenomeno dell’“autodenuncia” nella quale il contribuente incapperebbe per aver fatto emergere, in applicazione di una norma
vigente, una situazione di irregolarità senza poterla sanare.
4.
Conclusione
Il definitivo chiarimento di queste zone grigie rappresenta
un’esigenza improcrastinabile per gli specialisti del settore, che
devono essere messi nella condizione di poter fornire ai propri
clienti informazioni precise, anche perché nella disciplina relativa alla “collaborazione volontaria” non è prevista alcuna riduzione
dell’imposta di successione dovuta a fronte del passaggio successorio di patrimoni originariamente occultati all’estero dal de
cuius e in seguito dai successori. Qualora l’Agenzia delle Entrate
diffondesse il non condivisibile postulato secondo il quale l’imposta di successione dovrebbe essere corrisposta mediante
la “voluntary disclosure”, sebbene i termini per la presentazione
della dichiarazione di successione risultino decaduti, costringerebbe gli operatori a misurarsi con il calcolo dell’imposta
dovuta[14] ma non di certo con quello delle sanzioni, in quanto
in tema di imposta di successione è vigente il principio secondo il quale, la decorrenza del termine di decadenza dell’azione
fiscale rende le sanzioni non irrogabili.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.italiaoggi.it/upload/img/ITALIAOGGI/201507102027482170/
img305450.jpg [03.09.2015]
http://www.laleggepertutti.it/wp-content/uploads/2014/07/Impostadi-successione-come-si-calcola.jpg [03.09.2015]
http://www.forextradingpratico.com/wp-content/uploads/2015/05/
successione-e1432287365583.jpg [03.09.2015]
http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u13/successioni_e_
donazioni.jpg [03.09.2015]
http://www.soldioggi.it/wp-content/uploads/2012/12/testamento.jpg
[03.09.2015]
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
[1] Fatte salve limitate e peculiari eccezioni.
[2] Si vedano, tra le altre, le sentenze Corte di Cass.,
Sez. V, sentenza 20 marzo 2013, n. 6940 e Corte di
Cass. civ., Sez. V, sentenza 17 maggio 2006, n. 11569.
[3] La Legge di Stabilità 2015 effettua una riforma
del ravvedimento operoso. Gli articoli 44 e seguenti modificano l’articolo 13 D.Lgs. n. 472/1997 e, a
partire dal 2015, data di entrata in vigore delle norme contenute nella Legge di Stabilità, i contribuenti
potranno sanare i mancati versamenti fiscali, senza
limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte.
[4] Circolare n. 11/E/2010, punto 3.1. Dichiarazione tardiva: se entro il 30 settembre 2009 non è
stata presentata la dichiarazione dei redditi relativa al 2008, la violazione poteva essere sanata
presentando la citata dichiarazione entro i novanta giorni successivi (ossia entro il 29 dicembre
2009), comprensiva del quadro RW e – se necessario – dei relativi quadri reddituali. A tal riguardo
si precisa che se il contribuente beneficiava di una
delle condizioni di esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, entro il
termine sopra indicato (29 dicembre 2009) andava presentato il solo frontespizio nonché l’apposito
quadro RW. Entro lo stesso termine del 29 dicembre 2009 erano dovute le sanzioni di cui all’articolo
1 comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 471/1997
(258 euro), nonché quella prevista per la mancata presentazione del quadro RW di cui all’articolo
5 del Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 167/1990
(10% degli importi non dichiarati), entrambe ridotte ad un dodicesimo (rispettivamente, 21 euro
e lo 0,833% degli importi non dichiarati). Se, inoltre, dalla dichiarazione tardiva sono emerse delle
imposte dovute, occorre, altresì, versare l’ulteriore
sanzione di cui all’articolo 13 D.Lgs. n. 471/1997
(30% della maggiore imposta), in misura ridotta a
un decimo (3%), oltre che, ovviamente le imposte
e gli interessi, entro il termine del 30 settembre
2010. Al punto 3.2. Dichiarazione integrativa: preliminarmente si precisa che qualora il contribuente
abbia omesso di compilare esclusivamente il quadro RW e gli altri dati contenuti nella dichiarazione
originariamente presentata sono corretti, ai fini
dell’integrazione è consentita la compilazione
e l’invio del solo frontespizio e del quadro RW.
Diversamente, se l’omissione ha riguardato anche
altre componenti reddituali, valgono le istruzioni generali contenute nei modelli di dichiarazione
che prevedono che la dichiarazione integrativa
contenga tutti i dati dichiarati e non soltanto quelli che sono stati aggiunti o modificati rispetto alla
dichiarazione da correggere o integrare. Tanto
premesso, se la dichiarazione annuale dei redditi
per l’anno 2008 è stata presentata entro il termine
del 30 settembre 2009 e la dichiarazione integrativa è stata presentata entro il 29 dicembre 2009,
il contribuente ha la possibilità di sanare le violazioni versando le medesime sanzioni, in misura
ridotta, previste nel caso di dichiarazione tardiva
di cui al paragrafo precedente (cfr. articoli 1 comma 1, secondo periodo e 13 D.Lgs. n. 471/1997,
articolo 5 D.L. n. 167/1990). Tale interpretazione
è in linea con altre pronunce di prassi che più volte
hanno assimilato dal punto di vista sanzionatorio la
dichiarazione integrativa presentata nei novanta
giorni ad una dichiarazione tardiva (cfr. Circolare
n. 6/E del 25 gennaio 2002, Risoluzione n. 325/E
del 14 ottobre 2002 e Risoluzione n. 82/E del 30
marzo 2009). Diversamente qualora la dichiarazione integrativa sia presentata oltre il termine di
novanta giorni, ma entro il 30 settembre 2010, ai
fini del ravvedimento delle violazioni in argomento (omessa o incompleta compilazione del qudro
RW e dei relativi quadri reddituali per le attività
detenute all’estero) – ferma restando la sanzione
di cui all’articolo 5 D.L. n. 167/1990 – occorre fare
riferimento alle sanzioni contenute negli articoli 1
e 8 D.Lgs. n. 471/1997 (a seconda, rispettivamente,
che siano dovute o meno maggiori imposte), trattandosi, comunque, di errori ed omissioni diversi da
quelli rilevabili in sede di liquidazione o di controllo
formale delle imposte dovute (ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della
Repubblica [si seguito D.P.R.] n. 600/1973).
[5] Circolare Agenzia delle Entrate n. 23/E/2015
pubblicata il 9 giugno 2015. La Circolare prevede
che “la regolarizzazione degli errori e delle omissioni,
anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento
del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione”
alla quale fa riferimento. Il punto 3 riconduce tale
sfera di applicazione alle sole violazioni commesse mediante la presentazione della dichiarazione.
Tra queste rientrano, ad esempio, quelle relative
al contenuto e alla documentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette e sull’IVA.
Si pensi alla violazione disciplinata dall’articolo 8
comma 3-bis D.Lgs. n. 471/1997, che punisce l’omissione o l’incompletezza della dichiarazione ai
fini delle imposte sui redditi, in relazione all’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi
di cui all’articolo 110 comma 11 D.P.R. n. 917/1986,
con la sanzione amministrativa pari al 10%
dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione, con
un minimo di 500 euro ed un massimo di 50’000
euro. In caso di regolarizzazione della predetta
violazione entro novanta giorni dalla scadenza del
termine di presentazione della dichiarazione (29
dicembre), la sanzione potrà essere ridotta, ai sensi
della lettera a-bis, ad un nono del minimo edittale.
Diversamente, le violazioni derivanti dall’omissione
dei versamenti risultanti dalla dichiarazione – quali, ad esempio, il carente od omesso versamento a
saldo o in acconto ai fini delle imposte sui redditi e
dei tributi locali e regionali – non sono commesse mediante la dichiarazione in quanto, rispetto a
questa, mantengono una propria autonomia. Sebbene, infatti, il loro ammontare sia determinato
nella dichiarazione - o determinabile per quanto
concerne alcuni tributi locali e regionali, quali ad
esempio l’IMU (imposta municipale unica) e la TASI
(Tassa sui Servizi Indivisibili) – le relative violazioni
si perfezionano non già con la presentazione della
dichiarazione bensì con l’inutile decorso del termine di scadenza del versamento. Per tali violazioni,
pertanto, il dies a quo per il ravvedimento di cui alla
lettera a-bis decorre da tale momento e non dal
termine per la presentazione della dichiarazione.
Per completezza si evidenzia che, una volta decorsi i diversi termini di regolarizzazione previsti dalle
lettere a e a-bis, è possibile sanare tutte le violazioni
entro il termine di cui alla lettera b, e, per i soli tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, entro i
termini di cui alle lettere b-bis e b-ter.
[6] D.L. n. 167/1990, articolo 5-quater comma 5,
ultimo periodo: “il termine di decadenza per la notificazione dell’avviso di accertamento e quello per la notifica
dell’atto di contestazione sono automaticamente prorogati, in deroga a quelli ordinari, fino a concorrenza dei
novanta giorni”.
[7] D.L. n. 167/1990, articolo 5-quinques comma
10: “Se il contribuente destinatario dell’invito di cui
all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 19 giugno
1997, n. 218, e successive modificazioni, o che abbia
sottoscritto l’accertamento con adesione e destinatario
dell’atto di contestazione non versa le somme dovute
nei termini previsti dall’articolo 5-quater, comma 1, lettera b), la procedura di collaborazione volontaria non si
perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai commi
1, 4, 6 e 7 del presente articolo. L’Agenzia delle entrate
notifica, anche in deroga ai termini di cui all’articolo 43
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni, all’articolo 57
del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633, e successive modificazioni, e all’articolo
20, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997,
n. 472, e successive modificazioni, un avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la
rideterminazione della sanzione entro il 31 dicembre
dell’anno successivo a quello di notificazione dell’invito
di cui al predetto articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 218 del 1997, e successive modificazioni, o a
quello di redazione dell’atto di adesione o di notificazione
dell’atto di contestazione”.
[8] Prevalentemente denaro, gioielli, quadri, immobili, partecipazioni, barche.
[9] Articolo 27 comma 6 D.Lgs. n. 346/1990,
secondo il quale “l’imposta è dovuta anche se la dichiarazione è presentata oltre il termine di decadenza”.
[10] E, di conseguenza, con ogni probabilità, anche
gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria che si
vedono recapitare l’istanza di “voluntary disclosure”.
[11] Sia che essa sia presentata nei termini sia fuori
termini.
[12] Quando un diritto deve esercitarsi entro un
dato termine sotto pena di decadenza, non si
applicano le norme relative all’interruzione della
prescrizione. Del pari non si applicano le norme che
si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti.
[13] Scaturente dal menzionato secondo comma
dell’articolo 48 D.Lgs. n. 346/1990.
[14] Utilizzando le regole vigenti al momento della
morte del de cuius.
25
26
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Cambio di prospettive sullo scambio
di informazioni: attualità ed evoluzione
dello scenario europeo e italiano
Francesca Amaddeo
Dottoranda di Ricerca presso l’Università
degli Studi di Ferrara
Iter evolutivo e quadro attuale della disciplina dello
scambio di informazioni: in particolare, l’erosione del
segreto bancario ed il ruolo degli istituti di credito
1.
La disciplina nazionale: cronistoria del “segreto bancario”
nell’Ordinamento italiano
Preliminarmente alla disamina dei fondamenti giuridici, delle
procedure di acquisizione e di utilizzo delle informazioni scambiate, oggetto della cooperazione amministrativa tra i diversi
Paesi, appare opportuno delimitare il quadro giuridico (e di prassi) in cui tale disciplina viene ad innestarsi nel contesto nazionale.
Le informazioni bancarie, comprensibilmente, sono da sempre state poste al centro dell’attenzione del legislatore sia in
termini di utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria
nell’espletamento dei propri compiti sia di tutela dei diritti del
contribuente.
bancarie in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni
concernenti gli utenti dei servizi da esse erogati. Tuttavia, a
tale dovere non corrisponde nei singoli clienti delle banche una
posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta né,
tantomeno, un diritto della personalità.
I conti e le operazioni degli utenti dei servizi offerti dagli
intermediari finanziari, infatti, erano coperti da riservatezza direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e
del buon andamento dei traffici commerciali: lungi, quindi,
da una tutela attinente alla sfera della libertà di autodeterminazione della persona. Ne conseguiva la chiara preminenza
dell’interesse alla trasparenza e all’efficacia del sistema impositivo rispetto alla tutela della riservatezza dei dati del singolo
contribuente. Il riconoscimento di tale supremazia viene ad
affermarsi nel corso degli anni[5] , correlato dall’istituzione di
appositi organi in seno all’Amministrazione finanziaria.
L’impenetrabile scudo costituitosi attorno ai dati inerenti
conti e contribuenti detenuti dagli intermediari finanziari[1]
e, in particolare, dagli istituti di credito, cade con la Legge (di
seguito L.) n. 413/1991, nella quale viene previsto che le indagini bancarie debbano essere espletate però nel rispetto di
garantistiche certezze[2] , privilegiando la collaborazione tra le
parti del rapporto giuridico tributario. Tale legge introduceva
disposizioni atte a promuovere la trasparenza dei rapporti tra
Amministrazione finanziaria ed il contribuente.
Le facoltà di eseguire indagini bancarie (seppure nel rispetto degli stringenti limiti e delle modalità determinate
tassativamente dalla legge), tuttavia, non doveva intendersi
quale arbitrario esercizio dell’accesso e conseguente utilizzo
indiscriminato delle informazioni bancarie, ma nel senso che
l’interesse alla riservatezza, pur essendo meritevole di tutela,
doveva cedere di fronte all’interesse pubblico sotteso all’attività di accertamento[3].
Il segreto bancario trova la propria completa definizione nella
pronuncia della Corte Costituzionale del 18 febbraio 1992,
n. 51[4]: lo stesso era da intendersi, secondo la Consulta, quale
dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese
Nel 2006[6] , con la modifica dell’articolo 7 del Decreto del
Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 605/1973,
decreto istitutivo dell’Anagrafe tributaria, veniva disposto l’obbligo per gli istituti finanziari di rilevare e tenere in evidenza i
dati identificativi di ogni soggetto che intrattenesse con loro
qualsiasi rapporto o effettuasse qualsiasi operazione di natura
finanziaria (per una somma comunque superiore ai millecinquecento euro).
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Sin da subito venivano delineati stringenti criteri per delimitare la richiesta proposta dall’Amministrazione finanziaria
agli istituti finanziari, imponendo che la stessa dovesse
essere (i) rivolta unicamente agli intermediari finanziari che
detengono rapporti con il contribuente, (ii) previa consultazione dell’archivio dei conti e dei rapporti, inserito in seno
all’Anagrafe Tributaria (iii) nel rispetto della privacy del contribuente.
Nel 2011[7] veniva introdotta la possibilità per l’Agenzia delle
Entrate di elaborare una sorta di black list, ossia di un elenco selettivo di contribuenti da sottoporre a controllo basata
sulle informazioni inerenti i rapporti e le operazioni delineate
nell’articolo 7, comma 6, D.P.R. n. 605/1973[8] , sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari ai fini di statuire
le tipologie di dati da acquisire. Tale lista, tuttavia, non specifica chiaramente la tipologia dei rapporti né un tetto delle
operazioni “a rischio”, bensì soltanto i soggetti cui riferire i rapporti controllati.
Viene così capovolto il criterio secondo cui le indagini finanziarie rappresentano uno strumento istruttorio da esperirsi ex
post, ossia soltanto dopo l’avvio di un procedimento da parte
dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di un singolo contribuente, previa autorizzazione e richiesta motivata,
trasformandosi in un meccanismo atto alla prevenzione degli
illeciti e, nello specifico, dell’evasione fiscale, la lotta alla quale
costituisce “la ragion d’essere di un sistema tributario” [9].
Il contenuto di tale disposizione si ravvisa anche nel più recente
Decreto cosiddetto “Salva Italia” (D.Lgs. n. 201/2011, convertito
in L. n. 214/2011), il quale, all’articolo 10 delinea un regime
premiale, atto a promuovere il regime di trasparenza e all’articolo 11 definisce disposizioni finalizzate all’emersione della
base imponibile. L’effettivo scambio di informazioni, delineato
in tale sede, è entrato in vigore a partire dal 1. gennaio 2012.
L’Agenzia delle Entrate, così, può ispezionare, preventivamente
e senza autorizzazioni rilasciate ad hoc, le movimentazioni ed
ogni ulteriore informazione relativi ai rapporti di cui all’articolo
7 D.P.R. n. 605/1973.
2.
I fondamenti giuridici dello scambio d’informazione
“Jurisdictions generally cannot exchange information for tax purposes
unless they have a legal basis or mechanism for doing so. A jurisdiction’s practical capacity to effectively exchange information upon
request relies both on having adequate mechanisms in place as well
as an adequate in institutional framework[10] ”.
Nel peer review relativo all’anno 2013, l’OCSE evidenziava la
prima e reale esigenza cui i differenti Stati dovevano rispondere: la costruzione di una base normativa e un framework
(interno ed esterno) tra le Amministrazioni finanziarie entro
cui collocare la disciplina dello scambio di informazioni.
Nel più ampio spettro applicativo della disciplina dello scambio
di informazioni, assumono così un ruolo centrale gli intermediari finanziari, quali detentori di dati sensibili dei contribuenti,
essenziali alle Amministrazioni finanziarie per procedere a controlli ed accertamenti.
2.1.
Il nuovo articolo 26 M-OCSE e la progressiva erosione del
segreto bancario
Il punto di partenza dell’attuale disciplina dello scambio di
informazioni è da ravvisarsi nell’articolo 26 del Modello OCSE
di Convenzione fiscale (di seguito M-OCSE), il quale, soggetto
ad un lungo iter evolutivo, si presenta composto di un nuovo
paragrafo (il paragrafo 5) nel quale si statuisce l’impossibilità di
opporre allo Stato richiedente un rifiuto di fornire le informazioni esclusivamente perché detenute da un istituto finanziario.
In virtù di quanto disposto dal paragrafo 1 dell’articolo 26, in
capo ad ogni Stato contraente sussiste un obbligo positivo,
dunque, di scambiare tutti i tipi di informazioni, senza limiti di
sorta derivanti dalla tipologia, dalla fonte ovvero all’oggetto
delle stesse, fatta eccezione per le ipotesi tassativamente previste al paragrafo 3. Si esclude, in ogni caso, la sussistenza di
un vincolo in capo allo Stato contraente ad adottare provvedimenti amministrativi, ovvero a fornire informazioni in deroga
alla propria legislazione ovvero alla propria prassi in materia.
L’introduzione del paragrafo 5 riflette la volontà internazionale, già riscontrata nel Model Agreement on Exchange of Information
on Tax Matters e descritto nel report “Improving Access to Bank
Information for Tax Purposes”. Coerentemente con quanto ivi
affermato, l’accesso alle informazioni degli istituti finanziari
e, in particolare degli istituti di credito, dev’essere effettuato direttamente, o indirettamente, ricorrendo alle autorità
amministrative o giudiziarie, purché tale procedura non risulti
eccessivamente gravosa in termini di costi e di tempo.
Il paragrafo 5 dell’articolo 26, si premura, inoltre, di garantire che uno Stato contraente non possa rifiutare di fornire le
informazioni detenute da persone che agiscono in qualità di
agenti ovvero di intermediari, neppure qualora sussista una
legislazione interna in virtù della quale le informazioni detenute da uno di questi soggetti siano considerate segreto
professionale, semplicemente perché detenute da un fiduciario. Tali previsioni sono ravvisabili altresì in ambito europeo,
laddove nell’articolo 18, paragrafo 2 della Direttiva n. 2011/16/
UE si prevede che le informazioni non possano essere negate per l’esclusiva ragione che le stesse siano detenute da un
istituto finanziario, oltre che, chiaramente, nella Direttiva
n. 2014/48/UE avente ad oggetto lo scambio di informazioni
in possesso degli istituti finanziari in relazione alla tassazione
sul risparmio.
27
28
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
2.2.
…e lo standard per lo scambio automatico
Più di recente, nel luglio 2014, l’OCSE ha emanato la versione consolidata dello Standard for Automatic Exchange of Financial
information. Tale standard consente di procedere in via automatica allo scambio di informazioni con gli intermediari
finanziari, ottenendo informazioni quali il saldo dei conti, gli
interessi, i dividendi, i ricavi dalla vendita di assets, oltre che
quelle trasmesse dalle istituzioni finanziarie alle rispettive
autorità competenti e che concernono i conti detenuti da persone fisiche e giuridiche, inclusi i trusts e le fondazioni.
In quest’ambito è stato definito il Common Reporting and Due
Diligence Standard (di seguito CRS) contenente disposizioni
relative alle modalità di reporting, nonché alle procedure di due
diligence cui gli istituti finanziari dovrebbero attenersi ai fini di
identificare i cosiddetti reportable accounts.
Si è assistito altresì alla presentazione del Modello Competent Authority Agreement (di seguito CAA), il quale rappresenta
un modello di accordo per lo scambio di informazioni in via
automatica tra le Autorità competenti degli Stati contraenti,
fungendo da strumento di raccordo tra il CRS e la base giuridica su cui, di volta in volta, si basa lo scambio d’interesse.
Onde evitare la possibilità che il presente sistema venga aggirato, il suo spettro applicativo risulta essere piuttosto ampio,
ricomprendendo: (i) informazioni finanziarie scambiate, le quali
includono svariate tipologie di reddito, tra cui interessi, dividendi, redditi derivanti da contratti assicurativi, nonché redditi
prodotti da assets depositati in conto o relativi ai pagamenti
effettuati in relazione al conto medesimo; (ii) titolari dei conti
soggetti a reporting, siano essi persone fisiche o giuridiche,
incluse fondazioni o trusts; (iii) istituti finanziari tenuti a riportare le informazioni, i quali includono, oltre agli istituti bancari,
intermediari finanziari, brokers, compagnie che forniscono servizi assicurativi e organismi di investimento collettivo.
Il Modello CAA[11] prevede che le autorità competenti degli
Stati contraenti si impegnino a scambiare, in via automatica e
a cadenza annuale, con riferimento ad ogni reportable account,
le informazioni concernenti il nominativo ed i dati identificativi del titolare del conto, il numero, la denominazione e i
dati identificativi dell’istituto finanziario che effettua la comunicazione, il saldo o il valore del conto medesimo al termine
dell’anno oggetto di accertamento.
2.3.
Scambio di informazioni nella disciplina euro-unitaria
2.3.1.
La Direttiva n. 2011/16/UE
La Direttiva n. 2011/16/UE[12] , sino al 5 gennaio 2015, si
proponeva quale evoluzione della precedente disciplina
comunitaria in materia di scambio di informazioni nell’ambito
delle imposte dirette – prevista nella Direttiva n. 77/779/CEE
– delineando le norme e le procedure in base alle quali gli Stati
membri cooperano fra loro ai fini dello scambio di informazioni
prevedibilmente pertinenti per le rispettive amministrazioni e
per l’applicazione delle leggi nazionali. Ivi si stabilivano precisi
termini temporali entro cui fornire le informazioni richieste, ci
si preoccupava di tratteggiare disposizioni di carattere essenzialmente pratico, inerenti le modalità concrete da seguire
nell’espletamento dell’accertamento, in linea con gli standards
previsti in sede OCSE.
Le imposte rientranti nello spettro applicativo della Direttiva erano essenzialmente “di qualsiasi tipo” fatta eccezione
per l’imposta sul valore aggiunto, i dazi doganali e le accise
contemplate da altre normative dell’Unione in materia di cooperazione amministrativa[13]. La stessa delineava, in specifiche
disposizioni, le modalità secondo le quali espletare le procedure di scambio di informazioni, definendo l’autorità competente
(articolo 4), i termini entro cui fornire le informazioni richieste (articolo 7), la presenza di funzionari e la partecipazione
alle attività di accertamento e di indagine in un diverso Stato membro (articolo 11), le verifiche simultanee (articolo 12),
l’assistenza nella notifica degli atti tributari (articolo 13), oltre
che la previsione di formulari e canali di comunicazione standard (articolo 20)[14].
Le innovazioni introdotte rispetto alla disciplina pregressa
erano, come rilevato da autorevole dottrina[15] , di assoluta
importanza sia assumendo un’ottica prettamente formale,
ravvisabile nella maggiore chiarezza e nella maggiore precisione delle disposizioni, sia da un punto di vista strettamente
sostanziale, per quanto attiene le tipologie di informazioni che
possono essere raccolte e scambiate.
2.3.2.
In particolare: la Direttiva sul risparmio (n. 2014/48/UE)
Facendo salvo laddove non espressamente derogata, l’applicazione della Direttiva n. 2011/16/UE, nel campo delle imposte
dirette, tale disciplina viene affrontata specificamente dalla
Direttiva sul risparmio (n. 2014/48/UE), che abroga la precedente Direttiva n. 2003/48/CE, la quale ha introdotto una
particolare forma di scambio automatico delle informazioni
relativa alla tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di
pagamento di interessi transfrontalieri.
La nuova Direttiva sul risparmio tende a rafforzare le norme
europee in materia di scambio di informazioni, consentendo
agli Stati membri di meglio contrastare le frodi e l’evasione
fiscale. In base alle disposizioni della precedente Direttiva,
l’agente pagatore doveva trasmettere alle autorità competenti del proprio Paese, in via automatica, almeno una volta
l’anno, ed entro sei mesi dalla fine dell’anno fiscale dello Sta-
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
to, una serie di informazioni e di dati relativi alla transazione
ed ai soggetti coinvolti, quali: (i) la propria denominazione ed
indirizzo; (ii) identità e residenza del beneficiario effettivo;
(iii) numero del conto del beneficiario effettivo (o, in assenza
dello stesso, l’identificazione del credito che genera gli interessi corrisposti); (iv) le informazioni relative al pagamento
di interessi.
La Direttiva del 2003, tuttavia, non si è mostrata sufficientemente efficace in relazione allo scopo cui era preordinata. Infatti, non
copriva alcuni strumenti finanziari equivalenti ai titoli fruttiferi e
taluni mezzi indiretti di possesso degli stessi, che quindi, sfuggivano alla comunicazione (e verosimilmente alla tassazione). La nuova
Direttiva sul risparmio[16], prevede, allo scopo di garantire
un’effettiva imposizione dei redditi da risparmio e di prevenire il
rischio di evasione fiscale: (i) l’attualizzazione della definizione
di “redditi da risparmio”, tale da ricomprendere anche redditi equivalenti agli interessi sui risparmi investiti. Si tratta, ad esempio,
dei fondi di investimento stabiliti nell’Unione europea (di seguito UE) e fuori dalla stessa, oltre che di tutti quegli strumenti
finanziari non qualificabili come produttori d’interessi (azioni,
fondi comuni di natura prevalentemente azionaria, strumenti
alternativi, polizze di capitalizzazione e vita ed altri strumenti caratterizzati e strutturati in maniera tale da non produrre
interesse); (ii) attualizzazione della definizione di beneficiario,
termine che non può essere limitato alle persone fisiche, ma
che deve essere applicato ad ogni persona e/o istituto giuridico
interposto; (iii) la definizione di “agente di pagamento” e l’introduzione di una nozione positiva delle strutture intermedie istituite
in uno degli Stati membri e tenute ad agire come agenti pagatori all’atto del ricevimento; (iv) l’identificazione dei beneficiari
effettivi, attraverso la registrazione della data e del luogo di
nascita del beneficiario effettivo e, ove disponibile, del codice
fiscale di quest’ultimo.
Gli Stati membri sono tenuti a recepire la nuova Direttiva
n. 2014/48/UE, nei rispettivi ordinamenti nazionali, entro il
1. gennaio 2016, ma già un nuovo provvedimento euro-unitario, la Direttiva n. 2014/107/UE (cosiddetta “DAC 2”) sembra
rivoluzionare ancora il panorama all’interno dell’UE.
2.3.3.
La Direttiva n. 2014/107/UE: (Attualità e) prospettive nello
scambio di informazioni nella dimensione europea
Il 9 dicembre 2014 è stata emanata la nuova Direttiva n. 2014/107/
UE[17], la quale apporta ulteriori modifiche alla disciplina europea in materia di scambio di informazioni. Sin dai considerando
emerge la necessità di innovare quanto statuito nella precedente n. 2011/16/UE, accogliendo i nuovi standards elaborati
in sede OCSE[18] , comprensivi del Commentario sul Modello
di accordo tra autorità competenti e sullo standard comune di
comunicazione di informazioni nonché le modalità informatiche di attuazione dello standard globale.
A fronte dell’avvenuta (o prossima, a seconda degli Stati)
sottoscrizione di accordi tipo “FATCA” (Foreign Account Tax Compliance Act) con gli Stati Uniti d’America (di seguito USA) da
parte di molti Stati membri, il Consiglio ha rilevato l’esigenza di
procedere ad un’armonizzazione più “corposa” della disciplina
dello scambio di informazioni a livello euro-unitario.
La volontà manifestata, infatti, dagli Stati nel porre in essere una cooperazione più ampia nell’ambito dello scambio di
informazioni con gli USA, rientra nello spettro applicativo
dell’articolo 19 Diretttiva n. 2011/16/UE, a mente del quale una siffatta collaborazione nei confronti di un Paese terzo
deve essere concessa anche ad uno Stato membro dell’UE,
qualora quest’ultimo lo richieda.
La Direttiva n. 2014/107/UE statuisce espressamente che tutti gli Stati membri debbano imporre alle proprie istituzioni
finanziarie l’applicazione delle norme di comunicazione e di
due diligence definite in sede OCSE. L’introduzione di una simile
previsione, sin ora del tutto assente nella prospettiva eurounitaria, risulta totalmente innovativa, in quanto, finalmente,
vengono poste definizioni concrete inerenti le modalità, gli
strumenti ed i risultati cui lo scambio di informazioni eurounitario è preordinato.
Il contenuto delle regole di due diligence europee trova la
propria definizione, ricalcata sull’impostazione OCSE, negli
allegati I e II della Direttiva, rubricati, rispettivamente, “Norme di comunicazione e adeguata verifica in materia fiscale relative ai
conti finanziari” e “Norme complementari”, al cui rispetto gli Stati sono vincolati ai sensi del nuovo paragrafo 3-bis. Vengono
così definite le informazioni che devono essere oggetto di trasmissione tra gli istituti finanziari e le Amministrazioni fiscali
(quali i dati anagrafici ed il codice fiscale del soggetto titolare
di un conto, il numero del conto, i dati identificativi dell’istituto
finanziario, il saldo o il valore del conto relativo al pertinente
anno solare ovvero se è stato chiuso nel corso di tale anno, la
chiusura del conto).
Vengono, poi, delineati i criteri cui gli istituti finanziari devono
attenersi nel fornire i dati identificativi dei soggetti oggetto di
comunicazione. Si prevede che (i) qualora sia accertato tramite prove documentali[19] , presenti negli archivi dell’istituto,
un indirizzo di residenza, questo elemento dovrà essere utilizzato ai fini dell’attribuzione della residenza del soggetto in
un determinato Stato membro; (ii) qualora non si abbiano a
disposizioni prove documentali, l’istituto dovrà ricorrere ad
una ricerca negli archivi elettronici, onde ricavarne indicia[20];
(iii) in caso dalle ricerche effettuate non emergano indizi rilevanti, l’istituto è esonerato da ulteriori adempimenti sin tanto
che non emergano “circostanze che porti[no] all’associazione di
uno o più indicia con il conto considerato o fino a che quest’ultimo
non diventi un conto di importo rilevante”.
Nell’ambito della verifica tramite indizi, tuttavia, è garantita la possibilità al soggetto oggetto di verifica di intervenire
apportando prove documentali (anche nella forma di auto-
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Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
certificazioni) che attestino la veridicità dei dati rilevati
dall’istituto finanziario. Tale disciplina, prevista per i titolari
di conti preesistenti, non trova applicazione in relazione agli
accertamenti da effettuarsi in relazione ai nuovi conti. Al momento dell’apertura, infatti, l’istituto finanziario deve
acquisire un’autocertificazione (che può essere prevista anche
come documentazione prodromica all’apertura dello stesso)
tramite cui sia possibile determinare la residenza del titolare
del conto[21].
analisi, per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento degli obiettivi della stessa, rinviando, per
la specificazione dei limiti, alla disciplina nazionale. Si delinea
così facendo una responsabilità in capo alle istituzioni finanziarie per il trattamento dei dati. Al punto (17), peraltro, si
afferma come “la presente direttiva rispetta i diritti fondamentali
e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, compreso il diritto alla protezione
dei dati personali”.
Si assiste altresì all’ampliamento dell’articolo 8 della precedente Direttiva, stabilendo l’inclusione delle medesime
informazioni previste negli standards globali, raccomandando
ad ogni singolo Stato membro di redigere una lista di “Istituzioni Finanziarie non tenute alla comunicazione e di conti esclusi” nella
quale elencare tutte le istituzioni che devono considerarsi svincolate dall’applicazione di quanto previsto dalla disciplina dello
scambio di informazioni. Si consiglia, inoltre, di introdurre in
tale elenco tutte quelle istituzioni finanziarie che presentano
un rischio ridotto di essere utilizzate a fini di evasione fiscale.
Più in particolare, si configura in capo agli istituti finanziari ed
alle autorità competenti di ogni Stato membro una responsabilità in relazione al trattamento dei dati ai fini della Direttiva
n. 95/46/CE. Ogni Stato membro deve provvedere affinché
ciascun istituto finanziario, operante nella propria giurisdizione, informi ogni persona fisica sia che le informazioni
pertinenti saranno raccolte e trasferite, conformemente a
quanto previsto dalla disciplina sin qui esposta, sia dei diritti
che il soggetto controllato può esercitare nei termini in cui
gli stessi sono riconosciuti dalla disciplina nazionale (attuativa della Direttiva n. 95/46/CE e cui la stessa normativa
europea rinvia).
Gli Stati membri, nell’attuazione della Direttiva n. 2014/107/UE
sono, quindi, tenuti ad adottare norme e procedure amministrative intese ad assicurare l’efficace attuazione ed il rispetto
delle procedure in materia di comunicazione di adeguata verifica in materia fiscale, incluse (i) norme intese ad evitare che
le istituzioni finanziarie, le persone o gli intermediari facciano
ricorso a pratiche atte a eludere le procedure di comunicazione
e di adeguata verifica in materia fiscale; (ii) norme che impongono agli istituti finanziari di conservare i dati informativi
relativi alle azioni intraprese e le eventuali prove utilizzate per
l’attuazione delle suddette procedure, nonché misure adeguate per l’ottenimento di tali dati, e (iii) procedure amministrative
intese a verificare il rispetto delle procedure di comunicazione
e di adeguata verifica in materia fiscale da parte degli istituti
finanziari, tese a monitorare l’istituto stesso nel caso di conti non documentati, oltre che al contenimento del rischio di
evasione presentato da quegli istituti che non sono tenuti alla
comunicazione delle informazioni; (iv) efficaci disposizioni di
attuazione per affrontare i casi di non conformità.
Altra importantissima innovazione apportata dalla nuova
Direttiva sullo scambio di informazioni è l’introduzione della
disciplina inerente il trattamento delle informazioni personali.
Poiché le informazioni oggetto di scambio devono comprendere non solo i pertinenti redditi, quali interessi, dividendi e
tipologie analoghe, ma anche i saldi di conto ed i proventi delle vendite di attività finanziarie (al fine di fronteggiare anche
situazioni in cui un contribuente cerca di occultare capitale
costituito esso stesso da redditi o da attività oggetto di evasione fiscale) il trattamento delle informazioni sensibili è sì
necessario, ma dev’essere commisurato allo scopo di consentire alle Amministrazioni fiscali degli Stati membri di individuare
correttamente ed inequivocabilmente i contribuenti interessati e, di conseguenza, ad applicare e far osservare la propria
normativa fiscale in situazioni transfrontaliere.
Le informazioni personali comunque raccolte sia da parte
dello Stato richiedente sia di quello richiesto devono essere
conservate in conformità a quanto disposto dalla Direttiva in
Si prevede, altresì, che gli obblighi di informazione cui gli istituti
finanziari devono provvedere possano essere attuati secondo
quanto disposto dal diritto interno e realizzati “con tempestività
sufficiente a consentire alla persona l’esercizio dei propri diritti alla
protezione dei dati e, comunque, prima che l’istituzione finanziaria
tenuta alla comunicazione interessata comunichi le informazioni di
cui all’articolo 8, paragrafo 3-bis, all’autorità competente del suo
Stato membro di residenza”.
2.3.4.
I risvolti nel contesto nazionale
Per quanto riguarda i risvolti che le predette Direttive rivestono attualmente in Italia, occorre rilevare come la n. 2011/16/
UE sia stata attuata con il D.Lgs. n. 29/2014, prevedendo la
reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati
membri in materia di imposte dirette e di altre imposte[22].
A fronte di tale implementazione, il Decreto Ministeriale (di
seguito D.M.) datato 16 dicembre 2014[23] ha espunto il Lussemburgo dall’elenco dei Paesi black list di cui al Decreto del
Ministro dell’Economia e delle Finanze del 21 novembre 2001,
concernente la disciplina (delineata all’articolo 167 del Testo
Unico delle Imposte sui Redditi [di seguito TUIR]) in materia di
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
imprese estere partecipate, situate in Stati con livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia e dove,
soprattutto, non è previsto un adeguato scambio di informazioni.
Inoltre, è stato pubblicato il D.M. del 29 dicembre 2014, il
quale, a seguito dell’entrata in vigore della “Convenzione tra
il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica di
San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul
reddito e per prevenire le frodi fiscali” e delle conseguenti modifiche apportate al quadro normativo sammarinese, introduce
la Repubblica di San Marino nell’elenco degli Stati con i quali è
attuabile lo scambio di informazioni.
Di straordinaria rilevanza, nel contesto oggetto della presente
analisi, è la sottoscrizione di un Protocollo stilato tra i rappresentanti dei Governi italiano e svizzero, avvenuta in data 23
febbraio 2015, modificativo della Convenzione per evitare le
doppie imposizioni e, soprattutto, che consente lo scambio
di informazioni su richiesta ai fini fiscali. Quando il passaggio
parlamentare sarà completato, il fisco italiano potrà richiedere
alla Svizzera informazioni anche sui rapporti intrattenuti da
istituti finanziari e, in particolare dalle banche, con i contribuenti italiani, esistenti al momento della firma. In tal modo,
l’Amministrazione finanziaria italiana potrà individuare i contribuenti che hanno optato per l’allocazione dei propri capitali
al di fuori del nostro Paese, ma senza dichiararli. La Svizzera,
impegnandosi allo scambio di informazioni, viene equiparata
ai fini della voluntary disclosure ad un Paese non black list. Questo
consentirà altresì ai contribuenti che vogliono regolarizzare la
propria posizione di farlo a un costo minore.
Ancor più di recente, il 27 maggio 2015, la Svizzera ha firmato l’accordo per lo scambio automatico di informazioni con
l’UE[24] , sulla falsariga della precedente Direttiva sul risparmio
– la n. 2003/48/CE – che, coerentemente al sistema di accordi
realizzati sino ad ora, entrerà in vigore nel 2017, dando l’avvio
alla trasmissione dei dati a partire dal 2018. A fronte di tale
accordo, i ventotto Stati membri riceveranno periodicamente,
secondo le condizioni previste dettagliatamente nel protocollo
ed estrinsecate conformemente agli standards OCSE, informazioni relative a soggetti d’interesse aventi un conto bancario
nella Confederazione (“Conto oggetto di comunicazione”).
2.4.
TIEAs
L’attuale disciplina dello scambio di informazioni, tuttavia, è
connotata da una giustapposizione tra la regolamentazione
euro-unitaria, sin qui delineata, e le fonti di origine convenzionale operanti a livello internazionale, le quali continuano a
convivere con le prime. In particolare, il segreto bancario viene
affrontato nei Tax Information Exchange Agreements (di seguito
TIEAs), diffusisi in epoca relativamente recente, e, ancor prima,
nella Convenzione sulla Mutua Assistenza Amministrativa (di
seguito Convenzione MAAT).
Entrambi questi strumenti, in linea con gli standards definiti
dall’OCSE, si prestano ad essere utilizzati per la regolamentazione e la definizione dei contorni della disciplina dello scambio
di informazioni entro, però, limiti definiti da appositi accordi
intercorrenti tra gli Stati firmatari.
Il Modello di Tax Information Exchange Agreements (di seguito
Modello TIEA), elaborato dal Global Forum Working Group on
Effective Exchange of Information nel 2002, costituiva un punto
di riferimento per gli Stati per la stipula di accordi bilaterali e
multilaterali in materia tributaria, consentendo agli stessi di
procedere allo scambio di informazioni reciproco a prescindere
dall’esistenza di una convenzione contro le doppie imposizioni
(di seguito CDI)[25]. L’ambito di applicazione dei TIEAs si presenta più ampio rispetto a quello delle CDI, in quanto trova
applicazione non solo alle imposte sul reddito, ma anche a
quelle sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni e, infine, ai tributi previsti da o nell’interesse di suddivisioni politiche
e territoriali degli Stati contraenti: si tratta di un contesto piuttosto ampio, per il quale tuttavia l’unico modello di scambio di
informazioni è quello “a richiesta” [26].
Indipendentemente dai limiti di cui all’articolo 5 e alle ipotesi
di rifiuto di cui all’articolo 7, le autorità richiedenti dovranno
comunque fornire una serie di dati e notizie finalizzati a dimostrare la foreseeable relevance delle informazioni oggetto della
richiesta, elencate dettagliatamente al paragrafo 5 dell’articolo
5 Modello TIEA, quali, ad esempio, (i) i dati anagrafici della persona sottoposta a controllo; (ii) le motivazioni di natura fiscale
per le quali si richiedono le informazioni; (iii) le ratio in virtù
delle quali lo Stato richiedente ritiene che le informazioni di cui
necessita siano a disposizione dello Stato richiesto; (iv) il nominativo e l’indirizzo di qualsiasi persona si ritenga sia in possesso
delle informazioni richieste; (v) l’indicazione di conformità della
richiesta sia alle prassi seguite dalle autorità finanziarie dello Stato richiedente sia a quanto previsto nell’accordo; (vi) la
prova che lo Stato richiedente abbia già provveduto ad espletare tutti i propri rimedi interni per ottenere le informazioni
necessarie. Le autorità dello Stato richiedente potranno recarsi
presso l’altro Stato per effettuare interviste ed analisi dei dati
registrati con il consenso scritto delle persone interessate e di
essere presenti all’accertamento fiscale.
Comprensibilmente tra il dettato dell’articolo 26 M-OCSE ed
il testo del TIEA sussistono numerose somiglianze, essendo il
secondo ispirato interamente al primo[27] , anche per quanto attiene i limiti alla richiesta di scambio di informazioni. Nel
Modello TIEA viene, però, prevista la possibilità di divulgare
tali informazioni a persone diverse da quelle coinvolte nell’accertamento e nella riscossione solo previo consenso scritto
dell’autorità competente dello Stato richiesto.
31
32
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Alla luce, comunque, dell’applicazione dei nuovi standards globali OCSE, oltre che della nuova Direttiva sulla cooperazione
amministrativa, il Modello TIEA è destinato a perdere progressivamente rilevanza ovvero ad essere modificato nel senso di
dover consentire lo scambio automatico di informazioni,
in ottemperanza agli standards globali condivisi a livello internazionale, risultando, altrimenti, privo di utilità a fini operativi.
2.5.
Convenzione MAAT
Per lungo tempo, la Convenzione MAAT[28] ha costituito la
principale (se non l’unica) fonte multilaterale che stabiliva le
modalità di cooperazione tra le Amministrazioni finanziarie,
definendo le competenze, le autorità coinvolte, i soggetti legittimati, le modalità operative[29]. La Convenzione MAAT si applica
alle imposte dirette e indirette, ai tributi erariali e locali, alle accise e ai contributi sociali, esclusi i dazi doganali.
Le informazioni vengono scambiate se, sulla scorta di elementi
che ne giustificano la rilevanza, forniti dalle autorità richiedenti, appaiono pertinenti all’Amministrazione finanziaria richiesta
per procedere all’accertamento dei tributi, alla riscossione dei
crediti tributari (o alle relative misure esecutive), avviare procedimenti innanzi ad autorità amministrative o procedimenti di
natura penale innanzi ad autorità giurisdizionali, rappresentando, tuttavia, che una parte non potrà utilizzare le informazioni
ottenute come mezzo di prova avanti ad un Giudice penale senza aver ottenuto la previa autorizzazione dello Stato richiesto.
La Convenzione MAAT, redatta ben prima dell’adozione da parte
del Global Forum on Trasparency and Exchange of Information OCSE
degli standards globali di trasparenza e scambio di informazioni,
che è avvenuta nel 2002, è stata emendata da un Protocollo modificativo del marzo 2010, il quale, adottando i predetti
standards riconosciuti a livello internazionale, ha consentito lo
scambio di informazioni coperte, secondo la legislazione nazionale, dal segreto bancario ed introdotto l’obbligo allo scambio
di informazioni anche in assenza di uno specifico interesse dello
Stato richiesto.
L’Italia, che ha sottoscritto la Convenzione MAAT nel 2005,
ha limitato l’applicabilità della stessa ai tributi principali[30] ,
presentando riserve inerenti le imposte cui l’accordo non verrà applicato, oltre alle forme di assistenza che non verranno
assicurate da parte delle autorità nazionali. In proposito, l’Italia
si è riservata di (i) non accordare alcuna forma di assistenza
per le imposte delle altre parti rientranti in una delle seguenti
categorie: (a) contributi di sicurezza sociale obbligatori dovuti
alle amministrazioni pubbliche o agli enti di sicurezza sociale
di diritto pubblico; (b) imposte su beni e servizi determinati,
quali i diritti di accisa; (c) imposte sull’uso o sulla proprietà
dei veicoli a motore; (d) imposte sull’uso o sulla proprietà di
beni diversi dai veicoli a motore; (e) ogni altra imposta, diversa
dall’imposta di registro e dalle imposte ipotecarie e catastali; (ii) non accordare assistenza in materia di recupero di ogni
credito tributario o di recupero di sanzioni amministrative
relativamente ai tributi che hanno formato oggetto di riserva
italiana; (iii) non accordare assistenza quanto ai crediti tributari già esistenti alla data di entrata in vigore della Convenzione
per l’Italia; (iv) non accordare assistenza in materia di notifica
dei documenti per le imposte che hanno formato oggetto di
riserva italiana ai sensi dei capoversi precedenti; (v) non accettare le notifiche per via postale.
Di recente (nel 2013) sia il Principato di Monaco che la Svizzera
hanno aderito alla Convenzione MAAT.
Peculiare rilevanza assume la clausola prevista nella Convenzione MAAT in merito agli illeciti fiscali. La stessa prevede,
infatti, che qualora vi siano stati illeciti fiscali penalmente
rilevanti, gli Stati aderenti siano obbligati a fornire assistenza amministrativa anche in relazione al periodo precedente
all’entrata in vigore alla Convenzione, quindi, con effetto retroattivo[31].
3.
I limiti all’acquisizione delle informazioni: i requisiti di
“foreseeable relevance” e il divieto di “fishing expedition”
Nella disciplina internazionale dello scambio di informazioni,
vengono posti, quali limiti inderogabili gli standards di “foreseeable
relevance” dell’informazione richiesta ed il divieto di “fishing expedition”. Il Commentario M-OCSE analizza le singole ipotesi in cui
uno Stato può ritenere sussistente il primo requisito, richiedendo altresì che tale rilevanza sussista al momento di formulazione
della domanda, indipendentemente dall’eventuale inutilità delle informazioni ex post: non vengono però individuati i criteri in
base ai quali la prevedibile rilevanza possa essere effettivamente
verificata. Come di consueto, il Commentario M-OCSE propone
degli esempi, atti a facilitare l’applicazione concreta della CDI,
ma, ovviamente, questi si limitano ai casi principali ovvero a
quelli di più difficile intendimento, ricalcando la prassi seguita
dalle Amministrazioni finanziarie.
Vero è che lo Stato richiedente è tenuto a fornire precise
motivazioni che lo inducono a rivolgersi all’Amministrazione finanziaria richiesta, ma ciò che appare dubbio è sulla
stregua di quali criteri questa potrà ritenere sussistente la
prevedibile pertinenza delle informazioni in assenza di limiti specifici e determinati alla discrezionalità nazionale e,
soprattutto, quali diritti del contribuente oggetto di accertamento saranno ritenuti soccombenti a seguito di tale
giudizio di bilanciamento.
Al contempo, le fishing expeditions vengono limitate, onde evitare che gli Stati possano sfruttare il meccanismo dell’exchange
of information per provare a “buttare l’amo” e individuare i contribuenti non-compliant.
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
In sede OCSE si è cercato di delineare i confini della “prevedibile
rilevanza” delle informazioni e delle “battute di pesca”, tentando
di circoscrivere le definizioni a situazioni specifiche, escludendo gli errori materiali, come per esempio nella comunicazione
del nome del contribuente ovvero nell’indirizzo dello stesso.
Particolare attenzione viene dedicata alle richieste effettuate
nei confronti di un contribuente (o più contribuenti) di cui non
vengano indicati i nominativi.
La disciplina dello scambio di informazioni, quindi, risente
ancora dei limiti derivanti dall’intrinseco unilateralismo che
ispira la disciplina domestica tributaria, conseguenza questa
della sovranità statale.
I richiami effettuati negli schemi sin qui esaminati, al principio di reciprocità, lasciano trasparire l’evidente diffidenza
che gli Stati nutrono nei confronti di un siffatto meccanismo di condivisione delle proprie risorse ed informazioni in
ambito fiscale. Tuttavia, ci si chiede, se il criterio della prevedibile rilevanza sia ancora attuale in ambito euro-unitario o,
comunque, destinato ad essere presto dimenticato. La Direttiva n. 2014/107/UE, benché ispirata in toto agli standards
OCSE, come si è visto, si premura di delineare criteri assai
più stringenti relativamente sia alle informazioni oggetto
di scambio sia ai criteri secondo cui le stesse devono essere
richieste, raccolte e scambiate.
Per ragioni di comprensibile economicità ed efficienza il metodo preferito sembra essere lo scambio automatico, in relazione
al quale la prevedibile rilevanza non risulta più soggetta alla
“discrezionalità” dei singoli Stati, bensì diviene una connotazione intrinseca alle informazioni rientranti nell’automatica
cooperazione finanziaria.
Considerazione non secondaria riguarda oltretutto, l’assenza
di meccanismi sanzionatori da applicarsi in caso di violazione degli sfumati confini previsti sia dalle norme convenzionali
sia dalla disciplina europea, alla luce della quale l’applicazione effettiva del meccanismo di scambio non appare, in effetti,
così sicura e funzionale.
Parte della dottrina[32] ha rappresentato alcune possibili soluzioni a tali casi, ravvisando nell’articolo 25 M-OCSE,
ossia nella procedura amichevole, una via d’uscita. Chiaramente, però, sostituire l’irrogazione di una sanzione per la
violazione degli obblighi sottoscritti con il “dialogo” tra le
autorità competenti interessate non consente né un’applicazione certa della disciplina dello scambio di informazioni né,
tantomeno, una tutela per gli interessi (statali e dei privati)
coinvolti nella procedura.
In ambito euro-unitario, si ritiene applicabile la procedura
prevista per le infrazioni, disciplinata dagli articoli 258 e 259
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE). Questa soluzione, tuttavia, presenta limiti come (i)
la tempistica, (ii) la mancanza di una sanzione immediata e
diretta, in capo allo Stato agente, (iii) la mancanza di un organo adibito appositamente al controllo del rispetto delle regole
di due diligence da parte degli Stati membri, (iv) l’assenza totale
di sanzioni dirette al materiale e personale autore della vio-
lazione e, soprattutto, (v) la mancata previsione di una tutela
diretta per i contribuenti che vengono lesi nei propri diritti,
riconosciuti dai singoli ordinamenti nazionali.
4.
Un bilanciamento in fieri fra interessi contrapposti: l’interesse fiscale e la tutela del contribuente
Tante, quindi, sono le novità apportate alla disciplina del
cosiddetto segreto bancario che sino a pochissimo tempo fa
sembrava un baluardo impossibile da superare, almeno nel
contesto internazionale. Lo scambio delle informazioni detenute dagli intermediari finanziari rappresenta, infatti, un punto
di svolta nell’operatività delle Amministrazioni finanziarie, le
quali potranno accedere a tali materiali ed utilizzarli come se si
trattasse di frutti di accertamenti “domestici”.
Ai fini dell’applicazione della disciplina sino ad ora espletata, gli atti amministrativi delle Autorità straniere, raccolti e
scambiati in virtù di norme convenzionali[33] ovvero di norme euro-unitarie[34] , acquisiscono efficacia analoga a quelli
domestici. Ne consegue una loro parificazione a livello
probatorio: tali atti potranno essere utilizzati nel corso dei procedimenti amministrativi delle Amministrazioni finanziarie,
oltre che costituire la base per muovere contestazioni fiscali,
acquisendo l’esatta corrispondente valenza che i medesimi
atti avrebbero se derivanti dall’attività delle Amministrazioni
finanziarie nazionali[35].
Tale equiparazione pone, tuttavia, delle problematiche non
indifferenti in relazione ai diritti ed alle garanzie che i singoli
ordinamenti nazionali attribuiscono al contribuente sottoposto all’accertamento, oltre che in relazione alle modalità di
acquisizione ed all’utilizzo dei dati scambiati. La tutela del contribuente, infatti, non viene espressamente contemplata né in
sede convenzionale né nell’ambito delle direttive europee che
disciplinano la materia. In entrambi i casi, infatti, non si ravvisa
alcun diretto riferimento al diritto di difesa dello stesso ovvero
a garanzie specifiche, limitandosi a prevedere limiti sull’obbligo
di fornire le informazioni e la segretezza delle stesse.
A fronte, però, della sussistenza di specifiche previsioni nazionali preordinate alla tutela dei diritti del contribuente che
disciplinano le modalità di richiesta, l’acquisizione delle
informazioni e l’utilizzo dei dati personali, occorre valutare
la legittimità della procedura di cooperazione alla luce anche
delle norme nazionali[36]. Nel nostro ordinamento tale problematica era stata oggetto della storica sentenza n. 51/1992,
33
34
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
nella quale la Corte Costituzionale affermava come “al livello dei principi costituzionali resta fermo, comunque, che le scelte
discrezionali del legislatore, ove si orientino a favore della tutela
del segreto bancario, non possono spingersi fino al punto di fare
di questo ultimo un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese
pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (articolo
53 Cost.), ovvero fino al punto di farne derivare il benché minimo
intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come
quelle connesse all’Amministrazione della Giustizia e, in particolare, alla persecuzione dei reati”.
In sede di bilanciamento, infatti, si è rilevato come il segreto bancario non tuteli aspetti legati alla persona umana, ma
istituzioni economiche ed interessi patrimoniali[37] , destinati,
quindi, a soccombere rispetto ai superiori interessi della tutela
della capacità contributiva e del perseguimento degli scopi cui
l’Amministrazione finanziaria è preordinata[38].
È stato correttamente affermato che “il segreto bancario si
atteggerebbe quale estrinsecazione dell’articolo 47 Cost., nella parte in cui tutela il corretto esercizio dell’attività creditizia,
cui corrisponde la necessità di riservatezza dei rapporti giuridici e
delle operazioni collegate all’attività di raccolta del risparmio e di
esercizio del credito. Se così è non può negarsi che sia legittima e
costituzionalmente protetta la pretesa del cittadino a che i propri
dati economici e finanziari, che per la loro portata potrebbero considerarsi sensibili, incamerati dagli intermediari nell’esecuzione delle
operazioni, non vengano divulgati al di là delle ipotesi tassativamente previste dalla legge” [39].
Benché il dibattito or ora riportato risalga a più di dieci anni
fa, le riflessioni insite in tale pronuncia risultano quanto mai
attuali alla luce del quadro normativo delineato poc’anzi. Le
informazioni scambiate, infatti, ponendo la necessità di un
contemperamento degli interessi tra il diritto alla riservatezza
e la tutela delle informazioni oggetto di scambio, da una parte,
e il rispetto del principio della capacità contributiva dall’altra,
sono soggette al controllo del Garante della privacy, al cui previo parere deve essere sottoposto l’esercizio della modalità
preordinata all’acquisizione delle informazioni.
Tale esigenza era stata così avvertita anche in ambito europeo
che, in sede di discussione delle direttive sullo scambio di informazioni, il Garante europeo per la protezione dei dati personali
era intervenuto con il proprio parere del 20 aprile 2010[40] ,
rappresentando come nelle proposte vi fossero diverse lesioni
e lacune nella disciplina dell’utilizzo dei dati sensibili acquisiti
tramite questa disciplina[41].
In Italia, il Garante della privacy, indicando i principali rischi che
tale sistema innesca (ossia il gigantismo delle banche dati,
sempre più difficili da controllare, e quello della qualità delle
informazioni archiviate), chiariva che “potenzialmente la norma
chiede agli operatori di trasferire all’Agenzia tutti i movimenti registrati,
anche l’acquisto di 30 euro effettuato al supermercato con carta di
credito. È una massa di notizie in grado di attuare un controllo comportamentale dinamico, perché realizzato periodicamente. L’Agenzia delle
Entrate non saprà soltanto che ho un conto corrente, ma anche quali
movimenti effettuo. È la stessa differenza che passa tra il sapere che
possiedo un’automobile e conoscere come e quanto la guido”[42].
Attualmente, benché ora più che mai se ne avverta il bisogno,
né il Garante della privacy italiano né il Garante europeo per
la protezione dei dati personali hanno ancora emanato alcun
provvedimento posto a tutela dell’utilizzo delle informazioni
scambiate in forza delle predette normative. Vero è, infatti, che
le diverse discipline delineano l’utilizzo che può essere fatto
delle informazioni scambiate, rilevando come le stesse siano
secretate, destinate all’utilizzo esclusivo delle autorità competenti, cui espressamente è conferito tale potere ma, come il
Garante aveva già rilevato, si riscontrano carenze in relazione
alle autenticazioni e alle autorizzazioni dei singoli utenti che
accedono alle banche dati dell’Anagrafe tributaria, nonché
alla sicurezza dei dati raccolti, tanto più se tale registrazione
avviene in via telematica.
Assai di recente, il 25 marzo 2015, il Garante italiano, sentito dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe
tributaria, ha sottolineato come a fronte degli ingenti flussi di
dati creatisi a fronte delle disposizioni legislative che si sono
susseguite nel tempo, si è ampliata anche la gamma di soggetti autorizzati ad accedere agli stessi. La crescente esigenza
di condividere queste informazioni, a fronte, in particolare,
della nuova disciplina inerente lo scambio di informazioni tra
le Amministrazioni finanziarie, ha dunque determinato un
impatto significativo e rilevante sulla protezione di dati particolarmente delicati riferiti ai contribuenti.
Il Garante ha sottolineato come lo stesso abbia sempre assicurato la possibilità di una conoscenza e di un controllo sui
dati di tipo economico, in ossequio all’imprescindibile principio
costituzionale sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana (di seguito Cost.). Il Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lgs. n. 196/2003) fa proprio e innesta nella nostra
legislazione il principio fondamentale secondo cui i sistemi
di trattamento dei dati sono al servizio della persona e che
lo stesso trattamento deve, da un lato, rispettare le libertà, i
diritti fondamentali, la vita privata e, soprattutto, la dignità dei
cittadini europei e, dall’altro, contribuire al progresso economico e sociale, allo sviluppo degli scambi nonché al benessere
degli individui[43].
Nel cercare di trovare un ponderato equilibrio tra queste sfere
di valori, il Garante rileva come “per quanto legittime le finalità
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
perseguite dall’amministrazione, si è comunque sempre evidenziata
la necessità che gli obiettivi preposti vengano perseguiti con efficacia
acquisendo le sole informazioni necessarie allo scopo ed impiegando
modalità di trattamenti parimenti proporzionate piuttosto che una
indifferenziata preventiva e generalizzata acquisizione di dati senza
che ciò sia realmente necessario. Le banche dati di cui si compone
oggi il sistema della fiscalità sono tali da assicurare un notevole patrimonio informativo disponibile alle amministrazioni per cui è adesso
opportuno potenziarne la capacità di gestione e di utilizzo che sia
realmente efficace, garantendo, ad esempio, l’omogeneità e l’univocità nella raccolta e nella classificazione dei dati”.
Alla stregua di un quadro così complesso e, assunto l’espresso rinvio che, quantomeno in sede euro-unitaria, viene effettuato alla
disciplina della privacy sussistente in ogni singolo ordinamento
nazionale, si attendono gli esiti normativi dell’implementazione degli standards globali e, soprattutto, di un intervento teso
a delineare le modalità di registrazione e di acquisizione delle
informazioni oggetto di scambio, auspicando un intervento del
Garante della privacy, sia europeo sia nazionale.
5.
L’efficacia probatoria delle informazioni scambiate e il diritto
al contraddittorio nel procedimento di accertamento
L’utilizzo delle informazioni scambiate pone ulteriori problematiche in merito alla modalità di acquisizione ed alla valenza
che le stesse rivestono, a fronte, soprattutto, delle procedure
amministrative-tributarie dei singoli ordinamenti nazionali ed
in relazione alla tutela dei diritti che sussistono in capo al contribuente.
Le normative che disciplinano lo scambio di informazioni,
siano esse di fonte internazionale ovvero euro-unitarie, si limitano a disciplinare i diritti ed i doveri che sussistono in capo
alle Amministrazioni finanziarie, disciplinando con particolare attenzione le procedure di trasmissione delle informazioni,
tralasciando il conferimento ovvero il riconoscimento di diritti
spettanti al contribuente.
nazionali deve essere subordinato al previo giudizio di compatibilità degli stessi con i principi del diritto euro-unitario e, specialmente,
con il principio di specialità nell’utilizzo delle informazioni scambiate[45], nonché al principio della most favourite nation e al principio di
autonomia procedurale dagli Stati membri[46].
L’autonomia procedurale che gli ordinamenti nazionali mantengono nell’applicare quanto previsto in sede euro-unitaria
nell’ambito dello scambio di informazioni, tuttavia, espone il
contribuente oggetto di controllo a possibili disparità di trattamento. Si pensi, ad esempio, alla disciplina della tutela della
privacy in relazione alla quale le direttive rinviano al diritto nazionale. Subordinando lo scambio di informazioni alla legislazione
dello Stato richiedente, qualora la protezione della riservatezza dei dati in quest’ultimo Stato sia di livello inferiore, lo Stato
richiesto non potrà negare le informazioni e il contribuente
non potrà opporsi allo scambio ritenuto lesivo dei propri diritti.
L’unica modalità in virtù della quale è possibile, da un lato,
mantenere l’autonomia procedimentale degli Stati e, dall’altro, garantire un’armonizzazione della disciplina dello scambio
di informazioni che sia efficace, è ricorrere al principio di sussidiarietà delineato nell’articolo 5 TFUE, in virtù del quale il
raggiungimento delle finalità dell’UE può essere assicurato
anche mediante l’applicazione del solo diritto interno, senza
ricorrere alle normative di matrice euro-unitaria, subordinandone, tuttavia, l’applicazione al rispetto dei diritti fondamentali
e dei principi generali dell’UE[47].
Sostanzialmente, quindi, si consente l’integrazione di quanto
disposto nelle direttive sullo scambio di informazioni con
i principi affermati negli ordinamenti nazionali, se rispettosi
del diritto euro-unitario, al fine di colmare le evidenti lacune
inerenti la tutela del contribuente[48].
Ovviamente, le esigenze di tutela del singolo contribuente
variano in relazione al ruolo svolto dalle autorità nazionali nella procedura di assistenza: nei confronti dell’Amministrazione
richiedente la tutela del singolo ruoterà attorno alla possibilità di controllo sull’uso dell’informazione trasmessa, ma anche
sulla fondatezza e la legittimità della richiesta, mentre nei
confronti dell’autorità richiesta l’esigenza di tutela sembra
trovare manifestazione nel controllo sulle modalità di acquisizione delle informazioni destinate ad essere scambiate.
Benché alcuni imprescindibili principi, quali il diritto di difesa,
nei suoi corollari del diritto al contraddittorio e del diritto ad
essere ascoltati, siano stati affermati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE (di seguito CGUE)[44] , prima, e poi
divenuti parte integrante del Trattato di Lisbona, questi non
vengono specificamente cristallizzati in disposizioni normative inerenti lo scambio di informazioni, le quali si limitano a
richiamare la legislazione interna.
Occorre tenere presente, tuttavia, che il riconoscimento dei diritti
eventualmente attribuiti al contribuente dai singoli ordinamenti
Siffatta limitazione è stata elaborata nella giurisprudenza della
CGUE essenzialmente per due ordini di ragioni: (i) sulla scorta
del principio d’effettività, allo scopo di evitare che l’attuazione
delle disposizioni procedurali interne comprometta l’efficacia e
la portata del diritto dell’Unione, e, nello specifico, che renda in
pratica impossibile o eccessivamente complessa l’attuazione
della normativa, compresi i principi generali e i diritti dell’UE;
(ii) in virtù del principio di equivalenza, al fine di evitare che
le norme procedimentali nazionali attuative della normativa
euro-unitaria si rivelino discriminatorie o, comunque, meno
favorevoli, rispetto a quelle che disciplinano analoghi procedimenti di natura solo interna.
35
36
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Emblematico il rilievo della CGUE, nel caso Sabou (C-276/2012),
in relazione alle questioni pregiudiziali proposte dal giudice
nazionale, il quale si interrogava se la mancata conoscenza
dell’avvio di un procedimento di richiesta di informazioni da
parte del contribuente costituisse una lesione del generale
principio di difesa e di contraddittorio del contribuente, sancito
nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce il
diritto al contraddittorio, principio elaborato dalla giurisprudenza della CGUE sulla base dell’espressione “cattiva amministrazione”
di cui all’articolo 228 TFUE. In assenza di diritti riconosciuti al
contribuente nello scambio di informazioni, come anche nel
caso sub specie, ove l’articolo 41 non era applicabile ratione
temporis, la CGUE fa ricorso al contraddittorio come diritto
fondamentale dell’UE.
Il diritto ad una buona amministrazione, si ricorda, si estrinseca nell’efficienza e nella garanzia delle posizioni soggettive
degli interessati, ivi compreso, quindi, il diritto di difesa nelle
predette articolazioni.
Nel caso Sabou, i Giudici di Lussemburgo, concordemente
all’Avvocato Generale, hanno affermato che occorre distinguere fra le misure d’indagine, all’interno delle quali è ricompresa
l’attività di scambio di informazioni svolta dagli Stati, e le decisioni assunte al termine del procedimento da uno di essi.
garantito esclusivamente nello Stato richiedente, in quanto
destinatario ed utilizzatore delle informazioni scambiate.
Il contribuente si trova, così, totalmente privo di tutela in relazione alla procedura della raccolta di informazioni, in quanto
lo stesso non è posto nelle condizioni, innanzitutto, di essere avvisato dell’interferenza dell’Amministrazione finanziaria
nei propri dati personali, quali le informazioni riservate che
lo stesso ha affidato ad un istituto finanziario né di poter
verificare se concretamente le modalità di accesso ai dati, di
raccolta e di utilizzo degli stessi siano rispettosi del proprio
diritto di riservatezza.
Forse, proprio allo scopo di poter, in qualche modo, controllare
gli esiti e la procedura esplicativa dello scambio di informazioni,
la Giurisprudenza nazionale ha imposto l’obbligo di allegazione della relativa documentazione, sicché il contribuente possa,
quantomeno, essere in grado di potersi difendere, controdeducendo proprie motivazioni, osservazioni e di effettuare un
controllo ex post sull’operato delle amministrazioni coinvolte. Nell’esperienza italiana i casi non mancano. Diverse sono
state, infatti, le pronunce aventi ad oggetto ricorsi presentati
dai contribuenti sottoposti a controllo, in cui gli accertamenti
sono stati ritenuti illegittimi in quanto basati su informazioni
ottenute illecitamente o che si presentavano carenti di alcuni
elementi essenziali[49].
Mutuando il principio di illegittimità derivata presente nel diritto amministrativo, si è sostenuto come gli elementi probatori,
acquisiti nell’inosservanza delle regole dettate dal legislatore,
comprovanti situazioni evasive o, comunque, irregolari posti a
base di una pretesa tributaria siano illegittimi[50].
Secondo la CGUE, il “diritto fondamentale al contraddittorio, deve
essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di
uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato ad un altro Stato al fine di verificare i dati
forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei
redditi”. Tuttavia, “nulla impedisce ad uno Stato membro di estendere il
diritto al contraddittorio ad altri momenti della fase d’indagine”.
Ne consegue che se, da una parte, la CGUE delinea la non
necessarietà dell’esercizio del diritto di difesa in caso il controllo
delle Amministrazioni finanziarie si avvalga di dati comunicati
dal contribuente, dall’altra, è possibile assicurare la tutela del
diritto al contraddittorio, così come riconosciuto nello Stato
richiedente, anche nello Stato richiesto solo nel rispetto dei
principi che ispirano la piena efficacia dello scambio d’informazioni, specificamente quello di equivalenza, quello d’attuazione
per conto proprio nella realizzazione delle indagini su richiesta
di un altro Stato e quello d’autonomia procedimentale. Il diritto di difesa e, quindi, al contraddittorio, pertanto, deve essere
La giurisprudenza nazionale ha rilevato, in più occasioni,
come i diritti riconosciuti dallo Statuto dei diritti del Contribuente (avuto particolare riguardo all’articolo 7), benché non
riprodotti nelle normative euro-unitarie, vadano tutelati
ed applicati nei singoli casi concreti, non potendo cedere le
garanzie fondamentali a fronte dell’interesse fiscale dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria[51]. Tale approccio
pone quale assunto il fatto che l’invalidità a monte, concernente lo svolgimento di un atto istruttorio, è in grado di travolgere
in virtù di un “effetto domino” tutti gli atti successivi, compreso l’atto impositivo che chiude il procedimento e con il quale
l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente la propria pretesa erariale[52].
Nel 2012, la Cassazione ha avuto modo di chiarire che l’illegittimità di un atto istruttorio prodromico è in grado di “interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale
del procedimento impositivo”, con la conseguenza che lo stesso
configura un “vizio di invalidità del procedimento amministrativo
idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata dell’atto
consequenziale impugnato[53] ”.
Qualora, infatti, non vi fosse una correlazione di effetti sulla
legittimità dell’accertamento, una disposizione di legge finalizzata alla regolamentazione delle modalità di esercizio da
parte dell’Amministrazione finanziaria dei poteri di controllo
rimarrebbe di fatto priva di senso.
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
La giurisprudenza, sottolineando come “il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in
materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale dall’articolo 2 Cost.” [54] , ha rilevato come il diritto
di difesa venga leso ogni qualvolta l’atto impositivo non contenga tutti gli elementi necessari perché il contribuente possa
conoscere non solo l’entità della pretesa erariale, ma anche
tutti gli elementi in base ai quali essa è stata quantificata dagli
Uffici, potendo concretamente valutarne l’operato e difendersi
dalle argomentazioni addotte.
legislativo tale da poter garantire il dovuto rispetto di questo
principio costituzionale e, oramai, assodato anche in seno all’UE.
Si delinea, quindi, un confine netto ai poteri del Fisco, esercitati per perseguire il meritorio interesse pubblico al contrasto
dell’evasione fiscale, facendo leva sui diritti e sulle garanzie
costituzionalmente riconosciuti in capo al contribuente.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://abouthipaa.com/wp-content/uploads/secure_health_information_exchange_500x368.jpg [03.09.2015]
6.
Considerazioni conclusive
La progressiva apertura dello scenario europeo ed internazionale allo scambio di informazioni, come si è visto, di fatto
imporrà (e sta già determinando) una significativa contrazione
del cosiddetto “segreto bancario”.
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3175225.jpg [03.09.2015]
Per quanto riguarda l’Italia, si attende l’adozione della nuova
Direttiva “DAC 2”, al fine di analizzare le modalità con le quali il
legislatore nazionale intenderà procedere alla definizione delle
specifiche procedure delineate in sede euro-unitaria e come
tale implementazione andrà a combinarsi con la preesistente
disciplina interna. Sicuramente, l’introduzione di quanto disposto dalla Direttiva n. 2014/107/UE amplierà enormemente lo
spettro applicativo della disciplina dello scambio di informazioni, incidendo concretamente sullo scambio automatico tra
gli Stati membri e gli istituti finanziari.
La tutela della privacy del contribuente resterà, ancora, ancorata al diritto nazionale e, in tal senso, si auspica un intervento
[1] Il segreto bancario viene implicitamente
riconosciuto sin dalla più antica ed importante
Legge bancaria, Regio decreto-legge n. 375/1936,
nella quale veniva consacrata un’ingerenza limitata da parte dell’Ufficio finanziario, il quale
rimaneva estraneo ai rapporti tra banca e contribuente, attribuendo maggiore tutela al riserbo,
ossia al segreto bancario. Cfr. Serranò Maria
Vittoria, Indagini finanziarie e accertamento bancario, Torino 2012.
[2] L’Agenzia delle Entrate, con la propria Circolare
n. 116/E del 10 maggio 1996, chiariva quali fossero le modalità con cui svolgere le indagini bancarie
alla luce di quanto esposto nella predetta L. n.
413/1991, determinando in maniera specifica l’ambito oggettivo e l’ambito soggettivo di applicazione
Sul fronte internazionale, infine, è evidente come gli assetti tra
gli Stati si stiano velocemente modificando. Molti Paesi hanno recentemente sottoscritto la Convenzione MAAT e stanno
provvedendo alla stipula di accordi di natura convenzionale
bilaterale al fine di contemperare i propri interessi nel rispetto
dei nuovi standards OCSE.
http://laveco.com/uploads/images/news_pictures/aei.png [03.09.2015]
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delle procedure ritenute idonee. Nella Circolare
de quo, inoltre, viene rappresentato uno specifico
capitolo rubricato e dedicato interamente alla
tutela della riservatezza delle informazioni richieste e acquistate dall’Amministrazione finanziaria.
[3] Serranò Maria Vittoria, op. cit.
[4] Falsitta Gaspare, Epicedio per il segreto bancario nei confronti del fisco, in: Riv. Dir. Trib., II, 1992.
[5] Seppure si sia consolidato solo recentemente con la L. n. 311/2004, introduce, in relazione
all’anagrafe tributaria, la funzione del corretto
controllo delle posizioni reddituali, comportando
un trasparente screening dei flussi finanziari. Cfr.
Tremonti Giulio, Principi ispiratori della riforma
fiscale, in: Rivista Guardia di Finanza, n. 2/1995,
pagina 131.
[6] Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 223/2006,
convertito in L. n. 248/2006.
[7] Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n.
138/2011, convertito in L. n. 148/2011.
[8] Sostanzialmente si tratta di tutte le operazioni
finanziarie che i clienti hanno intrattenuto con le
istituzioni finanziarie, obbligate alle comunicazioni
dei dati all’Anagrafe tributaria, ivi comprese quelle
“fuori conto”, oltre che ogni informazione relativa ai
predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali.
[9] De Mita Enrico, Come attaccare gli evasori fiscali, in: Il Sole24Ore, del 22 dicembre 2011,
http://w w w.ilsole24ore.com/ar t/commentie-idee/2011-12-21/come-attaccare-evasori-fiscali-214517.shtml?uuid=AaXxXXWE&refresh_ce=1
[03.09.2015].
37
38
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
[10] Global Forum on Transparency and exchange of
information for tax purposes Peer Review, Italy, 2013.
[11] Il Modello CAA si divide in sezioni, le quali
riguardano, rispettivamente, (i) le definizioni, (ii) il
tipo di informazioni da scambiare, (iii) il tempo e
le modalità di scambio, (iv) la riservatezza dei dati
con le misure di salvaguardia che devono essere
intraprese e rispettate, (v) la consultazione tra le
autorità competenti, le modifiche e la durata del
contratto, compresa la sospensione e/o il termine.
[12] Approvata il 15 febbraio 2011, abroga la precedente Direttiva n. 77/779/CEE. Le disposizioni di
tale Direttiva dovevano essere recepite dagli Stati membri entro il 1. gennaio 2013, posticipando,
tuttavia, il termine per l’attuazione dello scambio
automatico di informazioni al 1. gennaio 2015. L’Italia ha recepito tale Direttiva con il D.Lgs. n. 29
del 4 marzo 2014, in vigore dal 1. aprile 2014.
[13] Vi rientrano, pertanto, le imposte sul reddito
o sul patrimonio complessivo; imposte sui capital
gains (realizzati o maturati); quelle su elementi
di reddito o di patrimonio; le imposte sui salari e
sugli stipendi corrisposti dalle imprese, oltre che
quelle sui premi assicurativi.
[14] Per completezza si ricorda che per quanto attiene, invece, lo scambio di informazioni
nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, trova applicazione il Regolamento UE n. 904/2010,
il quale prevede, sin nei considerando, lo scambio
di informazioni automatico quale strumento finalizzato all’eliminazione del fenomeno delle frodi.
Tale Regolamento si innesta sulla scorta del precedente Regolamento n. 1798/2003, prevedendo
la creazione di un quadro generale di principi di
cui avvalersi al fine di garantire la qualità delle
informazioni scambiate, creare regole comuni per
la raccolta dei dati e la sussistenza di un obbligo,
in capo agli Stati membri, di fornire una sorta di
conferma elettronica, per la verifica della correttezza dei dati del contribuente associato ad una
partita IVA. Il Regolamento in analisi prevede,
peraltro, la costituzione della cosiddetta Eurofisc,
ossia di una commissione permanente, composta
dai ventisette rappresentanti degli Stati membri
finalizzata alla cooperazione tra le Amministrazioni finanziarie nazionali nell’intento di sradicare
il fenomeno delle frodi IVA.
[15] Ex multis, Capolupo Saverio, Più incisiva la
disciplina europea sulla collaborazione amministrativa nelle imposte dirette, in: Corr. Trib., n.
16/2011.
[16] Nata come proposta di modifica della Diret-
tiva del 2003, presentata dalla Commissione il 13
novembre 2008 (COM[2008]727), adottata dal
Consiglio UE il 24 marzo 2014.
[17] Adottata dal Consiglio ECOFIN nella riunione
del 9 dicembre 2014.
[18] Divulgati nel luglio 2014 ed approvati nel
settembre 2014 dai Ministri delle Finanze e ai
governatori delle banche centrali del G-20.
[19] Da intendersi quali: a) un certificato di residenza rilasciato da un ente pubblico autorizzato (per
esempio, lo Stato o un’agenzia dello stesso, ovvero un Comune) dello Stato membro o di un’altra
giurisdizione in cui il beneficiario dei pagamenti
afferma di essere residente; b) con riferimento a
una persona fisica, un documento d’identità valido rilasciato da un ente pubblico autorizzato (per
esempio, lo Stato o un’agenzia dello stesso, ovvero un Comune), contenente il nome della persona
fisica e che viene comunemente utilizzato ai fini
identificativi; c) con riferimento a un’entità, la
documentazione ufficiale rilasciata da un ente
pubblico autorizzato (per esempio, lo Stato o
un’agenzia dello stesso, o un Comune), contenente la denominazione dell’entità nonché l’indirizzo
della sua sede principale nello Stato membro o in
altra giurisdizione di cui l’entità dichiara di essere
residente ovvero lo Stato membro o altra giurisdizione in cui l’entità stessa è legalmente costituita
o organizzata; d) i bilanci sottoposti a revisione,
le informative commerciali ai terzi, le istanze di
fallimento o le relazioni dell’autorità di regolamentazione del mercato mobiliare.
[20] I dati rintracciabili elettronicamente, conservati dall’istituto finanziario richiesto, riguardano
(i) l’identificazione del titolare del conto come
residente di uno Stato membro; (ii) l’attuale
indirizzo postale o di residenza (compresa una
casella postale) in uno Stato membro; (iii) uno
o più numeri telefonici in uno Stato membro e
nessun numero di telefono nello Stato membro
dell’istituzione finanziaria tenuta alla comunicazione; (iv) ordini di bonifico permanente (diversi
da quelli relativi al conto di deposito) a favore di
un conto intrattenuto in uno Stato membro; (v)
la procura o la potestà di firma attualmente valida, conferita ad un soggetto con un indirizzo in
uno Stato membro, oppure (vi) indirizzo di fermo
posta o “c/o” in uno Stato membro qualora l’istituzione finanziaria tenuta alla comunicazione non
disponga di nessun altro indirizzo nel fascicolo
relativo al titolare del conto.
[21] È previsto, però, che tali autocertificazio-
ni vengano corroborate da ulteriori elementi ab
extrinseco fornite dagli stessi titolari del conto,
quali, ad esempio, le ulteriori documentazioni
richieste dagli istituti finanziari. Qualora l’istituto
abbia conoscenza o ha motivo di essere a conoscenza del fatto che l’autocertificazione fornita sia
inesatta o inattendibile, l’istituto non può utilizzare la certificazione originaria e doverne acquisire
una nuova e diversa che sia ritenuta attendibile.
[22] Restano precluse, nello specifico, IVA, dazi
doganali e contributi previdenziali.
[23] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2014.
[24] Sostitutivo dell’accordo, risalente al 2005, tra
la Svizzera e l’UE sulla fiscalità del risparmio.
[25] “L’obiettivo del TIEA è quello di fissare lo standard di ciò che può ritenersi rappresentare un effettivo
scambio di informazioni for the purposes of the OCSE’s
iniziative on harmful tax practices” (Valente Piergiorio, I tax Information Exchange Agreements
[TIEAs], Disposizioni Ocse su scambio di informazioni con paradisi fiscali, in: Il fisco, n. 35/2009.
[26] Cfr. articolo 5, paragrafo 1, punto 43 del Commentario. Si rappresenta che il Global Forum on
Taxation dell’OCSE ha pubblicato nel 2008 un
documento ove era delineato l’esito di un accertamento effettuato in 83 Paesi, intitolato: Tax
Cooperation: towards a level playing field. 2008
Assessment by the Global Forum on Taxation, in
cui si rilevava come solo sei Paesi mantenessero ancora, nelle proprie richieste, il contestuale
domestic tax interest dello Stato richiesto, come
condizione per procedere allo scambio.
[27] Valente Piergiorgio, op. cit., pagine 1-5781.
[28] Nel 1988, promossa unitamente dal Consiglio
d’Europa e dall’OCSE, veniva sottoscritta a Strasburgo la Convenzione sulla Mutua Assistenza
Amministrativa (MAAT).
[29] In proposito, si rileva come recentissimamente, il 4 marzo 2015 anche la Russia vi ha aderito.
[30] Quali l’imposta sul reddito delle persone
fisiche (IRPEF), imposta sul reddito delle società (IRES), imposte sostitutive delle imposte sui
redditi, comunque denominate; imposta regionale sulle attività produttive (IRAP); imposta sul
valore aggiunto (IVA), imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, l’allora vigente imposta
comunale sugli immobili (ICI).
[31] Tale assistenza amministrativa deve intendersi, tuttavia, limitata ai tre anni precedenti
l’entrata in vigore della convenzione, cfr. articolo
30, paragrafo 1, lettera f Convenzione MAAT.
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
[32] Selicato Pietro, Scambio di informazioni, contraddittorio e statuto del contribuente, in: Rass.
Trib., n. 2/2012.
[33] Se gli “atti, documenti, informative sono scambiati
in virtù di specifiche convenzioni con reciproca efficacia,
che ne autorizzano la trasmissione e l’utilizzazione ufficiale, si ha piena ed assoluta possibilità di impiegarli in
Italia come mezzi di prova” (Sacchetto Claudio, L’evoluzione della cooperazione internazionale fra le
Amministrazioni finanziarie statali in materia di Iva
e di imposte dirette: scambio di informazioni e verifiche “incrociate” internazionali, in: Boll. Trib., 1990.
[34] In ambito europeo si ha una “sostanziale parificazione delle prove” in quanto gli atti amministrativi
stranieri diventano “atti aventi efficacia analoga a
quella degli Stati nazionali e non saranno più ‘meri fatti
o notizie’” (Sacchetto Claudio, op. cit.).
[35] “Informazioni, relazioni, attestati e altri documenti,
o copie conformi o estratti degli stessi, ottenuti dall’autorità richiedente in conformità della presente direttiva
possono essere addotti come elementi di prova dagli
organi competenti dello Stato membro richiedente allo
stesso titolo di informazioni, relazioni, attestati e altri
documenti equivalenti trasmessi da un’autorità di tale
Stato membro” (articolo 16, paragrafo 5 Direttiva
n. 2011/16/UE).
[36] Tomassini Antonio, Sullo scambio di informazioni tra Stati UE i giudici tributari contemperano
l’interesse pubblico al contrasto dell’evasione con
la tutela del contribuente, in: GT-Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 9/2010. In tal senso anche
Selicato Pietro, op. cit.
[37] Corte Costituzionale n. 65/1968 e n. 22/1971.
[38] La Sentenza n. 51/1992 affermava la non
illegittimità della trasmissione agli uffici fiscali da
parte della Guardia di Finanza dei dati raccolti in
sede penale, riconoscendo come prevalente l’esigenza di conoscenza delle posizioni finanziarie dei
contribuenti assoggettati ai poteri istruttori.
[39] Tale pronuncia si staglia, pertanto, quale
antecedente della cosiddetta Legge sulla privacy – L. n. 675/1996 –, del Regolamento istitutivo
dell’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito
– D.M. n. 269/2000 -, e del D.Lgs. n. 196/2003,
attuale normativa che tutela il trattamento dei
dati sensibili. Ai sensi dell’articolo 18 D.Lgs. n.
196/2003 “Qualunque trattamento di dati personali
da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per
lo svolgimento delle funzioni istituzionali”.
[40] Cfr. Parere del Garante europeo della protezione dei dati sulla proposta di Direttiva del
Consiglio relativa alla cooperazione ammini-
strativa nel settore fiscale in data 20 aprile 2010
(2010/C 101/01 G.U.U.E. n. C. 101).
[41] Il Garante europeo della protezione dei dati
aveva affermato che la proposta “contiene alcuni
elementi che non ottemperano ai requisiti applicabili
in materia di protezioni dei dati”, invitando il Consiglio a provvedere ad “uno sviluppo del sistema di
cooperazione amministrativa rispettoso del diritto alla
protezione dei cittadini europei”. Si rileva come, a
seguito di tali osservazioni, siano stati introdotti
nel testo della Direttiva il Considerando n. 27 e
l’articolo 25.
[42] Cherchi Antonello, Il Garante Privacy: contro
l’evasione troppi dati al Fisco, in: Il Sole 24 Ore, 14
gennaio 2012, http://www.ilsole24ore.com/art/
norme-e-tributi/2012-01-14/garante-privacycontro-evasione-081612.shtml?uuid=AaArxwdE
[03.09.2015].
[43] Più precisamente, l’articolo 66 del Codice,
relativo a disposizioni in “Materia tributaria e doganale”, considera di “rilevante interesse pubblico […] le
attività dei soggetti pubblici dirette all’applicazione,
anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti, ai
sostituti d’imposta, nonché in materia di deduzioni e
detrazioni e per l’applicazione delle disposizioni la cui
esecuzione è affidata alle dogane”.
[44] C-276/12, Sabou, paragrafo 36.
[45] Il principio di specialità si configura come una
regola dell’ordinamento dell’Unione che ha “effetto
diretto che origina obblighi agli Stati e diritti alle persone
coinvolte da questa” (cfr. Terra Ben J.M./Wattel Peter J.,
European Tax Law, Kluwer Law International,
4/2005, pagina 689).
[46] Il primo, come noto, obbliga a fornire allo
Stato membro che ne faccia richiesta il medesimo trattamento eventualmente di maggior
favore, laddove previsto in via convenzionale tra
lo Stato membro di cui viene richiesta l’assistenza
e uno Stato terzo; il secondo condiziona, invece,
direttamente l’ordinamento interno degli Stati
membri nell’imporre un unico complesso normativo che regoli le procedure amministrative volte
a fornire l’informazione e nel garantire la “diligenza” dell’Amministrazione tributaria dinanzi ad una
richiesta effettuata da un altro Stato membro
(Martin F. F., La tutela nazionale del contribuente
nello scambio comunitario di informazioni).
[47] CGUE, Sentenze del 21 gennaio 2010, Alstom
Power Hydro, C-472/08; del 17 novembre 1998,
Aprile, C-228/96; del 21 settembre 1983, Deutsche
Milchkontor ed altri, C-205/82 e C-215/82.
[48] Secondo la CGUE, dunque, l’autonomia procedurale “deve essere contemperata con l’esigenza
di uniforme applicazione del Diritto comunitario,
per evitare disparità di trattamento fra gli operatori
economici” (Milchkontor, C-205/82 e C-215/82).
Precedentemente, si veda, Schlueter, C-94/71.
In questo senso anche Peter, C-290/91; Dominikanerinnen-KlosterAltenhohenau,
C-285/93;
Karlsson, C-292/97. La stessa ha affermato, inoltre, che per dare attuazione ad una normativa
dell’UE “è possibile valersi delle norme nazionali solo
nella misura necessaria per l’attuazione delle disposizioni di diritto comunitario e sempre che l’applicazione
delle norme nazionali non limiti la portata e l’efficacia
del diritto comunitario stesso” (C-39/70, Fleischkontor; C-146, 192 e 193/81, BayWa AG).
[49] Cfr. Cass. Sez. trib. 30.10.2002, n. 15319; 5
agosto 2002, n. 11669; 24 agosto 2002, n. 19817;
3 dicembre 2001, n. 15234.
[50] Cass. Sez. I, 9 novembre 1997, n. 11036; Cass.
Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7368; Cass. Sez. trib., 21
luglio 2009, n. 16874. Ad esempio, gli accertamenti
emessi sulla base delle “liste” sarebbero illegittimi,
in quanto emessi sulla base di dati illegittimamente acquisiti e, quindi, inutilizzabili. In tal senso, si
veda CTP Avellino, n. 222/05/12 e 224/05/12 del
31 gennaio 2012; CTP di Como n. 188/01/11 del 15
novembre 2011; CTP di Lecco n. 93/03/13 del 15
luglio 2013 e n. 175/01/12 dell’11 dicembre 2012;
CTP Milano n. 263/05/12 del 4 ottobre 2012 e
n. 196/25/12 del 6 novembre 2012; CTP di Verbania
n. 15/1/13 del 21 febbraio 2013; CTR Lombardia
n. 11/20/13 del 28 gennaio 2013; CTR Umbria
n. 141/1/13 del 28 ottobre 2013; CTP Verbania
n. 47/02/12 del 5 novembre 2012.
[51] CTP Mantova, Sez. I, Sent. 27 maggio 2010
n. 137; Tomassini Antonio, op. cit.
[52] CTR Roma, Sez. XXXVIII, 13 settembre 2007,
n. 197; CTR Trieste, Sez. XI, 20 febbraio 2008, n. 9;
CTR Bari, Sez. XIV, 11 luglio 2008, n. 67; CTP Mantova, Sez. I, 19 febbraio 2009, n. 15; CTR Firenze,
Sez. XXIX, 22 settembre 2009, n. 96; CTR Firenze, Sez. VIII, 23 ottobre 2009, n. 68; CTR Reggio
Emilia, Sez. IV, 1. febbraio 2012, n. 10; CTR Torino,
Sez. XXVII, 25 gennaio 2012, n. 13; CTR Genova,
Sez. VIII, 24 agosto 2012, n. 97.
[53] Cass. Sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 631; Cass.
Sez. trib., 20 febbraio 2013, n. 4140.
[54] Cass. Sez. trib., 28 luglio 2011, n. 16570.
39
40
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Quale limite massimo d’età per richiedere
un riscatto di anni d’assicurazione?
Sacha Cattelan
Bachelor of Science SUPSI
in Economia aziendale
Assistente SUPSI
Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale di
Appello del Cantone Ticino, del 27 marzo 2014, n. 80.2013.270
– Articoli 37b LIFD, 11 capoverso 5 LAID e 37b LT
1.
Considerazioni introduttive
L’articolo 37b della Legge federale sull'imposta federale diretta
(di seguito LIFD), introdotto dalla Legge federale del 23 marzo
2007 sulla Riforma II dell’imposizione delle imprese, è in vigore
dal 1. gennaio 2011. In base al Messaggio del Consiglio federale del 22 giugno 2005[1] che peraltro ancora non prevedeva
un’imposta annua intera, scopo della norma è l’attenuazione dell’onere fiscale per chi cessa o liquida definitivamente
un’impresa. Difatti, a causa della progressività dell’imposta,
l’inclusione dell’utile di liquidazione nel reddito imponibile può
comportare un onere fiscale eccessivo. La disposizione introduce quindi la possibilità di tassare in forma agevolata gli utili
di liquidazione dell’attività lucrativa indipendente.
La condizione affinché possano essere date le premesse per
un’agevolazione della tassazione – identica a quella prevista
per gli articoli 11 capoverso 5 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di
seguito LAID) e 37b della Legge tributaria del Canton Ticino
(di seguito LT) – è che vi sia cessazione definitiva dell’attività lucrativa indipendente a causa del raggiungimento dei 55
anni oppure per uno stato di invalidità. L’agevolazione, così
come definita al termine della procedura legislativa, consiste
nel fatto che le riserve occulte dei due anni che precedono
la cessazione dell’attività sono sommate e assoggettate a
un’imposta annua intera separata dagli altri redditi del contribuente. Questo vale sia per gli utili di liquidazione da tassare
come previdenza professionale sia per gli utili di liquidazione
restanti dopo detrazione del vuoto previdenziale. Si tratta,
quindi, di due distinte imposte annue intere[2].
2.
La fattispecie sotto esame
Il contribuente X (classe 1938), coniugato con Y, gestiva un’attività lucrativa indipendente di noleggio di motoscafi e pedalò.
Il 3 gennaio 2011, X ha ceduto l’attività all’associazione N,
indicando nella dichiarazione ai fini dell’imposta annua intera,
un prezzo di vendita di 465’000 franchi. La lacuna previdenziale fittizia fatta valere ammontava a 495’600 franchi.
Con notifica del 29 maggio 2013, l’Ufficio di tassazione di
Lugano Città commisurava l’utile netto di liquidazione in
368’400 franchi, non riconoscendo alcun riscatto fittizio di anni
d’assicurazione al secondo pilastro ai coniugi XY, i quali, lamentando la mancata considerazione di una lacuna previdenziale
fittizia, impugnarono la suddetta decisione con reclamo del 5
giugno 2013.
Con scritto del 19 settembre 2013, l’autorità di tassazione
confermò la propria posizione asserendo che: “[…] il riscatto
fittizio può essere riconosciuto fino a quando un riscatto è possibile secondo la LPP; in altre parole, per tutti i contribuenti che,
non essendo iscritti a Istituti di previdenza professionale non hanno
ancora raggiunto l’età ordinaria di pensionamento AVS (65 anni).
Per i contribuenti iscritti a Istituzioni previdenziali, il termine (oltre
65 anni, fino a 70 anni) può essere modificato in relazione a quanto
stabilito dai relativi piani previdenziali. Nel caso del contribuente X,
che ha cessato l’attività a 73 anni, oltre il limite di 65 anni (non
iscritto al II° pilastro), non si verifica l’esistenza di una lacuna previdenziale fittizia”.
In occasione di un’udienza tenutasi il successivo 8 ottobre 2013,
i contribuenti confermavano il reclamo, chiedendo nuovamente
che dall’utile di liquidazione fosse dedotta una lacuna previdenziale fittizia di 495’600 franchi.
L’autorità di tassazione respingeva il reclamo, con separate
decisioni del 9 ottobre 2013, nelle quali ribadiva che potevano beneficiare dell’imposizione di un riscatto fittizio, tassato
separatamente con l’aliquota privilegiata degli articoli 38 LT
e 38 LIFD, unicamente i contribuenti che al momento della
cessazione definitiva della propria attività non avevano ancora raggiunto l’età di pensionamento AVS ordinaria (65 anni gli
uomini, 64 anni le donne).
Con tempestivo ricorso alla Camera di diritto tributario (di seguito
CDT), i coniugi XY chiedono l’annullamento delle decisioni impugnate e l’imposizione di un riscatto fittizio di anni d’assicurazione
in base agli articoli 38 LT e 38 LIFD. Secondo i ricorrenti, infatti,
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
vi è un errore d’interpretazione degli articoli 37b LT e 37b LIFD in
quanto il limite d’età di pensionamento ordinario AVS varrebbe
solamente per il calcolo degli anni di riscatto, non invece quale
termine per richiedere la deduzione di una lacuna fittizia.
3.
Gli articoli 37b LIFD e 37b LT e la loro interpretazione
Secondo l’articolo 37b capoverso 1 LIFD, in caso di cessazione
definitiva dell’attività lucrativa indipendente dopo il compimento dei 55 anni o per incapacità di esercitare tale attività in
seguito a invalidità, le riserve occulte realizzate nel corso degli
ultimi due esercizi sono sommate e imposte congiuntamente,
ma separatamente dagli altri redditi. I contributi di riscatto conformemente all’articolo 33 capoverso 1 lettera d LIFD
sono deducibili. Se non vengono effettuati simili riscatti, l’imposta sull’importo delle riserve occulte realizzate per il quale
il contribuente giustifica l’ammissibilità di un riscatto secondo l’articolo 33 capoverso 1 lettera d LIFD è calcolata su un
quinto della tariffa di cui all’articolo 36 LIFD. Per la determinazione dell’aliquota applicabile all’importo restante delle riserve
occulte realizzate è determinante un quinto di questo importo
restante, ma in ogni caso è riscossa un’imposta a un’aliquota
del 2% almeno.
L’articolo 37b LT, vincolato dall’articolo 11 capoverso 5 LAID
ed il cui testo di legge si rifà a quello federale, prevede che per
la determinazione dell’aliquota applicabile all’importo restante
delle riserve occulte realizzate sono determinanti le aliquote
dell’articolo 35 LT.
Per costante giurisprudenza, una norma va innanzitutto
interpretata secondo il suo tenore letterale (interpretazione letterale). Se il testo legale non è del tutto chiaro, o se più
interpretazioni si prestano, il giudice è tenuto a ricercare il
vero significato della norma, deducendolo dalle relazioni che
intercorrono tra essa e altre disposizioni legali e dal contesto
legislativo in cui si inserisce (interpretazione sistematica), dal
fine che la norma persegue o dall’interesse tutelato (interpretazione teleologica), nonché dalla volontà del legislatore
(interpretazione storica), così come essa traspare dai materiali legislativi. Se il testo di legge è chiaro, l’autorità chiamata
ad applicare il diritto può distanziarsene soltanto se sussistono motivi fondati per ritenere che la sua formulazione non
rispecchi completamente il vero senso della norma. Simili
motivi possono risultare dai materiali legislativi, dallo scopo
della norma, come pure dalla relazione tra quest’ultima e altre
disposizioni[3].
Tornando al caso in esame, l’interpretazione letterale degli
articoli 37b capoverso 1 LIFD e 37b capoverso 1 LT lascerebbe
presupporre che esclusivamente gli indipendenti affiliati ad un
istituto di previdenza possono richiedere l’imposizione di un
riscatto fittizio. Essi sono infatti gli unici a poter giustificare
l’ammissibilità di un riscatto sulla base degli articoli 33 capoverso 1 lettera d LIFD e 32 capoverso 1 lettera d LT.
Analizzando i dibattiti parlamentari si evince tuttavia che la
volontà del legislatore era quella di garantire a tutti i lavoratori indipendenti, e non soltanto a quelli affiliati ad un istituto
di previdenza professionale, il diritto di richiedere l’imposi-
zione di un riscatto fittizio di anni d’assicurazione al secondo
pilastro. L’idea di base era infatti quella di porre sullo stesso piano salariati e indipendenti, compresi quelli che hanno
deciso di reinvestire i loro risparmi nell’azienda, rinunciando
così a un’adeguata copertura assicurativa[4]. Un diverso trattamento degli indipendenti affiliati o meno ad un istituto di
previdenza violerebbe il principio della parità di trattamento ed obbligherebbe quest’ultimi ad iscriversi ad una cassa
pensione al solo scopo di poter beneficiare della tassazione
agevolata dell’utile di liquidazione[5].
4.
La giurisprudenza del Tribunale federale
In una recente sentenza il Tribunale federale ha avuto modo
di precisare lo scopo delle norme in discussione, definendo
in particolare che tutti gli indipendenti che cessano definitivamente la propria attività lucrativa dopo il compimento dei
55 anni o per incapacità di esercitare tale attività in seguito a
invalidità possono richiedere l’imposizione di un riscatto fittizio
nel secondo pilastro (dopo deduzione di un eventuale riscatto
effettivo). La sola condizione è che il contribuente dimostri che
un riscatto in un istituto di previdenza sarebbe ancora possibile secondo la Legge federale sulla previdenza professionale per
la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (di seguito LPP)[6].
I ricorrenti contestano però che il limite dell’età ordinaria di
pensionamento AVS, richiamato dall’articolo 6 capoverso 2
dell’Ordinanza concernente l’imposizione degli utili di liquidazione in caso di cessazione definitiva dell’attività lucrativa
indipendente (OULiq), si riferisce unicamente al computo degli
anni di contribuzione determinanti e, più in generale, ai criteri
di calcolo del vuoto previdenziale[7].
Secondo l’Alta Corte, ciò non significa tuttavia ancora che
gli indipendenti possano richiedere un riscatto fittizio di anni
d’assicurazione nel secondo pilastro senza termini d’età. Come
accennato sopra, gli stessi giudici federali hanno chiaramente
stabilito che un riscatto fittizio può essere richiesto solo entro
i limiti della citata LPP. Detto diversamente, un riscatto fittizio
è ammesso fintantoché sarebbe ancora possibile, in base al
diritto della previdenza professionale, versare un contributo
obbligatorio o facoltativo nel secondo pilastro.
41
42
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
5.
Il diritto previdenziale
Secondo gli articoli 13 capoverso 1 LPP e 62a capoverso 1
dell’Ordinanza sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (di seguito OPP2), hanno diritto
alle prestazioni di vecchiaia gli uomini che hanno compiuto i
65 anni e le donne che hanno compiuto i 64 anni. L’articolo 13
capoverso 2 LPP ammette tuttavia che le disposizioni regolamentari dell’istituto di previdenza possano stabilire, in deroga
al capoverso 1, che il diritto alle prestazioni di vecchiaia sorga
alla cessazione dell’attività lucrativa. In questo caso, l’aliquota
di conversione (articolo 14) è corrispondentemente adattata.
Tuttavia, secondo la CDT, nessun regolamento previdenziale
può prevedere la protrazione della prestazione di vecchiaia
oltre i 70 anni e, per logica conseguenza, oltre tale età non è
nemmeno più possibile richiedere un riscatto di anni d’assicurazione, sia esso effettivo o fittizio. Il ricorso dei coniugi XY è
così stato respinto.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2013/10/
franchi-svizzeri.jpg [03.09.2015]
Il 1. gennaio 2011 è entrato in vigore l’articolo 33b LPP,
secondo cui, nel suo regolamento, l’istituto di previdenza
può prevedere la possibilità per l’assicurato di chiedere che la
sua previdenza sia protratta fino alla conclusione dell’attività lucrativa, ma al massimo fino al compimento dei 70 anni.
Nel Messaggio con cui ha illustrato la proposta di introdurre
la disposizione in discussione, il Consiglio federale ha inoltre
lasciato al regolamento della cassa pensione la libertà di prevedere la continuazione del versamento di contributi, siano
essi obbligatori o facoltativi[8].
Al riguardo il Consiglio federale si è così espresso: “[…] mentre
per alcuni assicurati la possibilità di continuare a versare i contributi e di migliorare dunque le future prestazioni può fornire un
incentivo a lavorare oltre l’età di pensionamento, per altri l’obbligo di versare ulteriori contributi potrebbe rivelarsi demotivante.
Per tener conto delle diverse esigenze, è necessario adottare un
approccio personalizzato. Per questo, deve essere l’assicurato a
richiedere esplicitamente l’ulteriore versamento di contributi previdenziali dopo l’età di pensionamento” [9].
6.
Le conclusioni della CDT
Allineandosi alle considerazioni dottrinali, la CDT sottolinea
che, se il regolamento dell’istituto di previdenza prevede,
oltre al rinvio della prestazione di vecchiaia, anche la possibilità per l’assicurato di continuare a versare contributi con
l’intento di migliorare le future prestazioni, questi sono senza alcun dubbio deducibili secondo l’articolo 33 capoverso 1
lettera d LIFD. Sorge a questo punto spontaneo chiedersi se
anche l’imposizione di un riscatto fittizio possa essere prorogata oltre l’età ordinaria di pensionamento (65 anni per gli
uomini e 64 anni per le donne) e tuttalpiù se un simile diritto
spetti esclusivamente ai contribuenti affiliati ad un istituto di previdenza oppure a tutti i contribuenti. La fattispecie
sotto esame non necessita di una risposta in questo senso
in quanto il contribuente X aveva già compiuto 73 anni al
momento della cessione dell’attività.
[1] Foglio federale 2005 4241.
[2] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, La
fiscalità dell’azienda nel nuovo diritto federale e
cantonale ticinese, Mendrisio 2010, pagina 503 e
seguenti.
[3] Sentenza CDT n. 80.2007.121 del 22 ottobre
2008, consid. 3.3; DTF 129 I 12 consid. 3.3; 128 II
56 consid. 4; 66 consid. 4a; 128 I 34 consid. 3b;
126 II 71 consid. 6d.
[4] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, op. cit.,
pagina 495.
[5] Bollettino Ufficiale 2007 del Consiglio nazionale, pagina 312.
[6] Sentenza TF n. 2C_809/2011 del 29 luglio 2012,
in: ASA 81 pagina 497, in particolare consid. 3.5.
[7] Circolare n. 28 dell’Amministrazione federale
delle contribuzioni del 3 novembre 2010, cifra 5.2.
[8] Ufficio federale delle assicurazioni sociali,
Bollettino della previdenza professionale n. 121
del 6 gennaio 2011, cifra 775.
[9] Foglio federale 2007 5199, pagina 5250.
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
I prelevamenti bancari ingiustificati
non provano più compensi occulti
Caterina Vanetti
Dottore Commercialista
e Revisore Contabile, Varese
Cultore della materia, Università Cattolica
del Sacro Cuore, Milano
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la presunzione contenuta nell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973,
ma solo limitatamente ai lavoratori autonomi
1.
La presunzione contenuta nell’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973
Prima di entrare nel merito della pronuncia della Corte Costituzionale, è bene ricordare cosa si intende per presunzione
fiscale e cosa stabilisce la presunzione contenuta nell’articolo
32, comma 1, n. 2), secondo periodo del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973.
“relative”, per le quali è consentito al contribuente accertato di
dimostrare l’insussistenza della pretesa impositiva.
In tema di indagini bancarie, il Legislatore italiano statuisce,
mediante la presunzione legale relativa contenuta nell’articolo
32 D.P.R. n. 600/1973, che “i dati ed elementi attinenti ai rapporti
ed alle operazioni acquisiti e rilevati […] sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41[1] se
il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza
allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o
compensi a base delle stesse rettifiche, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture
contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti
rapporti od operazioni”.
In altre parole, la disposizione citata prevede che, in caso di
accertamento del reddito mediante l’ausilio di dati bancari, gli
organi verificatori possano accertare ricavi o compensi non
dichiarati (fatto ignoto) in presenza di:
Si definisce “presunzione fiscale” quel ragionamento logicointuitivo con il quale, dalla conoscenza di un fatto noto, si
deduce la prova di un fatto ignoto. Nel diritto tributario
italiano, le presunzioni fiscali possono essere di due tipologie: le presunzioni semplici e le presunzioni legali. Per
le presunzioni semplici, i fatti sui quali si fondano devono
essere provati in giudizio e il relativo onere probatorio grava sull’Amministrazione finanziaria, la quale deve dimostrare
che gli elementi presuntivi, posti a base della pretesa impositiva, abbiano i caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Le presunzioni legali, invece, sono quelle il cui valore probatorio
è riconosciuto dalla legge e che da sole sono sufficienti a legittimare la rettifica del reddito imponibile, addossando l’onere
della prova contraria a carico del contribuente. Le presunzioni
legali si suddividono a loro volta in presunzioni “assolute”, per
le quali non è ammessa la prova contraria, e in presunzioni
◆◆ versamenti di denaro (fatto noto) sul conto corrente non
considerati nella determinazione del reddito, a meno che
il contribuente dimostri che le somme accreditate siano
estranee rispetto all’attività economica esercitata;
◆◆ prelevamenti di denaro (fatto noto), se il contribuente non
ne indica il beneficiario e se tali operazioni non risultano
dalla contabilità.
Mentre nella prima fattispecie la ratio tra fatto noto e fatto
ignoto è evidente (se deposito in banca denaro a cui non corrisponde un documento contabile, significa che si tratta di ricavi
non dichiarati ai fini del reddito), nel secondo caso, invece, si
applica il ragionamento secondo il quale un’uscita finanziaria
non giustificata abbia spesato acquisti non contabilizzati di
beni o servizi impiegati nell’attività che, conseguentemente,
abbiano dato origine a vendite o prestazioni non fatturate.
In entrambe le fattispecie, il contribuente accertato può sempre dimostrare l’insussistenza della pretesa tributaria mediante
l’utilizzo di prove contrarie, in quanto la maggiore imposta viene stimata tramite l’utilizzo di una presunzione legale relativa.
43
44
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Fino alla pronuncia della Corte Costituzionale, la presunzione
sopra descritta, in particolare la parte relativa ai prelevamenti, ha
operato sia nei confronti di titolari di reddito d’impresa sia nei
confronti di titolari di reddito di lavoro autonomo. Nel 2004,
infatti, il Legislatore intervenne nella norma, ampliando la
platea dei soggetti coinvolti da tale presunzione, mediante l’inserimento nel testo di legge della locuzione “o compensi”. Proprio
tale locuzione è stato l’oggetto della sentenza in esame.
2.
La sentenza n. 228/2014
Nell’ottobre dell’anno appena passato, la Corte Costituzionale
si è pronunciata sulla presunzione in tema di indagini bancarie ed ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 32, comma 1,
n. 2), secondo periodo, D.P.R. n. 600/1973 – nella parte relativa ai prelevamenti non giustificati – limitatamente alle parole
“o compensi”. La Corte è giunta a questa conclusione facendo
i seguenti rilievi:
a) la presunzione in esame si fonda sull’esistenza di una
doppia correlazione in base alla quale “in assenza di giustificazione, deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata
per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori
produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti
a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati”;
b) nonostante le figure dell’imprenditore e del lavoratore
autonomo siano per molti aspetti assimilabili, “esistono
specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere
arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata”;
c)infatti, la doppia correlazione, in base alla quale un
prelevamento ingiustificato dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un
ricavo, trova il suo fondamento logico nel nesso esistente
tra costi e ricavi che è tipico del mondo imprenditoriale;
di conseguenza, tale presunzione non può essere correttamente applicata in capo ai lavoratori autonomi in virtù
delle differenze esistenti tra le figure dell’imprenditore e
del professionista. La stessa definizione, sia civilistica che
fiscale, di “lavoro autonomo” implica, infatti, la presenza di
un’attività caratterizzata dalla preminenza del lavoro
personale e dalla marginalità dell’apparato organizzativo.
Tale marginalità, secondo la Corte, “assume poi differenti
gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino
a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura
intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali”;
d) infine, nella maggioranza dei casi, il reddito di lavoro autonomo viene determinato tramite un sistema di tenuta
della contabilità semplificata e non sussiste l’obbligo di
destinare un conto corrente[2] allo svolgimento dell’attività. Tali condizioni produrrebbero, secondo i giudici
costituzionali, “un’inevitabile promiscuità delle entrate e delle
spese professionali e personali”.
Pertanto, alla luce dei rilievi sopra elencati, la Corte ha
ritenuto che la presunzione in esame, se applicata ai contribuenti titolari di reddito di lavoro autonomo, sia lesiva del
principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da
conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo
siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria
attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo
di un reddito.
3.
L’applicazione della norma dichiarata illegittima
La pronuncia dei giudici costituzionali è destinata ad avere un grande impatto sulla futura attività accertatrice degli
uffici nei confronti dei lavori autonomi ed, inevitabilmente,
inizia ad avere effetti anche sui giudizi pendenti presso le
Commissioni tributarie. Da quando è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma sulle indagini finanziarie, nella
parte sopra descritta, sono già state depositate alcune sentenze che applicano la pronuncia della Corte Costituzionale,
cambiando così l’orientamento di diritto finora sostenuto in
vari provvedimenti giurisdizionali[3].
Ad esempio, la Corte di Cassazione, nella sua sentenza
n. 25295/2014, ha dichiarato infondato il ricorso dell’ufficio
proprio alla luce della pronuncia di illegittimità dell’articolo 32
D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui prevede una presunzione legale di maggiori compensi se il lavoratore autonomo non
è in grado di fornire indicazioni sui prelevamenti. In tale sentenza, inoltre, viene precisato che la Corte di Cassazione non
può sindacare la decisione del Giudice di merito che ha ritenuto giustificate le movimentazioni del contribuente sul proprio
conto corrente, avendo fornito una documentazione idonea a
superare la presunzione in oggetto.
Stesso principio viene applicato anche in una più recente
pronuncia della Cassazione [4] nella quale viene ribadita l’illegittimità di equiparare i prelevamenti bancari ingiustificati
con compensi non dichiarati, anche quando si è in presenza
di un conto cointestato tra professionista e coniuge, condizione questa in cui si verifica la fisiologica promiscuità delle
entrate e delle spese personali e professionali. Tuttavia, in
questa pronuncia, la Corte di Cassazione non ha dispensato il
contribuente – lavoratore autonomo dall’onere di dimostrare che i versamenti sul conto corrente, anche se effettuati
dal coniuge, avessero natura extra professionale, in modo tale
da vincere la presunzione legale che opera anche per i conti
cointestati.
Conclusivamente, è necessario sottolineare che la decisione della Corte Costituzionale esaminata in questo
contributo non è tanto fondata su considerazioni giuridiche,
bensì su valutazioni specifiche relative alle peculiarità dei
lavoratori autonomi, quali l’apparato organizzativo minimo,
la prevalenza del carattere personale della prestazione e la
possibile promiscuità delle spese personali e professionali. Tale circostanza, secondo parte della dottrina, potrebbe
portare all’estensione degli effetti di questa sentenza anche
ai piccoli imprenditori ed artigiani, la cui attività viene svolta
con modalità simili a quelle appena descritte e con analoghi
obblighi contabili. Personalmente, non ritengo questa posizione del tutto condivisibile, in quanto credo che, sebbene la
presunzione in tema di indagini bancarie sia scomoda e difficile da confutare, la correlazione tra costi e ricavi sia una
caratteristica sostanziale dell’attività d’impresa, anche se di
piccole dimensioni o se svolta in modo artigianale.
Novità fiscali / n.9 / settembre 2015
Per maggiori informazioni:
Articolo 32 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, in:
http://def.finanze.it/DocTribFrontend/callRicAvanzataNormativa.
do?js_enabled=1&reset=y [03.09.2015]
Sentenza Corte Costituzionale n. 228 del 6 ottobre 2014, in: http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=228
[03.09.2015]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://liberamb.altervista.org/wp-content/uploads/2015/04/cassazione-corte.jpg [03.09.2015]
[1] Gli articoli indicati prendono in esame i metodi
di accertamento, utilizzati dagli uffici finanziari,
per i redditi delle persone fisiche e delle persone
giuridiche. In particolare, si tratta dei seguenti
articoli, contenuti nel D.P.R. n. 600/1973: articolo
38 – Rettifica della dichiarazione delle persone fisiche;
articolo 39 – Redditi determinati in base alle scritture
contabili; articolo 40 – Rettifica delle dichiarazioni
dei soggetti diversi dalle persone fisiche; articolo 41 –
Accertamento d’ufficio.
[2] Si fa presente che nel 2006 fu introdotto
l’obbligo, per le persone fisiche che esercitavano
arti e professioni, di utilizzare un conto corrente
bancario sul quale far confluire i proventi derivanti dall’attività professionale. Tale disposizione
aveva il fine di consentire un maggior controllo
in fase di verifica. Nel 2008 tale norma venne
definitivamente abrogata.
[3] Si fa presente che il principio, ora dichiarato
illegittimo, era sempre stato difeso dalla Corte di
Cassazione. A tal proposito si vedano le sentenze
n. 14041/2011 e n. 802/2011.
[4] Sentenza della Corte di Cassazione n. 4585/2015.
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□ Novità legislative in ambito fiscale
3 dicembre 2015, Cadempino
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